Storie italiane di Veronica Gianello
Città degli opposti: la Napoli di Elena Ferrante
S
arebbe logico iniziare a scrivere un articolo che porta questo titolo inquadrando la figura di Elena Ferrante stessa. Qualche cenno biografico, qualche data, un breve excursus che ci permetta di capire come sia stato possibile per quest’autrice raggiungere il successo mondiale con i suoi romanzi. Invece non possiamo farlo. Non sentiamo mai parlare semplicemente di Elena Ferrante, bensì de ‘il caso Elena Ferrante’: nessuno, infatti, conosce l’identità di questa scrittrice. Questo forte contrasto tra il suo riconoscimento globale come una delle 100 scrittrici più influenti al mondo secondo il Time, e la sua decisione di non rivelare la propria identità, rimanendo nell’anonimato, crea nella critica e nei lettori una curiosità che non fa che fomentare l’interesse nei suoi confronti, nelle sue opere e in tutto ciò che si è venuto a creare attorno ad esse. Recentemente è stata addirittura aperta un inchiesta giornalistica che ha indagato le transizioni bancarie tra la casa editrice della Ferrante e alcuni indiziati papabili come reali autori dietro lo pseudonimo. Quest’indagine non ha portato ad alcuna conclusione, se non all’amara constatazione di quanto, alle volte, il giornalismo possa farsi trascinare da intenti decisamente poco ammirevoli. La ricchezza che si portano dietro le pagine della Ferrante dovrebbe essere sufficiente. Di lei sappiamo, senza alcun dubbio, questo: Napoli. Napoli come centro del proprio vissuto, Napoli come vita, Napoli come morte. Napoli come un
vestito che non ti riesci a levare di dosso, Napoli di mille colori, come cantava Pino Daniele. Da Napoli tutto parte e a Napoli tutto, inevitabilmente, torna. Proprio la città partenopea accoglie le vicende di Lila e Lenù, protagoniste della tetralogia di romanzi che ha portato Elena Ferrante al successo mondiale. Altro non sono, infondo, che romanzi di formazione. La storia e la crescita di questa amicizia, si intreccia, si scontra e si confronta con una storia più ampia: quella dell’Italia del boom economico, dell’Italia del nuovo benessere, delle contraddizioni interne che diventano le contraddizioni di una nazione che si sta scoprendo giorno dopo giorno. Ad aprire questa raccolta è stato nel 2011 L’amica geniale, diventato poi film e serie televisiva in una brillante co-produzione italo-americana. Siamo dunque a Napoli, negli anni ’50. La maggior parte della gente vede i propri paesi cambiare, vede l’agiatezza che inonda prepotente una quotidianità che è sempre stata essenziale, talvolta stentata. Allo stesso tempo, la gente che negli anni precedenti ha conosciuto la fame, fatica a riconoscersi parte di questo benessere, di questa nuova parola: il progresso. Il rione dove crescono Lenù e Lila è uno di quelli che ingabbiano, di quelli che scrivono già il destino dei propri abitanti. La violenza percorre le sue strade dettando ruoli e gerarchie. La Ferrante ci mostra abilmente come in
questo momento storico, la cultura e la conoscenza, possano aprire opportunità di riscatto. Ci sono due strade che si snodano in questo periodo di fermento: la strada di Lenù, dello studio, dell’attesa e della fatica, che prospera però nella possibilità concreta di uscire dal rione, di uscire da una condizione che sembrava fino a quel momento innata; oppure la strada di Lila, della ricchezza immediata, della nuova agiatezza dei vecchi poveracci, degli accordi e dei compromessi che continuano a segnare l’economia di una città che si rivela solo parzialmente. Eppure, la bellezza di Napoli, di questa nuova Italia, e della scrittura della Ferrante sta nella sfumatura dei propri confini. Nulla sembra stabile, le carte in tavola si muovono in continuazione, la Napoli che ci portiamo dentro non ci si scolla di dosso. Eppure anche per chi cambia, per chi riesce ad andarsene, per chi riesce a migliorare la propria condizione quella Napoli che non ci si scolla di dosso diventa salvezza poiché solo aggrappandoci alle nostre radici quando tutto cambia possiamo ricordarci chi siamo, e raccontare l’unica storia vera, l’unica che valga la pena di essere scritta: la nostra.
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