Identità Trentina e identità Tirolese A
50 anni dal Secondo Statuto d’Autonomia
In uno dei corridoi del Palazzo del Consiglio regionale, a Trento, è appesa una piccola bacheca in legno scurito dal tempo, una di quelle incise a mano e impreziosite da una vetrinetta, dove si appendono le comunicazioni ufficiali. Per molti anni sono passato davanti a quella bacheca, osservando ogni volta incuriosito una scritta, “Regione Trentino-Tiroler Et schland”. Una incisione che rimanda a una storia che non tutti i trentini ricor dano, quella di una Regione che fino a 50 anni fa portava una denominazione ufficiale diversa, dal 1948 al 1972, e che ha vissuto una profonda tensione sfociata in anni di vero terrorismo. Fu in reazione a quel momento dram matico della nostra storia che fu steso il Secondo Statuto, che portò alla divisione delle competenze dell’ente regionale e, di fatto, a due Province autonome separate. Un passaggio storico fondamentale, che ha per messo la pacificazione di un territorio che viveva da molti anni un clima difficile. Oggi dunque abbiamo una Regione priva di competenze speci fiche di peso, se non quella dell’ordi namento degli organi comunali, per i quali esistono comunque delle dif ferenze, e due Province che marciano su binari sempre più divergenti. Tuttavia esiste un tema fondamentale
che ci divide che ancora una volta le recenti elezioni politiche hanno mes so in luce: quello dell’identità. Oggi, parlando dell’Alto Adige-Südtirol, e in parte del Trentino, si parla di un modello virtuoso di convivenza tra popoli e culture di lingua diversa. Ed è certamente vero sotto molti profili, ma esiste ancora una forte connota zione identitaria che divide le diverse culture. Identità che si lega prima di tutto alla cultura di un popolo e alla lingua che esso parla. E così, mentre per i sudtirolesi di lingua tedesca esiste un collante facilmente riconoscibile, altrettanto non è per i Trentini: le recenti elezioni politiche hanno evidenziato come in Trentino si ragioni con logiche prettamente nazionali, dimentican do o ignorando quelli che sono gli interessi locali in favore di partiti che funzionano con dinamiche aliene al territorio trentino stesso. E questo, al di là dei meriti o demeriti delle rappresentanze locali, è sintomatico della mancanza di una vera identità trentina e, più probabilmente, di una conoscenza della specificità della nostra Autonomia. Ecco dunque che l’annacquata appartenenza ad un Tirolo storico, ma soprattutto ad una storia autonomistica che affonda le radici nel Principato Vescovile di Trento, si è fatta sempre più labile, il rapporto con Bolzano/Bozen sem pre più difficile anche per le logiche legate all’onda emotiva che nasce a sud di Borghetto, e il Trentino rischia di diventare sempre più provincia veneta. Eppure esiste qualcosa che va oltre queste logiche partitiche, ed è proprio il recupero di quella iden tità che si respira nei piccoli comuni,
dove le persone sono capaci di fare ed essere comunità, di prendersi cura del bene comune, di unirsi in nome di un legame con il proprio paese.
Ed è facendo leva su questo spirito, che ha portato alla nascita della Fede razione Trentina della Cooperazione, già nel 1895, e alla rete del volontaria to che possiamo recuperare quell’i dentità che non può basarsi solo sulla lingua, ma che deve trovare la propria origine nella storia millenaria di un territorio che ha sempre dimostrato capacità di autogoverno e motivo di essere in quel sistema di valori che rendono i Trentini unici. Oggi dunque dobbiamo recuperare quello spiri to, ritornare a riflettere sulla nostra Autonomia dando significato a quella parola. Che non significa chiudersi nel localismo ma, imparando dai no stri vicini sudtirolesi, recuperare una nostra forte identità per poi aprirci all’altro. Occorre investire sulla cul tura, sul recupero di una vocazione alla libertà che nasce solo dal sapere. Un popolo senza identità è destinato a diventare solo una accozzaglia di coabitanti, centrati solo sul proprio interesse. E non può essere questo il futuro del Trentino.
SOMMARIO
L’editoriale 3
Sommario 5
A parere mio: Ma questi sono normali? 7
Segre-La Russa, verso la pace sociale 8
ANNO 8 - NOVEMBRE 2022
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Società e scuola: L’Università Popolare Trentina 11
La testimoninza Ucraina - Russia 12
Il Principe monarca - Carlo III d’Inghilterra 14
L’Arte in evidenza: “ Glamour e dintorni” 17
Academy Alta Valsugana 19
Teconologia per l’anima: Amo la radio 21
A Levico Terme da 60 anni si parla l’Amicizia 22
Società oggi: la parità di genere 25
Lettera al Direttore: Chico Forti ci scrive 27
A Perugia con Don Ivan Maffeis 28
Un futuro di risparmio energetico 30
Scuola e Società: gli insegnanti, categoria non valorizzata 32
La Valsugana in cronaca: l’Aperitivo filosofico 33
Il personaggio di casa nostra: Paolo Orsi 34
Il senso religioso 36
A Borgo Valsugana con l’UPT nasce una nuova scuola 39
Il personaggio : Giorgio Casagranda 40
Cesare Scotoni: Ingegnere e contadino 42 Nostro incontro con Don Alejandro Pezet 46
E’ il tempo delle mele 48
UPT: al via i corsi di Logistica e Gestione contabile 50 Giovani, scuola e lavoro. Intervista al dr. Maurizio Cadonna 51
L’artista in controluce: Efrem Bertini 54
L’Arte piange Marco Berlanda 57
La lettura per il BenEssere 59
Cronache valsuganotte: La stazione dei Pettirossi 60 Inaugurato l’ambulatorio del Gruppo Romano Medica 62 Girovagando nell’Arte : Sandro Botticelli 64
Medicina & Salute: Conosciamo la ginecologia e il ginecologo 67 Medicina & Salute: Conosciamo la psicologia 68 Personaggi di casa nostra : Francesco Bordignon 70
Letto per Voi: Neve nera sotto il cielo di Trento 73
Tra Storia, Poesia e Letteratura: Giovanni Verga 74 Medicina & Salute: La relazione di coppia 76
In ricordo di Amin Nabulsi 79
Il personaggio di ieri: Giuseppe Degol 81
Le leggende della Valsugana: gli spettri di Castel Pergine 83 Che tempo che fa 84
Ai mercatini di Natale, la prima “Poké Trentina” 86
A parere mio
di Arnaldo Da PortiMA QUESTI SONO NORMALI?
Quando si legge uno spartito musicale di una canzonetta, ad un certo punto si arriva al cosiddetto “refrain” che dice al musicista di rileggere lo spartito da detto punto fino alla fine del brano musicale. Ebbene, facendo un accosta mento più o meno pertinen te, detto refrain, negli ultimi anni, si sta ripetendo in chiave bellica anziché musicale, con la differenza non da poco che, al posto del suddetto punto dello spartito che invita al refrain, si riparte invece dalla guerra fredda, ora anche rovente, che, puntualmen te, suonando con altri strumenti, alias le armi, esattamente come sta succedendo ora per Russia-Ucraina, fa correre il rischio non scontato che non si arrivi mai alla fine, come invece è previsto nel pentagramma relativo ad una qualsiasi canzone. Detto questo, anche perché ormai ho esaurito le parole per parlare del con flitto in atto fra Putin e la controparte, mi vien da pensare che una fine non ci sarà mai in quanto, da una parte, Zelensky umanamente non può ac cettare di essere calpestato e beffato nei suoi sacrosanti diritti democratici, dall’altra, Putin, non accetterà mai di etichettarsi la fine dell’Impero russo e di sè stesso. Ergo: la guerra andrà avanti, posto che la pazzia non sia già in uno stadio avanzato e pensi
davvero all’atomica, fino a quando ci saranno forze, armi, e quant’altro, sia da una parte che dall’altra, tenuto in debito conto che anche i canali diplomatici – come abbiamo già visto – sortiscono più o meno gli effetti dell’acqua fresca.
La libertà in Russia, ma anche in altri paesi a regime dittatoriale, sarà pertanto un obiettivo da raggiungere attraverso le nuove generazioni con copiose perdite di sangue, e ciò nella speranza che certe facce che han no indebitamente invaso l’Ucraina, abbiano a scomparire “motu proprio” o per opera appunto delle nuove leve, se non addirittura ad opera degli stessi oligarchi, che aspirano alla libertà di pensiero. Farei fatica a pensare che, in Russia, la gente possa piangere ai funerali di Putin, al quale auguro peraltro lunga vita, ma solo nella speranza che il tempo lo possa
rinsavire, insieme con il suo entourage.
Farei anche fatica ad ipotizzare l’uso dell’a tomica a meno che la pazzia di cui a titolo non finisca per prendere il posto della razionalità, realtà quest’ultima – e mi dispiace molto spaventa re chi mi legge – sembra venir meno giorno dopo giorno, sia da una parte che dall’altra in merito al conflitto in atto che por terà alla fame, alle malattie e relative conseguenze.
Nel caso di cui trattasi, le diplomazie non servono più a niente e, se mi è concesso un pensiero fuori dalle righe, io penso che, in futuro, le terre occupate dal dittatore Putin, finiran no per ribellarsi ad opera dei giovani che, come insegna la storia, amano la libertà.
C’è da sperare infine che la Cina, da sempre storicamente tranquilla sotto l’aspetto bellico, non tradisca la sua conclamata realtà innescando analogo conflitto anche per Taiwan e che il “tizio” a capo della Bielorussia, tale Aljaksandr Lukasenka, non metta ulteriore benzina sul fuoco come pare stia facendo a favore di Putin. Di certo, lo ripeto ancora una volta, chi oggi crede ad una soluzione diplomatica, sta emulando i suddetti pazzi.
SEGRE-LA RUSSA: VERSO LA PACE SOCIALE
Fragile come una farfalla, forte come una bambina di 8 anni, di origini ebraiche, capace di reggere all’umiliazione di essere stata esclusa dalla scuola nel 1938, a causa delle leggi razziali fasciste, la Senatri ce a vita Liliana Segre, 92 anni, con un discorso memorabile, doloroso ed intenso ha presieduto il 13 ottobre alla nomina a presidente del Senato Italiano, il Senatore Ignazio Benito Maria La Russa, di 75 anni. Due storie, due vite dagli opposti ideali, che si incontrano per uno strano caso del destino.
Liliana Segre e’ riuscita a vivere nono stante il dramma di doversi nascon dere, fuggire sopravvivere ai campi di concentramento nazisti. Ha soppor tato la prigionia con il padre quando aveva 13 anni , fino alla loro deporta zione dal binario 21 della Stazione di Milano al campo di concentramento di Auschwitz Birkenau che raggiunse
ro dopo 7 giorni di viaggio; quando arrivarono fu separata dal padre, che non rivide più e che morì il 27 Aprile 1944. Il 18 maggio dello stesso anno anche i suoi nonni paterni furono arrestati ad Invengo (Como) e dopo qualche settimana vennero deportati ad Auschwitz e messi nelle camere a gas il giorno dell’arrivo; il 30 giugno 1944 . Sopravvissuta all’Olocausto è diventata una testimone attiva della Shoah italiana; dal 15 Aprile 2021 Pre sidente della Commissione straordi naria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo ed istigazione all’odio ed alla violenza . La Segre ha vissuto pienamente la propria nuova vita dopo la libe razione avvenuta nel 1945, tuttavia la “vertigine” di quella bambina di 8 anni strappata alla scuola ed ai suoi affetti non è mai scomparsa, ed im provvisamente ha fatto capolino nel momento in cui, adempiendo ad un
suo dovere di Senatrice anziana dello stato italiano, ha accolto con il suo discorso l’insediamento del nuovo presidente .
Ignazio Benito Maria La Russa, appar tiene infatti a quella destra estrema che fa propri i temi cari a Benito Mussolini quali “Dio Patria e Famiglia”, imposti agli altri ma da lui vissuti liberamente.
Ignazio Benito, nato a Paternò il 18 luglio 1947, da Antonino, già segreta rio del partito Nazionale Fascista della cittadina catanese, negli anni 40 e nel dopoguerra divenuto senatore del nuovo partito, il Movimento Sociale Italiano, fondato da Giorgio Almiran te. L’avvocato Antonino tuttavia non ha mai dimenticato Benito Mussolini, tanto che ha fatto delle sue case una sorta di memoriali, con i cimeli del Duce.
Il giovane Ignazio ha studiato a San Gallo, in un collegio della Svizzera
Società e Vita
tedesca e si è laureato in Giurispru denza presso l’Università di Pavia proseguendo le orme del padre. Nel 1971 fu responsabile del Fronte della Gioventù di Milano nelle manifesta zioni organizzate dal Movimento Sociale Italiano, contro quella che veniva indicata come Violenza Rossa. Gli anni 70, passati alla storia come anni di Piombo,furono anni di vio lenze, bombe, come sempre accade quando si perde il senso della vita e la democrazia lascia il posto agli istinti più barbari. Ma alla fine la Politica ha saputo riprendere il proprio ruolo di mediazione ed i partiti hanno dato voce alle varie istanze sociali offrendo soluzioni pacifiche, pur presentando modelli di società diversi.
La Russa, diventato avvocato, è entra to nel Parlamento italiano nel 1992 prima alla Camera dei deputati e poi dall’8 maggio 2008 al 16 Novem
bre 2011 al Senato nel IV governo Berlusconi, diventando Ministro della Difesa. Nel dicembre del 2012 ha fondato con Guido Crosetto e Gior gia Meloni il partito “Fratelli d’Italia” di destra che in Europa fa parte dei Conservatori e Riformisti d’Europa. Nazionalista ed Europeista convinto La Russa appartiene ai partiti lontani dalla visione del mondo della Segre che nel discorso al Senato, ha fatto sentire la vertigine di quella bambina di 8 anni, istintivamente preoccu pata dal modello sociale di “Fratelli d’Italia”, nel trovarsi a 92 anni, seduta sul banco più prestigioso del Senato, a consegnare il Senato nelle mani di La Russa, che nel nome Benito rievoca echi di un terribile passato. Ma siamo in democrazia: il popolo ha scelto e va rispettato “Incombe su tutti noi in queste settimane l’at mosfera agghiacciante della guerra
tornata nella nostra Europa , vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione crudeltà e follia senza fine...la pace è urgente e necessaria..” Un grande discorso il suo punteg giato dagli applausi di questo nuovo senato della XIX legislatura, che si è concluso invitando i presenti a non perdere tempo “Dalle istituzioni deve venire il segnale che nessuno verrà lasciato solo, prima che la paura e la rabbia possano raggiungere i livelli di guardia e tracimare. Senatrici e Senatori, cari colleghi buon lavoro”. Il fragoroso e prolungato applauso hanno dimostrato la comprensione e l’approvazione dei Senatori al discor so della Segre, sancito poi dall’offerta di un mazzo di Rose bianche ed un grande abbraccio da parte del neo eletto Presidente Ignazio La Russa. Buon lavoro alla XIX legislatura della Repubblica Italiana.
Scuola e società
di Nicola MaschioL’Università Popolare Trentina presenta il proprio Piano Strategico 2022-2024
L’Università Popolare Trentina sta crescendo, non solo nei numeri ma anche (e soprat tutto) nella propria offerta formativa. Ed ecco perché il Piano strategico 2022-2024, presentato a metà ot tobre, ottiene in questo senso una valenza ancora più importante. «Per arrivare a questo documento servono mesi di lavoro – ha spiegato Ivo Tarol li, presidente dell’UPT. – Ma il risultato finale sono obiettivi chiari e traguardi che vogliamo raggiungere. Credo, e lo posso dire anche con un po’ di pre sunzione, che il nostro tipo di offerta sia unico in Trentino e che nessun altro abbia modo di pareggiarla» Dopo tre anni gli studenti della scuola delle professioni per il terziario ottengono la qualifica, dopo quattro invece diventano veri e propri tecnici, con la possibilità (introdotta recen temente) di seguire anche un quin to anno e conquistare la maturità. Successivamente, per loro si aprono le porte delle specializzazioni, delle università, insomma di una formazio ne approfondita, varia e completa. Ma gli obiettivi indicati da Tarolli sono sostanzialmente quattro: completare la messa in opera dei nuovi piani di studio concordati con la Provincia Autonoma di Trento; potenziare le materie che permettono di svilup pare una forte base culturale – quali italiano, storia e geografia – come ri chiesto tra l’altro dagli stessi studenti; interloquire con associazioni e realtà produttive del territorio, ma anche con quelle straniere, incentivando le famiglie a far trascorrere periodi all’estero ai propri figli; infine, spinge
re sull’auto-imprenditorialità.
La strada dunque è tracciata, ma serviranno interventi a trecentoses santa gradi per permettere a studen tesse e studenti di stare al passo di un sistema che, con il passare degli anni, sta risentendo delle evoluzioni e dei progressi del contesto esterno. Dalla richiesta di nuove e sempre più specifiche competenze fino alle analisi delle situazioni in continuo mutamento del mercato del lavoro. Ma per il sindaco di Trento Franco Ianeselli è il momento di supera re preconcetti e capire anzi che la scuola professionale è il luogo in cui il “saper fare” si coniuga alla perfezione con il “saper essere”: « Se da una parte abbiamo una città come Trento che investe nelle grandi opere, dall’altra momenti come questi ci ricordano che i più grandi investimenti sono quelli fatti sulle persone. E in questo senso, l’istruzione professionale è sempre stata al centro delle proget tualità>>. Ha poi concluso l’assessore provinciale Mirko Bisesti: « Va ricono sciuto il merito ad UPT di essersi sem pre adeguata con grande velocità ai cambiamenti della società. Inoltre, il
potenziamento dei percorsi di studio fino al quinto anno permette, ai ra gazzi che sono indecisi sull’iscrizione, di avere una prospettiva di appren dimento più ampia, specialistica e completa » . Qualche numero: sono sei in tutte le sedi dell’Università Popo lare Trentina sul territorio provinciale, con un numero di classi complessivo che, oltre ad essere in crescita ormai dall’anno scolastico 2012-2013, dopo la leggera flessione a 47 nel 20202021 è tornato a salire fino a 52 in questa nuova annualità.
Trend simile anche per la quantità totale degli studenti, passata dal proprio punto più alto (963 nell’anno scolastico 2019/2020) ad uno legger mente più basso lo scorso anno (-20 studenti, 940 totali), salvo poi risalire ad oggi di tre nuove unità (943).
Sono invece complessivamente 337 coloro che compongono la “squadra” dell’UPT: solo per citare alcuni dati, stiamo parlando di 101 docenti, 32 addetti alla segreteria e amministra zione, 12 operatori ausiliari e sono addirittura 180 i collaboratori/profes sionisti esterni che arricchiscono le attività dei frequentanti.
C’è chi crede ancora in una “Nuova Europa”
«In guerra tutti perdono!», forse anche la capacità di averla e tenerla presen te sopportando di convivere con la minaccia di un utilizzo di armi nucleari. Augurandoci che nel tempo che si è frapposto tra la scrittura di questo arti colo e la sua pubblicazione, un evento simile non si sia verificato, ricordiamo che per la maggior parte dei russi, la guerra è iniziata il 21 settembre scorso con l’annuncio della mobilitazione e la chiamata alle armi alla quale 700mila coscritti, nei primi dieci giorni, hanno risposto con la fuga dal Paese. L’inva sione, iniziata il 24 febbraio, era rimasta fino ad allora una cosa lontana che, anche per effetto della propaganda, non incideva nel vivo del quotidiano di sempre. Dopo la chiamata generale alle armi, lo scenario consueto si è trasfor mato a tal punto e immediatamente, in
qualche cosa con il quale è necessario confrontarsi, ma con le solite tre dram matiche alternative, adeguarsi, lottare, o fuggire. Senza nulla togliere al doloro so coraggio che occorre anche a chi si è visto costretto ad andarsene, riportia mo di seguito la testimonianza preziosa che ci arriva dal portale di informazione indipendente “La Nuova Europa” (www. lanuovaeuropa.org), una rivista nata nel 1960 col titolo “Russia cristiana ieri e oggi”, primo e fondamentale strumen to per diffondere la conoscenza delle ricchezze della tradizione russa, e ora luogo di dibattito e di confronto sulle problematiche sociali, culturali e reli giose di quel continente. In particolare riprendiamo uno scritto di Lida Monia va, dal 2014 vice direttrice dell’hospice pediatrico Dom s majakom (La casa col faro) e dal 2018 direttrice dell’omonima fondazione di beneficenza, che dalle
pagine de “La Nuova Europa” lancia il suo appello per guardare in faccia la situazione e fare una scelta responsabi le. Lei ha deciso di non abbandonare il suo hospice pediatrico a Mosca.
Lida Moniava ha studiato presso la facoltà di giornalismo dell’Università statale Lomonosov di Mosca. In una sorta di bilancio personale, il giorno del suo trentesimo compleanno, scriveva: «Quando ero alle superiori facevo volontariato al reparto di oncologia e ho visto bambini morire di cancro. Mi piaceva soprattutto (e mi piace tutt’ora) giocare e disegnare coi bambini. Disegnavo con Žora, poi Žora è stato dimesso, ed è morto a casa tra dolori lancinanti, da due set timane la clinica non gli prescriveva più la morfina. Disegnavo con Anja, poi Anja è finita in rianimazione e per
La testimonianza Ucraina-Russia
diversi mesi non ci hanno permes so di vederla, io stavo fuori sotto la sua finestra, al freddo. Disegnavo con Vova, una volta sono entrata nella sua stanza, e ho visto Vova correre su e giù come un pazzo, saltare da un letto all’altro ripeten do senza tregua: «Fa male, fa male, fa male». Disegnavo con Lisa, e poi Lisa, di 9 anni, mi ha detto attra verso la finestra di vetro dell’unità di trapianto del midollo osseo: «Oggi ho provato a soffocarmi col catetere».
«Quando in Russia si sono ina sprite le repressioni – scrive in un recente articolo de “La Nuova Europa”, Lida Moniava –, la gente ha cercato di continuare a vivere come niente fosse, dicendo che le persecuzioni sono solo per quelli che si immischiano in politica. Se uno si fa gli affari suoi, non scende in piazza, non fa politica, le repressioni non lo toccano. Se lo toccano è colpa sua, se l’è cercata.
Quando le truppe russe si sono concentrate al confine con l’Ucraina, la gente ha cercato di continuare a vivere come niente fosse, dicendo che non sarebbe iniziata una guerra, che facevano così solo per spaventa re. Quando è iniziata l’operazione mi litare speciale, la gente ha detto che quella non era ancora una guerra, e che non ci sarebbe stata la mobilita zione. Quando è stata annunciata la mobilitazione parziale, la gente ha detto che non era ancora la mobili tazione generale, che non avrebbero chiamato alle armi noi e i nostri cari. Anche quando gli arriverà la carto lina precetto troveranno il modo di consolarsi, dicendo che non ci man deranno al fronte ma nelle retrovie, oppure ci manderanno al fronte, ma non nei «punti caldi», oppure ci man deranno nei punti caldi ma io non sparerò, ecc. Riusciremo a giustificare anche l’arrivo delle bare. Come, non lo so: forse con qualche idea sublime,
oppure, come hanno detto i genitori di quel ragazzo caduto in guerra, «Grazie, figliolo per la macchina» (comprata coi soldi dell’indennizzo statale.
All’hospice, quando diciamo ai geni tori di un bambino con una malattia incurabile di provare a capire dove e come pensano sia meglio morire per il figlio, loro all’inizio rispondono che non vogliono parlarne, non vogliono pensarci, che questo non accadrà, che se saremo ottimisti andrà tutto bene. Ma sappiamo per esperienza che quando si comincia così, va tutto male. Il bambino muore nel posto sbagliato, nel modo sbagliato, con grandi sofferenze. Se i genitori hanno il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prepararsi al peggio, è più facile per tutti che non chiudere gli occhi mentre si va a fondo, conti nuando a ripetere – come in una canzonetta dei cartoni animati russiche «non siamo ancora fottuti». Penso che è molto pericoloso quan do la gente spera per il meglio senza prepararsi al peggio. Non riesco anco ra a capire cosa mai potrà costringere la nostra società a risvegliarsi dal sonno e ad aprire gli occhi chiusi dall’atarassia della stabilità quotidiana
e di un ipotetico benessere. È molto importante farlo.
«Prepariamoci al peggio, sperando per il meglio», è lo slogan dei centri di cure palliative. Anche nella situa zione peggiore devi avere un piano in cui a decidere sei tu, e nessun altro. Trovandomi nella situazione attuale, penso che sono io a scegliere di non andarmene, di restare qui, dentro a questo problema. Capisco cosa potrà succedere, ma vedo che essere qui e ora ha un senso.
È molto complicato prendere delle decisioni oggi in Russia. Tutto il mio lavoro si è costruito attorno al valore di ogni vita umana e al fatto che tutte le persone sono uguali e hanno uguali diritti. Attorno al valore della vita non solo di chi è bello, forte e ric co, ma anche di chi è debole, fragile e malato. All’uguale valore dei loro diritti. La vita di un bambino malato, immobile, che respira grazie a un ventilatore meccanico, ha lo stesso valore e lo stesso senso di quella di un funzionario o di un uomo d’af fari ricco e influente. Qui invece mi sono ritrovata all’improvviso in una situazione in cui nessuna vita ha più valore. Né quella degli intelligenti, né quella degli sciocchi, né quella dei singoli, né quella delle migliaia: tutti al macello!
Il lavoro all’hospice con i bambini in curabili mi ha insegnato un’altra cosa importante: i miracoli. I miracoli acca dono non dove c’è forza, benessere e dove «volere è potere». Accadono piuttosto fra i deboli e gli indifesi. La persona più indifesa, che non riesce a muoversi, a deglutire, a star seduta, a parlare, in preda alle convulsioni, spesso può cambiare (in meglio) il mondo attorno a sé molto più di un uomo potente che ha i soldi, un ruolo importante, conoscenze e risorse. Le vittorie sono miracoli che raramente si riescono a guadagnare o a conqui stare, che non si possono gestire con la forza o col denaro».
Principe monarca
di Guido TommasiniCARLO III D’INGHILTERRA un Re dagli interessi multipolari
Parafrasando Marcuse si può dire che il nuovo re d’Inghilterra Carlo III non è di sicuro un uomo ad una dimensione. Quel bambino al quale la madre Elisabetta, tornando dai suoi impegni, salutava non con un abbraccio materno, ma con una stretta di mano, si è in seguito sempre caratterizzato nella sua condotta di vita, nonostante l’aspetto un po’ annoiato, non solo come perfetto modello di una maestà nobiliare ma anche come esempio di impegno nei vari campi del sapere e successivamente simbolo di una continua applicazione ed apprendimento in molteplici competenze civili e militari.
Il suo curriculum del resto parla da solo: educato nella scuola pubblica londinese di Hill House e ricevuta l’istruzione secondaria nella scuola di Gordonstoun è approdato infine al Trinity College specializ zandosi in storia, archeologia ed antropologia, ma oltre a questo ha trovato anche il tempo di apprendere la lingua gallese presso l’ Universi
tà di Aberystwyth( a riprova della sua consapevolezza delle differenti componenti del Regno Unito). Come compimento dei suoi studi ha rice vuto infine il titolo di Master of Arts diventando il primo principe reale ad ottenere un titolo universitario. Par ticolare importanza nella sua forma
zione ha rivestito la sua iscrizione, su iniziativa del padre principe Filippo, appena diciannovenne ai seminari di Kurt Hahn, un pedagogo che pro muoveva la concezione di Platone in un mondo ideale dove i filosofi si convertivano in re, ma anche coloro che oggi chiamiamo governanti si convertivano in filosofi con la con seguenza che in tale modo il potere politico e la filosofia si compene travano mantenendosi allo stesso livello. Questa educazione stimolava i partecipanti ai seminari a identificare il potere con la filosofia in un mondo egualitario dove i figli dei potenti( e tali erano coloro che frequentavano questi corsi) si potevano emancipare dalla pressione del privilegio.
Un altro corso preparatorio partico larmente importante fu quello da lui compiuto presso il Timbertop Cam pus della Geelong Granmar School a Victoria in Australia.Carlo aveva di diritto il suo scranno alla camera dei Lord ( la più antica istituzione par lamentare inglese) dove sviluppava il suo approccio alla politica reale e
questo anche mentre allo stesso tem po percorreva la sua carriera militare nell’esercito britannico, dove ultimò un corso presso il Royal Naval College facendo successivamente carriera presso le forze aeree, come pilota della Royal Air Force sia di aerei, sia di elicotteri fra il 1971 ed il 1976, meri tandosi anche diverse medaglie(oc casionalmente pilotò poi ancora). Nel settore navale servì su due fregate dal 1972 al 1974 : la HMS Minerva e la HMS Jupiter e successi vamente fu messo al comando del coastal minehunter(cacciamine) HMS Bronington, ma questo non è tutto in quanto si dice che Carlo sia anche
in grado di guidare un sottomarino. In seguito il principe diversificò i suoi interessi in un’ampia gamma di attività, ma in particolare nella difesa dell’ambiente e del patrimonio stori co nazionale, nonché partecipando incessantemente a manifestazioni culturali e letterarie. Come concre tizzazione dei suoi diffusi interessi intellettuali assunse a poco a poco la presidenza di circa duecento organiz zazioni di carattere artistico, scientifi co e sociale.
Dopo questa carrellata su un curricu lum eccezionale, si può citare infine un breve aneddoto che nella figura di Carlo contrassegna il suo saper
Principe monarca
stare anche fuori dagli schemi e la sua ironia . Mi riferisco ad un film del 1975 - Hennessy – dove Carlo svolge la parte di comparsa interpretando sé stesso seduto su un trono mentre un attentatore suicida carico di esplo sivo si avvicina in mezzo alla folla per compiere un definitivo gesto di ribellione verso quel principe rap presentante della monarchia inglese. Non si può dire se la partecipazione di Carlo al film sia stata volontaria o sia frutto di un abile montaggio( lui comunque non si è mai lamentato) ma certo è che le scene a campo lungo sulla folla, sui primi piani su Carlo con l’espressione impassibile e sui movimenti dell’attentatore imper sonato da Rod Steiger che si muove circospetto fra gli invitati, sono di un realismo efficace, tanto più che quelli erano i tempi dell’insurrezione nell’Irlanda del Nord dove scontri ed attentati fra IRA e militari inglesi erano all’ordine del giorno. Questo per dire che Carlo è probabilmente dotato di un forte sense of humor tipicamente britannico. La vita privata di Carlo è sempre ap parsa su tutti i giornali del pianeta per cui vorrei solo far notare che egli ha soprattutto due impeccabili figli: Wil liam ed Harry, il primo che s’intravede già come preparato per accedere ai massimi livelli ed il secondo, molto simpatico e dallo spirito indipendente.
“GLAMOUR E DINTORNI”
Il genio creativo di Fulber arriva Borgo Valsugana
Lo scorso 22 ottobre è stata inaugurata, presso lo Spazio Klien di Borgo Valsugana, la mostra “Glamour e dintorni. Mostra di pittura e design di Fulber”, con opere pittoriche e di arte sequenziale dell’artista Fulvio Bernardini, in arte Fulber. Nel 2012, l’autore Bernardini crea il neologismo “rivisitismo” per descrivere il suo stile pittorico ispirato ai grandi maestri della pittura con temporanea attraverso una rivisi tazione ironica e scanzonata. Una consuetudine a volte non dichiarata nel mondo della pittura. Mediatori di questa svolta artistica sono ancora una volta i suoi perso naggi-icona, a lungo apparsi nelle collane a fumetti e nelle comic strips del primo periodo e diventati protagonisti delle tele in forma più plastica e astratta; i cosidetti Dàimon L’intenzione della mostra è quella di presentare al pubblico l’estro creativo di questo artista geniale e poliedrico,
attraverso opere multimediali ed interattive con le quali è possibile dialogare per un’esperienza senso riale a tutto tondo. Prima di visitare la mostra è possibile scaricare gra tuitamente sul proprio smartphone un’applicazione che, attra verso la realtà aumentata, farà sì che le opere prenda no vita, uscendo dai confini della cornice per animarsi, rendendo così l’esperienza di visita ancora più diverten te e stimolante. Il pubblico potrà così cogliere in manie ra efficace e giocosa l’eclet ticità dell’artista trentino e avvicinarsi al mondo dell’ar te attraverso mostre che, come questa, danno dove roso risalto al lavoro di artisti locali apprezzati anche al di fuori dei confini regionali. Lo spazio espositivo Erika Giovanna Klien è diventa
to negli anni un luogo sempre più importante e prezioso per esposizioni rinomate e variegate nei contenuti, che ha dato e continua a dare grande soddisfazione agli espositori e alla Amministrazione comunale. È dove roso rivolgere un ringraziamento alla Biblioteca comunale di Borgo Valsu gana nella figura del Responsabile Andrea Sommavilla, il quale ha curato nei minimi dettagli questo evento. La diversità di linguaggi artistici, tanto cara a Fulber, è stata la protagonista nella presentazione della mostra, avvenuta il 20 agosto in occasione del concerto di James Thompson & friends. L’estro blues dell’italo-ameri cano si è sposato alla perfezione con il pop-rivisitismo dell’artista trentino, formando un connubio funzionale di arti, molto apprezzato dal pubblico.
La mostra è visitabile fino al 27 novembre, aperta dal martedì alla domenica compresa dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 18:00.
Economia, società, finanza e ambiente
ACADEMY ALTA VALSUGANA
Le nuove iniziative della Cassa Rurale Alta Valsugana per la sostenibilità ambientale
“O
ccorre aprire la por ta per permettere il passaggio”. Questo è il motto di Academy Alta Valsugana. Un progetto che intende far scopri re attraverso incontri e laboratori, concetti e strumenti utili ad affronta re le tematiche alla base della nostra quotidianità.
Il lancio ufficiale del progetto Aca demy è stato realizzato lo scorso sa bato 29 ottobre nel Comune di Tenna con un evento dal titolo “Personal Fi nance. Come si crea il proprio budget personale” grazie all’intervento della nota influencer Aminata Gabriella Fall, conosciuta sui social come “Pecunia mi”. L’obiettivo di Academy è quello di accattivare soprattutto le fasce più giovani e, più in generale, riuscire ad affrontare temi che possono apparire complessi e noiosi in modo semplice ed innovativo.
Un programma che du rerà nove mesi, costel lati di appuntamenti. Ogni mese dedicato ad un tema diverso per approfondire le tematiche legate non solo alla finanza ma anche alla sostenibilità e all’ambiente, a partire dal prossimo appun tamento che si terrà a Caldonazzo mercoledì 16 novembre alle ore 20.30 presso la Casa della Cultura. Ospite d’eccezione sarà Elisa Nicoli, IG influencer,
durante una serata in cui verranno affrontate tematiche utili a capire come adottare uno stile di vita più sostenibile attraverso un consumo consapevole e critico. Buone pratiche quotidiane per iniziare dalle piccole
azioni a cambiare il nostro impatto sull’ambiente. Un focus specifico sulle idee regalo e gli acquisti in occasioni di ricorrenze particolari come Black Friday e festività natalizie.
Per il Presidente della Fondazione Cassa Rurale Alta Valsugana, Giorgio Vergot: “Il progetto Academy integra e potenzia l’azione della Cassa Rurale Alta Valsugana in favore della cultura imprenditoriale locale. Tutti sono invitati a partecipare agli incontri formativi a tema che saranno pro grammati con cadenza mensile ma in particolare le persone che animano la community di Alta Valsugana Smart Valley. I temi in programma sono di sicuro interesse e di potenziale sboc co professionale. La serata di sabato scorso “Pecuniami” ha introdotto, in maniera semplice e diretta, al mondo della gestione finanziaria personale, sviluppando una tecnica per favorire la maggior consapevo lezza nella gestione del le risorse economiche personali o aziendali”. “Il ruolo di una banca di comunità – ha sottoli neato Mauro Nadalini, Responsabile Gestori Finanza della Cassa Rurale Alta Valsugana –è quello di non limitarsi a fornire servizi, ma di occuparsi anche di accrescere conoscenza e consapevolezza nei confronti della clientela e della comunità dove opera”.
Tecnologia per l’anima
AMO LA RADIO
Chi ascolta la radio?
La radio ha da sempre rappresentato un ponte che attraversa il mondo. I giornali hanno uno spazio temporale di un giorno ovviamente, la radio no. Da quando è nata è sempre stata un ponte che attraversava il mondo. Ha raccon tato tutto, prima durante e dopo la guerra. Ovvio che sono di parte (io ci lavoro), ma se ci pensate, la radio ha il potere di farci sforzare quel tanto da far vibrare la nostra fantasia. Se non si conosce il volto, la voce che ci piace ascoltare, prende i connotati che preferiamo.
Ecco perché sono sempre stato contrario alla telecamera in studio. L’etere è fatto d’immagini oniriche, per raccontare bene ciò che accade senza l’ausilio d’immagini, bisogna davvero essere bravi. Nonostante il mio interesse rasente lo zero per il calcio, mi ritrovo ad ascoltare alcune partite in radio, proprio per ammirare la capacità di chi mi fa vivere certi momenti senza vederli. Nel tempo la radio è mutata, sia tecnologicamente sia nei contenuti.
La prima domanda che noi del settore ci facciamo è sempre una: chi ascolta la radio?? credo di poter dire che i giovani, quelli veri non i giova nili, non siano fruitori del mezzo. Per la maggior parte di loro è la musica l’interesse principale e per quanto noi possiamo proporre le novità, perché attenderle se sul tuo telefo nino le puoi avere in tempo reale? Possono ascoltarle quando e dove vogliono. Quindi? Il target si alza di età, diciamo che dai 30 anni in poi, si aprono molti spiragli e a quelli noi ci rivolgiamo spesso. Quindi la musica va selezionata molto attentamente, non si devono tralasciare le novità più
interessanti, ma di certo si attinge anche al pas sato. Diciamo che uno dei luoghi più associabili all’ascolto della radio, rimane l’automobile. So prattutto se poi viaggi da solo! Allora il nostro com pito è chiaro. Dobbiamo fare compagnia, dobbia mo sederci a fianco di chi guida e raccontare delle cose interessanti. Che siano di cronaca, di gossip, di sport, siamo responsabili dell’agio che si può avere in viaggio. Negozi? Si ce ne sono diversi che ascoltano la radio, ma dato che è un sottofondo, si preferisce musica senza interruzioni.
Le storie che mi piace sentire sono quelle di operai che per otto ore sono alla catena di montaggio e sotto le cuffie antirumore, hanno la radio.
Sono le persone sole che ascoltano dalla mattina alla sera. Che si ricor dano quello che hai detto anche settimane prima. Che sfruttano la tecnologia per mandare messaggi, per esserci nel tuo programma, per dire la loro.
La radio non ha mai perso il pro prio fascino, se la televisione oscilla nei gradimenti, noi teniamo duro. Eugenio Finardi scrisse il brano che maggiormente rappresenta la nostra categoria: “La Radio”.
Amo la radio perché arriva dalla gen te Entra nelle case
E ci parla direttamente E se una radio è libera Ma libera veramente
Mi piace ancor di più Perché libera la mente
di Gabriele BiancardiCon la radio si può scrivere Leggere o cucinare Non c’è da stare immobili Seduti lì a guardare E forse proprio questo Che me la fa preferire È che con la radio non si smette di pensare.
Quando la senti capisci che è un brano sempre attuale. Con la televi sione sei passivo, con i giornali puoi essere riflessivo, con la radio puoi fare qualunque cosa. Oggi la tecno logia ci permette anche di fare cose inimmaginabili fino a poco tempo fa. Ho scaricato una app “simple radio”, mi permette di sentire radio da ogni parte del mondo. È curioso sentire lingue e canzoni sconosciute. È emozionante immaginare speaker brasiliani che trasmettono da Copa Cabana e hanno quella melodia anche solo nel parlare. Sono di parte, ma la radio è quella cosa che vorrei portare su un’isola. Con quella non ti manca nulla.
A LEVICO, DA 60 ANNI, SI PARLA L’AMICIZIA
Si è potuta finalmente celebra re la festa per il 60° anniversa rio del gemellaggio tra le Città di Levico Terme e Hausham, dopo un biennio di restrizioni sanitarie che lo hanno per forza di cose rinviato. «60 anni pieni di eventi – ha detto San dra Andreatta, presidente onoraria dell’associazione Amici di Hausham e “socio fondatore” del gemellaggio, in un accalorato discorso che rimarrà negli annali della storia levicense, e non solo – e di momenti di comu nanza che hanno fatto la storia delle nostre comunità e le hanno fatte cre scere in amicizia e solidarietà, com’era nello spirito di coloro che nel lontano 1959 diedero vita a questo gemellag gio e nel ricordo di tanti di loro che oggi non ci sono più».
Una festa dell’amicizia senza confini, con tanti convenuti da Hausham, le autorità locali, i sindaci Jens Zangen feind e Gianni Beretta, l’associazione gemella “Freunde Levico”, gremita di simpatizzanti, amici, e sostenitori, ac comunati nel piacere della memoria
e dal fervore di un incontro. Sono stati ricordati da Sandra Andre atta, i momenti salienti degli oltre 60 anni di gemellaggio, assieme alle persone che per prime hanno getta to il seme del patto di amicizia tra le due comunità; la grande pianta del «gemellaggio oggi ha messo radici profonde».
«Di quel gruppo di persone – ha detto ancora Andreatta – romanti
che ed entusiaste che aspirava a un mondo senza frontiere, a un’Europa finalmente affratellata dopo gli anni terribili della guerra, è rimasta solo chi vi parla… memoria storica di quegli anni formidabili nei quali, passata la buriana, il futuro appariva più roseo e pieno di sole».
Tutto ebbe inizio con Rudy Siebe neicher, divenuto cittadino onorario di Levico, quando nel primo dopo guerra fu ospite a Santa Giuliana nella casa di Adamo Lorenzini. Quell’in contro generò molti altri rapporti tra tanti di Levico che condividevano gli stessi interessi, soprattutto la passio ne per la musica e il canto, e la spinta per il primo scambio con la sua città d’origine – Hausham – si concretizzò in una prima reciproca trasferta dei cori parrocchiali, il S. Pio X di Levico con il direttore Luigi Raimondi e il suo “pilastro”, Emilio Perina, e il coro della parrocchia San’Anton Kirche di Hausham.
«Era il 1959», ricorda commossa la presidente onoraria che segue il
Levico Terme in cronaca
gemellaggio fin dal principio, quando aveva 25 anni. «Già nel 1960 – prose gue Andreatta –, come raccontano i carteggi scrupolosamente redatti e conservati dal maestro Luciano Decarli, furono 96 i visitatori di Levico che si recarono ad Hausham il 13 maggio per suggellare il primo con tatto fra le popolazioni delle due città. Visita ricambiata nel mese di ottobre dello stesso anno da una delegazione di cittadini di Hausham che furono ospitati nelle case dei levicensi pro motori dello scambio. Tra questi, oltre alla sottoscritta, anime dell’iniziativa furono mio marito Franco Pohl, il ma estro Livio Bosco, Danilo Orsi, Arman do Avancini, Silvio Bosco, Remo Goio, e tanti altri amici, oggi scomparsi, che hanno sostenuto e creduto in questo progetto con l’unica volontà di pro muovere l’amicizia e la fraternità tra le nostre comunità, portandolo avanti
senza indugi, con l’unica risorsa della loro personale passione e fiducia, fino al coronamento dell’importante tra guardo di oggi. Grazie al loro impe gno e al loro coraggio e caparbietà, a quel primo contatto sono seguite altre innumerevoli occasioni di incon tro e di scambio di esperienze tra le due comunità. Numerose le trasferte del Coro Angeli Bianchi, delle varie Associazioni culturali e sportive, delle Bande, dei Pompieri, dei Cori Valsella e Cima Vezzena, e altri eventi che hanno contribuito a rinsaldare sempre più i vincoli di vicinanza e amicizia».
Un primo frutto maturo di questa bella esperienza si colse nel 1980, quando per iniziativa del sindaco Anton Weileier, accolta con favo re dal sindaco Luciano De Carli, si diede avvio alle “vacanze estive” degli alunni dei rispettivi poli scolastici.
«Fu un’avventura incredibile per quei tempi – ricorda ancora Andreatta –, mandare i propri figli minori all’estero da soli non era un’esperienza usuale in quegli anni, ma grazie a mamme e ragazzi coraggiosi e all’impegno gratuito di molti si riuscì subito a partire. Ricordo che con il maestro Livio Bosco andammo per un pri mo sopralluogo alla Ferien Haus all’Huberspitz e in seguito grazie alla preziosa collaborazione della cuoca Valeria Vergot e della maestra Sandra Avancini, si diede il via al primo grup po vacanze».
Dopo la sospensione per il Covid, si riparte dunque con rinnovato entu siasmo e un invito della presidente onoraria ad avvicinare di più «i gio vani, anche attraverso i social capaci di rimuovere le distanze, perché loro stessi si facciano promotori di nuove opportunità».
Società oggi
di Emanuele PaccherLa parità di genere arretra
Nel nuovo Parlamento le donne sono il 32,2% e nel 2022 avremo una Presi dente del Consiglio donna. E sarà la prima volta nella storia. A prescindere dal pensiero politico, sarà comun que un passo importante. Tuttavia, la parità di genere uomo – donna è ancora lontana. A dirlo sono i nume ri: nel 2018 in Parlamento c’era una rappresentanza del 35,3%, oggi siamo al 32,2%.
In una democrazia matura, in cui la disuguaglianza di genere non è più un retaggio culturale del passato, questi dati non costituirebbero alcun problema. Infatti, ove non vi fosse una discriminazione, il fatto che ci siano più o meno donne in Parlamen to sarebbe il semplice risultato delle elezioni.
Nella nostra società, invece, la donna è ancora ritenuta, talvolta inconscia mente, come inferiore, o comunque da relegare a mansioni diverse da quella politica (e non solo). È per questo che sono tanto importanti le
famigerate “quote rosa”: queste per mettono di far entrare nella quotidia nità, nell’ordinarietà – come dovreb be essere – la presenza femminile in tutti gli ambiti della società.
Le quote di genere mirano quindi a far percepire come normale qualcosa che, inconsciamente o consciamente, riteniamo come anomalo.
Oggi siamo ancora lontani da un’ef fettiva parità tra i sessi. Ed è per questo che il dato della diminuzione della presenza femminile in Parla mento è un problema.
A conferma di ciò vi è il fatto che in nessun partito sono state elette più donne che uomini: solo nel “Terzo polo” e nel “Movimento 5 stelle” ci sono rappresentanze femminili supe riori al 40%.
Questo è un indice della patologia che affligge la nostra democrazia.
Un risultato così netto a favore degli uomini, in tutti i partiti, fa capire che ancora qualcosa non funziona.
Non è facile trovare le “colpe”. Di sicuro la parità di genere fa fatica ad
affermarsi a causa di un pregiudizio. Poi, anche a causa di ciò, va rilevato che le donne si interessano meno alla politica, quantomeno allo stato attuale. E anche il meccanismo della legge elettorale ha influito sul risulta to. Insomma, le cause sono comples se, non si possono trarre conclusioni affrettate. Ma c’è una sola certezza: ad oggi la parità di genere rimane ancora una lontana utopia.
Rimane quindi ancora lontano il sogno dei nostri padri (e madri) costi tuenti, che all’art. 3 della Costituzione scrissero: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opi nioni politiche, di condizioni persona li e sociali”.
Forse, come ha detto Liliana Segre in Senato, più che continuare a parlare di modifiche alla Costituzione, di revisioni più o meno ampie, dovrem mo concentrarci sul dare effettiva attuazione alla nostra stupenda Carta costituzionale.
LETTERA ESCLUSIVA DI CHICO FORTI DAL CARCERE DI MIAMI
Chico Forti, dopo la vista di Roberto Paccher (Vicepresidente del Consiglio Regionale) nel carcere di Miami, ci ha fatto pervenire questa sua lettera che volentieri pubblichiamo.
Come definire un trentino? Alcune parole calzano a pennello:orso buono, non ipocrita, verace, resiliente, solidale, empatico, fedele e monosillabico...a meno che non si tratti di un politico, in tal caso togliete l’ultima definizio ne.
Eccovi Roberto Paccher, biennalmen te alternato, presidente e vicepre sidente della Regione Autonoma Trentino Alto Adige.
Un politico inossidabile, sopravvis suto alle intemperie, perche’ amato e rispettato da ogni fazione politica, indipendentemente dall’ideologia.
Oggi dopo quasi 4 ore di visita ho capito di che pasta (per rimanere in sintonia con uno dei tanti appellativi affibbiatomi: “spaghetti man”) e’ fatto questo gigante buono.
Roberto rende innocua ogni avversità col suo sorriso disarmante, mentre con la sua logica inespugnabile, stimola l’attenzione delle persone intelligenti.
Tipico, ma non restrittivo, delle visite consolari, la durata della visita, previ sta per 45 minuti, una breve tappa in un’affollata lista d’impegni prefissati. Visita che ora vi racconto..
Dopo 45 minuti ed in concomitanza col conteggio, alla frase del console “ Bene Caro Chico, purtroppo e’ tempo
di lasciarci” Roberto che è venuto a trovarmi col figlio, futuro avvocato, ha risposto “noi rimaniamo, abbiamo cosi’ tanto da raccontarci..” e cosi’ ha fatto.
il console se ne e’ andato con tutto ciò che apparteneva ai Paccher: portafogli, chiavi, telefoni etc. Stoico ed incurante Trentino, fiducioso delle sue capacità di recupero, e’ rimasto con me per altre 3 ore, monopoliz zate come di rito dalla mia voce, ma con intermissioni essenziali per por tarmi i saluti della mia intera regione ed individuali, primo fra tutti, il pre sidente della mia Provincia: Maurizio Fugatti che ha accompagnato i saluti con un’accorata lettera.
Con una dignità da man tenere che non permette l’esternazione di debolezza, l’ho terminata e riletta piu’ volte, nel dormitorio, con le mie emozioni al riparo d’occhi indiscreti.
Roberto ed io conoscevamo molto uno dell’altro, ma mol to più (come ogni cosa nella vita) era a noi sconosciuto.
Mi sono sentito a mio agio nel raccontare le mie avven ture, nella stragrande mag gioranza come uomo libero, ma anche alcune salienti vissute tra queste mura.
Ho un paio di annunci in serbo e non mi dispiacerà avere Roberto come nunzio.. dopotutto “ambasciator non porta pena”..
Forse non sarà la panacea che tanto aneliamo, ma sicura mente un piacevole palliativo..
A Roberto come mio solito ho dato anche dei compiti, a dimostrazione di quanto in Trentino anche i capi abbiano i loro capi..
Come avvisa Roberto Fodde tut ti coloro che, ignari del pericolo, s’accingono a visitarmi: “l’intenzione all’inizio della visita e’ di dargli una mano.. la realtà è che finita la visita ve ne andrete senza il corpo..”
Una cosa e’ certa che parte del cuore di Roberto Paccher, e l’anima dei miei concittadini, è rimasta qui con me... ed io, in attesa della roccia e dei cane derli, le terrò “strucche”...
ChicoLa testimonianza tra fede e religione
A Perugia con DON IVAN MAFFEIS
Èdifficile rimanere indifferenti di fronte alla bellezza di una città che ha oltre tremila anni di storia, un città di pietra bianca e rosa, dove il sole al tramonto corre lungo la via principale fino a colpire la facciata della cattedrale di San Lorenzo, affacciata su Palazzo dei Priori. E’ qui, in questo luogo carico di memoria, che il giorno 11 settembre don Ivan Maffeis, prete trentino nato a Pinzolo nel 1963, è stato proclamato ve scovo di Perugia e Città della Pieve. Ho conosciuto don Ivan venti anni fa, quando iniziai a lavorare come giornalista. Lui era già direttore di “Vita Trentina” e spesso ci si incrociava agli eventi o in Curia, quando l’allora Arci vescovo Luigi Bressan, organizzava qualche occasione di confronto con la stampa. Di allora conservo il ricor do di una persona molto mite e quieta, dallo sguar do intenso e dalla grande capacità di ascolto. Una capacità che si tramutava in profondità di pensiero che era capace di tra smettere attraverso le pagine del giornale da lui diretto e, più in generale,
nel suo comunicare con le persone. Caratteristiche che lo hanno portato nel tempo a diventare responsabile dell’ufficio stampa e comunicazioni sociali della diocesi e segretario nazio nale della Federazione dei settimanali diocesani per sette anni, svolgendo il proprio incarico a Roma. Due anni fa l’ho trovato nuovamente
in Trentino, parroco di San Marco, la principale chiesa di Rovereto, dove ha svolto il proprio mandato, dando ascolto ai giovani, aiutando le fami glie nel difficile periodo del Covid, stando in mezzo alle persone con la stessa umiltà che ha caratterizzato tutto il suo operato. Un carattere in contrasto con la solennità della cerimonia alla quale ho avuto modo di assistere a Perugia: centinaia di persone hanno accolto il suo arrivo, e tra loro mol ti trentini, in una chiesa riccamente decorata che ha fatto da palcoscenico ad un rituale antico. Ma ciò che più è rimasto a tutti i presenti è il mes saggio che Monsignor Ivan Maffeis ha voluto rivolgere non solo a tutti i suoi nuovi fedeli, ma a tutta la Comunità pre sent: “ Una città, i comuni e i paesi non sono solo un insieme di palazzi, ma sono fatti da uomini e donne che condividono spazi, che vivono tante dimensioni. Sono luoghi della famiglia, luoghi del lavoro, luoghi di incon tro, ascolto e accoglien za” “Le città sono spazi di una carità operosa, dove un ruolo fonda mentale gioca il buon
La testimonianza tra fede e religione
e chi la riceve; troverai solitudine e dolore; ma troverai, credimi, tanta gioia e speranza” – ha detto rivolgen dosi a don Ivan - “Troverai un grande sforzo di carità, che si esplica in mille modi, istituzionali e capillari, anche dove meno te lo aspetteresti. Sempli cemente accogliendo e ascoltando, come sai fare tu, ma soprattutto sca vando, con la tenacia che ti distingue, incontrerai una terra ricca di fede, di tradizioni religiose e di insigni istitu zioni culturali e accademiche.
governo, prospera quando si metto no in campo strutture e dimensioni adeguate, spazi per i giovani, spazi per i cittadini”. E ha rivolto un invito ai tanti amministratori presenti, chiama ti alla responsabilità come alta forma di carità.
La messa, consacrata dall’arcivesco
vo di Trento Lauro Tisi, insieme al vescovo ed amministratore dioce sano Marco Salvi, è stata presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, già Presidente della Conferenza Episco pale Italiana: “Troverai qualche ferita da medicare inclusa forse l’indifferen za, che fa tanto soffrire chi la prova
Di fronte a tanta ricchezza di vita e di opere, che i padri ci hanno tramanda to, lasciati commuovere, come sono commosso stasera io, che dopo tre dici anni lascio a te la guida di questo popolo, a me carissimo”.
Un augurio che certamente rivolgia mo anche noi a don Ivan, certi che saprà distinguersi anche in questo incarico nella terra di San Francesco.
Economia, società, finanza e ambiente
UN FUTURO
DI RISPARMIO ENERGETICO
Le nuove iniziative della Cassa Rurale Alta Valsugana per la sostenibilità ambientale
L’ecosostenibilità conviene. È questo uno dei messaggi che, lo scorso 3 ottobre a Ve nezia, sono stati comunicati nel corso dell’International Sustainable Hou sing Finance Symposium. Una prezio sa occasione a cui la Cassa Rurale Alta Valsugana ha partecipato dopo aver ricevuto la “Energy Efficient Mortgage Label” (EEML) per aver realizzato un innovativo prodotto di mutuo. Un grande progetto europeo che intende aumentare il sostegno del mercato privato alla visione Next Ge neration EU nel settore del risparmio energetico e delle nuove frontiere legate alla transizione energetica. Un volano che fa incontrare la domanda dei consumatori con le competenze messe a disposizione
dagli istituti di credito. L’EEML è un marchio di qualità chiaro e trasparente per i consumatori, gli istituti di credito e gli investitori che mira ad identificare i mutui ad alta efficienza energetica con lo scopo di finanziare l’acquisto, la costruzio ne o la ristrutturazione di edifici sia residenziali che commerciali.
Con questa iniziativa, la Cassa Rurale Alta Valsugana ha pensato di mettere a disposizione dei propri Soci e Clien ti un nuovo prodotto per chi abbia intenzione di acquistare, costruire o riqualificare la prima casa, con l’obiet tivo di massimizzare le prestazioni energetiche. Un approccio “green” coerente con la filosofia del progetto “Impatto Zero” che da alcuni anni accompagna l’attività dell’Istituto.
L’idea è stata quella di individuare un mutuo che premi con condizioni speciali chi acquista o costruisce un immobile residenziale in classe “A” o lo riqualifica portandolo nelle medesime classi o migliorando le prestazioni energetiche di almeno il 30% con un aumento di due classi energetiche. Mutuo “AV EEM Label” è il nome scelto per questo prodotto che si aggiunge ad altri strumenti già disponibili per tutta la clientela.
“Con questa ulteriore iniziativa –sottolinea il Presidente della Cassa Rurale Alta Valsugana Franco Senesi –confermiamo l’attenzione da sempre dedicata alla tutela dell’ambiente, del territorio e della sostenibilità energetica per un miglior futuro della comunità locale”.
ALTA RIGENERAZIONE
Cassa Rurale Alta Valsugana.
Altamente tua.
Rendere il nostro territorio più bello, attraente e sostenibile? Con noi è facile. Grazie alle competenze e risorse economiche che mettiamo a disposizione per la riqualificazione della vostra abitazione o esercizio commerciale.
Alta Rigenerazione, Alta Valsugana.
Scuola e società di Patrizia RapposelliINSEGNANTI, categoria non valorizzata,tra critiche e limiti
Lo scorso 5 ottobre si è cele brata la Giornata Mondiale degli Insegnanti. La giornata è stata istituita nel 1994 e comme mora la sottoscrizione delle Racco mandazioni dell’UNESCO sullo status di insegnante. L’occasione invita alla riflessione sul ruolo occupato dai docenti nella società.
Da qualche tempo la scuola non gode di buona fama, perché vista asimmetrica rispetto ai cambiamenti sociali, economici e culturali. Infatti, molti italiani sono sfiduciati. Le fami glie vorrebbero una scuola diversa: più risorse, maggiori relazioni con il mercato del lavoro, insegnanti più competenti. Il sistema ha delle falle evidenti, ma l’opinione pubblica col pisce - senza se e senza ma – il corpo docente.
Quella dell’insegnante è una delle professionalità più importanti per il Paese, poiché legata alla sua cresci ta. Sono gli insegnanti a costruire la qualità di una scuola. Sono loro, nel bene e nel male, ad avere ruolo decisivo all’interno del sistema edu cativo. Un sistema ricco, diversificato, una geografia frastagliata, con realtà socioculturali molto varie tra loro. Nell’epoca dei nostri nonni, la profes sione “maestro” godeva del rispetto pubblico che meritava. Negli anni ci sono state riforme e controriforme, mutamenti sociali e cambiamenti cul turali, ma di fatto il prestigio di questa categoria è tramontato. Rimane la Giornata Mondiale del Prof. Ci sono insegnanti per caso. Sono quelli che non sanno bene cosa insegnare. I de
pressi. Quelli sull’orlo di una crisi di nervi. I frustati. Quelli, che hanno sbagliato lavoro. Poi, ci sono gli insegnanti per vocazione. Compe tenti, preparati, capaci di motivare i ragazzi e accompagnarli nel per corso di maturità. Professori con esperienza e nuove leve appassio nate. Docenti capaci di strategie pedagogiche, di sperimentare didattiche innovative, anche nei contesti disagiati. La tendenza del la cultura odierna è di tralasciare quest’ultimo gruppo e di mettere in primo piano ciò che non va. Gli inadatti sono una minoranza e, spesso, non si considerano le difficoltà incontrate quotidianamen te da chi insegna. Non c’è di fatto differenza tra chi non svolge bene il lavoro e chi lo fa con passione e chi al minimo sindacale. Allo stesso modo non c’è riconoscenza. È necessaria una maggior considerazione, anche economica. Oggi, il sistema sociocul turale è molto complesso e questo si riflette nel rapporto scuola – famiglia, professore- studente, genitori- figli. Basti pensare al decadimento dell’au torità e ai recenti fatti di cronaca. Prof. aggrediti, accusati, denunciati: la scuola è diventata un ring e l’inse gnante il “sacco da allenamento”. Il fenomeno bullismo e violenza, di studenti e genitori verso l’insegnante, è in crescita in molte parti d’Italia. L’autorità perduta della politica, delle istituzioni e delle famiglie, riflette una crisi del sistema. L’atteggiamento ge nerale è contraddittorio. Le famiglie cercano nella scuola un supporto alle
difficoltà, ma non permettono al do cente di fare il suo lavoro. La tenden za è di raggirare i problemi e limitare la libertà di chi insegna. La Giornata Mondiale del Prof. quest’anno ha concentrato l’attenzione sul tema “insegnare in libertà, dare maggior potere agli insegnanti”. È necessario ridare autorevolezza e fiducia al do cente. L’attitudine è di assecondare, soprattutto a seguito della pande mia, la politica lassista delle famiglie, smettere di esigere e trovare scusanti. L’insegnante ha un ruolo cruciale, rappresenta una linea di demarcazio ne tra il successo e l’insuccesso, tra l’analfabetismo e l’alfabetizzazione, tra uno stile di vita dei futuri cittadini inseriti in una società laboriosa e il fallimento. È ora di ridare valore ad una categoria bistrattata, che ricopre un ruolo importante nella società. Gli insegnanti non sono tutti uguali, anzi, sempre più giovani si avvicinano a questo mestiere per vocazione.
Èpossibile coniugare filosofia e giovanisenza annoiare o, peggio, banalizzare la mate ria? È quello che si proponeva l’inizia tiva “Aperitivo Filosofico” organizzata dallo scorso 17 settembre al 22 otto bre, in Alta Valsugana, dal “piano gio vani - zona laghi” e dall’associazione “Ecomuseo sull’Acqua - Chiarentana” di Levico Terme, e consistente in una serie di eventi con format informale e stimolante in grado di avvicinare le giovani generazioni all’esercizio del pensiero critico.
Gli incontri, 6 in tutto e con cadenza settimanale, esploravano varie bran che del sapere umano dimostrando come la filosofia, lungi dall’essere un astratto esercizio speculativo per eremiti sfaccendati, ci coinvolga più di quanto pensiamo nelle situazioni di ogni giorno.
Arte, Psicologia, Scienza, Gusto, Digitale e Acqua. Queste le parole chiave del festival, ciascuna esamina ta e approfondita con cura da relatori d’eccezione: il sociologo e docente di estetica Marco Luscia, che sul sagrato della chiesa di S.Biagio ha condotto
una riflessione sul nostro rapporto con la Bellezza, e la psicologa Anna Cavedon che assieme al filosofo Tommaso Fambri, presso il municipio di Tenna, ha dato vita a un dibatti to sull’importanza delle relazioni, specialmente nel post covid, sotto la lente di pensatori e psicanalisti di ogni epoca. O ancora Francesco Agnoli, docente, storico e giornali sta che ha esplorato i segreti della scienza assieme a una entusiasta schiera di giovanissimi accorsi al Vital Bar di Calceranica, per non parlare di Lucia Ferrai, imprenditrice e formatri ce filosofico-didattica che nel salone dell’istituto alberghiero di Levico ha guidato una “divina” degustazione di leccornie locali collegandole al loro significato nella mitologia greca e alla corrispettiva divinità (e virtù) simbo leggiata.
Il penultimo incontro, svoltosi alla Casa della Cultura di Caldonazzo, è stato invece dedicato alla riflessione sulle potenzialità e rischi della rivolu zione digitale, grazie agli illuminanti spunti offerti da Andrea Brugnoli, filosofo del digitale e formatore alla
comunicazione, reduce da un plu riennale tour divulgativo in Europa e Taiwan.
L’evento conclusivo è stato ospita to all’interno dello stabilimento di Levico Acque, azienda della località termale che si distingue per sensibi lità ambientale e sociale, dove due formatrici didattiche del Muse di Trento, Maria Bertolini e Maria Vittoria Zucchelli, hanno condotto un labora torio di idrosommelier iniziando i nu merosi partecipanti alla degustazione di vari tipi di acqua, accompagnate dalla filosofa Anna Molinari e le sue sagge riflessioni su questo elemento naturale attingendo dal patrimonio di differenti epoche e culture.
« Possiamo dire che il festival - dichia rano soddisfatti gli organizzatori - ha raggiunto i suoi obbiettivi: alta parte cipazione, anche giovanile, e conte nuti di qualità. Ci auguriamo di poter continuare con delle future edizioni che coinvolgano un numero sempre maggiore di giovani »
Per contatti: aperitivofilosoficotrenti no@gmail.com
PAOLO ORSI: il Trentino che ha unito il nord e il sud dell’Italia
Esiste un filo che unisce l’estremo nord con l’estremo sud della penisola italiana. Sono le tracce lasciate da Paolo Orsi, archeologo trentino, nato a Rovere to nel 1859, che tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900 ha studiato i popoli e le civiltà più antiche del Mediterraneo.
Un uomo straordinario, completa mente dedito alla passione per lo studio dell’antichità, che anche in Valsugana ha lasciato le proprie trac ce. E’ a lui che si deve la scoperta, nel 1878, dell’unica pietra miliare della Via Claudia Augusta Altinate in Trentino, sul Colle di Tenna, luogo dove portò alla luce anche una epigrafe, oggi conservata nella Chiesa di Caldonaz zo. Il suo lavoro non si fermò nella sua terra natale, dove ha contribu ito non solo a ricostruire l’antichità romana e medievale, utilizzando il metodo archeologico anche nelle fasi più recenti, ma anche la topono mastica: dopo aver completato gli studi nel Trentino austroungarico, si
trasferì presso l’Università di Padova, alla Facoltà di Lettere e fra il 1878 e il 1879 si spostò a Vienna per seguire corsi di storia antica e archeologia. Nel 1881 frequentò anche il corso di paleontologia all’Università di Roma, seguendo le lezioni di Luigi Pigorini. Dopo la laurea, nel 1884 chiese e ottenne la cittadinanza italiana. Ed è proprio in Italia che egli svolse la gran parte della sua attività. Fu Commissa rio del Museo Nazionale di Napoli per un breve periodo (1900 - 1901), dove iniziò il riordinamento dell’Istituto,
individuando dieci grandi raccolte di materiali. Nel 1907 fu nominato Soprintendente per la Calabria e per la Sicilia Orientale. E così un trentino, che tanto ha fatto per la nostra terra, oggi viene celebrato nel sud Italia, dove sorgono musei che portano il suo nome, come quello di Siracusa. E in Calabria, lo scorso 21 novembre, si è tenuta una giornata di studi in suo onore alla quale ho avuto il pia cere di poter partecipare nel doppio ruolo di giornalista e archeologo. Qui, su un colle che si eleva tra le movi mentate pianure crotonesi, dal quale si gode a est la vista del mare e a ovest quella del massiccio della Sila, si arrocca il paese di Santa Severina, l’antica Siberene, dove Orsi si fermò e iniziò un lavoro fondamentale che ha portato alla scoperta del sistema delle basiliche cristiane, ma anche di un battistero bizantino e di un patrimonio culturale che grazie alla sua opera è oggi visibile ai tantissimi visitatori che qui si recano.
Tra gli altri relatori, tra cui il Sindaco
Il personaggio di casa nostra
di Rovereto, città natale di Orsi, Francesco Valdu ga, e il Presidente della Fondazione Museo Civico, Giovanni Laezza, anche l’archeologo trentino Maurizio Battisti, che ha presentato l’archivio delle lettere conservate presso il museo; un tesoro ritro vato, con oltre settemila documenti, che ha per messo di conoscere non solo il percorso di studi ma anche una parte della sua riservata vita persona le. Un archivio che presto si arricchirà con lo studio delle 12000 lettere con servate presso il Museo Orsi di Siracusa, che sarà messo anch’esso online a disposizione degli studio
si, ma anche dei più curiosi. Sulle orme di questo grande studio so, possiamo così scoprire un legame inaspettato tra la nostra valle, così ricca di testimonianze del passato, e il Mezzogiorno, dove ancora oggi è ricordato come il padre di un filone di studi che ha permesso la riscoperta di un tesoro nascosto dalle stratifi cazioni del tempo. “La Calabria, terra vergine ed ancora sotto tanti rispetti inesplorata, io penso racchiuda igno rati documenti storici, monumentali ed artistici della bizantinità” - scrisse Orsi nel 1927 - “Attorno alla fulgida gemma della Cattolica io ho intrec ciato un degno serto di altri cospicui monumenti diruti ed abbandonati. Ho la speranza che altri monumenti del basilianismo si nascondano nelle forre dei bei monti calabresi, dove il basilianismo aveva messo radici così vaste, tenaci e profonde»
senso religioso
di Franco ZadraLA RAGIONE, IL SENSO RELIGIOSO E IL POTERE
Un pensiero che è saltato in mente a tutti noi, almeno una volta nella vita, e sul quale abbiamo costruito spesso la nostra opinione riguardo alla religione, o forse più sempli cemente alle “cose di Chiesa”, è che la ragione, il raziocinio, sia una cosa e lo Spirito, la fede, o il soprannaturale siano un’altra cosa. Tanto che comunemen te si “pensa” che il credere sia un atto “irrazionale”, senza che la cosa ci ponga alcun proble ma. Per questo, un confronto tra fede e ragione sembra nella mentalità corrente, del tutto improponibile, e dire “lo dice la scienza” risulta molto più autorevole e di un’altra categoria di un “lo crede la Chiesa”. Ma basta riflettere un po’ più a fondo sulla nostra esperienza di esseri umani per capire che – come scrive Luigi Giussani – «proprio «per esperienza» viviamo moduli e fenomeni che non si riducono all’ambito biologico e fisico-chimico, e l’esperienza stessa nella sua totalità guida alla compren sione autentica del termine ragione o razionalità».
La ragione è uno strumento del quale l’uomo – quel livello della natura in cui la natura si chiede «perché ci sono?» – è naturalmente dotato, per arrivare alla verità delle cose, senza riduzioni indotte da preconcetti o ideologie, come vedevamo la volta scorsa; una realtà che si dispiega in tutti i suoi fattori, illuminati proprio dalla razionalità. «La razionalità – scri ve ancora Giussani – è la trasparenza
critica, che avviene cioè secondo uno sguardo totalizzante, della nostra esperienza umana», e insiste, «la caratteristica dell’esistere proprio dell’uomo è quella di essere traspa rente a sé stesso, cosciente di sé, e in sé di tutto l’orizzonte del reale».
Il termine “ragione”, che un detto dia lettale dileggia senza remore nel dire “la reson l’è dei aseni”, trova proprio nel “senso religioso” la sua più auten tica applicazione; il senso religioso, dunque, come il vero volto della ra zionalità, poiché funziona come una sete inesauribile di quello per cui ha senso essere dotati di ragione, l’unica “ragione” per la quale esiste la ragio ne, cioè, la ricerca di un significato. Un’esigenza insopprimibile, questa
del significato, che si pone prima o poi e per forza di cose contro quella fiducia nel potere, o anche quel ago gnare il potere che tanto ci preoccupa, quando non lo abbiamo, (che è in definitiva il rendersi autonomi da Dio, l’illudersi che l’uomo si salvi da sé), e che Giussani legge nella testimonianza dello scrittore Andrej Sinjavskij. Ateo, comunista inquadrato in quella logica di potere, per la quale perfino “Il libro della giungla” di Kipling era ritenuto una farsa letteraria al servizio del capitalismo, Sinjavskij, una volta convertito, si oppose a l’establishment comunista, e nel 1966 fu condannato a sette anni di lavori forzati presso un lager penale per attività anti sovietica e propaganda reazio naria contro il regime sovietico. Per Sinjavskij – che nel suo “Il libro della giungla” scrive: «Non biso gna credere per tradizione, per paura della morte, oppure per mettere le mani avanti. O perché c’è qualcuno che comanda e incute timore, oppu re ancora per ragioni umanistiche, per salvarsi o per far l’originale. Biso gna credere per la semplice ragione che Dio esiste» –, “il reale”, o meglio, il realismo socialista, è giudicato un’illusione perché nega l’esistenza di quello che non si vede ma esiste. Possiamo, con Sinjavskij, intendere la ragione come un paio di occhiali speciali che ti permettono di osserva re l’aldilà, alla faccia del “potere” che di volta in volta s’incarica di farti guarda re da un’altra parte.
Borgo Valsugana in cronaca
di Massimo DalledonneUniversità Popolare Trentina UNA NUOVA SCUOLA PER IL FUTURO DEI GIOVANI
Le lezioni sono iniziate il 12 settembre. Presso la nuova sede di Borgo Valsugana della Scuola delle Professioni per il Terziario dell’Università Popolare Trentina, da questo anno scolastico è stato attivato il corso per ottenere la nuova qualifica di “Operatore dei sistemi e dei servizi logistici”. Oltre una decina gli studenti coinvolti in una nuova proposta che va ad integrare le offerte formative e scolastiche della valle. Il corso di studi è di tre anni e permette, al termine, di proseguire con il quarto anno per ottenere il Diploma Professionale di “Tecnico dei Servizi Logistici”. La logistica, è stato sottolineato in occasione della recente inaugurazio ne dei nuovi spazi in via del Mercato, è il motore del pianeta e interessa diversi ambiti del tessuto economi co e imprenditoriale. L’obiettivo del corso è dunque preparare una figura professionale in grado di operare con competenza in tutti i processi di mo vimentazione delle merci (stoccaggio, trasporto, spedizione, consegna e servizio post vendita). Grande atten zione sarà riservata anche all’uso delle tecnologie informatiche e all’appren dimento delle lingue. Una scuola in novativa ed inclusiva, fortemente vo luta a Borgo ed in Valsugana dall’UPT e dal suo presidente Ivo Tarolli. “Borgo è un centro nevralgico per il trasporto su gomma e rotaia – ha ricordato – e nella realtà di oggi, nell’epoca della transizione sostenibile, è più che mai importante programmare il nostro futuro. E quello delle prossime ge nerazioni. La mobilità integrata sarà una delle scommesse su cui dovremo
confrontarci quanto prima. Noi, come Upt, abbiamo messo in campo questa proposta per formare oggi quelli che saranno gli addetti ed i responsabili nel settore della vendita, della logisti ca, del trasporto e del digitale”. Alla presentazione erano presenti, oltre a Tarolli, anche il direttore gene rale dell’Università Popolare Trentina Maurizio Cadonna con il presidente della Comunità Valsugana e Tesino e sindaco di Borgo Enrico Galvan, i suoi colleghi di Scurelle e Castello Tesino e diversi rappresentanti delle asso ciazioni di categorie ed aziende del territorio. Nei diversi interventi è stata evidenziata l’importanza di un’offer ta formativa di qualità che metta in relazione il mondo della scuola con quello dell’economia. La direttrice della scuola di Borgo Claudia Mam mani ,nel suo contributo, ha ricordato “come oggi riusciamo a portare a compimento un percorso che ci ha visto impegnati in diversi open day sul territorio, il tutto con la massima collaborazione degli enti pubblici e scolastici di zona, associazioni di
categoria. Da diverse settimane sono iniziate le lezioni per preparare figure professionali che, in un domani, ope reranno all’interno di organizzazioni commerciali e della media e grande distribuzione”. All’inaugurazione erano presenti anche l’assessore provinciale Mirko Bisesti e il vice presidente della giunta regionale Roberto Paccher. “Una scuola – ha detto l’assessore Bisesti – legata al territorio e alle sue imprese. Un nuovo corso per formare figure specializzate in logistica, un ambito fondamentale per le aziende che hanno bisogno di personale che ha seguito una formazione specifica. Flessibilità e innovazione, lo ricor diamo spesso, sono caratteristiche importanti per il mondo della scuola e della formazione. Si tratta di un’op portunità importante per i giovani che apre loro anche la possibilità di proseguire il loro corso di studi”. Sono numerose le possibilità occupazionali legate al mondo della logistica: dai trasporti alla gestione di magazzini, dalla distribuzione all’ambito com merciale.
GIORGIO CASAGRANDA: Nulla vada sprecato!
Dalla politica al volontariato. Un passo molto importante che dimostra la grande umanità di uno dei politici trentini più interessanti: Giorgio Casagranda, l'attuale presidente di "Trentino Solidale".
L’abbiamo incontrato proprio nella bella sede di Trentino Solidale ODV, sita in viale Bolognini a Trento. Sorridente, deter minato guida con piglio manageriale questa grande Associazione nata nel 2001, fondata da 6 amici , sede a Rovereto, con finalità di solidarietà ed assistenza: scopo principale es sere di supporto ad altre associazioni con medesimi fini. Nel tempo si è ingrandita ed evoluta, trasferendosi a Trento, integrando ai nuovi tempi lo statuto sociale (l'ultima volta il 24 maggio 2019) per allinearla agli indirizzi ed alle norme del Codice del Terzo Settore (ds.lg. N117-2017), che prevedono sostegno alle Associazioni ed organismi operanti nel settore della solidarietà sociale, locale, na zionale ed internazionale su specifici progetti. Un'economia solidale su base di completo volontariato; non c'è personale dipendente, i volontari non vengono retribuiti in nessuna forma (neppure con rimborsi). "Ed è per questo che sta tutto funzionando così bene-afferma convinto Casa granda- chiediamo solo disponibilità di tempo, generosità e certamente professionalità. Il volontariato è la forza del nostro Trentino" Nato nel 1950 a Camparta di Meano, Giorgio Casagranda, dopo essersi diplomato geometra al Tambosi si è iscritto all'Università di Padova; ma erano i tempi delle contestazioni, delle lotte studentesche , che mette vano in difficoltà coloro che volevano studiare e dare gli esami, tanto che
egli preferì tornare a Meano, iniziando a lavorare.
A 23 anni spinto da alcuni amici prese la tessera della Democrazia Cristiana e nel 1977 divenne segretario della sezione DC di Meano. Nel 1980, con vinto dal partito, candidò alle elezioni comunali di Trento con aspirante
sindaco Giorgio Tononi. Le vinsero e in seguito ad un rimpasto di Giun ta della maggioranza, Casagranda sostituì l'Assessore Riccardo Sani, for temente criticato dalla popolazione trentina per aver riaperto al traffico il Centro Storico cittadino. Nel 1985, con sindaco Adriano Goio, venne rieletto e ottenne l'incarico di asses sore al Traffico e Polizia Urbana. Inizia così una decisa carriera politica che con Lorenzo Dellai raggiunse il suo apice. Nel 1988 partecipò alle elezioni provinciali , vinse e diventò Assessore alle politiche sociali ed istruzione. Du rante questa lunga carriera Casagran da ha conosciuto a fondo le gravi problematiche sociali ed è sempre stato attivo con significativi impegni nella cooperazione, ma soprattutto nel volontariato: nel 1992 divenne presidente dell'Associazione Trentina
Sclerosi multipla venendo a contatto con una realtà molto dolorosa. Quando nel 2008 abbandonò la vita politica, accettò di entrare come vo lontario in Trentino Solidale (Odv) del quale prima divenne vicepresidente e poi Presidente. "All'inizio i volontari erano in 5. Ora siamo più di 750. e come vedi siamo molto attivi - ci conferma sorridendo Giorgio - Inizia no la raccolta alle 5.30 del mattino su tutta la nostra zona poi tornano qui ed i volontari addetti alla distribuzio ne nelle varie cassette, cominciano il loro lavoro. Si tratta di un'organizza zione molto efficiente, ognuno di loro ha un compito che svolge con molta attenzione fino alla chiusura cioè alle 18. La nostra missione consiste nella lotta allo spreco alimentare, a casa, in campagna nei vari supermercati rac cogliendo il cibo rimasto, sia fresco che i scatola e poi distribuirlo a chi ne ha bisogno. Siamo convenzionati con la grande distribuzione come il Poli, l'Amort, ma anche con piccoli negozi e ristoranti che regalano ai volontari raccoglitori quella parte di cibo che altrimenti sarebbe buttata". Riassumendo quest'attività possiamo dire che l'Associazione, che Giorgio Casagranda ha munito di 20 furgo ni, raccoglie, da Vipiteno ad Affi, in
media 80 quintali di cibo al giorno, di questi 10 quintali solo di pane, che, se avanza, viene dato alle aziende agricole per gli animali; lo stesso avviene per gli Yogurt scaduti, altri alimenti non più commestibili. I ne gozi associati sono 330 per ora, ma si prevedono nuovi soci, soprattutto in questi tempi bui, che mordono nelle case dei meno abbienti.
I cibi vengono raccolti al mattino e distribuiti alla sera. " Sono aiutate in questo modo 1900 famiglie, tutti i dormitori, con 31 punti di distribu zione suddivisi fra Trento e e pro vincia. Tutto il cibo arriva a Trento, dice Casagranda, e poi distribuito.
In questo modo tutti ottengono il cibo gratuito. Le aziende possono
detrarre dalle tasse le merci donate, i volontari, tra i quali ci sono studenti che alternano scuola e lavoro, hanno la consapevolezza e soddisfazione di aiutare, compiere un lavoro utile. Noi inoltre lavoriamo con il Tribunale di Trento che ci manda i detenuti i quali risolvono i problemi con la giustizia facendo volontariato."
è un grande impegno, ma davvero molto importante. Instancabile il pre sidente ha coinvolto anche i giovani atleti dell'Aquila Basket a prestare ser vizio volontario, ha partecipato con l'Associazione alla giornata mondiale del pane. Un impegno riconosciuto che comprende anche l'istruzione ai giovani, infatti con Coldiretti sta andando nelle scuole della Provincia per educare gli studenti ad evitare lo spreco alimentare (il 40% del residuo viene buttato dalle famiglie).
Attualmente Casagranda è Presidente anche dei Servizi di Volontariato, sito in via Lunelli che ha 12 dipendenti; fa parte del Consiglio Nazionale dei Centri di servizio volontariato che sono 49 in tutta Italia. Si occupa dell'area Europea ed ha presentato a Danzica la candidatura di Trento qua le Capitale Europea del volontariato per il 2024. Attualmente sono rimaste in gara Trento e Leopoli Impegno, amore per la gente, voglia di essere d'aiuto ai meno abbienti, sono la cifra che contraddistinguono il nostro Personaggio di oggi.
CESARE SCOTONI: ingegnere e contadino
Cesare Scotoni, trentino, 59 anni, ingegnere per profes sione, contadino per passio ne. Questa la cornice di un ritratto difficile da tracciare perché la per sona è un torrente in piena. Mobile, rapido nel pensiero, veloce nell’espri merlo, capace di conversare contem poraneamente con più persone, di passare dal lavoro alla politica. Lo incontro in via san Francesco nel la sede dell’UdC (Unione di Centro) il partito erede della Democrazia Cristiana, lo storico partito fondato da Alcide De Gasperi, sepolto dalla rivoluzione di mani pulite a fine Novecento e rigenerato, all’inizio del Duemila, dal Centro Cristiano Demo cratico, da Democratici Cristiani Uniti e da Democrazia Europea. Ha per segretario Lorenzo Cesa. Commissa rio in Trentino è Roberto Dal Ri. Anima e organizzatore è Cesare Scotoni la cui coerenza e tenacia gli sono valse l’incarico a responsabile delle relazioni con il PPE, partito Popolare Europeo di cui l’UdC è membro.
L’Europa è un argomento che scotta e Cesare Scotoni è persona che con il fuoco si riscalda:”L’Europa è ferma,
esordisce, la sua Costituzione è sospesa dal 2004, lo statuto della BCE è scritto solo per la metà relativa all’inflazione e perfino l’unione monetaria è quasi un pretesto visto che l’Euro coesiste con almeno nove monete nazionali””. La partenza è chiara e a Bruxelles, accompagnato dal vice Renato
Troncon dell’università di Trento, la confermerà al Gruppo del PPE all’Europarlamento. Il suo, con il PPE, sarà un intervento politico, ma con la politica Cesare convive da sempre. “La politica l’ho respirata fin da piccolo. Sono nato in una famiglia di politici e amministratori, dice, Il nonno Italo fu condannato dal tribunale austriaco come Irredentista per attività sov versiva; Lo zio Mario è stato podestà di Trento nel primo dopoguerra; lo zio Carlo parlamentare per il PCI nel secondo dopoguerra. “
E Lei?
“
A me piace molto far funzionare le cose. Io sono fermo a un’Italia che non c’è, a quella fra il 1890 e il 1915, quando una monarchia liberale, dopo aver depredato il Sud, ebbe il coraggio di eleggere ministri meridionali.”
E oggi, cosa non funziona?
“La politica è ridotta spesso a puro op portunismo, manca la progettualità. La classe politica è impreparata.”
Un esempio?
I”l Trentino ha investito intelligenze, soldi e capacità sulle batterie a flussi, sull’idrogeno, sui motori a carburante idrogenato, sull’IT e il tutto riposa in un cassetto dei sogni. Abbiamo tutte le possibilità per un grande sviluppo e siamo fermi al palo. A volte il mana gement è impreparato ma non corre ri schi perché i debiti li copre la Provincia. Naturalmente con i nostri soldi”.
Cesare Scotoni ingegnere strut turista, ovvero progettatore di strutture, aeronautico. Impren ditore.
“Certo e ancora una volta per tradizio ne familiare. Nonno Cesare con la sua impresa ha edificato il palazzo di via Verdi sede di Sociologia, il manicomio di Pergine, le ferrovie della Valsugana, la Trento-Malé e della Val di Fiemme.”
E lei?
“Io con la “Cesare Scotoni 1878” svilup po progetti di trasferimento tecnolo gico ed infrastrutturale e offro reti di competenze nel settore tecnologico a livello internazionale. Da vent’anni ho rapporti costanti con la Russia e altri paesi importanti come la Turchia, il Regno Unito, l’Uzbekistan un mercato importante, uno stato in crescita, una nazione che possiede l’edizione più antica del Corano, risalente al VI secolo d.c., scritta con il sangue perché non c’era l’acqua. Soprattutto un’economia in grande sviluppo con un mercato molto più aperto della Russia con la quale per colpa delle sanzioni è difficile commerciare: difficile oggi avere il pagamento per il lavoro fatto”.
Politico, imprenditore e contadi
no.
“ E’ vero, la campagna una passione, un colpo di fulmine. La Puglia salen
tina mi ha conquistato e vi abbiamo comperato un vasto terreno coltivato a vite e ulivi. Il sole, l’aria e ... l’acqua che ho con un pozzo profondo oltre 80 metri. Oggi anche in agricoltura bisogna essere manager. Ho l’uva e le olive ma non posso, per ora trasformarle e allora mi inserisco nella catena di lavorazione. Invece ho rinnovato l’attività di con servazione. Soprattutto di ortaggi e frutta dove, aiu tato da una brava equipe di tecnici sto ottenendo lusinghieri risultati.”
Puglia, Roma, Lon dra, Bruxelles sono le tappe di un ingegne re-agricoltore. E la famiglia?.
“Collabora. Le mie figliole vivono fra Roma ed Hel sinki; mia moglie apprez za soprattutto la Puglia salentina che suo padre, 91 anni, ama in modo particolare.”
Il cuore in Trentino?
“
Il Trentino al centro come la politica. Il rapporto con Fratelli d’Italia è impre scindibile per un centro destra trentino. L’ UdC ha voglia di ben figurare alle prossime elezioni ammini strative alle quali parteci peremo con una squadra di giovani amministratori locali.”
E lei?
“
Io no, sono e mi sento un organizzatore. Costruisco e controllo: anche in politi ca servono i manager”.
Tra miracoli, fede e religione
Nostro incontro con Don Alejandro Pezet
Don Alejandro Pezet nasce a Buenos Aires il 21 settembre 1960 e viene ordinato sacerdote sempre a Buenos Aires nel 1991. Nel 1992 conosce Papa Francesco allora vescovo ausiliario della città di Buenos Aires che diventa la sua guida spirituale. Nel 1998 viene nominato responsabile della pastorale giovanile di Buenos Aires e nel 2002 viene poi nominato parroco di una parrocchia della stessa città. Nel 2009 inizia fino ai giorni nostri un’esperienza missionaria in una diocesi povera dell’Argentina nella città di Salta. Salta è una capitale provinciale della regione montuosa nordoccidentale dell’Argentina. Fondata nel 1582, è nota per l’architettura coloniale spagnola e il patrimonio andino.
Èarrivato in Italia per incon trare alcuni amici ma anche per la recente festa ad Assisi in onore del beato Carlo Acutis. Padre Alejandro Pezet oltre ad essere stato
ordinato sacerdote nel 1991 dall’attuale Papa Francesco è anche il testimone di ben due miracoli eucaristici. Parte così Padre Alejan dro a raccontarci che il primo miracolo eucaristi co cui ha partecipato è stato quello del “24 luglio 1994 mentre il ministro dell’Eucarestia prendeva la pisside dal tabernacolo, vide una goccia di san gue che scorreva lungo la parete dello stesso”, dopo questo si arriva ai fatti “di quel il 18 agosto 1996, alle ore 19. Alla fine della messa vidi arrivare un fedele che aveva trovato un’ostia (evidentemente profanata) in un angolo della chiesa. In quella oc casione mi comportai se condo la prassi, e misi la particola in un contenitore di acqua e riposi tutto nel tabernacolo. Tutta via pochi giorni dopo, il 26 agosto, dovetti constatare, stupefatto, che la particola anziché dissolversi si era trasformata in un frammento di carne sanguinosa.” Così Don Alejandro informò Bergoglio che era all’epoca vescovo ausiliare del cardinale Anto nio Quarracino, ordinario di Buenos Aires. Ricevendo da lui il mandato di fotografare ciò che era accaduto e conservare tutto nel tabernacolo. Dopo prosegue Don Alejandro si è proceduto nell’analisi di quella misteriosa particola e solo nel 2006 si concluse l’indagine con questo risultato: “Il materiale analizzato è un
frammento del muscolo cardiaco tratto dalla parete del ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile della contrazione del cuore. Va ricordato che il ventricolo cardiaco sinistro pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco in esame è in una condizione infiammatoria e contiene un gran numero di globuli bianchi. Ciò indica che il cuore era vivo al momento del prelievo…dal momento che i globuli bianchi, al di fuori di un organismo vivente, muoio no… Per di più, questi globuli bianchi sono penetrati nel tessuto, ciò indica che il cuore aveva subito un grave stress, come se il proprietario fosse stato picchiato duramente sul petto”.
Tra miracoli, fede e religione
Quali studi furono compiuti sul caso in esame?
Nel 1999 – stando a quanto risulta a me – l’arcivescovo Bergoglio (che cominciò a occuparsi del caso solo dal giugno 1997, una volta diventato coadiutore dell’arcidiocesi) autorizzò analisi approfondite negli Stati Uniti di entrambi i “casi”, quello del 1994 e quello del 1996. E tutto si svolse nel 2000.
Cosa si dedusse?
È evidente che ogni miracolo euca ristico (e ne sono avvenuti diversi, nel corso dei secoli) è per i cattolici il segno del grande miracolo che av viene ogni giorno, in tutte le chiese: la trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo. L’attuale Papa prosegue Don Alejandro “ha mostrato già in questa vicenda le sue preziose qualità di pastore. Ha osser vato i criteri dettati dall’ex S. Uffizio nel documento “Discernimento nelle apparizioni e rivelazioni” del 1978. Ha poi disposto tutte le analisi scientifi che per comprendere cosa è acca duto e – ascoltando la volontà della parrocchia dove si sono svolti i fatti di vivere senza clamori spettacolari quegli eventi misteriosi – ha aiutato la comunità a comprenderli secondo la fede della Chiesa, alimentando la devozione eucaristica.
Prosegue poi che “Lui stesso andava diverse volte ogni anno a fare lì l’ado razione eucaristica. Che pian piano è diventata adorazione permanente e ora sta coinvolgendo un numero sempre crescente di parrocchie (si parla anche di fatti miracolosi che sono avvenuti).
Quale era il desiderio di papa Francesco?
Il desiderio di papa Bergoglio era che quanti andavano ad adorare il Signo re lì presente si accorgessero che Egli si avvicina a ciascuno, passa dentro la vita di ciascuno e lascia in tutti la sua impronta. Quindi il cardinale esortava a non trasformare in un rito quell’adorazione, ma a commuoversi, a stupirsi di Gesù e a chiedergli che lasciasse la sua impronta indelebile
nel proprio cuore.
Ha contatti ancora con Papa Fran cesco?
L’ultima volta che lo ho incontrato dal vivo è stato il 30 agosto 2018 mi diede appuntamento a Santa Marta alle ore 17,00 e per ben un’ora ab biamo parlato anche di questioni del nostro Paese, poi tra il covid e le varie situazioni che si sono venute a creare ultimamente il tempo per vederci è venuto meno. Starò qui in Europa fino al prossimo febbraio 2023 e non è detto che ci si possa incontrare.
Quale è il suo legame con il beato Carlo Acutis?
Nel 2020 fui invitato alla sua beatifica zione ma a causa del covid mi fu im possibile partecipare. Carlo Acutis già nel 2004-2005 si interessò attraverso internet ai miracoli eucaristici dell’Ar gentina. Il suo intendimento e la sua volontà di diffondere l’eucarestia trovò terreno fertile in questi miracoli. Ho ripreso una comunicazione con la madre di Carlo e così ho partecipato di recente alla festa ad Assisi per il secondo anniversario della beatifica zione del figlio.
Ora cosa pensa di fare?
Girerò un po’ l’Europa per incontrare i miei amici e le comunità religiose e rendere sempre più forte il nostro rapporto con l’Eucarestia.
GUYOT NON SOLO VITE... ...È IL TEMPO DELLE MELE
Novembre è tempo di casta gne e vino perché, come ha scritto Giosuè Carducci in San Martino: “La nebbia agli irti colli piovigginando sale.... ma per le vie del borgo dal ribollir dei tini va l’aspro odor dei vini...” È l’atmosfera operosa e rilassata, il tempo in cui il cacciatore “sta sull’uscio a rimirare stormi d’uccelli neri”, ma è anche tempo di primi bilanci e il contadino controlla le mele raccolte da poco e stivate nelle cantine e magazzini. È andata bene la produzione delle mele, dicono in Trentino Alto Adige, il sole è stato generoso e per l’acqua, data la siccità, si è provveduto con bacini naturali e artificiali...Le mele golden stivate hanno le faccette rosse, le renette un bel giallo maturo. Si! Una bella annata.
Ma fosche nubi si addensano sui coltivatori italiani.
“I coltivatori italiani di mele non han no ancora coscienza della concor renza che arriverà fra pochi anni dai paesi dell’Est”, dice Giancarlo Curzel, 85 anni, agronomo laureato, per oltre trent’anni cercato e finanziato come consulente dai paesi del Caucaso, dalla Russia, alla Manciuria, al Kazaki stan, Afghanistan per razionalizzare le loro coltivazioni di mele. Paesi dove non va dimenticato, hanno avuto ori gine, fin dai tempi di “Adamo ed Eva”. “Milioni di ettari, dice Curzel, cittadino del mondo per lavoro, ma originario di Caldonazzo, nemmeno immagi nabili nelle nostre pur fertili pianure e colline della Padania, dal Veneto al Trentino- Alto Adige, all’Emilia, alla Lombardia...”
Ma i nostri coltivatori, che del tutto incoscienti non sono, anche per altri motivi, si stanno attrezzando.
Di nuove tecniche s’interessa natural mente il prestigioso Istituto Agrario trentino di San Michele all’Adige dove da qualche anno è stato licenziato positivamente il sistema di coltiva zione a Guyot fatto dice Curzel di “Frutteti pedonali, a interfilari stretti, tecnologie di precisione, che ren dono più mirati e dunque minori i trattamenti. Consentono inoltre di governare il microclima e combattere i danni della grandine con coperture”. Sono tuttavia coltivazioni che richie dono grande tecnica e professiona lità.
I monaci del medioevo e i nostri nonni del diciannovesimo secolo sarebbero sbalorditi davanti all’attua
le tecnologia. Già mezzo secolo fa le loro coltivazioni vigorose quanto ingombranti, erano state sostituite dall’introduzione della coltivazione a fusetto affermatasi in tutta Europa. Le aziende vivaistiche hanno elabo rato negli ultimi decenni tecniche sempre più raffinate per coltivare alberi con molti rami anticipati adatti alla coltivazione a fusetto o spindel, l’impianto che fino a 4.550 piante per ettaro, è oggi il modello affermato nelle aree frutticole di tutto il mondo. “Cina e Americhe comprese”, confer ma Curzel. Ma molti coltivatori sono consapevoli delle difficoltà che ci sono nel mantenere una vigoria equi librata perché queste piante vogliono una grande impalcatura di base che è poco produttiva ma e soprattutto ostacola la meccanizzazione.”
Porte aperte dunque alla coltivazione a Guyot, praticata con successo nel
campo della viticoltura, e da 15 anni almeno sperimentata nella frutticol tura con buoni successi dalla Fonda zione Mach di San Michele all’Adige e adottata da alcune aziende, in particolare della piana Rotaliana e della valle di Non.
I risultati sono incoraggianti perché questo modello di coltivazione a parete offre la possibilità di applicare tecnologie avanzate anche per il rac colto, concentrare e ridurre i tratta menti, risparmiare le concimazioni e sono allo studio sistemi per conteg giare e calibrare il numero dei frutti. L’obiettivo insomma è di migliorare la qualità e ridurre i costi.
Anche la tradizione aiuta. Ci sono varietà di mele esclusive. Nel bellu nese, a Sovramonte a fine ottobre si è celebrata la fiera del pom Prussian, una qualità unica, che viene colti vata prevalentemente a Faller dove
esistono oltre 800 meli ultracentenari. Un’idea suggestiva e romantica ma insufficiente per vincere la concorren za internazionale.
Oggi dai paesi dell’Est vengono gli operai a raccogliere le mele ma, fra non molto, gli stessi si sposteranno nell’altra parte del mondo “dove, dice Curzel non sono migliaia ma milioni gli ettari di terra coltivati a meleto”. Ma cosa impedisce loro di esercitare già oggi una concorrenza diretta? “Il loro problema dice l’amico agrono mo, è l’organizzazione. Si sono impe gnati, e personalmente li ho aiutati, sulla quantità e qualità del prodotto tuttavia, malgrado i miei suggerimen ti, hanno quasi ignorato lo stoccag gio. Ora a loro servono magazzini, tanti punti di raccolta e stivaggio, questi razionalizzeranno il consumo e fra non molto i nostri mercati saranno invasi dalle loro mele.”
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Giovani, scuola, lavoro e occupazione
AL VIA I CORSI DI “LOGISTICA E TRASPORTI” E “GESTIONE CONTABILE, FISCALE E FINANZIARIA DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE”
Nostra intervista al dr. Mau rizio Cadonna, direttore generale dell’Università Popolare Trentina.
Dott. Cadonna, come è perché nascono i corsi di Logistica e Tra sporti e di Gestione contabile?
I due corsi di “Logistica e Trasporti” e “Gestione contabile, fiscale e finanziaria delle Piccole e Medie Imprese” nascono per rispondere a precise richieste delle categorie economiche e di parecchie aziende.
In particolare, il settore della logistica si sta sviluppando negli ultimi anni ad un ritmo davvero vertiginoso. È grazie alla Logistica se arriva il prodotto giusto, nel posto giusto, al momento giusto. La Logistica è il motore del pianeta. Muove tutto e non si ferma mai! Fa viaggiare ogni merce su vettori via strada, via mare, via ferrovia e via aria e sta crean do parecchi posti di lavoro.
Le Piccole e Medie Imprese, invece, stan no disperatamente cercando collabora tori che sappiano gestire la contabilità (e le paghe), con competenze avanzate ed approfondite. Sappiamo bene, infatti, che la tenuta della contabilità rappresenta per l’azienda un tema cruciale, uno strumento per raccogliere dati utili anche ai fini delle strategie di sviluppo future.
A chi sono rivolti?
Sono rivolti a tutti coloro che hanno un diploma di maturità o un diploma di quarto anno dell’istruzione e formazio ne professionale.
Possono accedere anche persone
che hanno superato il quarto anno e intendono completare il percorso di studi con un anno di specializzazione che rilascia un’attestazione di 4° livello
EQF. Con questo titolo anche chi non ha la maturità può accedere ai percorsi di Alta formazione.
Questi corsi sono un’opportunità anche per quei neolaureati, che privi di espe rienze lavorative, vogliano acquisire delle abilità operative e conoscere delle importanti realtà aziendali per inserirsi agevolmente nel mondo del lavoro o per i lavoratori che intendano riqualifi carsi per accedere a nuove opportunità professionali.
Potrebbe significarci quali sono gli sbocchi professionali e lavora tivi dei due corsi?
Il corso sulla “Logistica e Trasporti” crea figure professionali - dallo spedizionie re al responsabile di magazzino, dal disponente al supply chain manager, al terminal planner e tanto altro - strate giche per le imprese per consolidare la propria posizione competitiva. Il “Logi
Giovani, scuola, lavoro e occupazione
stico” potrà essere occupato in aziende manifatturiere, della media e grande distribuzione oppure di trasporto e spe dizione nazionale ed internazionale. È colui che, attraverso l’utilizzo di softwa re molto sofisticati, riesce a pianificare, monitorare e verificare il viaggio di una merce, ottimizzando i costi ed i tempi e sapendo risolvere con rapidità gli eventuali contrattempi che si dovessero presentare lungo il percorso. La movimentazione dei prodotti deve essere gestita con intelligenza e atten zione all’AMBIENTE, seguendo APPROV VIGIONAMENTI, SPEDIZIONI, TRASPOR TI, DEPOSITI E CONSEGNE. L’esperto in gestione contabile, fiscale e finanziaria delle Piccole e Medie Impre se, invece, è colui che, in un’azienda, sa organizzare, controllare ed indirizzare tutto il lavoro amministrativo, in base ai diversi adempimenti ed alle varie scadenze, fino ad arrivare alla chiusura del bilancio.
Potrà operare in aziende o studi di con sulenza in materia fiscale e del lavoro, per svolgere mansioni relative alla contabilità, al controllo e alla revisione contabile, o in imprese di consulenza imprenditoriale per la gestione ammini strativa e la pianificazione aziendale.
E come sono organizzati e quali i contenuti essenziali dei due corsi?
Entrambi i corsi mettono assieme l’approfondimento teorico e tecnico e la pratica in azienda. Le ore sono com plessivamente 800, nell’arco di 10 mesi circa, suddivise esattamente a metà tra parte teorica e parte pratica.
Per quanto riguarda i contenuti, il corso sulla “Logistica e Trasporti” si concentrerà sulla manutenzione e l’approvvigionamento del magazzino,
la progettazione dei trasporti, anche attraverso l’utilizzo di software e gestio nali del settore, lo studio della migliore pianificazione del viaggio in un’ottica di ottimizzazione dei costi e dei tempi, la pianificazione dei fabbisogni di risorse per l’ambito produttivo.
Per quanto riguarda la gestione con tabile, fiscale e finanziaria delle PMI, il corso approfondirà la gestione del siste ma di contabilità generale e analitica, la determinazione del reddito fiscale, gli adempimenti contributivi, il controllo di gestione con aspetti economico-finan ziari ed indicatori di efficacia ed efficien za del prodotto/processo, l’utilizzo di software e gestionali del settore.
Per accederVi sono necessari par ticolari requisiti?
Come abbiamo detto prima, i corsi sono aperti a tutti coloro che hanno un Diploma professionale o un Diploma di Maturità.
E in quali sedi si terranno e da quando?
Si terranno da febbraio a novembre 2023. Il corso sulla Logistica si svolgerà tra le Sedi di Trento e Borgo Valsugana, mentre quello sulla Contabilità sarà svolto nella Sede di Trento.
L’artista in controluce
EFREM BERTINI, UN PITTORE DI CASA NOSTRA
Oltre ai grandi nomi di artisti già molto noti e indagati dai testi di storia dell’arte, vogliamo giustamente dare risalto a quei pittori, scultori di casa nostra, portatori di un eccezionale talento. In questo numero abbiamo dunque deciso di dedicare un’intervista ad un pittore, trentino doc originario di Cimego in Valle del Chiese, che ha fatto della sua arte una pratica quotidiana e quasi necessaria. Stiamo parlando di Efrem Bertini, classe 1980. Laureato in Biotecnologie agrarie e vegetali presso l’Università degli studi di Milano, vanta un dottorato in biologia molecolare e biochimica tra Roma e Israele, è stato ricercatore al Cibio e attualmente è professore di biotecnologie all’Istituto Ivo Carneri di Civezzano. Una formazione quindi prettamente scientifica, che in una prima analisi parrebbe totalmente opposta a quella artistica. Lo abbiamo incontrato a Trento, dove abita, per chiedergli da dove nasce questa vocazione per la pittura e come è riuscito a combinare scienza ed arte in maniera così efficace.
Quando è nata la passione per la pittura e da quanto tempo dipingi?
Difficile stabilire da quanto tempo dipingo; in realtà mi sono sempre dedicato al disegno e alla pittura, seppure con bassissima frequenza fino a circa cinque anni fa. Più una semplice passione quindi, che un appunta mento fisso. Le opere che attualmente si possono trovare in giro a firma mia sono tutte relativamente recenti, in particolare degli ultimi due anni, in cui ho effettivamente cominciato ad investire in
maniera professionale sulla pittura e a dedicarmici quasi quotidianamente. Nonostante abbia seguito corsi di pittura, mi definisco un pittore auto didatta. Pittore più che artista, perché ho a che fare con i colori, le varia zioni cromatiche, le luci e le ombre, l’esecuzione di un dipinto nelle sue molteplici fasi. Spesso a mio avviso il termine artista viene usato con trop pa licenza. Sono della concezione che per essere artisti bisogna prima di tutto essere maestri dell’arte e artigia ni, essere cioè portatori di quel sapere artistico che ha a che fare con ciò che anticamente i greci definivano techne, ovvero la tecnica, la manuali tà. È necessario comprendere i segreti della tecnica, sperimentare, conosce re la chimica dei pigmenti, sapere in che modo questi interagiscono tra loro e in questo forse la mia formazio ne scientifica mi ha agevolato.
Quale tecnica prediligi? Olio o tempera?
La tempera non la uso, ho dipinto poche volte a tempera e prediligo l’olio. Amo anche l’acquerello e lo sto sperimentando. Nonostante sia
L’artista in controluce
una pratica, quella dell’acquerello, che viene talvolta trasmessa anche ai bambini, nasconde non poche insidie, poiché non permette errori e richiede esperienza nella giusta diluizione dei pigmenti.
In quale corrente artistica ti iden tifichi maggiormente? Quali sono i soggetti o i temi che preferisci dipingere?
Mi sento più vicino, nello stile e nei gusti, ai grandi maestri della pennella ta di fine Ottocento e inizi Novecento: Sargent, Boldini, Dupré. Ammiro la ca pacità espressiva di questi pittori, che con un colpo di pennello riuscivano a trasformare un’idea in immagine. Una pittura materica quasi approssi mativa, una pennellata che da vicino pare grezza, ma che attraverso uno sguardo complessivo dell’opera svela un effetto straordinariamente rea listico. Non dipingo quadri astratti, ma prediligo soggetti concreti tratti dal quotidiano, la rappresentazione del reale, con talvolta qualche con cessione alla fantasia e alla metafora. Preferisco dipingere figure, quindi figure femminili, maschili e ritratti.
Mi piace molto anche il genere della natura morta; non solo fiori e canestre di frutta e verdura, ma anche oggetti meno scontati, isolati dal loro conte sto e riproposti sulla tela: attrezzi da lavoro, reperti di guerra e altre cose semplici e ordinarie con le quali cerco di costruire una trama. Lavoro spesso sui contrasti, non solo di luce e colore, ma anche semantici. Giocare sull’ac costamento di due o più oggetti che tra loro non hanno apparentemente nessun nesso logico, ma la cui vici nanza sottende un legame, una storia. Per esempio la tragedia della guerra in Ucraina mi ha portato a dipingere un quadro in cui un elmetto tede sco della Seconda Guerra Mondiale è vicino ad un berretto dell’armata rossa, tra questi un peluche con una targhetta riportante la scritta love che li abbraccia entrambi.
Dove dipingi solitamente, in casa, in uno studio o anche all’aperto? So che sei anche fotografo pro fessionista, quanto la fotografia ti aiuta in pittura?
Dipingo per lo più a casa e spesso sulla base di fotografie. Sia nella ritrat tistica che in quadri di paesaggio mi avvalgo di riferimenti fotografici. Mi piacerebbe dipingere anche all’aper to, ovvero en plen air, ma devo ancora realizzare uno studio portatile per il trasporto dei materiali. La fotografia mi piace molto e le accortezze da fotografo le applico anche in pittura, stando attento alle variazioni di luce, agli aspetti cromatici e chiaroscurali.
Lavori anche su commissione? E dove si possono trovare le tue opere?
Sì, lavoro anche su commissione. Ho ricevuto richieste che vanno dal semplice ritratto a copie d’autore. I miei lavori si possono trovare sulla mia pagina efrembertini.art e sono attivo e reperibile anche su Instagram al profilo efrembertini_art.
L’ARTE PIANGE MARCO BERLANDA
Il paradiso deve avere un posto speciale per le persone buone e fragili. Dante non lo cita forse perché i censibili sulla terra devono essere ben pochi. Uno di loro era Marco Berlanda e ad affer marlo non sono i molti critici che di lui hanno scritto, ma le sue opere. Scrivere o parlare di qualcuno ch’è morto è come trattenerlo ancora un po’ con noi. Natu ralmente se ne vale la pena, se lo si è stimato e amato. Marco era un uomo sereno, come lo si può essere in un mondo tanto contorto, e si è spento senza fragore attorniato dall’affetto della moglie Rita e dei tre figli, Gabriella, Simone e Luca, alla venerabile età di 90 anni. Era un artista! Nato a Trento nell’apri le del 1932 era approdato alla pittura verso i 40 anni pur avendo un’innata passione alla quale si era opposta con forza la madre. L’aveva ascoltata e aveva scelto il posto sicuro all’ Enel dove aveva il compito di esattore. Anni di pazienza e infine la scelta con la frequentazione dello studio-scuo la di Mariano Fracalossi alla quale si sono formati tanti autodidatti trentini.
Ma lui era diverso. Lo ricordo nell’an tro-studio delle mura di piazza Fiera immerso totalmente nei colori; un’immagine di lui che richiama, in carne e ossa, una tela di Schifano. Rammento le sue corse in bicicletta per le vie della città. Non rinunciava mai a fermarsi, a scambiare alcune parole attorno agli avvenimenti arti stici del periodo.
L’ho intervistato più volte per la Rai seguendo le molte esposizioni allestite in Regione e altrove e ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo che l’entusiasmo per la pittura non riusciva a contenere.
Era un artista istintivo mai superfi ciale. Amava la fotografia e la usava spesso come base per le sue opere. Già artisti di ogni epoca usavano tecniche simili alla fotografia per l’impostazione dei propri lavori e questo non perché non sapessero disegnare, ma solo perché ne erano facilitati. Furono gli impressionisti, i pittori in plein air, a scegliere deci samente di delineare, far risaltare i soggetti con il solo accostamento e contrasto dei colori. La tecnica fu accentuata dagli espressionisti e Marco Berlanda amava essere considerato uno di loro anche se diceva, con pacifica autostima, “molti mi volevano apparentare con l’arte naives (naif). Tanto è vero, aggiungeva soddisfatto, alcune opere riconducibili a un certo periodo, sono state acquisite dal museo dedicato al Naif di Luzzara.”
Certo alcune sue opere sono accostabili per forma e con tenuti ad Antonio Ligabue( il “maestro italiano” di tale tec nica) tuttavia personalmente preferisco ricordare, attraverso i suoi lavori, un altro pittore trentino, Giuseppe Angelico Dallabrida (1874-1957), un espressionista di grande forza. Che li accomuna, oltre all’arte, c’è la passione per la bicicletta con la quale il pittore, origi nario di Caldonazzo, pedalava dopo avergli tolto il sellino.
Li accomunano paesaggi e scorci di natura nonché la scelta di un’arte povera dove si mescolano terre e oli naturali, vernici e tempere.
Renzo Francescotti lo ha definito “Pittore Selvaggio” cogliendone l’originalità incontenibile, come una foresta che apparentemente sfugge ad ogni regola.
Marco Berlanda intervistato un anno fa dalla collega Daniela Larentis, ha dichiarato di essere sempre stato ispirato dal mondo esterno: “Alle volte, disse, bastava un particolare ad attirare la mia attenzione, sono sempre stato affascinato dalle persone, dai loro volti, dai luoghi di relazione.”
Innumerevoli le mostra personali e collettive a cui è stato invitato, da Berlino al Messico, ma nel suo cuore era rimasta una sala a lui dedicata dall’importante galleria Christian Berst di Parigi.
Di lui si può senza dubbio affermare che è una delle figure importanti del panorama artistico trentino contem poraneo. Un uomo anticonvenzio nale, buono e generoso.
IL DISSIDIO
è mai capitato di avere davanti due strade e di restare immobile davanti a bivio perché non sapevi quale strada prendere?
Ti
Se avessi scelto A avresti dovuto rinunciare a B ma, in quel momento, sentivi che ti era impossibile. E lo stesso valeva per l’altra opzione. Questa situazione provoca un dis sidio, quando cioè il nostro cuore è attratto da due istanze contrapposte. Nella vita capita, prima o tardi, a tutti. Nell’arte troviamo alcuni esempi di questo tipo di situazione.Nell’Aida di Verdi, la protagonista vide un dissidio affettivo di difficile soluzione. Aida è la figlia del re di Etiopia. Lei è stata fatta prigioniera degli egiziani che non conoscono la sua identità. Alla cor te del faraone, Aida conosce Radames e se ne innamora. Quando Radames viene incaricato di condurre la batta glia contro gli etiopi, lei vive un terribile dissidio. La povera Aida è lacerata tra due istanze contrapposte. Per chi deve parteggiare, per chi deve temere? Deve invocare protezione per il suo innamo rato oppure per la sua patria?
Questa è una situazione perdente perché in entrambi i casi lei sarà in lutto, indipendentemente dal vinci tore. In questo caso lei non ha alcun potere e sarà la sorte a decidere per chi la ragazza dovrà piangere. A volte invece il dissidio è nella no stra anima. il poeta Francesco Petrar ca vive una sorta di dissidio affettivo, causato però da una situazione molto diversa.
Figlio di un funzionario della corte papale Petrarca si dedica allo studio delle lettere; quando però il padre muore decide di prendere gli ordini religiosi minori, non spinto da una
vera vocazione dal bisogno. L’adesio ne agli ordini ecclesiastici infatti gli garantisce sia il sostegno economico che il tempo per dedicarsi allo studio.
Ma si tratta di una scelta di comodo e, forse anche per questo, non trova pace.
Infatti Petrarca è fortemente attratto sia dai successi della vita monda na che dalle donne. Uno dei suoi desideri più grandi infatti è ottenere la laurea poetica e, pur avendo preso gli ordini minori, ha due figli. Questo suo dissidio è molto evidente in tutta la sua produzione poetica.
Le vie d’uscita che ti propongo sono due e sono molto diverse tra loro.
La prima viene dalla saggezza popo lare. La mia prozia diceva sempre: se non sai che strada prendere allora torna indietro e cambia percorso. Cosa voleva dire? Quando la vita ci mette di fronte a un bivio imperscru tabile dobbiamo vedere il messaggio che nasconde: la vita stessa mi sta di cendo che io, quel bivio, non lo devo imboccare, quella scelta non è buona
per me. Allora è meglio rinunciare sia a A che a B e cercare qualcos’altro. Quando ero in conservatorio il mio professore di composizione mi dice va: “Quando vedi che l’armonia che stai creando dà troppi errori, cancella tutta la riga e riparti da lì”.
La seconda indicazione ci arriva pro prio da Petrarca: sai come fa il poeta a trovare una via di conciliazione per comporre la sua lacerazione? Attra verso la scrittura!
Francesco Petrarca affida alla scrittura il compito di ripristinare l’armonia nella sua anima. Scrivendo e cer cando la perfezione formale, la sua anima si placa e lui riesce a ritrovare la pace.
Questa strategia è alla portata di tutti: con carta e penna, con il pc o semplicemente sulle note del cellu lare, scrivere può diventare una via di conciliazione anche nei nostri dissidi quotidiani.
E, se non acquisiamo notorietà come il Petrarca, potremmo almeno trovare un po’ di pace.
Cronache valsuganotte
LA STAZIONE DEI PETTIROSSI
La chiamano la stazione dei pettirossi. In un quarto di secolo di attività, dal 1995 ad oggi, sono stati oltre 85 mila i volatili inanellati, a scopo scientifico, presso la stazione del passo Brocon. Siamo nel comune di Cinte Tesino. A due passi dal valico. Qui tante specie di uccelli, di tutte le dimensioni, vengo no catturati utilizzando le reti foschia o mist-nets.
Il passo Brocon è una delle 20 stazio ni, presenti su tutto l'arco alpino, del Progetto Alpi, coordinato dall'INFS (Istituto Nazionale della Fauna Selvati ca) e dal Museo Tridentino di Scienze Naturali. In Trentino ce ne sono due: oltre al Brocon è attiva quella al valico di Bocca di Caset, in località Tremalzo nel comune di Ledro. Tutte operano con le stesse metodologie di lavoro. Ogni autunno. Il Progetto Alpi è stato attivato per favorire la creazione di una rete di stazioni in grado di operare in maniera standardizzata al monitoraggio permanente della mi grazione post riproduttiva, e avviare a tal fine uno scambio proficuo d'infor mazioni utili a standardizzare l'attività
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contemporanea di campo. Attraverso l'attività d'inanellamento si vuole im plementare le conoscenze e la banca dati esistente, al fine di descrivere la componente migratoria in transito nella loro composizione specifica, comprendere i tempi, le modalità e le strategie ecologiche adottate dai migratori durante l'attraversamento del versante italiano. Non solo. Si punta a incrementare i dati sull'ori gine geografica dei migratori, racco gliere dati biometrici e fisiologici sui migratori in transito e fornire dettagli e informazioni utili alla conservazione degli habitat e delle specie anche nel contesto di Rete Natura e della con servazione diffusa della biodiversità transitoria.
Anche quest'anno, dal 25 settembre al 29 ottobre, al passo che si estende tra il monte Coppolo, nel bellunese, ed il Col del Boia, sono presenti una decina di operatori. Tra i pascoli, pur troppo sempre meno pascolati, tra il Tesino e il Vanoi, fino agli anni '50 c'e rano cinque roccoli. Tutti tra il valico e i dintorni di malga Vallarica di sopra. Vi si praticava l'uccellagione. Oggi
di Massimo Dalledonneci si dedicata esclusivamente allo studio delle migrazioni degli uccelli. L'ornitologa Francesca Rossi e Stefa no Noselli sono i referenti del Muse. Con loro ci sono anche i due colla boratori Michele Pes e Laura Tomasi assieme a sei studenti universitari e tirocinanti arrivati da diversi atenei italiani e spagnoli. "Al Brocon siamo di casa, ci conoscono tutti. I volatili che catturiamo - ci racconta France sca Rossi - arrivano da nord-est, dal passo Cereda e, una volta superato
il valico del Brocon, proseguono a sud-est verso l'altopiano di Asiago. Questa notte abbiamo avuto due catture speciali: uno stiaccino ed un succiacapre. Non è usuale in quanto si tratta di volatili che, solitamente, in questo periodo dell'anno dovrebbero già aver raggiunto l'Africa ed il deser
to del Sahara". Ma questa è la stazio ne dei pettirossi. "Proprio così. Con la balia nera è la specie più vista dal 1997 ad oggi. Non mancano però uccelli poco inanellati altrove e rapaci nottur ni quali il gufo comune, la civetta nana, la civetta, l'assiolo oltre a quelli diurni".
Come si svolge l'attività? "Una volta catturati, gli uccelli vengono ospitati in sacchetti di cotone e portati alla stazione. Qui si procede all'identifi cazione marcando, se necessario, la zampa con un anello su cui è inci so un codice alfanumerico. Dopo
Cronache valsuganotte
l'esame del piumaggio per conoscere sesso, età, muta e stato fisico - conti nua Rossi - si misurano le ali ed il tar so, ovvero la lunghezza della zampa. L'uccello viene pesato, se ne valuta il grasso e la muscolatura pettorale e infine viene liberato. Il tutto avviene nel minor tempo possibile".
Alcuni dati: in 25 anni di attività sono stati oltre 85 mila i volatili inanellati. La fanno da padroni i pettirossi, poi tanti fringuelli e lucherini. Lo scorso anno sono stati 4.794 i volatili inanel lati ma ancora meglio era andata nel 2019 con 7.423 esemplari catturati e studiati. Migratori che arrivano da oriente. In transito lungo la linea che percorre il passo Cereda e quello della Gobbera. Spesso si catturano esemplari già inanellati. "Quest'anno - conclude Francesca Rossi - abbiamo osservato anche un pettirosso arriva to dalla Svezia".
Borgo Valsugana in cronaca
di Massimo DalledonneInaugurato l’ambulatoriodel Gruppo Romano Medica
“Professionalità, elevati standard qualitativi, rispetto delle procedure e la centralità del paziente. Questi sono i principi basilari del nostro gruppo che offre servizi professionali anche nell’ambito della diagnostica e della terapia. La presenza della sanità privata in Veneto è una realtà che sta dando grande supporto a quella pubblica ed è quello che abbiamo intenzione di fare anche in Valsugana ed in Trentino. Una sinergia tra pubblico e privato oggi più che mai indispensabile per dare servizi efficienti e completi ai cittadini”.
Con queste parole, nelle scorse settimane, il dottor Fabio Gnesotto ha inaugurato l’ot tavo ambulatorio del gruppo Roma no Medica. Ci sono pure 11 punti pre lievo, tutti dislocati nelle province di Vicenza, Treviso e Padova. Da qualche mese è attiva anche a Borgo, al primo piano della Fondazione Sette Romani Schmid, un nuovo servizio che opera nel settore della salute. È il primo aperto in Trentino. Romano Medica da oltre 15 anni è presente in Veneto con un’attività che
opera nel settore della medicina specialistica, del lavoro, nella dia gnostica e labo ratorio prelievi. Poliambulatori e Centri Prelievo a disposizione dei pazienti con una vasta gamma di competenze ed interventi coordinati che consente un approccio “multidisciplinare” alle problematiche sanitarie dei pazienti e la loro risoluzione. Il Gruppo Romano Medica oggi conta 225 collaboratori e nel corso del 2021 ha assistito, tra Veneto e Trentino, qualcosa come 120 mila persone.
A Borgo ci sono due ambulatori, aperti dalle 7 in poi sia per prelievi ed analisi del sangue che per visite specialistiche di angiologia, cardiolo gia, chirurgia generale, dermatologia, ginecologia, medicina del lavoro, ortopedia e per la nutrizione. Tra qualche mese sarà attivato anche un servizio di medicina sportiva
con il gruppo che sta lavorando per attivare, in tutti i poliambulatori, pure una attività online. Al taglio del nastro, con i responsabili del Gruppo ed il dottore Fabio Gnesotto, anche l’assessore provinciale alla salute Stefania Segnana, il sindaco di Borgo Enrico Galvan, il presidente della Fondazione Romani Carlo Paternolli ed i vertici della Cassa Rurale Valsu gana e Tesino. “Lavoriamo nei territori con i territori – ha concluso Gnesotto – con professionisti e persone che vivono e risiedono in zona”. Romano Medica ha messo radici a Borgo e in Valsugana. Un punto di partenza. Con l’obiettivo di ampliare gli spazi. Sem pre a Borgo, alla Fondazione Romani Sette Schmid.
Girovagando nell’arte
di Eleonora MezzanotteSANDRO BOTTICELLI
Il nostro viaggio alla scoperta delle più illustri ed importanti personalità del mondo dell’arte prosegue e questo mese torniamo ad approfondire la vita e le opere di un pittore, la cui fama è resistita nel tempo ed è, ancora oggi, più viva che mai. Rimaniamo in quella vivace e florida realtà artistica fiorentina, al tempo di Lorenzo Il Magnifico e del suo fortunato mecenatismo, che ha portato, nella seconda metà del XV secolo, all’affermazione di molti pittori, scultori e architetti. Tra questi un posto d’onore è riservato ad Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, meglio conosciuto con il nome d’arte di Sandro Botticelli, uno dei massimi esponenti della prima fase del Rinascimento italiano.
Nato a Firenze nel 1445 da una famiglia modesta, fu l’ultimo di quattro fratelli. Il padre era conciatore di pelli, il fratello maggiore Giovanni era funzionario pubblico, citato nel catasto del 1458 come Botticello, nomignolo che poi,
con ogni probabilità, si estese a tutti i membri della famiglia. Ricevette una prima formazione presso la botte ga di Filippo Lippi dal 1464 al 1467, con il quale lavorò nel Duomo di Prato per l’affrescatura della cappella maggiore con Storie della vita di Santo Stefano e San Giovanni Battista. Le prime opere del Botticelli risentono molto dell’influenza stilistica del maestro, tanto che nella sua primissi ma tavola Madonna col Bambino e un angelo del 1465 le somiglianze con la coeva tavola del Lippi di medesi mo soggetto sono davvero evidenti. Rilevanti nella formazione di Botticelli furono anche Antonio del Pollaiolo e Andrea del Verrocchio, del quale è stato presumibilmente anche allievo a bottega dopo la partenza del Lippi per Spoleto. Proprio quel Verroc chio maestro del grande Leonardo, di cui tratteremo prossimamente. L’ascendente verrocchiesco lo si può facilmente individuare in un secondo gruppo di Madonne, realizzate tra il 1468 e il 1469, come la Madonna del Roseto, la Madonna in gloria di serafini (entrambe agli Uffizi) e la Madonna col Bambino e due angeli (al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli). Con la morte del Lippi a Spoleto nel 1469, Botticelli decise di dirige re la bottega autonomamente. Nel giungo dello stesso anno arriva la prima commissione pubblica di un certo rilievo, ovvero la dipintura di una spalliera allegorica raffigurante la Fortezza, che doveva inserirsi in un ciclo di sette pannelli dedicati alle sette virtù e ordinato a Piero Pollaiolo, il quale realizzò le altre sei. Un’opera che, nonostante appartenga agli esordi del Botticelli, già testimonia la grazia e la raffinatezza con le quali il pittore fiorentino intendeva esaltare
la bellezza femminile, uno stile che già in gioventù è caratterizzato da un marcato linearismo, da una tensione lirica che pone l’accento sulla com ponente emotiva ed emozionale dei soggetti raffigurati.
Nel 1472 decise di iscriversi alla Com pagnia di San Luca, confraternita di artisti fiorentini e gradualmente si av vicinò a quelle concezioni umanisti che e neoplatoniche, di rivalutazione morale delle antiche virtù del mondo classico. Spazio dunque a soggetti mitologici e ad allegorie ritenute, fino a quel momento, emanazione del paganesimo. Temi tratti dal mito vennero riabilitati e rappresentati con la medesima dignità artistica riconosciuta ai soggetti sacri. L’ideale della bellezza corporea e dell’amore guidano Botticelli nella realizzazione di alcune tra le sue opere più note e di pregevole risultato. La vicinanza all’ambiente mediceo e la buona fama di cui godeva tra l’aristocrazia fiorentina, gli garantirono protezione e molte commissioni importanti, nonché la possibilità di confrontarsi con una cultura raffinata ed aulica,
Girovagando nell’arte
emanazione dell’edonismo mediceo. Numerosi furono i ritratti realizzati per i membri della famiglia Medici, in cui si notano pure certe influenze fiam minghe nella posa dei soggetti, nella pratica coloristica e nella tendenza a raffigurare il dettaglio.
La sua vasta produzione artistica spa zia dalla ritrattistica alla raffigurazione di soggetti sia profani, allegorici che sacri. Nel 1480 un’altra importante commissione vede impegnato Botti celli, questa volta nella Roma dei papi per l’affrescatura delle pareti della Cappella Sistina, con un ciclo di dieci scene raffiguranti le Storie della vita di Cristo e di Mosè. L’impresa fu porta ta a termine assieme a Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Pietro Perugino. Tre gli episodi a cui lavorò nella Cappella Sistina tra il 1480 e il 1482: le Prove di Mosè, le Prove di Cristo e la Punizione di Qorah, Dathan e Abi ram. Rientrato a Firenze nel 1482 in
seguito alla morte del padre, non farà più ritorno a Roma, concentrandosi in nuove commissioni per la sua città. Tra le opere sicuramente più note del Botticelli rientrano le due grandi tele della Primavera e della Nascita di Venere, dipinti a sfondo mitologico, tutt’ora considerati l’emblema di un acerbo e nuovo stile rinascimentale, che conoscerà il suo culmine nel corso del Cinquecento.
La Primavera gli fu commissionata da Lorenzo di Pierfrancesco del Medi ci nel 1480 per la Villa medicea di Castello, in occasione del suo matri monio. Una lettura allegorica dell’o pera vedrebbe, infatti, nella figura di Mercurio il giovane Lorenzo, colto nell’atto di cogliere un arancio, sim bolo appunto dell’unione matrimo niale. Per quanto riguarda la Nascita di Venere, il dipinto rappresenterebbe il momento precedente alla Prima vera, ossia la nascita della dea dalla
spuma del mare presso l’Isola di Ci pro. La dea, ritratta nella sua elegante pudicizia, rappresenterebbe l’ideale perfetto di bellezza femminile, non ché la ragione di un amore platonico e spirituale. Molte altre le opere del Botticelli che meriterebbero interi ca pitoli: la Madonna del Magnificat del 1485, splendido tondo dipinto in cui si nota un’ulteriore maturità stilistica; l’Incoronazione della Vergine con il suo accentuato lirismo; la Calunnia, in cui nella coralità della composizione traspare tutto il pathos dell’episodio originale che vede come protagoni sta Re Mida, consigliato da Ignoranza e Sospetto, mentre accoglie il Ca lunniato, trascinato al suo cospetto dalla Calunnia. La vasta produzione artistica di Botticelli è tutt’ora un importante documento per la storia dell’arte moderna e per la nascente corrente rinascimentale, alimentata dal suo brillante astro.
CONOSCIAMO LA GINECOLOGIA E IL GINECOLOGO
La ginecologia si occupa delle malattie dell’apparato genitale femminile in tutte le fasce d’età, dalla pubertà, nel periodo fertile, in gravidanza, in menopausa e nella post-menopausa, avvalendosi della figura professionale del medico specializzato: il Ginecologo. La visita ginecologica è una valuta zione dell’apparato genitale: vagina, utero e ovaie, tale visita va fatta precedere dall’acquisizione di tutti gli elementi clinici della paziente con un’anamnesi generale di malat tie pregresse, interventi chirurgici, caratteristiche del ciclo mestruale ed eventuali alterazioni. Moltissimi sono i problemi legati a questo delicatissimo apparato, fondamentale per la sessualità e la capacità riproduttiva della coppia, e tra quelli più comuni troviamo: il dolore pelvico, malattie dell’endome trio, fibromi/miomi o polipi uterini,
infezioni batteriologiche vaginali, di miceti o virus, condizioni tumorali a carico dell’utero, delle ovaie e della cervice uterina, irregolarità del ciclo mestruale, incontinenza urinaria, pro lasso degli organi genitali e i primi
segnali legati alla menopausa. A discrezione del Ginecologo du rante la visita ginecologica, al fine di individuare eventuali patologie a carico dell’apparato genitale, pos sono essere effettuati alcuni esami diagnostici come l’ecografia pelvica, l’ecografia transvaginale e il Pap-test. Quest’ultimo è un prelievo assolu tamente indolore di cellule del collo dell’utero e l’esecuzione a cadenze regolari permette di cogliere even tuali alterazioni cellulari che induco no, nel caso di modificazioni di non chiaro significato, di procedere ad un approfondimento diagnostico e quindi per diagnosticare precoce mente patologie come il tumore del collo dell’utero o lesioni precance rose.
È quindi di fondamentale importanza effettuare periodicamente una visita ginecologica ed esami diagnostici: quanto prima viene individuato un problema, tanto prima può essere iniziato l'idoneo trattamento.
Medicina & Salute
CONOSCIAMO LA PSICOLOGIA
Secondo una delle ultime indagini condotta dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Or dine degli Psicologi (CNOP), le problematiche legate alla sfera psicologica e comportamenta le degli italiani, dovute ai diversi aspetti del nostro quotidiano, specialmente in questi ultimi periodi, hanno fatto aumentare la percentuale di cittadini (dal 40 al 62%)che hanno sentito il bisogno di ricorrere allo psicologo.
A parere degli esperti clinici, infatti, andare dallo psicologo sembra essere, e non di rado, la giusta ed idonea soluzio ne per superare le piccole o modeste crisi che possono coinvolgere la vita di tutti i giorni. Per esempio quando non si riesce a stabilire relazio ni serene con gli altri, oppure quando si continua a soffrire o si avverte un senso di rabbia, tristezza, apatia, malessere, disagio, fatica o dolore psicologico generato dalla più diverse cause.
Il benessere mentale, la propria tran quillità interiore o il giusto rapporto con il familiari, è alla base del nostro vivere e quando qualcosa diventa vero ostacolo ad una determinata situazione, ecco che si avverte quel particolare bisogno idoneo a ristabi lire la perfetta e desidera armonia. Per saperne di più e per avere una migliore conoscenza del grande universo “Psicologia” e come opera uno psicologo, abbiamo poste speci fiche domande alla dott.ssa Claudia Morandelli , psicologa che opera in
COSA CI DICE IN PROPOSITO?
“Una volta che una persona crede o sente che qualcosa sia vero, indi pendentemente dal fatto che lo sia oppure no, agirà come se lo fosse”.
CI SPIEGHI MEGLIO…
Vi racconto il tutto attraverso una bellissima storia Zen. “Un Grande Guerriero giapponese che si chiama va Nobunaga, decise di attaccare il nemico, sebbene il suo esercito fosse solo un decimo di quello avversario. Lui sapeva che avrebbe vinto, ma
i suoi soldati erano dubbiosi. Durante la marcia si fermò ad un tempio shintoista e disse ai suoi uomini: “Dopo aver visitato il tempio, butterò una moneta, se viene testa vinceremo, se viene croce perderemo. Siamo nelle mani del destino”. Nobu naga entrò nel tempio e pregò in silenzio. Uscì e gettò una moneta. Venne testa. A que sto punto i suoi soldati erano così impazienti di battersi che sfidarono l’esercito avversario e vinsero senza difficoltà. Dopo la battaglia, un aiutante disse al Grande Guerriero: “Nessuno può cambiare il destino”. “No davvero” rispose questi, mo strandogli una moneta che aveva testa su tutte e due le facce”.
INTERESSANTE ESEMPLIFI CAZIONE DEL POTERE DEL LA NOSTRA MENTE. CHE COSA SAREBBE SUCCESSO SE FOSSE USCITO CROCE?
Questa è una breve storia per far comprendere come immaginare scenari futuri positivi influenzi forte mente il modo in cui si affrontano le situazioni alimentando la motiva zione e la determinazione. Ovvero, quello in cui tu credi, determina il modo in cui agisci ed i risultati che ottieni, le nostre credenze plasmano ciò che siamo e ciò che realizziamo nella nostra realtà.
DOTT.SSA MORANDELLI, EN TRANDO NELLO SPECIFICO CHE METODO UTILIZZA UNO PSICO-
OTTENERE BUONI RISULTATI?
Ogni psicologo utilizza ed applica un proprio “metodo” in base alle sue teorie di riferimento e alla persona che ha davanti.
Nel mio lavoro utilizzo un approccio pragmatico, centrato sulla Soluzione e sul raggiungimento di obiettivi concreti, nel rispetto dei valori, della specificità e delle necessità di cia scuna persona. Integro metodologie diverse valutando, di volta in volta, quella più indicata affinché il percor so risulti più efficace possibile in un numero limitato di sedute gene ralmente a cadenza quindicinale. Il tutto con l’obiettivo di incrementare la capacità della persona di gestire autonomamente le proprie situazio ni con un cambio di percezione sulla sua realtà favorendo la riscoperta di risorse momentaneamente sopite e il raggiungimento di un alto livello di benessere individuale e relazionale duraturo nel tempo.
mandasse loro la soluzione tuttavia allontanandosi realmente sempre più dalla soluzione e continuando a vivere nel torpido grigiore. Ciò che invece è servito loro, con la giusta guida, è stata la breccia del corag gio di accettare ciò che era loro successo in maniera da assumersi la responsabilità di cambiare il punto di vista delle cose per permettere loro di vivere una Vita finalmente vera, piena e colorata nonché degna di essere vissuta. In questa maniera ho accompagnato tutte loro nella giusta direzione del cambiamento al fine di trovare la vera chiave nel benessere dell’essere una donna sicura di sé stessa.
LEI SI OCCUPA ANCHE DI SOSTE GNO GENITORIALE. COSA CI PUO’ DIRE IN PROPOSITO?
CHI È
In questi anni, molte sono state le donne che si sono rivolte a me trovandosi ad un bivio nella loro vita o coinvolte in un profondo males sere nell’illusoria attesa che il Fato
Le problematiche che possono pre sentarsi nell’infanzia possono essere diverse, non molto dissimili da quelle del mondo degli adulti. In questo caso, l’intervento messo in atto per gestire una specifica difficoltà del bambino avviene in maniera indi retta, ovvero lavorando attraverso i genitori e gli adulti di riferimento del bambino, per produrre il cam biamento richiesto attraverso delle nuove modalità comunicative e relazionali che gli adulti metteranno in atto, guidati attraverso specifiche indicazioni.
La dott.ssa Claudia Morandelli, iscritta all'Albo degli Psicologi della Provincia di Trento, ha frequentato gli studi presso la Facoltà di Psicologia dell'Uni versità di Padova conseguendo la Laurea di 1° livello in Scienze Psicologiche della Personalità e delle Relazioni Interpersonali e successivamente quella Specia listica in Psicologia Clinico-Dina mica. Ha frequentato un Master annuale in Psicologia Scolastica e un corso di formazione sui Di sturbi dell'apprendimento e del comportamento in età evolutiva. Nel 2019 ho portato a termine un importante e qualificante Master biennale in Terapia Cli nica Strategica. In particolare si occupa di consulenza e sosten go psicologico all’individuo, alla coppia e alla famiglia nell’ottica di portare alla soluzione difficoltà inerenti i disturbi d’ansia, ossessi vi e dell’umore, disordini alimen tari, problematiche relazionali in diversi contesti (coppia, famiglia, lavoro), eventi negativi stressanti come ad esempio lutti e sepa razioni, difficoltà scolastiche di apprendimento e di comporta mento. Il tutto con un alto indice di efficacia risolutiva.
Personaggi di casa nostra
FRANCESCO BORDIGNON
La lapide si trova nella frazione di Pradellano. A pochi metri dalla provinciale 78 del Tesi no, nel comune di Pieve. Una storia, quella di Francesco Bordignon, poco conosciuta in zona. Sono trascorsi esattamente 78 anni da quel tragico giorno. Era l’8 ottobre del 1944 quan do, questo giovane ragazzo, uno dei soci della torbiera in località Driosila na nel comune di Pieve Tesino, venne preso e fucilato dai nazisti. La sua colpa? Ogni giorno forniva e portava il pane ai partigiani presenti nella conca e sulle montagne del Lagorai. In quel periodo le SS eseguivano dei rastrellamenti in zona alla ricerca dei partigiani veneti che si erano rifugiati in Trentino. Soprattutto nella zona di Cima d’Asta e in Sorgazza. Una delegazione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha voluto ricordare, lui e tutti i caduti della resistenza partigiana, nei giorni scorsi con una serie di commemorazioni che li ha portati a rendere omaggio a monumenti e lapidi presenti sia a Castello che a Pieve Tesino. Francesco Bordignon non era un partigiano ma a quel tempo non si tirava indietro quando si trattava di aiutarli. Ogni giorno, infatti, prima di andare a la vorare nella torbiera, prendeva il suo asino e saliva con i rifornimenti per i
partigiani. Un giovane imprenditore che aveva deciso di avviare una pic cola attività in Tesino. Una torbiera, in località Driosilana, nella piccola piana di Spiado, da dove, con una telefe rica, trasportava il materiale estratto e lavorato fino a valle. Nella piana di Pradellano, a piccola conca tra Pieve Tesino e Bieno. E proprio in questa piccola conca fu scoperto, percorso e ucciso sul posto, con un colpo di pistola, dal capitano delle SS Hegenbart, che poi ordinò la sua immediata sepoltura. La sua fossa venne scavata da Domenico Avanzo Rosin che, assieme ad un compa gno, collaborava con Bordignon nella torbiera di Driosilana. Lo stesso Avanzo ricordava spesso come lui ed il suo amico, una volta scavata la
fossa, vennero allontanati con i fucili spianati dai nazisti verso Driosilana e che Bordignon era stato seppellito dai nazisti che era ancora vivo. Scioccato da quanto accaduto, per molti anni di notte Domenico Avanzo Rosin sentiva ancora le sue grida. Un uomo generoso che si era messo a disposizione per difendere la sua terra dall’invasore e difendere i suoi ideali di libertà e giustizia. Non con le armi, quelle le lasciava usare ai partigiani. Faceva la sua parte por tando in quota pane, vino e quanto serviva per sfamare i giovani della Resistenza. Lo faceva ogni mattina, alle prime luci dell’alba. E per questo suo impegno venne trucidato dai na zisti che costrinsero i suoi colleghi di lavoro a seppellirlo laddove era stato ucciso. Oggi a ricordarlo c’è un cippo, sul bordo della strada provinciale 78 del Tesino in località Pradellano. Sulla lapide una scritta: il 9.10.1944 cadde qui vittima delle barbarie naziste Francesco Bordignon. La guerra è solo distruzione e dolore. Ieri come oggi. E come sempre sarà. Senza se, senza ma.
Letto per voi
di Waimer PerinelliNEVE NERA SOTTO IL CIELO DI TRENTO
Questo è l’incipit del romanzo “Sotto il cielo di Trento” opera prima di Maurizio Manini. Da queste quattro righe si sviluppa una intricatissima storia, un giallo o noir, ambientato negli anni ‘50 del Novecento quando nella città capoluogo vivevano poco più di sessantamila abitanti, trentini doc, con qualche migliaio di infiltrati dalle valli e altri dal Sud Italia. Erano chiamati “Napoli” termine apparentemente più dolce di terroni, ci dice l’autore, che, è bene chiarir lo subito, è nato a Cles, 57 anni fa e quindi non sospettabile di sentimenti anti trentini di cui è pervaso il suo commissario. Carmelo è un razzista al contrario. “A forza di essere comandati dai preti, asseriva, erano diventati come i romani. Falsi, omertosi e con poca voglia di fare”. Il commissario sì è portato a Trento due figlie, a scuola chiamate le terrone, e la moglie Gelsomina, bassa, grassoccia e butterata...profondamen te devota, impegnata tutti i giorni nella pulizia del Duomo. E proprio nella cattedrale di Trento avviene il primo delitto. Ne seguiran no altri avviluppati in una intricata matassa dove s’avviluppano relazioni morbose, affari sporchi, azioni malva gie, che Carmelo dipanerà rifiutando tentativi di corruzione e falsità di ogni genere. A Manini, vissuto parte della vita in Lombardia, piace paragonare Carmelo a Maigret di George Simenon al quale Gino Cervi, in televisione, ha dato un corpo massiccio, ma il suo
Carmelo, minuto e bruttino, ricorda piuttosto il tenente Colombo con il toscanello puzzolente, ributtante. L’intreccio fotografa la vecchia Tren to che io amo dove dominano dio, patria e famiglia presenti nella società di Agrigento dove Leonardo Sciascia ambienta «A ciascuno il suo» Questo non vuole dire che l’autore ab bia copiato qualcosa, anzi la sua storia è originale e dice lo scrittore “assolu tamente inventata” e poiché a molti può far pensare a gente conosciuta, aggiunge, con “personaggi” inesistenti. Attraverso loro riviviamo la realtà del dopoguerra quando bisognava sce gliere fra il comperare la televisione, dove era di scena Mike Buongiorno con Lascia o Raddoppia, e il frigidaire. La lavatrice poi un bene assoluto, ir raggiungibile. Carmelo prima accon tenta la moglie e poi si concede una Fiat 1100-103, che, all’epoca non era poca cosa, ma egli si nega ogni altro lusso, specialmente se donato per “corrompere”, come una Lancia Appia con le portiere che fanno stlack. Ama il proprio lavoro e vi sacrifica tempo e denaro, indaga nei luoghi della povera gente, fra le prostitu te, nei salotti buoni della borghesia industriale, nelle sacrestie e, fra molto marcio, troverà gocce di bontà.
“Sotto il cielo di Trento per me è come un figlio nato per caso, dice Manini... Certo non sarà perfetto ma era mia intenzione creare soprattutto per me stesso, un qualcosa di nuovo”
Al giallo-noir l’autore aggiunge,
dosandola sapientemente, ironia e comicità. Scritto di getto e privato di un editing adeguato, si legge tuttavia tutto d’un fiato perché si ha voglia di conoscere meglio Carmelo, il suo e nostro mondo, quello del boom eco nomico alle porte, quella Trento della quale l’autore dice di avere “nostalgia”. Si legge rapidamente perché come ormai accade di rado, si ha voglia di conoscere la soluzione, quel finale che vi sorprenderà, con una doppia soluzione che speriamo sarà un nuovo inizio. Se siete convenzionali e sensi bili, leggete Biancaneve, pur essendo un giallo con tanto di strega, alla fine vince la bontà. Una qualità che non manca nell’intreccio di Manini ma siete voi che vi ci dovete specchiare.
GIOVANNI VERGA portavoce delle plebi del Sud
Giovanni Verga è considerato il più importante esponente del Verismo, corrente lette raria che caratterizza la produzione degli autori italiani del Sud Italia a fine Ottocento.
I veristi osservano la realtà, e la descrivono, applicando la tecnica dell’impersonalità per cui il narratore non partecipa emotivamente agli av venimenti, ma ne resta distante. Con questo stile narrativo Verga racconta il difficile passaggio dell’uomo dal mondo antico, con le sue passioni pri mitive, al mondo moderno, segnato da razionalità e mutamenti sociali. Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840. La sua è una famiglia di antiche origini nobili e sembra addirittura che
i suoi avi siano arrivati, dalla Spagna, in Sicilia, al seguito del re Pietro III d’Aragona nel XIII secolo. Per tornare ad epoche più recenti, suo nonno
era deputato nel primo parlamento siciliano del 1812 e entrambi i genitori avevano vasti possedimenti. Dopo aver compiuto gli studi di base, Giovanni viene mandato a studiare alla scuola di Antonino Abate, uno scrittore di idee repubblicane e ideali patriottici, che lo avvicina anche alla cultura romantica. Verga inizia la sua produzione letteraria con romanzi che parlano di amore, di patria, di società segrete, di passioni e di avventure. Si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza a Catania ma non arriva a laurearsi perché è desideroso di percorrere i raffinati palazzi della letteratura.
Le idee condivise dal suo maestro lo portano prima a sostenere Garibaldi e poi ad arruolarsi, tra il 1860 e il 1864,
Tra Storia, Poesie e Letteratura
nella guardia nazionale del nuovo stato italiano.
Lasciato l’esercito si dedica nuova mente alla letteratura e si trasferisce a Firenze che è diventata nuova capi tale del Regno d’Italia. Qui incontra lo scrittore Luigi Capuana, considerato il teorico del Verismo.
In quel periodo Verga è però insoddi sfatto: i suoi romanzi hanno un certo successo ma lui non si sente in pace. Aveva abbracciato ideali repubblicani, aveva visto unirsi l’Italia, era testi mone dei cambiamenti sociali che stavano avvenendo in Europa, ma aveva la sensazione che tutti gli ideali risorgimentali si fossero ridotti a pura retorica.
Lui vede le plebi del sud schiacciate dalle leggi del nuovo stato, i giovani obbligati a lasciare le loro terre per entrare in un esercito di uno stato che non riuscivano a riconoscere come il loro paese mentre i funzionari pie montesi colonizzano gli uffici ammini strativi del Sud.
Intanto a Firenze gli intellettuali si confrontano anche con la corrente letteraria che sta dilagando in Europa: il naturalismo. Zola, Maupassant e altri scrittori cominciano a raccontare le vicende del sottoproletariato urbano e indagano nelle pieghe della vita di operai che vivono in periferie fumose e degradate.
Quando nel 1872 Verga si trasferisce a Milano, centro culturale d’Italia, stringe amicizia con gli intellettuali della Scapigliatura e scrive ancora romanzi di sapore romantico; ma in quel periodo matura la sua adesione al Verismo. In Italia, e soprattutto al Sud, lo sviluppo industriale non è arri vato. Contadini, pescatori, braccianti, tutti sembrano schiacciati da questa modernità che riserva ai cittadini del nuovo stato unitario solo il suo lato peggiore. Questa consapevolezza accende un’intuizione nel Verga. Se lo sviluppo industriale non è arrivato al Sud, se le plebi soffrono per scelte po
litiche che non si occupano del loro sviluppo, allora gli intellettuali posso no farsi portavoce degli effetti della modernità. Chi meglio di loro può utilizzare la letteratura per testimo niare la vita reale delle donne e degli uomini della periferia dell’Italia?
E così Verga ritrova ispirazione e motivazione: sceglie di raccontare gli inutili sforzi che gli umili fanno per raggiungere l’irraggiungibile felicità promessa ai popolo. L’autore infatti è convinto che il progresso porti vantaggi solo ai potenti che possono continuare ad opprimere le masse e che nessuno possa cambiare la propria condizione: chiunque cerca di migliorare la propria situazione economica e sociale è destinato ad essere sconfitto.
A testimonianza di questo suo pensie ro progetta il “Ciclo dei vinti” una serie di cinque romanzi i cui protagonisti, che appartengono alle diverse classi sociali, cercano invano di evolvere: tutti i loro tentativi sono destinati al fallimento. Verga riesce a scrivere interamente solo i primi due “I Mala voglia” e “Mastro don Gesualdo” lascia incompiuto “La duchessa di Leyra” e lascia solo la traccia degli ultimi due, “L’onorevole Scipioni” e “L’uomo di lusso”.
Se questo progetto rimane incompiu to, Verga realizza invece, attraverso le sue novelle, l’obiettivo di raccontare la situazione delle plebi del Sud. La sua
prima raccolta verista si intitola “Vita dei campi” e raccoglie novelle desti nate a diventare famose.
Nel 1876 il governo italiano commis siona un’indagine sulle condizioni del la Sicilia. Tra i tanti aspetti mostrati dai due incaricati, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, emerge la terribile condizione in cui vivono i bambini occupati nelle miniere. Proprio da questa inchiesta, Verga trae spunto per scrivere “Rosso Malpelo”, novella che narra le vicende di un ragazzo dai capelli rossi. Il rosso era, secondo la superstizione popolare, segno di stintivo di cattiveria e quindi Malpelo, di cui neppure la madre ricordava il nome, era maltrattato da tutti. Verga si focalizza quindi sia sulle credenze popolari che sulle drammatiche situa zioni dei minatori, costretti a vivere, e morire, per un tozzo di pane scavan do la rena rossa.
Ma se nessuno ha letto quell’inchie sta, molti però sono venuti a cono scenza di quella realtà tramite questa novella.
In quel periodo Verga, che era un grande seduttore, vive una burrascosa vicenda sentimentale che si conclude con un clamoroso scandalo. Di tra dimento aveva parlato nella novella “Cavalleria rusticana” ma questa sua esperienza lo porta a trasformare la novella in un testo teatrale. Nel 1884 a Torino, anche grazie ad una prota gonista d’eccezione, la meravigliosa Eleonora Duse, Cavalleria rusticana ottiene un successo strepitoso tanto che, qualche anno dopo, diventa anche opera lirica, musicata da Pietro Mascagni.
Verga resta ancora un po’ al Nord, quindi ritorna nella sua terra dove vive come signorotto di campagna.
Negli ultimi anni della sua vita, morirà nel 1922, lavora con un altro grande autore del Verismo italiano, Federico De Roberto, per realizzare la traspo sizione cinematografica dei suoi bozzetti teatrali.
LA RELAZIONE DI COPPIA
Il mondo è fatto di relazioni e queste possono fare la differenza nella qualità di vita delle persone. Quanto una relazione soddisfacente con il partner può essere una risorsa nella vita di tutti giorni? Come capire se sono in una relazione che ha tutte le carte in regola per essere quella giusta?
Rapporti positivi sono relazioni che si basano sulla fiducia e il rispetto, ma non sono solo queste le caratteristi che che si devono riscontrare in una storia d’amore, sono le basi. Premettendo che non ci possono essere delle regole in quest’ambito è vero che possiamo vedere alcune caratteristiche che possono facilitare o meno la durata e la soddisfazione della relazione.
La prima su tutte è verificare se si condivide lo stesso sistema di valori. Vi faccio un esempio; può essere che tutti e due i partner della coppia siano attivi nell’aiutare i più deboli, ma magari per uno la motivazione è l’importanza di essere un sostegno a chi è in un momento di difficoltà, per l’altro invece, “è solo un modo” per
far passare una precisa idea che le altre persone abbiamo di lui. Questo è un esempio pratico di una coppia che dall’esterno sembra molto affine, ma poi se andiamo a vedere cosa c’è sotto, troviamo un’estrema differenza. Adesso non è che una coppia è de stinata al fallimento solo per questo elemento, ma sarebbe opportuno che in una relazione i partner con dividessero almeno tre o quattro valori. Questo perché condividere la vita con dei ideali simili ci permette di essere uniti e di avere in comune progettualità e/o obiettivi. Un’altra caratteristica da mettere in conto è la rigidità mentale. Per rigi dità mentale intendo quella capacità di considerare valido solo il proprio punto di vista nelle cose. Una perso na o entrambe con questa peculiarità rendono difficile sia la comunicazio ne, ma anche la collaborazione. Se non riesco a mettermi nei panni degli altri, o comunque ritengo valida solo la mia posizione non prenderò mai in considerazione qualcosa di diverso, anzi potrei arrivare a svalutare o mini mizzare la versione dell’altro e questo
impedirebbe il trovare un punto d’incontro tra i due.
Nelle relazioni funzionali e duratu re è importante cercare di stare in equilibrio, non rilevare una delle due persone magari completamente inibita nelle proprie emozioni o che fatica a soddisfare un suo bisogno e/o desiderio, mentre l’altra com pletamente interessata a sé stessa e ai suoi bisogni. È importante dire la propria opinione e metterla in discus sione con l’idea dell’altro e decidere assieme cosa fa al caso della coppia. Altra cosa è l’affetto, ovvero nella relazione dobbiamo trovare mani festazioni di affetto o gratitudine tra i partner. Lo scambio emotivo ci deve essere e deve essere reciproco. Supportarsi nei momenti di difficoltà, condividere gioie creano uno spazio d’intimità, dove le persone si devono sentire libere di manifestare il proprio mondo emotivo. L’affetto è il risultato dei sentimenti di vicinanza e di calore che devono esserci in una relazione funzionale. Per mantenerlo attivo ha bisogno di energia e di lavorarci giorno per giorno. Due partner per
stare assieme hanno bisogno di accettarsi, di complicità, di empatia e soprattutto di comprensione. Per riattivare il circuito di comprensione bisogna provare a sincronizzarsi e per fare questo bisogna fare delle cose assieme, magari anche nuove. Non è detto infatti, che quello che ci carat terizzava come coppia per esempio qualche anno fa, lo sia anche adesso. La progettualità: la coppia deve crescere. Parlare del futuro non deve essere un tabù, certo ci possono essere passaggi faticosi ma altra cosa invece è una vera e propria decisione definita. Per il proprio bene bisogna chiedersi non solo se nel momento attuale posso accettare la volontà del partner di non evolvere ma anche nel futuro. Sto pensando a scelte importanti, come sposarsi o decidere di cercare di diventare genitori, ma gari nel qui ed ora possiamo anche
gestirlo, ma provate a chiedervi se fra cinque o dieci anni sarete sempre della stessa opinione.
La soddisfazione sessuale. Se è vero che in questo ambito non ci sono re gole, è anche vero che i due partner devono essere sulla stessa lunghez za d’onda. Ci sono coppie bianche ovvero che non hanno rapporti che sono molto in sintonia, e coppie per cui è un ingrediente imprescindibile. Il problema viene fuori quando uno dei due componenti della coppia non ha desiderio sessuale mentre l’altro si. Alcune volte la mancanza d’intimità può nascondere un pro blema comunicativo o di non sentirsi accettati, ma, di certo va risolto se la coppia vuole andare avanti. La co municazione ci permette di condivi dere, metterci in discussione, trovare compromessi e crescere sia indivi dualmente che in coppia. La capacità
di esprime in modo chiaro ed efficace i propri bisogni, le proprie opinioni o emozioni, senza offendere o aggredi re l’altro non è cosa semplice. C’è chi non riesce proprio c’è chi invece lo fa appunto in modo aggressivo, l’equili brio non è così scontato da trovare. Come vedete sono tante le cose che possono contribuire alla buona riuscita di una relazione e non sono sempre caratteristiche stabili, posso no subire variazioni che dipendono anche della fase della coppia, ma di certo devono essere curate per permettere di superare eventuali crisi che tutte le coppie affrontano nel corso della relazione per uscirne più forti di prima.
Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel: 388 4828675
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Personaggi in cronaca
In ricordo di AMIN NABULSI
Per i suoi amici era “un rivo luzionario gentile”. In Tesino era arrivato nei primi anni del 2000. Qui l’aveva portato l’amore. A Castello Tesino, infatti, era nata la mo glie Milena Sordo. Dalla Palestina alla conca del Tesino. Senza dimenticare mai la sua terra natia. Amin Nabulsi se ne è andato nelle scorse settimane. All’età di 74 anni. La moglie Milena era scomparsa da diversi anni ma lui ha voluto rimanere qui, trascorrere in Trentino l’ultima parte della sua vita. Nato a Nablus, Cisgiordania, nel 1947. L’anno successivo, dopo la Nakba (la nascita dello stato di Israele e la cacciata dei palestinesi dalle proprie case) si trasferisce ad Amman dove il padre Faysal, giornalista e dirigente politico, diventa portavoce dell’atti vità delle organizzazioni palestinesi. Con la famiglia vive per anni in Siria, Egitto e Libano fino a quando, nel
1965, ritorna a Nablus. Il 5 giu gno 1967 scop pia la Guerra dei sei giorni. Le truppe israeliane occupano la Ci sgiordania. Quel giorno Amin doveva iniziare l’esame di matu rità: tutto rinviato ad agosto quan do si diploma ad Amman. Così
Amin s’iscrive all’Università per stranieri di Perugia per trasferirsi poi a Padova dove si laurea in ingegneria civile e trasporti. Qui conosce Milena, studentessa di Castello Tesino, che diventerà sua moglie.
In Italia Amin Nabulsi s’impegna nell’attività politica a favore della sua patria: diventa dirigente dell’Unione Generale Studenti Palestinesi, dell’U nione Ingegneri e architetti pale stinesi – sezione Italia seguendo e realizzando alcuni progetti di coope razione in ambito sanitario e agricolo in Palestina. Per sette anni, dal 2003 al 2010, in qualità di Console Onorario della Palestina per il Nord-Est d’Italia porta nel suo paese diverse delega zioni italiane che firmano accordi di cooperazione con le istituzioni palestinesi. Un uomo impegnato. Partecipa a convegni e dibattiti sulla questione palestinese, scrive un libro sulla storia della Palestina, correda to da una ricchissima bibliografia, ultimato poco prima di morire e in attesa di pubblicazione. “Nostro padre
– raccontano le figlie Alba e Leila – è sempre stato impegnato a livello civico e culturale, non ha mai smes so di parlare della Palestina, la terra che tanto amava; in biblioteca aveva anche organizzato un corso di arabo, che si sarebbe ripetuto se non fosse venuto a mancare. Ci ha mostrato il significato di essere una persona poli ticamente impegnata, laica ma anche credente. Anche per questo abbiamo cercato di disegnare un funerale a sua immagine e somiglianza”. Con il nuovo millennio decide di venire a vivere in Tesino. A Castello Tesino dove rimane fino alla morte. In tutti questi anni la comunità “castelaza” lo ha accolto molto bene. In tantissimi hanno preso parte all’ultimo saluto per Amin, un modo per restituire par te dell’affetto ricevuto da un uomo umile e sempre pronto ad aiutare gli altri. Per congedarsi da “un rivoluzio nario gentile”. La cerimonia laica si è svolta presso la sala polivalente della A.P.S.P Suor Agnese seguita da una benedizione islamica.
personaggio di ieri
GIUSEPPE DEGOL morto a Corna Calda nel 1915
Scorrendo vari elenchi, nei libri e in rete, ho trovato questo nome, Giuseppe Degol accompagnato dal seguente testo che riporto fedelmente: «Trentino di nascita, suddito e già soldato austriaco, lasciava in Australia e la moglie e i figli colà residenti, per venire a combattere volontario l’ulti ma guerra dell’indipendenza. Si distinse per audaci imprese di ricognizione e riuscì a catturare diverse pattuglie nemiche. Co mandante a sua volta di pattuglia, si slanciava in testa ai suoi uomini alla cattura di una piccola guardia nemica. Colpito mortalmente, continuava ad incitare i propri uo mini a perseverare nell’azione, ed esalava l’ultimo respiro al grido di “Viva l’Italia!”. Corna Calda, 14 novembre 1915» (Medaglia d'oro al valor militare con il decreto del primo ottobre 1916).
Chi era Giuseppe Degol? È stato un irredentista. Il suo nome compare fra gli 877 volontari trentini nell’Esercito italiano sul sito http900trentino.museostorico.it, esat tamente nella banca dati dedicata ai Volontari trentini nella Grande Guerra e curata dal dott. Alessio Quercioli su incarico del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto. Cerchiamo però di dare una definizio ne di irredentismo. Per Irredentismo si indente una corrente politica e culturale nata per l’annessione all’I talia delle province italiane d’Austria: Trentino e Venezia Giulia. Il fenomeno nasce nel 1866 all’indomani la Terza Guerra d’Indipendenza. Si tratta di un
movimento che in Trentino coinvolge liberali, socialisti e anche un parte del clero. Ne fanno parte esponenti dei ceti medi e colti dei centri urbani, in modo particolare giovani studenti. Poco diffuso nelle vallate, l’irredenti smo ha anche connotati anticlericali. Giuseppe Degol nasce a Strigno il 29 agosto 1882. Allo scoppio della guerra si trovava in Australia dove commerciava con successo perle e diamanti. Nell’agosto 1914, allo scop pio della prima guerra mondiale e con la mobilitazione di massa nell’Im pero Austroungarco, Giuseppe Degol, mosso da sentimenti irredentisiti, decide di lasciare la moglie e la figlia e all’atto dell’entrata in guerra del Regno d’Italia, nel maggio del 1915,
si arruola volontario nel Regio Esercito. Viene assegnato alla 56ª Compagnia del Battaglione alpini di “Verona”, inquadrato nel 6° Reggimento alpini.
Fu inviato sul fronte in Trentino dove combatté nella zona del Monte Altissimo distinguendosi subito per le audaci imprese di ricognizione. Dopo aver frequen tato un corso per Allievi Ufficiali di complemento, nel mese di settembre fu nominato Aspirante per poi ritornare in servizio come comandante di una sezione di mitragliatrici. Muore il 15 novem bre 1915 colpito al petto da due pallottole mentre eseguiva una ricognizione a Corna Calda, nelle alture sopra Rovereto, esatte mente sulle pendici settentriona li del Monte Zugna, fra gli abitati di Lizzana e Albaredo. La sera del 14 novembre 1915, al comando di 15 uomini, decise di andare oltre la linea nella zona di Corna Cal da per raccolgiere informazioni su un avamposto austriaco. I soldati si avvi cinarono alla postazione nemica, ma dopo aver superato i reticolati furono avvistati dalla sentinella la quale die de l’allarme e iniziò a sparare. Degol, colpito al petto, continuò a dirigere il combattimento fino al suo termi ne, e subito dopo morì. Il suo corpo fu inizialmente sepolto nei pressi di Corna Calda, venendo traslato a fine guerra nel suo paese natale. Alla sua memoria fu concessa la Medaglia d’argento al valor militare, successiva mente tramutata in Medaglia d’oro, e ricevette la promozione postuma a sottotenente.
Gli spettri di CASTEL PERGINE
Èimponente e maestoso. Da secoli domina l'intera valle e ancora oggi incute fascino e mistero. È il Castello di Pergine. Massiccio e imponente che dall'alto del suo promontorio tiene sotto controllo gli accessi alla Valsugana e alle Valle dei Mo cheni. Le sue origini sono antiche. Stando alle informazioni storiche accertate, la sua fondazione risa lirebbe a prima dell'anno Mille e nel corso della storia fu al centro delle guerre fra i Tirolo, Ezzelino da Roma no e i signori di Carrara. È un castello che per certi versi, soprattutto nelle giornate invernali, quelle avvolte dalla nebbia, incute ancora timore. Molte leggende, infatti, fanno del castello di Pergine l'ambientazione perfetta per storie di fantasmi. Si narra, infatti, che per le stanze del castello appaia una donna vestita di bianco, conosciuta come la Dama bianca: è il fantasma di una donna uccisa, violentemente dal marito, che si aggira ancora oggi per il castello senza trovare pace. Si narra, inoltre, dell’esistenza di una “Prigio ne della goccia”, una stanza in cui il malcapitato subiva l’antica tortura della goccia che cadeva dall’alto del soffitto.
La tradizione popolare parla di una torre delle torture dove le urla dei condannati rimbalzano ancora oggi contro le possenti pietre della torre tonda del maniero. Si narra, infatti, di stanze adibite un tempo alla toru tura di uomini e donne, colpevoli di vari crimini, come stregoneria e tradimento. Ovviamente non ci sono prove storiche e certe sull’esistenza di
una sala delle torture all’interno della torre. Le uniche prove, stando sempre alla tradizione popolare, sono alcune pietre sporche di sangue umano...ma anche in questo caso si tratta solo di un ricordo tramandato oralmente di generazione in generazione.
Oltre alla stanza delle torture gli anti chi signori avevano adibito un’ala del castello a sala dei coltelli. Siamo nel torrione semicilindrico dove, sempre secondo i racconti popolari, i poveri malcapitati venivano accompagnati dalle guardie in una piccola sala. Lì venivano lasciati soli per alcune ore e poi... all’improvviso una botola nascosta nel pavimento si spalancava sotto ai piedi del poveraccio, il quale precipitava di sotto per finire infilzato da una foresta di coltelli e lame di falce.
Non poteva mancare, ovviamente, il diritto di prima notte. Si tratta, come ben narrato nel film Braveheart - Cuore impavido, del 1995 con Mel Gibson, di un presunto diritto posseduto da un signore il quale, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, avrebbe potuto pretendere di sostituirsi al marito nella prima notte di nozze.
In realtà non esistono fonti che dimostrino l’effettiva esistenza di un simile diritto, si tratta infatti di una invenzione, anzi, di una fake news. Ma nelle sale del castello di Pergine, durante le notti di mezzaluna, è facile sentire pianti e lamenti provenire dal profondo della notte. Rumori di stivali e urla inviando nuovamente i corridoi silenziosi di questo antico manie ro. In una stanza, infatti, gli spettri di una donna e dell’antico signore ripetono in un continuo loop tempo rale quei tragici eventi di un tempo. Vestita di bianco, seduta su un letto a baldacchino, una giovane donna si dispera fra pianti e lamenti. Ad un certo punto la porta della stanza si apre per sbattere con forza contro la parete. Un uomo alto e pallido entra nella stanza con prepotenza: è infu riato perché la donna si era maritata di nascosto per sfuggire al diritto di prima notte.
Si racconta anche del fantasma della Dama Bianca. È lo spettro della gio vane donna che cerca di fuggire dal suo padrone? Oppure, come narrano altre leggende, è il fantasma della moglie del signore la quale, stanca di vivere reclusa, si è suicidata lancian dosi dalle mura per preferire la morte alle perfidie del suo marito-padrone? Non è dato sapere. Una cosa è certa: il Castello di Pergine è forse uno dei luoghi più infestati dai fantasmi. Ma queste..ovviamente, sono solo leg gende. Le leggende hanno un fondo di verità, ma in questo caso l’unico fondo di verità risiede, forse, nell’odio dei valligiani nei confronti dei loro signori.
Che tempo che fa
di Giampaolo RizzonelliDopo un settembre “quasi fresco” un ottobre “caldissimo” e ancora poca pioggia
Il 1° settembre è iniziato l’au tunno meteorologico che ha portato un po’ di pioggia ma comunque inferiore alle medie e inferiore alle necessità, visto il deficit ormai accumulato a partire dall’autunno 2021 in poi. In settem bre sembrava che si fosse arrivati ad una svolta in tema temperature, dopo aver registrato la seconda estate più calda di sempre da quando abbiamo rilevazioni, ma l’illusione è durata poco visto il successivo mese di ottobre di cui parlerò nella seconda parte dell’ar ticolo.
Per quel che concerne le tempe rature, risulta molto interessante la fig. 1 nella quale vengono ripor tate quelle rilevate in Italia nel mese di settembre, con alcune zone, in particolare il Nord Est, con tempera ture inferiori alla media del periodo 1991/2020 e altre, Sardegna e Sicilia in particolare dove le tem perature sono state su periori. Il settembre 2022 a livello nazionale è stato comunque il 20° più caldo dal 1800 ad oggi, con un’a nomalia di temperatura di +0,8°C rispetto alla media 1991/2020, più caldo fu quello del 1987 con un’anomalia di +2,29°C e più freddo quello del 1851 con ben -4,8°C
Come dicevo in apertura, tornando alle precipita zioni, la situazione non è risolta, a metà ottobre in Trentino c’erano an
cora comuni con pochissima acqua potabile e riforniti con autobotti come Ronzo Chienis e Brentonico, complici ancora una volta le scarse piogge, dal 1° ottobre abbiamo dovu to attendere il giorno 22 per rivedere precipitazioni, tuttavia solo in alcune
zone del Trentino, in particolare ad ovest sud ovest, si sono raggiunti i valori medi del periodo, peraltro le precipitazioni si sono concentrate in quattro giorni tra il 22 e il 25 del mese.
IL CALDO MESE DI OTTOBRE
Il mese di ottobre non è ancora terminato mentre sto scrivendo questo articolo ma ancora una volta sarà un mese da record per quanto riguarda le temperatu re. Un anticiclone vastissimo si estende dall’Algeria fino al Circolo Polare Artico portando tempe rature superiori alle medie su praticamente tutta l’Europa, in Italia anche fino a 10°C sopra media, in molte zone si supereranno i 30°C di massima e in Francia si prevede di registrare temperature sopra la media anche fino a +15°C.
Eloquenti a tal proposito la fig. 2 che mostra le anomalie previste nel periodo 22-29 ottobre in Europa (a destra la legenda con la scala di temperatura) .
La fig. 3 che mostra l’ano malia di temperatura per l’intero Pianeta per la gior nata del 24 ottobre, anche qui sono ben evidenti le temperature sopra media sull’Europa ma anche su parte del Nord Africa, Est USA e Groenlandia e non solo. L’ultima settimana di ottobre sarà ricordata a lungo per le temperature registrate e probabilmen
te avrò modo di parlarne in futuri articoli.
A causare queste anomalie di tempe ratura e anche di scarsità di precipi tazioni sono diversi fattori collegati ai cambiamenti climatici in corso, da un lato l’Anticiclone delle Azzorre, che negli anni passati accompagnava
spesso le nostre estati garantendo un tempo caldo ma senza onda te di calore grazie all’aria dell’Oceano Atlantico più fresca, ha la sciato molto più spesso il posto ad anticicloni di origine subtropicale provenienti dal Nord dell’Africa, che trasportano aria molto calda direttamente dal deserto del Sahara e spesso con il relativo pulvi scolo/sabbia che contribuisce all’au mento di polveri sottili soprattutto in Pianura Padana.
Questa prima causa comporta secon dariamente uno straordinario aumen to della temperatura di superficie dell’acqua del mare Mediterraneo, al giorno 23 ottobre l’anomalia di tem peratura nel Mar Ligure; mar Tirreno, Mare di Sardegna e Mare di Sicilia era di circa +3°C/4°C superiore alla media e questa situazione prosegue da gran parte dell’estate. La tempera tura elevata del mare comporta a sua volta l’aumento dell’umidità e l’ac cumulo di molta energia che in caso di piogge porta spesso a nubifragi devastanti, vedasi quanto successo nelle Marche il 15 settembre, solo per citare alcuni dati il pluviometro di Cantiano, uno dei comuni più colpiti in 4 ore ha registrato 265 millimetri di pioggia con un picco di 90 mm in una sola ora, ovvero in poche ore è caduto il 30% della pioggia che cade solitamente in un intero anno.
Ai prossimi mercatini di Natale la prima “POKÈ TRENTINA”
L’intuizione potenzialmente vincente, in grado di unire le prelibatezze locali con un “fenomeno alimentare” ormai in co stante espansione. Dall’idea dei cin que soci fondatori di Trentino Food srl – Dino Bahtic, Cristian Verdes, i fratelli Francesco e Gabriele Della Noce ed infine Andrea Casna – ecco la prima pokè trentina, ribattezzata “Pokè Mo nade” che, con i prossimi mercatini di Natale, farà capolino nella casetta in piazza Cesare Battisti assegnata proprio agli ideatori dell’iniziativa. Ma esattamente, di cosa si tratta? « La pokè non è altro che una ciotola con dentro diverse tipologie di alimenti: un prodotto nato in terra hawaiana ma che, con il tempo, ha viaggiato fino a noi – hanno spiegato France sco Della Noce e Dino Bahtic i quali, insieme agli altri ragazzi, attualmente gestiscono anche il ristorante Healthy
Color di via Travai, dove questo genere di piatto è all’ordine del giorno. – Lo scorso mag gio abbiamo visto il bando per partecipare ai mercatini di Natale e ci siamo detti “perché no?”. Serviva però un prodotto nuovo, attrattivo, qualcosa che potesse dare la spinta giusta. Perciò abbiamo pensato alle pokè realizzate con prodotti puramente trentini e di alta qualità, per soddisfare le esi genze di tutti » Se dunque, tradizionalmente, queste ciotole contengono verdure, salmone o tonno cru di, salse come quella di soia e soprattutto riso sushi o basmati (ingrediente alla base del piat to), ecco che i cinque ragazzi hanno pensato alla svolta: polenta di Storo, carne targata salumificio Belli, verdure fresche locali, speck e formaggi trentini. Tutto unito all’interno della prima pokè nostrana, una cosa sicuramente innovativa che potrà richiamare diversi curiosi. L’intento infatti è quello di coinvolgere quanti più cittadini (e turisti) possibili e di tutte le età, per far conoscere le particolarità di un prodot to che, nonostante sia ormai diffusissimo anche nella nostra piccola città (solo nell’ultimo anno sono stati aperti almeno tre nuovi locali), non ha ancora superato definitivamente lo scoglio della diffidenza. « Ci saranno cinque pokè già pronte, con carne salada, salsiccia, spezzatino, cotechino
e trota salmonata – hanno aggiunto i giovani. – Ma per chi volesse sceglie re i propri ingredienti, ci sarà la “pokè monade”, la ciotola personalizzabile e che potrà essere assemblata a seconda dei propri gusti. Speriamo che i clienti abbiano voglia di provare un’esperienza del tutto nuova ma assolutamente “trentina” » . Ed in base alla risposta del pubblico, la Trentino Food non esclude l’idea di aprire un negozio basato esclusivamente su questa tipologia di prodotto: « È un progetto concreto sul quale faremo dei ragionamenti, ma dopo la fine dei mercatini. Nel frattempo pubblicizze remo tutto sui social e daremo gran de risonanza a questa iniziativa, per far sì che quante più persone possibili sappiano della nostra pokè trentina. Invitiamo i clienti a farci sapere la loro opinione, così da capire se l’idea piace e se c’è modo di svilupparla
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