Premiata Salumeria Italiana 4-2021

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 4 Luglio-Agosto 2021

€ 6,70



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SAPERE

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S A PE R E /sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze. 6LJQLÀFD HVVHUH WUDVSDUHQWL LQ FLz FKH VL ID Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

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N. 4

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Anno XXXIII Luglio-Agosto 2021

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni)

Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne EURO ANNUARIO CARNE 2021

Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone

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La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Premiata Salumeria Italiana, 4/21

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

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N. 4

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 122.

In questo numero:

Agenda

Parma – Sasso Marconi (BO) – Modena – Bra (CN) – Milano

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Immagini

I fratelli Zivieri

16

Salumi & Co.

Green in bottega

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Fotografati e mangiati

Imola 1962 – Salame di Varzi DOP

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Il food in rete

Social food

Aziende

Eventi

Elena Benedetti

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Un sogno chiamato Fattoria Zivieri

Gaia Borghi

26

Il Suino Nero delle Alpi nei salumi di MA!

Gaia Borghi

32

Il Crudo di Cuneo DOP in piazza S. Carlo a Torino

38

Slow Fish 2021: Genova va alla scoperta (anche) dei salumi di mare

42

Interviste

Raffaele Bertolini, tagliato per il gusto

Elena Benedetti

46

Assemblee

Un progetto per accrescere la conoscenza dei salumi italiani

Anna Mossini

54

Indagini

Gnam Gnam Style: in 100 grammi di roll i consumi degli Italiani

Prodotti tipici

64

Estate, tempo di raccolta di mieli davvero speciali

Chiara Papotti

72

La Signora di Conca Casale

Roberto Villa

76

Antichi e preziosi salumi d’oca

Giovanni Ballarini

80

Capocollo di Martina Franca

Chiara Papotti

86

A pagina 128.

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 4 Luglio-Agosto 2021

€ 6,70

In copertina: le eccellenze della Food Valley in vetrina a Cibus 2021 (photo © Massimiliano Rella).

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Belle Botteghe

Gastronomia Cerasella

Massimiliano Rella

90

Salumi cotti Marini, un trittico di bontà

Federica Cornia

94

Peck va al Forte Locali di gusto Salumi in tavola

Il gusto di camminare

96

Testone, una specialità umbra alla conquista del Nord Italia

Federica Cornia

100

Ciccioli frolli, snack della tradizione

Nunzia Manicardi

102

Prosciutto e melone: cucinatevi l’estate

Giorgia Fieni

104

Aperitivo con le cialde abruzzesi

Gaia Borghi

106

Lungo “quel ramo del lago di Como”

Elena Simonini

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A pagina 32.

A pagina 71.

A pagina 102.

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Il calore di casa in ogni momento

Famiglia

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SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE

SENZA GLUTINE


A pagina 112.

A pagina 72.

A pagina 104.

Vino

Volti di Barbaresco

112

La stagione dell’Alvina

Gaia Borghi

116

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: gita in montagna

Laura Franchini

118

Formaggio

Say Cheese, Say Beer

Sono 180 grammi, lascio?

Mangia!

Fiere

Tuttofood in presenza a ottobre per toccare con mano tutto il bello del food

128

Tecnologie

Rintracciabilità senza lacune in cinque punti

132

Tre libri

Perché gli spaghetti alla bolognese non esistono? Pane & Panettieri d’Italia 2022 Metafisica, filosofia e scienza del cibo

136

122 Giovanni Papalato

126

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AGENDA

Parma Cibus 2021 sarà la prima grande fiera internazionale italiana B2B a riaprire in presenza a Parma dal 31 agosto al 3 settembre. Nel lungo periodo del lockdown, l’agroalimentare made in Italy non solo ha soddisfatto la domanda domestica, ma ha aumentato le sue quote di esportazione. La richiesta dall’estero, infatti, è stata crescente, sia per quanto riguarda i prodotti tipici della Dieta Mediterranea (pasta, pomodoro, olio, formaggi), sia per i prodotti premium. Buone premesse, dunque, per una forte ripresa produttiva del comparto e il consolidamento di nuove posizioni sui mercati internazionali. In esposizione a Cibus ci saranno tutte le merceologie: dai salumi ai formaggi, dalla pasta al pomodoro, dall’olio ai prodotti da forno, dal beverage al grocery, dai surgelati ai prodotti locali, e altro. Si aggiungerà anche una nuova area dedicata al canale dell’HO.RE.CA. (ristoranti, bar e affini), chiamata “Ho.Re.Ca. The HUB”, in collaborazione con Dolcitalia. Tanti i nuovi prodotti che saranno presentati a Cibus 2021, già consultabili sul sito della fiera. Segnaliamo anche la convegnistica del XX Salone Internazionale dell’Alimentazione, chiamata Cibus Forum oltre ad un convegno sui prodotti alimentari italiani a denominazione d’origine, per presentare le best practice di prodotti certificati che contribuiscono ad un’alfabetizzazione del gusto, e incontri sulla ripresa dei consumi e sui cambiamenti nei processi di distribuzione ed acquisto (photo © MDiSchiavi). www.cibus.it

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Sasso Marconi (BO) La 12a edizione di Chef… al Massimo, una giornata di festa “carnivora” pensata e organizzata ogni anno per ricordare Massimo Zivieri, pioniere dei concetti di tracciabilità della carne, di carne etica e consapevole, si svolgerà domenica 5 settembre nella cornice da sogno della Fattoria Zivieri a Sasso Marconi. Sarà festa grande con le visite alla fattoria didattica e alle stalle, i menù degustazione a base di carne e salumi prodotti dalla famiglia Zivieri nella loro filiera integrata tra allevamenti, lavorazione e ristorazione. Un appuntamento da non mancare, previa prenotazione (photo © Fattoria Zivieri). www.fattoriazivieri.it

Modena L’appuntamento con iMEAT, l’unica fiera dedicata al negozio di macelleria, gastronomia e ristorazione specializzata è per le giornate del 12, 13 e 14 settembre presso il quartiere fieristico di Modena. Negli ultimi anni il comparto della carne ha subito una forte evoluzione che ha portato a metodologie innovative sia da un punto di vista tecnico che propositivo. Proprio da questa constatazione nel 2013 ECOD ha creato iMEAT, una fiera dedicata esclusivamente alle attività operative nel settore della carne: macellerie al dettaglio, gastronomie, ristorazione specializzata. iMEAT mette in relazione questi operatori con i fornitori di tutti le merceologie dedicate in quanto unica fiera nazionale business to business. iMEAT, inoltre, costituisce un momento di approfondimento di varie tematiche e di aggiornamento su una serie di problematiche che guardano al futuro del settore. iMEAT si svolgerà a ModenaFiere, una location facilmente raggiungibile (nei pressi del casello autostradale Modena Nord) e, nello stesso tempo, una struttura ampiamente collaudata nella realizzazione di iniziative dedicate all’agroalimentare (photo © Kadmy – stock.adobe.com). www.imeat.it

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Bra (CN) Cheese, il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo e alle forme del latte, torna a Bra, Cuneo, dal 17 al 20 settembre. Gli organizzatori, Città di Bra e Slow Food, sono all’opera per garantire la sicurezza per tutte le aree e per tutti gli appuntamenti del programma che in queste tredici edizioni hanno garantito il successo della manifestazione. Straordinaria già oggi l’attenzione nei confronti dell’evento, sia da parte dei protagonisti di Cheese che da parte del mondo della ristorazione e dell’ospitalità del territorio. La quattro giorni di settembre si conferma infatti il palcoscenico perfetto in cui pastori, casari, formaggiai e affinatori racconteranno, attraverso i loro prodotti, metodi produttivi che mettono al centro la qualità delle materie prime, il benessere animale, la tutela del paesaggio. Ecco qualche anticipazione: focus del 2021 sarà il regno animale e la varietà di connessioni con le azioni dell’uomo, dalle razze da latte che garantiscono reddito alla microbiodiversità, dalle api a tutti gli altri impollinatori indispensabili per l’allevamento al pascolo. Senza di loro infatti non esisterebbe l’infinita biodiversità casearia che tocchiamo con mano a Cheese e che rappresenta un pezzo importante della storia dell’umanità. Ancora una volta, quindi, i formaggi si rivelano i perfetti testimonial di un’avanguardia che affonda le proprie radici nel solido e millenario rapporto tra esseri umani, animali e ambiente. Ritroveremo il grande Mercato dei Formaggi e le bancarelle dei presidi Slow Food, ma non solo. Immancabile la Gran Sala dei Formaggi e l’Enoteca dove abbinare un buon calice di vino alle decine di formaggi naturali e a latte crudo. A chi vuole ritrovare il piacere di saperne sempre di più sono dedicati i Laboratori del Gusto (a Bra e a Pollenzo, a pochi chilometri da Bra, presso la Banca del Vino), con formaggi in abbinamento a pani, vini e birre, e i percorsi educativi pensati per grandi e piccini. Mentre per chi vuole chiudere la giornata in bellezza, niente di meglio di un Appuntamento a Tavola, le cene ospitate nelle sale dell’affascinante Agenzia di Pollenzo, con cuochi selezionati da Slow Food e la loro personale interpretazione del territorio e della biodiversità attraverso le forme del latte. Come sempre, la manifestazione si colora delle interpretazioni regionali proposte dalle Cucine di strada e dalle originali preparazioni espresse dei Food Truck, il tutto arricchito dai birrifici selezionati (photo © Paolo Properzi, Archivio Slow Food). cheese.slowfood.it

Milano L’edizione numero sedici di Identità Golose, la grande kermesse dedicata ai protagonisti della cucina e della pasticceria d’autore, sarà organizzata come di consueto a Milano, negli spazi del Mi.Co., da sabato 25 a lunedì 27 settembre per “Costruire un nuovo futuro: il lavoro”, in un periodo insolito per il congresso che, fin dal suo esordio, si è sempre tenuto nel primo trimestre dell’anno. Una scelta obbligata dalla necessità di pianificare l’evento in sicurezza, senza rinunciare agli elementi che l’hanno sempre caratterizzato. Obiettivo sarà dare voce al mondo della ristorazione quando la pandemia che ha invaso le nostre vite avrà smesso — si spera e si prevede — di mordere “per riscoprire nei ristoranti non solo luoghi in cui le relazioni possono avvenire in sicurezza, ma in cui talenti, professionalità ed eccellenze del territorio devono continuare ad essere coltivati e valorizzati” (photo © dissapore.com). instagram.com/identitagolose

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Circuito “Città del Vino”: il Lambrusco vince (e piace) tanto. Oro doppio a Cantina Garuti per “Valentina” e “Dante secco” Nel 2001 si chiamava “Selezione del Sindaco”, nome che racchiudeva tutta l’originalità del concorso enologico internazionale Città del Vino: il sindaco di una “Città del Vino” presentava idealmente i “suoi” vini in rassegna per valorizzare la qualità delle produzioni vitivinicole locali. Il nome è cambiato ma l’originalità è rimasta: il Concorso enologico internazionale Città del Vino premia ancora oggi le aziende vitivinicole e i loro vini, ma premia anche i comuni dove le aziende operano, la “cultura del vino sul territorio”. E fare da padrone, nel concorso che si è tenuto a maggio, ma la cui cerimonia di premiazione si è svolta soltanto nel mese di luglio, è stato il territorio modenese grazie al “suo” Lambrusco, un vitigno pregiato alla cui produzione si dedica da più generazioni l’Azienda Agricola Garuti di Sorbara. Fondata nel 1920, Cantina Garuti ha realizzato recentemente una nuova linea di vini per celebrare i suoi primi 100 anni e proprio due di loro, il Lambrusco di Sorbara DOP “Valentina” Brut 2020 e il Lambrusco di Sorbara DOP “Dante secco” 2020 si sono aggiudicati due Medaglie d’oro. A Dante, Valentina e ai fondatori la famiglia Garuti dedica questo importante riconoscimento. >> Link: www.facebook.com/garuti.vini

Evo School Italia, la prova di una nuova sensibilità Che in Italia ci sia una rinnovata attenzione verso l’olio d’oliva e la sua produzione, dopo la Giornata Nazionale della Cultura del Vino e dell’Olio promossa poco più di dieci anni fa grazie all’AIS – Associazione Italiana Sommelier, lo denota la nascita tre anni fa della Scuola dell’olio evo per volontà della Confederazione Nazionale Coldiretti e del Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati. La scuola, con sede a Roma, che gode del pieno supporto operativo di Fondazione Campagna Amica e di UNAPROL – Consorzio Olivicolo Italiano, punta e punta a valorizzare la produzione olivicola italiana, formare professionisti del settore, diffondere le conoscenze per un uso corretto dell’olio evo e ad evidenziarne le qualità e le proprietà salutistiche. È rivolta a imprenditori agricoli, consumatori, buyer, operatori della ristorazione, frantoiani, appassionati e blogger, e si avvale di docenti esperti del settore olivicolo, tecnici, agronomi e assaggiatori professionali. La scuola divide l’offerta didattica in una parte teorica e in una formazione sensoriale che prevede incontri, prove e degustazioni in parte free e in parte a pagamento, dai corsi di base a quelli avanzati per diventare assaggiatori iscritti all’albo. L’obiettivo è quello di portare chiarezza nell’ambito della formazione sull’olio in cui oggi c’è una grande confusione. La battaglia è per la qualità e la salute e per restituire all’olio evo l’eccellenza che gli spetta. E il fare cultura è il primo, importante passo. Sia per i consumatori che per i produttori. E dopo che negli States l’olio è stato definito “prodotto-farmaco”, si aprono nuovi scenari. >> Link: www.evooschool.it

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IMMAGINI

I fratelli Stefano, Fabrizio, Elena e Aldo Zivieri (e Zigulì) ci presentano e ci accolgono all’interno di Fattoria Zivieri, 80 ettari di terreno sulle colline di Sasso Marconi, ad una mezz’ora circa di auto da Bologna, con allevamenti, orto, camere e appartamenti in cui soggiornare, la cucina per la ristorazione, spazi per eventi, una bottega dove comprare le carni, i salumi, i formaggi e la frutta e la verdura prodotti in azienda. Un sogno che nasce da lontano, in una piccola macelleria di montagna, e che oggi si avvera. Ma non è certo un punto di arrivo: il bello inizia ora! Leggete la loro storia a pagina 26.

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SALUMI & CO.

Green IN BOTTEGA Ambiente, sostenibilità, green sono i macro trend di questi anni: ognuno di noi può dare il proprio contributo al benessere del Pianeta, dai piccoli gesti quotidiani alla scelta di utilizzare certi materiali a discapito di altri. Anche negli arredi della propria bottega, salumeria, gastronomia si può dare un segnale green, ad esempio con una parete vegetale per interni. I benefici? Tanti, secondo VERDE PROFILO: “le pareti vegetali per interni sono in grado di ridurre il rumore e lo stress, purificare l’ambiente da molecole, particelle e microrganismi nocivi, aumentare la concentrazione, la soddisfazione e la produttività fino al 15%”. A noi piace questa fatta di piantine di menta, profumatissima, fresca, perfetta per l’estate (photo © godji10 – stock.adobe.com).

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Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni O.W.

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

IMOLA 1962 www.clai.it

Produttore: CLAI Regione: Emilia-Romagna. Ingredienti: carne suina di origine 100% italiana stagionata oltre 8 settimane. Senza: conservanti, glutine, latte e derivati. Descrizione: si chiama Imola 1962 e sul packaging c’è la firma di Gabriele Gardini, il giovane ricercatore di CLAI che ha lavorato a questo nuovo progetto. È un salame speciale perché completamente privo di conservati, piacevolissimo all’assaggio, dal sapore delicato e gustoso. Il nome è stato scelto da CLAI per sottolineare il forte legame che la Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi ha con il territorio: la sua fondazione è avvenuta appunto a Imola nel 1962. In abbinamento a: gnocco fritto o piada romagnola e, naturalmente, un calice di Lambrusco fresco.

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SALAME DI VARZI DOP www.salumificio-valverde.it

Produttore: Salumificio Valverde. Regione: Lombardia. Ingredienti: carne di maiale, sale, pepe in grani, aglio, vino rosso. Senza: glutine. Descrizione: la sua comparsa risale all’epoca longobarda. Nel XIII secolo era sulle tavole dei Marchesi Malaspina, signori di questo territorio, i quali lo offrivano agli ospiti come pietanza eccezionalmente prelibata. Questo salame era anche comune nelle campagne, prodotto dai contadini che avevano nell’allevamento del maiale una fonte preziosa di sussistenza. La sua ricetta è unica e sostanzialmente immutata nel tempo e nel 1996 ha conseguito la DOP. Al taglio è morbido e all’assaggio è delicato e dal sapore caratteristico e fragrante. In abbinamento a: miccone, pane tipico dell’Oltrepò Pavese, e una bollicina di Franciacorta.

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena 1. La “Professional pasta eater” Si chiama ELIZABETH MINCHILLI ed è blogger, scrittrice, fotografa, organizzatrice di food tour e @sminchilli su Instagram. Si definisce una “mangiatrice professionista di pasta” e il suo profilo instagram.com/sminchilli è il racconto delicato e curioso di tante storie: produttori, personaggi del suo quartiere romano, persone che incontra sul suo cammino e che hanno qualcosa di bello da raccontare nella scoperta della cultura enogastronomica del nostro Paese (in foto, uno scorcio nel centro storico di Bari; photo © instagram.com/sminchilli).

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2. Ci siamo rifatti il look! Questa volta parliamo anche di NOI! Siamo felici di annunciarvi che, con l’aiuto di Esc Agency, abbiamo rinnovato pubblicitaitalia.com, il portale di Edizioni Pubblicità Italia, la casa editrice modenese che dal 1986 pubblica Premiata Salumeria Italiana (oltre ad altre testate trade dell’agroalimentare). Il nostro obiettivo? Essere sempre più connessi con voi lettori, agevolando l’accesso ai contenuti (abbiamo oltre 19.000 articoli on-line), alle notizie di settore e ai nostri canali social. Vi aspettiamo su premiatasalumeriaitaliana-online.com

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FOOD Benedetti

3. Drogheria Gourmet a Ragusa Si chiama Delicatessen in Drogheria, è a Ragusa ed è un posto magico fondato da MARCO BRUGALETTA: un po’ bottega di generi alimentari, drogheria, gastronomia e panineria con posti a sedere. Ci trovi di tutto un po’, buono e selezionato: conserve, legumi, frutta secca, salumi e formaggi artigianali, dolciumi oltre a vini naturali e birre artigianali. «Siamo un team di ragazzi giovani e motivati, ci lega la stessa passione e siamo sempre pronti ad accogliervi e consigliarvi i prodotti migliori, con il sorriso genuino che ci contraddistingue». E anche sui social ci mettono la faccia! Questo è PAOLO, gastronomo di Delicatessen. Da seguire su instagram.com/delicatessen_in_drogheria. Vendono anche on-line: delicatessenragusa.it.

4. Tutti a Riccione da Soccia Si chiama SOCCIA ALIMENTARI ed è un posto mitico di Riccione, non solo d’estate. Bottega alimentare con una splendida selezione di salumi, formaggi e vini, Soccia è un progetto di RI CCA RD O PA RI SI O e noi lo seguiamo fedelmente anche su instagram.com/soccialimentari, un profilo disordinato, istintivo e, soprattutto, molto autentico. Qui una selezione di salumi dalla Basilicata con pezzente, lombetto lardellato, guanciale e pancetta tesa (photo © instagram.com/soccialimentari).

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Conoscete il Viccio cilentano? Le famiglie contadine nel Parco del Cilento preparavano questo disco di pasta ricavato dall’impasto del pane, a forma di ciambella, che si preparava per testare la temperatura del forno poco prima di infornare il classico pane e subito dopo la pizza. La società Jeff Brothers Srls ha realizzato un bel progetto col portale vicceria.com con annesso e-shop nella “Dispensa”. “Il Cilento è una terra generosa, ricca di prodotti e materie prime di altissima qualità che raccontano l’anima di questi luoghi meglio di quanto possa fare qualsiasi guida scritta”. * A noi piacciono molto i Viccio Box, come questo Viccio a Pertosa, contenente Capocollo artigianale Selezione Antica Beccheria Donnarumma, crema di carciofini Maida, formaggio di capra semistagionato e rucola della Piana del Sele. Spettacolo! * Seguiteli anche sulla loro pagina Instagram, instagram.com/vicceria (photo © vicceria.com).

«Voglio essere un ambasciatore della cucina cilentana»: a dirlo è Geppino Croce, autodefinitosi “chef contadino” e “papà” del progetto della “Vicceria”. «Sono nato a Bellosguardo, nel Cilento, e in questo angolo di paradiso sono cresciuto appassionandomi alle tradizioni di questo territorio, compresa la sua cucina, apparentemente semplice eppure depositaria di un sapere antico». Il suo obiettivo? «Condividere i nostri sapori anche fuori dai confini cilentani».

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I magnifici 7 del Financial Times Il Financial Times (www.ft.com) ha pubblicato la classifica dei 50 food store migliori nel mondo, ovvero, “dove trovare i migliori prodotti, dal classico deli newyorkese all’emporio di spezie indiano, dal rivenditore di salsicce tedesche alla… salumeria italiana”. E sono infatti ben 7 botteghe tricolore selezionate dalla testata statunitense, da Roma a Sondrio, passando per Milano, Venezia e la provincia di Pisa. Orgoglio nazionale. Eccole di seguito (in foto, il feed instagram di www.instagram.com/beppeeisuoiformaggi): • Beppe e i suoi formaggi, Roma (beppeeisuoiformaggi.it); • Bottega Fratelli Ciapponi, Morbegno, Sondrio (ciapponi.com); • Casa del Parmigiano, Venezia (casadelparmigiano.ve.it); • Macelleria-Norcineria Sergio Falaschi, San Miniato, Pisa (sergiofalaschi.com); • Mascari, Venezia (imascari.com); • Peck, Milano (peck.it); • Roscioli Salumeria con Cucina, Roma (shop.roscioli.com).


AZIENDE

Un sogno chiamato Fattoria Zivieri di Gaia Borghi

Sulle colline di Sasso Marconi, ad una mezz’ora circa di auto da Bologna, c’è un’oasi verde fatta di animali, orto, cucina, camere e bottega. Agriturismo, fattoria didattica e impresa che punta alla valorizzazione del territorio. Un progetto che nasce in una piccola macelleria di montagna e oggi diventa realtà

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n luogo fatto di Appennino, di collina, di agricoltura e di animali. Di ospitalità nella natura. Di cibo buono e di pace, ricercata, ritrovata. Un sogno che nasce da lontano e che oggi si avvera. Ma non è certo un punto di arrivo. «Perché il bello inizia ora» dice ALDO ZIVIERI, titolare con i fratelli FABRIZIO, ELENA e STEFANO dell’omonima macelleria

U

che vedeva la luce nel lontano 1987 a Monzuno, piccolo comune situato sempre sulle colline bolognesi, e che dal 2017 ha la sua sede principale nella zona industriale di Zola Predosa, meno scenografica se vogliamo ma decisamente più comoda dal punto di vista logistico. In quest’area si trovano uno stabilimento di oltre 500 m2 di superficie dedicato alla trasformazione,

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alla vendita diretta e alla distribuzione delle carni e, proprio accanto, un laboratorio dedicato esclusivamente alla produzione di salumi, dalla mortadella artigianale al salame rosa al salame di Mora romagnola. All’inizio del 2020, in linea con le proprie mutate e maggiorate esigenze, è stato inoltre preso in gestione un macello nel comune di Valsamoggia, a pochi chilometri da Zola Predosa.

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A sinistra: l’ingresso con reception per accedere alle quattro camere grazie alle quali si può soggiornare all’interno di Fattoria Zivieri, insieme a quattro appartamenti ubicati in un altro stabile. L’arredamento delle stanze è arricchito dalla presenza di mobili in legno restaurati o realizzati appositamente dalla falegnameria presente in Fattoria. In alto: tra i tanti animali presenti in Fattoria anche pecore biellesi e capre della Val Nerina. Tutte le greggi sono allevate allo stato semibrado: quando la stagione lo consente, gli animali sono portati al pascolo in aree fuori della proprietà, liberi di nutrirsi di ciò che la natura offre. In basso: Andrea Flora, direttore di Confagricoltura Bologna, Giancarlo Tonelli, direttore Confcommercio Ascom Bologna, Aldo, Elena e Fabrizio Zivieri e Giancarlo Nigelli.

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La cucina di Fattoria Zivieri, il rispetto per la terra e il territorio “Dicono che la buona cucina si svegli ogni mattina senza sapere che piatti preparerà per il mezzogiorno. La buona cucina va al mercato e studia i banchi, individua le verdure più fresche, i migliori formaggi della zona, la frutta più profumata… e solo a quel punto decide cosa portare in tavola. È proprio a questa filosofia che ci siamo ispirati per l’organizzazione della cucina della Fattoria Zivieri. I banchi del mercato da noi sono sostituiti dall’orto, dal caseificio, dagli allevamenti: la maggior parte dei prodotti proposti nei nostri piatti provengono dalla nostra azienda agricola e per i restanti ci avvaliamo della collaborazione di produttori locali. La carne ed i salumi, punta di diamante della nostra proposta culinaria, sono tutti della filiera chiusa Zivieri, una filiera che presta la massima attenzione al benessere degli animali e dell’ambiente in cui questi vivono: basterà una lenta passeggiata tra i nostri pascoli per apprezzare il modo in cui, qui da noi, gli animali vengono lasciati crescere. Ma la garanzia del nome Zivieri la troverete anche tra le proposte di selvaggina, di funghi e di tartufi: il bosco rappresenta senza dubbio un altro ‘banco del mercato’ dal quale attingiamo con grandissima attenzione. I sapori della NATURA, la tradizione della CUCINA emiliana e il piacere dell’OSPITALITÀ in ogni sua forma”: questi sono gli ingredienti e l’essenza dei piatti che potete gustare a Fattoria Zivieri. A dirigere le “danze” ai fornelli, Lorenzo Biagioni.

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La bottega della Fattoria per acquistare e/o degustare le carni e i salumi della filiera Zivieri, insieme agli altri prodotti dell’azienda, dalle verdure alla frutta di stagione ai formaggi ai vini del territorio. Ospiti di questa meravigliosa famiglia e dei soci di questo straordinario progetto che vede finalmente la luce, abbiamo visitato Fattoria Zivieri, che inizia la sua stagione di accoglienza nello splendido scenario di Sasso Marconi. 80 ettari di terreno con gli allevamenti, l’orto, le camere, la cucina, spazi per eventi, una bottega dove comprare le carni, i salumi, i formaggi prodotti in azienda. Un’apertura coraggiosa, fatta dopo un anno e mezzo che definire difficile è per molti versi riduttivo e che ha colpito gli Zivieri in maniera particolarmente tragica, avendo i quattro fratelli perso i genitori, GRAZIANO e ADUA, nel giro di poche settimane l’uno dall’altro proprio a causa del Covid. «Nell’affrontare quest’ultima iniziativa voglio ringraziare in primis i miei fratelli, coi quali siamo

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riusciti a far fronte comune alle tante difficoltà continuando a lavorare coesi con l’unico obiettivo di realizzare questo sogno che viene da molto lontano» racconta Aldo. «Subito dopo vorrei ringraziare i nostri collaboratori, una squadra di ragazzi fantastici, alcuni dei quali sono con noi e ci seguono in tutte le nostre attività oramai da tanto tempo. Infine, un ringraziamento particolare va ai soci che ci hanno accompagnato in questa avventura: GIANCARLO NIGELLI e ROBERTO MELLONI, LICIA FRANCHINI e LUCIANO MESSORI. Soci che hanno condiviso ciò che all’inizio era soltanto una speranza, poi è diventata una follia e ora è, forse — aggiunge con un sorriso — divenuta realtà». Un realtà che da oggi è dunque possibile visitare, conoscere, “assaggiare”, esperire in varie modalità, a

seconda delle proprie esigenze. «Sperando che l’orrenda parentesi vissuta in quest’ultimo anno e mezzo si chiuda una volta per tutte — conclude Aldo — vorremmo che Italiani e stranieri, turisti e non, potessero tornare in luoghi come questo, un rifugio in cui trascorrere del tempo diverso da quello scandito dalla quotidianità e dalla frenesia cittadina, nel quale tornare a scoprire e imparare a godere di quel qualcosa di cui molto probabilmente nessuno di noi può fare a meno». Il controllo diretto su tutta la filiera produttiva di proprietà Fattoria Zivieri nasce negli spazi di quello che fu uno dei primi agriturismi e fattorie didattiche della regione Emilia-Romagna. E proprio l’intento

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Allevamenti, orto, cucina, bottega, camere, spazi per eventi: Fattoria Zivieri rappresenta la naturale prosecuzione del lavoro fatto fino ad oggi della famiglia Zivieri che, in questa nuova avventura, ha al proprio fianco quattro soci imprenditori che hanno condiviso in toto la visione del progetto, Licia Franchini, Roberto Melloni, Luciano Messori e Giancarlo Nigelli. Un realtà che da oggi è possibile visitare, conoscere, “assaggiare”, esperire in varie modalità, a seconda delle proprie esigenze.

“didattico” è centrale nella filosofia che sottende alle diverse e numerose attività della famiglia Zivieri, la quale, anche per questo motivo, ha deciso di abbandonare la gestione del Teatro della Carne di FICO e uscire dal relativo progetto, non condividendone più le linee direttive, orientate maggiormente ad un’idea di “parco del divertimento”. D’altronde, con 450 animali tra bovini, suini, ovini e caprini, allevati allo stato semibrado, polli da carne e galline, cavalli e asini, un orto di oltre due ettari, quattro camere e cinque appartamenti, e una cucina in grado di accogliere, tra interno e esterno, oltre 400 ospiti, di cose da fare e su cui concentrare tutto il proprio impegno ce ne sono più che a sufficienza. «Qui uomo e natura ritrovano un equilibrio, si può staccare la spina e dedicarsi a fare qualcosa di bello» ha sottolineato il direttore di CONFCOMMERCIO ASCOM GIANCARLO TONELLI. «Puoi restare a pranzo e/o a cena, pernottare, pas-

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seggiare, visitare la fattoria didattica insieme ai bambini. È un intervento importante dal punto di vista imprenditoriale che, dopo 16 mesi di pandemia, rende accessibile un contesto di benessere, salute e riflessione». «Questo posto meraviglioso lo conosco da 30 anni» rimarca infine il direttore di CONFAGRICOLTURA BOLOGNA ANDREA FLORA. «Il valore aggiunto dalla famiglia Zivieri e dai suoi soci è l’aver coniugato in maniera virtuosa, in una cornice ambientale unica, il mondo dell’agricoltura e della produzione primaria con il mondo del commercio, che qualcuno, spesso, vorrebbe antagonisti». Qualcuno, forse, ma non oggi, non qui. Gaia Borghi Fattoria Zivieri Via Lagune 78 40037 Sasso Marconi (BO) Telefono: 051 0181431 E-mail: info@fattoriazivieri.it Web: www.fattoriazivieri.it

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IL SUINO NERO DELLE ALPI NEI SALUMI DI MA! C’era una volta una giovane allevatrice e il suo progetto di recupero di una razza suina autoctona della Valchiavenna. Sulla sua strada incontra lo chef Stefano Masanti e il suo laboratorio artigianale di produzione di salumi e confetture di Madesimo, Sondrio. Nasce così la gamma di salumeria di Suino Nero delle Alpi firmata MA! Officina Gastronomica. Ne parliamo con Stefano Ciabarri, uno dei soci di MA! di Gaia Borghi

Il Suino Nero delle Alpi. L’allevamento di Vera Capelli rispetta il ciclo biologico degli animali, garantendo il loro benessere.

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era Capelli è una giovane allevatrice di Roggiolo di Samolaco, in provincia di Sondrio, che nel 2017, con una laurea in Scienze delle produzioni animali in tasca, dopo aver vinto un bando per la valorizzazione del territorio e aver ricevuto dall’associazione locale Pro Patrimonio Montano i primi riproduttori, due scrofe e un verro, avvia un piccolo allevamento recuperando una razza autoctona dell’area montana che ha le sue origini proprio in Valchiavenna, il Nero delle Alpi. Una razza particolarmente rustica, allevata allo stato semi-brado, totalmente all’aperto, non avendo alcun problema di adattamento climatico e resistendo tranquillamente all’esterno anche in pieno inverno. Una razza suina data per estinta qualche decennio fa e reinserita recentemente nell’arco alpino che va dalla Valle d’Aosta all’Alto Adige proprio grazie ad un progetto di ripopolamento. Ne parliamo con STEFANO CIABARRI, che già da qualche anno, insieme allo chef STEFANO MASANTI e alla moglie RAFFAELLA MAZZINA, ha dato vita al progetto MA! OFFICINA GASTRONOMICA, da loro stessi definito come “un piccolo laboratorio di montagna che ha in sé un grande amore per la natura e il territorio”, la Valchiavenna, in cui si produce con “materie prime che trasmettono profumi e sapori delle vallate che ci circondano”, frutti selvatici, erbe spontanee, la collaborazione con i produttori del luogo, il tutto e tutti all’insegna della sostenibilità, del benessere animale, dei ritmi “antichi” e del rispetto per l’ambiente. Con la loro Brisaola artigianale — con quella “I” che la distingue volutamente dalle bresaole prodotte a livello industriale — prodotta in tre differenti stagionature (30 giorni “fresca”, 45 giorni “morbida” e 60 giorni “gustosa”) hanno raggiunto notorietà e riconoscimenti. L’ultimo nel 2019, dal Gambero Rosso, che ha premiato il salume come “Bresaola migliore d’Italia”. A completare la produzione salumiera di MA! ci sono le Slinzeghe, i leggendari Violini di Capra della Valchiavenna e, soprattutto, una gamma di salumi realizzati proprio con le carni di Suino Nero delle Alpi dell’allevamento di Vera. «Collaboriamo con Vera già da un paio d’anni» mi dice Stefano.

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In alto: Stefano Ciabarri e Stefano Masanti. In basso: da un unico taglio di lonza di Nero delle Alpi nasce il lonzino, profumato e saporito grazie ad una lunga stagionatura naturale, almeno 90 giorni, che arriva fino a 150 per la versione più gustosa. «Eravamo alla ricerca di allevatori di maiali locali e lei, che conoscevamo grazie ad un legame di parentela con Raffaella, la moglie di Stefano, pur avendo un piccolo allevamento, di nicchia,

era quella che riusciva a garantirci un numero di capi più elevato (70/75 l’anno) e con la maggior regolarità. Preferiamo le scrofe, in quanto i maschi non vengono castrati per una scelta di

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1) Salame nostrano, insaccato in budello naturale è ottenuto da carne macinata di Suino Nero delle Alpi (92%) e manzo (8%), spezie locali, aglio, vino bianco e aromi naturali. Il prodotto è commercializzato dopo una stagionatura minima di 90 giorni. 2) Pancetta di Suino Nero delle Alpi, commercializzata dopo 12 mesi di stagionatura. 3) Lardo di Suino Nero delle Alpi, un prodotto genuino, salato e poi affinato per almeno 6 mesi. 4) La mortadella di fegato di Nero delle Alpi, con il 10% di fegato di suino. Il prodotto è commercializzato in due linee: da consumare previa cottura e crudo. benessere animale, suinetti, magroni e adulti dai 18 mesi fino ai due anni, con un peso alla macellazione che varia dai 170 ai 190 chilogrammi». Quali sono le caratteristiche della carne di questa razza suina che la contraddistingue rispetto ad altre razze? E, soprattutto, qual è il plusvalore che ritroviamo nei salumi?

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«La caratteristica che più colpisce di queste carni, dal colore rosso acceso e dal sapore deciso, è certamente il grasso, presente in percentuale consistente. Si tratta di un grasso molto profumato e, soprattutto, davvero molto morbido, quindi difficile da lavorare nella produzione salumiera, anche solo per quanto riguarda la distribuzione delle spezie per fare un esempio. Abbiamo infatti

dovuto rielaborare tutte le nostre ricette e modificare i tempi di stagionatura per adattarci a queste sue caratteristiche ma ne è valsa la pena: il risultato è incomparabile. Sono salumi interessanti da vari punti di vista, ricchi di acidi grassi Omega-3 grazie al pascolo degli animali e che si prestano a lunghe stagionature: pensa che con le pancette e le coppe arriviamo fino ad un anno».

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Quali sono quindi i salumi che producete con le carni di Suino Nero delle Alpi? «Innanzitutto il lardo, sodo, un aroma dolcissimo, salato e poi affinato per almeno 6 mesi; la pancetta, sia stesa che arrotolata, e i guanciali, spettacolari; il lonzino, stagionato almeno 90 giorni; il salame nostrano e i salamini cacciatori bastardelli, che contengono una piccola percentuale di carne di manzo (8%); la mortadella di fegato, disponibile in due versioni: da consumare cruda o dopo la cottura. Durante l’inverno non mancano i cotechini e poi stiamo cercando di rimettere in produzione un salume antico, dimenticato, che oggi non fa più praticamente nessuno: l’Andücul della Valgerola. Il nome significa letteralmente “salame dalla carne migliore” e ricorda un altro antico salume della Valtellina, la Rösa. Si ricava dalla parte centrale del guanciale, la più piena di tenero grasso, che viene inciso, conferendo al salume l’aspetto finale che ricorda quello di un pallone da calcio. È un salume bellissimo al taglio, sembra di vedere i petali di un fiore, ma che richiede una certa abilità nella preparazione, soprattutto nella complessa fase di legatura. Abbiamo già fatto diversi esperimenti e pensiamo di metterlo in produzione per la fine di quest’anno». Col grasso in esubero dalla preparazione del lardo viene prodotta anche una crema, addizionata con sale, pepe, aglio, vino bianco e erbe aromatiche. La si può spalmare sui crostini, magari aggiungendo un po’ di miele per ottenere il famoso effetto Wow, o praticamente su qualsiasi altra cosa a cui vogliate dare sapore. Per i ragazzi di PASCOL — start-up con sede a Sondrio che ha circa due anni di vita e seleziona e vende on-line la carne di piccoli allevamenti italiani estensivi e semiestensivi, oltre alla brisaola e alla slinzeghe di Ma! — vengono infine prodotti un salame (anche nella versione in crosta di polenta) e una luganega che contengono per il 75% carne di manzo e per la restante percentuale Suino Nero delle Alpi. Un’ultima domanda a Stefano: qual è, se c’è, il tuo salume preferito? «La pancetta arrotolata, da mangiare con la focaccia calda». Fidatevi: lo chef ha sempre ragione. Gaia Borghi

La regina dell’aperitivo, ovvero la crema di lardo di Suino Nero delle Alpi da spalmare sui crostini caldi (photo © @tanovich09).

Il Salame Pascol realizzato da Officina Gastronomica MA! senza coloranti o conservanti, col 75% carne di manzo Pascol e il 25% di lardo di Suino Nero delle Alpi allevato da Vera Capelli, sale, vino rosso, spezie e aglio. Insacco in budello naturale. Il progetto di Pascol nasce dal desiderio di Federico e Nicolò di consumare carne genuina, allevata sostenibilmente e di provenienza certa. “A luglio 2019 eravamo in due. Entrambi laureati in economia a Milano, amanti della carne ma poco esperti di bovini e del mondo dell’allevamento” scrivono sul loro sito. “Abbiamo ottenuto i permessi necessari e fondato la società, poi acquistato un primo bovino dal mitico Tito, il primo allevatore selezionato, e obbligato 20 persone tra parenti ed amici ad accollarsi circa 10 kg di carne a testa, un misto semi casuale tra tagliate, bollito, costate, filetti e chi più ne ha più ne metta Oggi siamo un team di 10 persone con un’età media di 25 anni e una preparazione multidisciplinare tra zootecnia, ingegneria gestionale ed economia, acquistiamo bovini da più di 30 allevatori selezionati, serviamo oltre 1.000 clienti al mese in tutta Italia, continuiamo a migliorare ogni giorno e siamo consapevoli di avere oggi un grande prodotto e un servizio attento e facilmente fruibile” (www.pascol.it).

• www.maofficinagastronomica.com

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Photo: Gurus Lido Vannucchi

Disponibile anche al pistacchio.

www.mortadellafavola.it


IN BUONE MANI. % 100 ITALIANO


EVENTI

Il Crudo di Cuneo DOP in piazza S. Carlo a Torino Ripartono finalmente le degustazioni in presenza, nel rispetto delle norme anti-Covid, e lo storico negozio Biraghi ex F.lli Paissa di piazza San Carlo a Torino, che vanta oltre 150 anni di storia, ha ospitato una due giorni dedicata alla DOP piemontese, da assaggiare sul posto e poi portare a casa in vaschetta 38

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La degustazione torinese ha rappresentato il primo evento in presenza per il Consorzio di tutela del Crudo di Cuneo dopo oltre otto mesi di sospensione legata al contenimento del Covid. La degustazione ha riaperto, inoltre, il ciclo di incontri organizzati da Biraghi per raccontare le eccellenze enogastronomiche regionali vicine per filosofia e vocazione all’azienda e presenti nel punto vendita.

iverse centinaia di visite, nel pieno rispetto delle norme anti-Covid, e la conferma di come il prodotto sia ormai conosciuto e apprezzato, in regione soprattutto, ma anche fuori dai confini regionali. Sabato 5 e domenica 6 giugno il Crudo di Cuneo DOP è stato protagonista del negozio Biraghi di piazza San Carlo a Torino di una due giorni di degustazione guidata alla presenza di abili cortadores. Oltre alla possibilità di degustare la celebre DOP della Granda, sono state fornite informazioni relative all’area di produzione, alle caratteristiche del salume, con consigli sugli utilizzi in cucina. Questa è una delle tante attività di promozione e valorizzazione del prodotto organizzate dal Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo, costituito nel 1998 da un gruppo di imprenditori cuneesi. Tutte le attività tengono conto della limitata disponibilità di prodotto e si concentrano nelle aree del Paese dove il consumatore lo può trovare, come in tanti negozi e ristoranti presenti nell’area di Torino e dintorni (in proposito, per trovare il negozio o il ristorante dove è possibile acquistare o con-

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sumare il Crudo di Cuneo basta visitare il sito web www.prosciuttocrudodicuneo.it cliccando sulla sezione “dove trovarlo” e digitando il comune di residenza). «Dopo oltre sette mesi di blocco delle attività a causa delle norme antiCovid, sono riprese a inizio giugno le degustazioni promozionali del Crudo di Cuneo DOP. E da dove potevano ripartire le nostre iniziative se non dal cuore di Torino?» afferma CHIARA ASTESANA, presidente del Consorzio di tutela. «Il negozio Biraghi di piazza San Carlo è un vero emporio delle eccellenze enogastronomiche del Piemonte e tra queste si annovera anche il Crudo di Cuneo DOP. A fianco del banco degustazione, con affettamento a mano, il prosciutto era in vendita nella comoda e utile vaschetta in ATM (atmosfera controllata). Torinesi, turisti e curiosi hanno potuto portare a casa il prosciutto, nella comoda vaschetta che, tenuta in frigo, mantiene inalterata la qualità e la fragranza del prosciutto, anche per settimane». Il Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo ha ottenuto il riconoscimento di Denominazione di Origine Protetta per il prodotto nel dicembre 2009 e da allora ha sempre

lavorato con l’obiettivo di valorizzare l’elevato numero di suini allevati nell’area di produzione, compresa tra la provincia di Cuneo, la provincia di Asti e 54 comuni della provincia di Torino. In queste zone avvengono tutte le fasi del ciclo produttivo, dalla nascita all’allevamento dei suini, dalla macellazione alla trasformazione, passando per la stagionatura e la marchiatura. Inoltre, ogni singolo prosciutto è altamente tracciato perché accompagnato da una carta di identità con un QR-Code che raccoglie tutte le informazioni sul prodotto, ad esempio: come è stato allevato il maiale, cosa ha mangiato, dove è stato macellato e dove e quanto tempo è stato stagionato il prosciutto.

REGIONE PIEMONTE FEASR – Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale L’Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3 – Sottomisura 3.2 – Operazione 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 2/2020_B

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In alto: lo storico negozio Biraghi ex F.lli Paissa in piazza San Carlo a Torino, nel centro della città. A sinistra: nella due giorni di degustazione guidata alla scoperta del Crudo di Cuneo DOP sono state fornite informazioni relative all’area di produzione, alle caratteristiche del salume, con consigli sugli utilizzi in cucina. I torinesi, turisti e curiosi partecipanti hanno potuto degustare in loco e poi portare a casa il prosciutto nella comoda vaschetta che, tenuta in frigo, mantiene inalterata la qualità e la fragranza del prosciutto, anche per settimane.

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La riscoperta dei sapori della tradizione nel salotto di Torino “Territorio, storia e persone” sono i tre punti cardine sui quali è basato l’importante progetto dell’azienda Biraghi Spa relativo al negozio di piazza San Carlo, nel centro del capoluogo piemontese. Aperto ad ottobre 2019, è stato concepito su un modello di acquisto incentrato sulla “conoscenza”, per acquisti consapevoli e sulle “connessioni umane”: solo dalla cura delle relazioni con i visitatori è infatti possibile trasmettere la passione con la quale l’azienda, a conduzione familiare da ben 4 generazioni, si impegna da oltre 80 anni nel supportare l’economia locale valorizzando la filiera lattiero-casearia. La scelta di presentarsi nel “salotto di Torino”, cuore storico e artistico della città, scegliendo i locali ex F.lli Paissa, è stata guidata dalla volontà di riportare in primo piano il rapporto diretto col cliente. Il negozio Biraghi si propone quindi come luogo ideale dove le persone possono acquistare tutte le delizie del Piemonte e non solo. Il processo di selezione è partito dalla mappatura dei prodotti d’eccellenza che rappresentano il territorio, successivamente la ricerca si è focalizzata nell’individuazione dei migliori produttori. Per questo i marchi selezionati non rappresentano semplici fornitori, ma appassionati collaboratori, che sposano la filosofia che anima il progetto. Le aziende sono più di 100 provenienti da tutte le province piemontesi: Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Verbania, Vercelli e Torino. Sono state inserite anche alcune realtà della vicina Valle D’Aosta. Oltre ai 100 fornitori alimentari sono presenti anche aziende vinicole selezionate in collaborazione con la Banca del Vino di Pollenzo. Inoltre, in negozio si può trovare anche una selezione di prodotti sardi, grazie al legame che lega Biraghi a Coldiretti Sardegna dovuto alla collaborazione attivata nel 2017 col progetto Pecorino Etico Solidale. Particolare attenzione è stata data al restauro dei locali ex F.lli Paissa: le 11 vetrine esterne e le 2 porte di ingresso, costruite nel 1877, sono state infatti completamente ristrutturate seguendo le direttive della Soprintendenza delle Belle Arti di Torino. All’interno delle vetrine sono esposte 3 cartine enogastronomiche disegnate con china e acquerello su pergamena dall’artista Tiziana Colla. L’interno si sviluppa su due livelli per un totale di circa 200 m2 di area vendita. Gli arredi, non originali perché non più presenti al momento della ristrutturazione, risalgono ad epoche in linea con la storicità del negozio e sono delle fedeli ricostruzioni storiche volte a mantenere l’atmosfera della precedente struttura e del contesto del palazzo e della piazza. Al piano terra vi è il primo ambiente adibito alla vendita nel quale i prodotti sono esposti all’interno di quattro portali a giorno, risalenti al ‘500. Scendendo al piano inferiore si incontrano altre due sale, una delle quali custodisce l’antica Farmacia Gambarova che già nel 1740, a Biella, esercitava il lavoro di speziale dell’allora Regno di Sardegna. >> Link: biraghi.it

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Slow Fish 2021: Genova va alla scoperta (anche) dei salumi di mare l cuore di Slow Fish, l’evento di Slow Food dedicato al mare e a tutto ciò che ci “nuota” dentro e attorno e che si svolge ogni due anni a Genova, lega da sempre la sua anima più gastronomica all’educazione dei cittadini di tutte le età, proponendo una narrazione incentrata sulle connessioni tra tutti i soggetti coinvolti nei Cicli dell’acqua e partendo proprio dalle buone pratiche delle comunità che hanno saputo adattarsi ai cambiamenti degli ecosistemi. Ma nell’edizione di quest’anno (1-4 luglio) non si è parlato solo di mare, ecosistemi, sostenibilità e ambiente… Nei Laboratori del Gusto si è andati infatti alla scoperta degli affumicati, delle bottarghe, delle conserve ittiche, che non riguardano solo i pesci di mare, ma tutti gli ecosistemi acquatici, delle “povere” cozze e delle nobili ostriche, anch’esse italiane, quasi a smentire il luogo comune di ostriche e Champagne, dei salumi di mare e focaccette con deliziosi ripieni di pesce e verdure di stagione. «Salumeria di mare significa dar vita a salumi di pesce stagionati, cioè insaccati a base di pesce fresco, lavorato, insaccato e fatto stagionare proprio come si farebbe con la carne» ha detto lo chef MARCO VISCIOLA del ristorante Il Marin – Ristoro del Porto antico di Genova, che ha accompagnato i partecipanti ad uno dei Laboratori del Gusto 2021. «L’esito è strepitoso e varia ovviamente in base al tipo di pesce usato e al tipo e lunghezza della stagionatura. La sapidità e la salinità naturale del pesce sono esaltati e trasformati in un prodotto finale da affettare e gustare e abbinare a dovere».

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>> Link: slowfish.slowfood.it www.ilmarin.it

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La proposta di salumi di mare dello chef Marco Visciola (al centro, in alto) che comprendeva il lardo di seppia, il prosciutto di ricciola e il salame di palamita (photo © Matteo Bagnasacco, Archivio Slow Food).

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Bologna, riapre FICO Eataly World: il Parco da Gustare Questa estate prende il via il nuovo corso di FICO Eataly World, il parco del cibo di Bologna completamente rivisto grazie ad un investimento di 5 milioni di euro. «FICO conferma la sua vocazione di luogo in cui raccontare la filiera agroalimentare italiana — dichiara Nicola Farinetti, AD di Eataly Spa — attraverso esperienze a tema più coinvolgenti e divertenti. Si presenta come un food park completamente rinnovato e unico al mondo, pronto a riprendere lo svolgimento di quel percorso di conoscenza imprescindibile nella formazione di adulti e bambini attraverso percorsi che stimolano gli individui ad una maggiore consapevolezza alimentare». «FICO si trasforma in un experience park, un parco tematico che stimola i 5 sensi e coniuga passione per il cibo e divertimento» racconta Stefano Cigarini, il nuovo amministratore delegato di FICO Eataly World (in foto). Il nuovo FICO si estenderà su circa 15 ettari, divisi in 7 aree tematiche (l’Area dei Salumi e dei formaggi, della Pasta, del Gioco e dello Sport, del Vino, dell’Olio, dei Dolci), con nuove e spettacolari scenografie arricchite da giochi, giostre ed attrazioni a tema cibo. Completa il parco un luna park contadino, Luna Farm, con le 14 attrazioni firmate Zamperla, il più grande produttore italiano del settore. Confermati i punti fermi del progetto originale, che dal 2017 ha raccolto circa 5 milioni di visitatori: i 60 operatori della filiera agroalimentare, che offrono buon cibo ma soprattutto esperienze a tema, inclusi i grandi Consorzi come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, San Daniele, Mortadella Bologna, Aceto Balsamico di Modena e Carne Razza Maremmana Bio. Confermato il progetto km 0, per cui il cibo prodotto nel parco viene servito in tutti i ristoranti e fra gli operatori presenti. Confermato l’impegno di FICO come parco eco-sostenibile, grazie ai 55.000 m2 di impianto fotovoltaico su tetto, uno dei più grandi d’Europa, sistemi avanzati di teleriscaldamento e l’uso estensivo di materiali green e riciclabili. Lo shopping enogastronomico è garantito da 2.000 m2 di market gestito da Eataly, uno dei due soci di FICO Eataly World insieme a Coop Alleanza 3.0, mentre riprende la normale operatività del Centro Congressi. Col nuovo progetto prendono vita le 13 Fabbriche presenti: una serie di show multimediali con proiezioni animate sulle vetrate (transparent led display technology), grazie anche a speciali pellicole polarizzate, permettono di osservarne il funzionamento, simulandone il processo produttivo e svelando i macchinari in esse contenuti. A spettacolo finito è possibile per gli ospiti entrare e toccare con mano i luoghi dove si producono formaggi, pane, paste e sughi, birra e olio… Pillole di scienza e curiosità invece nelle 5 Giostre multimediali, sviluppate in collaborazione con la rivista Focus. Si tratta di padiglioni dove scoprire gli elementi primordiali legati al rapporto fra l’uomo e il cibo: la giostra del Fuoco, della Terra, del Mare, degli Animali e Dalla Terra alla Bottiglia. L’educazione alla cultura alimentare dei bambini è stata dall’inizio una priorità per FICO, con i suoi 70.000 studenti in visita all’anno, che potranno godere di corsi e laboratori dedicati. Gli animali della fattoria sono protagonisti già dall’ingresso, ad accogliere i visitatori, mentre quelli da cortile si trovano lungo il percorso all’interno del parco. Per l’ingresso è previsto un biglietto di ingresso a 8 euro (10 euro il biglietto FICO + Luna Farm), un biglietto a 19 euro con la possibilità di ingresso + tour con 4 degustazioni o ingresso + corso a scelta tra Pasta, Pizza, Gelato, Vino e Mortadella. Il parco aprirà continuativamente dal 22 luglio, dal giovedì alla domenica, dalle 11:00 alle 22:00, il sabato fino alle 24:00 (fonte: EFA News – European Food Agency). >> Link: www.fico.it

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INTERVISTE

RAFFAELE BERTOLINI, TAGLIATO PER IL GUSTO Il primo “cortador” italiano ci racconta la sua storia e l’immensa passione per salumi e formaggi di Elena Benedetti

Raffaele Bertoni allo stand della Levoni di Castellucchio (MN), in occasione di Identità Golose Milano, al taglio manuale di un prosciutto crudo San Daniele di 18 mesi.

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affaele Bertolini, tagliatore professionista e per passione. Lo abbiamo intervistato e lui ci ha raccontato gli inizi della sua attività, la formazione sul campo alla scoperta delle specialità salumiere e casearie in giro per l’Europa, come ha appreso la tecnica e l‘arte del “taglio a coltello” dei salumi, i progetti attuali e futuri.

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Raffaele, qual è la tua storia? «Tagliato per il gusto nasce burocraticamente nel 2014, ma a livello concettuale ben prima. È un’impresa che offre consulenza tecnica a chi produce o distribuisce formaggi e salumi, allargandosi alla distribuzione di attrezzatura professionale per il taglio del prosciutto crudo a coltello, prodotto attorno a cui è stata pensata e si è sviluppata». Come si è sviluppata questa passione? «La passione per i salumi e i formaggi in genere nasce in me agli inizi degli anni 2000, quando sono entrato nel mondo della GDO nel ruolo di direttore di punto vendita. Sono stato direttore di punti vendita diversi appartenenti a diverse società e questo mi ha dato modo, oltre di imparare a gestire delle squadre di lavoro, anche di conoscere assortimenti diversificati. Mi sono associato alle organizzazioni ONAF e ONAS per conoscere i prodotti di cui mi stavo interessando e ho parallelamente intrapreso percorsi di approfondimento individuali. Ho iniziato a frequentare le fiere di settore, dalle più rinomate a quelle più piccole, sia in Italia che all’estero (Francia, Spagna e Germania), scoprendo una ricchezza gastronomica anche dove non l’avrei mai immaginata e, soprattutto, delle similitudini tra produzioni di Paesi neppure confinanti (preparazioni salate scozzesi e galiziane molto simili per fare un esempio). Abbandono la GDO nel 2005 e decido di aprire un negozio a Mantova dedicato ai prodotti tipici europei artigianali, con un occhio di riguardo ai salumi e ai formaggi, ai vini e alle birre. Ho rivolto lo sguardo al tipico europeo piuttosto che all’italiano per tentare di offrire delle novità, cercando in questo modo di non essere scavalcato dalla GDO; una scelta fatta dopo aver

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A coltello si può fare, a macchina no! Affettando un prosciutto a coltello, ad esempio, le fette saranno della dimensione giusta per creare delle composizioni particolari e scenografiche mentre con l’affettatrice ogni fetta sarà sempre uguale all’altra. constatato quanto nella stessa GDO avessero cominciato da tempo a fare capolino prodotti alimentari europei, tipici ma non artigianali (soprattutto nel settore dolciario). Prima di aprire mi sono preso qualche settimana “sabbatica” per visitare le boutique gourmet delle principali città del Regno Unito, di Spagna, Francia e Germania, per farmi un’idea dei prodotti tipici delle varie regioni, di come venissero esposti, presentati e serviti. Ho scoperto così, tra le altre cose, l’arte del taglio a coltello del prosciutto in Spagna, l’abilità e la creatività dei fromagers di Parigi e Grenoble nel preparare assiettes (taglieri di formaggi) da asporto. Purtroppo il negozio è stato chiuso dopo qualche anno. Il “tipico europeo” non era riuscito a diventare consuetudine gastronomica sulle tavole dei mantovani. Del resto qualche gastronomo attempato locale mi aveva messo in guardia su quanto fosse arduo e pionieristico il mio progetto: ma siccome ero molto determinato ho voluto provare. Fortunatamente dagli errori si possono trarre importanti insegnamenti. Il primo dei quali è che non è fruttuoso iniziare un’attività pensando che il proprio pubblico condivida in toto i tuoi gusti. “Il cliente ha sempre ragione” dice il refrain. Non è vero, perché almeno in ambito alimentare c’è molta ignoranza e supponenza. Però lo

deve essere almeno inteso come monito per chi vende a dare il meglio di sé nel servire il cliente e nel fare in modo che sia soddisfatto». Come si apprende oggi la tecnica del taglio a coltello del prosciutto? «Per quella che è la mia esperienza — mentre lavoravo per negozi gourmet e cheese bar come banconista alimentare —, mi sono recato direttamente più volte in Spagna per apprendere la tecnica del taglio del crudo a coltello da diversi maestri. In Italia allora, come oggi, non c’era una scuola e non conoscevo nessuno che lo praticasse a livello professionale. Da ognuno di questi maestri ho imparato cose distinte, non legate esclusivamente al taglio: ho imparato per esempio come riconoscere una coscia di scrofa da una coscia di castrato, sia dall’aspetto esterno che da quello interno; come mantenere al meglio il prosciutto una volta aperto; come distinguere cosce di qualità da altre di qualità inferiore. Per quanto riguarda in maniera specifica il taglio, ho imparato due tecniche principali: una che permette una maggiore velocità di esecuzione e una seconda, più complessa, denominata “corte maestro”, visivamente più impressionante. Gli Spagnoli sono grandi consumatori di prosciutto e il tagliatore di jamón, conosciuto come

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Impiatto di prosciutto crudo di Parma “Casa Graziano” su placca per sottovuoto.

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Fare il banconiere alimentare non significa solamente saper affettare o incartare correttamente un prodotto, ma allestire un banco frigo in base a stagione, ricorrenze, necessità aziendali, conoscere un prodotto, saperne mantenere la veste originale il più a lungo possibile, averne cura… Condurre per mano il cliente nella scelta del prodotto più adatto alle sue aspettative

Il taglio a coltello permette di poter assaggiare i vari muscoli della coscia o della spalla nella loro singolarità: posso prelevare fette dal gambuccio, dal fiocco, dalla noce o dalla punta. Ognuna di esse avrà una sapidità distinta e aromi distinti e una masticabilità unica

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cortador, non può mancare negli eventi importanti. Mi sembrava un’ottima idea trasportare la cosa in Italia, vista la presenza di numerosi prosciuttifici nel nostro Paese e considerate le variegate occasioni (fieristiche e non) in cui questo prodotto è presente. Mi sono proposto ad aziende di catering iniziando ad occuparmi del taglio a coltello e della preparazione del buffet dei formaggi». Tecnica o arte? «Confrontandomi sempre con tagliatori spagnoli ho capito che il semplice taglio a coltello non bastava per poter dare completezza al servizio. Serviva conoscere anche la tecnica dell’impiatto ad esempio, ossia la disposizione delle fette in un piatto da portata, tale da poterla definire artistica. La tecnica difatti è l’applicazione di una serie di processi; l’arte è l’espressione dell’individualità. La prima è propedeutica alla seconda, nel senso che il fine del taglio a coltello del prosciutto è quello di poter offrire al cliente un prodotto nella sua massima espressione organolettica ed estetica. Tagliandolo a coltello si possono difatti creare dei taglieri o composizioni che con l’affettatrice non sono fattibili. Affettandolo a coltello le fette sono della dimensione giusta per un assaggio e per poter creare delle composizioni; con l’affettatrice ogni fetta è uguale all’altra, per cui la composizione sarebbe inevitabilmente una ripetizione dello stesso disegno». Qual è, a parer tuo, il salume che si esprime al meglio nel taglio a coltello e qual è il plus di questa tecnica? «Il taglio a coltello è il metodo più primitivo di affettare un prosciutto (agli albori il prosciutto veniva tenuto fermo nel cassetto di un mobile della cucina, per il consumo casalingo). Ancora oggi rimangono in Italia o in Spagna dei retaggi delle prime tecniche di taglio o servizio (in Italia alcuni tagliatori prendono la fetta con la forchetta: cosa non ideale perché la forchetta non è lo strumento più idoneo per velocizzare il servizio, meglio la mano o una pinzetta, che tra l’altro non forano la fetta). Anche la disposizione del prosciutto in verticale, come fanno alcuni, sia nel Nord della Spagna che nel Nord Italia, per scimmiottare il taglio con l’affettatrice, è un tentativo di far convivere

passato e presente (taglio a coltello ma in direzione trasversale alla crescita muscolare, come con l’affettatrice). È vero che tagliandolo a coltello lo scorrimento dello stesso segue la stessa direzione di crescita dei muscoli, richiedendo una masticazione più marcata della fetta rispetto a un taglio trasversale. Si può comunque obiettare che un individuo senza particolari problemi ortodontici possa affrontare la difficoltà, considerando tra l’altro che una masticazione più prolungata sprigiona maggiormente i succhi presenti nel prodotto, che ne veicolano gli aromi e il gusto. L’abitudine di consumare fette sottilissime quindi non ha alcun fondamento organolettico o salutistico. È, a mio avviso, una semplice abitudine, per di più regionale. Nel Centro-Sud Italia difatti le fette piacciono piuttosto spesse; durante una fiera a Bassiano, in provincia di Latina, in cui mi esibivo affettando del prosciutto locale, sono stato rimproverato dai presenti perché le fette erano offensivamente troppo sottili». Solo tecnica o anche conoscenza del prodotto? «Prima di mettermi nuovamente in proprio nel 2014, sfruttando l’abilità ottenuta con il coltello e le capacità di presentare salumi e formaggi nei buffet creando delle disposizioni originali, frequentando le fiere gastronomiche, in Italia mi ero accorto che anche prodotti di punta (sempre restringendo lo sguardo su prodotti lattiero-caseari e norcini), artigianali spesso non venivano serviti degnamente, ossia con le capacità tecniche che meritavano. Questo ha reso in me ancor più forte la convinzione che ciò che stavo proponendo ai produttori e ai distributori aveva un senso: una figura professionale che conoscesse i processi produttivi dei vari salumi e formaggi tipici nazionali e internazionali e li sapesse valorizzare al meglio dispiegandoli, creando dinamismo e giochi di colori (utilizzando decori vegetali per esempio), mettendone in luce i pregi e le peculiarità». Ti occupi di formazione? «La prima azienda che mi ha dato ospitalità come tagliatore di crudo a coltello e allestitore per i loro eventi è la Levoni Spa di Mantova. Coi loro crudi, Parma e San Daniele, abbiamo

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aver insegnato ad una brava cortadora spagnola ad usare una Berkel a volano. Chissà che la tendenza in Spagna non stia cambiando rotta... meglio comunque tenerli d’occhio!».

Differenti morse per il taglio dei prosciutti. frequentato le più importanti fiere in Italia, in Germania e in Francia, affettandoli a coltello, ma insieme abbiamo fatto anche formazione a Mosca, in Inghilterra e a Riga ai dipendenti dei locali loro clienti. Siamo stati in Germania, in punti vendita della GDO ma anche in gastronomie a conduzione familiare a far conoscere il San Daniele affettato e coltello. Il riscontro è stato molto positivo. I clienti riconoscevano al prodotto affettato al coltello un gusto più “invitante, fresco” rispetto a quello servito al banco, affettato a macchina. Col tempo sono stato contattato da altre aziende (Salumificio Pedrazzoli, Rovagnati, l’ambasciata spagnola per un evento a Genova con il loro Jamón ibérico) per partecipare a fiere in Italia o all’estero e dedicarmi al servizio di taglio a coltello o fare formazione interna. Sono stati periodi di grande soddisfazione, considerando soprattutto le difficoltà iniziali. A quel tempo infatti non esistevano, almeno non mi risulta, professionisti tagliatori, per cui alcune aziende utilizzavano i propri dipendenti, quelli più anziani di età e servizio, che si barcamenavano con coltelli non idonei e morse antiquate (quelle a pinza). Oggi, oltre a fare formazione dedicata al taglio del crudo a coltello, mi dedico per conto di aziende produttrici e del retail anche alla formazione della figura del banconiere alimentare».

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Quanto è importante la giusta formazione del personale? «Visitando molte realtà di vendita, sia della GDO che retail, ho constatato quanto molte aziende non investano sulla formazione del personale. Cosa che trovo invece fondamentale. Fare il banconiere alimentare non significa solamente saper affettare o incartare correttamente un formaggio o un prosciutto, bensì allestire un banco frigo in base alla stagione, alle ricorrenze, alle necessità aziendali, conoscere un prodotto, saperne mantenere la veste originale il più a lungo possibile, adottando comportamenti virtuosi, pulendolo correttamente, avendone cura, ecc… Condurre per mano il cliente nella scelta del prodotto più adatto alle sue aspettative, cercando di volta in volta di ampliare la gamma di prodotti a cui può essere interessato. Questa constatazione è stata la molla che ha dato vita alla mia azienda e che ancora la sostiene. Non so se un giorno anche in Italia in ogni stand fieristico in cui siano presenti dei prosciutti ci sarà un cortador nostrano. Un tagliatore a coltello professionista da più lustro all’azienda che lo ospita, in quanto richiede maggiori capacità tecniche di un operatore su macchina elettrica o a volano. Auspicabile forse la presenza di entrambe le modalità di affettamento. Durante l’ultima fiera Anuga di Colonia posso “vantarmi” di

A proposito di strumenti, come sei arrivato alla distribuzione di coltelli e morse? E, soprattutto, quanto conta la qualità degli strumenti nel tuo mestiere? «All’inizio della mia attività, anche nelle kermesse più blasonate, come il Salone del Gusto, erano presenti aziende che presentavano prosciutti affettati a coltello. Ma per la maggior parte si trattava di scempi: morse non adatte a un taglio professionale, coltelli non professionali e, soprattutto, mancava il saper fare dell’operatore. Proporsi come tagliatore di crudo a coltello allora significava essere equiparato a questi autodidatti. Mentre in Spagna il mestiere si è evoluto tanto da diventare insostituibile durante eventi pubblici o privati, da dare luogo a concorsi regionali e nazionali, da sviluppare anche un’industria parallela, ossia quella della produzione di morse e coltelli, in Italia, rimanendo questa tecnica relegata a eventi di poca importanza e nelle mani di chi non ha ritenuto opportuno evolversi, ha tardato a radicarsi. Eppure, la qualità della strumentazione è imprescindibile in qualsiasi mestiere per ottenere degli ottimi risultati. Negli anni infatti ho iniziato a distribuire morse e coltelli professionali prodotti in Spagna. Li utilizzavo durante i corsi facendo provare ai corsisti il taglio su una morsa a pinza e su morse di recente fabbricazione e molto più funzionali». Qual è, a parer tuo, il salume che si esprime al meglio nel taglio a coltello? «Io non sono un sostenitore estremista del taglio del crudo a coltello. Per prima cosa non sono un estremista tout court. Secondariamente, perché, come ho già detto, è il cliente che vince: se il crudo lo desidera affettato a macchina è giusta questa opzione; se invece non disdegno fette non sottilissime ma dalle quali poter trarre un’idea della complessità dei sapori e aromi di un prodotto conservato per anni, che ne delineano le caratteristiche distintive come una carta di identità, allora il taglio a coltello è ciò che serve. Il taglio a coltello permette difatti di poter assaggiare i vari muscoli

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della coscia o della spalla nella loro singolarità: posso prelevare fette dal gambuccio, dal fiocco, dalla noce o dalla punta. Ognuna di esse avrà una sapidità distinta e aromi distinti e una masticabilità unica. È un servizio che si presta a una degustazione attenta più che a soddisfare una famelica abbuffata. Un crudo disossato e messo in affettatrice può offrire di volta in volta solo quella porzione al momento disponibile, in cui la parte più grassa andrà a bilanciare la sapidità della parte magra». Quali sono le caratteristiche necessarie per poter diventare un bravo tagliatore? «Molta determinazione per non abbattersi quando ci si accorge che i risultati non arrivano nei tempi sperati, autocritica sufficiente per capire dove si sbaglia e volontà e obiettività per potersi superare giornalmente. E un occhio sempre pronto a vedere quello che fanno gli altri, soprattutto quelli più bravi, da cui si impara sempre. A distanza di anni posso dire di essere soddisfatto dei traguardi raggiunti: mi sono fatto conoscere da diverse aziende italiane e estere; ho organizzato diversi corsi di formazione, anche all’estero, portando alla conoscenza di molti la tecnica del taglio a coltello e sfatando il mito che fette di prosciutto sottili si possano ottenere soltanto con un’affettatrice». Qual è il panorama attuale dei tagliatori professionisti? «Ad oggi non sono l’unico a tagliare in maniera professionale: si sono ag-

giunti, in primis, BENEDETTO COLANTUONO e MIRKO GIANNELLA (chiedo scusa se uso la parola “aggiunti” che lascia intendere che siano arrivati dopo... senza offendere nessuno, ma le cose stanno così). Altri ragazzi, formati da me e da loro, si stanno cimentando nel taglio a coltello, ottenendo dei risultati estetici sempre migliori. È vero che la richiesta di tagliatori da parte di aziende e di privati (per eventi come matrimoni) sta crescendo, compatibilmente con l’andamento economico-sanitario del periodo, ma siamo ancora molto lontani da quanto succede in Spagna, in cui si può vivere di questo mestiere. In Italia rimane pratica sporadica. Non è un caso che la mia attività si sia ampliata al catering, partecipando come espositore food a eventi del vino (soprattutto quello naturale) con prodotti di maiale nero (prosciutti in primis, ma anche carne) spagnolo e italiano, col quale preparo finger o piatti caldi e freddi». Quali sono i tuoi programmi in questo post pandemia che speriamo tutti duri il più a lungo possibile? «Al momento sto lavorando ad un altro progetto: ho iniziato qualche anno fa distribuendo buste e placche per mettere sottovuoto il prosciutto affettato a coltello, sempre tenendo come punto di riferimento la Spagna. Ho fatto promozione del crudo di Casa Graziano in alcuni punti vendita Conad dell’Emilia, facendo questo servizio, e il risultato è stato soddisfacente. Non solo il crudo affettato a coltello piaceva ma anche il

servizio del sottovuoto era considerato interessante. Siamo già abituati ai salumi in ATM ma ancora non al sottovuoto. Il sottovuoto ne prolunga ovviamente la shelf-life da una parte, dall’altra, utilizzando delle placche tonde e avendo buona maestria nel taglio, si possono fare delle composizioni molto belle da mettere in tavola. Per cui oggi offro questo servizio a chi produce o distribuisce prosciutti. Ho la possibilità di farli arrivare presso un laboratorio sito a Verona e di affettarli e rimandarli al cliente sotto forma di buste sottovuoto di varie dimensioni e grammature. Penso che questo genere di servizio possa tornare utile nei luoghi di grande transito (aeroporti, stazioni), in cui il sottovuoto si presta magnificamente al trasporto. Chissà se arriveremo mai a vendere del San Daniele affettato a coltello e imbustato sottovuoto e distribuito in distributori automatici in qualche stazione ferroviaria o aeroporto, come avviene nella stazione ferroviaria di Barcellona per il Jamón ibérico» Elena Benedetti

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ASSEMBLEE

UN PROGETTO PER ACCRESCERE LA CONOSCENZA DEI SALUMI ITALIANI Alla recente assemblea di ASS.I.CA. è stato presentato un innovativo progetto triennale che vede coinvolti il nostro Paese e il Belgio. Nella stessa occasione è stato illustrato l’andamento del settore nell’anno della pandemia di Anna Mossini

rust Your Taste, Choose European Quality. È questo il nome di un progetto triennale co-finanziato dall’Unione Europea che vede nel ruolo di protagonista ASS.I.CA., l’Associazione industriali delle carni e dei salumi aderente a CONFINDUSTRIA. L’iniziativa è stata presentata di recente durante l’annuale assemblea dell’associazione e ha come obiettivo la chiamata a raccolta della filiera suinicola per stabilire una rinnovata fiducia nel settore da parte dei consumatori di Italia e Belgio, che rappresentano i Paesi coinvolti dal progetto durante il quale, da qui al 2024, quando si concluderà, verranno messe in atto numerose iniziative. «Uno dei principali driver si concentrerà sulla corretta informazione circa i metodi di produzione dei salumi europei» spiega DAVIDE CALDERONE, direttore di ASS.I.CA. «Mi riferisco alla sicurezza alimentare, agli aspetti nutrizionali, al benessere animale e alla sostenibilità, che oggi rappresentano i temi più dibattuti e controversi da parte dei cittadini comunitari. I salumi italiani e la carne suina saranno i protagonisti

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della campagna, mentre il destinatario di tutte le iniziative previste sarà il consumatore finale che verrà raggiunto attraverso diversi canali — web, social, TV, media tradizionali, comunicazione diretta nei vari punti vendita — per favorire una maggiore conoscenza dei dati e dei risultati delle ricerche scientifiche in atto, oltre che dei progressi compiuti dall’intera filiera, che nel nostro Paese è stata coinvolta in maniera massiccia, per incentivare un consumo consapevole». Innovare nella tradizione «Gli operatori del settore potranno inoltre usufruire di una Digital Academy che prevede videolezioni, seminari formativi e workshop per favorire il miglioramento continuo del comparto e stimolare il dialogo e il confronto, fino ad arrivare a un nuovo modello di filiera, più innovativo e sostenibile» continua Calderone. Se l’Italia rappresenta per il settore suinicolo una delle eccellenze dell’agroalimentare, il Belgio ricopre un ruolo centrale a livello europeo grazie alla sede, nella sua capitale, delle istituzioni comunitarie ma anche alla

dinamicità del suo mercato. Attualmente, infatti, rappresenta il terzo Paese di destinazione dei salumi italiani, con 7.489 tonnellate di prodotti esportati, per 96,2 milioni di euro in valore. Nei primi due mesi del 2021, i segnali arrivati per il nostro export sono stati particolarmente positivi, con una domanda di salumi a +12,1% in quantità e a +8,8% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Mortadella e würstel si sono confermati i prodotti preferiti, a cui si sono aggiunti i salami, i prosciutti crudi stagionati, le pancette e le bresaole. «Riteniamo sia sempre necessario comunicare di più e meglio ciò che si fa ed essere sempre più aperti e trasparenti rispetto agli elevati standard di produzione europei» sottolinea ancora Davide Calderone. «Anche per questo è nato il Progetto Trust Your Taste. Nel consumatore, sia italiano che belga, la sensibilità verso le tematiche legate ai valori nutrizionali, alla sostenibilità alla sicurezza alimentare e al benessere animale è in crescita costante e dimostra che questi nuovi driver di acquisto sono sempre più importanti e rilevanti.

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Il consumatore moderno si interessa molto di più al contesto che lo circonda e all’origine di ciò che mangia rispetto al passato. Pertanto, questo progetto ci offre una straordinaria occasione per dimostrare di saper affrontare le criticità trasformandole in opportunità. Immaginiamo allora una filiera diversa, non più costituita da anelli concatenati dove ognuno di essi è responsabile solamente della propria parte, bensì formata da una rete di imprenditori e operatori interconnessi, che anche grazie all’innovazione tecnologica possono e devono saper guardare all’insieme, contribuendo tutti al successo del prodotto finito: un vero e proprio network inclusivo per costruire valore e redistribuirlo in forma equa, aumentando la competitività del settore». I numeri di un anno terribile Alla presentazione del Progetto Trust Your Taste, Choose European Quality è seguita l’esposizione dei numeri che hanno caratterizzato l’andamento economico del settore nel 2020, colpito inevitabilmente dalle drammatiche conseguenze della pandemia. Il fatturato ha infatti dovuto registrare un calo del 3,3% rispetto al 2019, per un totale di 8.237 milioni di euro rispetto a 8.522 milioni di euro dell’anno prima. Riguardo la produzione di salumi, la flessione è stata del 7,1%: 1,093 milioni di tonnellate (2020) contro 1,176 del 2019. In calo è risultato anche il valore alla produzione, che ha mostrato una flessione più contenuta, scendendo a 7.927 milioni di euro (–3,6%) da 8.225 milioni del 2019. Tutte le produzioni di salumi hanno comunque registrato valori negativi. Vediamoli nel dettaglio. La produzione di prosciutti crudi stagionati, dopo la contenuta flessione del 2019, ha evidenziato un calo del 7,3%, per 261.100 tonnellate, e un –4,9% in valore, per 2.115 milioni di euro. La chiusura del canale HO.RE.CA. e il blocco del turismo determinata dall’emergenza sanitaria Covid-19 ha particolarmente penalizzato la categoria, in special modo le produzioni tipiche, dinamica che non ha risparmiato i mercati esteri. In decisa flessione la produzione di prosciutto cotto, scesa a 271.100 tonnellate (–6,3%) per 1.934 milioni di euro (–2,7%).

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Il visual di Trust Your Taste, Choose European Quality, il progetto triennale co-finanziato dall’Unione Europea che vede nel ruolo di protagonista ASS.I.CA., Associazione industriali delle carni e dei salumi aderente a CONFINDUSTRIA (photo © ASS.I.CA.). La quota di prosciutti crudi e cotti, prodotti leader del settore, si è mantenuta relativamente stabile rispetto al 2019: le quantità si sono attestate a 48,7% da 48,6% del 2019, mentre il valore si è fermato a quota 51,1% da 51,2%. Per quanto riguarda la mortadella il trend produttivo è stato negativo con un –4,3% (157.100 tonnellate), mentre il valore non ha subito variazioni di rilievo (+0,4% per 681,7 milioni di euro); rispetto alla produzione di würstel, la produzione è scesa a quota 58.900 tonnellate (–1,2%), mentre il valore ha raggiunto 187,4 milioni di

euro (+2,5%). Lo speck ha registrato una produzione di 32.700 tonnellate (–4,4%), per un valore di 346,4 milioni di euro (+1,2%). Flessione anche per la produzione di salame, che ha raggiunto un totale di 109.000 tonnellate (–3,5%) e un valore di 992 milioni di euro (+1,4%). Un contributo positivo a questa tipologia di prodotto è arrivato dalla domanda estera, cresciuta sia a volume sia a valore. Segno negativo per la pancetta, che sempre nel 2020 ha visto la produzione fermarsi a quota 47.700 tonnellate (–5,5%), per un valore di 243,3 milioni

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intorno ai 16,2 kg contro i 17,3 del 2019 (–6,6%). Considerando l’insieme dei salumi e delle carni suine fresche, il consumo pro capite è sceso a 27,2 kg da 28,9 kg dell’anno precedente (–6,1%). I consumi dei prosciutti crudi stagionati, molto penalizzati dalla chiusura del canale HO.RE.CA. e dalla crisi del banco taglio, sono scesi a 209.700 tonnellate (–7,1%), mentre quelli di prosciutto cotto si sono fermati a quota 262.200 tonnellate (–5,5%). In calo anche i consumi di mortadella e würstel (–5,6% per 183.100 tonnellate) e quelli di salame che non hanno superato le 78.000 tonnellate (–6,1%). Una profonda flessione si è registrata nei consumi di bresaola, scesi a 24.200 tonnellate dalle 26.400 del 2019 (–8,5%) e quelli degli “altri salumi”, che si sono fermati a 205.500 tonnellate (–12,5%). La struttura dei consumi interni di salumi ha così visto al primo posto sempre il prosciutto cotto, con una quota pari al 27,2% del totale, seguito dal prosciutto crudo (21,8%) da mortadella/würstel scesi al 19%, dal salame all’8,1% e dalla bresaola al 2,5%. Chiudono gli altri salumi al 21,3%.

Davide Calderone, direttore di ASS.I.CA. (photo © ASS.I.CA.). di euro (+4,1%). Analogamente al salame questo salume ha evidenziato un aumento delle esportazioni. La differenza registrata negli andamenti di quantità e prezzi ha risentito anche della pressione esercitata dalla domanda estera sulla materia prima. Hanno chiuso in flessione, infine, le produzioni di coppa con 39.400 tonnellate (–7,1%), per 315,2 milioni di euro (–1,1%), e di bresaola, che ha chiuso l’anno con un –9,6% in quantità

per 27.100 tonnellate e un -6,2% in valore per 442,5 milioni di euro. Consumi interni in sofferenza Nel 2020 la disponibilità totale per il consumo nazionale di salumi (compresa la bresaola) è stata di 962.700 tonnellate (–7,6%) contro 1,041 milioni dell’anno precedente. Il consumo pro capite, considerato l’andamento della popolazione e la drastica riduzione degli arrivi dei turisti, si è attestato

Il valore dell’export nella UE… Un anno, il 2020, dal doppio volto per le esportazioni di salumi. Secondo le elaborazioni di ASS.I.CA. sui dati ISTAT, nell’anno della pandemia le spedizioni dei salumi italiani hanno riguardato 170.137 tonnellate, per un fatturato di 1.626,7 milioni di euro, registrando una flessione a volume (–7,2%), ma una crescita a valore (+2,5%). Nel corso dell’anno le importazioni hanno mostrato una contrazione sia in quantità che in valore, fermandosi a quota 41.066 tonnellate (–18,8%) per un valore di 204,9 milioni di euro (–12,0%). La dinamica import-export ha determinato un aumento del saldo commerciale del settore: +5,0% rispetto al 2019 per un valore di 1.421,8 milioni di euro.

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Ruggero Lenti nuovo presidente di ASS.I.CA. Nel corso dell’assemblea annuale di ASS.I.CA. 2021, è stato eletto il nuovo presidente dell’associazione. Si tratta di Ruggero Lenti, Amministratore Delegato e direttore generale della Lenti – Rugger Spa, azienda di famiglia arrivata alla quarta generazione, che subentra a Nicola Levoni. L’elezione è avvenuta a scrutinio segreto e ha designato anche la squadra di presidenza che si avvarrà di Lorenzo Beretta (area Rapporti con la Distribuzione); Ivano Chezzi (area Economica); Pietro D’Angeli (area Rapporti di filiera); Donato Didonè (area Sostenibilità), Romeo Gualerzi (area Rapporti con i Consorzi); Claudio Palladi (area Export); Filippo Villani (area Sindacale); Giorgia Vitali (area Giuridico-Sanitaria). «Sono molto onorato della fiducia accordatami, ancor di più pensando ai presidenti che mi hanno preceduto e che hanno fatto la storia della salumeria italiana» ha affermato il neopresidente. «Tra i miei obiettivi c’è sicuramente la volontà di comunicare ai consumatori, in modo sempre più chiaro e scientifico, la qualità dei nostri prodotti, che grazie ai progressi tecnologici adottati da tutta la filiera, hanno migliorato notevolmente le proprietà nutrizionali e organolettiche, tanto da essere oggi alimenti adatti ad ogni dieta. È giunto anche il momento di migliorare in modo incisivo il dialogo con tutta la filiera, dall’allevamento fino alla grande distribuzione, impegnandosi a trovare dei punti di collaborazione che siano soddisfacenti per tutti. Sul fronte dell’export, intendo continuare l’incessante lavoro di apertura di nuovi mercati per i nostri prodotti, oltre a mantenere salde le posizioni già raggiunte. Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia non possiamo sottovalutare che nel 2020 abbiamo comunque registrato nell’export una crescita a valore del 2,5%» (photo © ASS.I.CA.).

Le esportazioni del comparto, in termini di fatturato, hanno mostrato un passo più veloce sia di quello dell’industria alimentare (+1,0%) che di quello registrato dalle esportazioni nazionali complessive (–9,8%). Per quanto riguarda le aree geografiche, con riferimento ai volumi esportati sono risultate in difficoltà sia le esportazioni verso la UE a 27, cioè l’Unione Europea senza la Gran Bretagna, sia quelle verso i Paesi Terzi, che però, nell’ultimo trimestre dell’anno, grazie alla ripresa della domanda statunitense hanno evidenziato una crescita sia a volume che a valore. L’analisi dei mercati geografici rivela che nel 2020

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le spedizioni verso i partner comunitari hanno registrato un –7,7% in quantità per 118.293 tonnellate ma un +1,9% in valore per oltre 1.082 milioni di euro. Includendo il Regno Unito la UE avrebbe registrato un –7,6% a volume e un +2,5% a valore. All’interno dell’Unione tutti i nostri principali partner commerciali hanno mostrato una contrazione della domanda a volume a causa dei numerosi provvedimenti adottati per contenere il virus. Le spedizioni verso la Germania, principale mercato di riferimento, hanno registrato una contenuta contrazione a volume (–1,4% per 33.840 tonnellate) ma una crescita a valore (+6,0% per

349,6 milioni di euro). Sul mercato tedesco hanno mostrato un incremento la mortadella e i würstel, i salami e i prosciutti cotti, mentre la pancetta stagionato ha incassato una flessione in volume e una crescita in valore. Prosciutti crudi stagionati e bresaola, infine, hanno registrato un segno negativo. L’export verso la Francia ha chiuso l’anno con un –14,9% per 29.157 tonnellate e un –1,8% per circa 285,1 milioni di euro. Oltralpe tutte le categorie di salumi hanno registrato una contrazione negli invii a volume a fronte di una crescita a valore, ad eccezione dei prosciutti cotti e della bresaola che hanno chiuso con una flessione sia a volume sia a valore. Segno meno in quantità anche per le esportazioni verso il Belgio (–7,8% per 7.489 tonnellate ma +9,8% per 96,2 milioni di euro). Su questa piazza hanno evidenziato una contrazione a volume ma una crescita a valore prosciutti crudi stagionati, pancetta stagionata, salami e prosciutti cotti: in crescita gli invii di mortadella e würstel ma in flessione quelli di bresaola. Contrazione a volume anche per le spedizioni verso l’Austria (–2,4% per 7.840 tonnellate e +5,8% per 70,4 milioni di euro). Su questo mercato l’andamento è stato positivo per prosciutti crudi stagionati, mortadella e bresaola; discreto il trend dei salami, che hanno registrato una contenuta flessione a volume ma una crescita a valore; in difficoltà, invece, pancetta stagionata e prosciutti cotti. Verso la Spagna gli invii hanno subito un rallentamento e sono scesi a quota 6.260 tonnellate (–8,1%) per un valore di 29,5 milioni di euro (–10,2%). Sul mercato spagnolo ha mostrato una decisa flessione l’export italiano di prosciutti crudi stagionati e soprattutto di salami; hanno chiuso con una flessione a volume ma una crescita a valore quelli di mortadella, mentre sono risultati in aumento i prosciutti cotti. Male, infine, anche la pancetta stagionata e la bresaola. Infine, hanno chiuso in terreno negativo il 2020 le esportazioni verso la Croazia (–14,2% in quantità e –22,8% in valore), mentre hanno registrato una contrazione in quantità ma un incremento a valore quelle verso la Polonia (rispettivamente –1,1% e +11,5%), quelle

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verso la Svezia (–8,6% e +8,6%) e quelle verso i Paesi Bassi (–4,9% e +2,4%).

bresaola, che ha incassato una lieve flessione a volume. Segno negativo per le spedizioni verso il Giappone, che hanno chiuso l’anno con un –26,9% in quantità per 2.752 tonnellate e un –17,9% in valore per 30,6 milioni di euro. Su questo mercato, eccetto i salami che hanno evidenziato un lieve incremento a volume e una consistente crescita a valore, tutte le principali categorie di salumi hanno incassato una flessione sia in volume che in valore. Infine, l’andamento a volume e anche le spedizioni verso la Repubblica sudafricana sono state positive (rispettivamente +3,4% e –0,9%); hanno chiuso con una contrazione a volume, ma una crescita a valore le spedizioni verso la Norvegia (–6,0% e +19,7%) e verso il Brasile (–2,4% e +4,6%) mentre sono risultati in calo gli invii verso il Libano, la Bosnia Erzegovina, Hong Kong e la Federazione Russa (–54,9% in quantità per 119 tonnellate e –69,4% in valore per 950.000 euro). Le esportazioni verso la Federazione Russa sono ancora limitate a causa dell’embargo. Anna Mossini

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…e nei Paesi Terzi L’export verso i Paesi Extra UE, nel 2020, non ha riservato particolari soddisfazioni: i volumi totali inviati hanno raggiunto la quota di 51.843 tonnellate per 544,6 milioni di euro pari rispettivamente a –5,8% e a +3,7%. In calo le spedizioni in volume verso il Regno Unito (primo mercato di riferimento che, ricordiamo, dal punto di vista commerciale fino al 31 dicembre 2020 ha continuato a godere di tutti i vantaggi legati al mercato comune), che si sono fermate a 15.881 tonnellate per 179,3 milioni di euro (–6,1% in volume ma +6,3% in valore). Oltremanica buone notizie sono arrivate dalla pancetta stagionata e dai salami che hanno evidenziato aumenti sia in volume che in valore. In difficoltà sul fronte dei volumi sono apparsi i prosciutti crudi stagionati e quelli cotti, che hanno però registrato una crescita a valore, mentre sono risultate in affanno mortadella e bresaola. Un 2020 in flessione anche per le esportazioni verso

gli Stati Uniti. Nonostante le importanti contrazioni registrate nel secondo e nel terzo trimestre dell’anno siano state in buona parte compensate dai risultati del primo e soprattutto quarto trimestre, le spedizioni hanno chiuso l’anno con un calo sia a volume sia a valore: –4,5% per 10.453 tonnellate e –2,0% per 123,2 milioni di euro. Oltreoceano hanno registrato un’importante crescita a due cifre mortadella e würstel, hanno chiuso positivamente pancetta stagionata e salami, mentre hanno evidenziato una flessione, più contenuta, i prosciutti crudi stagionati e, più profonda, i prosciutti cotti. Buone notizie sono arrivate dall’export verso il Canada: +28,7% in quantità e +38,2% in valore, dove le ottime performance di pancetta stagionata e salami hanno ampiamente compensato i cali delle altre categorie. Ottimo risultato anche per le esportazioni verso la Svizzera, che hanno segnato un +6,4% con invii per 5.242 tonnellate e un +11,7% per 86 milioni di euro. Oltralpe, hanno mostrato un incremento tutte le principali categorie di salumi ad eccezione della

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Consorzio del Prosciutto di Parma: Utini è il nuovo presidente Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Prosciutto di Parma ha nominato Alessandro Utini (in foto) alla presidenza dell’organismo di tutela che raggruppa oggi 140 aziende produttrici di Prosciutto di Parma. Alessandro Utini ritorna così alla guida del Consorzio dove aveva già ricoperto il ruolo di presidente dal 2004 al 2005, oltre a essere stato vicepresidente e per oltre 20 anni consigliere. Utini è a capo del Gruppo Furlotti che comprende le società Furlotti Prosciutti Srl e Salumificio Furlotti & C. Srl, le aziende di famiglia dedicate alla produzione del Prosciutto di Parma e di altri salumi ed è altresì socio ed amministratore del Prosciuttificio Tre Stelle Srl e di Fratelli Tanzi Spa, azienda specializzata nella preparazione e affettamento di prodotti della salumeria. Come presidente del Consorzio guiderà un comparto che vale 1,5 miliardi di euro e una filiera produttiva imponente che comprende 3.600 allevamenti suinicoli, 77 macelli, 3.000 addetti alla lavorazione nella provincia di Parma, e un totale di 50.000 persone che lavorano nell’intero circuito tutelato. «La nostra responsabilità oggi è quella di delineare il Prosciutto di Parma di domani, individuando delle azioni concrete e attuali per mantenere competitivo il prodotto sul mercato» ha dichiarato. «Sarà posta massima attenzione alla qualità e agli elementi distintivi del Prosciutto di Parma attraverso due progetti determinanti per il nostro comparto: la revisione del Disciplinare di produzione e la programmazione dell’offerta produttiva». Qualità e sostenibilità, programmazione produttiva e segmentazione di prodotto Il Disciplinare produttivo, attualmente in fase di valutazione da parte della Commissione europea, prevede modifiche sostanziali che riguardano tutti gli anelli della produzione e hanno lo scopo di migliorare la qualità del Prosciutto di Parma e rafforzare la sua identità per distinguerlo dai concorrenti. Altro tema su cui il Consiglio dovrà concentrare i lavori è la regolazione dell’offerta produttiva, per assicurare una programmazione coerente e mirata all’equilibrio di mercato in grado di garantire una maggiore stabilità al comparto, tutelare la qualità del prodotto e portare beneficio a tutti gli anelli della filiera. «Per impostare il nuovo piano di sviluppo, abbiamo commissionato uno studio di mercato in grado di offrirci una fotografia a tutto tondo del nostro prodotto con due filoni di indagine: il primo, condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, coinvolge i buyer della GDO e indaga le prospettive di crescita in questo settore; Eumetra cura il secondo, rivolto invece ai consumatori e alle salumerie tradizionali e fornisce un’indagine competitiva con gli altri salumi, esamina le nuove tendenze, studia i comportamenti di acquisto, la percezione del Parma e le aspettative del consumatore. Dall’analisi dei risultati prenderanno forma le attività di marketing e di mercato con una seria discussione anche sulla segmentazione del prodotto, un’evoluzione naturale per qualsiasi tipologia di prodotto e già applicata in diversi casi autonomamente dalle nostre aziende». Utini ha poi parlato di sostenibilità e di come tali principi siano ormai parte integrante della vita delle persone e delle attività delle imprese, incidendo sulle scelte di acquisto del consumatore. In questo contesto sarà importate definire il ruolo e la tipologia di interventi del Consorzio per allineare il Prosciutto di Parma a queste nuove sfide legate alla sostenibilità e alla transizione ecologica. «Come comparto — conclude Utini — abbiamo fatto molta strada. Il Prosciutto di Parma è un prodotto di eccellenza apprezzato in tutto il mondo e questo lo dobbiamo anche al coraggio di aver fatto determinate scelte in passato, spesso impopolari. Abbiamo ritrovato e consolidato la credibilità del nostro sistema di controllo rendendolo più efficace e trasparente e stiamo portando avanti sostanziali modifiche al Disciplinare che miglioreranno sensibilmente il nostro prodotto. Oggi siamo di fronte a sfide molto più complesse che richiedono delle risposte ancora più coraggiose e tempestive se vogliamo continuare a essere protagonisti e garantire un futuro sostenibile al nostro prodotto e alle nostre imprese». >> Link: www.prosciuttodiparma.com

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Prosciutto di Modena DOP, nel 2020 tiene l’affettato Il Prosciutto di Modena DOP ha chiuso il 2020 con una sensibile riduzione della produzione: i prosciutti marchiati sono stati infatti circa 67.000, in calo del 2%, mentre le cosce avviate alla produzione sono state circa 60.000, in diminuzione del 15% rispetto all’anno precedente. Anche le vendite hanno subito i contraccolpi della pandemia, con un fatturato 2020 di circa 5.000.000 di euro, in calo del 12% rispetto all’anno precedente. L’andamento negativo è da ascriversi principalmente al blocco del canale HO.RE.CA. per buona parte dell’anno, che ha comportato un calo in media del 35%. Molto meglio, con un calo del 2%, la performance del canale GDO, dove il Prosciutto di Modena è presente prevalentemente col formato vendita dell’affettato che, con circa 630.000 vaschette, si è mantenuto pressoché stabile. C’è infine da registrare anche il calo dell’export, che rappresenta l’8% del fatturato, con una riduzione in media, sia nei Paesi UE che in USA, del 30%. Per quello che riguarda una classifica dei Paesi dove il prosciutto di Modena è maggiormente esportato troviamo, nell’ordine, in Europa Francia, Germania, Spagna e Portogallo, mentre il principale Paese extra-UE restano gli Stati Uniti d’America, che, con una quota del 57% dell’export, si confermano primo mercato di destinazione. Recentemente è stato rinnovato il Consiglio d’Amministrazione del Consorzio del Prosciutto di Modena, che ha riconfermato alla presidenza Giorgia Vitali. «Il mio primo mandato non è stato certo facile dal momento che a metà del percorso si è verificata la pandemia che ha stravolto le vite di tutti noi e quanto era stato in precedenza programmato» ha dichiarato. «Ciononostante, abbiamo voluto proseguire con l’attività di valorizzazione del Prosciutto di Modena, consapevoli di andare incontro al nuovo orientamento dei consumatori che, durante il lockdown, hanno preferito acquistare prodotti alimentari “premium” ossia di qualità. In questi mesi di pandemia, nel corso dei quali non è stato possibile portare avanti attività promozionali in presenza, abbiamo ovviamente privilegiato la promozione sui canali social. Per il futuro, i prossimi obiettivi sono costituiti, da una parte, dalla ripresa dell’attività di promozione all’estero concentrata soprattutto su Giappone, Francia, Germania, USA e Canada. Dall’altra, dalla partecipazione a quelle fiere di settore che le aziende non presidiano ma dove, invece, la presenza del Consorzio di tutela si rivela vincente attraverso una positiva azione di scouting di nuovi mercati e canali di distribuzione. Stiamo inoltre procedendo a modificare il Disciplinare di produzione, le cui ultime modifiche risalgono al 2010». • Il Consorzio del Prosciutto di Modena (consorzioprosciuttomodena.it), che raggruppa oggi 10 produttori, ha sempre avuto una costante attenzione al prodotto, tanto da modificare qualche anno fa il Disciplinare di produzione in senso restrittivo per migliorare ancora di più il già alto livello qualitativo. La prima modifica ha riguardato la ricetta, solo cosce di suino e sale, senza l’aggiunta di spezie; l’aroma è dato dalla prolungata stagionatura. La seconda modifica ha stabilito una stagionatura minima di 14 mesi, la più lunga tra tutti i prosciutti DOP italiani. La materia prima utilizzata per la sua produzione è ottenuta esclusivamente da suini di origine italiana, nati e allevati in 10 regioni d’Italia centro-settentrionale (photo © instagram.com/consorzioprosciuttomodena).

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Coppa di Parma IGP: crescono fatturato al consumo e produzione Dopo un 2019 interlocutorio, il comparto della Coppa di Parma IGP torna a crescere, superando le difficoltà legate alla pandemia da Covid-19. Segno positivo per tutti i principali indicatori, a cominciare dai volumi di produzione: come evidenziato dai dati ECEPA – Ente di Certificazione Prodotti Agro-Alimentari, nel 2020 i kg di carne suina lavorata sono stati 4,2 milioni (+9% rispetto al 2019). Crescono anche la produzione etichettata, che si attesta a 1,8 milioni di kg — livello leggermente superiore al dato dei 12 mesi precedenti — e il preaffettato, che fa registrare un incremento del 14% (complessivamente si parla di 430.000 kg di carne suina). Significativo è anche il dato relativo al fatturato al consumo: il comparto della Coppa di Parma IGP, che riunisce 21 aziende e che garantisce lavoro a 520 occupati (considerando l’indotto), ha raggiunto nel 2020 il traguardo di 68 milioni di euro. La crescita, rispetto al 2019, è del 13%. Per quanto riguarda la commercializzazione del prodotto, la Grande Distribuzione si conferma il canale largamente principale, assorbendo una quota del 70%. Le referenze più apprezzate dai consumatori rimangono Coppa di Parma IGP intera e in tranci. Ma sensibile è la crescita della Coppa di Parma IGP preaffettata, che ora pesa per il 25% delle vendite realizzate in GDO (nel 2019 il dato era pari al 20%). Sul fronte export, nonostante le complicazioni legate al Covid-19, il comparto della Coppa di Parma IGP ha tenuto, facilitato dal fatto che i principali partner commerciali stranieri siano in area UE. Si tratta, nell’ordine, di Germania, Francia e

Gorgonzola sinonimo di erborinato? No! L’attenzione alla cultura alimentare oggi è massima. Sempre più consumatori italiani consultano abitualmente le etichette dei prodotti alimentari e desiderano essere informati correttamente su quello che portano in tavola. Capita, tuttavia, di leggere o sentire ancora oggi l’associazione impropria del nome “Gorgonzola” a tipologie di latte estranee alla DOP (capra, bufala, ecc…). Il Gorgonzola, che è il terzo formaggio DOP italiano per importanza tra quelli prodotti con latte vaccino, sta ad indicare un formaggio dalle caratteristiche precise. Una di questa è che si produce esclusivamente con latte di vacca. In particolare, viene utilizzato solo quello appena munto proveniente dagli allevamenti della zona d’origine, a cavallo tra Piemonte e Lombardia. Il “Gorgonzola di bufala” o il “Gorgonzola di capra” quindi non possono esistere! Esistono invece degli ottimi formaggi “erborinati” prodotti con altre tipologie di latte. L’uso improprio della denominazione, anche da parte di chef e operatori del settore citati in articoli giornalistici o ospiti di trasmissioni radiotelevisive, concorre a creare un equivoco che il Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola è chiamato a contrastare e correggere nell'interesse sia dei produttori che dei consumatori. Il Gorgonzola DOP è un formaggio molle a pasta cruda che appartiene alla famiglia degli “erborinati” (da erborin, che in dialetto milanese vuol dire prezzemolo) ovvero quei formaggi che presentano le tipiche striature verdi date, non dall’utilizzo del prezzemolo, bensì dalla formazione di muffe. Queste ultime nulla hanno a che fare con la muffa che si forma naturalmente nei formaggi conservati troppo a lungo, ma sono dovute alle colture di penicilli innestate durante la lavorazione (vedi “Metodo di lavorazione”). Altri “erborinati” famosi nel mondo sono lo Stilton inglese e il Roquefort francese. Il Gorgonzola DOP piccante si differenzia, oltre che per il gusto forte e deciso, per le venature blu-verdi piuttosto accentuate e per la pasta più consistente e friabile. Il suo gusto peculiare è dovuto a un periodo di stagionatura maggiore e all’innesto di colture di penicilli differenti. Questa tipologia rappresenta oggi oltre l’11% della produzione globale (photo © guffantiformaggi.com). >> Link: gorgonzola.com

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Benelux. In area extra-UE, i mercati più dinamici sono Canada, Svizzera e Regno Unito, dove fino al 31 dicembre è rimasto in vigore il regime transitorio. «Possiamo ritenerci soddisfatti dei risultati conseguiti nel 2020, resi ancor più significativi dalla particolarità del quadro macroeconomico» ha commentato Fabrizio Aschieri, presidente del Consorzio di tutela della Coppa di Parma IGP. «Per quanto riguarda il mercato domestico, l’obiettivo è mantenere i volumi e crescere a valore: un aiuto importante potrebbe arrivare dalla graduale ripresa del mondo Ho.re. ca., così penalizzato dalle chiusure. Guardando all’estero, siamo convinti che il mercato nordamericano abbia enormi potenzialità: continuiamo a lavorare sottotraccia per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie per la commercializzazione negli Stati Uniti».

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INDAGINI Osservatorio Immagino GS1 Italy 2021

GNAM GNAM STYLE: IN 100 GRAMMI DI ROLL I CONSUMI DEGLI ITALIANI

I

l 2020 passerà alla storia come l’anno della pandemia da Covid-19. Un fenomeno che non solo ha generato una inedita, impegnativa e complicata situazione sanitaria, ma ha anche modificato in modo importante la vita di miliardi di persone. Un cambiamento che, ovviamente, è arrivato anche nel carrello della spesa, come ha rilevato l’Osservatorio Immagino (si veda box a pagina 69). La nona edizione ha monitorato l’andamento delle vendite nel corso del 2020 di 120.411 prodotti confezionati di largo consumo, tra food, pet food, cura casa e cura persona. Un cospicuo paniere che genera oltre 38,6 miliardi di euro, ossia l’82,6% del giro d’affari realizzato in Italia da supermercati e ipermercati. Incrociando questi dati di sell-out con le indicazioni, i loghi e i claim inseriti sulle loro etichette sono stati individuati, misurati e monitorati, semestre dopo semestre, i fenomeni che stanno cambiando il carrello della spesa degli Italiani. A partire dal suo profilo nutrizionale, che viene espresso da un indicatore

La pubblicazione raccoglie i risultati della nona edizione dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy, che incrocia le informazioni riportate sulle etichette di oltre 120.000 prodotti digitalizzati nel 2020 dal servizio Immagino di GS1 Italy (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy).

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Il “metaprodotto” è un prodotto statistico disegnato dall’Osservatorio Immagino calcolando la media ponderata dei contenuti dei nutrienti indicati sulle etichette nutrizionali di 72.845 prodotti, appartenenti principalmente ai reparti delle bevande, della drogheria alimentare, del fresco e del freddo (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy). esclusivo: il metaprodotto Immagino, ottenuto elaborando i valori indicati sulle etichette nutrizionali presenti su 72.845 prodotti alimentari rilevati dall’Osservatorio Immagino. Il metaprodotto Immagino rispecchia il contenuto medio di calorie e macronutrienti in 100 g/ml di prodotto e consente di seguirne l’evoluzione nel tempo. Nel corso del 2020 l’apporto nutrizionale medio della spesa alimentare degli italiani ha subito un’ulteriore evoluzione frutto del cambio nel mix degli acquisti realizzati in supermercati e ipermercati. I trend più significativi? Nel nuovo metaprodotto Immagino è aumentato il peso di grassi, proteine e grassi saturi, si è stabilizzato l’apporto di carboidrati ed è calata l’incidenza di fibre e zuccheri. Complessivamente, il valore calorico è salito a 181,4 calorie ogni 100 g/ml di prodotto ed è aumentato del +1,4% su base annua, mentre nel 2019 era diminuito del –0,5%. Il maggior contributo al valore energetico del metaprodotto Immagino si deve ai carboidrati, che ne rappresentano il 20,1%.

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Nel 2020 il loro ruolo è stato stabile (+0,3% su base annua) dopo un 2019 in cui erano calati (–2,1%). La seconda famiglia di nutrienti per quota sul metaprodotto Immagino è quella dei grassi, che ne rappresenta l’8,9%. Nel 2020 è cresciuta del +2,3%, trovando nuovo slancio rispetto al +0,6% del 2019. La forte crescita si deve, in particolare, al maggiore apporto delle uova, dell’olio extravergine di oliva, dell’olio di semi, del burro, dei prodotti di pasticceria, di maionese e salse, delle creme spalmabili dolci, delle mozzarelle, dei formaggi grana e simili, del latte e della panna UHT. Le proteine contribuiscono per il 6,6% al metaprodotto Immagino targato 2020: nell’ultimo anno sono state le componenti più dinamiche (+2,7%) e hanno mostrato una performance migliore di quella messa a segno nel 2019 (+1,5%). L’accelerazione della crescita dell’apporto proteico dei cibi acquistati nel 2020 dagli italiani in supermercati e ipermercati si spiega con i maggiori acquisti di alcuni prodotti, come uova di gallina, farine e miscele, pasta, latte

UHT, mozzarelle, paste filate uso cucina, formaggi grana e simili, affettati (in particolare prosciutto cotto, bresaola e arrosti), legumi secchi e fagioli conservati, pesce naturale surgelato, tonno sottolio, prodotti di pasticceria, carne avicunicola, würstel ed elaborati di carne (soprattutto hamburger). Bandiera bianca (rossa e verde): loghi e certificazioni La bandiera del Paese di origine, la precisazione che il prodotto è stato ottenuto nel rispetto degli animali o in modo sostenibile, oppure che proviene dal circuito del commercio equo o che è certificato come biologico grazie alla presenza del logo organic europeo. Sono solo alcuni degli esempi di informazioni valoriali volontarie sempre più frequenti sulle etichette dei prodotti di largo consumo e che offrono ai consumatori delle garanzie aggiuntive sulle modalità con cui sono stati ottenuti e commercializzati i prodotti. Si tratta di un mondo in costante e rapida evoluzione, che sfrutta anche il ruolo di mass media delle etichette per

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L’accelerazione della crescita dell’apporto proteico dei cibi acquistati nel 2020 dagli Italiani in supermercati e ipermercati si spiega coi maggiori acquisti di alcuni prodotti, come uova di gallina, farine e miscele, pasta, latte UHT, mozzarelle, paste filate uso cucina, formaggi grana e simili, affettati (in particolare prosciutto cotto, bresaola e arrosti), legumi secchi e fagioli conservati, pesce naturale surgelato, tonno sottolio, prodotti di pasticceria, carne avicunicola, würstel ed elaborati di carne, soprattutto hamburger (photo © somegirl – stock.adobe.com). veicolare direttamente agli shopper i valori che stanno dietro i prodotti e che spesso, oltre alle semplici asserzioni dei produttori, sono certificati da organismi terzi e attestati da loghi e bollini. L’Osservatorio Immagino ha riunito questa diversificata offerta in un paniere, in cui rientrano diversi loghi e certificazioni, a partire dalla bandiera del Paese di origine quale garanzia di provenienza, dal logo EU Organic come certificazione dei prodotti biologici e dal marchio di conformità europeo “CE”. A questi si aggiungono un claim (Cruelty free) e sette certificazioni (Ecocert, Ecolabel, Fairtrade, Friend of the sea, FSC, Sustainable cleaning, UTZ) relative alla corporate social responsibility (CSR). Nel corso del 2020 quest’ampio e diversificato carrello della spesa ha ospitato circa 26.000 prodotti, dei quali ben circa 16.000 (13,6% di incidenza sul totale rilevato) sono stati accomunati dalla presenza on pack della bandiera del Paese d’origine, principalmente l’Italia. Oggi quest’agglomerato di prodotti, alimentari e non, pesa per il 14,4% sul sell-out del largo consumo confezionato

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di super e ipermercati e nell’arco del 2020 lo ha visto crescere del +6,0%. Un risultato ancora più significativo se confrontato con il +0,5% che aveva ottenuto 12 mesi prima. È stata la domanda la componente trainante (è cresciuta del 7,7% nel corso del 2020). Tra i prodotti che hanno più contribuito alla crescita delle vendite ci sono le uova, l’olio extravergine di oliva, il latte UHT e i surgelati vegetali naturali/frutta. Nel 2020 è proseguita la crescita dei prodotti che riportavano in etichetta il logo EU Organic: queste 8.033 referenze (6,7% della numerica totale) hanno aumentato le vendite del 2,8% su base annua, contro il +2,1% realizzato nel 2019. Bilancio 2020 in negativo, invece, per i 2.573 prodotti dotati del marchio europeo di conformità CE: il calo del –3,8% del giro d’affari si spiega con l’importante contrazione dell’offerta (–7,4%) e col forte decremento delle vendite di uova pasquali, merendine e kit per merende dolci. Nel paniere lifestyle creato dall’Osservatorio Immagino giocano un ruolo importante i prodotti accompagnati

da claim o certificazioni riguardanti la Corporate Social Responsibility (CSR). Attestazioni che, anche nel corso del 2020, si sono confermate un elemento distintivo dei prodotti, offrendo ai consumatori garanzie sulle materie prime e sui processi produttivi utilizzati e rispondendo, quindi, in maniera trasparente e concreta alle richieste di eticità e sostenibilità nei confronti dell’ambiente, dei lavoratori e degli animali. All’area della CSR fanno capo complessivamente 9.659 prodotti di largo consumo, alimentari e non, pari al 8,0% di quelli rilevati, per un giro d’affari che ha raggiunto un 11,0% di incidenza sul totale, superando la soglia dei 4,2 miliardi di euro di sellout. Se nel 2019 questo paniere aveva aumentato le vendite del +1,2%, nei 12 mesi successivi è arrivato al +5,3%. Merito dell’ampliamento della domanda (+5,0%) in un contesto di offerta sostanzialmente stabile (+0,3%). Da notare come questi prodotti mantengano un’elevata pressione promozionale (37,1%), anche se in calo rispetto al 40,5% del 2019.

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Sul cucuzzolo (e in tavola): Alpi, colline e pianure in etichetta Non solo richiami alle regioni di provenienza, riconoscimenti DOP o IGP, bandiere tricolori e claim relativi alle diverse declinazioni del made in Italy: l’italianità dei prodotti può essere segnalata sulle etichette anche facendo riferimento alle caratteristiche morfologiche di uno specifico territorio. E l’Italia, con la sua variegata configurazione territoriale e la sua biodiversità, si presta molto bene a questo tipo di connotazione. L’Osservatorio Immagino ha voluto verificare come e quanto sono indicati in etichetta monti e colline, pianure e altipiani, Alpi e Appennini, scoprendo che sono presenti su 1.160 prodotti (1,4% della numerica rilevata), per un giro d’affari complessivo di 674 milioni di euro (2,1% del totale), solo per un terzo sovrapposto a quello del mondo dell’italianità / regionalità. Nel 2020 questo paniere ha aumentato le vendite del +4,0%, grazie alla dinamica positiva sia dell’offerta che della domanda. Il segmento più rilevante (0,6% dei codici) è quello dei prodotti con claim che fanno riferimento ad allevamenti o colture o a sorgenti poste su “altipiani”. Nel 2020 hanno contribuito per l’1,1% alle vendite complessive del paniere rilevato e sono rimaste stabili (+0,1%). Le “Alpi” sono citate sullo 0,2% dei prodotti, con lo 0,6% di quota a valore: nel 2020 le vendite salite del +4,4%, grazie soprattutto alla domanda. Se la provenienza da una fonte alpina è un elemento importante nel mondo delle acque minerali, in quello dei vini è la coltivazione sulle “colline” a fare la differenza. Sono i vini, infatti, i prodotti più rilevanti di questo paniere, che comprende lo 0,3% di tutti i prodotti, e che ha chiuso il 2020 con un +2,5% di vendite. Altre categorie importanti sono gli affettati di cui viene indicata la stagionatura in collina, e, a distanza, l’olio extravergine di oliva. Vendite in crescita nel 2020 anche per quello 0,1% di referenze che fa riferimento alla sua origine di “pianura” (Maremma, in particolare): l’aumento è stato del +4,7% e le categorie principali sono risultate latte fresco, vini, uova e passate di pomodoro. Le performance migliori del 2020 sono state quelle dei prodotti di “montagna” e di quelli provenienti dagli “Appennini”. I primi hanno aumentato le vendite del +18,3% anche grazie alla maggiore diffusione del claim (+15,1% la componente di offerta) e sono arrivati allo 0,2% di quota a valore. Tra le categorie più rilevanti ci sono latte fresco e UHT, kefir e yogurt intero, tutti in forte crescita. Più limitato il peso dei prodotti che richiamano gli Appennini (0,1% di quota a valore) che però sono i top performer del 2020, con aumento del 38,1%, determinato dal mix positivo di domanda e offerta. Hamburger di carne bovina e pasta fresca ripiena sono state le categorie più rilevanti (in foto: le colline del Barbaresco, provincia di Cuneo; photo © Claudio Colombo – stock.adobe.com).

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Nel mondo del metodo di lavorazione sono stati selezionati prodotti accomunati da claim e caratteristiche in etichetta come “estratto a freddo”, “trafilato”, “lavorato a mano”, “essiccazione”, “artigianale”, “affumicatura”, “non filtrato”. Sono stati analizzati 84.804 prodotti dell’Osservatorio Immagino nel mondo del metodo di lavorazione. Il perimetro di analisi comprende il canale ipermercati e supermercati (photo © Osservatorio Immagino GS1 Italy).

Come son fatto (te lo dico): metodo di lavorazione L’ultima volta che l’Osservatorio Immagino se n’era occupato era stata nella sua quinta edizione quando, presentando il consuntivo del 2018, aveva rilevato come il 3,0% dei 72.100 prodotti alimentari monitorati (ossia 2.138 referenze) riportasse on pack un claim che ne illustrava il metodo con cui erano stati ottenuti come elemento distintivo e valoriale e come richiamo a una componente di artigianalità. Ma ora, a due anni di distanza, come si presenta questo fenomeno? A dicembre 2020 i prodotti che comunicavano in etichetta il metodo di lavorazione erano saliti a rappresentare il 3,3% del paniere alimentare dell’Osservatorio Immagino (esclusi acqua e alcolici). Queste 2.791 referenze, il cui giro d’affari rappresenta il 3,0% del totale food del perimetro Immagino, nel corso del 2020 hanno realizzato oltre 971 milioni di euro di vendite, in crescita del +5,1% rispetto all’anno precedente. Fonte: GS1 Italy, gs1it.org tendenzeonline.info

Oggi l’informazione è la nuova materia prima delle aziende. Infatti, anche grazie alle tecnologie digitali, il data management consente di migliorare l’efficienza, ridurre i costi e aumentare il livello di servizio al consumatore. Un consumatore che è immerso appieno in questa rivoluzione dell’informazione “fluida”: disponibile in qualunque momento, in qualunque luogo e in quantità inimmaginabili fino a qualche anno fa. Accanto alla rivoluzione digitale il consumatore risponde, poi, agli stimoli della cultura alimentare e delle scoperte scientifiche su come il cibo influenzi la salute e il benessere. L’informazione sui prodotti alimentari diventa così un elemento fondamentale e l’etichetta è il primo posto “fisico” per entrare in contatto con il consumatore, educarlo e soddisfare la sua esigenza di informazioni complete e trasparenti. Le persone sono alla ricerca di punti di riferimento e i punti di vendita e le marche dispongono di strumenti informativi importanti per costruire una relazione di valore con loro: “informare bene” è oggi una delle mission costitutive per le imprese. Mancava ancora, tuttavia, una misurazione reale del rapporto tra informazione ricercata e risultati di mercato in termini di vendite. Per colmare questo vuoto, nel 2016, è nato l’Osservatorio Immagino GS1 Italy: l’integrazione tra le oltre 100 variabili (ingredienti, tabelle nutrizionali, loghi e certificazioni, claim e indicazioni di consumo) registrate da Immagino sulle etichette dei prodotti già digitalizzati da un lato e i dati Nielsen di venduto (retail measurement service), consumo (consumer panel) e di fruizione media (panel TV-internet) dall’altro, apre la strada ad un modo nuovo di guardare i fenomeni di consumo che si verificano nel nostro Paese. Si tratta di un patrimonio informativo unico per condividere, secondo l’approccio precompetitivo proprio di GS1 Italy, informazioni di scenario utili alle aziende, alle terze parti, a istituzioni e consumatori. L’Osservatorio Immagino è uno studio che monitora fenomeni di consumo nuovi e inesplorati fino a oggi. Ogni sei mesi (dati a giugno e dicembre), in formato cartaceo e digitale, fornisce e aggiorna le informazioni relative al set di fenomeni più interessanti e al loro trend nel tempo, e si arricchisce ad ogni edizione di nuovi approfondimenti. Utilizzando il codice a barre GS1 (ex EAN) per identificare i prodotti e attraverso l’incrocio delle informazioni di etichetta con i dati Nielsen, l’Osservatorio Immagino consente di misurare fenomeni di consumo emergenti e di identificare i segmenti di popolazione che li determinano. Si scopre così qual è il consumo di prodotti free from e di quelli arricchiti, come evolvono il “senza glutine” o il “senza olio di palma”, come crescono l’universo veg e il biologico, qual è il profilo di consumo di chi è sensibile alle intolleranze alimentari o all’italianità dei prodotti. Grazie alla collaborazione delle imprese del largo consumo e al continuo miglioramento del suo livello di copertura del largo consumo, l’Osservatorio Immagino aiuta a tenere sotto costante controllo la dinamica dei comportamenti del consumatore e a identificare i nuovi trend di consumo e di offerta soggetti a veloci cambiamenti nel tempo.

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Sostenibilità in etichetta, promettere non basta più Secondo Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy, «nel dinamico mondo delle etichette dei prodotti di largo consumo, l’area emergente di questi ultimi mesi è senza dubbio quella della sostenibilità. Sono sempre più numerosi i prodotti sulle cui etichette viene segnalato l’impegno delle aziende nel miglioramento del loro impatto ambientale lungo tutta la filiera. L’Osservatorio Immagino ha fotografato quest’ampio universo, rilevando 24 claim presenti sulle etichette e organizzandoli in quattro aree (management sostenibile delle risorse, agricoltura e allevamento sostenibili, responsabilità sociale e rispetto degli animali). Un lavoro di analisi che ha consentito di misurare quanto la sostenibilità sia diventata un tema di comunicazione anche sulle etichette dei prodotti: sono oltre 26.000 i prodotti coinvolti (quasi il 22% del totale) e nel 2020 avevano realizzato oltre 10 miliardi di euro di giro d’affari (26,2% del totale), in crescita di +7,6% rispetto ai 12 mesi precedenti. Il fenomeno riguarda sia l’offerta che la domanda; un maggior impegno da parte delle aziende (sia di produzione che di distribuzione) a fronte di una crescente sensibilità da parte del consumatore. La percezione della sostenibilità in Italia, infatti, sta cambiando, e oggi più che mai le aziende hanno bisogno di strumenti e di un approccio scientifico per misurare la sostenibilità a tutti i livelli del proprio business. I programmi della Commissione europea definiscono un circolo virtuoso tra digitalizzazione, sostenibilità e consumatore. I dati non sono più solo appannaggio della relazione tra le imprese, ma vedono il consumatore al centro: occorre consentirgli di comprendere che cosa sia realmente sostenibile e cosa no, e dargli informazioni in maniera comprensibile, affidabile e confrontabile, per consentire scelte consapevoli. L’attenzione al tema della sostenibilità si sposa con quello della circolarità in ogni fase del ciclo di vita dei prodotti: dal design, all’approvvigionamento, alla produzione, alla distribuzione, all’utilizzo, allo smaltimento e alla gestione dei rifiuti. L’informazione sulla riciclabilità veicolata attraverso le etichette è, infatti, in crescita (3 punti percentuali in più rispetto all’edizione scorsa). E l’informazione “paga”: nel corso del 2020 sono aumentate le vendite dei prodotti che comunicano la riciclabilità del pack, mentre, al contrario, il bilancio è stato negativo per chi non ha comunicato nulla. In un futuro prossimo l’attenzione del legislatore verso questi temi darà un’ulteriore spinta al fenomeno. La parola sostenibilità ha definitivamente trovato un posto stabile nelle strategie aziendali. Azioni concrete e misurabili eviteranno che il suo significato sia diluito o svuotato, ma anzi daranno una spinta per un suo ulteriore rafforzamento (in foto, la collezione di tè Rhoeco disponibile in confezioni sostenibili: sembrano un vaso da fiori e, in effetti, nella parte interna del coperchio sono inseriti dei semi che si possono piantare proprio nello stesso vasetto quando il tè è esaurito).

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L’Orco Mangiabene compie 110 anni È un marchio dalla incredibile potenza comunicativa, dissacrante e decisamente riconoscibile, dal 1911 nelle dispense degli Italiani con senapi (il prodotto di punta) e salse di alta qualità. Orco, in occasione delle celebrazioni del suo 110o compleanno, ha lanciato una nuova salsa che si ispira alla cucina messicana e che porta un tocco etnico nella famiglia dei suoi prodotti. È preparata secondo il “mantra” dell’azienda di Varese, il più antico brand di salse italiano: meticolosità nella selezione della materia prima, sensibilità nell’intercettare i bisogni dei consumatori e lavorazione artigianale con tecniche antiche. >> Link: www.orco.it

Alla ricerca del simbolo per la sua nuovissima senape, lo svizzero Federico Thomy, fondatore della Helvetia Spa Varese (oggi Prodotti Orco Srl – Società Alimentare Helvetia), si rivolge ad Achille Lucien Mauzan, illustratore francese specializzato in manifesti pubblicitari. Per un prodotto “piccante” come è appunto la senape, Mauzan, giovane e dalla fervida fantasia, si ispira al mostro delle favole. Nasce così il manifesto dell’Orco Mangiabene, talmente azzeccato da diventare il nome-marchio di tutta la produzione di salse.

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41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36


PRODOTTI TIPICI

ESTATE,

TEMPO DI RACCOLTA DI MIELI DAVVERO SPECIALI di Chiara Papotti 72

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I mieli al naturale sono accompagnamento ideale per formaggi e carni arrosto o alla griglia (photo © fahrwasser – stock.adobe.com).

È il dolcificante più naturale e digeribile, i suoi diversi aromi vengono esaltati da pane, dolci, ma anche carne e formaggi. Andiamo alla scoperta del presidio Slow Food che raggruppa i “mieli di alta montagna alpina”

a varietà di ambienti, paesaggi, microclima naturali rende l’Italia il Paese con il maggior numero di varietà e qualità di mieli. Dalla ricchezza del millefiori, al delicato miele di acacia, al rarissimo miele di rosmarino, sino all’amaro di corbezzolo, ogni miele italiano esprime caratteristiche proprie di aroma, sapore, colore e consistenza. Non si può, quindi, parlare di miele in modo generico, ma di “mieli”, ciascuno con una propria unicità. Nell’arco alpino sono 3 le varietà tutelate da Slow Food che hanno ottenuto il riconoscimento di presidio: miele di rododendro, miele di millefiori e miele di melata di abete. Prima di scoprirli uno ad uno è fondamentale distinguere i mieli monoflora da quelli millefiori. I primi si

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Fioritura del rododendro in Trentino. Quello di rododendro è uno dei mieli più rari e pregiati italiani. Spesso, infatti, l’andamento stagionale sfavorevole ne impedisce la produzione o la riduce a quantitativi minimi (photo © scabrn – stock.adobe.com).

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ottengono principalmente da un’unica pianta, che gli conferisce proprietà di composizione, gusto e colore tipiche; i secondi, invece, si ricavano da una miscela di piante diverse e presentano sapori e aromi variabili da zona a zona, a seconda delle caratteristiche climatiche e della flora tipica del territorio. Il nettare dei diversi fiori che le api utilizzano condiziona fortemente le caratteristiche dei mieli, esattamente come ogni tipo di uva determina quelle del vino o la frutta incide su quella delle confetture. Sulla nostra Penisola sono circa cinquanta le varietà di miele monoflora, tra queste troviamo due dei tre mieli di alta montagna alpina. Il miele di melata d’abete Non si fa tutti gli anni e, anche per questo motivo, aprire il gusto e la mente alla ricchezza di questa particolarità significa immergersi in un universo di sapore tutto da esplorare. Le api che lo producono si nutrono del liquido resinoso prodotto dagli afidi alimentati a loro volta dalla linfa dell’abete bianco. Il sapore è maltato, caramellato, aromatico, con note resinose di fumo. Ha colore molto scuro, quasi nero, con una leggera fluo-

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Il miele è tra gli alimenti più antichi della specie umana: ricerche archeologiche hanno confermato che gli uomini preistorici si cibavano di questo alimento. Per i Romani era il dolcificante ideale: lo importavano da Creta, Cipro, Malta e dalla Spagna. Veniva usato crudo e cotto per la preparazione dei dolci, delle birre, delle conserve e dell’idromele, una bevanda prodotta dalla fermentazione alcolica del miele diluito con l’acqua, la bevanda degli dei e degli eroi di un tempo (photo © @Carlo_Prearo_2017). rescenza verdastra e al naso risulta leggermente resinato: può ricordare il legno bruciato e lo zucchero caramellato. Al palato è meno dolce dei mieli di nettare e presenta note di malto e balsamico. Il miele di rododendro Ha un nome evocativo e proviene da una pianta molto bella e conosciuta in alta montagna. Si tratta di arbusti che vegetano spontaneamente vicino ai corsi d’acqua all’ombra nelle da zone boscose e umide. Fresco e raffinato il miele di rododendro è particolarmente raro e prodotto quasi esclusivamente nel nostro Paese. Presenta sfumatura giallo ambrate, rossicce e anche più scure a seconda della fioritura. Profumo e sapore sono delicatissimi, caratterizzati da un leggero aroma che ricorda la marmellata di piccoli frutti. Il miele di millefiori Per il millefiori le piante coinvolte sono davvero tante: rododendro, campanula, lupinella, trifoglio, lampone, timo e serpillo sono le più comuni. Se il miele monoflora trae da un’unica pianta di origine la sua personalità, sarebbe comunque sbagliato considerare il millefiori un prodotto di qualità inferiore,

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omologato nel gusto e di scarsa identità. In realtà ogni millefiori racchiude le note tipiche della zona d’origine. È diverso, per esempio, il millefiori ottenuto nell’arco alpino da quello ottenuto in alcune zone di pianura o collina, dove la flora è meno diversificata rispetto dell’arcobaleno di colori che caratterizzano le centinaia di specie floreali di alta montagna. Il millefiori del Presidio è un prodotto estremamente delicato, sempre diverso, da zona a zona e da un anno all’altro. Nomadi in alta montagna I mieli di alta montagna alpina sono produzioni difficili: una buona stagione, ogni quattro-cinque anni, offre poche centinaia di quintali. Si raccolgono esclusivamente in estate, ma sono reperibili tutto l’anno. Slow Food ha concesso il presidio a questi tre mieli perché frutto di un duro lavoro dell’apicoltore, che si muove nomade tra le fioriture della montagna. Una pratica, il nomadismo in alta montagna, che vede produzioni sempre a rischio e spesso più scarse rispetto all’apicoltura stanziale. Ma l’altissima qualità ottenuta merita tutta la nostra attenzione.

I mieli al naturale sono accompagnamento ideale per formaggi e carni arrosto o alla griglia. Il miele di melata, intenso e balsamico, regge bene formaggi di media stagionatura, mentre quello di rododendro e il millefiori — più dolci — accompagnano meglio formaggi piccanti: pecorini molto stagionati ed erborinati non troppo potenti. Se servito coi formaggi, è importante che il miele si trovi allo stato liquido e non cristallizzato; nel caso si suggerisce di immergere il barattolo in acqua tiepida a bagnomaria e attendere il cambio di stato. Gli apicoltori che producono i mieli del presidio dei “mieli d’alta montagna alpina” sono circa una cinquantina e si trovano nell’arco alpino sopra i 1400 metri, distribuiti tra Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta. Slow Food nel proteggere queste eccellenze è sostenuto da Aspromiele, UNAAPI – Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani e Verallia. Un lavoro paziente e tutt’altro che facile, con una ricerca continua del meglio e delle condizioni ideali, che regala prodotti unici di assoluta qualità. Chiara Papotti

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


LA SIGNORA DI CONCA CASALE Presidio Slow Food, questo salume molisano una volta destinato alle personalità locali importanti è ora realizzato da un solo produttore di Roberto Villa

anto per tranquillizzare chi si accinge a leggere queste brevi righe, non tratteremo di un’antica feudataria o di una madonna di una qualche sperduta contrada, né di una più moderna imprenditrice di successo: la “Signora” è un insaccato di carne suina tipico del paese di Conca Casale, borgo montano in terra molisana nei pressi di Venafro, al confine con il Lazio. Terra rinomata dall’epoca romana per gli olivi, i boschi,

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di lontana tradizione suinicola. Come tutti i salumi tradizionali, la Signora era prodotta solo nei giorni più rigidi dell’inverno, per essere consumata poi nella stagione estiva. La Signora non è assolutamente un salume povero, anzi: raramente consumata dai produttori, era destinata ai “signori” (il medico, il notaio, l’avvocato, il prete, il sindaco, il nobile, ecc…) come omaggio per ricambiare una cortesia o un favore.

Allevamento e macellazione Per la produzione sono attualmente utilizzate razze suine bianche pesanti, in particolare la Large White; i capi adulti sono allevati allo stato brado in recinti e con pascolo libero nei mesi di settembre ed ottobre. Classicamente si utilizzavano invece suini di razza Nera casertana. Nell’alimentazione degli animali è vietato l’uso di antibiotici, coccidiostatici, medicinali, stimolanti della crescita

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In alto: la Signora di Conca Casale (photo © www.tempiodivino.it). A sinistra: situato sulle pendici del Monte Santa Croce, Conca Casale è un piccolo comune del Molise che conta poco più di 200 abitanti. Il borgo lega le proprie origini alla necessità di difendere il Sannio e non è, dunque, un caso che tutta la sua storia sia stata profondamente influenzata proprio dalla sua posizione strategica. (photo © Sergio Feola).

o altre sostanze intese a stimolare la crescita o la produzione. Allo stesso modo, non è possibile sottoporre gli animali a trattamenti con sostanze ormonali destinate a controllare la riproduzione e sincronizzare i calori. I tempi di sospensione devono essere il doppio di quelli previsti dalla legge. Nel caso non siano previsti, il tempo di sospensione deve essere di almeno 48 ore. L’alimentazione dei suini da ingrasso

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è totalmente naturale, fatta con alimenti coltivati in azienda provenienti da coltivazioni biologiche; la razione è composta in percentuale da: mais 40%, orzo 35%, fave 20%, farina di fieno di erba medica 5%. Due mesi prima della macellazione è prevista l’introduzione della razione alimentare di finissaggio, costituita esclusivamente da mais e orzo. È escluso l’utilizzo di insilati, farine di origine animale (carne e pesce), alimenti

semplici e/o composti fabbricati anche in parte con organismi geneticamente modificati, di qualsiasi tipo di additivo, scarti di lavorazione industriale. La macellazione dei suini avviene in macelli pubblici autorizzati, situati vicino alla zona di produzione (Venafro, Pozzilli, Roccaravindola, Montaquila), ad un’età non inferiore agli 11-12 mesi con un peso superiore ai 160 kg, dai 2 ai 4 giorni prima della trasformazione.

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L’INSACCO SI FA A MANO CON L’AUSILIO DI UN IMBUTO E DI UN CUCCHIAIO, ED È QUESTA LA FASE IN CUI LA PERIZIA DELL’ARTIGIANO È BASILARE: PER UNA STAGIONATURA CORRETTA, INFATTI, L’IMPASTO DEVE ESSERE DISTRIBUITO IN MODO UNIFORME Bruno Bucci (photo © www.tempiodivino.it). Il rito invernale e quell’intruso sapore d’agrumi I tagli usati sono essenzialmente lombo e spalla, per la parte magra, più lardo della pancetta e del dorso, per la parte grassa; le percentuali della componente carnea prevedono tagli magri per il 65-70% e tagli grassi per il 30-35%. Da ogni maiale si poteva ricavare una sola Signora e quindi, inevitabilmente, il valore intrinseco del salume aumentava. Oggi si utilizzano anche parti della coscia. La lavorazione inizia con lo sminuzzamento a punta di coltello del 60-70% delle carni, una parte a grana fine e una parte a grana doppia per migliorarne l’amalgama, mentre la rimanente quota è lavorata con un tritacarne (coltelli n. 22 e trafila a 7 fori); si procede poi alla concia con sale, pepe nero in grani, peperoncino rosso piccante in polvere, semi di finocchietto selvatico e di coriandolo; le spezie devono avere provenienza locale o almeno nazionale. Non sono ammessi alcun tipo di additivi, conservanti, coloranti. L’impasto è quindi lasciato maturare per alcune ore a bassa temperatura prima di procedere con l’insaccatura. Il budello cieco del maiale, la cosiddetta “zia”, viene in precedenza accuratamente lavato in acqua calda, con un procedimento del tutto particolare che prevede l’utilizzo di succo di arancia e limone, aceto e vino e lasciato

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in infusione per almeno ventiquattro ore. Successivamente viene lavato abbondantemente in acqua e raschiato con farina di mais. L’insacco viene effettuato a mano, con l’ausilio di un imbuto e di un cucchiaio. Ed è questa la fase in cui la perizia dell’artigiano assume un ruolo basilare: per una corretta stagionatura, infatti, è necessario che l’impasto sia distribuito in modo più che uniforme, avendo cura di riempire bene tutte le pieghe del budello. A questo punto il salume viene legato a mano con uno spago ed eventualmente contenuto in una rete. La stagionatura si protrae per almeno sei mesi, in relazione alle dimensioni del budello, il salume appeso viene mantenuto per almeno due mesi in ambiente con camino ma lontano dai fumi per poi proseguire la stagionatura; la Signora può avere un peso da 800 grammi fino anche a 3 kg. La forma del prodotto finito è bitorzoluta, irregolare, di forma allungata simile ad un alveare. In bocca si avverte tutto il sapore e la consistenza di un salame crudo a grana grossa con, in evidenza, il finocchietto selvatico e una nota d’agrumi, dovuta al lavaggio del budello. Si consuma dopo averla tagliata a fette spesse. Viene preparato solitamente nella stagione invernale, per essere consu-

mato dopo la stagionatura, nel periodo che va da agosto a dicembre. Oltre ad essere presidio Slow Food è anche inserito tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Molise. Allargare l’areale di produzione per garantire il futuro della Signora Il paese di Conca Casale è un comune appenninico posto a 657 m slm e conta oggi circa 170 abitanti, dei quali buona parte anziani, ed il solo macellaio del paese è ormai anche l’unico produttore del salume. Secondo FRANCESCO MARTINO, Responsabile Slow Food del presidio, il disciplinare andrebbe modificato per consentire un areale di produzione più esteso in modo da coinvolgere altri produttori e garantire un futuro più certo a questo antico salume del tutto peculiare. L’istanza è stata presentata agli organismi di Slow Food affinché la valutino, nell’interesse del mantenimento della produzione sul territorio. Roberto Villa • Bruno Bucci (produttore) Via Principe Umberto 10 Conca Casale (IS) Telefono: 0865 903083 – 338 7263075 E-mail: giorgia.bucci@alice.it • Francesco Martino (responsabile Presidio Slow Food) Telefono: 0865 900377 – 338 1048796 E-mail: f.martino57@alice.it

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


Antichi e preziosi salumi d’oca di Giovanni Ballarini

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egli insediamenti palafitticoli, lungo i fiumi o sulle coste di laghi o in vicinanza di paludi, gli uomini stabiliscono i loro primi rapporti con le oche in modo analogo a quanto avviene con i cinghiali, o maiali selvatici, negli insediamenti umani vicini alle aree boschive. Entrambi gli animali (oca in aree acquatiche, maiale in aree silvestri), pur rimanendo

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relativamente selvatici, stabiliscono relazioni con l’uomo che li usa come efficaci riciclatori di alimenti per lui non utilizzabili. Tra oca e maiale, inoltre, il parallelo non è soltanto ecologico, bensì anche di utilizzazione alimentare, tanto più che per l’oca mancano i tabù e le interdizioni che vi sono per il maiale. Quasi certamente non vi è stato un unico evento di domesticazione dei

diversi generi e delle numerose specie di oche selvatiche; eventi avvenuti in tutta la vasta area nella quale si svolgono le migrazioni delle oche, in particolare nelle zone di riproduzione, dove è facile la raccolta di uova vicine alla schiusa e successivo sviluppo nel papero neonato dei meccanismi di imprinting. Domesticazioni diverse hanno permesso lo sviluppo di razze domestiche

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differenti che, con opportuni incroci e selezioni, hanno portato ad un’ampia varietà di razze oggi esistenti. Nella penisola italiana GAETANO FORNI fa rilevare che l’iconografia delle oche inizia a comparire nel VII secolo a.C., con l’addomesticamento di anatidi locali quali l’oca selvatica grigia (Anser anser). Oche, splendidi animali alimentari Per i Romani le oche erano uccelli sacri alla dea Era, prima di essere soppiantate dai più appariscenti pavoni, ma erano anche animali di cui ci si alimentava, apprezzandone le carni, i visceri ed in particolare il fegato (i Romani sono tra i primi a produrre e ad apprezzare il fegato grasso d’oca), il grasso e le uova. Roma è fondata su alture, i noti colli, ma tra questi vi sono zone acquitrinose propizie all’arrivo e agli insediamenti di oche, che sono poi addomesticate e messe a guardia della rocca cittadina difendendola, come è noto dai Galli invasori. Zone acquitrinose sono sparse in molte altre parti dell’Italia e anche attorno al fiume Po e suoi affluenti dove l’allevamento dei palmipedi è molto antico. È inoltre noto che, quando i Romani conquistavano un territorio, non solo portavano le strade e la loro legge, ma anche le loro abitudini alimentari e è quindi molto probabile che quando nel II secolo a.C. la Gallia Cisalpina passò sotto il dominio romano, qualche oca dell’attuale Lomellina sia stata ingrassata per avere lo iecur ficatum da portare

Salame d’oca di Mortara (photo © Emmanuel – stock.adobe.com). sulla tavola del centurione, comandante del castrum. L’oca ha un’alimentazione non competitiva con quella dell’uomo e di altri animali domestici e per questo in passato ha avuto un grandissimo successo in tutte le zone umide, come nelle aree risicole. Nelle terre basse pavesi, ad esempio, oche, rane e pesce fornivano all’uomo non solo carne e quindi proteine nobili, ma anche grasso e quindi l’energia indispensabile per una vita attiva. L’oca è un buon animale da carne perché gli uccelli migratori hanno un ottimo sviluppo dei muscoli pettorali che servono per il volo e divenendo

sedentaria con la domesticazione l’oca ha anche sviluppato gli arti inferiori e la coscia in particolare. Al tempo stesso, l’oca è un ottimo animale da grasso, che gli uccelli migratori accumulano, come riserva energetica, prima dei lunghi voli di trasferimento dalle regioni artiche a quelle temperate; si tratta di un grasso di facile mobilizzazione e ricco di acidi grassi insaturi buoni da un punto di vista della dieta umana. Salumi d’oca L’oca come il maiale è stata per secoli un animale del quale mangiare di tutto

Il Salame Crudo d’Oca Ecumenico di Mortara De.Co. (Denominazione Comunale di Origine) può essere consumato indifferentemente dagli osservanti delle fedi cristiana, islamica ed ebraica. L’oca viene disossata, separando le parti magre dell’animale (petto e coscia); si procede quindi alla “filettatura”, che consiste nel taglio a coltello delle carni in piccole parti, cui vengono aggiunti sale e aromi. L’impasto viene lasciato riposare per alcune ore. Infine, viene insaccato nella pelle del collo dell’oca e messo a stagionare in locali climatizzati per un periodo di 60-90 giorni. È ottimo come antipasto (fonte e photo © www.sagradelsalamedoca.it).

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Le oche sono state e sono ancora allevate in molte parti del mondo motivi di ornamento, guardia ma, soprattutto, per uso alimentare. Al pari del maiale, beni preziosi quali carne e grasso sono stati oggetto di trasformazione, stagionatura e conservazione con la produzione di salumi Prosciutto e salame d’oca (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com). e di tutto se ne ricavava: piume per fare cuscini, penne per scrivere, uova da mangiare, grasso per cucinare e carne, da mangiare fresca o da conservare sotto forma di salumi. La tradizione dei salumi d’oca ha preso piede soprattutto dove erano presenti comunità ebraiche la cui religione vieta il consumo di maiale, come in Italia settentrionale e soprattutto in Lomellina, in provincia di Pavia, dove l’allevamento di oche, fiorente in età medievale, riceve impulso con l’arrivo dall’Est Europa e dalla Spagna di comunità ebraiche. Anche il Friuli ha un’antica tradizione dell’oca: già il geografo latino STRABONE decantava l’abilità degli allevatori di oche di Aquileia. La macellazione dell’oca è prevalentemente autunnale/invernale, quando gli animali sono grassi e le temperature ambientali permettono la conservazione delle carni fresche e la loro lavorazione in insaccati da consumare crudi e cotti. Salame e prosciutto, crudo e cotto in forno, speck e mortadella, di sola oca o di carni miste, salame cotto, cotechino, ciccioli oltre al classico petto salato, stagionato e leggermente affumicato: la varietà dei prodotti e salumi di oca è pari a quella di altri animali. I più tipici e noti sono il Salame d’oca friulano,il Salame di Mortara, e le varianti “oca e maiale”, e il Salame di Vigevano.

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Salame d’oca cotto di Mortara La Lomellina, col suo centro storico e geografico nella città di Mortara, è una zona particolarmente adatta all’allevamento e all’ingrasso dell’oca e alla trasformazione delle sue carni. Già nel 1200 a Mortara si produceva il salame di carne d’oca e due secoli più tardi, all’epoca di LUDOVICO IL MORO e poi sotto la reggenza di BONA DI SAVOIA, esisteva una comunità ebraica che commissionava ai salumieri della zona ciccioli e salami di sola carne d’oca. Le comunità ebraiche presenti a Mortara, Vigevano e in altri piccoli centri della Lomellina, Pavia, Vercelli e Novara, come professione principale esercitavano quella di banchiere, che assicurava un buon reddito e quindi la possibilità di un’alimentazione di un certo livello e propensa alle preparazioni gastronomiche che potevano durare per molti mesi. Dopo la Controriforma, con un decreto firmato da Filippo II re di Spagna alla fine del 1596, gli Ebrei vennero espulsi dal Ducato di Milano, di cui Mortara faceva parte, ma le oche e i loro salumi rimasero. Notizie a noi più vicine sul salame d’oca risalgono al 1780, epoca in cui Mortara era provincia del regno piemontese, ed è proprio in quest’epoca che si inizia a parlare di Oca di Lomellina. Alla fine del secolo XIX PELLEGRINO ARTUSI, nel suo libro La scienza in cuci-

na e l’arte di mangiar bene (1891), in una nota alla ricetta 548 relativa alle preparazioni a base di “Oca domestica” che non compare nelle successive, ricorda che “con la carne d’oca gli Ebrei confezionavano anche il loro tradizionale salame (più simile, in verità, ad un piccolo prosciutto o culatello) che sino a qualche anno fa si vendeva (e forse è possibile trovarne ancor oggi), in certe cittadine della Lomellina come Vigevano e Mortara”. Agli inizi del ‘900 salami d’oca erano prodotti da salumieri lomellini: Pietro Pagani di Mortara sembra essere il primo salumiere della zona ad avere un laboratorio attrezzato per la lavorazione e la conservazione in cella frigorifera di carne suina e d’oca ed i salame d’oca da lui prodotto viene venduto con una cartolina pubblicitaria su cui ci sono descritte le spiegazioni su come cucinarlo. Nel 1913, alla II Esposizione Internazionale di Parigi, Carlo Orlandini, altro salumiere di Mortara, presenta ed ottiene un riconoscimento ufficiale per il suo salame d’oca che i Francesi denominano Saucisson d’oie. A metà degli anni ‘80 del secolo passato il salame d’oca è un prodotto tipico che i diversi salumieri mortaresi preparano secondo diverse personalissime ricette gelosamente custodite. Nel 1967 GIULIO GALLINO lancia l’idea di una Sagra gastronomica intitolata

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al Salame d’oca e nello stesso anno nasce il primo Consorzio di produttori di salame d’Oca, composto esclusivamente da salumieri di Mortara. L’utilizzo dell’oca da parte degli israeliti e la sua trasformazione in prodotti di salumeria si ripete in diversi altri luoghi della Pianura Padana, ad esempio a Reggio Emilia. Il Salame d’oca ebraico era e è preparato nel rispetto delle regole di macellazione dell’animale e, soprattutto, con la completa esclusione di carni di animali impuri, come il maiale. La bontà di questo prodotto non passa però inosservata ai Cristiani, che non hanno timore di arricchirlo con altri ingredienti e in particolare con la meno costosa carne suina (carni magre e parti grasse). Nella produzione del salame d’oca entrano la carne magra e la pelle dell’animale che, per un’oca di circa 5 kg, sono rispettivamente 1,200 e 0,800 kg. I più naturali involucri da utilizzare per confezionare il salame d’oca sono la pelle del collo e del ventre dell’animale. Per la preparazione di questo salame in linea generale si procede come segue. L’oca, già spiumata e priva di zampe e ali, è sezionata togliendo la pelle. La carne magra viene prelevata e tritata unitamente a parti grasse. Dopo l’aggiunta di una miscela di sale, pepe, droghe ed aromi naturali, il tutto è passato in un’impastatrice che

rende uniforme l’impasto; si esegue infine la cucitura della pelle, l’insacco vero e proprio e la legatura finale del salume. La pelle rappresenta tra il 20 e il 25% circa del salame finito. I tempi ottimali per una buona conservazione sono di 5/6 giorni; se conservato in cella frigo a circa 10 °C, lo si può consumare anche dopo tre settimane dalla cottura. La cottura del salame veniva fatta in grandi pentole di rame poste sul fuoco di camini e i salami, avvolti singolarmente in carta oleata, erano lasciati riposare nell’acqua di cottura fino a completo raffreddamento. Ancora oggi, in stabilimenti di tipo industriale o semindustriale, si opera in condizioni analoghe. Durante la cottura si ha un calo del peso che va dal 15 al 20%. Il salame cotto dovrebbe avere un peso superiore al chilo, ma per esigenze commerciali se ne producono di più leggeri. La produzione del salame d’oca ha una stagionalità il cui inizio coincide con la sagra che si svolge annualmente (pandemia permettendo…) l’ultima domenica di settembre e che continua fino alle feste natalizie, con un massimo al Capodanno, quando è consuetudine locale mangiarlo caldo con contorno di lenticchie, analogamente ad altri salumi cotti, come lo zampone ed il cotechino.

Salame d’oca di Mortara Igp Il salame d’oca di Mortara dal 2004 è una IGP (Indicazione Geografica Protetta). È l’unica Indicazione Geografica della Lomellina e, insieme al Salame di Varzi DOP, il solo della provincia di Pavia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è fatto di sola carne anserina Il prodotto è infatti ottenuto da parti magre (30-35%) di oche nate, allevate e macellate nel territorio delle regioni Lombardia, Piemonte, EmiliaRomagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, e parti magre e grasse di suini nati, allevati e macellati nel territorio delle regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Lazio, Marche, Molise, Toscana e Umbria. La percentuale di carne d’oca utilizzata non deve comunque mai scendere sotto un terzo del totale. Il trito di carni di oca e maiale è impastato con sale, pepe e aromi vari, il composto risultante è avvolto nella pelle di oca, cucito e legato a mano conferendogli la caratteristica forma asimmetrica, quindi coperto da un panno e lasciato asciugare per qualche giorno. Dopo l’asciugatura il salame è punzecchiato e cotto in acqua calda non bollente e fatto raffreddare per il consumo. Il sapore è dolce e delicato. Consueto l’abbinamento a purè di patate o verdure lessate.

Al trasferimento delle tecniche norcine riservate al suino all’oca hanno fortemente partecipato, anche nel nostro Paese, le comunità israelitiche, le quali, non potendo utilizzare il maiale, hanno trovato nell’oca un ottimo sostituto. Salumi e preparazioni a base d’oca sono diffusi in Italia settentrionale, Lomellina soprattutto, Veneto e Friuli Ciccioli d’oca pressati (photo © L’oca di Sant’Albino).

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pelle, quindi sono speziati a secco con sale, pepe e aromi e lasciati insaporire per circa 10 giorni sotto sale. Si procede alla stagionatura in locali ben ventilati per 30/40 giorni. Quello affumicato si ottiene dalla lavorazione del petto attraverso una marinatura con erbe fini seguita da una cottura “al rosa”, tipo roast beef, a cui segue un’affumicatura artigianale. Il prodotto che si ottiene ha un gusto dolce e delicato, accompagnato dalla freschezza delle erbe aromatiche e dalla leggerissima affumicatura, che esaltano il gusto della carne. Galantina Per la preparazione di questo piatto d’origine medievale si usa l’oca intera disossata, farcita con carne d’oca e suino, il tutto arricchito con lingua salmistrata, pistacchi e tartufo nero dell’Oltrepò pavese. Dopo essere opportunamente legata la galantina è cotta al forno.

Galantina d’oca con tacchino e pistacchio di Bronte DOP dell’azienda Oca Sforzesca di Vigevano (PV). Salame crudo d’oca In alternativa al salame cotto, nelle zone d’allevamento delle oche si produce anche un salame crudo composto da carne magra d’oca (petto), tagliata a mano in pezzi grossolani, e carne magra e grasso suino, il tutto lavorato con sale, pepe, aromi naturali e conservanti di legge. Insaccato nella pelle del collo d’oca, è cucito manualmente è stagionato per 7/8 mesi. Per quel riguarda l’aspetto ha caratteristiche simili al tradizionale salume di suino, ma con sapore più deciso, dovuto alla presenza della carne d’oca, saporita e delicata al tempo stesso. Salame d’oca friulano Negli ultimi decenni è partita la riabilitazione dell’oca anche di Palmanova (UD), dove i salumi di questo animale erano una volta consueti e che si è iniziato a produrre con una ricetta ebraica del 1500 anche per opera di LUCIANO CURIEL, l’ultimo macellaio ebreo del ghetto di Venezia. Il salame è fatto con solo petto d’oca tagliato a punta

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di coltello e insaccato nel collo che è da una parte cucito a mano e dall’altra legato sempre a mano. La carne è salata e speziata con pepe e pimento, un pepe garofanato tipico della cucina ebraica. Stagiona per tre mesi. Prosciuttino d’oca Si prepara utilizzando cosce di oca spiumate, con osso ma private di zampe, che sono marinate nel Marsala stravecchio, quindi salmistrate a secco con una miscela di sale, pepe in grani, noce moscata in polvere e foglie di alloro. Perché la carne si insaporisca uniformemente, i prosciutti sono impilati gli uni sopra gli altri per circa un mese e mezzo. Ogni due giorni la miscela è rimossa e ridistribuita, frizionando a mano ogni prosciuttino affinché le cosce assorbano gli aromi da entrambi i lati. A maturazione completata, i prosciuttini sono trasferiti in locali ventilati, dove stagionano per 40/60 giorni. Petto d’oca stagionato e affumicato I petti d’oca sono spiumati lasciando la

Ciccioli d’oca Si ricavano dalla macellazione delle oche e prevalentemente dalla pelle dell’oca, che viene tagliata in piccole parti, successivamente messe a cuocere a fuoco lento. Si tratta di un alimento tradizionale e fortemente calorico, che ricopriva un ruolo particolarmente importante nell’alimentazione delle popolazioni contadine. Mortadella d’oca Alcuni produttori preparano una mortadella d’oca simile a quella di maiale. Esiste anche una mortadella di fegato d’oca, sotto grasso o stagionata, ottenuta con l’aggiunta di una percentuale di fegato d’oca all’impasto. Si consuma cotta come secondo caldo. Pasta di Salame d’oca È un impasto simile al salame d’oca crudo e si utilizza come la salsiccia di maiale per la preparazione di sughi o soffriti. Il “Risotto con pasta di salame d’oca e fagiolini dell’occhio di Mortara De.Co.” è un piatto tipico e stagionale, prettamente invernale, dei ristoranti di Mortara. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 80, prosciutto d’oca (photo © Tokiya Shun – stock.adobe.com).

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Dalle Murge, terre dal fascino solitario

CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA di Chiara Papotti

elle campagne ai margini della Val d’Italia, floride di viti e ulivi, punteggiate dai tetti a cono dei trulli, la Puglia mostra il suo volto più gentile e armonioso. Inoltrandosi nelle Murge interne, però, il paesaggio si appiattisce improvvisamente in grandi distese dalla terra arida e secca, disseminata di pietre aguzze, bianche come la calce, ordinate in labirinti di muretti a secco

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ammucchiate qua e là nella campagna brulla. Olio, vino, pasta di grano duro e pane a lievitazione naturale sono i prodotti di questo angolo di Puglia aspra e dura, dove i sapori della tradizione sono ancora frutto del lavoro dell’uomo e della terra. All’orizzonte le colline di Martina Franca (TA), che spezzano la piattezza lunare, e custodiscono un favoloso salume riconosciuto come presidio Slow Food: il capocollo.

Oltre a Martina Franca, il capocollo viene prodotto anche nei paesi vicini, principalmente a Locorotondo e Cisternino, nel periodo che va da settembre a maggio. Noto nel Regno di Napoli già a partire dal XVIII secolo, questo insaccato deve il suo nome al taglio anatomico del maiale utilizzato per la produzione. Nell’Italia meridionale, infatti, con il termine capocollo si indica la coppa,

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La Basilica di San Martino, nel cuore del centro storico di Martina Franca, opera dei maggiori artisti del Settecento pugliese e dello stile rococò (photo © Massimo Todaro – stock.adobe.com).

cioè la parte situata appunto tra capo e collo. I produttori del presidio acquistano la materia prima da piccole aziende del territorio che seguono le linee guida di Slow Food: gli animali devono essere allevati allo stato semibrado e seguire un’alimentazione a base di cereali e leguminose prevalentemente locali. Marcatore identitario importantissimo per la zootecnia di tradizione medi-

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terranea è il fragno (Quercus trojana, WEBB, 1839), specie di quercia antichissima che predomina nella zona di produzione, dalla quale si ottengono le ghiande per il nutrimento dei suini che vengono utilizzati per produrre il salume del presidio. Secondo la tecnica norcina più tradizionale, la coppa viene tagliata alla quinta-sesta costola: ecco perché il Capocollo di Martina Franca si presenta

più lungo rispetto agli altri insaccati della stessa famiglia. Mondate e sagomate le coppe sono quindi messe sotto sale marino grosso, pepe macinato fine, pepe in grani e una miscela di spezie per 15-20 giorni. Ad insaporitura ultimata, si estraggono le carni e si bagnano con una preparazione a base di vino cotto (ottenuto dall’unione di mosto cotto, vino dei vitigni autoctoni e spezie) e si

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IL CAPOCOLLO È UN SALUME DI GRANDE VALORE STORICO E CULTURALE, CHE VA VALORIZZATO E TUTELATO, PER PROTEGGERNE L’AUTENTICITÀ, L’ANTICA RICETTA E LA RELAZIONE CON QUESTO MERAVIGLIOSO ANGOLO DI PUGLIA Tradizione vuole che il capocollo di Martina Franca venga tagliato a coltello in fette di spessore variabile secondo i gusti (photo © Angelo Chiariello – stock.adobe.com). lasciano in ammollo per altre 24 ore. La vestitura dei capocolli avviene con un budello naturale di maiale; avvolti in panni di lino o cotone vengono poi lasciati a riposo per i successivi 20 giorni prima di entrare nelle celle di asciugatura. Si passa quindi all’affumicatura, che conferisce al capocollo di Martina Franca il suo caratteristico profumo: il legno di fragno e il mallo di mandorla vengono bruciati insieme per due giorni conferendo al prodotto un lieve sentore

di fumo. Un tempo si ricopriva il pavimento della stanza di stagionatura coi rami della macchia mediterranea e si appiccava il fuoco, badando che bruciassero senza fiamma, ma oggi si utilizzano appositi camini in grado di tenere sotto controllo i parametri fondamentali del processo produttivo. La stagionatura dura circa 6 mesi, tempo necessario per conferire al capocollo un sapore aromatico e persistente per il contatto delle carni con il vino. Tradizione vuole che il presidio venga

tagliato a coltello in fette di spessore variabile a seconda dei gusti. Si abbina con il buon pane pugliese, come il pane di Altamura DOP, oppure lo si trova accompagnato ai fichi, alle cipolle al vin cotto, alle fave o al Pallone di Gravina, noto formaggio semiduro che trova origine dell’area di Gravina da cui prende il nome. Consumato in passato da famiglie contadine, in particolare pastori occupati nella transumanza, oggi il capocollo di Martina Franca è diventato un salume

Capocollo e… bombette! Capocollo di maiale fresco, Caciocavallo podolico del Gargano, sale, pepe, panatura opzionale. Le bombette pugliesi sono degli involtini ripieni tipici del territorio della Valle d’Itria, la valle dei trulli tra le province di Bari, Brindisi e Taranto, e in particolare proprio di Martina Franca, in cui sono numerosi i “fornelli”, tipici forni a legna in cui viene cotta la carne. Molte macellerie della zona, infatti, possiedono un fornello e, dopo la quotidiana vendita della carne al banco, in serata si trasformano, permettendo ai clienti di gustare ogni varietà di carne, appena sfornata, seduti in romantici e incantevoli angoli dei centri storici. Le bombette sono di forma arrotondata e di piccole dimensioni (circa 3-5 cm). Il nome di questi bocconcini golosi sarebbe legato all’esplosione di sapore che si prova mangiandole e soprattutto assaporandone il ricco ripieno. Durante le feste e le sagre estive sono considerate lo street food locale per eccellenza (photo © newscucina.it).

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ricercato, ottenuto seguendo regole ben definite. Il presidio, infatti, ha un Disciplinare di produzione rigoroso che regola tutte le fasi della filiera ed esclude l’uso di nitriti, nitrati e di qualsiasi altro additivo alimentare. Nel 2018 l’Associazione del Capocollo di Martina Franca, che raggruppa piccoli artigiani della zona, ha avviato l’iter per attribuire al presidio la denominazione europea d’origine protetta (DOP). Negli anni i norcini della Murgia hanno svolto un grande lavoro di promozione del territorio e di salvaguardia dei saperi tramandati di padre in figlio, ma ai sensi dell’art. 13 e 25 del CPI, il marchio “Capocollo di Martina Franca” non può essere registrato. Ciò significa che, ad oggi, chiunque e dovunque può produrre questo salume. La DOP è l’unico modo per legare il Capocollo alla città d’origine potendo finalmente metterlo al sicuro. È un percorso tortuoso e pieno di ostacoli, ma ormai indispensabile per la credibilità del prodotto. Si attende risposta da parte del Ministero delle Politiche Agricole, ma, per il momento, dovrà accontentarsi di raggiungere il traguardo dell’IGP. Il problema principale è il mancato equilibrio tra domanda e offerta: l’area di approvvigionamento del suino dovrebbe essere l’intero Sud Italia per soddisfare l’intera domanda di prodotto. Da un singolo maiale si possono ottenere solo 2 capocolli e per questo motivo la produzione resta limitata. Occorre, quindi, allargare il territorio di approvvigionamento per la produzione dei suini, ma, soprattutto, i confini dell’attuale composizione dell’associazione dei produttori del capocollo di Martina Franca. Secondo l’assessore allo sviluppo economico del comune, BRUNO MAGGI, «una volta scritte bene le regole e il disciplinare si può lavorare in questa direzione, ma bisogna lavorare maggiormente di squadra». Il capocollo è un prodotto unico, inimitabile e straordinario. Un salume di grande valore storico e culturale, che va valorizzato e tutelato, per proteggerne l’autenticità, l’antica ricetta, la relazione con il territorio e per contrastare le grandi produzioni industriali, che nascono di giorno in giorno in questo meraviglioso angolo di Puglia. Il nostro tifo è tutto per lui! Chiara Papotti

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BELLE BOTTEGHE

Gastronomia

CERASELLA di Massimiliano Rella

avanti al Parco Nazionale del Circeo, lungo la statale Pontina, la lunga strada che porta i romani a sud verso Sabaudia, il Circeo e Terracina, c’è una ricca gastronomia con tavoli interni-esterni che rischia di passare inosservata anche ai gastronomi più attenti. Potrebbe, infatti, sembrare uno dei tanti

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edifici sparsi lungo le strade dell’AgroPontino, quella fertile terra in provincia di Latina bonificata durante il fascismo con l’aiuto di braccia friulane, venete e romagnole, per ricordare le principali origini dei coloni insediatisi nel Basso Lazio durante il ventennio. La gastronomia si chiama Cerasella e non è poi tanto anonima neanche sotto

il profilo architettonico: affacciatevi nella grande e luminosa sala del bar accanto, tra i tavoli per consumare all’asporto (130 coperti tra dentro e fuori), e noterete la linearità e il minimalismo di un edificio anni ‘60 che da una parte si ispira allo stile razionalista tipico delle vicine città di fondazione — Sabaudia, Pontinia, Pomezia, la stessa Latina —

Mario Santucci, selezionatore e titolare di Gastronomia Cerasella (photo © Massimiliano Rella).

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dall’altra sfrutta la luce naturale con una parete di vetrate perimetrali, abbellita da sottili intelaiature, che fa intimidire i cantori odierni della tanto sbandierata sostenibilità. Avete presenti gli “sbrodolatori” del green, dell’energia pulita, dell’edilizia ecocompatibile? Quelli arrivati con 60-70 anni di ritardo… Invece, l’aspetto gastronomico di questa bottega con tavoli per la sosta golosa all’asporto abbraccia tutta la ricchezza di sapori e cultura alimentare della migliore Italia, da Sud a Nord. Il proprietario, MARIO SANTUCCI, attento selezionatore di prodotti, apre la Gastronomia Cerasella una trentina d’anni fa proprio per ricercare e vendere le eccellenze delle nostre regioni, con un’attenzione particolare al Lazio e alle conserve alimentari. Sono complessivamente qualche centinaio le referenze sugli scaffali e nella vetrina di salumi e formaggi di questa piccola e curata bottega del gusto. Per rimanere al Lazio meridionale troviamo ad esempio il Prosciutto di Bassiano dell’azienda Reggiani e il Provolone di Recco, da Formia, uno degli ultimi paesi della provincia di Latina, già in odor di Campania; due prodotti di cui ovviamente ci siamo interessati in passato. Quest’ultimo formaggio, ad Premiata Salumeria Italiana, 4/21

esempio, si deve all’iniziativa di ENZO RECCO, anziano signore proprietario di un negozio di generi alimentari in centro storico che a fine ‘90, su suggerimento di un amico, decise di mettersi ad affinare salumi e formaggi. Nacquero così i provoloni di Recco, acquistati in provincia di Piacenza e da lui stesso affinati a temperatura e umidità costanti, con stagionature da minimo 24 mesi a massimo di 6-7 anni e forme di 30-50 kg di peso. Più sono invecchiati, più il provolone ingiallisce, diventa piccante, granuloso e complesso (www.provolonirecco.it). Il Prosciutto di Bassiano dei Reggiani (www.prosciuttobassiano.it) è invece un prodotto dal sapore intenso, aromatico e leggermente affumicato. Dopo la rifilatura a punta di coltello le cosce sono conciate con una salsa di ingredienti freschi, aglio, vino, pepe nero e sale marino, senza aromi chimici e conservanti. La conciatura avviene contemporaneamente alla prima salatura, della durata di una settimana. C’è anche una seconda salatura per un’altra settimana per far entrare bene la giusta quantità di sale nelle fibre dei tessuti. A questo punto le cosce riposano tre mesi in celle frigorifere dove la carne si stabilizza e prima della stagionatura sono affumicate in modo naturale con

fumo di legno di faggio per 4-5 ore. Atto finale: l’affinamento in locali arieggiati per 14-18-24 mesi, a seconda della grandezza della coscia e del tipo di prosciutto; il nero a 36 mesi. Spaziando all’Italia troviamo tantissime altre specialità. Da Mondragone (CE) le mozzarelle di bufala campana DOP del Caseificio Migliore Rosa (www.caseificiomigliore.it); da Moena, Trento, il “profumatissimo” Puzzone; da Agnone, in provincia di Isernia, il caciocavallo del Caseificio Antenucci (www.caseificioantenucci.it); da Vignola (MO) le confetture di visciola dell’azienda Cavazza (www.cavazza1898.com); da Conegliano (Treviso) la mostarda di Lazzaris (www.lazzaris.com); dal lago di Garda le giardiniere di Morgan (www.lagiardinieradimorgan.com); da Roccaverano, Asti, l’ottima Robiola di Roccaverano del Caseificio AgriLanga (www.agrilanga.it). E per la salumeria vari salumi dalla Levoni di Castellucchio, Mantova (www.levoni.it) e salumi e insaccati di piccoli salumifici, come il veneto Bazza per lonza, pancetta e salame (www.salumibazza.it), oppure, da Pisa, i carpacci di Bernardini Gastone (www.bernardinigastone.it). C’è ovviamente spazio anche per la pasta, ad esempio i tajarin di MARCO 91


In questa pagina e a pagina 91, il ricco banco dei salumi della Gastronomia Cerasella propone specialità norcine provenienti da diverse regioni italiane selezionate attentamente nel tempo dal proprietario, Mario Santucci. Altrettanto ricca e diversificata è la proposta casearia (photo © Massimiliano Rella).

GIACOSA (www.marcogiacosa.com), un pastificio artigianale di Barbaresco (CN) specializzato in pasta laminata ed essiccata: tajarin, tagliolini, tagliatelle, maltagliati, pappardelle, lasagnette, ma anche pani e grissini da grani autoctoni gentil rosso e autonomia a basso contenuto di glutine, integrali e macinati a pietra. Il signor Giacosa è infatti anche coltivatore di grano e verdure nella

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sua azienda agricola. Insomma, tante di queste bontà, formaggi, salumi, piccole conserve di pesce e qualche piatto (zuppe, polenta, trippa e fagioli, stracotto di asino, zucca e taleggio, insalatone estive, verdure cotte e Tiella del Vesuvio, da pasta madre lievitata 36 ore, con ripieni scarola e alici, patate e baccalà, ecc…) si possono consumare nel locale accanto, per uno spuntino a

pranzo o per l’aperitivo, con appena 10,00-15,00 euro a persona. Aperto dalle 7:00 alle 18:00. No mercoledì. Massimiliano Rella Gastronomia Cerasella S.R. 148 Pontina km 92,00 Sabaudia (LT) Telefono: 0773 531400 gastronomia-bar-cerasella.business.site

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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA

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SALUMI COTTI MARINI, UN TRITTICO DI BONTÀ di Federica Cornia

orse a qualcuno potrà sembrare strano, ma i salumi cotti vanno parecchio anche d’estate. Sono prodotti molto semplici, che si vendono bene tutto l’anno». Ecco, mi dico, devo ammettere che io sono tra quei “qualcuno” a cui questa affermazione risulta un po’ strana. Ma forse perché, nata e cresciuta a Modena, se

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parliamo di salumi cotti, la prima cosa che mi viene in mente è lo zampone tagliato a fette spesse e accompagnato da purè di patate esalante cospicue spire di fumo. Non esattamente la pietanza a cui si anela nel torpore della calura estiva. Insomma, il mio immaginario, segnato inevitabilmente dalla tradizione locale e condizionato dall’equazione

preconcetta cotto uguale caldo, va in tilt e non corre minimamente alle rosee fette di prosciutto cotto e mortadella o a ciccioli e würstel. «L’unica che rallenta un po’ le vendite durante la stagione estiva è la coppa di testa». Ed è su questa frase che riemergo dalle mie considerazioni e mi riaffaccio al dialogo con NICOLA MARINI, della Macelleria Marini di Pistoia, attività

Coppa di testa, Mortadella di Prato IGP e Arista cotta in strutto della Macelleria Marini.

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a conduzione famigliare fondata nel 1904. Insieme a lui in bottega troviamo il fratello MANUEL, il padre MARCO e la madre PATRIZIA. È da ben quattro generazioni che la famiglia Marini si dedica alla lavorazione del maiale e oggi, nei locali dello stabile che comprende anche l’antica macelleria, rinnovati nel 2007, campeggia la loro specialità: un trionfo di salumi artigianali di produzione propria. Naturalmente affiancata da un’ottima scelta di tagli di carni bovine nazionali. «Ma la maggior parte del fatturato viene dal salumificio», mi dice Nicola. Un po’ per scelta, un po’ per contingenza, ovvero il calo del consumo di carne che ha portato anche ad una riduzione del numero di macellerie, a un certo punto della storia famigliare dei Marini la lavorazione del maiale e la produzione di prodotti salumieri, cotti e stagionati, ha preso il sopravvento. Destinazione ristoranti, enoteche e gastronomie in Italia e all’estero. Soprattutto Inghilterra. Tra i salumi stagionati è il prosciutto crudo a contraddistinguere la produzione dei Marini; i cotti, invece, compongono l’esotico trittico composto da Mortadella di Prato IGP, Arista cotta in strutto e Coppa di testa. La Mortadella di Prato IGP, già presidio Slow Food, è il frutto del recupero di una vecchia ricetta del dopoguerra rivisitata e riadattata per i palati contemporanei. Insaccata in budello naturale e cotta a bassa temperatura (65-70 °C), un tempo si otteneva dall’utilizzo di carni di seconda scelta e da quelle scartate dalla produzione di salame toscano e finocchiona. Oggi l’impasto è composto da carni di suino nazionale, spalla, coppa, rifilatura del prosciutto, a cui si aggiungono spezie, chiodi di garofano, polvere di macis, pepe e sale e infine l’Alchermes, liquore usato generalmente per fare dolci e che aggiunge all’insaccato colore e note saporite e profumate. Tipica preparazione della “piana pistoiese”, l’Arista cotta in strutto è realizzata con lombo suino disossato col quale si ottengono piccoli rotolini aromatizzati con sale, pepe e aglio, rosmarino e buccia di limone cotti a bassa temperatura nel lardo fuso. Finita la bollitura, si fa raffreddare e la si confeziona sottovuoto.

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È da ben quattro generazioni che la famiglia Marini si dedica alla lavorazione del maiale e oggi, nei locali dello stabile che comprende anche l’antica macelleria, rinnovati nel 2007, campeggia la loro specialità: un trionfo di salumi artigianali di produzione propria, accanto ad un’ottima scelta di carni bovine nazionali E poi c’è lei, la Coppa di testa. Prodotto umile, tipico della civiltà contadina, in altre parti d’Italia è noto anche come Capocchia, Soppressata, Testa in cassetta, Capofreddo. Si ottiene facendo bollire insieme, per tre/quattro ore, testa, lingua, rifilature del maiale e altre parti meno nobili del collo. A cottura ultimata si tagliano tutte le parti a pezzi grossolani, si aggiungono sale, pepe, rosmarino, aglio, si mescola e si procede ad insaccare l’impasto ottenuto in teli di iuta. A caratterizzare il particolare aroma della Coppa di testa della Macelleria Marini contribuisce poi un ingrediente segreto, che entra nella ricetta direttamente dalle macine a pietra dei laboratori dell’Antica Spezieria Ciappi, storica azienda produttrice di spezie a San Casciano in Val di Pesa (FI). Ed eccoli qui i fantastici tre che prendono il volo per l’estero «insieme alla salsiccia fresca» aggiunge Nicola. «Negli ultimi anni il 40% delle vendite noi le facciamo all’estero. Cosa che in questo periodo non guasta. Per noi la ripartenza dell’Inghilterra fa un po’ da volano e anche durante il lockdown avere rapporti commerciali Oltremanica ci ha aiutati perché qualcosa ha continuato a muoversi per il mercato inglese, a differenza della brusca battuta d’arresto coi clienti italiani». Per le vendite, sia in Italia che all’estero, i Marini si affidano a distributori del canale HO.RE.CA., ancor più importante in Inghilterra dopo la Brexit. «Sono 30 anni che lavoro qui con mio fratello e di clienti ce ne siamo portati dietro parecchi nel tempo, ma molti sono anche spariti. Per questo preferiamo affidarci ai distributori». Senza entrare in GDO, al limite da Eataly, perché li hanno cercati mi spiega Nicola. Al maiale, protagonista indiscusso di quest’avventura, viene

dedicata la massima attenzione. A Pergine Valdarno, frazione del comune di Laterina Pergine Valdarno in provincia di Arezzo, c’è la fattoria da cui prendono il Suino bianco tradizionale. Razze locali di cui si servono sono la Cinta senese e il Grigio del Casentino. Ma attualmente il focus è proprio sul Suino bianco tradizionale, perché è in atto un progetto interessante che lo riguarda e che mira ad offrire un garanzia in più al consumatore: «Stiamo lavorando per certificare il Suino bianco tradizionale come animale nato allevato e macellato in Toscana senza l’uso di antibiotici, con alimentazione per il 90% da granaglie, e mettere in etichetta tutte queste informazioni. Ancora non c’è niente di realizzato in pratica perché il consorzio che se ne occupa, Toscana Toscana, è molto giovane, appena nato. Noi naturalmente ne facciamo parte». E, a dispetto, ma con rispetto, del maiale, chiudiamo con un’altra specialità salumiera dei fratelli Marini: il Manzo marinato. I magatelli di vitellone nazionale vengono messi a marinare in cella per 10-12 giorni in una vasca con sale, pepe, erbe aromatiche e vinsanto toscano. Due le varianti che si ottengono: quella fresca, il carpaccio, venduta sottovuoto, e quella stagionata che, messa in fogli particolari per preservarla dall’umidità e in apposite reti, dopo asciugatura e stagionatura di 40-50 giorni è pronta da mangiare. Simile alla bresaola d’aspetto, ha un sapore diverso, tutto suo. Un altro aroma risultato di quel quid firmato Marini. Federica Cornia Macelleria Marini dal 1904 Via Carlo Levi snc – Loc. Ferruccia 51031 Agliana (PT) Telefono: 0574 718119 Web: www.macelleriamarini.it

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PECK VA AL FORTE Prima apertura italiana fuori da Milano per la storica gastronomia che sceglie Forte dei Marmi per portare sulla costa toscana cibi e vini eccellenti nello stile unico di Peck 96

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eck e Forte dei Marmi. Il fascino della costa toscana, tra borghi di pietra, pinete secolari, il mare degli Etruschi e uno stile di vita che ha saputo affascinare generazioni di Italiani celebri. A partire da Gabriele d’Annunzio, che per primo seppe unire tutti i piaceri della vita in un unico gesto estetico. Proprio D’Annunzio costituisce il trait d’union tra queste due storie. Fu infatti protagonista ed esploratore della Versilia ante litteram e fondatore dello storico Sbaffing Club di Peck: letteralmente “club di sbafatori”, un gruppo di letterati che si incontravano da Peck, gustando le specialità che avrebbero reso celebre il marchio nel mondo. Oggi Peck sceglie Forte dei Marmi per inaugurare la sua nuova Gastronomia ed Enoteca, nel cuore del borgo antico, vicino al centro, alla piazza del famoso mercato e a pochi passi dal mare. È il quarto negozio Peck in Italia, il primo fuori dalla città di Milano, dove è già presente con lo storico flagship store di via Spadari e i due punti vendita a CityLife e Porta Venezia. «Forte dei Marmi è un luogo carico di fascino, nel quale intendiamo portare tutta la nostra esperienza nel saper raccogliere ed esaudire i desideri di chi cerca cibi e vini di qualità. Preparati, selezionati e serviti con l’entusiasmo che ci accompagna da sempre» racconta Leone Marzotto,CEO Peck. «La Versilia è una terra ricca di tradizione gastronomica e di materie prime eccellenti. Abbiamo da tempo alcuni fornitori locali e questa nuova apertura sarà sicuramente occasione per scoprire altri tesori gastronomici coi quali arricchire il nostro assortimento. Tra le specialità che abbiamo creato ad hoc per questa apertura ci sono gli spaghetti al caviale, una speciale lasagna di mare e un piatto con le arselle, mito irrinunciabile della Versilia».

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La proposta gastronomica A Peck Forte dei Marmi non mancheranno i classici della Gastronomia Peck, dall’insalata russa al vitello tonnato, ai gamberi in salsa cocktail ai pâté, e poi formaggi, salumi, le specialità sottolio, il caviale e piatti di mare. L’offerta gastronomica è accompagnata da un’ampia selezione di vini e champagne,

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In alto: Leone Marzotto, CEO Peck. In basso: quello di Forte dei Marmi è il quarto negozio Peck in Italia, il primo fuori dalla città di Milano.

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L’offerta gastronomica di Peck Forte dei Marmi è accompagnata da un’ampia selezione di vini e champagne. Il design degli interni si fa carico di accompagnare la ricchissima selezione di prodotti portandola allo sguardo dei visitatori attraverso un senso del ritmo capace di rendere ogni prodotto una storia singolare.

con una bella profondità di annate e alcune rarità: grandi formati, maison blasonate e piccole cantine, tutto per offrire un servizio personalizzato alle molte occasioni importanti che animano l’estate in Versilia. Tutte le proposte si potranno ricevere anche a casa con il servizio delivery green di Peck. Gli ordini saranno consegnati in tutta Forte dei Marmi con gli scooter elettrici e made in Italy di Askoll.

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Lo spazio Il design degli interni è stato affidato allo Studio Vudafieri Saverino Partners, che ha già firmato il Peck CityLife. Articolato in modo da garantire una continuità narrativa nelle diverse aree, dal confezionato al fresco, lo spazio viene amplificato dall’utilizzo a soffitto di specchi fumé. Le pareti espositive perimetrali sono ritmate da montanti neri verticali e lunghe mensole in legno con accenti

di rame a sottolineare elementi focali come le nicchie delle Magnum. L’enoteca copre 2/3 terzi della superficie, con una selezione di circa 500 etichette: un assaggio dell’enoteca di via Spadari, la più fornita d’Italia con 3.000 referenze. >> Link: www.peck.it Nota Photo © Santi Caleca.

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PROTETT

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Tradizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

LIA I A G I T R BOTI G ATiOi L utt ati O B B per t ertific i uttor d o r p

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N I IG

E L A Questa bottiglia da 100 ml

è garanzia di

originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.

con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola

aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it


LOCALI DI GUSTO

Testone,

UNA SPECIALITÀ UMBRA ALLA CONQUISTA DEL NORD ITALIA di Federica Cornia

È

l’ora del pasto. Ardono le braci. Sulle braci giace un disco di pietra. Sul disco è poggiato un tondo di pasta. Che lievita. Si gonfia pian piano. Dai tizzoni accesi si sprigiona calore insieme all’odore tipico della legna bruciata. La cenere tutt’intorno. Un uomo ne raccoglie un po’ e posa il mucchietto sopra l’impasto e lo distribuisce sulla sua superficie. È

un legionario. Siamo al tempo degli antichi Romani. Precisamente in un accampamento delle truppe dell’Impero che rientrano in Italia dal Medio Oriente dopo essere passati dai Balcani. Dissolvenza sonora. Si sente il crepitio della brace al quale si aggiungono rumori di fondo che si fan sempre più forti e presenti: dal vocio che aumenta di volume emerge il tintinnio che fan

bicchieri e forchette. La mano di un uomo stende con una spatola un mucchietto di cenere su un bianco disco di pasta. Aspetta che cuocia, poi lo prende e lo posa su un piatto. Fatta oggi come al tempo degli antichi Romani, la torta al testo è pronta per essere servita. Magari ad uno studente universitario, dato che ci troviamo in via Bligny 13, proprio di fronte all’Università Bocconi, in uno

La torta al testo umbra fatta al modo degli antichi Romani: è così che la preparano nei locali della catena Testone.

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Proposta sia con impasto tradizionale che integrale, la torta al testo si serve vuota, magari insieme al tagliere di salumi misti, o ripiena. Grandi classici sono con la porchetta o con erbette e salsiccia. dei due nuovi locali aperti a Milano da Testone (www.magnatestone.it), catena dedicata a questa specialità tradizionale umbra. L’altro è in via Vigevano, in Darsena. Un centinaio di posti a sedere per ognuno, il testo e le braci all’entrata del ristorante, come in tutti i locali Testone, dieci in totale, comprese le ultime due aperture. La torta al testo così lievita sotto gli occhi di tutti grazie alla sola forza del calore della brace (non c’è lievito nell’impasto) e della particolare legna proveniente dall’Umbria. Proposta sia con impasto tradizionale che integrale, la torta viene servita vuota o ripiena, con grandi classici

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come la porchetta, oppure con erbette e salsiccia o prosciutto e caciotta, oppure, ancora, con specialità umbre come il barbozzo (guanciale umbro), la coppa di testa, il capocollo, il lombetto e le stringhette (sottili fettine ricavate dalla pancetta) e altre specialità regionali. Di questo disco di pasta cotto dai Romani sulla pietra rovente, posta sulle braci dei bivacchi, l’antica tradizione umbra riprende la ricetta più vicina a quelle delle origini: un impasto di farina, acqua, bicarbonato e sale. Ricetta diretta discendente del pane azzimo e parente della pita greca, arrivata in Italia al seguito delle truppe romane di rientro dal Medio Oriente. Lungo il cosiddetto

corridoio bizantino — ovvero quella striscia di terra stretta tra i confini del potere temporale di Ravenna e quello spirituale di Roma —, la sua diffusione infatti è avvenuta attraverso varie declinazioni locali, per cui si parte da Ravenna, dove troviamo la piadina, si passa da Sansepolcro e Città di Castello, dove si trova la ciaccia, poi da Gubbio dove c’è la crescia, fino ad arrivare alla pizza romana. Ispirato dalla ricetta dell’anziana nonna, è al giovane imprenditore SIMONE FARINELLI che è venuta l’idea di proporre la torta al testo al modo degli antichi Romani. Dopo i primi locali aperti in Umbria, invitato al Padiglione Italia durante Expo 2015, decide, perché no, di aprire Testone a Milano. Nessuna preparazione congelata e tutto espresso, Farinelli vede in Testone una formula vincente: «un format facilmente replicabile che può essere portato in ogni città d’Italia e anche all’estero, dove credo sia il naturale sbocco di questa ricetta, che si trova difficilmente fuori dall’Umbria». E infatti per il 2022 il progetto è quello di espandersi nel Nord Italia e successivamente all’estero. E per chi entrando da Testone poi volesse un assaggio di altre specialità umbre, il format prevede anche taglieri di salumi e formaggi e primi piatti del giorno, con la possibilità di mangiare un pasto completo a partire da 5 euro. Federica Cornia Nota Photo © Carlo Tellaroli.

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SALUMI IN TAVOLA

CICCIOLI FROLLI, snack della tradizione di Nunzia Manicardi

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rmai l’aperitivo e l’apericena sono diventati ovunque un rito irrinunciabile, e non soltanto nel fine settimana, dei consumatori più o meno giovani. Perché allora non accompagnarli con uno stuzzichino appartenente alla nostra tradizione gastronomica più antica, autentica e gustosa? Avanti, allora, con i ciccioli frolli, delizia del palato! Lisci, così come sono in origine, con l’aspetto di salatini e quindi di un vero e proprio finger food, oppure sbriciolati all’interno di bocconcini di focaccia o, perché no, pure di polenta fritta. Tanto, lo sappiamo, durante gli aperitivi non si bada troppo alle calorie. Anche nel caso dei ciccioli frolli, ad ogni modo, qualunque sia la loro preparazione sarà sufficiente mangiarne con moderazione, accompagnandoli con l’altrettanto tradizionale Lambrusco che mette allegria. Alla faccia e alla salute di chi snobba i prodotti di casa nostra! I ciccioli frolli sono una specialità tipica dell’Emilia-Romagna, dove però quelli emiliani si differenziano leggermente dai “fratelli” romagnoli che sono più piccoli, quasi della dimensione di un fiocco di mais, e non vengono pressati e compressi durante la cottura, come richiede invece la tradizione emiliana. Emilia-Romagna innanzitutto, perché questa è la patria del maiale. I ciccioli frolli tuttavia sono diffusi anche in molte altre regioni italiane, pressoché in tutte, dato che l’allevamento del maiale — anche soltanto di un unico capo — rientrava un tempo nella basilare economia domestica contadina insieme con quello degli animali da cortile. Prendono nomi diversi a seconda dei luoghi, nomi che quasi sempre sono riconducibili a “ciccia”, “grasso” o “lardo”. Qualche esempio: grasëtte in Piemonte; greppole in Lombardia; cicines o fricis in Friuli; sfrizzoli nel Centro Italia; lardinzi o frittole in Campania; cicoli in Capitanata; frittuli in Sicilia… Nella tradizione contadina, uniti alla polenta, costituivano un ottimo pasto. Venivano anche sbriciolati nell’impasto di pane, focaccia, pizza e gnocco per renderli più saporiti. Quest’usanza si conserva tuttora: in Umbria, per fare qualche altro esempio, si prepara la torta ’n ch’i ciccioli o la pizza co’ li sfrizzoli, in Irpinia la pizza pe’ frittole

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Pizza coi grasselli, dalla tradizione contadina marchigiana (photo © www.charmen.it). o pane con le cicole, in Puglia la pizza coi cicoli; nelle Marche i grasselli, che si facevano sul fuoco del camino in una padella di ferro posta su un treppiede, adesso si acquistano nelle norcinerie artigianali e poi si aggiungono all’impasto di pizze e schiacciate rustiche preparate in casa. I ciccioli frolli si ottengono dalla fusione dei grassi del maiale e dalla filtratura dello strutto. Si preparano nel seguente modo: si mettono in un pentolone gli scarti del maiale ottenuti dalla sua macellazione e tagliati a piccoli pezzi. Si tratta di tutti i pezzi grassi e della testa, cioè di tutto lo strato adiposo estratto e ripulito dalla cotenna. Si fa cuocere a fuoco basso per alcune ore, mescolando di tanto in tanto, in modo che il grasso si sciolga perfettamente facendo evaporare l’acqua in esso contenuta e che si amalgami con la carne residua. Si continua a cuocere finché il composto non viene a galla sotto forma di tocchetti di colore rosa tendente al dorato. Si spegne il fuoco e si filtra il composto utilizzando tradizionalmente uno strofinaccio di cotone (un tempo tessuto in casa) che in Emilia-Romagna prende il nome di burazzo. La parte che cola è lo strutto, la parte solida che rimane sono i ciccioli. Lo strutto quindi va anch’esso conservato con cura per i tanti altri usi alimentari a cui è dedicato, soprattutto per friggere alimenti quali il gnocco. I ciccioli vanno invece messi in una

pressa dove nella parte inferiore sono state posizionate alcune foglie d’alloro e un po’ di sale. Più vengono pressati e più diventano duri. Alla fine della pressatura, che serve a togliere un po’ di grasso, va aggiunto altro sale, poi li si lascia raffreddare. In alcune zone vengono insaporiti con l’aggiunta di aromi quali chiodi di garofano, cannella, pepe, noce moscata. Ogni norcino li personalizza, in genere a seconda del gusto proprio o dei suoi commensali o clienti. Dopo la torchiatura possono essere lasciati in formella oppure sbriciolati a caldo. Comunque li si prepari, sono ottimi consumati freschi, addirittura dopo poche ore dalla loro produzione, però si conservano fino a due mesi, ma solo in luoghi particolarmente freschi, asciutti e lontani da fonti di luce e di calore. In commercio sono reperibili in diversi formati, anche come sottili torte secche, e spesso in vaschette salva freschezza che consentono una conservazione un po’ più lunga. Esistono, come sempre nella nostra Italia, diverse varianti locali tra cui vogliamo ricordare quella calabrese. Qui, dove il nome più comunemente usato è curcuci, i ciccioli sono la parte che rimane dalla bollitura delle frittole, cioè di tutte le parti del maiale non usate per gli insaccati o per il lardo secco, unitamente a una parte di grasso, ossia di sugna, che si liquefà in questa bollitura. Nunzia Manicardi

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Prosciutto e melone: cucinatevi l’estate di Giorgia Fieni

o sentite anche voi il profumo d’estate? Appena inizio a percepirlo, io smetto di aver voglia di arrosto e pasta al forno e comincio ad assaporare il profumo e la dolcezza di prosciutto e melone. Due ingredienti che trascorrono la stagione più calda dell’anno nel mio frigorifero,

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pronti ad uscire ogni volta che ne sento l’esigenza. Sono ingredienti che fanno parte della tradizione del Nord Italia: uno, il prodotto più pregiato dalla coscia di maiale, affinato solo grazie alla materia prima di qualità e all’aria che soffia nelle camere di stagionatura; l’altro, cresciuto in campagna tra sfuma-

ture di giallo e di verde all’esterno e di arancione e bianco all’interno. Anche se ormai sono conosciuti e consumati in tutta Italia, è infatti proprio tra le nebbie padane che trovano la loro origine, offrendoci specialità locali a cui siamo affezionati e che amiamo ritrovare fra l’umidità e l’afa.

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Perché sono stati abbinati? Stando a GALENO, medico dell’antica Grecia, era importante, sia dal punto di vista del gusto che della salute, combinare due elementi contrari e prosciutto e melone sembrano proprio rispettare questa norma, essendo diversi per consistenza, temperatura e sapore. Nel Medioevo si diffuse anche l’idea che fossero più digeribili se consumati nello stesso momento. NIKI SEGNIT, ne “La grammatica dei sapori e delle loro infinite combinazioni” (Editore Gribaudo, 2011), li racconta invece così, sintetizzandone in modo molto chiaro proprietà e modalità di servizio: Harold McGee scrive che durante il processo di invecchiamento i grassi insaturi del prosciutto si scindono formando una serie di componenti volatili, alcune delle quali hanno note caratteristiche di melone. Prosciutto e melone sono un’armoniosa combinazione nota a tutti. Indipendentemente dalla varietà che usate, cantalupo o retato, non esagerate nella quantità per non soffocare il prosciutto, né usate meloni acerbi: la consistenza burrosa di un melone maturo è essenziale. Ma non deve nemmeno essere così maturo che il suo aroma vi rimane in fondo alla gola come lacca per capelli. Né il melone né il prosciutto devono essere troppo freddi, e nemmeno troppo caldi. E non disponeteli sui piatti troppo presto: il succo del melone estratto dal sale del prosciutto renderebbe troppo molle e appiccicoso quest’ultimo. E poi dicono che è un piatto semplice... No, effettivamente non è semplice posizionarli sul piatto, perché c’è sempre dietro l’angolo il rischio che il prosciutto sia troppo salato e il melone troppo morbido e che insieme creino una pappetta che appiattisca il sapore di due elementi tanto buoni. Una volta però che abbiamo capito “il trucco”, allora sì che il piatto diventa semplice: basta infatti aggiungere pane fresco o abbrustolito o grissini o fette biscottate e la cena e pronta. La difficoltà può nascere nel momento in cui scegliete quanto saporiti o dolci debbano essere, prosciutto e melone e pane, e allora dovrete destreggiarvi fra le varietà e le specie disponibili per trovare la combinazione che vi possa davvero soddisfare. Però si può osare di più.

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Anche se siamo in estate, anche se non ci va di sostare troppo davanti ai fornelli, anche se non abbiamo troppa fame. Possiamo osare di più. Con l’insalata di riso o il risotto. Negli spiedini (potete aggiungere acini d’uva e/o ciliegie di mozzarella, per arricchirli di freschezza). Nel sandwich (con pane integrale e formaggio caprino). Nel couscous. Mescolati a basilico e melagrana e aggiungendo un condimento all’aceto di mele e miele («Ecco la mia versione vegetariana del prosciutto e melone» ha commentato CSABA DALLA ZORZA. «L’idea è semplice e la preparazione banale, il sapore invece ti stupirà. Merito del condimento… La melagrana e i meloni seguono due stagioni diverse, da noi, ma questa ricetta arriva da una collega neozelandese che ho conosciuto a Parigi ai Gourmand Awards. Se non hai la melagrana salta semplicemente questo ingrediente. Io a volte cedo al desiderio e faccio uno strappo alla regola prendendone una di importazione… Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!). Farcendo il prosciutto con stracchino e servendo il melone in una salsina montata a parte con l’aggiunta di panna. Trasformando il melone in gazpacho (con pancarré all’aceto, yogurt, cipollotto e basilico) o in granita. Preparando una cheesecake salata con base di burro e cracker tritati, crema al melone e decorazione al prosciutto. A proposito di decorazione… Proprio non ce la fate a rinunciare ad una scenografica presentazione anche se fuori ci sono oltre trenta gradi? Allora mettete le palline di melone in un bicchiere da cocktail foderato di prosciutto. Rendete croccante quest’ultimo passandolo qualche minuto in forno e servitelo su melone frullato con ghiaccio ed erba cipollina (o con albume montato e Porto, il tocco alcolico ci sta proprio bene in questo contesto). Scavate bene il melone perché diventi un cestino e riempitelo con gamberetti avvolti nel prosciutto. In ogni situazione, che sia una ricetta semplice o ricercata, fate comunque sempre un’operazione preliminare: assaggiate! Chiudete gli occhi e pensate a quale ingrediente potrebbe accompagnarli, a come li vedete in una ricetta, a cosa vi fanno venire in mente. E poi cucinatevi l’estate. Giorgia Fieni

Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni. Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, DQGDPHQWR degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.

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La versione salata delle “catarrette” da accompagnare al classico tagliere

APERITIVO CON LE CIALDE ABRUZZESI di Gaia Borghi

Le cialde salate classiche prodotte da Lu Furnarille, bottega dolciaria e forno di Vasto.

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lio d’oliva, vino bianco, farina, sale: sono pochi e semplicissimi gli ingredienti per la preparazione di queste cialde salate eppure… Eppure, ne mangi una e il pacchetto si svuota davanti ai tuoi occhi in un battibaleno. Quelle che vedete in foto le produce, insieme a tantissimi dolci e prodotti da forno tipici abruzzesi, vastesi per l’esattezza, una storica bottega dolciaria proprio di Vasto, Lu Furnarille, letteralmente “piccolo forno” nel dialetto locale, i cui titolari proseguono in famiglia (quinta generazione), e nello stesso luogo dove era stata fondata nel 1925, l’attività di GIOVANNI DEL FRA’. Nel negozio e laboratorio sito in una delle stradine del centro storico di Vasto si può acquistare o anche degustare in loco tutta la più classica pasticceria locale, i caggionetti ai ceci, i bocconotti, i tarallucci al vino, i mostaccioli, il Pan dolce aragonese, persino una ventricina di cioccolato, ma, soprattutto, le catarrette. Chiamate in tanti modi differenti secondo i luoghi di produzione — pizzelle, ferratelle, cancellate, neole, nevole, queste ultime, esclusive dell’Ortonese, vengono preparate con aggiunta di mosto cotto nell‘impasto e si mangiano con la scrucchiata, confettura di uva — sono diffuse in tutto l’Abruzzo fino al Molise. In sostanza, le catarrette sono cialde friabili e croccanti, o anche più alte e morbide, cotte con un apposito “ferro” (lu ferre). Il ferro a pressa, che si presenta leggermente incavato e segnato all’interno da piccoli quadretti o rombi, dà al prodotto la caratteristica forma che può essere quadrata, tondeggiante o a ventaglio (a cuore), con forgiatura a rilievo, quadretti, righe o rombi, appunto. “Al centro del ferro, precedentemente oliato e riscaldato sulla fiamma del camino, sul gas o elettricamente, si versa un cucchiaio dell’impasto; poi si richiude il ferro e lo si mette sulla fiamma, avendo cura di girarlo sull’altro lato a metà cottura” raccontano i gestori de Lu Furnarille. “Quando l’impasto raggiunge una bella colorazione oro può ritenersi cotto e quindi, con l’aiuto di una forchetta, si stacca facilmente dal ferro e si pone in un vassoio a raffreddare. Molto importante è stabilire, in funzione del tipo di ferro

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Spessa o sottile, tagliata a tocchetti o a fette. Scegliete la modalità che preferite, tanto il risultato vi soddisferà ugualmente. Da non confondere con quella teramana, morbida e spalmabile, la Ventricina del Vastese è il miglior souvenir gastronomico dei turisti che si trovano in viaggio in quella parte d’Abruzzo vicinissimo al Molise, che dalla Costa dei Trabocchi e dalle spiagge di Vasto arriva fino a Schiavi d’Abruzzo. Un salume antico apprezzato già dai Borboni. Qualche consiglio di degustazione: * sul sito dell’Associazione di Promozione e Tutela della Ventricina del Vastese, “sodalizio che mette insieme i migliori produttori del salume della festa e dell’amicizia”, trovate una breve guida per assaporarla al meglio (ventricinadelvastese.it); * buonissima sulla pizza rossa di Pizzità (www.pizzita.it), a Vasto, una pizza croccante e leggera come una nuvola, è assolutamente spettacolare nel tagliere insieme al pecorino all’Osteria La Frasca di San Giacomo di Scerni, dove potete gustare anche gli N’durciullun (pasta alla chitarra molto spessa) con sugo di ventricina (www.lafrascaosteria.com); * a Scerni fatene incetta all’Accademia della ventricina vastese (in foto; accademiadellaventricina.com), non ve ne pentirete.

e dell’intensità della fiamma, i tempi di cottura ottimali. A tal proposito, la tradizione stima la giusta durata nel lasso di tempo necessario per recitare un’Ave Maria da un lato e un Padre Nostro dall’altro lato”. Nascono come dolci matrimoniali, preparati e offerti a tutti gli invitati che per l’occasione si recavano a visitare la dote esposta dalla sposa. La preparazione si è estesa successivamente a tutte le feste sia di carattere religioso che civile. Anche la versione salata di questi classici dolci abruzzesi si prepara con il ferro, capace di abbellire le cialde con motivi che ricordano un ricamo e renderle bellissime, oltre che buonissime. In passato i ferri venivano forgiati con

lo stemma del casato o le iniziali del proprietario e la data di fabbricazione, il che permette tra le altre cose di far risalire la tradizione di utilizzare i ferri per la cottura di queste specialità tipiche nelle famiglie abruzzesi tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Le cialde sono perfette per l’aperitivo, si sgranocchiano volentieri prima del pranzo o della cena oppure durante la giornata, da sole o accampagnandole con il classico tagliere di salumi e formaggi, abruzzesi e non. Sono disponibili nella versione semplice senza aromatizzazioni e anche nelle versioni più sfiziose ai semi di finocchio, al peperoncino, al rosmarino, al sesamo, all’origano e alla pasta di olive. Gaia Borghi

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IL GUSTO DI CAMMINARE

Sul Sentiero del Viandante attraverso le Prealpi lecchesi

LUNGO “QUEL RAMO DEL LAGO DI COMO” di Elena Simonini 108

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A sinistra: il Sentiero del Viandante percorre la sponda orientale del lago di Como e unisce Abbadia Lariana al Santuario della Madonna di Valpozzo, nel comune di Piantedo, alle porte della Valtellina. Lungo il percorso si incontrano interessanti testimonianze storiche ma anche fenomeni naturali come il Fiumelatte e l’Orrido di Bellano meritevoli di una visita non superficiale (photo © Franco Bissoni). In alto: la Chiesetta di San Rocco sopra Dervio. Fu eretta per voto nel 1858 dagli abitanti di Dorio, “tre volte salvati mirabilmente dal morbo colera”, come recita la scritta sopra la porta. Da qui si gode un magnifico panorama, con il Monte San Primo sullo sfondo (photo © Silvano Rebai – stock.adobe.com).

l caldo e l’afa dell’estate, e semmai anche la fatica di tutto questo lungo periodo, accrescono inevitabilmente il desiderio di fuga, il quale, soprattutto per noi camminatori, spesso si realizza semplicemente nella sempre meravigliosa avventura di affondare le scarpe da trekking su nuovi sentieri, in mezzo a silenziosi boschi, totalmente immersi dentro al fresco del verde e della natura incontaminata. Per giorni caratterizzati da temperature elevate e a volte persino

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bollenti, quindi, ho pensato di portarvi ad esplorare un bellissimo itinerario che si sviluppa in quota, con vista sul lago di Como — nientemeno che su quel ramo di manzoniana memoria — tra le province di Lecco e Sondrio, in un tragitto denominato Sentiero del Viandante. Ho scelto questo percorso certamente per l’incanto del lago, per gli splendidi scorci e per i panorami che restituisce il cammino, e per la magia dei piccoli e preziosi borghi che vi

si incontrano. Ma, devo dirlo, ho ritenuto di condurvi su questo sentiero anche per la suggestione del nome, che fa semplicemente riferimento al viandante, cioè a colui che si identifica solo per il fatto di andare per la via, e nulla di più. Ed è una cosa che ha del miracoloso, mi sembra, soprattutto in questo momento storico, pensare che possiamo semplicemente ancora andare per via, ritrovando e riconquistando la naturalezza e la bellezza del nostro camminare nel mondo.

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Bresaola della Valtellina IGP, il conforto del Viandante Seguendo le orme del Viandante incontreremo una cucina semplice, casalinga e piuttosto rustica, che si ispira ai profumi e ai sapori del lago e della montagna. Tra i salumi, onnipresente sui taglieri e utilizzata anche come ripieno in alcuni primi piatti — come i ravioli di grano saraceno ripieni di bresaola che si gustano ad esempio al Crotto di Biosio di Bellano (www.biosio.it), magari sulla terrazza che regala un panorama di rara bellezza che domina il lago — c’è lei, la Bresaola della Valtellina IGP. Da una recente ricerca DOXA che ha coinvolto un campione nazionale di mille persone di età compresa tra 18 e 74 anni, per 6 Italiani su 10 la Valtellina è sinonimo di enogastronomia e per oltre 3 intervistati su 4 la Bresaola della Valtellina IGP è il prodotto più celebre della zona, tanto che per il 58% dei turisti che ogni anno raggiungono la Valtellina rappresenta un souvenir imperdibile della propria vacanza. È dal XV secolo che il clima irripetibile di questa valle, caratterizzato dal favorevole incontro a fondovalle tra l’aria fresca e pura che scende dalle montagne, intrisa dei profumi delle erbe e dei fiori, e la Breva, la mite brezza che risale dal lago di Como, crea le condizioni ideali per la stagionatura della bresaola, la cui ricetta scaturisce dalla necessità di salare ed essiccare le carni per poterle conservare più a lungo. È da allora che i produttori selezionano con cura meticolosa i migliori tagli di carne, curando poi con altrettanta dedizione ogni fase della sua preparazione: dalla filettatura al dosaggio degli aromi, dal massaggio delle carni alla salatura. Ed è proprio grazie alla morfologia del territorio ed alle sue particolari condizioni climatiche che è possibile minimizzare la quantità di sale utilizzato per conservare la carne morbida, mai fibrosa né gommosa, dal sapore unico (in foto, Fagottini di Bresaola della Valtellina IGP con robiola di capra e mirtilli; photo © La Cucina di Lice, blog.giallozafferano.it).

Deliziosamente affacciato sul lago di Como, il piccolo borgo di Varenna è considerato uno dei più belli della regione (photo © Alex Shirmanov – stock.adobe.com).

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E allora partiamo! Senza esitare, allacciamo le stringhe delle nostre scarpette e mettiamoci subito al passo. Il Sentiero del Viandante consta di un tragitto abbastanza breve, circa 40 km, che potrete percorrere anche in poche tappe (tre o quattro), durante un fine settimana lungo, per esempio. Il tracciato è piuttosto semplice, adatto a tutti, senza particolari difficoltà tecniche e caratterizzato da dislivelli facilmente affrontabili (l’unico tratto un poco impegnativo è quello che separa Lierna da Varenna con un dislivello di quasi 1.000 metri concentrati in una dozzina di chilometri). L’itinerario, oltre ad essere ottimamente servito dalla ferrovia che lo interseca in più punti, permettendo così di modulare il cammino a ciascuna delle vostre esigenze, è molto ben segnalato e sempre perfettamente mantenuto durante tutto il periodo dell’anno, e si sviluppa tra le province di Lecco e Sondrio, partendo da Abbadia Lariana e arrivando a Piantedo.

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Esso di fatto non rappresenta un vero e proprio itinerario storico, ma piuttosto un sentiero in un qualche modo spontaneo, ricavato infatti sulla base di strade, viottoli e mulattiere, che in passato venivano quotidianamente battute da contadini e pescatori, i quali, per le loro varie attività commerciali, avevano bisogno di muoversi tra i paesi rivieraschi e le tante frazioni di montagna. Tra le meraviglie di cui potrete godere durante il vostro cammino su questo bellissimo sentiero, si segnalano, oltre alla costante visuale di strepitosi scorci lacustri, gli immensi panorami incorniciati dalle vette di Bellagio a Menaggio e dalle montagne al confine con la Svizzera, la caratteristica geologia delle rocce e la grande varietà e particolarità delle specie botaniche, il fresco dei boschi di castagno, e, ultimo ma non ultimo, i refrigeranti torrenti nei quali avrete la possibilità di ristorarvi dalla calura estiva (non dimenticate, dunque, di infilare nello zaino l’immancabile costume da bagno). Tutto il tragitto, come avrete modo di constatare, è costantemente caratterizzato dalle inconfondibili tracce della tradizione popolare del luogo, con bellissimi casali, incantevoli cappelle, altari campestri, e piccole edicole che, tutti insieme, disseminandosi in ordine sparso tra viti ed uliveti, rendono il cammino davvero molto suggestivo. Assolutamente consigliata, infine, anche la salita al castello medievale di Vezio, antico avamposto militare eretto dalla regina longobarda TEODOLINDA a difesa del lago e dei borghi circostanti, e sito proprio nel bel mezzo del Lago di Como, sul promontorio che sovrasta Varenna. Da qui potrete godere della splendida e indimenticabile visione dei dolci pendii, dei poggi, dei campi e dei boschi che letteralmente abbracciano lago e montagne. E così, dentro al vostro sguardo da viandante, proprio come colui che solamente e semplicemente va per via, conquisterete la piena contezza della strada già percorsa e di quella ancora da percorrere, non solo su questo bel sentiero sul lago di Como, ma anche su tutti i sentieri del mondo, che sempre aspettano di essere calpestati dai nostri passi, stretti dentro ad un paio di scarpette da trekking. Elena Simonini

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Olio Extravergine d’Oliva Laghi Lombardi DOP L’olivicoltura lombarda ha origini antichissime, certamente di età preromana, come testimoniato da numerosi documenti storici e dal ritrovamento di resti di antichi frantoi. Si è sviluppata sulle rive dei laghi prealpini, caratterizzati da fertili suoli di origine morenica e da un clima adatto alla coltivazione di questa pianta mediterranea. Nel corso dei secoli la produzione dell’olio lombardo ha mostrato andamenti altalenanti, come nel resto della nostra Penisola. Nel Medioevo, grandi abbazie e potenti famiglie si disputarono i territori a uliveto, perché l’olio era un prodotto prezioso, impiegato nelle funzioni liturgiche e nel codice farmaceutico del tempo. Con l’avvento dell’era industriale molti uliveti vennero sostituiti da colture più resistenti alle gelate, tipiche della zona, e l’olio dei laghi lombardi divenne così un prodotto di nicchia, raro e apprezzato dagli estimatori. Solo nel 1997 ottenne dalla Comunità europea il riconoscimento DOP. Il bacino del lago d’Iseo (in latino Sebino) e del lago di Como (in latino Lario) si trovano ad una latitudine teoricamente non adatta alla coltivazione dell’olivo; in realtà le acque dei laghi funzionano come grandi serbatoi, in grado di accumulare calore ed umidità durante il periodo estivo e di restituirla nei mesi invernali, creando un microclima straordinariamente mite nel cuore dell’Italia del nord. Questo, unito alla fertilità dei suoli di origine morenica, ha consentito lo sviluppo dell’olivicoltura. La zona di produzione delle olive destinate alla produzione dell’Olio Extravergine d’Oliva Laghi Lombardi a indicazione geografica “Sebino” comprende 24 comuni in provincia di Brescia e 24 comuni in provincia di Bergamo, tutti in prossimità del lago d’Iseo. La zona di produzione delle olive destinate alla produzione dell’Olio Extravergine d’Oliva dei Laghi Lombardi a indicazione geografica “Lario” comprende 33 comuni in provincia di Como e 12 comuni in provincia di Lecco, tutti i in prossimità del lago di Como. La leggerezza e la delicatezza tipici di questi oli consentono di utilizzarli su varie pietanze: sugli antipasti, sull’ottimo pesce di lago, sul carpaccio di carne o sulla bresaola, su formaggi e verdure, come condimento delle insalate, paste e minestre e addirittura nella preparazione di alcuni dolci (photo © www.visitbergamo.net).

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VINO

VOLTI DI BARBARESCO 39 “cavalieri” in bianco & nero circondano la Torre Medievale. Una mostra fotografica en plein air consacra le stelle del vino stata inaugurata lo scorso 19 giugno la mostra fotografica Volti di Barbaresco, un percorso per immagini in bianco e nero e in grande formato, allestita negli spazi recintati e intorno alla Torre medievale di Barbaresco. L’esposizione

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permanente en plein air ha come protagonisti 39 Volti del Barbaresco DOCG: sono i produttori che hanno reso grande e famoso nel mondo enologico questo piccolo paese delle Langhe, in provincia di Cuneo — di soli 600 abitanti e 41 cantine — e che dà il nome a un’intera

denominazione di origine controllata e garantita (abbraccia anche Treiso, Neive e una frazione di Alba). Il progetto, voluto dal Comune di Barbaresco, è stato realizzato tra dicembre e maggio 2021 da MAX RELLA, giornalista e fotografo di viaggi, enoturismo, vino

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e gastronomia. Un progetto articolato fotografico che nasce per dare un volto ai produttori, spesso sconosciuti ai più nonostante la notorietà di tante cantine e di alcune etichette. Una raccolta di ritratti, ambientati e non, e personaggi all’opera mentre lavorano, tra le vigne, le botti e gli altri strumenti del mestiere. 39 immagini stampate su pvc adesivo polimerico plastificato, che resiste qualche anno alle intemperie (sole, pioggia, umidità, ecc…), riproducendo il più fedelmente possibile la resa del bianco e nero. E sono accompagnate da altre 39 piccole immagini in bianco e nero e da un testo di massimo 150 caratteri in italiano e inglese, riferito a ciascun protagonista. Le targhette esplicative comprendono anche il QR-code che rimanda al sito di ogni singola cantina. La mostra prosegue all’interno della Torre di Barbaresco negli spazi del Museo Cavazza, ma con altre imma-

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gini degli stessi produttori proiettate a colori sulle pareti interne di pietra e mattoncini. Completa la rassegna la raccolta di video-pillole — di nuovo in bianco e nero — in cui ciascun produttore racconta in libertà Un’Annata a Barbaresco: dalla più lontana alla più recente, dalla più favorevole alla più difficile, ma anche un’annata in cui è avvenuto un fatto bello e importante per la vita del produttore, come la nascita di un figlio, un matrimonio o addirittura la vittoria dell’Italia ai Mondiali di calcio.

Un’esposizione “permanente” in grande formato: le immagini dei produttori di Barbaresco stampate su materiali che sfidano il tempo, come le etichette del Barbaresco DOCG. Un percorso fra ritratti ambientati e personaggi al lavoro in vigna e in cantina che gira intorno al monumento simbolo del paese in provincia di Cuneo, nel cuore delle Langhe Monferrato Roero, Patrimonio UNESCO (photo © Massimiliano Rella).

La Torre e la visita Tutto questo avviene in un luogo simbolico del paese, la sua antica Torre medievale, uno sito impregnato di storia ed energia: una “stele” squadrata di 30 metri d’altezza e 9 metri per lato, conficcata in un basamento d’arenaria, che dal XI secolo svetta sulle colline delle Langhe oggi Patrimonio UNESCO sorvegliando la valle del Tanaro.

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Caduta per lungo tempo in abbandono, nell’estate di sette anni fa è stata recuperata e oggi è diventata potente veicolo culturale ed enoturistico: il suo museo interno nel 2019 ha accolto oltre 30.000 visitatori (+ 40% sull’anno prima) e incassato 130.000 euro di biglietti d’ingresso, risorse reinvestite in personale, progetti culturali e migliorie. Un progetto a lieto fine realizzato dal Comune di Barbaresco, che allora era guidato dall’ex sindaco Alberto Bianco, oggi vicesindaco e anche ideatore della mostra Volti di Barbaresco; progetto questo elaborato e sviluppato insieme all’autore Max Rella. La visita alla Torre è libera e gratuita, tutti i giorni, nessuno escluso, dalle

10:00 alle 24:00; stessi orari per la visita al Museo Cavazza, interno alla struttura, questo però con ingresso di € 5,00 (ridotto € 4,00). È anche possibile approfittare dal mattino a notte del nuovo e panoramico Bistrot della Torre per un calice di vino, spaziando tra oltre 100 etichette (Barbaresco in gran forze, vari Nebbioli, bollicine metodo classico di Alta Langa e Champagne), o un piatto tipico, dai classici antipasti piemontesi, carne cruda all’albese e vitello tonnato, ai ravioli del plin e alle selezioni di salumi e formaggi di territorio (€ 7,00–15,00 a portata).

Il progetto Volti di Barbaresco ha riaperto la stagione culturale della Torre di Barbaresco e del Museo Cavazza. Già dal mattino, il Bistrot della Torre offre 50 posti all’aperto per un calice di vino, spaziando tra oltre 100 etichette, o per un piatto tipico regionale (photo © Massimiliano Rella).

>> Link: www.torredibarbaresco.it

Volti di Barbaresco, il catalogo La mostra è accompagnata dal catalogo in bianco e nero Volti di Barbaresco, curato e realizzato da EDIZIONI PUBBLICITÀ ITALIA, la casa editrice modenese specializzata nelle filiere agroalimentari (edita le riviste Premiata Salumeria Italiana; Il Pesce; Eurocarni). A firmarne la prefazione SERGIO MIRAVALLE, noto giornalista enogastronomico di lungo corso, per anni al quotidiano La Stampa e oggi direttore del trimestrale di cultura e territorio Astigiani. Il volume completa il progetto fotografico con altre immagini degli stessi produttori e del territorio ed è stato realizzato col supporto di enti e agenzie di promozione del territorio: Ente Turismo Langhe Monferrato Roero; Fondazione CRC; agenzia Wine Experience.

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La cantina Le Manzane ci mette la faccia, anzi le facce!+ Look rinnovato e una ripartenza all’insegna del motto “To Be Happy” C’è voglia di ripartire all’azienda Le Manzane. La famiglia Balbinot, proprietaria della tenuta di San Pietro di Feletto, nel cuore delle Colline del Prosecco Superiore, oggi Patrimonio UNESCO, ha investito su un nuovo progetto di restyling per sei dei suoi vini, gli autoctoni fermi: Verdiso, Manzoni Bianco, Prosecco Tranquillo, Kaberlò, Cabernet e Pinot Grigio, l’ultimo arrivato, ma anche il primo ad “indossare” la nuova veste grafica. Delicatamente macerato sulle bucce, elegante e raffinato, ma al tempo stesso versatile e moderno, è il colore a contraddistinguere il nuovo vino: riflessi ramati che si rispecchiano nel calice e che fanno già presagire lo stile. «Questa tonalità è dovuta alla scelta di macerare leggermente le bucce — spiega Ernesto Balbinot — e mira ad esaltare le caratteristiche dell’uva, la sua complessità aromatica e di conseguenza anche la sua originale colorazione». Al naso rimanda ai profumi di glicine, gelsomino e frutta a polpa gialla. Leggermente vanigliato. Piacevolmente minerale avvolge in un morbido abbraccio il palato; la sua media alcolicità lo rende versatile negli abbinamenti con primi piatti e pietanze a base di pesce e verdure. Il Pinot Grigio debutta in questi giorni sul mercato, mentre per le altre referenze gli imbottigliamenti saranno scaglionati e comunque, dopo il periodo estivo, saranno tutte disponibili. La cantina Le Manzane intende, così, valorizzare non solo le bollicine, ma anche i vini fermi nella loro espressione territoriale più autentica. «Sicuramente seguiremo la via maestra del Prosecco Superiore e degli altri spumanti, ma non dimentichiamo i sentieri bellissimi che possono essere percorsi con i vini tranquilli, in particolare con gli autoctoni come il Manzoni Bianco e il Verdiso, nonché la versione ferma del Prosecco, ovvero quella senza le bollicine che rappresenta la declinazione più tradizionale del Glera», dichiara Balbinot. La bottiglia scelta è una bordolese rivista nelle misure, altezza e larghezza, e nella forma, resa più elegante. «Per la grafica — aggiunge — abbiamo subito pensato a qualcosa di moderno e dopo una o due prove si è accesa la lampadina delle nostre facce». Le etichette delle bottiglie, infatti, hanno i visi stilizzati di Ernesto, Silvana, Marco e Anna. La cantina Le Manzane si trova a San Pietro di Feletto, a metà strada tra le Dolomiti e Venezia, nella fascia collinare della provincia di Treviso, nel cuore delle Colline del Prosecco Superiore, proclamate il 7 luglio 2019 Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO. L’azienda, a conduzione familiare, è fortemente radicata nel territorio trevigiano come produttrice da quasi 40 anni. La cantina, tra le più dinamiche e interessanti nel panorama enologico del Conegliano Valdobbiadene, distribuisce sia in Italia che all’estero raggiungendo 34 Paesi. >> Link: lemanzane.com

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La nuova dimensione della Malvasia di Candia

LA STAGIONE DELL’ALVINA di Gaia Borghi

eggermente frizzante, leggermente dolce, leggermente alcolica. Si chiama Alvina. La Piacentina, secondo nome che ne identifica immediatamente la provenienza, ed è la classica Malvasia di Candia, vitigno presente principalmente in Emilia e più in particolare nelle province di Parma, Reggio e,

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appunto, Piacenza. Un vino bianco frizzante semplice, realizzato con le uve coltivate sulle colline piacentine. Un vino da merenda, di quelle fatte a metà mattina, al rientro dal lavoro nei campi, con pane e coppa piacentina o salame, tagliato a fette “importanti”, oppure di quelle pomeridiane, con le fragole o le pesche da vigneto, raccolte e tagliate

a pezzi grossolani e poi messe in una coppa irrorandole col vino, che donerà alla frutta la sua parte zuccherina. Un vino che, di per sé, ha tanti altri e, soprattutto, grandi e grossi concorrenti sul mercato. Come distinguerla allora? Come donarle una nuova unica identità senza intaccarne l’essenza? Se, ad esempio, fosse possibile modificarne il

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“concetto” e la fruibilità, se fosse possibile dare alla Malvasia di Candia una nuova dimensione che nessun’altro ha? Una bottiglietta da panino È quello che hanno pensato, e fatto, ALESSANDRO PERINI, enologo di Cantine Romagnoli, di Villò di Vigolzone (PC), e MICHELE MILANI, imprenditore, editore, pubblicitario, cacciatore ma, soprattutto, ambasciatore appassionato delle bellezze a 360 gradi della sua Piacenza, Malvasia compresa. «Ho pensato ad una bottiglietta da panino e Alessandro ne ha compreso immediatamente le potenzialità» mi racconta Michele. Alvina, infatti, è proprio questo: Malvasia di Candia 100%, con una gradazione alcolica al 6% — e quindi da considerarsi vino —, commercializzata in bottiglietta di vetro da 20 cl. «Alvina rientra nel mercato delle bibite frizzanti, delle bevande colorate con le bollicine, un mercato in crescita esponenziale e decisamente variopinto. Ci entra però

come vino, un prodotto sano, naturale, che, viste le caratteristiche e la gradazione, si presta ad un consumo quotidiano, ideale in diverse occasioni e nelle diverse ore della giornata. L’Italia è il Paese del vino, beviamo il vino!» mi dice Michele. «Alvina possiede quei 6 gradi che mettono allegria e nella bottiglietta diventa un prodotto fruibile, facile, dissetante, da portare nel cestino da picnic, in spiaggia, in barca, da bere con gli amici, quando si rientra a casa dall’ufficio e ci si va rilassare in giardino, da soli». Un consumo sempre consapevole naturalmente ma più semplice ed immediato. Magari infilando una fetta di pesca nel collo della bottiglia al posto del classico lime o limone: sì perché se c’è un frutto con cui la Malvasia di Candia va particolarmente a braccetto è proprio la pesca, magari una sugosa Nettarina di Romagna. Alvina è semplicemente perfetta bevuta in un bicchiere con due cubetti di ghiaccio o ghiaccio

tritato e una fettina di pesca oppure una ciliegia, aggiunta ad una macedonia di frutta sempre con ghiaccio e gin oppure direttamente nel gin tonic. Lo stile è quello della dolce vita, degli anni ‘50, delle rotonde sul mare. «Come si può notare dalla grafica dell’etichetta, per Alvina abbiamo pensato al circo, a quello felliniano per essere precisi, un luogo “dove tutto è possibile”, creatività e divertimento, basta lasciarsi trasportare» continua Michele Milani. «Abbinamenti apparentemente distanti, la pesca, il mango, la coppa e il prosciutto...». Alvina è “dolce” senza essere stucchevole ed è ottima abbinata al “salato” dei salumi, piacentini ma non solo. «Stiamo lavorando ad una prossima versione di Alvina biologica e ad una versione rossa con la Bonarda dolce» conclude Michele. La stagione dell’Alvina, insomma, è appena iniziata. Gaia Borghi Info: www.cantineromagnoli.it

Salumi piacentini, una gran bella fetta di storia Il 2021 è un anno molto speciale per il “Consorzio Salumi Tipici Piacentini” e il “Consorzio di tutela Salumi DOP Piacentini”. Per il primo ricorre il 50mo anniversario della sua costituzione, per il secondo ricorre invece il 25mo anniversario dell’assegnazione della DOP per Coppa, Pancetta e Salame Piacentino. Le ricchezze alimentari del Piacentino sono la testimonianza di una terra laboriosa dove l’agricoltura ha da sempre rappresentato un segmento determinante a livello economico. Tra queste eccellenze, i salumi rappresentano la bandiera agroalimentare di Piacenza, tanto che la Comunità europea, il 2 luglio del 1996, ha assegnato la Denominazione di Origine Protetta alla Coppa Piacentina, la Pancetta Piacentina e al Salame Piacentino. Piacenza è l’unica provincia in tutta Europa ad avere tre salumi DOP, per la cui produzione la mano dell’uomo è ancora determinante e, proprio per questo motivo, ogni pezzo è unico e risulta un piccolo capolavoro. Oggi va sottolineata la lungimiranza di chi cinquant’anni or sono, esattamente l’8 maggio 1971, pensò di dar vita ad una struttura consortile che si prendesse cura delle eccellenze della salumeria piacentina dandosi, fin da allora, regole di produzione scritte e verificate che anticipavano di 20 anni quello che la Comunità europea avrebbe poi legiferato nel 1992 con le normative che istituivano i prodotti tutelati. È doveroso riconoscere e ringraziare quanti hanno promosso, realizzato e proseguito questa avventura che accompagna la salumeria piacentina e il suo territorio. Un itinerario che si arricchisce negli anni, con un traguardo da raggiungere, sempre lo stesso: far conoscere sempre più il gusto e il sapore della Coppa, del Salame, della Pancetta Piacentina e tutelarne reputazione e immagine. >> Link: salumitipicipiacentini.it www.salumidoppiacentini.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: gita in montagna di Laura Franchini

e agognate vacanze estive e il forte caldo delle pianure spingono sempre più turisti a trovare refrigerio sulle tante e belle montagne del nostro paese. Un soggiorno nelle Dolomiti, in Appennino, sulle pendici dell’Etna, regala paesaggi unici e temperature rinfrescanti e riposanti, soprattutto in piena estate. Anche solo per un giorno, le escursioni possibili sono tante, di ogni livello e per tutti i gusti, da Nord a Sud. Il consiglio è quello di affidarsi ad esperti escursionisti, alle guide certificate o ad associazioni affidabili.

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È anche importante non trascurare l’attrezzatura e l’abbiascurare l’ gliamento, evitando improvvisazioni e rischi inutili. E, si sa, la montagna risveglia l’appetito. Sono tanti i rifugi che offrono servizi di ristoro e di ospitalità, così come tante sono le strutture alberghiere e di ristorazione presenti nelle zone montane e nelle prime vicinanze dei pendii, anche i più scoscesi. Se preferite portarvi il pranzo al sacco, non dimenticate un buon vino per premiarvi delle vostre fatiche, magari proprio un vino di montagna, prodotto con le uve dei vigneti di alta quota. Ecco le nostre proposte.

V VIGNE CHE SALGONO FINO A QUOTA MILLE E VANNO OLTRE. DA QUI NASCONO I VINI DI MONTAGNA, ETICHETTE CHE BENEFICIANO DI ESCURSIONI TERMICHE, NEVE E ARIA LIMPIDA. E SI NUTRONO DELLA FATICA DEI VIGNAIOLI EROICI CHE LAVORANO IN ALTURA

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Vini di montagna e formaggi di malga prodotti ad alte quote, dove la natura e la pace regnano sovrane. E si sente (photo © barmalini – stock.adobe.com).

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Valtellina Superiore DOCG Sassella Rocce Rosse 2013 Arpepe La Valtellina è una valle di origine glaciale solcata dal fiume Adda, che si sviluppa da Est a Ovest per ben 120 chilometri, dal passo dello Stelvio fino al lago di Como. Il meraviglioso spettacolo dei terrazzamenti vitati, esposti al sole dall’alba al tramonto, è all’origine del concetto stesso di viticultura eroica. Qui ISABELLA e EMANUELE PELIZZATTI PEREGO portano avanti con passione la cantina di famiglia, con particolare attenzione alla coltivazione del Nebbiolo delle Alpi, la varietà chiavennasca. Siamo di fronte ad un calice di grandissima eleganza e straordinaria bevibilità. Matura in botte grande di castagno per 48 mesi e per 12 in vasche di cemento, scelte che garantiscono al patrimonio organolettico delle uve integrità di profumi e di possibilità evolutive. Al naso infatti sprigiona note tipiche di frutta rossa sotto spirito, tabacco dolce e cuoio, con speziatura di competenza a completamento. Un palato ricco di raffinatezza e di armonia, tessitura unica. Assolutamente equilibrato, un vino che accompagna perfettamente la gastronomia valtellinese, beva straordinaria.

Arpepe Via Buon Consiglio, 4 23100 Sondrio Telefono: 0342 214120 E-mail: info@arpepe.com Web: www.arpepe.com

Valle d’Aosta DOP Petit Arvine 2020 Les Crêtes Contesto decisamente montano per questa cantina, anzi, più precisamente contesto alpino. Siamo infatti ai piedi del Monte Bianco, in un clima ovviamente caratterizzato da temperature rigide ma anche fresco, secco e ben ventilato. I suoli morenici, l’attenzione all’ambiente e le sapienti pratiche di cantina conferiscono alla produzione vinicola qualità costante e tipicità rigorosa. La FAMIGLIA CHARRÈRE, titolare dell’azienda, gestisce con passione e competenza i 20 ettari di vigneto distribuiti in sei comuni valdostani, vigneti che garantiscono una produzione annua di 180.000 bottiglie. Il calice di Petite Arvine è brillante e limpido, generoso all’olfattiva di sentori fini e persistenti di mele e susine, con ritorni floreali di gelsomini, zest di agrumi in lontananza. Palato armonico, intenso, elegante, ingresso piacevolmente minerale con sapidità marina equilibrata. Calice adatto alle preparazioni di pesce, anche crudi, ai formaggi morbidi e mediamente stagionati, all’aperitivo.

Les Crêtes SR 20, 50 11010 Aymavilles (AO) Telefono: 0165 902274 E-mail: info@lescretes.it Web: www.lescretes.it

Etna DOC Rosso Scalunera 2018 Torre Mora Siamo sul versante Nord-Est dell’Etna, tra i 650 e gli 800 metri slm, con questa cantina che vanta 13 ettari di vigneti a terrazzamento. Un terroir eccellente: qui il vulcano, ancora attivo, regala preziosità e carattere ai vini, anche grazie a condizioni climatiche uniche. L’Etna Rosso Scalunera è prodotto con uve Nerello Mascalese al 97% e Nerello Cappuccio al rimanente 3%. I vigneti si trovano in Contrada Dafara Galluzzo a Rovittello, circa 700 metri di altitudine; le uve sono vendemmiate nella seconda metà di ottobre e vinificate con breve macerazione (circa 2 settimane); dopo la malolattica il vino riposa 24 mesi in botti di rovere e altri 4 mesi in bottiglia. Il calice alla degustazione è brillante rosso rubino con riflessi granati, mentre al naso è intenso e lungo di frutta scura, ciliegie e lamponi, more e mirtilli sotto spirito. Seguono sentori eleganti di muschio e macchia mediterranea, foglie di tabacco e menta piperita. Setosa e raffinata la sorsata, armonica e sapida, morbida e dalla spalla acida in equilibrio. Vino eccellente con piatti di carne, anche mediamente strutturati, prevederne una bottiglia al ritorno dal trekking sull’Etna, accompagnata da salumi locali.

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Cantina Torre Mora SS SR Mareneve Quota Mille Frazione Rovittello 95012 Castiglione di Sicilia (CT) Telefono: 392-9331956 1956 E-mail: info@torremora.it mora.it Web: www.piccini1882.it 1882.it

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Vigneti delle Dolomiti IGT Nerofino Castel Firmian Mezzacorona

Mezzacorona Via del Teroldego 1/E 38016 Mezzocorona (TN) Telefono: 0461 616399 E-mail: info@mezzacorona.it Web: www.mezzacorona.it

La cantina MEZZACORONA produce vini proprio nel cuore delle Alpi Dolomitiche, circondata da catene montuose e vette oltre i 3.500 metri. Una realtà storica, caratterizzata da una mission precisa e condivisa da tutti i soci, da contadini e addetti, così come dal team di produzione. Il Nerofino è prodotto con uve Teroldego e Lagrein: il primo, grande protagonista della Piana Rotaliana, trova qui il terreno per sviluppare struttura e succo; il Lagrein beneficia di terreni più rocciosi, acquisendo una buona aromaticità e fragranza. Circa metà della quota produttiva matura per 6 mesi in barriques di rovere francese, dalla tostatura leggera, per acquisire complessità pur rispettandone la tipicità. Ne deriva un prodotto unico, ben caratteristico, gradevolissimo. Sono copiose e linde le note olfattive di piccoli frutti rossi e scuri, ribes e mirtilli, seguiti da leggere note vanigliate e speziate, bacche di cacao e datteri. Palato circolare e armonico, lungo e intenso, adatto alla meditazione come a piatti di carne strutturati, polenta e selvaggina.

Trento DOC Riserva Dosaggio Zero Masetto Privé Endrizzi

Cantina Endrizzi Srl Loc. Masetto 2 38098 S. Michele all’Adige (TN) Telefono: 0461 650129 E-mail: info@endrizzi.it Web: www.endrizzi.it

ENDRIZZI è tra le più antiche cantine vitivinicole del Trentino. Fu infatti fondata nel 1885 da FRANCESCO ed ANGELO ENDRICI (in dialetto locale Endrizzi) in località Masetto, dove tutt’ora ha sede. Le uve dei vini a denominazione Trento DOC provengono dal vigneto Pian di Castello, come quelle di Chardonnay utilizzate per questo calice e vendemmiate rigorosamente a mano, seguendo precisi criteri di selezione. I grappoli vengono scaricati direttamente nella pressa e il mosto verrà poi fermentato senza decantazioni in parte in piccole botti di rovere francese e acacia ungherese, in parte in acciaio, dove sosteranno fino a giugno. L’affinamento sui lieviti prosegue per almeno 84 mesi. La degustazione è entusiasmante, brillante di un giallo dorato limpido e luminoso. L’olfattiva è intensa e generosa, profumi netti e puliti di tabacco e pane croccante, croissant e pasticceria, albicocche e pesche gialle, anice e vaniglia. Circolare il palato, rotondo e fresco, schiuma morbida e persistente, con eleganza.

Alto Adige Metodo Classico Pas Dosé Riserva Comitissa 2016 Martini Lorenz

Cantina Spumanti Lorenz Martini Via Pranzoll 2/d 39057 Cornaiano – Girlan (BZ) Telefono: 0471 664136 E-mail: lorenz.martini@rolmail.net Web: lorenz-martini.jimdofree.com

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LORENZ MARTINI si dedica senza risparmio alla sua vocazione: le bollicine. Nella sua cantina, sita a Cornaiano, paese a vocazione tipicamente vinicola, si lavorano dal 1985 le uve di Chardonnay e Pinot coltivate nei vigneti di Cornaiano, Appiano Monte e Cologna. Il calice in degustazione è uno spumante a Metodo Classico di grandissima nobiltà, estremamente convincente e versatile. Le uve utilizzate per la sua produzione sono Pinot bianco al 40%, Chardonnay al 30% e il restante 30% di Pinot nero, affinate sui lieviti per 48 mesi. Le sensazioni che sprigiona con grande fascino sono soprattutto di tipica crosta di pane circondata da note agrumate, mele verdi e susine, ricordi ammandorlati. Cremosa la sorsata, perlage estremamente raffinato e suadente, freschezza decisa, note sapide in preciso equilibrio. Un vino adattissimo all’aperitivo e alla calde serate estive, da ser servire ben freddo. Si accompagna a risotti, piatti di pesce e antipasti.

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FORMAGGIO

SAY CHEESE, SAY BEER

E

state vuol dire anche birra. Servita fresca, mai ghiacciata, preferibilmente nel bicchiere (lo sapevate che bevendo dalla bottiglia si perde l’80% del gusto e del piacere della degustazione?), abbinandola magari ad un bel tagliere di formaggi. Per non sbagliare abbinamento l’AFIDOP, Associazione Formaggi Italiani DOP, ha stilato un utilissimo VADEMECUM dove si legge: “Il

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“Un matrimonio armonioso quello tra i formaggi DOP e le birre artigianali. Un’unione fondata sulla comune passione per il prodotto ben fatto e l’approccio rispettoso nei confronti della tradizione ma con la voglia di allargare gli orizzonti gustativi, cercando nuovi sentieri da battere” (AFIDOP)

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Photo © George Cox x unsplash

boom della birra artigianale ha portato alla valorizzazione delle tipicità locali, in termini di ingredienti, profumi, sapori e aromi. In questo percorso di esaltazione dell’eccellenza del territorio le birre artigianali hanno trovato dei fantastici testimonial della ‘biodiversità’ agroalimentare italiana: i formaggi DOP che rispecchiano la straordinaria capacità italiana di lavorare il latte locale per ottenere prodotti caseari unici e inimitabili.

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E così, sempre più spesso il tagliere di formaggi viene accompagnato da un bicchiere di birra artigianale, che nelle sue tante declinazioni si rivela la bevanda ideale per supportare e valorizzare l’estrema varietà gustativa e di texture dei formaggi DOP italiani, come si può sperimentare visitando le tante manifestazioni dedicate alla birra in programma in queste settimane in varie parti d’Italia, da Padova a Ravenna, da Pavia a Pordenone, da Ferrara a Genova”. Per il Quartirolo Lombardo DOP, ad esempio, si rivela perfetta compagna una birra alle more ad alta fermentazione, non filtrata né pastorizzata, caramellata e fruttata. Col Raschera DOP, invece, formaggio piemontese prodotto nella provincia di Cuneo con latte di vacca e un’aggiunta di latte di pecora o capra, sarà perfetta una Pils, birra chiara a bassa fermentazione, corposa e particolarmente luppolata. Il Provolone Valpadana DOP, formaggio semiduro a pasta filata prodotto nelle tipologie “dolce” e “piccante”, chiama una Rauchbier o Smoke Beer, specialità scura a bassa fermentazione, prodotta con malto affumicato. Il Valtellina Casera DOP vuole una Lambic, birra di frumento e malto d’orzo a fermentazione spontanea, rifermentata in bottiglia o in botte. Col Gorgonzola DOP il giusto abbinamento è con la Ipa, birra inglese a forte luppolatura e buon tenore alcolico; le birre trappiste belghe e d’abbazia chiare si abbinano col Gorgonzola DOP piccante, mentre le doppio malto si sposano meglio con il Gorgonzola DOP dolce. Per il Caciocavallo Silano DOP certamente una Lager, la classica “bionda” a bassa fermentazione e lunga stagionatura, con retrogusto amaro. La Mozzarella di Bufala Campana DOP si accompagna con una Bière Blanche, birra di frumento fresca e speziata. Curiosità: esiste anche una birra realizzata con siero di latte derivante dalla lavorazione della Mozzarella di bufala campana DOP. Si chiama Bubala e l’ha prodotta nel 2017 la White Tree Brewing. Nel box a pagina seguente trovate l’elenco completo degli abbinamenti suggeriti da AFIDOP. Buona estate, buona degustazione.


Treccia di Mozzarella di Bufala Campana DOP, perfetta con una Bière Blanche, birra tipica del Belgio e del Nord della Francia.

Formaggi DOP e birre artigianali: il VADEMECUM di AFIDOP * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Asiago DOP: Bock, birra a bassa fermentazione, densa e maltata. Bitto DOP: Saison al grano saraceno, birra dorata di cereali, con note speziate e fresche. Bra DOP: Stout, birra scura dalla schiuma cremosa e consistente. Caciocavallo Silano DOP: Lager. Casatella Trevigiana DOP: Brown Ale, birre d’orzo ambrate, dolci e fruttate. Casciotta d’Urbino DOP: Dortmunder, birra Lager chiara, moderatamente luppolata. Castelmagno DOP: Trappista, birra Ale rifermentata in bottiglia. Fontina DOP: Strong Ale, birre ambrate prodotte ad alta fermentazione. Gorgonzola DOP: Ipa, birra a forte luppolatura e buon tenore alcolico. Grana Padano DOP: Italian Grape Ale, birre con mosto d’uva o saba. Montasio DOP: Pumpkin Ale, birra alla zucca, morbida e aromatica. Monte Veronese DOP: Kellerbier, birra a bassa fermentazione non filtrata, poco frizzante e buon tenore di luppolo. Mozzarella di Bufala Campana DOP: Bière Blanche. Parmigiano Reggiano DOP: Barley Wine, birra acida a fermentazione spontanea, forte e corposa. Pecorino Romano DOP: Porter, birra ad alta fermentazione, dalla schiuma cremosa e dal colore scuro, più alcolica. Pecorino Sardo DOP: Märzen, birra di cantina, dorata e chiara, di buon corpo e dal sapore ricco. Pecorino Toscano DOP: Birra al farro, Belgian Pale Ale, dorata con sapore morbido di malto. Piave DOP: Weiss, birra di grano dalla schiuma abbondante, profumo intenso, discretamente acida e gusto fresco. Provolone Valpadana DOP: Rauchbier o Smoke Beer. Quartirolo Lombardo DOP: Birra alle more. Raschera DOP: Pils. Stelvio DOP: Birra di castagne, dall’aroma intenso di malto tostato e di caramello. Taleggio DOP: Tripel, birra Ale chiara, rifermentata in bottiglia, intensa e speziata. Toma Piemontese DOP: Doppelbock, birra scura e corposa, a bassa fermentazione e alto contenuto alcolico. Valtellina Casera DOP: Lambic, birra di frumento e malto d’orzo a fermentazione spontanea, rifermentata in bottiglia o in botte.

>> Link: www.afidop.it

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Parmelier, imparare a degustare il Parmigiano Reggiano DOP Il Consorzio Parmigiano Reggiano ha annunciato a Milano, nello spazio di Identità Golose, il progetto Parmelier: il corso di degustazione aperto a tutti — chef, consumatori e operatori del settore — per conoscere meglio il formaggio DOP più amato dagli Italiani secondo la classifica Lovebrands 2021 di Talkwalker. In concomitanza col lancio, si è svolta anche la prima lezione pilota con SIMONE FICARELLI, maestro assaggiatore del Consorzio. Il corso partirà a settembre e prevede un ciclo di lezioni in presenza che includeranno momenti di degustazione e lezioni di analisi sensoriale dedicate agli aspetti di assaggio. In questi mesi, sul sito del Consorzio, sarà on-line la pagina dedicata all’iniziativa con la possibilità di conoscere date, protagonisti e luoghi. I primi eventi in calendario si terranno comunque a Milano, Roma, Bologna e Torino. «Parmelier è un progetto di divulgazione e formazione che permetterà alle persone di scoprire i nostri valori — ha commentato CARLO MANGINI, direttore marketing, comunicazione e sviluppo commerciale del Consorzio Parmigiano Reggiano (in foto, insieme a Claudio Ceroni) — ma soprattutto di conoscere meglio, gustare e apprezzare il Parmigiano Reggiano». Identità di Formaggio Durante la presentazione dedicato alla stampa è stato anche annunciato l’avvio di Identità di Formaggio, il nuovo ciclo di iniziative a carattere divulgativo e didattico dedicate alla cultura del formaggio — e del Parmigiano Reggiano in particolare — che saranno ospitate negli spazi dell’hub internazionale della gastronomia, a due passi da Piazza della Scala, a partire da settembre. «Oggi a Milano, insieme a Identità Golose, muoviamo i primi passi di una partnership triennale che ci vedrà al fianco del mondo della ristorazione — ha aggiunto Mangini – un accordo che nasce anche per soddisfare le esigenze dei consumatori che, come evidenziato da una recente indagine che abbiamo commissionato a Ipsos, chiedono sempre più di essere informati su ciò che mangiano: ben il 90% degli intervistati vorrebbe dichiarato nel menu il tipo e la marca di formaggio usato». Il ciclo di appuntamenti di Identità di Formaggio sarà dedicato ai professionisti della ristorazione con cui sempre più Parmigiano Reggiano intende stabilire un filo diretto e un dialogo permanente. «Identità di Formaggio segna l’inizio della collaborazione tra Identità Golose e il Consorzio del Parmigiano Reggiano; una partnership nata durante il lockdown» ha detto CLAUDIO CERONI, founder di Identità Golose Milano. Durante i vari incontri periodici sarà possibile conoscere l’ampia gamma delle stagionature del Parmigiano Reggiano e come usarlo al meglio sia in cucina sia nella degustazione in purezza. «Credo sia un’iniziativa importantissima a cui Identità Golose collaborerà coinvolgendo tutto il mondo della ristorazione e non solo: capire la differenza tra un Parmigiano con una stagionatura di 100 mesi e uno di 15 credo possa appagare sia il normale consumatore sia l’operatore da banco che a maggior ragione il ristoratore e lo chef». Nel corso della conferenza stampa PAOLO MARCHI, ideatore e curatore di Identità Golose, congresso internazionale di cucina d’autore, ha svelato in collegamento da Modena i nomi dei grandi chef che interverranno con una lezione (cooking show) dedicata al Parmigiano Reggiano durante la sedicesima edizione del congresso Identità Golose, in programma a Milano dal 25 al 27 settembre. Si tratta di: Francesco Vincenzi (Franceschetta 58, Modena) e Jessica Rosval (Casa Maria Luigia, Modena), entrambi allievi di Massimo Bottura e di Philippe Lèveillè (Miramonti l’Altro, Concesio, Brescia) e Isabella Potì (Bros, Lecce). >> Link: parmigianoreggiano.it

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO? Plancton, Alessandro Fiori

MANGIA! di Giovanni Papalato

“M

angia, Alessandro, mangia! Non devi avanzare il pollo”. Nel primo singolo del quarto album di ALESSANDRO FIORI c’è il ricordo di una dinamica infantile comune a tanti se non a tutti. Mangiare tutto quello che c’era nel piatto, pensando a chi non aveva possibilità era un senso di colpa indotto, pesante, che voleva essere consapevolezza e poi coscienza. A me capitava con le verdure, soprattutto quelle verdi. Il pollo, invece, mi piaceva da matti. La sua pelle croccante... Ad un certo punto chiedevo sempre di poterlo mangiare con le mani alla Robin Hood. Al mercato coperto della mia città c’è ancora un banco che vende esclusivamente polli e oltre alle parti più usate(petto, cosce, sovracosce, ali), ricordo che la zampe venivano usate per il brodo e le creste, i bargigli, il collo per il ragù. Ma non è solo Mangia! a muoversi in acque scure, poco illuminate, perché “Plancton” è un disco che si immerge tra memorie e ricordi quasi a toccare il fondo per esorcizzare, purificare e poi risalire. In questo senso Aaron è davvero un tazebao (manifesto cinese affisso in luoghi pubblici, generalmente di contenuto politico; per estensione, cartellone o striscione di contenuti analoghi, diffusosi anche in Occidente, NdR). Primo brano, estremamente rappresentativo, tra materia e sogno, mostra tutti gli elementi che poi ricorreranno nel corso del lavoro. Si comincia con la voce di AARON SWARTZ, il geniale programmatore morto suicida. Coautore della prima specifica del RSS e delle licenze Creative Commons, attivista finanziatore di Reddit, del gruppo di attivismo on-line Demand Progress e creatore del Guerrilla Open Access Manifesto, denuncia con tono pacato ma deciso che internet è davvero

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senza controllo e che nessuno può rimanere passivo di fronte a questa realtà. Campionamenti, fratture elettroniche, la voce di Fiori che emerge raccontando di un nuovo giorno, dal canto di un gallo agli operai che vanno in fabbrica, tra beats e loops, in una serie di immagini che riconosciamo nella loro ordinarietà. Nel finale, quando il sole è rimasto dietro coperto dalle nuvole, come una coscienza che si vuole occultare, il brano si apre invece ancora a chitarre elettriche che si nutrono della ritmica. Non c’è tempo di assorbire ed elaborare la forza di un brano come quello appena ascoltato perché lo strumentale che segue, e che dà titolo al disco, nuota esplorativo tra strati di suono prodotti assieme a Tasto Esc e FRNKBRT, ossessiva, densa e ipnotica. Poi una luce atonale, come i fari di un’auto che passa e sezioni di archi copia incollati sono il preludio alla parata grottesca di Piazzale Michelangelo. Scale che salgono e scendono seguendo un ritmo circense e digitale mentre Fiori canta di vulnerabilità e selfie, di comitive orientali e di una surreale rappresentazione dell’Arte in un finale di chitarre, tra beat e white noise che ricorda certi RADIOHEAD di “Ok Computer”. Il parallelismo con la band di Oxford prosegue immediato e consequenziale con “Kid A” in Margine, dove la destrutturazione si fa concreta tra voce e spigoli di gomma a infilarsi per uscire da un labirinto di sottrazioni sonore. Il lato A si conclude con Ho Paura e qui si ha forte la sensazione netta di essere estremamente lontani dalla superficie; non ci sono scossoni, correnti a mischiare. I suoni sono come permeati mentre si mette in scena un beffardo incontro con la morte. Una sorta di sogno cosciente, in cui si orienta il percorso onirico senza lasciare quella totale sensazione di altro da sé.

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Un’immagine del video del brano “Mangia!”, diretto da Francesco Faralli e interpretato dallo stesso Alessandro Fiori. Una forma canzone costruita come su sequenze che si sommano senza diventare mai convezione. Colpi esplosi nell’acqua, poi sembra di sentire scatole che meccanicamente si aprono per poi chiudersi in se stesse, una pianola che evoca il suono di un ambulanza, aprono al racconto dell’amore nella malattia di Ivo e Maria. In un continuo movimento tra avvicinarsi e allontanarsi, seguendo le due note della sirena, con empatia, Fiori ci porta nell’intimità di una commovente convivenza, senza scadere mai nel patetico. Galluzzo è un ping pong di beat allucinato ma estremamente pop che gioca a nasconderlo, pur sapendo di non riuscirci. Compone un dittico perfetto in questo senso con la successiva Mangia!, un tango elettronico di bassi, un granchio che a ritroso si muove nella memoria, ipnotico e onirico. Magnetico, manda in corto circuito il disco. C’è un prima e un dopo. Da questo reset emerge la preghiera crepuscolare di Madonna con Bambino Rubato, che si anima di un tribalismo organico, flusso di coscienza sonoro in cui abbandonarsi, la schiena sopra l’acqua in balia di un mare calmo.

Il “Sereno (...)” che chiude il disco si racconta nei puntini di sospensione, marziale e ambiguo strumentale che tra colpi d’incudine si tuffano in una lenta progressione che rimanda a echi trip hop. Un viaggio tra acque profonde, muovendosi tra città sommerse, ma animate da storie quotidiane in cui Alessandro Fiori riesce a rimanere in equilibrio tra racconto e rivelazione. “Plancton” si manifesta a seconda della luce che lascia filtrare o che restituisce, rifrangendola. Da sempre la voce dell’artista casentinese ha la capacità di essere tangibile nel contemporaneo pur venendo da un tempo che è stato. È come se narrasse per immagini e da lì nascessero suggestioni che si svelano chiare e leggibili. La commistione tra questo elemento così manifesto e il suo opposto rappresentato dal mondo sonoro di “Plancton” dà vita ad un’esperienza straniante ma mai ambigua. Un viaggio che mostra stimoli introspettivi mai banali. Giovanni Papalato Note A pagina 126, photo © Lucio Pellacani.

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FIERE

TUTTOFOOD IN PRESENZA A OTTOBRE PER TOCCARE CON MANO TUTTO IL BELLO DEL FOOD

L

avorare nel food & beverage è un fatto di passione, non solo di business. Aromi, sapori, texture — e packaging sempre più curati e sostenibili — contribuiscono a un’esperienza multisensoriale che si apprezza solo guardando, toccando e assaporando

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dal vivo. Per questo Tuttofood 2021 torna in presenza dal 22 al 26 ottobre prossimi a fieramilano: un momento insostituibile dove scoprire i trend di consumo e le innovazioni di prodotto più interessanti, oltre a fare networking creando nuove relazioni e consolidando quelle esistenti. A maggior ragione per

un settore quale Carni e Salumi, che negli ultimi anni è stato interessato da profondi cambiamenti nelle abitudini di consumo, è fondamentale sintonizzarsi sulle nuove tendenze e guardare ai mercati in un’ottica di sempre maggiore internazionalizzazione per cogliere appieno tutte le opportunità della ripresa.

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Tuttofood, la fiera agroalimentare con l’offerta merceologica più completa in Italia, che abbraccia tutte le filiere del food & beverage, insieme a HostMilano e MEAT-TECH, saranno un appuntamento unico e irrinunciabile per tutti gli addetti ai lavori, una forte piattaforma di networking di caratura internazionale a disposizione dei protagonisti delle diverse filiere.

E Tuttofood 2021 è il luogo migliore per farlo. Ulteriore valore aggiunto dell’edizione di quest’anno, la manifestazione si terrà in co-location con HostMilano e MEAT-TECH, con accesso per i buyer e visitatori professionali ai tre eventi: un’occasione importante per incontrare

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nuovi interlocutori italiani ed esteri, oltre a consolidare il rapporto con quelli esistenti, integrando la tradizionale attenzione di Tuttofood per il mondo GDO e retail con il focus su ristorazione e fuoricasa di HostMilano. Numerosi i buyer italiani e internazionali che hanno già confermato

la loro presenza in manifestazione. «L’esperienza di assaggiare e provare i prodotti, e di incontrare i fornitori di persona, è di vitale importanza», afferma PRENESH LINGHAM, Group Procurement & Control Manager di Guvon Hotels & Spas, Sudafrica. Aggiunge AMR TAWFIK, direttore commerciale di Arabian Stores

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Co. Ltd., Arabia Saudita. «Partecipare fa la differenza: il mio obiettivo è vedere, provare e testare prodotti di alta qualità». «Ritengo importante un contatto faccia a faccia e per me è fondamentale per trovare novità per la mia azienda di import di prodotti italiani», conclude TOM BERGER di Guido’s Fresh Products, USA. Forte anche per questa edizione della partnership con ASS.I.CA., grazie a queste sinergie nel 2021 Tuttofood rafforzerà ulteriormente il proprio ruolo di manifestazione di riferimento anche per il settore carni e salumi, dove alle produzioni di eccellenza italiane si affianca il meglio dell’offerta internazionale per un incontro domanda-offerta realmente globale. Punto focale per il settore sarà l’area dedicata Tuttomeat,

uno dei punti di forza storici di Tuttofood grazie alla completezza dell’offerta merceologica combinata alla contiguità con le filiere affini, che genera sempre nuove opportunità di business. Tuttofood 2021 sarà ancora di più anche un luogo dove parlare, vedere, toccare tutto ciò che riguarda l’innovazione con Evolution Plaza, l’arena per la trasformazione digitale e anima dell’area Tuttodigital. Di grande rilievo anche lo spazio Innovation Area, che presenterà il nuovo concorso di Tuttofood dedicato all’innovazione. Ritorna anche la Retail Plaza, il palcoscenico dove si confrontano i protagonisti del mondo del retail e della GDO. Un’esperienza che si potrà vivere in totale sicurezza grazie a Safe Together, il protocollo messo a punto da

Fiera Milano che copre le modalità di accesso, la gestione delle aree espositive — inclusa la sanificazione — e le misure di protezione durante la visita. Quest’anno, inoltre, sarà più semplice gestire la relazione anche con chi non potrà essere presente grazie all’implementazione di MyMatching all’interno di Fiera Milano Platform con nuove funzionalità che favoriscono gli incontri di business.

Tuttofood Milano fieramilano, 22-26 ottobre 2021 >> Link: Tuttofood.it

ICE /ITA agenzia sempre più al fianco di Tuttofood per consolidare l’internazionalizzazione dell’agroalimentare Dopo la resilienza dimostrata durante oltre un anno di pandemia, l’agroalimentare affronta oggi la sfida di consolidare i risultati ottenuti. La chiave per continuare a crescere è l’internazionalizzazione: perché solo in una dimensione autenticamente planetaria il settore può trovare, oltre agli spazi per una crescita quantitativa, anche un contesto che alimenti l’innovazione confrontandosi con le migliori esperienze di tutto il mondo. Un impegno che nella food industry non può contare solo sul prestigio del made in Italy: deve mettere a sistema gli attori delle filiere, le istituzioni e le fiere quali strumenti di politica industriale. Ecco perché Tuttofood ha rafforzato ulteriormente in questi mesi la già stretta collaborazione con ICE/ITA Agenzia, mettendo in campo nuove soluzioni che valorizzano le potenzialità della trasformazione digitale. «ICE ha costruito con Tuttofood una proposta di eventi digitali per ampliare i contatti verso i mercati esteri più interessanti, incontrando il favore di tutta la filiera dell’agroalimentare» commenta il presidente di ICE Carlo Ferro. Il primo incontro, dedicato agli Stati Uniti, si è svolto a maggio, mentre un altro dedicato al Canada si è tenuto ai primi di giugno. Arricchisce gli eventi la realizzazione di incontri B2B on-line, offrendo nuove prospettive di business e permettendo di avvicinare in modo più diretto le controparti estere». «Mai come oggi le fiere sono prima di tutto uno strumento fondamentale per l’internazionalizzazione dell’industria italiana e di questo le aziende ne sono ampiamente consapevoli» afferma Luca Palermo, AD di Fiera Milano Spa. «I numeri parlano chiaro: le oltre 50 manifestazioni realizzate da Fiera Milano nel 2019, in epoca pre-Covid, hanno generato 17,5 miliardi di euro di export per le aziende espositrici e le fiere sono, e saranno, il cuore pulsante per il commercio estero. E questo grazie soprattutto a un partner importante come ICE che non ha mai smesso di sostenerci e sono certo risulterà fondamentale anche per le aziende espositrici di Tuttofood». Il programma di eventi on-line sviluppato con ICE si conferma in linea con la filosofia di Fiera Milano, che ha effettuato rilevanti investimenti per realizzare una vetrina e un marketplace digitali per restare costantemente connessi con i propri target. «Il sistema si è mosso e lo ha fatto velocemente, attraverso il Patto per l’Export, per dare il massimo supporto alle nostre imprese, per l’agroalimentare e l’intero tessuto industriale e artigiano del Paese che guarda ai mercati esteri» conclude Ferro. «All’interno del Patto si colloca il sostegno di ICE al sistema fieristico italiano, sia per le manifestazioni fisiche che per quelle digitali o le cosiddette phygital. La realizzazione di incontri B2B on-line offre nuove prospettive di business e permette di avvicinare in modo più diretto le controparti estere, si possono raggiungere target lontani geograficamente e, allo stesso tempo, rafforzare i rapporti con gli stakeholder che si sono già dimostrati interessati o sono stati presenti alla fiera fisica».

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Fiere, strumenti innovativi per comunicare al meglio. Informare, intrattenere e attirare l’attenzione: ecco perché molti scelgono i ledwall Ritornano le fiere e le aziende riprendono a lavorare pensando a come allestire al meglio lo stand. Per molti è un’occasione per consolidare il proprio ruolo nel settore e diffondere i valori aziendali in maniera coinvolgente. E la tecnologia può rappresentare un utile alleato in questo senso. In diversi settori, ad esempio, i roll up — i tradizionali pubblicitari pannelli verticali in plastica tipici di molti stand — stanno lasciando sempre più spazio alla loro versione elettronica, decisamente molto più accattivante. Queste specie di roll up 2.0 si chiamano in diversi modi: display, ledwall, videowall. Sono sistemi composti da pannelli alti circa 2 metri che trasmettono immagini nitide in qualsiasi condizione di clima o luce. Trovano il loro maggiore impiego nelle vetrine dei negozi, nei convegni e nelle fiere. Pratici e facili da installare, i ledwall veicolano messaggi dinamici e proiettano immagini in movimento collegando semplicemente una chiavetta USB e si telecomandano dal nostro smartphone. Quindi possiamo scegliere noi quali contenuti mostrare e in quale momento. Si possono acquistare o noleggiare per le fiere o per un evento anche in maniera modulare, componibile, in modo da aumentare la superficie di proiezione, mettendoli uno di fianco all’altro. Questi roll up 2.0 sono una delle tante soluzioni messe a disposizione ad esempio da una società come Lorri Mediaservice a Modena, partner delle aziende di tutta Italia che individuano in queste tecnologie innovative la chiave per catturare l’attenzione e magari fare interagire le persone, proponendo formule di acquisto o noleggio e tutta l’assistenza del caso. Non solo con i ledwall, ma anche con regie video e installazioni speciali quando l’esigenza di un WOW è particolarmente richiesta. Il ritorno alle fiere in presenza è un banco di prova per presentarci nella nostra migliore versione. Chi è attento alle novità può dunque approfittarne per proporsi con una comunicazione rinnovata, unica ed emozionante.

Lorri Mediaservice Srl >> Link: lorri.it/news/ledwall-portatili-a-noleggio

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TECNOLOGIE

RINTRACCIABILITÀ SENZA LACUNE IN CINQUE PUNTI atteri nel latte, fipronil nelle uova, parti in plastica nella carne macinata: sono casi limite, certo, ma se un richiamo è inevitabile, le aziende devono sapere esattamente quali prodotti hanno consegnato e a chi. Queste cinque raccomandazioni aiutano a raggiungere una rintracciabilità senza lacune indipendentemente dalle dimensioni aziendali.

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1. Fissare gli obiettivi Solo un buon concetto di tracciabilità con obiettivi chiaramente definiti porta al successo. Innanzitutto va analizzato lo stato attuale dell’azienda per individuarne i punti deboli. Poi va chiarito quali sono gli obiettivi da raggiungere tramite la tracciabilità: maggiore sicurezza alimentare e richiami più rapidi? Standard qualitativi più alti?

Adempimento di nuove leggi o linee guida? Oppure, come spesso accade, una combinazione di più obiettivi? Le esigenze e i desideri individuali delle aziende sono però molto diversi: il quadro giuridico di un produttore italiano di formaggi e salumi, per esempio, è diverso da quello di un produttore di carne americano; un’azione di richiamo in Italia deve essere completata in tempi diversi rispetto ad un altro Paese. Poi ci sono le tendenze guidate dal commercio o dai consumatori, come i nuovi sigilli di qualità. Tutto questo va valutato strategicamente e considerato dal punto di vista concettuale. È consigliabile, quindi, formare un team di progetto ben assortito con diverse competenze e conoscenze operative, possibilmente composto dal personale dell’IT, dei reparti di produzione e del controllo

qualità, e infine dalla direzione. Sarebbe inoltre opportuno coinvolgere il fornitore del software per la tracciabilità già in questa fase. 2. Definire le dimensioni dei lotti La qualità della tracciabilità dipende dalla definizione del lotto e dalle sue dimensioni. Chiaramente lotti più piccoli e omogenei consentono una tracciabilità più mirata. Con piccoli lotti, però, aumenta lo sforzo per l’acquisizione dei dati e crescono i costi. Nella definizione o delimitazione dei lotti, gli esperti raccomandano un compromesso tra la gestione del rischio aziendale da un lato e l’efficienza economica dall’altro. Una pratica spesso utile e comprovata a livello internazionale è la formazione di lotti giornalieri o lotti ancora più piccoli. Raccomandazioni più ampie

Il modulo CSB-Traceability garantisce una rintracciabilità efficiente e senza lacune.

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che possano essere valide per qualsiasi azienda hanno poco senso perché qui le differenze strutturali e organizzative sono troppo grandi. Ad esempio, il latte da bere proveniente da grandi aziende agricole, che viene lavorato e distribuito da un’unica industria lattiero casearia, è più facile da rintracciare, nonostante le grandi dimensioni dei lotti, rispetto a un formaggio biologico prodotto in piccoli lotti e commercializzato attraverso appositi negozi biologici. Anche nel caso delle barbabietole da zucchero, che ogni autunno giacciono nei campi in grandi quantità, per esempio, i grandi lotti di materie prime non sono critici: la formazione di piccoli lotti in questo caso non è necessaria semplicemente perché vi è un basso rischio. Tutt’altro concetto deve essere applicato per la carne bio

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di bovini provenienti da allevamenti biologici. In questo caso la rintracciabilità deve essere seguita e dettagliata lungo tutto la filiera di trasformazione con molteplici informazioni che devono anche essere stampate sulle etichette di prodotto. 3. Scegliere il tipo di identificazione Prerequisiti per una tracciabilità completa sono l’etichettatura e l’identificazione univoca dei prodotti interessati, meglio ancora se automatizzate. È possibile questo solo usando numeri di identificazione, codici a barre o RFID secondo gli standard GS1, numero dell’unità di spedizione SSCC e EPCIS. Nel caso ideale, le materie prime in entrata sono già contrassegnate dal fornitore:

il ricevimento della merce è decisivo infatti per tutti gli ulteriori processi di identificazione. È qui che, supportati dalle giuste tecnologie informatiche, si gettano le basi per il trasferimento di informazioni al magazzino, alla produzione, all’imballaggio e all’etichettatura fino al picking. In linea di principio, la tracciabilità può essere documentata anche su carta. Ma con l’aumento dei volumi di produzione, del numero di reparti e di persone coinvolte nel processo di documentazione e del numero di lotti di materie prime presenti nel prodotto, aumenta anche la complessità del processo di rintracciabilità. E al più tardi in caso di eventi sfavorevoli, la carta mostra tutti i suoi limiti rispetto all’elaborazione elettronica dei dati.

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all’obbligo di prova che le caratteristiche pubblicizzate di un prodotto siano state davvero rispettate; si pensi addirittura anche alle informazioni sulla quantità di emissioni di CO2 durante la produzione. L’importanza dei sistemi di tracciabilità continuerà quindi a crescere anche in futuro. In Europa, molte aziende stanno già fornendo i loro dati a banche dati per i consumatori come fTrace, mynetfair o ATC. Presumibilmente queste o sistemi simili avranno prima o poi un ruolo anche a livello internazionale. Allora una tracciabilità senza lacune non solo fornirà un valore aggiunto critico per le vendite, ma diventerà anche un requisito fondamentale per essere competitivi.

Tracciabilità con smartphone. 4. Raccogliere i dati giusti nei luoghi/punti giusti Organizzare la tracciabilità diventa complicato ovunque si mescolino diversi lotti di materie prime per la produzione di un alimento. Qui vengono creati nuovi lotti, che possibilmente un gestionale idoneo deve gestire e trasferire alle fasi successive di produzione e/o di confezionamento. È consigliabile avere delle postazioni IT per la raccolta dati in tutti i punti rilevanti del processo operativo (i cosiddetti Critical Control Points) al fine di raccogliere ed elaborare le informazioni on-line ed in tempo reale. Optare per l’utilizzo di terminali mobili o di un PC o di lettori fissi di codici a barre dipende dalle condizioni spaziali dell’azienda e dal concetto individuale di flusso di materiale: importante è che i dati vengano registrati direttamente nel processo. Solo in questo modo diviene semplice provare quale lotto e quali

ingredienti siano presenti nel prodotto alimentare finito. Ciò include anche la documentazione delle quantità di semilavorati che confluiscono nel processo di produzione. Vi è anche un ulteriore vantaggio: registrando e controllando i dati nelle varie fasi di produzione, le criticità sono rilevate rapidamente o addirittura evitate. 5. Utilizzare i dati e creare valore aggiunto Qualsiasi sistema di tracciabilità è valido solo se la qualità dei dati è valida. In più, la tecnologia informatica in uso deve consentire di analizzare e visualizzare questi dati in qualsiasi momento: solo così si possono organizzare e automatizzare i processi di richiamo, cosa che è già in parte richiesta da leggi, linee guida e audit. Grazie all’utilizzo di un gestionale è sufficiente la semplice pressione di un tasto per adempiere

Per concludere Ultimo ma non meno importante: i sistemi di tracciabilità offrono anche la grande opportunità di ottimizzare i processi e di trarne profitto economico. Ottimizzazione degli acquisti, informazioni aggiornate sulle giacenze di magazzino, basi di pianificazione affidabili, valutazioni e statistiche significative, calcoli esatti dei lotti sono tutti effetti positivi di una tracciabilità senza lacune.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

CSB Traceability Gli esperti CSB conoscono nel dettaglio il settore alimentare e i suoi processi specifici e sono quindi in grado di supportare le aziende nella realizzazione di una soluzione personalizzata per la rintracciabilità. Già nella versione standard “chiavi in mano” il CSB-System soddisfa tutte le esigenze del settore e grazie alla totale integrazione dei suoi moduli operativi Acquisti, Magazzino, Produzione, Vendite, Logistica, Controllo Qualità, Contabilità generale e industriale, Cespiti, Archiviazione documentale, Rilevazione presenze, Business Intelligence. I clienti CSB-System hanno raggiunto notevoli effetti di razionalizzazione dei processi, drastici tagli dei costi e veloci tempi di implementazione.

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le più importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre più all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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TRE LIBRI

ARTHUR LE CAISNE Perché gli spaghetti alla bolognese non esistono? E altre 700 domande impertinenti e giocose sulla cucina! Edizioni: L’Ippocampo, 2020 Illustrazioni: YANNIS VAROUTSIKOS 240 pp. – € 19,90

Pane & Panettieri d’Italia 2022 Collana: Le Guide Edizioni: Gambero Rosso GRH, 2021 287 pp. – € 8,45

R. RIZZO, G. FERRETTI, F. PAVESI, G. VIGNALI Metafisica, filosofia e scienza del cibo Editore: Chiriotti Editori, 2021 661 pp. – € 70,00

“Perché? E perché? Ma perché? Chi ha figli è sicuramente passato attraverso la fase dei perché a tutto spiano: Perché il cielo è azzurro?, Perché piove?, Perché i fagiolini sono verdi?, Perché l’acqua della pasta trabocca dalla pentola?… Quello dei perché è un periodo magico. Ci costringe a riflessioni che altrimenti non avremmo mai fatto e, di conseguenza, impariamo molto. Quando ci occupiamo dei perché in cucina ci rendiamo conto delle nostre numerose lacune e rimettiamo in discussione pratiche (spesso sbagliate) che ci sono state tramandate come verità assolute. Così scopriamo perché le fragole e la mela sono verdure, perché il succo rosso che esce dalla carne non è sangue, perché la maggior parte dei pesci ha carni bianche, perché l’aceto balsamico non è proprio aceto, perché dire che la carne va tolta dal frigorifero in anticipo per evitarle lo shock termico è una sciocchezza… Dimenticavo: anche perché gli spaghetti alla bolognese non esistono!”.

Pane buono, di filiera, realizzato da artigiani incredibilmente appassionati. La terza edizione della guida Pane & Panettieri d’Italia, l’unica guida che recensisce i panifici italiani firmata GAMBERO ROSSO riparte da qui, dai grandi panificatori che portano sulle tavole il buon pane quotidiano. Una guida che vuole essere un utile strumento per scegliere il pane giusto, che fa bene, per restituire al pane il corretto valore, facendo conoscere al meglio tutto il lavoro che c’è dietro. Dal campo al forno. Una mappa completa che annovera tutti i migliori artigiani del pane: oltre 350 indirizzi, valutati con 1-2-3 Pani secondo il livello di eccellenza del prodotto proposto.

Perché dedicare tanto spazio alla filosofia e alla storia in un’opera di marcato profilo tecnico, sperimentale e scientifico? Perché queste due materie, ma segnatamente la filosofia, sono la madre di tutte le scienze e perché filosofia e cibo da sempre si sono dati una mano reciproca per assicurare il sostentamento e il progresso esistenziale dell’umanità. L’opera si articola in quattro parti, ciascuna delle quali affronta, in maniera rigorosa, ma necessariamente circoscritta, in primo luogo aspetti storici e filosofici dell’alimentazione nell’evolversi del pensiero umano, quindi medicamenti e alimenti come rimedi alternativi, concorrenti e convergenti per assicurare la salute e il benessere umano; successivamente analizza la filiera alimentare globale, dalla ricerca del cibo allo smaltimento dei suoi residui, in chiave igienica, sanitaria ed economica, per concludere con gli effetti economici e macroeconomici legati al cibo.

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Tre libri Perché gli spaghetti alla bolognese non esistono? Pane & Panettieri d’Italia 2022 Metafi sica, fi losofi a e scienza del cibo

5min
pages 136-140

Tecnologie Rintracciabilità senza lacune in cinque punti

9min
pages 132-135

Formaggio Say Cheese, Say Beer

8min
pages 122-125

Sono 180 grammi, lascio? Mangia! Giovanni Papalato

4min
pages 126-127

La stagione dell’Alvina Gaia Borghi

4min
pages 116-117

Vino Volti di Barbaresco

8min
pages 112-115

Aperitivo con le cialde abruzzesi Gaia Borghi

4min
pages 106-107

Prosciutto e melone: cucinatevi l’estate Giorgia Fieni

4min
pages 104-105

Locali di gusto Testone, una specialità umbra alla conquista del Nord Italia Federica Cornia

3min
pages 100-101

Salumi cotti Marini, un trittico di bontà Federica Cornia

1min
pages 94-95

Il Suino Nero delle Alpi nei salumi di MA! Gaia Borghi

9min
pages 32-37

Antichi e preziosi salumi d’oca Giovanni Ballarini

13min
pages 80-85

Slow Fish 2021: Genova va alla scoperta (anche) dei salumi di mare

5min
pages 42-45

Assemblee Un progetto per accrescere la conoscenza dei salumi italiani Anna Mossini

21min
pages 54-63

Belle Botteghe Gastronomia Cerasella Massimiliano Rella

8min
pages 90-93

Aziende Un sogno chiamato Fattoria Zivieri Gaia Borghi

7min
pages 26-31

Eventi Il Crudo di Cuneo DOP in piazza S. Carlo a Torino

3min
pages 38-41

Il food in rete Social food Elena Benedetti

3min
pages 22-25
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