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_Design thinking sì ma per i bisogni del cliente 4.qxp_Layout 1 23/02/21 15:52 Pagina 26

media key FEBBRAIO 2021 | DESIGN THINKING

IL FATTORE UMANO AL CENTRO DEL BUSINESS IL DESIGN THINKING STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ IMPORTANTE PER LE AZIENDE. È IL MODO MIGLIORE DI DISEGNARE I PROCESSI A PARTIRE DALL’ESTERNO: NON DAL PRODOTTO O DAL SERVIZIO, MA DAI BISOGNI DEL PUBBLICO. DI MAURIZIO ERMISINO

NELL’ERA DIGITAL O POST DIGITAL QUALE È ORMAI LA NOSTRA, IL DESIGN THINKING STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ IMPORTANTE PER LE AZIENDE ITALIANE. I MANAGER SEMBRANO APPREZZARLO. ED È UN MODO IN CUI IL FATTORE UMANO RIESCE A INTERVENIRE IN UN MONDO FATTO SEMPRE PIÙ DI BIG DATA E ALGORITMI. Perché permette di cogliere il reale valore di un prodotto, o di un servizio; oppure, e questo è il tratto più importante, di intercettare un nuovo bisogno. In questo modo torna importante, nelle aziende, il ruolo dei creativi, degli umanisti. Ed è possibile far dialogare tra loro i vari comparti dell’azienda. Ne abbiamo parlato con Federico Giuntella, Chief Customer Experience Officer di Arkage, agenzia che ha fatto dei dati il proprio punto di forza, ma per cui questi vanno di pari passo con l’aspetto umanistico e creativo. “Il design thinking è il modo migliore di disegnare i processi a partire dall’esterno dell’azienda”, precisa. “E non dal prodotto o dal servizio: ma dai bisogni del pubblico che eventualmente vanno a soddisfare i prodotti e i servizi, ripensati e ridisegnati”. Fino ad oggi infatti le aziende che ottimizzavano, lo facevano per settori. “Il design thinking è: come faccio a ottimizzare quei processi che non fanno parte della mia azienda?”, spiega Giuntella. “Se mi occupo di vendere costumi da bagno e voglio fare un processo di design thinking devo partire non dalla mia capacità di fare il costume, ma dal bisogno dell’utente”. Prima di tutto c’è una fase di analisi. “Fino a ieri parlavamo di target, poi di persona, oggi parliamo di journey”, commenta Giuntella. “Ma spesso vedo journey che invece di mappare il cuore del cliente, il suo cervello, le sue percezioni, le sue emozioni, nei momenti di entusiasmo e delusione, mappano quello che succede in azienda. Che va fatto, ma a partire da tutte le fasi dell’esperienza del cliente. L’oggetto non è ‘com’è il mio costume?’, ma ‘cosa prova una signora over 50 che si vuole comprare un costume?’. Perché è fuori moda? Perché quello che ha è vecchio? Come faccio a saperlo? Glielo devo chiedere”. E questo si fa attraverso focus group, ascolto sui social interattivo, dialogo con le commesse del punto vendita.

L’IMPORTANZA DELLA PRIORITIZZAZIONE “Una volta si ottimizzava il canale vendite”, ci spiega Giuntella. “Prendo tutti i miei venditori, li formo, rendo il processo perfetto e questo funziona”. Ma un approccio che parte dai bisogni è diverso. “Devi ottimizzare il percorso della signora over 50 che compra un costume”, continua. “E se prendo questa strada non prendo quella della ragazzina di 17 anni che ha pochi soldi e vuole un unico costume per la piscina e il mare. Ci sono tante persone che vogliono costumi, e che hanno esigenze diverse, possiamo trovare una cinquantina di customer journey possibili”. Per questo è importantissima la seconda fase. “È la prioritizzazione: dei vari customer journey quali dobbiamo scegliere?”, precisa Giuntella. “La

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FEDERICO GIUNTELLA, CHIEF CUSTOMER EXPERIENCE OFFICER DI ARKAGE.

prioritizzazione, se si hanno i dati, va fatta internamente all’azienda, mettendo a un tavolo i vari comparti, finance, legal, I.T. e così via, per valutare l’impatto di un journey”. Poi si mettono in atto delle scelte che hanno a che fare con l’impatto di business sull’azienda. “Si tratta di mettere insieme le persone e costruire un diagramma che dica, da una parte, quanto è forte l’impatto sul business, dall’altra quanto è forte l’impatto sulla percezione del cliente, e infine quanto è difficile la realizzazione”. “Deve funzionare da tutti e tre i lati”, aggiunge. “Così magari scelgo di fare il prodotto per la diciassettenne invece che per la cinquantenne. Quando parliamo di impatto sul business è proprio questo. Magari le cinquantenni non ci sono, potrebbero portarmi il 2% della clientela. La prioritizzazione è un mix tra impatto sul cliente e impatto sull’azienda”.

LE AZIENDE ITALIANE SONO PRONTE? Le aziende italiane sono pronte a fare un processo di questo tipo, o a farsi guidare da consulenti e agenzie? “È una questione di cultura”, ci risponde Giuntella. “Le aziende con la cultura outside-in non sono ancora molte. Ci sono spesso analisi che partono dal prodotto, dalle capacità aziendali, dagli obiettivi. E non viene mai nominata la parola cliente”. Anche perché

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