CANTARE PER (R)ESISTERE: L’INNO NOSTRO DEI PRIGIONIERI ITALIANI DI RUSSIA di Ida De Michelis
Perché cantando il duol si disacerba [F. Petrarca, RVF, Nel dolce tempo de la prima etade, XXIII, 4] Di fronte al pericolo, sotto l'infuriare del bombardamento, in linea di fuoco il nostro soldato cantava e se non canto / moro [G. Ungaretti, Zona di guerra / Vivendo con il popolo, datato P..., 30 dicembre 1917]
Il valore universale di resistenza intellettuale dell’attività artistica contro il disfacimento psicologico e intellettuale cui si è sottoposti dalla violenza della guerra e della reclusione è noto, ch’esso si esaurisca in un più immediato intrattenimento piuttosto che invece tenda ad essere un atto di riconoscimento identitario individuale o collettivo nella denuncia dell’estremo.262 In particolare il canto corale si propone come arma collettiva di entrambe queste esigenze, immediata e a più lungo termine, e infatti anche nelle memorie della Prima guerra mondiale spesso si incontrano soldati che intonano melodie, dalle più tristi e sconsolate alle più allegre e sboccate. Il nucleo del repertorio della Prima guerra mondiale venne raccolto da Piero Jahier nel suo celebre Canti del soldato,263 ma né qui né in altre raccolte di canti degli alpini composti e diffusi tra il Piave e il Carso, si troveranno i canti nati tra gli “italiani di Russia”.264 La tragica epopea “russa” dei militari italiani è ben nota, ed essa pure ha un suo corredo di canti: la genesi di uno dei quali disegna molto bene le sorti di quegli uomini, ripreso com’è – per la melodia – da una canzone russa d’amore (Katjuša, di Michail Isakovskij), in cui vennero impiegate le poche parole di russo apprese durante la campagna di guerra e infine adattata dai reduci divenuti partigiani con le parole d’uno dei più famosi canti della Resistenza, Fischia il vento, urla la bufera.265 Ma questi sono episodi (e combattenti) della Seconda guerra mondiale, dell’ARMIR (sulle cui tragiche vicende esiste una vasta letteratura, non da ultimo il poema in romanesco di Elia Marcelli, Li Romani in Russia, Bulzoni, 1988, con prefazione di Tullio De Mauro); mentre le parole e la musica di canti come I monti Scarpazi,266 Siam partiti,267 Siam prigionieri,268 A Kirsanov269 262
Il riferimento è alla definizione contenuta nello studio di T. TODOROV, Face à l'extrême, Paris, Éditions du Seuil, 1991; trad. it. Di fronte all’estremo, Milano, Garzanti, 1992. 263 P. JAHIER, Canti del soldato, Trento liberata, 1919. 264 In particolare sembra sia nato intorno al 1917 in Romania, fra i Trentini dell’esercito austrungarico. Vedi Canti popolari trentini, a cura di S. PEDROTTI, Trento, Arti Grafiche Saturnia, 1976, pp. 72-73. 265 M. ISAKOVSKIJ, Katjuša, trad. it di A.M. RIPELLINO, in Poesia russa del 900, Parma, Guanda, 1954, p. 509. 266 «Quando fui sui monti “Scarpazi / “Miserere” sentivo cantar. / T’ò cercato fra il vento e i crepazi / Ma una croce soltanto ho trovà. / Oh mio sposo eri andato soldato / per difendere l’Imperator, / ma la morte quassù hai trovato / e mai più non potrai ritornar. / Maledeta la sia questa guera / Che m’à dato sì tanto dolor. / Il tuo sangue hai donato a la tera, / hai distruto la tua gioventù. / Io vorei scavarmi una fossa, / sepelirmi vorei da me / per poter colocar le mie ossa / solo un palmo distante da te», in Canti popolari trentini, cit. 267 «Siamo partiti da Trento bèlo / e poi sul treno siamo montati / e poi sul treno siamo montati / per andare in Russia a geregiar. // Là si acendevano dei grandi fuochi / e per le bestie tanto feroci / e per le vestie tanto feroci / per non lasciarci divorar. // Là si mangiavano le barbabietole / e si dormivano a ciel sereno / e sia d'estate che d'inverno / faceva un fredo da morir. // O cara mama vegníme ’ncontro / ò tante robe da racontar / ò tante robe da racontar / che là in Russia mi ò passà», in Canti popolari trentini, cit., pp. 66-67.
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