«LA SOLA POESIA CHE IN FRANCIA E IN ITALIA SIA NATA DALLA GUERRA»: UNGARETTI AL FRONTE di Giulia Radin Nel preparare questa presentazione di Ungaretti mi sono interrogata a lungo su quale fosse il modo migliore per trattare, in un tempo così breve, i versi dedicati alla Grande Guerra certamente più noti agli Italiani: poesie come Veglia, Peso, Fratelli, Sono una creatura, pubblicate già nel 1916, sono state immediatamente incluse in tutte le antologie di lirica italiana del XX secolo, a partire dai Poeti d’oggi editi nel 1920 per cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi (Vallecchi) e dall’Anthologie des poètes italiens contemporains uscita l’anno seguente a Parigi nella traduzione di Jean Chuzeville, che già presenta al pubblico francese il poeta come un classico.15 Ancora oggi quelle liriche ricorrono sistematicamente in tutti i manuali scolastici, sono oggetto di lettura e di studio nella scuola dell’obbligo e forniscono agli insegnanti numerosi spunti di riflessione e di presentazione della Prima guerra mondiale, tanto che si potrebbe affermare che esiste una memoria collettiva italiana della Grande Guerra perché esiste la poesia di Giuseppe Ungaretti: quando pensiamo a quell’evento bellico, infatti, quasi inevitabilmente ci tornano alla mente la conclusione di Sono una creatura («La morte / si sconta / vivendo») o quella di San Martino del Carso («Ma nel mio cuore / nessuna croce manca // È il mio cuore / il paese più straziato»), la celeberrima Soldati: «Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie», e naturalmente la folgorante intuizione condensata nei due distici di Mattina: «M’illumino / d’immenso». Liriche giustamente notissime, che finiscono tuttavia per essere le sole ricordate della vasta produzione ungarettiana. Ho scelto pertanto di astenermi dal commentarle e di prendere invece in esame altri testi, molto meno conosciuti, per seguire la progressiva elaborazione di quella lirica che, come vedremo, ha consacrato Ungaretti nel contempo poeta e italiano, ponendolo anche – mi riferisco in particolare alle raccolte francesi – al centro dell’attenzione da parte dell’intellighenzia europea che allora, com’è noto, risiedeva a Parigi. Prima di scegliere la poesia quale specifica e propria modalità espressiva sino a dichiarare orgogliosamente a Papini, all’inizio del ’19, di aver prodotto «la sola poesia che in Francia e in Italia sia nata dalla guerra»,16 Ungaretti ha infatti percorso, o tentato di percorrere (e in certi casi solo progettato di percorrere) altre strade, e della guerra ha dato anche rappresentazioni diverse rispetto a quelle che tutti noi abbiamo imparato a memoria sui banchi di scuola (a partire peraltro da testi corrispondenti all’ultima volontà dell’autore e non alla prima versione licenziata dal poeta: purtroppo in questa sede non potremo che accennare alla questione del variantismo ungarettiano). Oltre alle liriche, tra il ’15 e il ’19 Ungaretti ha sperimentato tutte le modalità espressive prese in esame nel nostro seminario: se la sua raccolta poetica potrebbe essere letta anche come una forma particolare di diaristica (e così la intendeva infatti il poeta), la “produzione bellica” ungarettiana (chiamiamola così) comprende infatti l’epistolografia, la prosa lirica, quella giornalistica e persino il romanzo (anche se dei romanzi si conservano solo titoli, soggetti molto sintetici, in un caso brevissimi abbozzi). Il largo spettro di tale produzione non stupisce se si pensa che, prima di salpare alla volta dell’Europa nel 1912 – com’è noto in quell’anno Ungaretti, dopo una brevissima sosta a Firenze per incontrare gli amici della «Voce», raggiunge Parigi, dove vive con l’amico Moammed Sceab, segue i corsi di Bergson al Collège de France, si iscrive alla Sorbona e frequenta i più 15
«Ce n’est point par hasard» scrive lo Chuzeville nella nota introduttiva a Ungaretti «que les critiques s’accordent à définir Ungaretti: un classique. Il l’est au vrai sens de ce mot, qui n’exclut nullement la modernité, mais prête aux objets les plus modernes cette idée d’agencement, de soumission de l’accessoire à l’essentiel, même au risque de supprimer tout accessoire, comme il arrive souvent chez Ungaretti». Cfr. Anthologie des poètes italiens contemporains (18801920), par J. CHUZEVILLE, introduction par M. MIGNON, Paris, Éditions de la Bibliothèque Universelle, 1921, p. 310. 16 G. UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini 1915-1948, a cura di M. A. TERZOLI, introduzione di L. PICCIONI, Milano, Mondadori, 1988 (d’ora in poi: LPA88), [gennaio 1919].
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