DISORDINE DELLA GUERRA E ORDINE DEL DISCORSO: LA PROSA DI VIRGINIA WOOLF E LA POESIA DI WILFRED OWEN di Franco Marenco
I testi di questo seminario: 1) Un romanzo, per il quadro che contiene di un preciso momento della cultura inglese di inizio ’900, ma anche di come la guerra abbia sconvolto quel quadro, e dei riflessi che ha avuto nella società, nell’estetica e nelle concezioni individuali dell’arte. 2) Una serie di poesie che descrivono la guerra e il suo orrore da parte di uno che li ha vissuti, che vi ha combattuto e che vi è morto a 24 anni… Per iniziare, ecco un testo che ci dà l’idea di cosa sia l’«ordine del discorso» secondo una grande scrittrice e teorica del romanzo, Virginia Woolf: Examine for a moment an ordinary mind on an ordinary day. The mind receives a Myriad impressions – trivial, fantastic, evanescent, or engraved with the sharpness of steel. From all sides they come, an incessant shower of innumerable atoms; and as they fall, as they shape themselves into the life of Monday or Tuesday, the accent falls differently from of old; the moment of importance came not here but there; […] Life is not a series of gig lamps symmetrically arranged; life is a luminous halo, a semi-transparent envelope surrounding us from the beginning of consciousness to the end. Is it not the task of the novelist to convey this varying, this unknown and uncircumscribed spirit, whatever aberration or complexity it may display, with as little mixture of the alien and external as possible? […]Let us record the atoms as they fall upon the mind in the order in which they fall, let us trace the pattern, however disconnected and incoherent in appearance, which each sight or incident scores upon the consciousness.97
Un ordine impermanente e in sé angosciante, che cerca di rimediare al disordine delle impressioni, ma anche di assecondarlo con imperterrita onestà. In forma metaforica e poetica, Woolf articola il dilemma che si presentava a uno scrittore – inglese ma non solo, e sperimentale come tanti – negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale (Modern Fiction è del 1919), che dalla guerra ricevettero un’impronta indelebile. Un dilemma tutt’altro che risolto; volutamente, programmaticamente non risolto. Noi possiamo parafrasare così: la vita si presenta come una serie di frammenti irriducibili a un disegno unitario, eppure bisogna provare a riconoscervi un principio e una fine, un tutto cui sappia ancora rispondere la nostra coscienza, e da questo tutto, in questo tutto sentirsi appagata. Il fine della scrittura è appunto quello di contemplare quel disordine, di comprenderlo e lasciarsene coinvolgere, allo scopo di riordinare, con lo sforzo e l’impegno necessari, un disegno perduto, riconoscendone la perdita. Anche se non sarà per oggi, né per domani: l’importante è che manifesti la tensione a ricuperarlo. 97
«Esaminate per un momento una mente qualsiasi in un giorno qualsiasi. Riceve una miriade di impressioni – banali, fantastiche, evanescenti o incise con l’acutezza di una punta d’acciaio, che piovono da ogni parte, come un diluvio incessante di atomi; e mentre cadono, mentre assumono la forma di vita del lunedì o del martedì, l’accento si posa in modo sempre differente;il momento essenziale non si è verificato qui, ma lì. […] La vita non è una serie di lanterne disposte in modo simmetrico; la vita è un alone luminoso, un involucro trasparente che ci avviluppa da quando cominciamo ad avere coscienza fino alla fine. Non è forse compito del romanziere trasmettere questo spirito mutevole, sconosciuto e irriducibile, senza preoccuparsi di eventuali sue aberrazioni o complessità, contaminandolo il meno possibile con quanto gli è estraneo, esterno? Registriamo quindi gli atomi mentre cadono sulla mente nell’ordine in cui cadono, tracciamo il disegno, per quanto sconnesso e incoerente in apparenza, che ogni visione, ogni avvenimento segna sulla coscienza». V. WOOLF, “Modern Fiction”, 1919, in The Common Reader, 1923; trad. V. SANNA, Il lettore comune, Genova, il melangolo, 1995, p. 170.
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