CONTEMPLAZIONE È una parola che rifugge da spiegazioni astratte, troppo razionali. Contemplazione non è nemmeno una parola da teologi professionisti (lo dico con rispetto). Solo chi vive la contemplazione è in grado di parlarne in modo adeguato. Siccome io sono un sacerdote “normale”, senza esperienze contemplative, tanto meno mistiche, mi rifaccio a uno speciale maestro di vita spirituale, il card. A. Ballestrero. Era un uomo che viveva realmente IN Cristo, e del quale si poteva dire in verità: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1, 21). Penso che fosse un vero contemplativo, e forse per questo era sempre in azione, ma non per sé, bensì solo per la gloria di Dio. Parlando dello sposo di Maria SS., Ballestrero afferma che S. Giuseppe ha vissuto una «solitudine silenziosa, che è il segreto della contemplazione». Esaminiamo questa affermazione: l’oggetto è la “contemplazione”, che è quasi un uscire da se stessi, o almeno non è più un percepirsi sensibilmente, perché si coglie piuttosto una certa presenza di Dio in noi, almeno nel cuore, nel profondo di noi stessi. Il Maestro carmelitano spiega che, per giungere alla contemplazione, c’è una via da percorrere con alcune tappe necessarie. Innanzitutto occorre la SOLITUDINE. Questa parola non esprime isolamento, chiusura in se stessi per un rifiuto istintivo di rapporti. Vuol dire, invece, raccoglimento nel profondo del proprio animo; più precisamente invita a mettersi in una situazione umana che permetta un vero raccoglimento dentro di sé. Quindi, non si parla di esclusione di fratelli, ma di interiorizzazione nel proprio intimo. Aggiunge l’aggettivo SILENZIOSA. Anche questo aggettivo non dice incapacità o rifiuto di comunione. Esprime invece una necessità e nello stesso tempo una conseguenza della solitudine come l’ho espressa sopra. Una tale solitudine non accetta distrazioni di nessun genere. Se mantengo legami con persone; se trattengo pensieri miei, o coltivo interessi 23