Il voto negli Usa Come funziona il meccanismo elettorale negli Stati Uniti: come si vota, dove, quando, con quali criteri vengono conteggiati i voti e quali rischi di trasparenza e partecipazione sono impliciti nel sistema con cui si sceglie il presidente di quella che è stata definita a lungo “la piú grande democrazia del mondo”. Testo Marco Bardazzi Immagini Giona Maiarelli
il sistema elettorale che gli Stati Uniti si sono dati per scegliere ogni quattro anni il presidente è da tanti punti di vista sorprendente. In positivo, perché resiste dall’inizio del xix secolo e ha permesso un’alternanza democratica anche nei momenti piú bui. Ma anche in negativo, per le tante fragilità che mostra e le potenziali ingiustizie e parzialità che incarna, come denuncia Noam Chomsky in queste pagine. Per capire i punti deboli della macchina elettorale, ai quali quest’anno si aggiunge l’incertezza inedita dell’emergenza Covid-19, occorre ricordare come funziona il voto. Il presidente degli Stati Uniti in realtà non viene eletto dai votanti, il meccanismo è indiretto. Il 3 novembre si voterà per eleggere 538 membri del collegio elettorale, che a loro volta eleggeranno il presidente in un voto sempre fissato per il primo lunedí dopo il 12 dicembre. Sarà poi il Congresso a certificare i risultati all’inizio di gennaio per permettere al nuovo presidente di insediarsi il 20 gennaio, Inauguration Day. Il “numero magico” per ottenere la presidenza è 270: tanti sono i grandi elettori (membri del collegio elettorale) che occorreranno a Donald Trump o a Joe Biden per poter dichiarare vittoria. Ogni Stato esprime un numero di grandi elettori proporzionale alla propria popolazione calcolata in base all’ultimo censimento federale: gli Stati che “valgono” di piú sono la California (55 voti elettorali), il Texas (38), New York e Florida (29 ciascuno). In quasi tutti gli Stati, con l’ec-
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cezione di Maine e Nebraska, vale il meccanismo “winner-take-all”: chi ha il 50% + 1 dei voti conquista tutti i voti elettorali in palio. Sulla scheda i votanti troveranno quindi i nomi dei grandi elettori e i nomi del candidato presidente e candidato vice a cui sono vincolati. Si tratta di un sistema che risale all’epoca dei padri fondatori e rispecchia la natura federale del Paese, secondo la quale i singoli Stati hanno un peso e un’autonomia molto vasti. È per questo che le strategie elettorali vengono disegnate con un approccio Stato per Stato, tenendo al centro i 10-12 Stati tradizionalmente piú incerti, che sono il vero ago della bilancia. È sempre per questo motivo che i sondaggi su scala nazionale raccontano solo una parte della storia e non sono molto significativi: nel 2016 Hillary Clinton ha ampiamente vinto nel voto popolare su scala nazionale, ma ha conquistato solo 232 voti elettorali contro i 306 di Trump. Ancora, è legato a questo sistema anche il fatto che le percentuali di affluenza non siano mai al livello per esempio dei Paesi europei. È evidente che elettori in Stati sicuramente “rossi” (repubblicani) o “blu” (democratici) sono meno motivati e meno incentivati dai rispettivi partiti per andare ai seggi il 3 novembre. La mobilitazione per recarsi alle urne è uno dei fattori principali su cui lavorano le campagne elettorali, che devono fare tra l’altro i conti con il fatto che si vota sempre di martedí, un giorno lavorativo. E qui emergono i problemi e le possi-