La Freccia - marzo 2023

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INTERVISTE

Frassica, L. Gassmann

Cuccarini, Donadio

Spotti, Kamyshin

TRAVEL

Alta Badia

Toscana wine tour

I luoghi di Battisti e Dalla

Sutera e Cavalese

ARTE

JR, Frida Kahlo

PER CHI AMA VIAGGIARE L’ORO
ANNO XV | NUMERO 3 | MARZO 2023 | www.fsitaliane.it | ISSN 2785-4175
DEL MATTINO
VIAGGI IN DUE CON SCONTI FINO AL 50% Acquista il tuo biglietto su tutti i canali di vendita Trenitalia e parti con Le Frecce e Intercity L’offerta Me&You è valida per viaggiare su Frecce, Intercity giorno e Intercity notte, nei livelli di servizio Business, Premium e Standard e in 1^ in 2^ classe. Sono esclusi i treni Regionali, il livello di servizio Executive, le vetture Excelsior e la prenotazione del posto nei Salottini. L'offerta non è modificabile nè Offerta Me&You

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VITE DELLE NOSTRE IL PUZZLE

Dallo scavare tra cumuli di macerie per rintracciare, disseppellire e rianimare ogni minimo alito di vita al bombardare paesi e città, far strage dei loro abitanti, infierire sul nemico. Tutto negli stessi giorni, alla distanza che separa le terre dilaniate dal terremoto, in Turchia e Siria, da quelle insanguinate dalla guerra, in Ucraina. Ecco, è questa l’icastica rappresentazione dei picchi di altruismo e degli abissi di brutalità di cui siamo capaci. Anche quando condividiamo lingua, storia e cultura. Se non addirittura valori morali e principi di un’identica matrice religiosa. Ma, del resto, la storia è piena di esempi simili. Sembra davvero che il tempo sia reversibile, come

diceva Eugenio Montale, e che «passato e futuro» siano distanti «appena un milionesimo di attimo fra loro». Eppure, lo scrive il ministro della

Cultura Gennaro Sangiuliano su questo numero della Freccia,

EDITORIALE
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citando Benedetto Croce, la storia deve fornirci «gli strumenti per interpretare la realtà contemporanea». E dovrebbe insegnarci qualcosa. Soprattutto in un continente dove l’ancor fresca memoria di due guerre mondiali, del genocidio di interi popoli e della Shoah rappresenta un monito a non fare più agli altri quel che non vorremmo fosse fatto a noi, a ripudiare la guerra, insieme a ogni rigurgito di disumanità. E a non restare indifferenti e assuefatti al male. Invece, no. Il male appare inestirpabile dal mondo e dall’animo umano, dove sublime e orrifico continuano a intrecciarsi. Occorre quindi fermarsi e lottare con noi stessi perché, con le parole dell’Ulisse dantesco, emerga quella «semenza» che ci distingue dai bruti per condurci a «seguir virtute e canoscenza». Ecco, ci sono voci che, di tanto in tanto, ci indicano la strada, elevandosi su tutti e su tutto. Una, nitida, ferma, ieratica, è quella della senatrice a vita Liliana Segre che abbiamo rilanciato su questo numero. Nell’inaugurare un Totem multimediale a Milano Centrale, voluto per informare sul Memoriale della Shoah che ha sede sotto il binario 21 della stazione, ha ricordato ai presenti il giorno della liberazione, inaspettata, dal giogo dei suoi carnefici. E ha contrapposto al dolore irrisarcibile

e indelebile un’immagine felice, un ricordo «in technicolor». Quello dei volti abbronzati e sorridenti di giovani militari statunitensi che dai camion gettavano a tutti «frutta secca, sigarette, scatolette». Una raffigurazione radiosa della pace, della gioia, della libertà che sconfigge la morte. Portiamoci come compagna di viaggio questa immagine, solare e positiva. Il flashback felice di una bambina diventata nonna, salda roccia riemersa da indicibili orrori di cui si fa testimone, avendole la fortuna concesso di sopravvivere all’Olocausto, e provare quello che ad altri è stato negato: la ricca trama di sentimenti ed emozioni di una vita, vissuta fino al suo naturale compimento. Quell’immagine sia ben più di un amuleto, anche nel più prosaico viaggio del nostro magazine che a marzo, toccando la martoriata Ucraina dei ferrovieri iron people, con un’intervista al presidente delle ferrovie ucraine, vi condurrà ancora una volta a scoprire tanti piccoli gioielli di quello che è, e deve restare, il nostro Belpaese, da amare, difendere e valorizzare. In copertina il volto scanzonato di Fiorello. Tra le sue mani una palla di giornali. Un mondo di notizie, talvolta frivole, talvolta tragiche che compongono il puzzle delle nostre vite, e raccontano di noi. Comunque, effimeri.

3 © alice_photo/AdobeStock

L’Alta Badia si prepara ad accogliere ottomila ciclisti alla Maratona dles Dolomites, la gara sportiva dall’anima green prevista per il 2 luglio

A soli 29 anni Michele Spotti diventa direttore musicale del Teatro dell’Opera di Marsiglia. E punta ad abbattere ogni barriera con il pubblico

4 100 109 12 SOMMARIO MARZO 2023 8 RAILWAY HEART 41 UN
LIBRI Nell’Invito
Mencarelli 103 BACCHETTA
TRENO DI
alla lettura di questo mese La Freccia propone Fame d’aria l’ultimo romanzo di Daniele
MAGICA
60 PEDALARE AD ALTA QUOTA
32 GUSTA & DEGUSTA 28 AGENDA 24 L’ITALIA CHE FA IMPRESA 34 WHAT’S UP pag. 50 IN COPERTINA FIORELLO LE FRECCE NEWS//OFFERTE E INFO VIAGGIO 111 SCOPRI TRA LE PAGINE LE PROMOZIONI E LA FLOTTA DELLE FRECCE i vantaggi del programma Carta FRECCIA e le novità del Portale FRECCE 25 60 56 ANIMA DA PALCOSCENICO 64 I LUOGHI DI LUCIO 68 PERDERSI A BOLOGNA 72 UN SORSO DI TOSCANA 76 NEL MITO DI SUTERA 79 IL SAPORE DEL BOSCO 82 SULLE TRACCE DI FRANCESCO 86 TUTTI A CORRERE 92 A OCCHI APERTI 96 LA TERRA DI TUTTI 100 LA COLOMBA E L’ELEFANTE 106 RITRATTO DI UN SECOLO 125 PRIMA DI SCENDERE 92

Tra le firme del mese

1.500

i volontari alla Maratona dles Dolomites [pag. 62]

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PER CHI AMA VIAGGIARE

MENSILE GRATUITO PER I VIAGGIATORI DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE

ANNO XV - NUMERO 3 - MARZO 2023

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA

N° 284/97 DEL 16/5/1997

CHIUSO IN REDAZIONE IL 24/02/2023

Foto e illustrazioni

Archivio FS Italiane

AdobeStock Copertina © Adolfo Franzò

Tutti i diritti riservati

CESARE BIASINI SELVAGGI

Da marzo 2017 è direttore editoriale di Exibart.com ed Exibart on pape r. Manager culturale per diverse fondazioni italiane, svolge anche un’intensa attività di consulenza di comunicazione strategica d’impresa e per l’internazionalizzazione del made in Italy

gli anni trascorsi dalla nascita di Lucio Battisti e Lucio Dalla [pag. 64, pag. 68]

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gli artisti della mostra Chronorama a Venezia [pag. 109]

READ ALSO

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GIULIA CIARAPICA

Classe 1989, laureata in Filologia moderna, insegna Critica letteraria e collabora con Il Foglio. Ha pubblicato con Cesati Editore Book blogger. Scrivere di libri in Rete: come, dove, perché e con Rizzoli Una volta è abbastanza Il suo ultimo romanzo è Chi dà luce rischia il buio

(Rizzoli, 2022)

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Ha pubblicato 24 volumi tra saggistica, narrativa, aforismi e comica, oltre ad aver scritto quattro libretti di opera contemporanea per il maestro Vittorio Montalti. Vive a Roma, da dove in genere parte e ritorna

FSNews.it, la testata online del Gruppo FS Italiane, pubblica ogni giorno notizie, approfondimenti e interviste, accompagnati da podcast, video e immagini, per seguire l’attualità e raccontare al meglio il quotidiano. Con uno sguardo particolare ai temi della mobilità, della sostenibilità e dell’innovazione nel settore dei trasporti e del turismo quali linee guida nelle scelte strategiche di un grande Gruppo industriale

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Coordinamento creativo

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Marco Mancini

Davide Falcetelli

Michela Gentili

Sandra Gesualdi, Cecilia Morrico, Francesca Ventre

Gaspare Baglio, Angela Alexandra D’Orso, Irene Marrapodi

Francesca Ventre

Giovanna Di Napoli

Claudio Romussi

Osvaldo Bevilacqua, Cesare Biasini Selvaggi, Peppone Calabrese, Luigi Cantamessa, Giulia Ciarapica, Claudia Cichetti, Luigi Cipriani, Giuliano Compagno, Fondazione FS Italiane, Enzo Fortunato, Alessio Giobbi, Sandra Jacopucci, Franco Laratta, Antonella Lattanzi, Valentina Lo Surdo, Giuliano Papalini, Enrico Procentese, Andrea Radic, Gabriele Romani, Davide Rondoni, Gennaro Sangiuliano, Flavio Scheggi, Mario Tozzi

REALIZZAZIONE E STAMPA

Via A. Gramsci, 19 | 81031 Aversa (CE) Tel. 081 8906734 | info@graficanappa.com Coordinamento Tecnico Antonio Nappa

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Team creativo Antonio Russo, Annarita Lecce, Giovanni Aiello, Manfredi Paterniti, Massimiliano Santoli

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VALENTINA LO SURDO

Conduttrice radiotelevisiva Rai, pianista classica con anima rock, presentatrice, speaker, attrice. Trainer di comunicazione, da 20 anni è reporter di viaggi all’ascolto del mondo. Le sue destinazioni preferite?

Ovunque ci sia da mettersi in cammino

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I numeri di questo numero
PER CHI AMA VIAGGIARE CHI AMA VIAGGIARE VIAGGIARE

OLTRE LA TELA

Salto nel vuoto. Arte al di là della materia, alla Galleria d’arte moderna e Contemporanea (Gamec) di Bergamo fino al 28 maggio, è uno degli eventi culturali di punta organizzati per celebrare la nomina della città lombarda a Capitale italiana della cultura insieme a Brescia.

La mostra riunisce i lavori di oltre 80 artisti internazionali che, ognuno nel proprio tempo, hanno indagato il tema del vuoto. Dagli esponenti delle avanguardie storiche agli autori contemporanei che hanno messo al centro della loro ricerca la materia, ora negandola ora considerandola mera dimensione ideale. Passando per quelli il cui lavoro riflette i mutamenti nella percezione dell’arte: visibile e concreta oppure, all’opposto, immateriale.

Tre i percorsi dell’esposizione. Si comincia con Vuoto, una sezione principalmente pittorica dove sono ospitati maestri come Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Dadamaino,

Fabio Mauri e opere che, secondo il direttore della Gamec Lorenzo Giusti, «giocano sulla variazione minimamente percettibile, privilegiando la dimensione del bianco». Segue Flusso, con capolavori di Umberto Boccioni, Giacomo Balla, František Kupka e Pablo Picasso, lavori firmati dagli esponenti della corrente Arte programmata e del movimento Fluxus e pezzi contemporanei. La rassegna si chiude con Simulazione, uno spazio in cui, prosegue Giusti, «al fianco di opere in realtà virtuale di autori come Timur Si-Qin o Rebecca Allen, figurano lavori iperrealisti di Duane Hanson o di Richard Estes e un dipinto del surrealista René Magritte che sembra riprodurre l’ambientazione di un videogame».

gamec.it

GAMeC.ufficiale

GAMeCBergamo

gamec_bergamo

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Salto nel vuoto. Arte al di là della materia Gamec di Bergamo, fino al 28 maggio
FRECCIA COVER
di Giuliano Papalini René Magritte Le grand siècle (1954) Kunstmuseum Gelsenkirchen © René Magritte by Siae 2022

PHOTO STORIES

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#Frecciaview © Francesca C. allacarb IN VIAGGIO Incroci
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© Marco C. marcocavallari
PEOPLE RAILWAY

a cura di Enrico Procentese enry_pro

LUOGHI

Utilizza l’hashtag #railwayheart oppure invia il tuo scatto a railwayheart@fsitaliane.it. L’immagine inviata, e classificata secondo una delle quattro categorie rappresentate (Luoghi, People, In viaggio, At Work), deve essere di proprietà del mittente e priva di watermark. Le foto più emozionanti tra quelle ricevute saranno selezionate per la pubblicazione nei numeri futuri della rubrica.

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LE PERSONE, I LUOGHI, LE STORIE DELL’UNIVERSO FERROVIARIO IN UN CLICK. UN VIAGGIO DA FARE INSIEME
Capotreno Frecciarossa © Edoardo Cortesi eddiecortesi AT WORK Stazione di Milano Centrale © Francesco V. ciskie1977
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LA STORIA FUTURO DIVENTA

Il fiume Serio visto dalla locomotiva a vapore in transito sul ponte di Seriate (Bergamo), lungo la Ferrovia del Sebino

UNA MOSTRA AL MUSEO NAZIONALE FERROVIARIO DI PIETRARSA

RACCONTA I PRIMI DIECI ANNI DELLA FONDAZIONE FS ITALIANE.

TRA IMMAGINI DI IERI E PROGETTI DI DOMANI di Luigi Cantamessa [Direttore generale di Fondazione FS Italiane]

Una bella storia italiana iniziata dieci anni fa: il 6 marzo 2013 la Fondazione FS Italiane diventava a tutti gli effetti operativa. Una mostra fotografica al Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, dall’8 marzo, racconta per immagini quest’av-

ventura, il dipanarsi di un sogno divenuto una realtà tangibile.

E soprattutto una dichiarazione d’amore per il treno, che la Fondazione vive in maniera poliedrica: dalle foto ai video, dalla manutenzione all’esercizio dei treni, dalle ferrovie storiche riaperte ai

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© Francesco Valerio

progetti originali d’archivio. La storia diventa futuro nella galleria di circa 200 scatti che costituisce il percorso espositivo, suddiviso in cinque sezioni. Si parte dalle fonti documentali della biblioteca e degli archivi, indispensabili

per tracciare il percorso delle ferrovie italiane, l’evoluzione tecnica e ingegneristica di cui i rotabili d’epoca restaurati sono testimonianza e il mutamento negli usi e nei consumi della società.

Senza le foto, i cinegiornali, i disegni, le

istruzioni ferroviarie e i tanti, preziosi volumi non sarebbe stato possibile il recupero di una memoria collettiva, elevata al rango di protagonista, in un processo di reinterpretazione contemporanea e di una cultura solida del viaggiare e

In un’immagine del 1966, una locomotiva a vapore 743.150 al traino di un treno merci nell’importante nodo ferroviario di Castagnole delle Lanze, tra le colline di Langhe e Monferrato. La linea è stata chiusa al traffico regolare nel 2012 e riattivata dieci anni dopo grazie al progetto Binari senza tempo della Fondazione FS

Un treno storico percorre la ferrovia del Basso Monferrato, che congiunge Asti con Chivasso, attraversando il viadotto a 17 arcate sul fiume Po (2022)

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© Archivio Fondazione FS ItalianeFondo Renato Cesa De Marchi © Archivio Fondazione FS Italiane

Nell’immediato dopoguerra, il declino delle locomotive a vapore segnò anche quello delle officine di Pietrarsa. Le attrezzature non vennero più rinnovate e lo stabilimento rimase adibito solo alla grande riparazione dei pochi mezzi rimasti in circolazione. Nel reparto caldererie, invece, proseguì fino agli anni ’50 la manutenzione dei tender (1953)

del vivere degli italiani. Perché la storia delle ferrovie è la storia del Paese, disgiungerne i rispettivi corsi sarebbe addirittura impossibile.

Il tradizionale fascino del treno è oggi diventato molto di più. È un’esperienza

da gustare a bordo degli oltre 400 mezzi d’epoca che corrono sui circa mille chilometri di linee storiche riaperte, spina dorsale di una nuova forma di turismo sostenibile che è stata chiamata Binari senza tempo. Ma anche un viag-

Dal 1989, negli spazi delle officine sorge il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa. Sono state numerose le attività di valorizzazione del complesso architettonico, parallelamente al recupero dei treni storici. Nella foto del 2019 si può ammirare la cabina di guida di una locomotiva a vapore del Gruppo 800 esposta nel padiglione delle vaporiere

gio immersivo nei musei e nei Depositi officine rotabili storici della Fondazione

FS, testimoni di una tradizione centenaria che si rinnova di pari passo con l’evoluzione ingegneristica.

Se il Museo nazionale ferroviario di

© Archivio Fondazione FS Italiane © Francesco Valerio

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Pietrarsa è ormai una realtà culturale consolidata in Italia e in Europa, il futuro riserva ulteriori primati con quello di Trieste Campo Marzio: il primo esempio di museo‐-stazione in Italia in cui l’architettura stessa – uno scalo in stile liber-

ty del 1906 – diventa parte integrante dell’esposizione.

Una storia iniziata dieci anni fa e resa possibile grazie al Gruppo Ferrovie dello Stato che ha trovato nella Fondazione FS Italiane uno strumento operativo

per conservare i tesori della memoria, rigenerare idee e preparare il futuro. Un futuro di passione e lavoro ancora tutto da scrivere. fondazionefs.it fondazionefsitaliane

Aperto all’esercizio nel 1864 con l’attivazione della linea Porrettana, il Deposito locomotive di Pistoia è uno dei più antichi in Italia. Il binario in fossa nel reparto montaggio, con gru a ponte da 20 tonnellate, era indispensabile per la manutenzione ordinaria dei treni (foto degli anni ‘30)

Oggi il Deposito di Pistoia, oltre a occuparsi della manutenzione delle locomotive a vapore, possiede una grande sala convegni e un archivio documentale. L’iniziativa Porte aperte consente ad appassionati e turisti di visitare lo storico hub e la “giratura” della locomotiva a vapore è sempre un momento molto apprezzato (2018)

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© Archivio Fondazione FS Italiane © Archivio Fondazione FS Italiane

COLTIVARE LA MEMORIA

ALLA STAZIONE DI MILANO CENTRALE UN NUOVO TOTEM MULTIMEDIALE SEGNALA COME ARRIVARE AL MEMORIALE DELLA SHOAH, SORTO SOTTO AL BINARIO 21. DA QUI, TRA IL 1943 E IL 1945, MIGLIAIA DI PERSONE FURONO DEPORTATE NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO di Gennaro Sangiuliano [ministro della Cultura]

Bremec/LaPresse 15
© Alessandro La presentazione del totem informativo nella stazione di Milano Centrale. Da sinistra a destra: il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Roberto Jarach, la senatrice a vita Liliana Segre, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, l’amministratore delegato del Gruppo FS Luigi Ferraris

Il 6 dicembre 1943, sotto al binario 21 della stazione centrale di Milano, dal piano sotterraneo fino a quel momento adibito alla movimentazione dei vagoni postali partì il primo convoglio di ebrei italiani e stranieri deportati verso una lugubre destinazione, condannata a divenire sinonimo di inferno in terra: il campo di sterminio Auschwitz-Birkenau. Centosessantanove persone tra donne, uomini, bambini e anziani, per la sola colpa di esser nati, furono avviati alla morte: solo cinque di loro sopravvissero. Il 30 gennaio 1944, analoga sorte toccò ad altri 605 individui: tra i 22 che fecero ritorno, l’allora 13enne

Liliana Segre, oggi Senatrice a vita della Repubblica, superò tra mille difficoltà il dolore di quell’esperienza per farsi testimone preziosa di una pagina vergognosa della nostra storia. Furono 20 in tutto i convogli che partirono da Milano Centrale per raggiungere i campi di sterminio o di transito di Auschwitz, Mauthausen, Bergen-Belsen, Ravensbrück, Flos-

senbürg, Fossoli e Bolzano. Migliaia di ebrei, dissidenti e detenuti politici partirono per non fare mai più ritorno. Tutto ciò avvenne, come ricorda la scritta voluta a monito perenne da Liliana Segre nel Memoriale della Shoah sorto sotto al binario 21, tra l’indifferenza generale della popolazione. I camion con i deportati attraversavano nel silenzio le vie della città verso la stazione, senza sollevare nemmeno un moto di indignazione o di pietà nelle persone in cui si imbatteva il triste corteo. Gli unici che diedero loro conforto, come la senatrice Segre ha ricordato nella toccante testimonianza data in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, furono i detenuti comuni del carcere di San Vittore. Di tutto questo, fino a poco tempo fa, i viaggiatori in transito nella stazione di Milano Centrale erano del tutto inconsapevoli, proprio come la giovanissima Segre, che mai aveva sospettato dell’esistenza dello scalo sotterraneo in tutte le volte in cui era partita da lì.

Proprio per questo motivo, era quanto mai necessario provvedere a una segnaletica storica che indirizzasse passeggeri e visitatori verso il binario 21 e il sottostante Memoriale della Shoah. Quando, a poche settimane dall’assunzione del mio incarico, l’amica senatrice Ester Mieli mi rappresentò la giusta osservazione al riguardo della senatrice Segre, raccolsi immediatamente questa sacrosanta esigenza condividendone in toto il valore etico e morale e ne parlai con l’amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato, Luigi Ferraris.

Lo scorso 6 febbraio, a poche settimane da quel colloquio, questa lacuna è stata colmata: alla stazione di Milano Centrale è stato presentato un totem informativo multimediale con le indicazioni per raggiungere il Memoriale della Shoah e un video, realizzato dal ministero della Cultura anche grazie al contributo dell’Istituto Luce-Cinecittà, con la testimonianza di Liliana Segre riguardo la sua de -

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© Stefano Porta/LaPresse Visitatori al Memoriale della Shoah, sotto la stazione di Milano Centrale

portazione. Oggi, chi passa non può più essere indifferente ed è chiamato a onorare, almeno nel pensiero, uno dei luoghi simbolici di quella immane tragedia che fu la Shoah, perpetrata dal nazifascismo, di cui è importante ribadire di continuo l’efferatezza senza pari nella storia dell’umanità. Il critico Benedetto Croce ricordava che la storia è sempre un fatto con -

temporaneo, non un orpello del passato ma una cassetta degli attrezzi dove rinvenire gli strumenti per interpretare la realtà contemporanea e prefigurare il futuro. Oggi coltiviamo la memoria, nell’auspicio che la violenza venga per sempre espunta dalla politica e dall’agire umano. Il ricordo non deve essere mera e sterile rievocazione del passato, bensì

costituire un antidoto affinché non si ripetano più certi orrori. Tra questi, l’antisemitismo è tra i più abietti e inumani. È nostro preciso compito far sì che questo veleno non intossichi mai più la nostra società, che deve sapersi riconoscere in una cornice di valori condivisi, un idem sentire, come direbbe Giambattista Vico, così ben incarnato dalla nostra Costituzione.

MILANO CENTRALE: UN TOTEM CONTRO L’INDIFFERENZA

L’inaugurazione del totem informativo multimediale del Memoriale della Shoah, sotto il binario 21 della stazione di Milano Centrale, si è tenuta lo scorso 6 febbraio. Lo stesso giorno in cui la 13enne Liliana Segre, 79 anni prima, raggiunse il campo di sterminio di Auschwitz, viaggiando su un treno merci partito proprio da lì. Alla cerimonia, seduto in prima fila, tra gli ospiti e i giornalisti che hanno affollato la Sala Reale della stazione, anche il console statunitense a Milano, Robert Needham. E proprio ai soldati americani che raggiunsero e liberarono i superstiti di quel campo di sterminio è dedicato uno dei passaggi più commoventi dell’intervento di Liliana Segre, che potrete ascoltare in versione integrale inquadrando il QR Code in questa pagina. «La liberazione da una prigionia di milioni di innocenti era un sogno […] e di colpo, nell’ignoranza mia e nell’impossibilità di ascoltare una radio o leggere un giornale da mesi, improvvisamente uno si trova davanti a un camion su una strada tedesca del nord della Germania […] un camion di ragazzi abbronzati che buttano frutta secca, sigarette, scatolette, allegri e felici di avere vinto la guerra […] Perché quindi non ricordare la liberazione da questo luogo da cui si partì, dentro a quei vagoni, stipati, senza sapere dove saremmo andati [..] Essendo così vecchia oggi, ed essendo stata tanto fortunata perché ho poi scoperto la vita, l’amore, la maternità […] l’incontro con il console americano mi fa tornare in technicolor l’incontro straordinario che voleva dire libertà, parola che non va mai dimenticata, che fa parte di noi. […] In questa giornata di grande dolore per me dobbiamo ricordare che ai grandi dolori di solito c’è una fine. E oggi è bello che dalla mia stazione […] ci sia finalmente un punto in cui si ricordi quelle centinaia di persone», che purtroppo non sono più tornate. Un totem che indica come raggiungere il Memoriale, con ingresso in piazza Safra, a 200 metri dalla stazione Centrale, onora la loro memoria, e deve essere un monito contro l’indifferenza con cui in troppi assistettero a quella immane tragedia. M.M.

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© Alessandro Bremec/LaPresse Luigi Ferraris, Liliana Segre, Gennaro Sangiuliano, Giuseppe Sala e Roberto Jarach alla presentazione del totem informativo del Memoriale della Shoah

IRON PEOPLE

D’ UCRAINA

SONO I FERROVIERI, SIMBOLO DELLA

RESILIENZA CIVILE DOPO OLTRE UN ANNO DI CONFLITTO. IN PRIMIS IL

LORO PRESIDENTE, OLEKSANDR

KAMYSHIN, A CAPO DI UNA

RETE CHE HA CONSENTITO DI

EVACUARE QUATTRO MILIONI DI ABITANTI E TRASPORTARE

325MILA TONNELLATE DI AIUTI

UMANITARI

Era stato assunto da pochi

mesi Oleksandr Kamyshin, presidente delle Ferrovie ucraine, quando iniziò l’invasione russa, il 24 febbraio 2022. Visse una notte di estrema incertezza nella sua casa al centro di Kiev ma con la consapevolezza che bisognava essere saldi, in grado di gestire una situazione di emergenza che solo fino a pochi mesi prima ben pochi avevano previsto. Il giorno dopo Kamyshin, 38enne, scelse una squadra di sei manager che conoscessero palmo a palmo la mappa delle ferrovie e trasformò l’azienda nella spina dorsale del Paese: fondamentale per lo sforzo bellico, decisiva per trasportare persone, armi, merci e rifornimenti, cruciale per mantenere viva la diplomazia attraverso un treno dedicato e per esportare derrate alimentari bloccate per mesi nei porti.

A più di un anno dall’inizio delle ostilità, si aspettava di diventare una

delle figure più riconosciute a livello internazionale in questo conflitto?

La figura chiave in questa guerra di indipendenza, in realtà, è il cittadino ucraino. Sono le persone comuni che combattono sul campo di battaglia, i volontari, i lavoratori che continuano a gestire l'economia, i medici e gli insegnanti in lotta per il futuro del Paese. Le Ferrovie sono il più grande datore di lavoro in Ucraina e abbiamo dimostrato di essere operativi ed efficaci fin dai primi giorni, garantendo il processo di evacuazione, ristabilendo le rotte merci e fornendo aiuti umanitari. La nostra disciplina ha fatto sì che gli iron people (uomini di ferro), come chiamiamo i ferrovieri in questi giorni, siano diventati un simbolo della resilienza civile.

Qual è la vita di un presidente delle ferrovie in tempo di guerra?

Dobbiamo essere flessibili. Non esiste un libro di testo o un Master in

Business and Administration che insegni a gestire le ferrovie durante il più grande conflitto dalla Seconda guerra mondiale. Dobbiamo stare attenti a come continuare a far funzionare il sistema ferroviario nonostante gli attacchi missilistici perché la Russia prende deliberatamente di mira le infrastrutture civili, le stazioni affollate dalle persone e le sottostazioni elettriche. Poi dobbiamo essere veloci: alcune decisioni durante la guerra vengono prese in minuti o ore anziché in settimane. Non c'è tempo per la burocrazia. Dopo il blocco dei porti marittimi da parte della Russia, volto a provocare la fame nel mondo, abbiamo aumentato di tre volte il trasporto di grano per garantire le capacità di esportazione. Infine, dobbiamo essere affidabili. Le ferrovie ucraine sono la spina dorsale dell’economia del Paese e andare avanti, in qualsiasi circostanza, consente di mantenere

18 RAILWAY heART
di Luigi Cipriani Ponte ferroviario sul fiume Irpin’

posti di lavoro e riportare a casa i rifugiati ucraini.

Qualche spunto per capire meglio

Una parte del ponte ferroviario a Irpin’

come il vasto sistema ferroviario abbia aiutato il Paese a resistere a un'invasione?

Prima di tutto, abbiamo evacuato con successo quattro milioni di ucraini, tra cui un milione di bambini, dalle regioni sotto attacco. E 120mila animali domestici sono stati messi in salvo senza conseguenze. Dopodiché abbiamo fatto del nostro meglio per far funzionare il trasporto merci, inventando da zero alcune catene logistiche. Certo, nei primi giorni dell’invasione le merci si sono bloccate ma siamo riusciti ad aumentare le esportazioni del 71%, da marzo a dicembre 2022, mantenendo in piedi l’economia. Quest’inverno abbiamo trasformato 92 stazioni ferroviarie in fortezze invincibili dopo gli attacchi russi alle infrastrutture energetiche. In caso di blackout o guasto al sistema di riscaldamento cittadino causato da attacchi missilistici, le persone possono andare nelle stazioni per riscaldarsi, ricaricare i dispositivi e collegarsi alla rete. E forniamo anche il trasporto per la diplomazia. Come è evidente tutti i voli sono bloccati e i primi ministri stranieri, i presidenti e altri politici di alto rango viaggiano con lo speciale treno diplomatico. Abbiamo ospitato 227 delegazioni e organizzato un viaggio memorabile a Kiev per l’ex primo ministro italiano Mario Draghi a giugno e, il 21 febbraio scorso, per l’attuale premier Giorgia Meloni.

Abbiamo letto l'hashtag #ironpeople associato ai ferrovieri ucraini. Come hanno affrontato la pressione di essere bombardati durante il lavoro? Queste circostanze straordinarie hanno favorito l'unità e la determinazione? Quante vite sono state perse finora?

Durante la guerra sono morti 319 ferrovieri, 703 sono rimasti feriti e 123 hanno perso la casa. È un lavoro pericoloso di questi tempi. Eppure, per quasi un anno, non ho ricevuto un solo rapporto su qualcuno che si è rifiutato di entrare nei turni. L’azienda è un luogo di professionisti dove la disciplina è rispettata come una virtù fondamentale. È per questo che hanno cominciato a chiamarci iron people. È così che combattiamo per il Paese. Ci darebbe qualche dato sugli aiuti umanitari trasportati?

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OleksandrKamyshin © Dovgan Tetiana © Dovgan Tetiana © John Macdougall/GettyImages

Fin dall'inizio della guerra abbiamo portato aiuti umanitari in ogni città, compresa Kharkiv, che era sotto un pesante attacco. I nostri treni hanno fornito cibo, medicine e prodotti per l’igiene necessari a coloro che ne avevano più bisogno. Siamo grati per questo aiuto agli alleati della Ue e sappiamo quanti sforzi hanno fatto l’Italia e i cittadini italiani per aiutare l'Ucraina. Per ora, abbiamo calcolato che sono state inviate 325mila tonnellate di aiuti umanitari attraverso i treni merci e 11mila tonnellate su treni passeggeri. L'infrastruttura energetica dell’Ucraina ha subito ingenti danni a causa dei

bombardamenti. Come state gestendo questa situazione?

È difficile mantenere il traffico in orario quando il tuo Paese ha subito negli ultimi mesi 12 massicce ondate di attacchi missilistici contro le infrastrutture energetiche. Le sottostazioni ferroviarie sono state attaccate fin dalla scorsa primavera: i russi hanno cercato di interrompere il trasporto di merci e passeggeri molto prima degli attacchi di ottobre alle infrastrutture energetiche.

I passeggeri hanno subito alcuni ritardi, ma il nostro sistema è altamente resiliente: abbiamo backup e protocolli per affrontare gli incidenti. Nessuna

linea ferroviaria è stata sospesa, anzi abbiamo aggiunto nuove rotte e destinazioni. Non ci fermeranno.

I treni ucraini in orario sono un simbolo di questa guerra?

Questa è la mia massima priorità, la seconda dopo la sicurezza: dobbiamo arrivare in orario.

Controllo quotidianamente questo aspetto e oggi, mentre parliamo, il 97% dei treni è partito puntuale e il 96% è arrivato in orario. Il risultato medio dell'ultimo anno è dell'85%. Date le circostanze è un buon risultato. Ma vogliamo fare ancora meglio.

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Un gruppo di civili alla stazione di Ivano-Frankivs’k Ponte ferroviario sulla linea Zavorychi-Bobrovytsi © NurPhoto/GettyImages © Dovgan Tetiana

A TU PER TU

Valentina Cavallini, dipendente della Direzione Business Alta Velocità di Trenitalia, si occupa dell’assistenza in stazione e della gestione del personale negli scali di Bologna Centrale e Reggio Emilia AV Mediopadana. Com’è cominciato il tuo percorso in FS Italiane?

Sono partita come capotreno sui convogli regionali, poi sono passata agli Intercity e all’Alta Velocità. Questa parte della mia lunga carriera nel Gruppo mi ha dato molto: una volta scesa dal treno ho fatto tesoro di tutto quello che avevo imparato per occuparmi di assistenza alla clientela in stazione, prima a Milano Centrale, poi nel Customer Service e Vendita Diretta di Reggio Emilia AV Mediopadana e di Bologna Centrale, dove mi occupo anche del FRECCIALounge. In queste due stazioni ho il compito di gestire circa 70 persone addette alla cura dei viaggiatori. Quanto conta nella tua professione la relazione con clienti e colleghi?

Il confronto con gli altri è il cuore della mia attività ma anche dei lavori che ho intrapreso prima dell’ingresso in Ferrovie, seppure in contesti molto differenti. Ho fatto l’educatrice in un carcere minorile, prima come volontaria ai tempi del liceo, poi come professionista in seguito a un percorso di studi dedicato.

Grazie al rapporto giornaliero con le persone ho sviluppato un lato empatico che poi mi ha sempre accompagnata nella vita e nella professione.

Quali sono gli aspetti più difficili del tuo lavoro?

Bisogna essere pronti ad affrontare ogni tipo di esigenza. A volte si tratta di ordinaria amministrazione, ma ogni tanto si presentano giornate più difficili, soprattutto quando ci si ritrova di fronte a disagi causati da problemi di circolazione. In quei casi la tensione sale e bisogna saperla gestire, anche rapportandosi con le strutture aziendali coordinate dalla Sala Operativa Centrale di Roma, che ha il compito di controllare il traffico ferroviario su tutto il territorio nazionale.

Un suggerimento utile per fronteggiare certe situazioni?

Ci muoviamo all’interno di processi codificati e normati, inevitabili per una grande azienda ma difficili da comprendere per i viaggiatori che non conoscono le nostre dinamiche interne. A chi lavora con me cerco di trasmettere quella flessibilità mentale fondamentale nell’ambito puramente commerciale ma, ancora di più, in contesti eccezionali che richiedono problem solving.

Su cosa si basa il rapporto con il cliente?

Accoglienza e capacità di ascolto sono qualità imprescindibili nella nostra quotidianità professionale. Dobbiamo indirizzare le persone dal momento in cui decidono di mettersi in viaggio fino a quando arrivano a destinazione. Per farlo è necessario prima di tutto farsi capire e spiegare, in ogni situazione fronteggiata, perché ci comportiamo in un certo modo. Bisogna sempre valutare caso per caso, senza dare nulla per scontato.

L’obiettivo rimane sempre guadagnare la fiducia di chi abbiamo davanti.

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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI

I TRENI LI FA VIAGGIARE

Gloria Chiocci è founder e amministratrice delegata di UXfor, startup a vocazione sociale che opera nel mondo della tecnologia educativa. Ci racconta la sua esperienza di viaggio con l’Alta velocità per raggiungere le città in cui tiene i suoi corsi sulle competenze digitali.

Che viaggiatrice sei?

Mi muovo in Frecciarossa principalmente tra Perugia, Milano e Torino per portare avanti un progetto dedicato a bambini e adolescenti nel settore dell’EduTech e della User Experience. E da questo mese mi sposterò in treno sempre di più visto che sono stata coinvolta in una serie di incontri nelle scuole di tutto il territorio nazionale. In cosa consiste il tuo lavoro?

Sono una User Experience Designer, cioè studio l’esperienza degli utenti con un sito web o un’applicazione per aumentare il loro grado di soddisfazione. Insieme a Edoardo Benedetto e Davide Lispi ho fondato Uxfor, startup innovativa a vocazione sociale. Abbiamo all’attivo due progetti dedicati ai giovanissimi: UXforKids, per bambini dai 7 ai 13 anni, e UXforTeen, per i ragazzi. L’intento è quello di trasmettere le basi dell’UX Design e dell’architettura dell’informazione attraverso workshop nelle scuole e seminari online.

Che cosa si impara nei vostri corsi?

Offriamo ai più giovani una vera e propria cassetta degli attrezzi per orientarsi tra le nuove competenze digitali. Il nostro percorso di apprendimento creativo e inclusivo punta a coinvolgere tutti i partecipanti nelle fasi di co-design di un’applicazione, perché possano sviluppare competenze utili nel percorso di studi e, successivamente, nel lavoro. Per questo cerchiamo collaborazioni con aziende interessate a finanziare questo tipo di progetti formativi.

Qual è il lato più interessante del tuo lavoro?

Quello che si intreccia con l’esperienza personale avuta con la dislessia. Ho particolarmente a cuore l’inclusione. Tutti i nostri corsi, infatti, garantiscono una metodologia didattica creativa in grado di coinvolgere l’intera classe e permettere a ogni studente di collaborare con il gruppo ed esprimere le proprie idee.

Che ruolo ha avuto il viaggio in treno nel tuo lavoro?

Molte idee sono partite proprio da lì: senza il Frecciarossa Perugia-Milano non sarebbe stato possibile portare avanti questa attività. Senza contare che il treno ci ha consentito di sviluppare un legame molto forte con i territori visitati: il viaggio, quindi, diventa anche un momento di approfondimento e scoperta. Vale la pena ricordare, poi, che anche il modo di muoversi è migliorato notevolmente negli anni con l’implementazione del digitale. Grazie a un’informazione sempre più personalizzata, l’utente può utilizzare il proprio tempo sul treno in modo più costruttivo e consapevole.

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© Davide Brugnoni

LA STARTUP

RECUPERARE MACINE IN PIETRA PER LAVORARE ANTICHE VARIETÀ DI FRUMENTO. QUESTO L’OBIETTIVO DI MULINUM CHE, DALLA PROVINCIA DI CATANZARO, SBARCA IN TOSCANA E SI PREPARA A RAGGIUNGERE LA PUGLIA

L’ITALIA che fa IMPRESA 24
di Franco Laratta foto di Mulinum di San Floro

DEL GRANO

Nel 2014 a San Floro, piccolo centro calabrese in provincia di Catanzaro, stava per essere costruita una delle più grandi discariche d’Europa. Un gruppo di concittadini scese in piazza a protestare riuscendo a bloccare l’avvio dei lavori. Tra loro c’era Stefano Caccavari, giovane imprenditore amante della tecnologia e della natura che, dopo quell’evento, ha scelto di avviare un progetto di tutela del territorio all’insegna della sostenibilità: Mulinum, startup agricola e alimentare che recupera mulini del territorio per lavorare grani antichi ed è diventata un caso nazionale dal punto di vista economico e sociale. Quindi tutto è cominciato per colpa di una discarica. Ho sentito forte dentro di me la necessità di fermare quello scempio, il dovere di reagire per assicurare uno sviluppo al mio territorio e alla mia comunità. Così, dopo aver fermato le ruspe, vicino al luogo dove sarebbe dovuta sorgere la discaricata ho realizzato il progetto Orto di famiglia. Ho pensato di convertire un terreno di proprietà, affittandolo direttamente a gruppi di cittadini per coltivare frutta

e ortaggi biologici. L’idea è piaciuta e un centinaio di persone hanno aderito. Poi, qualche tempo dopo, ho lanciato sui social l’idea di recuperare un antico mulino a pietra: era il febbraio del 2016 e non avrei mai pensato che quel post sarebbe diventato virale. È partita una campagna di crowdfunding a cui hanno aderito davvero tante persone in poco tempo. Non avevo fatto nessun calcolo ma sicuramente mi ha aiutato la buona reputazione ottenuta grazie al successo degli orti. È nato così il Mulinum.

Che cosa prevede il progetto? Puntiamo a recuperare la coltivazione dei grani antichi del ‘900, come le varietà Senatore Cappelli, Verna, Maiorca e Rubeum, la segale calabrese detta “iermana” e il farro. Tutti vengono lavorati con uno storico mulino a pietra utilizzato un tempo dai contadini. Dalla farina fino ai prodotti da forno, la nostra forza è che è tutto biologico, integrale al 100%.

Mulinum è diventata la più grande startup agroalimentare finanziata in crowdfunding, con 500mila euro di capitale raccolto in 90 giorni da 101 soci. Come vivi questo successo?

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Il Mulinum a San Floro (Catanzaro)

L’ITALIA che fa IMPRESA

È una grande responsabilità. Io sono un tipo testardo, che studia, approfondisce, si lascia consigliare ma poi alla fine decide senza esitazione. Ho sempre tenuto conto dell’opinione delle poche persone di cui mi fido. Ma quando ho un obiettivo nulla mi ferma.

Chi ti ha aiutato, in particolare?

Nonna Concetta, la mia musa ispiratrice. Senza di lei non sarei mai arrivato fin qui. Ha sempre una parola giusta e la soluzione ai problemi quotidiani. Sa come sistemare tutto e come far cambiare la giornata in meglio.

Il modello Mulinum ha fatto scuola in tutta Italia. Dopo il primo a San Floro, infatti, il progetto è stato replicato.

Sì, a fine luglio 2022 è nato il Mulinum di Buonconvento, in provincia di Siena.

È stata una bella sfida: abbiamo dovuto superare i mille ostacoli della burocrazia italiana. Ma ce l’abbiamo fatta. E non è poco, considerando che tutto è partito da un piccolo paese della Calabria. Presto cominceranno i lavori di costruzione del terzo Mulinum in Puglia, a Mesagne, vicino a Brindisi. E arrivano continuamente richieste da altre zone d’Italia. Il sogno è realizzarne uno in ogni regione. Per tale motivo, siamo sempre alla ricerca di nuovi soci, appassionati e folli come me, come noi. Intanto, con l’arrivo della primavera, avete in programma una serie di iniziative aperte a tutti.

Mulinum è anche cultura e tradizione,

arte e spettacolo. Organizziamo visite guidate, anche per le scolaresche, tra i campi di grani antichi e le macine in pietra. E poi ha preso il via il laboratorio Mani in pasta per insegnare a fare il pane come una volta e sono previste passeggiate alla scoperta del Giardino dei sonagli, installazione sonora curata dal musicista israeliano di fama internazionale Yuval Avital. Tra campi di grano e alberi d’ulivo, è possibile ammirare e ascoltare le centinaia di campane e sonagli provenienti da ogni angolo del Mediterraneo, sospinte dal vento del golfo di Squillace. Per l’estate abbiamo in mente una rassegna letteraria con incontri e presentazioni di libri scritti da autori che rappresentano l’eccellenza della narrativa e della saggistica italiana.

Dal 2021 sei Cavaliere dell’Ordine al

merito della Repubblica Italiana. Te lo aspettavi?

No, davvero. Ho ricevuto l’onorificenza a 33 anni, mentre l’età minima prevista per l’assegnazione è 35. C’è voluto un intervento del Presidente Sergio Mattarella. Mi ha inorgoglito profondamente e mi ha dato la conferma di essere sulla strada giusta. Grazie a questo importante riconoscimento, recentemente sono stato anche protagonista di una puntata del programma Nuovi eroi, su Rai3, dedicata alla mia folle impresa. Ammetto che è una bella soddisfazione per un ragazzo del Sud: dalla guerra a una discarica è nata un’azienda produttiva che attira migliaia di persone, tra clienti, soci e visitatori, e macina continui successi.

mulinum.it

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Stefano Caccavari davanti a un’antica macina a pietra L’interno del Mulinum a San Floro

save the date MARZO 2023

ROMA FINO AL 10 APRILE

Oltre cento opere d’arte e un ampio panorama documentario, fotografico e sonoro sono riuniti negli spazi delle Scuderie del Quirinale per testimoniare l’impegno lungimirante delle donne e degli uomini che custodirono e recuperarono capolavori messi a rischio durante la Seconda guerra mondiale. Il progetto espositivo, curato da Luigi Gallo e Raffaella Morselli, si sviluppa attraverso diversi filoni narrativi: si va dall’alterazione del mercato dell’arte per assecondare i desideri collezionistici di Adolf Hitler alle missioni per riportare in Italia le opere trafugate. Una trama articolata in cui trova spazio anche il racconto di un nuovo modello di tutela dei beni culturali, creato a partire dagli esiti drammatici del conflitto. La mostra rappresenta un’occasione unica per ammirare opere di grande valore artistico, fortunatamente sopravvissute, dalla Danae di Tiziano

BERGAMO JAZZ FESTIVAL  BERGAMO 19>26 MARZO

La kermesse musicale, organizzata nell’ambito degli eventi che celebrano Bergamo Brescia Capitale della cultura, giunge quest’anno alla sua 44esima edizione. Diretta da Maria Pia De Vito, porta in città artisti nazionali e internazionali come la cantante americana Cécile McLorin Salvant o il duo composto da Paolo Fresu e Rita Marcotulli. A ospitarli, oltre ai palchi del Teatro Donizetti e del Teatro sociale, chiese, musei e locali che per l’occasione si trasformano in veri jazz club. Spazio anche ai giovani talenti e alla didattica, con incontri dedicati agli studenti delle scuole secondarie. Un’occasione per immergersi nell’universo variegato e vitale di un genere musicale in continua evoluzione. teatrodonizetti.it

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a cura di Angela Alexandra D’Orso - a.dorso@fsitaliane.it - Irene Marrapodi - i.marrapodi@fsitaliane.it - Francesca Ventre - f.ventre@fsitaliane.it ARTE LIBERATA 1937-1947. CAPOLAVORI SALVATI DALLA GUERRA Danae di Tiziano Vecellio (1544-1545) Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte Vecellio ai ritratti di Alessandro Manzoni firmati da Francesco Hayez. Arricchiscono il percorso estratti da filmati d’epoca, testimonianze di una delle pagine più buie nella storia del Paese. scuderiequirinale.it Un'esibizione durante l'edizione 2022 del Bergamo jazz festival © Giorgia Corti

DA MONET

A PICASSO. CAPOLAVORI DELLA JOHANNESBURG ART GALLERY

TORINO FINO AL 7 MAGGIO

Dalla galleria più grande del continente africano, fondata nel primo ‘900 per volere della nobile collezionista Florence Phillips, arrivano in Italia 63 opere dei più celebrati artisti di tutti i tempi. Allestita tra le stanze del seicentesco Palazzo Barolo, la mostra dedica le prime sale alla pittura inglese e francese dell’800, per poi proseguire con la scena novecentesca europea e una panoramica sull’arte sudafricana. Incantando così i visitatori con la Primavera di Claude Monet, i ritratti a matita di Amedeo Modigliani, i disegni a carboncino di Vincent van Gogh e un capolavoro di Dante Gabriel Rossetti, tra i massimi esponenti dei preraffaelliti, che rappresenta la perla della collezione. mostrajag.it

MILANO

La fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili conta nove aree espositive, dal food al turismo, e un ricco programma per adulti, giovani e scuole. Organizzata dalla casa editrice Terre di mezzo e arrivata alla 19esima edizione, la rassegna di tre giorni crea le migliori sinergie tra associazioni, istituzioni e imprenditori locali. Con l’obiettivo di adottare la sostenibilità a 360 gradi, dalla lotta quotidiana allo spreco all’economia circolare fino al turismo lento. Girando tra i 500 stand si possono conoscere tante realtà innovative provenienti da tutt’Italia. Un’area in particolare è dedicata a Turismo consapevole e grandi cammini, con proposte di viaggi che guardano alla salvaguardia ecologica e ai diritti dei popoli, promuovendo e valorizzando itinerari ad hoc. falacosagiusta.org

ĂQUAE NATUROGRAFIE. ROBERTO GHEZZI SOLO EXHIBITION

VENEZIA FINO AL 1° MAGGIO

Le Naturografie di Roberto Ghezzi sono opere realizzate attraverso un originale processo artistico che prevede l’intervento dei fenomeni ambientali. Le tele vengono posizionate all’aperto, esposte ad agenti atmosferici e organismi animali e vegetali che le modificano definendone l’identità. Quelle nella mostra allestita al Fondaco dei tedeschi, a cura di Start cultura, sono rimaste immerse per oltre sei mesi nelle acque della Laguna e sono dei veri autoritratti di Venezia, “sindoni” d’autore dove l’ambiente anfibio e la natura terracquea si raccontano in modo sorprendente. Il progetto è realizzato in collaborazione con l’Autorità portuale di Venezia, il Cnr e il Wwf, a conferma del suo valore scientifico oltreché artistico. dfs.com/it/venice

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FA’ LA COSA GIUSTA! 24>26 MARZO Un allestimento creato per la mostra © Matteo De Fina Regina Cordium di Dante Gabriel Rossetti (1860) © Johannesburg Art Gallery © nuzzoR

FIERA DEL CICLOTURISMO BOLOGNA 1-2 APRILE

L’utilizzo di mezzi di trasporto a basso impatto ambientale è sempre più diffuso e va di pari passo con un approccio al turismo sempre più lento e sostenibile. Dopo la prima edizione, che ha coinvolto circa 15mila partecipanti, allo spazio DumBo di Bologna torna la grande fiera dedicata agli appassionati delle avventure a pedali. Agli espositori, pronti a proporre la meta perfetta da visitare in bicicletta o i migliori accessori per un viaggio su due ruote, si affiancano i relatori dei Bikeitalia talk che propongono itinerari e destinazioni inedite. Ad aprire il fine settimana, il 31 marzo, una giornata introduttiva dedicata agli operatori del settore. fieradelcicloturismo.it

LUCA GIORDANO A FIRENZE

FIRENZE 30 MARZO>5 SETTEMBRE

Cicli di affreschi barocchi decorano le volte della biblioteca e della Galleria degli specchi dello storico Palazzo Medici Riccardi. L’autore è Luca Giordano, pittore napoletano così prolifico da essere soprannominato Luca “Fapresto” per la velocità delle sue esecuzioni. Oggi il capoluogo toscano rende omaggio all’artista esponendo nel palazzo oltre 50 opere provenienti da collezioni private, da musei italiani e dalla National Gallery di Londra. All’esposizione si associa un percorso “fuori mostra” che invita il pubblico a visitare anche altri luoghi cittadini in cui sono conservati affreschi dell’artista: Palazzo Pitti, Gallerie degli Uffizi, Galleria Corsini, le chiese di Santa Maria del Carmine e Santa Maria Maddalena dei Pazzi e Palazzo Martelli. palazzomediciriccardi.it

HABITAT. LE FORME E I MODI DELLA NATURA JESI (ANCONA) FINO ALL’11 APRILE

Ogni giorno l’umanità si interfaccia con il mondo naturale e vi si immerge per poi indagarlo dall’esterno. Eppure, il cosmo resta avvolto da un fascino misterioso, che attrae gli artisti e gli scienziati, ansiosi di svelarne i segreti. Nel cinquecentesco Palazzo Bisaccioni, una selezione di circa 40 opere del XX e XXI secolo è dedicata proprio all’estetica e alla funzione sociale delle forze naturali. Attraverso un’analisi di come la percezione dell’ambiente circostante si sia modificata nel tempo, tra l’evolversi del settore tecnico e industriale e la nascita di nuove tematiche tra cui l’ecologia, l’esposizione offre un ampio spaccato sul rapporto tra uomo e natura. Così, dalle vedute di Giorgio de Chirico si passa alle sequenze stranianti di Ólafur Elíasson fino alle provocazioni intellettuali di Eugenio Miccini. Addentrandosi nell’universo attraverso lo sguardo umano. fondazionecrj.it

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AGENDA
Due turisti in bicicletta nella stazione di Isola del Liri (Frosinone) Minerva protettrice delle Arti e delle Scienze di Luca Giordano © Antonio Quattrone Gli dei non amano il disordine (1972) di Eugenio Miccini Courtesy Archivio Patrimonio artistico Intesa San Paolo © Paolo Vandrasch, Milano © Fabio Spalvieri

MATERIA. IL LEGNO CHE NON BRUCIÒ AD ERCOLANO PORTICI (NAPOLI) FINO AL 31 DICEMBRE

La cittadina campana che, nel 79 d.C., subì insieme a Pompei la terribile eruzione del Vesuvio è l’unica ad aver conservato reperti in legno, che si sono carbonizzati ma non bruciati. La coltre piroclastica spessa circa 20 metri, infatti, ricoprì un patrimonio unico di arredi e oggetti frutto di un sapiente lavoro artigianale. La mostra allestita nella settecentesca Reggia borbonica ne presenta 120, tra serramenti, porte, finestre, armadi, casse, letti e tavolini finemente decorati. Tra questi spiccano frammenti dipinti del tetto appartenente alla Casa del rilievo di Telefo e mobili rivestiti in avorio ritrovati nella Villa dei papiri. Il percorso è reso emozionale da installazioni di luci e suoni e dall’immersione nei profumi del legno, con approdo virtuale fino al mare, tra i resti di imbarcazioni risalenti a duemila anni fa. materiainmostra.it

LA SPIRALE DI COSTAS VAROTSOS

GIBELLINA (TRAPANI) FINO AL 30 SETTEMBRE

La grande opera in ferro e vetro firmata dall’artista greco ha lasciato il Parco archeologico di Segesta, dove è stata esposta da aprile a novembre 2022, per raggiungere la cittadina del trapanese. Grazie alla collaborazione con la Fondazione Merz, la Spirale viene ospitata negli spazi esterni del Baglio Di Stefano. La figura circolare intreccia energia e natura, con un effetto potenziato dalla luce che si riflette sul vetro, creando uno spazio ideale e senza limiti. L’artista utilizza la trasparenza per portare lo sguardo di chi osserva oltre l’opera. La creazione rappresenta una metafora dei cicli della vita, offrendo una riflessione sulla condizione umana e sul suo rapporto con l’universo. fondazioneorestiadi.it

BARI INTERNATIONAL FILM&TV FESTIVAL BARI 24 MARZO>1° APRILE

Giunto alla 14esima edizione, Bif&st si appresta a richiamare anche quest’anno migliaia di spettatori, pronti a visitare alcune delle più belle sale della città, come quelle del Teatro Petruzzelli e del Kursaal Santalucia, per una settimana dedicata a cinema e televisione. Il festival è presieduto dal regista premio Oscar Volker Schlöndorff, con l’attrice e regista tedesca Margarethe von Trotta in qualità di presidente onoraria e propone proiezioni in anteprima internazionale, incontri, laboratori di sceneggiatura e premiazioni. E mentre sui palchi di Bari si susseguono i protagonisti della fiction e del cinema contemporaneo, non mancano gli omaggi ai colossi del passato, come quello a Federico Fellini per ricordare i 30 anni dalla sua scomparsa o alla casa di produzione Titanus che nel 2014 ne compirà 120. bifest.it

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Dettaglio del controsoffitto a cassettoni dalla Casa del rilievo di Telefo © Luigi Spina Rocco Papaleo e la cantante Giorgia nel film Scordato, che apre il Bif&st 2023

I FAVATI: FIANO DI AVELLINO

PIETRAMARA 2021, FORZA ED ELEGANZA

Carla Giusy Favati e Rosanna Petrozziello con il marito Giancarlo sono alla guida di una cantina che esprime con forza ed eleganza il territorio irpino. Siamo a Cesinali, in provincia di Avellino, dove la vocazione vitivinicola è antica quanto profonda.

La cantina I Favati si estende su 15 ettari vitati dai quali produce vere eccellenze utilizzando i vitigni docg della Campania quali Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo. Etichette da scoprire e degustare una per una come il Terrantica etichetta bianca, l’Aglianico Cretarossa e il Taurasi Terzotratto. Ampi ventagli olfattivi per vini possenti, nobili e intensi nelle precise note gustative.

Pietramara è il Fiano di Avellino, dalla singola omonima vigna ad Atripalda, sulla fascia collinare irpina. Un vino in purezza dai lunghi affinamenti che rappresenta la passione della famiglia e la qualità del suo lavoro. Al naso si presenta elegante nei sentori fruttati, con intriganti note aromatiche e frutta secca. Al palato scende con freschezza, sapidità e carattere, regalando un lungo intenso finale. Dalla medesima vigna nasce anche una piccola selezione riserva, il Fiano di Avellino Pietramara etichetta bianca. L’azienda I Favati sta compiendo anche un bellissimo lavoro sul Taurasi grazie a nuovi vigneti che promettono grandi soddisfazioni. cantineifavati.it

HORTERIA, UN NUOVO INDIRIZZO MILANESE CHE UNISCE TALENTO E CREATIVITÀ

Proprietari dinamici e una brigata giovane e motivata in cucina, dove la passione e la tecnica consentono soluzioni di originale e concreta creatività gastronomica.

Giorgia Codato e Mauro Salerno, compagni di vita e lavoro, hanno scelto Milano per portare la loro proposta al pubblico. Materie prime selezionate dai migliori artigiani del gusto, tra cui il babbo di Giorgia che dalle bellissime campagne di Mirano, in Veneto, fa arrivare ortaggi fantastici. Sul tavolo anche l’olio che il papà di Mauro produce in Cilento. In cucina vige il concetto di responsabilità orizzontale: tre giovani cuochi, età media 25 anni, che si dividono il lavoro. Roberto Cogni è lo chef ai primi e al pass. Hisham Bendebka cura i secondi. Agli antipasti e ai dolci c’è Leandro Santoli. Tutti hanno idee chiare e notevole talento. I piatti sono di alto livello, buoni e di fascino e nascono da ricerca e dedizione. Da provare la Tartare di fassona, aceto di pesce, marmellata di tuorlo, carota viola e farinata soffiata, intensa ed equilibrata al tempo stesso. Dal mare arriva la Razza con fondo di carne e radicchio tardivo glassato, raffinata e buonissima. Dalla terra la Quaglia ripiena di topinambur, bergamotto e cipollino alla brace, una gioia per il palato.

La carta dei vini esprime la capacità di Salerno di portare alla luce capolavori di piccoli produttori e vere chicche enologiche, vincenti anche nel rapporto tra qualità e prezzo. Sala piacevole e accogliente per un indirizzo da segnare e frequentare. horteria.it

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Fiano di Avellino Pietramara della cantina I Favati Il team di Horteria, Milano © Alessio Cremonini

HOTEL NATIONAL A RIMINI, LA CITTÀ ALLE SPALLE, IL MARE DAVANTI

Un hotel dove si torna sempre con grande piacere, sapendo di trovare quei piccoli e grandi dettagli che fanno dell’ospitalità un’arte. Il merito è dell’esperienza della famiglia Grossi, albergatori di successo la cui storia comincia alla fine del XIX secolo. Sono stati Pierluigi e Giuseppe a rendere il National un luogo capace di far sentire gli ospiti davvero a casa. Uomini di grandi passioni: il primo per l’architettura, il secondo per i motori. Giuseppe, infatti, è stato anche un pilota di rally, con 53 vittorie su 201 gare disputate. Oggi è sua moglie Sara Clerici, con i figli Michela e Angelo, a condurre con eleganza e grande senso dell’ospitalità una struttura dove tutto è curato e il filo conduttore è la bellezza, tra design e mobili antichi. Il valore aggiunto dell’hotel è il ristorante con la sala che guarda il mare e sui tavoli tovaglie bianche e posate d’argento con lo stemma della famiglia.

La cucina è guidata dal talento e dall’esperienza dello chef Giorgio Bianchi, che rende il percorso gastronomico davvero affascinate. Nel menù il Riso carnaroli dell’azienda Mignone sfumato al Barbera con pistilli di zafferano e fungo porcino, un piatto che nasce dai ricordi d’infanzia di Bianchi. Da non perdere il Polpo, con il tentacolo alla brace e deliziose polpette con maionese al wasabi. Ghiotto. Una grande famiglia sorridente quella del National, dal maître Rocco a Marzia, la responsabile del ricevimento. Oltre a loro, il mare, la piscina e la Spa fanno sempre venire voglia di tornare. nationalhotel.it

SERRE DI PEDERIVA: VITICOLTURA EROICA PER UN OTTIMO VALDOBBIADENE DOCG

Una storia che ha come protagonisti una terra bellissima – le colline del Conegliano Valdobbiadene, in provincia di Treviso, Patrimonio Unesco – e un gruppo di uomini che hanno superato la fatica dell’emigrazione in terre lontane per tornare poi in quel fazzoletto di ripidi pendii, tempestato di vigneti, e dedicarsi all’enologia eroica. Perché il Glera, vitigno a bacca bianca, si coltiva e vendemmia esclusivamente a mano.

Così fecero le famiglie di Camillo Pederiva e Rosa Mattiola, titolari di Serre, che nel 1956 acquistarono diversi appezzamenti dai conti Brandolini d’Adda, a Combai, uno dei 12 comuni del Prosecco che può fregiarsi di chiamare Rive i propri Docg Valdobbiadene, prodotti con uve provenienti da vigneti in forte pendenza in un territorio dalla perfetta escursione termica. Il felice ricambio generazionale, con i figli Luca e Marco, ha consentito all’azienda di proseguire sulla strada della qualità. Serre produce una batteria di quattro vini eleganti e identitari. Erres extra brut, dai profumi di frutta fresca e fiori estivi. Il Lovrè extra dry, vellutato e croccante. Il Tréser, un brut dai profumi esotici che scende al palato snello e diretto. Il Colsentà, un dry dal naso delicato e profumato con un sorso rotondo e docile, perfetto come aperitivo. I vini di Serre di Pederiva sono distribuiti

I Valdobbiadene Docg di Serre di Pederiva

dalla società Rinaldi, fondata nel 1957 a Bologna dai fratelli Vittorio e Rinaldo, poi rilevata nel 1983 da Vittorio Tamburi, membro della famiglia, che oggi la guida.

proseccoserre.com

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Una delle stanze dell’hotel National a Rimini

WHAT’S UP

© Rasero Guberti/GRM Foto 34

L’IMPORTANTE È (NON) RIDERE

NINO FRASSICA È TRA I PROTAGONISTI DELLA

TERZA EDIZIONE DI LOL: CHI RIDE È FUORI, DAL 9 MARZO SU PRIME VIDEO

La prima edizione del comedy show LOL: chi ride è fuori ha fatto gridare al cult. La seconda ha consolidato il successo e la terza, dal 9 marzo su Prime Video, promette di far divertire ancora di più. A partire dal cast stellare che va da Luca e Paolo a Herbert Ballerina, passando per Paolo Cevoli, Marina Massironi e Fabio Balsamo dei The Jackal, fino a una star della risata come Nino Frassica, che tutte le domeniche partecipa anche al format di Rai3 Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio. Com’è andata l’avventura di LOL?

Da spettatore, la prima stagione mi ha entusiasmato. Quando le idee sono semplici hanno subito una presa sul pubblico. Mi avevano chiamato per la seconda edizione, ma ero già impegnato su altri lavori. Quando è arrivata la terza ho fatto di tutto per tenermi libero. Giocare con i colleghi e fare caciara in piena libertà è stato bello. Siamo tutti comici e si dovrebbe ridere sempre, proprio per questo bisogna riuscire a non farlo.

L’avversario che temeva di più?

Herbert Ballerina. Di fronte alla sua imprevedibilità non mi trattengo. E poi c’era anche un altro grande pericolo. Chi?

Me stesso. Quando la dico grossa, mi capita di ridere alle mie battute.

La sua comicità non stanca mai. Come ci riesce?

Cerco sempre di somigliare a me stesso ma anche di inventarmi qualcosa che nessuno ha mai fatto prima.

Se molti comici improvvisano battute su Blanco che spacca le fioriere a Sanremo, io preferisco essere fuori dal coro, come Mario Giordano. Per questo amo Teo Teocoli come imitatore: è originale e mette in scena personaggi che non tutti fanno. Poi c’è il virtuosismo, come quello di Maurizio Crozza, che è veramente bravo.

Il momento più bello della sua carriera?

A livello di felicità personale direi Quelli della notte, perché lì è arrivato il successo. Ma il momento più alto è stato Indietro tutta: con Renzo Arbore portavamo avanti un’ora di tv al giorno riuscendo a far divertire sempre. Chiunque può improvvisare, ma improvvisare e fare ridere non è così facile.

Cosa le piacerebbe fare in tv?

Una sitcom scritta da me su una banda di ladri. Ma finisco per posticiparla sempre.

Il viaggio che ricorda di più?

Quello in treno da Messina a Milano quando mi chiamò per la prima volta la Rai. Feci uno sketch in cui interpretavo il sindaco di Scasazza nel programma Il cappello sulle ventitré. Poi, però, non mi mandarono in onda: o non ero pronto io o non mi hanno capito loro. Ma quando lasciai messaggi divertenti nella segreteria telefonica di Arbore lui rise molto e mi prese subito. Ai giovani dico di non bussare a tutte le porte, ma a quelle giuste.

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di Gaspare Baglio gasparebaglio NinoFrassicaOff
36 WHAT’S UP © Simone Biavati

LA MIA VITA HIPPY

IL CANTAUTORE LEO GASSMANN AMA GIRARE IL MONDO

DA

SOLO. E PROPRIO I VIAGGI, REALI E IMMAGINARI, SONO AL CENTRO DEL SUO NUOVO ALBUM LA STRADA PER AGARTHA

Con il suo radiofonicissimo

Terzo cuore si è fatto notare alla 73esima edizione del Festival di Sanremo. Dopo quell’esperienza Leo Gassmann è pronto a percorrere La strada per Agartha, un nuovo progetto discografico che ha al centro il tema del viaggio. In attesa di partire per il tour ufficiale, con la sua band e quello unofficial per le strade italiane.

Qual è stata la genesi dell’album?

Nasce dal romanzo fantastico Il dio fumoso, di Willis George Emerson, simile a I viaggi di Gulliver. Mentre lo leggevo ho pensato che i luoghi narrati potessero esistere realmente. Il libro racconta di treni magnetici, nuovi modi di comunicare e di una popolazione di giganti che vive di agricoltura e musica in città costruite d’oro. Nella loro comunità c’è pace e non esistono povertà, odio, disparità. Mi sono immaginato di percorrere questo tragitto alla ricerca della bellezza della musica insieme ad artisti incontrati lungo il mio cammino.

Chi sono questi musicisti?

Will and the People, uno dei miei gruppi preferiti, con cui ho duettato in Without you ed Edoardo Bennato che ha cantato con me Io vorrei che per te. E poi c’è Rahul Ramble, un artista indiano con cui sono entrato in contatto perché suonava il pianoforte nell’aula magna della mia università. Il suo featuring compare in Figli dei fiori, un brano sulla rinascita che chiude l’album. Tornato dall’India mi ha rivelato che ora lavora a Bollywood e compone soundtrack per alcune serie Netflix. In pratica, questo disco è un progetto collettivo.

In che senso?

Dentro c’è la mia vita, con brani scritti anche da Lodo Guenzi dello Stato Sociale e da Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari. Ci sono sorrisi, pianti, ricerca. Si apre con un intro poetico di Massimo Dapporto, la cui voce mi ricorda tanto quella di nonno e mi fa tornare bambino. Credo possa arrivare dritto al cuore e incoraggiare i ragazzi che fanno musica. Mi piace

ispirare le persone a essere migliori e sono sicuro che anche tra chi mi ascolta c’è qualcuno che diventerà un faro illuminante per gli altri. Quanto è importante il viaggio nel tuo percorso umano e professionale?

Importantissimo. Spesso giro il mondo da solo e incontro persone che si uniscono al mio peregrinare. In estate sono stato in Sardegna, a Valle della Luna, dove Lucio Battisti concepì la hit Il nostro caro angelo. Ho incontrato una comunità hippy un po’ decadente ma poeticamente molto bella. Ho dormito con loro nelle grotte, staccandomi dal frastuono delle città. Ricordo che c’era una spiaggia bellissima e abbandonata, con centinaia di migliaia di libellule che facevano l’amore in aria: erano bellissime. Il viaggio è una metafora della vita, ci sono momenti entusiasmanti e avvenimenti inaspettati a cui devi adattarti.

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di Gaspare Baglio gasparebaglio

SHOWGIRL PER SEMPRE

LORELLA CUCCARINI SCALDA I MOTORI PER IL SERALE DI AMICI E UN NUOVO SPETTACOLO TEATRALE. E SVELA IL DESIDERIO DI RICOMINCIARE A CANTARE

C’è poco da discutere: Lorella Cuccarini è una che lo spettacolo lo sa fare. Un esempio? La serata delle cover all’ultimo Festival di Sanremo quando, insieme al rapper Olly, ha intonato la hit che è la sua bandiera: La notte vola

Di colpo è ritornata a essere la più amata dagli italiani, che hanno letteralmente intasato i social di complimenti. In effetti, Cuccarini non sembra essere stata minimamente scalfita dal tempo: resta una showgirl completa, capace di passare da format di successo come Fantastico e Paperissima a musical da record tra cui Grease e Rapunzel fino a dischi e serie tv (chi non ricorda il cult Piazza di Spagna?).

Oggi è nel corpo docente del talent show Amici di Maria

De Filippi, la cui fase finale, salvo cambiamenti, dovrebbe partire il 18 marzo su Canale 5.

Con Amici hai avuto un’altra rinascita.

Iniziare un nuovo corso, con un ruolo inedito. E stare insieme ai giovani è rigenerante. Pronta per il serale?

È la cartina di tornasole di un anno di lavoro, un momento stimolante dal punto di vista creativo. Al serale, come sempre, ci aspettiamo un grande show: non vedo l’ora di fare i numeri corali, mescolando canto e ballo.

C’è qualcosa che, a questo punto della tua carriera, vorresti fare?

Mi sento veramente viva e compresa, in senso totale, a teatro. Sono in un momento della mia vita in cui non scalpito per essere protagonista assoluta. Abbraccio progetti che mi rendono felice e nei quali so di poter dare il massimo.

Come Amici, una dimensione in cui mi trovo benissimo. Ti sei sempre messa in gioco. Chi ti ha insegnato a farlo? Ho imparato a prendermi meno sul serio quando ho cominciato a lavorare con Antonio Ricci a Odiens e a Paperissima Col tempo si raggiungono una consapevolezza e una leggerezza che fanno affrontare le cose con spirito diverso. Da giovani è normale temere di essere giudicati.

A quando uno show con le tue grandi hit o un nuovo progetto discografico?

Sto già lavorando a uno spettacolo teatrale, scritto da Gabriele Pignotta, che non è autocelebrativo ma mi permette un racconto con momenti amarcord. Sto pensando anche alla musica: mi è tornata voglia di cantare dopo la partecipazione al brano Un pacco per te del gruppo Il Pagante e il featuring nel disco di Cristina D’Avena sulle note di Magica Doremì. Non è detto che non succeda qualcosa prima dell’estate.

Oggi chi è Lorella Cuccarini?

Nei miei occhi vedo ancora l’entusiasmo di una ventenne nel corpo di una donna serena, che vive un momento appagante della vita. Mi sento amata, vivo bene gli anni che passano e sono felice di aver trasferito ai miei figli un bel bagaglio di valori ed esperienze. Amo quello che faccio e voglio continuare ad alzare sempre la posta: solo quando non avrò più quel brivido deciderò di appendere le scarpette al chiodo.

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di Gaspare Baglio gasparebaglio
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© Gianluca Saragò

ELECTRIC. ELECTRIC. ENJOY. givimoto.com

ENJOY.

DESIDERIAMO ISPIRARE LE PERSONE AD ADOTTARE UN LIFESTYLE PIÙ SOSTENIBILE, LO STILE DELLA MOBILITÀ ELETTRICA. Discover the GIVI Electric World

UN TRENO DI LIBRI

FAME D’ARIA

NELL’ULTIMO ROMANZO DI DANIELE MENCARELLI LE DIFFICOLTÀ, LA FATICA E IL DOLORE DI UN PADRE CON UN FIGLIO AUTISTICO. MA ANCHE GLI INCONTRI CHE AIUTANO A RIMETTERSI IN MARCIA

Igenitori dei figli sani non sanno niente». Questa volta Daniele Mencarelli parte da un tema diverso rispetto ai romanzi precedenti, per indagare un disturbo pervasivo del neurosviluppo e raccontare il rapporto tra un figlio autistico, Jacopo, e un padre, Pietro, 50 anni e un lavoro da grafico a 1.380 euro al mese.

Dunque, con un dolore diverso ma sempre uguale, l’autore torna in libreria per Mondadori con Fame d’aria. Un titolo che contiene le mille sfumature di un’esistenza difficile. Fatta di dolore, appunto. Il medesimo delle storie trascorse, quello che c’è in tutti i romanzi di Mencarelli, uno scrittore che si prende la responsabilità di osservarlo, assaporarlo e ricordarlo, ma soprattutto descriverlo, anche nelle forme più terribili.

Il protagonista è un uomo adulto, un padre molto arrabbiato, stanco e dimentico delle proprie esigenze perché tutte le energie sono rivolte al figlio, che non riesce a vestirsi da solo, a cambiarsi da solo, a mangiare da solo. Il disturbo di Jacopo gli ha riempito la vita e l’ha resa molto più ostica del previsto, aggravata dal fatto che Pietro si sente abbandonato, soprattutto economicamente,

dalla società e dalle istituzioni. Il romanzo comincia in auto, mentre Pietro è con il figlio diretto a Marina di Ginosa, il luogo nel Tarantino in cui è avvenuto il primo incontro e colpo di fulmine con Bianca, sua moglie e madre di Jacopo. Un guasto alla Golf, però, li blocca in Molise ed è così che s’inseriscono nella scena tre personaggi che li aiuteranno a rimettersi in marcia: Oliviero, automobilista di passaggio e meccanico, Agata, che gestisce un bar con pensione e ospiterà padre e figlio, Gaia, aiutante di Agata, che per una manciata di ore farà dimenticare a Pietro la sua vita in affanno, semplicemente chiedendogli: «Tu come stai?». Proprio come in tutte le storie di Mencarelli, saranno l’incontro e il confronto con un’umanità altra, più vera e autentica, spassionata, eroica pur nella disperazione, a cambiare il passo non della narrazione ma del substrato emotivo.

La parola chiave del romanzo è normalità, quella che tutti diamo per scontata e che invece, come sottolinea l’autore, è tutt’altro che ordinaria. Ed è sempre lo scrittore a ricordarci, raccontandocelo con un amore vivo e sofferto, talvolta anche rabbioso, che sono i cortocircuiti dell’esistenza a condizionare

l’essere umano: Pietro è un padre devoto e dedito a suo figlio, ma non può fare a meno di autodistruggersi entrando in competizione con la malattia. Con Fame d’aria Mencarelli si conferma un narratore – e poeta – sensibile, umano e coraggioso. Quello che la letteratura contemporanea cercava già da un po’ e di cui aveva bisogno.

Mondadori, pp. 180 € 19

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Invito alla lettura
«
di Giulia Ciarapica [blogger culturale e scrittrice selezionata dall’accademia Molly Bloom*]

Il miracolo I genitori dei figli sani non sanno niente.

Pietro sfila i pantaloni a Jacopo con un gesto secco, preciso, fa venire in mente quei giocolieri che tolgono la tovaglia dal tavolo lasciando sopra piatti e bicchieri, la perizia del gesto è frutto d’esperienza e continua pratica. Jacopo si fissa su di lui per un momento più lungo del solito, sembra improvvisamente consapevole.

Il padre per tanto tempo ha vissuto questi suoi sguardi all’apparenza lucidi come la vigilia di un possibile risveglio, quello che lui ha desiderato per anni.

Lo ha desiderato come si può desiderare un miracolo. Si è prosciugato gli occhi a forza di chiedere anche quello.

Un miracolo.

Un figlio normale.

Non un estraneo pure a se stesso.

Che vive e ama da animale, legato al proprio branco dall’odore, per istinto.

Ma l’amore degli uomini, persino l’amore, richiede un minimo di ragione, di intelletto.

Pietro su questo non ha più dubbi.

Lo Scrondo ama da bestia.

Non si stacca mai da chi lo ha generato.

Come un cucciolo di cane che segue passo passo chi lo alimenta e proteg-

ge, da sempre.

Il miracolo non è mai arrivato.

Come unica risposta, da est è spuntato l’odio.

Ha ricoperto tutto, i sani e i malati, la vita intera.

Per anni è stato così.

Poi pure l’odio è tramontato.

Resta la rabbia, quando esplode. […]

Sotto le coperte

Lo Scrondo è ancora sveglio.

Fissa il soffitto, immobile, in fondo il suo stato di veglia è già di per sé una specie di sonno.

Pietro è a letto, pure lui pronto a chiudere la giornata, guarda al telefonino le previsioni a Marina di Ginosa, non solo il meteo ma anche quelle del mare.

Le notizie sono buone: malgrado sia novembre, lunedì dovrebbero esserci venti gradi come temperatura massima, sole splendente e mare calmo. Il display si scurisce, il telefonino ha finito la riserva di energia e fra trenta secondi si spegnerà, nello stesso istante gli arriva la notifica di un messaggio, decide di metterlo in carica, è troppo stanco per fare qualsiasi cosa. All’improvviso scatta, si tira su dal letto, in mutande e canottiera si mostra in tutta la sua magrezza. Peserà al massimo una sessantina di chili. Le scapole gli spuntano sotto il bianco del cotone. Afferra la maglietta del figlio, sporca di sugo, va in bagno e la mette

nel lavandino, con il tappo di gomma secca chiude il lavabo.

Apre la manopola dell’acqua calda, gli si ripropone il problema che ha avuto per lavare lo Scrondo: non c’è niente in quel bagno, a partire dal sapone. Nel box doccia vede la bustina dello shampoo che ha usato per fargli il bidé.

La prende e la strizza al meglio che può sulla maglia.

Escono un paio di gocce.

Smuove l’acqua per fare un po’ di schiuma.

Il risultato è pari a zero.

Decide di lasciarla a mollo.

Torna al suo letto.

Il figlio si è addormentato. Un brivido lo fa improvvisamente stringere fra le braccia, gli è preso freddo, Pietro si mette sotto le coperte, si copre fino alla testa. Tutto accovacciato, in posizione fetale. A guardarli, ora, il figlio sembra il padre.

Il padre un bambino. […]

Lo Scrondo

Alla fine degli anni ’80, in un programma di Italia 1, comparve un nano verde, erotomane quanto maleducato, lui e il suo dialetto romano di borgata, osceno, orribile.

Il re del freak.

Lo Scrondo.

Pietro era un adolescente e se ne appassionò, lo faceva morire dalle risate,

UN TRENO DI LIBRI 42 ©
phokrates/AdobeStock

così scorretto, volgare, in fondo come tutti gli adolescenti vorrebbero essere, ubbidiente solo alla sua vorace tempesta ormonale.

Negli anni, nel lessico del ragazzo via via uomo, questo termine rimase.

Per nominare gli strani, gli irregolari, gli anormali.

I mostri.

Un soprannome cattivo, da affibbiare per trarre dalla disgrazia altrui una battuta.

«Guarda quello come cammina!»

«Ma quello come parla!» «Guarda che brutto!»

Per ognuno, Pietro aveva il nome pronto.

Con gli amici faceva sempre centro.

«Guarda quello che Scrondo!»

E giù a ridere come pazzi. Preistoria.

Poi arrivò Bianca. Jacopo.

E quel soprannome cattivo divenne per Pietro un rimorso da venerare ogni notte.

La colpa era sua. Per tutti quelli che aveva battezzato con quel nome.

Glielo diceva sua madre, prima di morire, che il male altrui va rispettato. Ed ecco la condanna.

Occhio per occhio, Scrondo per Scrondo.

E a lui era capitato il principe, l’erede al trono.

Il più Scrondo di tutti.

Quello che nemmeno parla, nemmeno pensa, mentre con buona precisione si piscia e caca addosso.

Soltanto Pietro, ovviamente, sa che suo figlio ha smesso di essere Jacopo da tanto tempo.

Anche quella oramai è storia lontana. Ricorda il momento preciso, la cicatrice che glielo rammenta è nel suo cervello.

Sino ad allora aveva impedito a se stesso di sovrapporre al nome del figlio quello dello Scrondo, anzi, semmai aveva lottato per gridare al mondo che non lo era, e quanto ci aveva creduto, sperato.

Una mattina, Jacopo avrà avuto al massimo dieci anni, iniziò a cadere dentro la vasca da bagno di casa, provava a mettersi in piedi e poi giù, di nuovo.

Una culata dopo l’altra.

Pietro passò dal pianto al sorriso. Sentì nel cuore una frattura, percepì il momento esatto in cui l’amore divenne altro.

«Scrondo». «Scrondo».

In quel momento, anche il suo dolore, quello che lo accompagnava dalla prima volta in cui gli comunicarono che il figlio era malato, assunse altra forma.

Da dolore a repulsione. A odio.

[…]

Nessuno ride

«Potreste mettere il sapone e lo shampoo nel bagno? Non c’è niente».

Agata sta poggiando sul banco del bar un caffè e un cappuccino per una coppia molto anziana.

«Buongiorno. Dormito bene?»

Pietro si rende conto di essere stato sgraziato. Al suo fianco c’è Jacopo, con un maglione blu e rosso, quello del “kit d’abbigliamento d’emergenza”, lui invece è vestito esattamente come ieri.

«Buongiorno, sì, abbiamo dormito bene, solo che ieri la ragazza si è dimenticata di mettere nel bagno…»

«Ho capito. Appena arriva Gaia la mando all’alimentari qua vicino e risolviamo. Che vi porto per colazione, che prendete?»

Nella vetrina trasparente del bancone fanno bella mostra cornetti vari, poi

danesi, un paio di sfoglie.

«Per me caffè, per Jacopo un latte bianco, e due cornetti semplici». Vanno a sedersi.

Il bar si riempie a folate, ora è abbastanza pieno, per la prima volta fra i clienti ci sono dei ragazzi, due maschi e una femmina, in attesa del loro turno.

Sono vestiti esattamente come quelli che vede ad Anagni. Pietro resta colpito soprattutto dalle scarpe che portano. Una volta, prima che prendessero l’appellativo inglese, “sneakers”, si chiamavano molto più alla buona “scarpe da ginnastica”. E anche il prez-

Lo Scrondo, personaggio televisivo italiano degli anni ‘80

43 Un assaggio di lettura
© urbazon/GettyImages © Elisabetta A. Villa/GettyImages

zo era molto più alla buona, popolare. L’ultima volta che hanno comprato quelle dello Scrondo, in un grande centro commerciale accanto all’autostrada, è rimasto senza parole a vedere il prezzo del modello che uno dei tre ha in questo momento ai piedi. Centonovanta euro.

Lui con quella cifra sfama moglie e figlio per quasi tre settimane.

Ma lui è un economo come pochi altri sulla faccia della terra.

Più che economo, un esperto di sopravvivenza, o più semplicemente un povero.

Agata arriva con un vassoio, poggia caffè e latte, poi i due piattini con i cornetti.

«Buon appetito».

Dalla porta, intanto, si è affacciato Oliviero.

Cercava proprio Pietro, si avvicina al tavolo dove siede con il figlio.

«Gliel’hanno portato il disco?»

Il meccanico scrolla la testa.

«Gliel’ho detto, se tutto va bene mi arriva in tarda mattinata, intanto ho smontato la macchina, così appena me lo consegnano lo posso sostituire. Ma non è per questo che sono qui. Da quanto non fa controllare l’impianto GPL? A partire dal serbatoio mi sembra messo male male, io non lo tocco perché non ho i permessi, ma è un rischio enorme».

Oliviero, di solito bonario, disponibile, stavolta guarda Pietro con severità.

«Non è pericoloso solo per lei, ma pure per gli altri».

Lui non sa che rispondere. Prende il grande bicchiere di latte bianco e lo porta alla bocca del figlio un po’ come fosse una manovra di distrazione, e perché sa che il cuore del meccanico è facile alla compassione.

«Il caffè è pronto».

Agata, come si fa con i clienti di una vita, ha preparato quello che Oliviero non ha avuto bisogno di chiederle. Lui va verso il bancone e Pietro ha modo

di rifiatare.

Lo Scrondo, però, compie uno strano gesto inconsulto con la spalla, il padre si fa trovare impreparato e il risultato è un fiotto di latte che esce dal bicchiere per cadere sul maglione blu e rosso del figlio.

Di maglioni nel kit d’emergenza c’è solo quello. E poi Pietro ha dovuto sorbirsi il rimprovero di Oliviero senza poter dire nulla, come fosse un bambino di cinquant’anni. La sente montare, cerca di opporsi ma sa di fallire, come sempre.

La rabbia gli avvampa il sangue. «Guarda che cazzo hai fatto».

Prova a tamponare il latte che ha intriso il maglione con alcuni fazzoletti presi dal tavolo accanto al loro, ma ci vorrebbe altro.

«Faccia con questo», Agata gli passa uno strofinaccio pulito.

Pietro riprende ad asciugare lo Scrondo, i suoi gesti sono lo specchio del suo umore, sempre più brutali, furenti. «Mmmmm».

Jacopo si esprime con il solo verso che conosca, la bocca gli rimane spalancata in una specie di smorfia a testimonianza del male che il padre gli sta facendo.

«Faccia più piano, gli fa male così».

Gli occhi di carbone di Agata fissano Pietro con una durezza mai vista. «Macché male, male un cazzo».

Le risponde mentre non smette di passare lo straccio sul fianco del figlio.

Poi, si blocca.

Con uno sforzo enorme riesce a placarsi.

Tenta di ritornare a una parvenza di normalità.

Sorride in direzione di Agata e Oliviero. O meglio, ci prova.

«Ci voleva un po’ di olio di gomito». La sua vorrebbe essere una battuta, la sottolinea con una specie di risata. Ma, oltre lui, nessuno ride.

[…]

ACCADEMIA MOLLY BLOOM*

La nostra rubrica Un treno di libri è a cura di Molly Bloom, l’accademia fondata a Roma da Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, che riunisce alcuni dei migliori scrittori, registi, sceneggiatori, musicisti e giornalisti del Paese. Con un unico fine: insegnare la scrittura creativa per applicarla ai campi della letteratura, della musica, dello spettacolo, dei media e del business.  mollybloom.it

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Un assaggio di lettura
UN TRENO DI LIBRI
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Lo scaffale della Freccia a cura di Gaspare Baglio e Sandra Gesualdi

ROGUES: I NEMICI DI FLASH

Geia Laconi

Giunti, pp. 216 € 17

I genitori dell’autrice, nel cui nome risuona la Terra, si incontrano alla fine degli anni ‘70 in Africa, dove decidono di andare insieme ad altri giovani per vivere un’esperienza di vita lontana dalle ipocrisie capitaliste. Lei è fiorentina, lui indonesiano. Geia nasce e vive la fanciullezza in Indonesia per poi trasferirsi in Italia, dove cresce portando in sé un costante richiamo a un altrove misterioso e potente. Una storia autobiografica di ricerca delle proprie radici.

Leomacs, Joshua Williamson Panini, pp. 216 € 33 Proprio quando l’universo cinematografico di Superman, Batman e Flash è sull’orlo di un reboot, come dichiarato da James Gunn, direttore creativo dei DC Studios, esce questa storia a fumetti in cui i nemici del velocista scarlatto, dopo essersi separati, vivono un’esistenza senza prospettive, fatta di frustrazioni e reclusioni. Un ultimo colpo potrebbe ribaltare le loro esistenze, riscattarli e garantire un domani migliore. Opportunità che Capitan Cold non vuole lasciarsi scappare.

LE ROMANE

Roberta Petronio, Laura Pranzetti Lombardini Gribaudo, pp. 200 € 16,90

Un viaggio dentro Roma, tra vicoli, monumenti, spazi culturali e d’incontro, insieme a due giornaliste che vivono il ménage quotidiano della Città eterna e da sempre ne scrivono. La guida offre un distillato, preciso e leggero, di luoghi e appuntamenti consigliati dalle due romane, una di nascita l’altra d’adozione, che ogni giorno si muovono nella sterminata socialità urbana. Tra angoli inediti e classici che non stancano mai.

Michela Murgia

Einaudi, pp. 152 € 14,50

In questo pamphlet lucido e divulgativo l’autrice si chiede come le sue convinzioni femministe e cattoliche possano convivere. E come il Vangelo possa essere attualizzato facendo compromessi tra la propria coscienza e i precetti dottrinari, per esempio in merito ai diritti civili. Per rispondere è necessario capire quali aspetti della vita e della fede siano davvero in contraddizione e considerare che, spesso, proprio là dove c’è antinomia si crea pensiero nuovo e riflessione.

66thand2nd, pp. 128 € 15

Il Nanga Parbat, tra le montagne più alte della Terra, possiede una forza magnetica in grado di attrarre le persone. Il memoir illustra storie di donne e uomini spinti dal desiderio di conquistare la vetta del massiccio pakistano, mettendo a rischio la vita. Una sfida che si trasforma in un modo per raccontare i cambiamenti intercorsi nella nostra società durante l’ultimo secolo. E testimonia il mutamento di sguardo dell’uomo, che cerca di risolvere i misteri e le grandezze del Pianeta.

CASSANDRA

Igiaba Scego

Bompiani, pp. 368 € 20

Jirro è una delle molte parole somale che abitano le pagine di questo libro: indica il malessere derivante dal trauma dello sradicamento che colpisce chi vive una diaspora. Nata in Italia da genitori esuli durante la dittatura somala, Scego mescola lingue e tradizioni diverse, componendo un racconto che è nello stesso tempo una lettera a una giovane nipote, un resoconto storico, una genealogia familiare. Qui la letteratura si trasforma in speranza grazie al potere delle parole.

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GOD SAVE THE QUEER NANGA PARBAT. L’OSSESSIONE E LA MONTAGNA NUDA  Orso Tosco A MOGADISCIO GRIBAUDO Roberta Petronio Laura Pranzetti Lombardini Illustrazioni di Aldo Sacchetti
Romane
DIETRO LE QUINTE DELLA CITTÀ ETERNA
Le
Roberta Petronio Le
Laura Pranzetti Lombardini Romane
FIGLIA DELL’UOMO TIGRE

Invito alla lettura ragazzi

QUANDO TORNERÀ HADDA?

NEL LIBRO PER BAMBINI DI ANNE HERBAUTS, UNA STORIA

CHE CELEBRA LA FORZA DEL RICORDO E LA MEMORIA DELLE PERSONE CARE

Una domanda si ripete incalzante, fin dalla prima pagina, come il verso di una preghiera: «Quando tornerà Hadda?». La risposta arriva diretta e ha un suono rassicurante: «Ma sono qui, amore mio…». Un dialogo asciutto, di poche e potenti battute, scandisce l’ultimo libro della pluripremiata artista belga Anne Herbauts. A parlare sono soprattutto le immagini: 13 tavole che raccontano una casa dalle fattezze antiche, decorata con maioliche variopinte e carta da parati. In questo scrigno di ricordi trovano posto fotografie, piante, calendari, oggetti di uso quotidiano che sono la proiezione materiale di una vita condivisa. L’inventario domestico racchiude l’anima di Hadda e, per il legame che li unisce, quella dell’interlocutore. Non conosciamo con precisione la loro identità: ambientazione e tono suggeriscono si tratti di un nipote

e della sua nonna scomparsa ma, tutto sommato, non ha importanza sapere esattamente chi siano. La storia di Hadda e di chi aspetta il suo ritorno è la storia di chiunque abbia dovuto separarsi da una persona cara e prendere atto, a un certo punto, del valore della memoria, intesa non solo come esercizio della mente ma come pratica del cuore. Sfogliando l’album illustrato si esplora, stanza dopo stanza, il luogo simbolo di una relazione, ritratto nei suoi minimi dettagli.

Il racconto per immagini si concentra quindi sugli oggetti che trasmettono il ricordo, mentre il testo porta con sé un altro messaggio: chi non c’è più fisicamente continua a vivere attraverso le azioni, i sogni e i valori di quelli che restano. Appa

rentemente slegate tra loro, queste narrazioni parallele assicurano un effetto poetico e sono espressione della cifra stilistica dell’autrice:

«Scrivo facendo collisioni di testi e immagini. La storia si svolge nel testo, nell'immagine, ma soprattutto nell'assemblaggio delle pagine».

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Clichy, pp. 32 € 19,50
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UN TRENO DI LIBRI
Un’illustrazione tratta da Quando tornerà Hadda?

IL CAPPELLO

Tomi Ungerer

Bianconero edizioni, pp. 50 € 18 (da 3 anni)

Il protagonista di questa storia è un cappello a cilindro nero, con un nastro di raso rosso, che vola via quando tira il vento. Dal capo di un ricco signore finisce sulla testa di un soldato povero, facendone la fortuna dopo una serie di divertenti avventure. Un libro nato per dimostrare che si può inventare, scrivere e raccontare una storia partendo da un soggetto qualunque come, in questo caso, un cappello. D’altronde, anche Nikolaj Gogol’ scrisse un romanzo su un naso qualunque.

NAUFRAGHI E NAUFRAGI

Anna Vivarelli, illustrazioni Amedeo Macaluso Sinnos, pp. 144 € 14 (da 10 anni)

Chi non è mai naufragato nel mare di una storia d’amore o nella tempesta di un dolore?

A volte ci siamo persi, altre ritrovati più forti di prima. Il libro racconta le avventure di dieci naufragi eccellenti che hanno fatto la storia, con protagonisti navigatori, aviatori, soldati e marinai. Tutto parte dalla curiosità che spinge a osare, con tenacia, volontà e resistenza. Un libro per chi pensa alla vita come a un viaggio in mare aperto.

Florence Thinard, illustrazioni Gaël Henry Camelozampa, pp. 264 € 15,90 (da 9 anni) Saranno pure vecchi bacucchi ma, unendo le loro solitudini, i protagonisti di questo romanzo ne combinano delle belle. Dopo lo scippo subito da Rose, anziana signora fragile e dolce, due vecchietti e una donna attempata entrano in azione con un obiettivo: acciuffare il ladro. Si forma così la temutissima squadra che dà il via a questa esilarante commedia degli equivoci: il distinto Victor, nonno Ferraglia che, per integrare la pensione, raccoglie rottami e Gisèle, nota per i suoi abiti chiassosi.

Isabel Minhós Martins, illustrazioni Yara Kono

Hopi Edizioni, pp. 32 € 14 (da 4 anni)

Anche se sembrano immobili, da sempre, le piante si spostano da un luogo all’altro del Pianeta. Lo fanno grazie ai semi, organismi microscopici che girano in lungo e in largo prima di toccare terra. Attraversano fiumi, incontrano animali, si perdono tra le rocce e germogliano dove non era previsto. Giunti a destinazione possono diventare alberi e arricchire con le loro diversità il posto in cui si trovano. Un albo per riflettere sull’intelligenza della natura e il fenomeno delle migrazioni.

A.A.D.

Luca Azzolini

De Agostini, pp. 224 € 13,90 (da 11 anni)

La storia di Anne Frank da un punto di vista inedito. A raccontarla è il nascondiglio di Amsterdam in cui la ragazza trovò riparo, nel 1942, insieme alla sua famiglia. L’alloggio che la vide crescere, ridere e soffrire si anima e prende parola per dare voce alle paure, ai sogni e alle speranze di una tredicenne, la cui vita fu sconvolta dagli orrori della guerra e della Shoah. Un viaggio nei sentimenti umani che non lascia indifferenti. Perché nessuno possa dimenticare. A.A.D.

Andrea Molesini, illustrazioni

Arianna Bellucci

HarperCollins, pp. 192 € 16,50 (da 8 anni)

Copecoperso è un pirata in pensione alle prese con il mal di denti. Perciò si rivolge ad Anselmo, un drago che non ha più fuoco in bocca e ha ripiegato sulla professione di dentista. Ed è proprio per quel dolore che il nostromo e il suo amico Panciagialla si avventurano nella foresta. Qui incontrano bestie particolari, tra cui quelle della specie peggiore di tutte: i bipedi saputi saputi. Un libro dal sapore classico, una storia piena di spunti sul rapporto tra esseri umani e animali. A.A.D.

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Lo scaffale ragazzi
CENTO SEMI CHE PRESERO IL VOLO IL RIFUGIO SEGRETO STORIA DEL PIRATA COL MAL DI DENTI E DEL DRAGO SENZA FUOCO a cura di Claudia Cichetti LA BANDA DEI VECCHI BACUCCHI
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IL BUONGIORNO SI VEDE DA

FIORELLO

DOPO IL SUCCESSO DI VIVA RAI2! A SANREMO, LO SHOWMAN PIÙ AMATO D’ITALIA VA AVANTI CON LA SUA STRISCIA MATTUTINA. SEMPRE ALL’INSEGNA DEL BUONUMORE

di Gaspare Baglio gasparebaglio

In una stanzetta di via Asiago 10 c’è un via vai di autori, maestranze, redattori. La produzione di Viva Rai2! è un work in progress continuo. E Fiorello è un vulcano di idee e battute. Ci dà il benvenuto ricordando l’ultima cover a lui dedicata, dove campeggiava una foto con la sua faccia sorpresa che, per volontà dello stesso artista, era stata scelta per strappare un sorriso a tutti i clienti Trenitalia che si fossero seduti sopra il magazine. Lo showman interrompe il brainstorming per dedicarsi all’intervista e ci anticipa: «Dopo la chiacchierata con voi scappo a Roma

Termini, dove mi aspetta un Frecciarossa per Venezia Mestre. Mia moglie ha parenti lì». Partiamo proprio da lei, visto che marzo è il mese dedicato alle donne. Che rapporto avete?

Senza mia moglie non riuscirei a reggere tutto: è quella che mi dà la

pacca sulla spalla, ma mi mette in riga quando serve. Grazie a lei la mia vita è cambiata. E comunque in casa sono attorniato da donne, la quota maschia è rappresentata da me, il cane e il gatto. Non voglio essere populista, ma le donne hanno una marcia in più rispetto a noi uomini. Mia madre, che ha 88 anni, è ancora il punto di riferimento di noi figli. Che cosa pensi della situazione femminile più in generale, invece?

Sono stati raggiunti molti traguardi importanti, ma non è sufficiente. Esiste ancora una certa disparità, anche a livello economico. Non capisco perché una donna debba guadagnare meno di un uomo. C’è ancora molto da fare, ma pare che siamo sulla buona strada.

Infatti per la prima volta in Italia, a ricoprire la carica di presidente del Consiglio c’è una donna: Giorgia Meloni.

Sì, vero. Tra l’altro, quando studiava, è stata la baby sitter di mia figlia Olivia. Era bravissima, oltre che richiestissima dalle mamme: tutti la volevano. Ricordo che era una perfetta organizzatrice e mia figlia diceva che non la faceva giocare con le Barbie, ma preferiva farle occupare il tempo con i Lego, le costruzioni.

Arriviamo al successo di Viva Rai2! che conduci con l’aiuto di Fabrizio Biggio e Mauro Casciari. Qual è il tuo segreto per catturare, ogni volta, l’attenzione del pubblico?

Probabilmente una delle peculiarità che funzionano di più in questo show è non avere segmenti lunghi. In un tempo piccolo, come dicevano i Tiromancino, vengono racchiuse tante cose: gag, filmati, balletti, servizi, inchieste, canzoni. Secondo me questa velocità fa in modo che nessuno si annoi: se c'è qualcosa che non piace almeno finisce subito.

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51 © Fabrizio Cestari/Rockett

Da cosa è stata dettata questa scelta?

Dal fatto che, negli ultimi dieci anni, tutto si è accorciato. Effettivamente, molto è cambiato da quando, oltre 20 anni fa, facevi i tuoi monologhi del sabato sera in Stasera pago io

Portavo in tv monologhi di quasi un quarto d’ora e se arrivava un ospite stava con me anche 20 minuti. Adesso è improponibile.

Però questa velocità è il motivo per cui i tuoi programmi vengono seguiti dai millennial.

Sì, i giovani sono abituati ai contenuti brevi che guardano su twitter, insta -

gram, tiktok, twitch. Quando devi cominciare un nuovo format, qual è l’ostacolo più difficile da affrontare?

Sono io (ride, ndr ).

In che senso?

Perché non ci credo mai, penso sempre che non andrà bene. Durante la prima conferenza stampa di Viva Rai2! immaginavo il 4% di share come punta massima. Dissi che, se avessi raggiunto quel traguardo, sarei diventato amministratore delegato della Rai.

Visto che hai sfiorato il 20% cosa sei diventato?

Dovrei essere proprietario della tv

pubblica. (ride, ndr ). A parte gli scherzi, nonostante i bei risultati, non sono mai contento. Nella mia testa penso già a quello che farò lunedì: la mia vita è un’ansia continua.

Anche Viva Rai2!... Viva Sanremo!, andato in onda dopo il festival, ha superato il 60% di share.

Eh, ma lì avevo l’appoggio della manifestazione. Con il canonico Viva Rai2!, invece, fino a poco fa, come traino c’era il telefilm La grande vallata. Adesso mi auto-lancio con Viva Asiago 10!, un programma in cui cerchiamo di far vivere lo spazio dalle 7 alle 7:15 riprendendo tutto quello che accade: da quando arrivo in Vespa a

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Fiorello con Fabrizio Biggio © Adolfo Franzò

quando faccio colazione. E lì è tutto un via vai di personaggi. Ah sì?

Stamattina, per esempio, ho incontrato una troupe televisiva, un signore vestito come nell‘800 e un fan della foca monaca che mi parlava di questo mammifero mentre facevo colazione. E poi c’era un certo si -

gnor Picone che, con una chitarrina, si è messo a cantare: «Se bruciasse la città, da te, da te, con un volo low cost io arriverei». Gli ho chiesto cosa fosse quel brano e mi ha risposto: «Una canzone di Massimo Ryanair» (ride, ndr ). Il vero bar di Guerre Stellari è quello in via Montello 12, dove la mattina prendo cornetto e cappuc-

cino. Tutto quello che accade viene ripreso e strutturato in una specie di live, con contenuti totalmente differenti da ciò che si vede nel glass box di Viva Rai2!

Hai un po’ sviato sul discorso sanremese: quest’anno, tra l'altro, la kermesse è stata zeppa di polemiche… A Sanremo le discussioni ci voglio -

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Fiorello e Fabrizio Biggio durante una puntata di Viva Rai2!

no, ma senza esagerazioni. Indagare Blanco per aver distrutto le fioriere mi sembra un po’ troppo: prima di lui sai quanti ne dovrebbero arrestare? Il musicista un po’ maledetto ci sta. Qualche giorno fa hai ospitato Amadeus e hai confermato la tua presenza sul palco dell'Ariston nel 2024. Alla fine in un modo o nell'altro torni a Sanremo.

Penso che il prossimo anno andrò solo all'ultimo, a riprendermi Amadeus dopo il suo quinto festival. Giusto cinque minuti, a vincitore proclamato (ride, ndr ). Quest’anno non avrei dovuto far parte della macchina legata a Sanremo, ma il colpo di coda è successo il venerdì prima dell’inizio

della kermesse. Amadeus è un mio caro amico e temevo di non riuscire a vedere il programma perché Viva Rai2! comincia la mattina presto. Così mia moglie ha consigliato di spostare la messa in onda subito dopo il festival, unicamente nella settimana della manifestazione, mandando in onda le repliche al mattino. Per tutti è stata una bella idea. E quindi abbiamo seguito Sanremo in una maniera diversa: se fosse stata creata a tavolino non sarebbe mai potuta andare così.

E finalmente è tornato il dopofestival.

Era uno show dopo la kermesse. Un’idea che ha cambiato e rivoluzionato il classico dopofestival. Qualche mese

prima, mi era stato proposto di farlo da Sanremo, ma sarebbe diventato una costola della rassegna. Invece la distanza ha fatto sì che si trasformasse in un’altra cosa. E comunque, anche se eravamo a Roma, la sensazione era di stare nella Città dei fiori: abbiamo lavorato in pieno mood sanremese. Questo esperimento ci ha fatto venire voglia di fare alcuni speciali in seconda serata. Vedremo... Con il tuo programma sei diventato anche un talent scout… Ma no, io non vado a cercare talenti: sono loro che si presentano e vogliono stuzzicare la mia curiosità. I Gemelli di Guidonia vennero all’Edicola Fiore alle 5 del mattino cantando un

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© Franco Origlia/GettyImages
Il cast di Viva Rai2!: da sinistra, in piedi, Mauro Casciari, Enrico Cremonesi, Fiorello, Fabrizio Biggio, Ruggiero Del Vecchio e Luca Tommassini. In prima fila, da sinistra, Gabriele Vagnato, Serena Ionta e Beatrice De Dominicis

medley dei Bee Gees o dei Beatles ed erano intonatissimi. A quei tempi conobbi pure Dedò. Poi ci sono Serena Ionta, che faceva lezioni di ukulele su Instagram. E Gabriele Vagnato, che mi colpì per l’accento meridionale e la voce strana in un programma di beneficenza con Fedez su Italia 1. Chiamai Federico e lui e mi disse che aveva cinque milioni di follower su tiktok. Diciamo che mi piace il talento, come quello di Biggio. Avevamo improvvisato qualche tempo fa, in diretta, su Radio2. Così, quando ho messo insieme la squadra di Viva Rai2!, ho pensato a lui. Un personaggio che i trentenni amano: quando lo incontrano gli fanno grandissime feste perché ricordano il successo dei Soliti idioti

C’è qualcosa che ancora ti manca e vorresti fare?

La classica seconda serata. Viva Rai2! potrebbe essere destinato a quella fascia oraria. Vorrei testarlo più avanti senza il traino di Sanremo.

Cosa rispondi a chi dice che il tuo programma è troppo simile a Edicola Fiore?

Entrambi hanno una struttura, che sono le notizie, ma come contenuti e messa in scena siamo cresciuti tantissimo, siamo proprio a livello di prima serata. In Edicola Fiore entrava chiunque e c’era un po’ di caciara, mentre in Viva Rai2! è tutto più pulito e organizzato. Abbiamo alzato il tiro e i risultati si vedono.

In autunno ci sarà una seconda edizione?

È presto per dirlo, ma se la faremo sarà a ottobre inoltrato. Ora è davvero presto per pensarci.

Il pubblico ti apprezza sempre tantissimo: tirando le somme, cosa vorresti dire?

Non programmo niente, tutto quello che faccio

è figlio di un’improvvisazione. La scelta di Rai2

è stata vincente: ha fatto in modo che la mia testa fosse più libera e così è stato. Ma ora ti devo salutare: scappo a prendere il treno.

rosario_fiorello vivarai2off Fiorello.Official

© Adolfo Franzò

IN VIAGGIO CON

ANIMA PALCOSCENICO DA

DAGLI ESORDI CON NINO TARANTO A SCIANEL DI GOMORRA, CRISTINA DONADIO INTERPRETA DONNE TORMENTATE E METTE IN SCENA LE CONTRADDIZIONI DI NAPOLI, LA SUA CITTÀ

Una donna dall’anima libera, forte e profonda, elegante, ispirata e concreta, che trasmette con affascinante professionalità l’essenza dell’artista. Cristina Donadio ha la recitazione nel Dna e una matrice artistica unica, fatta di umanità e forgiata dalla sua terra, Napoli. «Il nostro è un mestiere precario e quando non si lavora è fondamentale essere circondati dagli affetti e dalla quotidianità».

In che modo la città dove sei nata e vivi ha contribuito al tuo lavoro di attrice e all’amore che hai per il teatro?

È una terra che ha prodotto e continua a produrre moltissima arte, a volte anche troppa, nel senso che noi napoletani siamo spesso portati a cantare, ballare e recitare, dimenticando che questo mestiere si basa sul lavoro, la fatica, la dedizione e la cura del dettaglio. Non tutto si basa sull’istinto, è necessaria una grande disciplina per scoprire ogni giorno qualcosa di sé e del mondo che ci circonda. Detto questo, Napoli nutre e stimola continuamente la mente e il vissuto, nonostante le sue contraddizioni, i suoi chiaroscuri.

Dove rivolgi la tua curiosità e il tuo forte entusiasmo?

Verso l’animo umano, perché ciò che più mi affascina è raccontarlo. Sono sempre alla ricerca di personaggi e, soprattutto di storie: è l’anima che le rende universali, anche quando sono drammatiche. Per questo ho messo in scena uno spettacolo che racconta il mio dolore: ho perso il mio compagno in un incidente stradale. E quella sofferenza è diventata un archetipo che mi ha aiutato a superare il momento difficile.

Hai avuto coraggio. Che cosa significa per te questa dote?

In una scala di valori il coraggio è saper mettere in cima la vita e a seguire il lavoro. Perché è proprio ciò che vivo a consentirmi di essere attrice. Quando hai cominciato a recitare?

La prima volta è stata sul tavolo di legno della cucina dei miei nonni. Noi nipoti salivamo su quello che mio nonno

definiva palcoscenico e, dopo l’esibizione, lui ci regalava 500 lire d’argento. A differenza delle mie sorelle e dei cugini che volevano scendere subito, io restavo e dicevo: «Ancora, ancora». Mia madre interveniva chiedendomi di «non fare la pagliaccia» ma io continuavo. Un giorno dissi a mio padre: «Vorrei fare l’attrice». Lui mi rispose: «Ti considererò tale quando vincerai l’Oscar». Una battuta per spingermi a pormi sempre obiettivi alti. Non glielo hai ancora portato?

No, ma dopo il successo di Gomorra i maestri dell’arte del presepe realizzarono una statuina che mi raffigurava. E allora pensai: «Se ci fosse ancora mio padre gli porterei questa».

Torniamo ai tuoi inizi…

Avevo 18 anni e durante l’estate, con un gruppo di amici attori, tra cui Geppy Gleijeses, decidemmo di mettere in scena alcuni spettacoli. Un giorno venne a vederci Nino Taranto e mi propose di entrare nella sua compagnia dove incontrai persone straordinarie come Dolores Palumbo e Carlo Croccolo. La mia scuola di palcoscenico l’ho fatta lì. Successivamente, ho lavorato con i fratelli Giuffré, Enzo Cannavale e Gennarino Palumbo.

Poi, all’inizio degli anni ’80, il mondo del teatro tradizionale di Eduardo De Filippo si è trasformato ed è nato un nuovo modello, guidato da Enzo Moscato e Manlio Santanelli, solo per citare due nomi. E in quella trasfigurazione della drammaturgia mi sentivo a mio agio.

Avevamo abbattuto la quarta parete che divideva il pubblico dal palcoscenico, mutando profondamente il paradigma.

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di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019
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© Riccardo Piccirillo

I tuoi ti hanno appoggiata nell’affrontare questo mestiere?

La mia è sempre stata una famiglia molto generosa. Quando a 16 anni ebbi mio figlio Antonio, mentre ancora andavo a scuola, i miei genitori mi dissero di stare tranquilla e finire gli studi. Accolsero mio figlio con grande amore, insieme alle mie cinque sorelle e a mio fratello, facendolo vivere sereno e sicuro. Oggi lui vive ai Caraibi con la sua famiglia e ha un ristorante. Io sono mamma, nonna e amica.

Qual è il profumo della tua infanzia?

Quello del pane con il burro, con il pane caldo che mia nonna preparava ogni mattina. E delle frittelle che mangiavamo la domenica: un profumo che mi stringe il cuore. Ancora oggi noi sorelle ci telefoniamo e decidiamo di riunirci per prepararle.

Come attrice porti con te il bagaglio di tutto quello che vivi e scopri.

Certo, perché la mente di un attore è come un guardaroba. I vestiti sono i personaggi e nei cassetti riponi tutte le parole che hai imparato a memoria, basta aprirne uno e torna tutto. Negli scaffali, poi, trovi i gesti e gli sguardi.

Hai lavorato con Paolo Mieli nel docufilm Così Roberto Bracco rifiutò i soldi del Duce, sulla storia di uno dei pochissimi drammaturghi che non presero il sussidio statale per gli artisti durante il regime fascista.

Quando i produttori Rino Pinto e Massimiliano Gallo mi hanno proposto di interpretare Emma Gramatica, attrice dell’epoca, ho visto l’opportunità di raccontare una storia vera.

Quella di Bracco, un autore di grandissimo valore candidato al premio Nobel che cadde in miseria pur di non lasciarsi comprare. Un fatto significativo, al di là del periodo, perché il potere non accetta mai idee diverse. Il mio lavoro sul personaggio è stato quello di mantenere l’equilibrio necessario per interpretare una donna ambigua, che da una parte seguiva il regime per aiutare Bracco e dall’altra si lasciava andare agli eccessi dell’epoca. Inoltre, mi ha conquistato lo stile narrativo di Mieli. Per me è stato un grande privilegio. Quali caratteri preferisci interpretare?

Il teatro greco ha raccontato tutti i sentimenti che ancora oggi abitano l’umanità, senza mai fare sconti e in maniera a volte crudele: la vendetta, il potere, l’odio, l’amore, la passione. Tutto questo è ancora lì. Per arrivare a Scianel di Gomorra sono partita dalla grecità di Clitennestra e Medea.

Non volevo interpretare un cliché ma raccontare una persona che ha scelto di essere abitata dal male. E l’ho fatto negli atteggiamenti, nei gesti, nella sua camminata mascolina. Una donna che doveva prendere il sopravvento sugli altri, che andava in guerra. Quindi tuta e scarpe da ginnastica, seppur con gioielli al dito e un orologio d’oro massiccio. Ho cercato di far capire che questi personaggi sono condannati sin dall’inizio a nascondersi, temere tradimenti e vivere senza libertà.

Come ha cambiato la tua vita il successo di Gomorra?

Ha reso il rapporto con il pubblico, che amo molto, ancora più diretto e affettuoso. Mi fermo volentieri a salutare qualcuno o a scattare un selfie, vado a fare la spesa e giro in motorino per la mia città: il nostro quotidiano è vitale. Quando vedo colleghi che rinunciano a una pizza, a un cinema o a entrare in un grande magazzino per il rischio di essere riconosciuti e fermati, provo tristezza per loro.

Ti piace viaggiare in treno?

Lo adoro, ci vivo proprio sul treno, specialmente sul Frecciarossa. Mi consente di viaggiare comoda ed è molto più semplice che muoversi in aereo. Arrivo in stazione e parto senza trafile per arrivare direttamente in centro città. Ma la cosa che più apprezzo è sentirmi accolta: il personale è gentile e sorridente. Io salgo e mi rilasso, posso dormire, ascoltare la musica, studiare un copione, il tutto in un ambiente che mi fa star bene. E poi il treno è da sempre un luogo dove si incontrano persone e si possono scambiare un saluto o una chiacchiera. Nel tempo del viaggio, che duri due o otto ore, il treno è un pezzo di vita.

Da uno a dieci, quanto ha aiutato la bellezza dei tuoi occhi?

Quindici.

cristinadonadio_official

IN VIAGGIO CON 58
Andrea Radic con Cristina Donadio

Il Grand Hotel Victoria a Menaggio 5*****L, nell’incantevole scenario del Lago di Como riaprirà le sue porte il 10 marzo 2023 valorizzando la sua offerta di ospitalità e di benessere con comfort esclusivi e servizi di eccellenza italiana qualitativa.

Con i suoi borghi antichi, gli splendidi giardini e il profilo dei monti che incorniciano un paesaggio romantico, raffinato e di grande eleganza, Il Grand Hotel Victoria garantisce agli ospiti esperienze personalizzate, studiate su misura e proposte a 360° gradi, dall’offerta F&B con il ristorante Lago, all day-dining a una sorprendente area wellbeing con la Erre Spa, la più grande sul Lago di Como, agli spazi dehors con la piscina esterna e il bar Manzoni per godere della più raffinata selezione di cocktail.

LA STRUTTURA

Composto da un edificio storico, la Villa con le sue 34 camere e suites, e una struttura di recente costruzione, il Palazzo con le sue 47 camere e suites, il Grand Hotel Victoria valorizza e celebra il Made in Italy nel design, con un richiamo al passato e uno sguardo al presente e al futuro nella contemporaneità degli ambienti. Camere e suite vista lago o vista parco dotate di tutti i comfort e servizi.

Con un’incantevole vista sul lungo lago, Il Grand Hotel Victoria dispone di un pontile privato con un servizio di Erre Water Limousine , una soluzione funzionale ed efficace per gli ospiti dell’hotel per soddisfare ogni esigenza di trasporto e spostamenti sul Lago di Como e allo stesso tempo per proporre tour privati alla scoperta dei luoghi più suggestivi del lago.

FOOD & BEVERAGE

Il Grand Hotel Victoria riserva una particolare attenzione alla ristorazione, con la presenza nelle proprie strutture di Chef di grande competenza e creatività. Il ristorante Lago gode di una splendida vista lago, dispone di una veranda modulabile tra interno ed esterno, è aperto tutto il giorno dalle sette del mattino per il servizio di prima colazione fino al dopo cena e offre una cantina a vista con una ricca selezione di etichette. Un’area show cooking è stata realizzata per creare occasioni conviviali di gastronomia, sperimentare la cucina con prodotti freschi e creare i propri piatti serviti su un imponente tavolo di marmo.

WELLNESS & FITNESS

La Erre Spa è il fiore all’occhiello del Grand Hotel Victoria, un rifugio per il corpo, mente e spirito. Si sviluppa su 1.200 metri quadrati ed è composta da una piscina coperta completamente riscaldata, percorsi d’acqua con aroma e cromo terapia, docce emozionali, tropicali e a cascata. Gli ambienti relax si alternano alla sauna soft, sauna finlandese, percorso kneipp, bagno mediterraneo con umidità del 68 per cento, bagno umido con umidità del 90 per cento. La Spa Manager con il suo team accompagna gli ospiti con trattamenti corpo e viso e percorsi altamente personalizzati.

La palestra del Grand Hotel Victoria è altrettanto significativa, ampia e luminosa. Gode di una bella vista sulla piscina e oltre ad offrire servizi accessori, compresa la possibilità di collegarsi alle attrezzature con i propri devices, la palestra è un vero e proprio angolo di condivisione, utilizzabile 24 ore al giorno.

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LAKE COMO

PEDALARE AD

Si può fare turismo in modo efficace, coinvolgendo un vasto pubblico e al tempo stesso preservando al meglio il territorio? La risposta, affermativa, trova il suo esempio più eloquente nella Maratona dles Dolomites, evento green senza pari in quanto a gestione dei rifiuti, valorizzazione del territorio, responsabilità sociale e utilizzo ottimale delle risorse, per

limitare al massimo il dispendio di consumo energetico.

L’iniziativa, sponsorizzata da Enel, ha introdotto un numero di misure ecologiche impressionante con l’obiettivo di «guardare al futuro con sempre maggiore rispetto verso la natura,

perché questa terra è unica e non ci appartiene ma ci ospita», spiega Michil Costa, dal 1997 presidente della manifestazione, che quest’anno si svolgerà il 2 luglio.

TRAVEL

ALTA QUOTA

L’ALTA BADIA SI PREPARA AD ACCOGLIERE OTTOMILA CICLISTI ALLA

MARATONA DLES DOLOMITES, LA GARA SPORTIVA DALL'ANIMA GREEN

PREVISTA PER IL 2 LUGLIO. I PARTECIPANTI SARANNO UFFICIALIZZATI IL 12 APRILE

di Valentina Lo Surdo valentina.losurdo.3 ValuLoSurdo ilmondodiabha ilmondodiabha.it

Sono davvero tante le ragioni per cui questa gara non ha termini di paragone: «Speciale sin dal nome, che ricorda le nostre origini ladine, Maratona dles Dolomites è una com -

petizione che si effettua su bici da corsa, con un numero di partecipanti, che saranno ufficializzati il 12 aprile, limitato a ottomila, affinché la loro accoglienza sia sostenibile per le nostre valli», continua Costa. «E

solo la metà di loro potrà arrivare dall’estero, anche se alla Maratona 2022 hanno partecipato persone di ben 72 nazionalità. Durante la gara, poi, le strade sono chiuse al traffico e questa è un’altra caratteristica unica per le corse di Gran fondo in Italia». La manifestazione, che ha il suo punto d’arrivo a Corvara, in Alta Badia, transita nelle più importanti stazioni turistiche delle Dolomiti: la Val Gardena (Bolzano), la Val di Fas-

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© Alex Moling Cicl is t i in Alt a B adia

sa (Trento), Arabba e Cortina d’Ampezzo (Belluno). Sono tre, a scelta, i tracciati che si possono intraprendere: il percorso Maratona (138 km con 4.230 m di dislivello), il percorso medio (106 km, 3.130 m), il Sellaronda (55km per 1.780 m). L’impatto economico per il territorio – che comprende due regioni e tre province – è enorme, con un indotto indiretto di circa 12 milioni di euro e oltre 50mila pernottamenti garantiti. Un altro aspetto straordinario è la forza eccezionale espressa dal popolo dei volontari: più di 1.500 persone impegnate per 16.500 ore di preparazione. A queste si aggiungono le 15 che compongono il comitato organizzatore, presieduto da Costa, pronte a contribuire alla riuscita dell’evento. L’imprenditore ladino del settore alberghiero è noto per il suo impegno ambientalista e umanitario: «La cosa veramente bella di questo gigantesco evento è che crea un benessere in grado di portare aiuto a chi ne ha più bisogno», spiega.

E così, se da una parte la Maratona è l’unica Gran fondo nazionale a essere trasmessa interamente in diretta televisiva, dall’altra si distingue per le numerose attività benefiche che sostiene, tra cui i progetti in Uganda dell’associazione di Belluno Insieme si può e le iniziative promosse da Bimbi in gamba di Alex Zanardi per acquistare protesi a bambini che hanno subito amputazioni o che non hanno le gambe. Di valore è anche il supporto ad Assisport Alto Adige, che aiuta giovani atleti in difficoltà economiche nello sviluppo dell’attività agonistica.

«La Maratona è opera dei fassani che dialogano con gli ampezzani e i badiotti, è fatta dai nostri figli che studiano a scuola la nostra storia e poi diventano volontari. A unirci tutti sono il ladino e le Dolomiti. D’altronde il tema di quest’anno – umanité – è un invito a vivere pienamente per il bene dell’umanità», conclude il presidente. In questo, riveste un’importanza di primo piano l’aspetto ecologico, dall’introduzione di sto -

viglie riutilizzabili, che ha consentito di diminuire del 70% la plastica monouso, ai Green Angels, i meccanici in bicicletta elettrica che seguono sul percorso i partecipanti, dalle auto full electric messe a disposizione per accompagnare giurati e assistenti lungo il tracciato ai Green Corner, le isole ecologiche situate all’interno del Maratona Village e all'arrivo a Corvara, che rappresentano un incentivo a differenziare i rifiuti. Ma sono notevoli anche gli aspetti relativi al recupero del legno usato per l’allestimento di strutture provvisorie, la carta riciclata con cui è stampato il Maratona magazine, la medaglia a chilometro zero consegnata a tutti i partecipanti e realizzata dagli artigiani della valle così come anche il trofeo finale, creato con materiali naturali. «Molte delle aziende vicine a noi», prosegue Costa, «sono sensibili ai temi ambientali, così per esempio il gilet regalato a tutti i partecipanti è realizzato in tessuto eco, la sacca per i pacchi di gara è stata concepita insieme alla

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Maratona dles Dolomites, Alta Badia © Manuel Glira

Cooperativa Selyn, in Sri Lanka, ed è una borsa di cotone al 100%, le maglie sono fornite in un sacchetto di carta per evitare il nylon e hanno un eco-pocket, il taschino per la raccolta dei rifiuti. Può capitare, inoltre, di squalificare gli atleti sorpresi a gettare i rifiuti al di fuori delle aree adibite», conclude il presidente. Una citazione speciale la meritano anche quei 40 volontari che setacciano gli otto passi dolomitici e tutto il percorso della Maratona il giorno dopo, raccogliendo l’immondizia accumulata dai passanti nell’arco di tutto l’anno.

E per chi non potesse partecipare alla tanto ambita Maratona, l’Alta Badia, punto di partenza ideale per la Sellaronda in mountain bike, propo -

ne altre tre giornate dedicate esclusivamente ai ciclisti. Si parte sabato 10 giugno con il Sellaronda Bike Day, evento che verrà replicato sabato 16 settembre, mentre sabato 24 giugno è la volta del Dolomites Bike Day. Manifestazioni non competitive e accessibili a tutti senza iscrizione che prevedono la chiusura al traffico motorizzato, dalle 08:30 alle 16, di alcune zone: i passi Gardena, Sella, Pordoi e Campolongo in occasione del Sellaronda Bike Day, quelli di Campolongo, Falzarego e Valparola per il Dolomites Bike Day. Senza contare che, nei mesi di giugno e luglio, si svolgono i tour in bicicletta guidati: cinque appuntamenti settimanali, dal lunedì al venerdì, per scoprire i percorsi più affascinanti

delle Dolomiti e raggiungere, accompagnati da coordinatori locali, i luoghi più iconici di queste montagne. Durante l’estate, insomma, l’offerta turistica in Alta Badia è più che mai aperta a chi si muove in bici. Le strutture alberghiere bike expert e bike friendly mettono a disposizione tutto quello che serve a chi ama le due ruote: deposito con possibilità di lavare e riparare le biciclette, cavalletti, cassetta di attrezzi specifici e lavanderia, mentre gli impianti di risalita trasportano le bici gratuitamente. Per prepararsi al meglio, in attesa di partecipare un giorno alla Maratona.

maratona.it altabadia.org

UN ALTRO TURISMO È POSSIBILE

Da diversi anni il turismo vive una profonda crisi identitaria che ha avuto come risultato l’omologazione dell’offerta in ogni ambito: gli hotel sono diventati intercambiabili e l’intrattenimento a tutti i costi non tiene conto delle caratteristiche del territorio. L'industrializzazione del settore è evidente soprattutto sulle Alpi con strade congestionate e strutture ricettive in cui si consumano vacanze veloci e distratte. Nel libro FuTurismo. Un accorato appello contro la monocultura turistica, Michil Costa, albergatore ecologista e presidente della Maratona dles Dolomites, propone come alternativa al modello in voga un viaggiare lento e sostenibile, che rispetti la storia dei luoghi visitati e la loro biodiversità. Un turismo ambientalista guidato da un chiaro principio: il Pianeta è un bene comune, una casa in cui tutte le specie, compresa quella umana, sono ospiti.

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Raetia, pp. 172 € 17,90
Santuario di Santa Croce, San Leonardo in Badia
© Paola Finali

I LUOGHI DI LUCIO

DA

POGGIO BUSTONE, LA CITTÀ DEL REATINO DOVE NACQUE, ALLA CASA RIFUGIO NELLA BRIANZA LECCHESE. SULLE ORME DI BATTISTI A 80 ANNI DALLA NASCITA di Giuliano Compagno

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© United Archives/GettyImages 64
Lucio Battisti in una foto d'archivio

L’artista e i suoi luoghi: non vi è relazione più complessa di quella che lega, e a volte divide, l’uno dagli altri. Nel caso di Lucio Battisti si può cominciare dalla fine, dall’ospedale milanese dove i suoi concittadini, ammiratori e amici si radunarono per giorni, senza poter entrare, quando il cantautore era ricoverato. Qui, dove l’artista si spense il 9 settembre 1998, stazionarono tante persone e si fermò, invano, anche un pullman con a bordo il sindaco, i parenti e gli amici di Poggio Bustone, nel Reatino, sua città natale.

Il luogo dove un musicista va a vivere può avere molti significati, può essere d’ispirazione o un rifugio. In quest’ultimo caso viene in mente Dosso di Coroldo, una frazione della già piccola Molteno, la cittadina lombarda dove Lucio approntò il suo fortino per ripararsi dai fotografi in cerca di una posa rubata dal suo quotidiano o chissà quale segreto da vendere ai lettori.

Nella Brianza lecchese Battisti trovò la sua dimora. In quest’angolo d’Italia il musicista si dedicò alle sue abitudini preferite – il giardinaggio, la pittura, il risotto col pesce persico, un bicchiere di Bonarda rosso – ed esercitò il vezzo di pagare il conto delle trattorie con la legna che abbondava nel parco di casa. Battisti fu il primo a eludere i tra-

nelli della comunicazione che negli anni ‘70 andava scadendo nel pettegolezzo. Interruppe ogni contatto con la stampa e si trasformò in un soggetto misterioso, accrescendo la sua leggenda. Ma proprio perché il suo svanire dalla mondanità equivalse a liberarsene, ogni altro luogo per lui diventò transitorio. Come stare senza esservi. Che fosse a Rimini nella seconda casa al mare o nelle residenze milanesi di Largo Scalabrini e Largo Rio de Janeiro o nell’appartamento sulla via Cassia, nella Capitale. Forse giusto la Roma del Pigneto, dove Battisti si trasferì insieme alla famiglia, temprò il carattere del bimbo seienne, che crebbe in piazzale Prenestino 35, in quella che allora era considerata periferia estrema. Ma fu solo un passaggio di tempo.

Battisti adulto amava il silenzio. L’ultima intervista la concesse nel 1979 a Giorgio Fieschi, che lavorava per la Radiotelevisione della Svizzera italiana. Rilassato, raccontò delle sue esperienze all’estero: la registrazione a Hollywood di Io tu noi tutti e quelle di Una giornata uggiosa e Una donna per amico ai Townhouse Studios di Londra.

Che un artista diventi apolide è difficile. Tra il lavoro e la cura dei propri interessi, una dimora dove tornare di-

venta un bisogno affettivo. Battisti si spostò al nord seguendo il suo amore, si sposò a Milano, ebbe un figlio. Ma ciò non bastò a fargli dimenticare il suo paese d’origine: adorava Dea, sua madre (i due morirono della stessa malattia) e aveva molti amici poiani sinceri.

Con Mogol, poi, si creò un forte sodalizio che via via si cementava in opere che sono entrate nella storia della musica italiana. E quando il 5 settembre del 1970, Lucio decise di dare il suo ultimo concerto pubblico, non ebbe dubbi su dove farlo: scelse Poggio Bustone, da dove era partito. «Fu un evento memorabile», ricorda Colomba Fagiani, una cara amica di famiglia. «C’era gente sui tetti, il paese era tutto lì, oltre ai suoi fan venuti da fuori. Tutti i poiani lo conoscevano e lui chiese una luce sparata sul volto, per non vedere nulla, per non pensare a niente». Colomba è stata un’insegnante e un’educatrice per bambini disabili, ed è una donna di cuore. Di Lucio bambino ha in mente la sua tranquillità e il pallino per la musica. Capitava che nella barberia di Giuseppe suonassero: Lucio provava con ostinazione e poi s’incantava a seguire alla chitarra Silvio Di Carlo, che faceva l’elettricista ma gli diede le prime lezioni.

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© Joacchi/AdobeStock I Giardini di marzo a Poggio Bustone (Rieti)

Molti italiani vanno a Poggio Bustone, dove Battisti nacque, il 5 marzo del ’43, per rendergli omaggio. Il sindaco Rovero Mostarda e il delegato alla cultura e nipote del cantautore, Athos Battisti, mi guidano fino alla casa di Lucio, al 53 di via Roma. Le finestre si affacciano sulla valle reatina e sui gradini della scalinata sono trascritti i titoli delle sue canzoni. Athos è trombettista nella banda nazionale dei Carabinieri, la musica ce l’ha dentro. «Mio zio conosceva le virtù e i limiti della sua arte», racconta, «ma a un certo punto comprese che era la sua voce lo strumento nuovo».

Michele Neri, scrittore e critico che nel 2010 ha pubblicato il libro Lucio Battisti. Discografia mondiale, opera su cui ha speso anni felici di lavoro,

sottolinea come Lucio avesse «grande fermezza professionale, una creatività inesausta, il genio di ottenere il miglior brano possibile. Mischiare la leggerezza alla concentrazione per lui era un segno di superficialità. Non gli si addiceva». Per curiosità infantile gli domando quale canzone sceglierebbe. Michele non esita un attimo: « I giardini di marzo». E per togliermi il timore che forse la musica di Battisti non risultasse di buon gusto ai palati raffinati, chiedo il parere di Vittorio Montalti, affermato compositore contemporaneo. Mi scrive: «Comunque, un mito. Ci sono cresciuto. Grande qualità!».

Feliciano Mostarda, proprietario della Locanda francescana a Poggio Bustone, mi accoglie con simpatia e ricorda:

«Lucio veniva per mangiare e parlare con mio nonno. L’ultima volta che lo vidi a Poggio, sentii una nota triste, era seduto in una Volvo blu, assorto, e il suo volto era stanco. Sei mesi dopo se ne sarebbe andato». Poi mi mostra una foto di Battisti che stringe la mano ad Allan Clarke, cantante britannico del gruppo The Hollies. Scendendo verso valle, con l’artista nel cuore, m’incuriosisce un cartello stradale con la scritta: I giardini di marzo. In quell’angolo di verde si erge una statua di bronzo, è Lucio con la chitarra e il suo mezzo sorriso. Attorno al monumento stanno giocando due bambine, si chiamano Sofia e Irene. Mentre mi avvio auguro loro, un giorno a venire, di ascoltare con la persona amata La canzone del sole. E provare una grande emozione.

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© hal_pand_108/AdobeStock Uno scorcio di Poggio Bustone

PERDERSI A BOLOGNA

A 80 ANNI DALLA NASCITA DI LUCIO DALLA UN TOUR NELLA

SUA CITTÀ NATALE, TRA I LUOGHI CHE HANNO ISPIRATO LE SUE

CANZONI PIÙ MEMORABILI

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di Gaspare Baglio gasparebaglio Basilica di San Domenico, Bologna

Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino», cantava Lucio Dalla nella geniale Disperato erotico stomp, un via vai tra i portici alla ricerca di una passione carnale. Come dargli torto? La città felsinea presenta una pianta romana fatta di strade parallele e perpendicolari dove è bello perdersi e ritrovarsi, magari girovagando accompagnati dai pezzi più importanti del cantautore di Anna e Marco. Quest’anno, infatti, cadono gli 80 anni dalla nascita dell’ambasciatore della bolognesità nel mondo. La data è quella di una delle sue composizioni più iconiche: 4 marzo 1943. Il brano si sarebbe dovuto intitolare Gesù Bambino ma la censura cambiò le carte in tavola. La hit è stata intonata, per la prima volta, al Teatro Duse, in via Cartoleria 42. Questa potrebbe essere la prima tappa ideale del tour per scoprire il rapporto tra Bologna e un artista immenso. Da qui si passa in un batter di ciglio alla seconda, piazza Cavour, che ispirò una delle più note canzoni di Dalla: «Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine in piazza Grande». Proprio su una di queste è stata installata una statua che ritrae Dalla, seduto con sguardo sognante e un accenno di sorriso beffardo, realizzata dallo scultore Antonello Paladino.

Si prosegue con la piazza e la Basilica di San Domenico, dove Lucio andava a giocare da bambino. Una volta adul-

to, la chiesa divenne per lui un luogo in cui trovare momenti di raccoglimento.

Camminando un po’ si arriva in via degli Orefici, la walk of fame del jazz: sulla strada e sui marciapiedi sono allineate stelle bianche e dorate coi nomi dei big di questo genere musicale. Forse non tutti sanno che Dalla iniziò suonando il clarinetto (da autodidatta) nella famosa Doctor Dixie Jazz Band, esibendosi nel Kinki Club, storico locale in via Zamboni che ha da poco chiuso i battenti. Nel gruppo suonava anche il regista Pupi Avati che, per sua stessa ammissione, scelse di mollare la musica per dedicarsi al cinema dopo aver toccato con mano il talento di Lucio.

Tappa irrinunciabile è il civico 15 di via D’Azeglio, dove si trova la casa dell’artista, che ora ospita un museo a lui dedicato. Chi cercava il suo nome sul citofono faticava a trovarlo: sulle targhette, infatti, campeggiavano gli pseudonimi commendator Domenico Sputo e avvocato Alvaro Tritone. Ora si può leggere chiaramente una scritta: Fondazione Lucio Dalla. L’esposizione permanente si trova al piano nobile del palazzo quattrocentesco e la visita guidata attraversa tre stanze. La prima è la Caruso, sede dell’etichetta Pressing Line, fondata e presieduta dallo stesso cantante. Qui sono nati alcuni dei suoi album più celebri come DallAmeriCaruso, Dalla-Morandi, Canzoni. Ma la casa discografica ha prodotto anche altri talenti

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La statua di Lucio Dalla su una panchina in piazza Cavour
©
© witkowski.photo/AdobeStock
frizio/AdobeStock

di successo, da Luca Carboni a Samuele Bersani. L’ambiente testimonia una grande integrazione tra vita privata e professionale: Dalla considerava i collaboratori come la propria famiglia. Non mancano dipinti e sculture o ritratti realizzati da amici artisti come quello di Carlo Pasini interamente realizzato con puntine da disegno. La seconda stanza è quella delle Colonne, uno dei salotti casalinghi, con alti soffitti affrescati in stile neoclassico bolognese, pavimenti in legno di inizio ‘800 e alte colonne lavorate a marmo. Tutto quello che è presente nella camera ha riferimenti al Sud Italia, dove il musicista amava trascorrere l’estate. Si passa, infine, al piccolo ufficio e studio personale dove Lucio riceveva gli ospiti per le riunioni. Tra i tanti oggetti spicca un frammento del muro di Berlino davanti al quale fu composto

il brano Futura. E un disegno di Milo Manara, copertina dell’album 12000 Lune, in cui il cantautore è rappresentato come un marinaio in mezzo al mare: alle sue spalle, la Basilica di San Petronio in una notte stellata. Uscendo dall’abitazione e girando a destra si può scorgere in alto sulla facciata, proprio accanto al balconcino del suo studio, un graffito leggerissimo di Mario Martinelli che ritrae Dalla mentre suona il sax tra i gabbiani. L’edificio si affaccia in piazza De’ Celestini: qui c’è la chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini dove l’artista venne battezzato.

Per un ultimo saluto al grande Lucio si può visitare il cimitero monumentale della Certosa, appena fuori dal cerchio delle mura cittadine. Tra le lapidi del poeta Giosuè Carducci, del pittore Giorgio Morandi e del cantante lirico Carlo Maria Broschi, più noto come

Farinelli, si fa notare il monumento a Dalla creato sempre da Paladino. La silhouette in bronzo del cantante con cappello, bastone e clarinetto è tratta da uno scatto alle isole Tremiti opera dell’amico fotografo Luigi Ghirri. La piccola scultura raffigurante un ragno, invece, è lì per ricordare il soprannome del musicista.

Il tour nella Bologna di Dalla potrebbe finire qui ma non si esaurisce mai: in ogni scorcio della piccola metropoli ci si imbatte in disegni e murales che lo ritraggono. Il capoluogo emiliano è capace di scaldare il cuore di ogni visitatore con i portici, la Basilica di San Luca (che merita una visita) e la pizza al taglio di Altero (un must culinario) proprio come cantava Lucio in Dark Bologna. E come dice il brano, tornando in questa città è facile ritrovarsi a pensare: «Bologna, sai, mi sei mancata un casino».

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© Davide Pellegrini/AdobeStock © Giorgio Benvenuti/Ansa Il santuario di San Luca Una sala della casa museo di Dalla

UN SORSO TOSCANA DI

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DAL CHIANTI ALLA MAREMMA, UN ITINERARIO ENOTURISTICO TRA PICCOLI PRODUTTORI, TENUTE IMMERSE NEI VIGNETI E ANTICHE CANTINE di Andrea Radic Andrea_Radic andrearadic2019

Una terra ricca di meravigliosi paesaggi, borghi medievali affascinanti e una cucina gioia del palato. Ma anche meta ideale per gli amanti del vino, prodotto principe della zona. Le nuove annate della regione sono state presentate a febbraio nelle sette intense giornate delle Anteprime di Toscana 2023, evento promosso dai consorzi vinicoli locali, in collaborazione con la Camera di commercio di Firenze, Promo Firenze, Fondazione sistema Toscana e Regione Toscana. Un viaggio enologi-

co unico che consente ogni anno ad appassionati e addetti ai lavori di confrontarsi e degustare le migliori bottiglie, incontrando le aziende del settore. Per un itinerario enoturistico della regione, tra piccoli produttori, fattorie immerse nei vigneti e antiche cantine, non si può che cominciare dal Chianti, zona collinare compresa tra Firenze e Siena, Arezzo e Pisa.

Nel Rufina, la più piccola delle sottozone del Chianti, si distingue la Fattoria di Grignano, un’antica tenuta di 600 ettari coltivati con metodi biologici

dove Tommaso Inghirami interpreta il territorio in modo contemporaneo, mantenendo nei suoi vini l’eleganza che ne ha fatto la storia.

In provincia di Arezzo la cantina È Jamu di Meca e Rocco Luppino, fratello e sorella con poco più di 40 anni in due, produce Chianti, Chianti Riserva e un rosso chiamato Vertigine per scacciare la paura di cadere nel vuoto. I due imprenditori di Reggio Calabria hanno abbandonato la terra

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I vigneti del Barone Ricasoli a Gaiole in Chianti (Siena)

natale perché le minacce dalla criminalità organizzata hanno impedito alla loro famiglia di lavorare con serenità. E sono riusciti a rinascere in Toscana.

Tra Firenze e Volterra, a Montespertoli, vale una visita la tenuta Castello Sonnino, un luogo magico dove si respira la storia d’Italia. La storia del

luogo parte da Sidney Sonnino, uno dei più autorevoli esponenti del liberalismo italiano, ministro delle Finanze nel 1893 e del Tesoro nell’ultimo governo Crispi. Nel 1987 l’arrivo del barone Alessandro e della baronessa Caterina de Renzis Sonnino, con i loro figli Virginia e Leone, segnò l’inizio di una nuova fase nella vita del castello. La famiglia è impegnata in prima persona nel produrre Chianti Montespertoli di struttura, freschezza e forte identità.

Nello stesso borgo c’è anche Casa di Monte, azienda vinicola di ottimo livello che esalta la bellezza del territorio producendo notevoli Chianti e Chianti Riserva. Nel Rufina la storia e la tradizione dei Marchesi Gondi, divenuti cavalieri sotto Carlo Magno, si esprime nella fascinosa eleganza dei vini della Tenuta Bossi. Gerardo Gondi descrive con passione il lavoro di selezione delle uve per il Villa Bossi e il Poggio Diamante, che entra nella ristretta cerchia di eccellenza di Terraelectae, marchio collettivo di valorizzazione del territorio.

Elegante e piccola denominazione è quella del Morellino di Scansano, gioiello enologico in provincia di Grosseto. Passione, dedizione e cura del dettaglio sono le doti di Mauro Troncon, talentuoso vignaiolo della cantina

Poggio al Vento. A pochi chilometri da Scansano, invece, la cantina Provveditore si segnala per vigneti lavorati esclusivamente a mano e tanta cura. L’azienda, oggi alla quarta generazione, è gestita da Cristina Bargagli. Ancora Morellino e una bella storia di famiglia con San Felo, la cantina di Federico Vanni che ha un approccio contemporaneo e di alta qualità. Si arriva poi nel Chianti Classico, tra borghi, castelli e vigneti affascinanti che paiono disegnati ad acquerello sulle morbide colline. E proprio su una di queste, a Radda in Chianti, si trova un vigneto unico, a forma di cuore. È parte della Premiata Fattoria di Castelvecchi, dove il gruppo Casa Paladin dei fratelli Roberto e Paolo produce Chianti Classico, Riserva e una Gran selezione Madonnino della Pieve che vale davvero la visita. Un’altra tappa da non perdere è Querceto di Castellina, cantina di ottimo livello e wine relais con ghiotta cucina tradizionale. È il riflesso dello spirito e della passione della famiglia Di Battista per vini che esprimono un forte carattere territoriale. Scendendo verso Siena, si staglia nel panorama il Castello di Brolio, dove pare che il tempo si sia fermato. Qui il barone Francesco Ricasoli della storica famiglia che annovera Bettino Ri-

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© Querceto di Castellina © Pr Comunicare il Vino Cena in vigneto nella tenuta Querceto di Castellina (Pisa) Leone de Renzis Sonnino nella cantina di famiglia

casoli, primo presidente del Consiglio italiano dopo Cavour, produce Chianti Classico e alcuni cru da singoli vigneti di grandissima eleganza, struttura e nobile carattere.

Sulle strade bianche sterrate che tagliano i fianchi delle colline di Brolio si tiene, dal 24 al 26 marzo, la Chianti Ultra Trail, appuntamento attesissimo dai runner, pronti a giungere da tutto il mondo per correre in uno dei territori più incantevoli d’Italia. In programma negli stessi giorni anche la passeggiata enogastronica Chianti Walk & Taste e le degustazioni dell’Ultra Wine.

Verso Siena, nella campagna di Castelnuovo Berardenga, non può mancare una sosta di enologica bellezza a Vallepicciola, per scoprire il talento dell’enologo Alessandro Cellai, degustando il suo Chianti Classico e gli altri cru dell’azienda, davvero irresistibili.

Da segnalare anche la cantina Poggio

Borgoni di Eleonora Salvini: grande eleganza e cura dei sentori aromatici e fruttati per vini di moderno talento.

Una tappa a Il Poggiolino di Alberto Fabbri è necessaria per apprezzare la sua interpretazione del Chianti Classico e godersi Rosacarina, rosato Igt ricavato da un salasso di uve Sangiovese.

Grandi vini, panorami stupendi e un’ospitalità che cura ogni dettaglio sono i punti forti del Palagio di Panzano, dove Monia Piccini e Franco Guar-

ducci fanno venir voglia a chiunque di prolungare il soggiorno.

Superata Siena si raggiunge la zona di Montepulciano, dove viene prodotto il Vino nobile. Qui i De Ferrari, genovesi intraprendenti, hanno creato la cantina Boscarelli: una golosa batteria di tipologie per assaporare appieno le caratteristiche di questo rosso.

Da segnalare anche il Molinaccio di Alessandro Sartini, con vini di bella identità e perfettamente equilibrati, e l’azienda Antico Colle, nata nel 1999 dalla volontà della famiglia Frangiosa, con l’ottima riserva Il Saggio. Mentre l’enologa Caterina Sacchet, della famiglia proprietaria delle quattro tenute di Carpineto, ha espresso la sua creatività nel Vigneto Poggio Sant’Enrico 2012.

Lo skyline più famoso sin dai tempi del Medioevo accoglie tutti coloro che giungono a San Gimignano, sulle colline a sud-ovest di Firenze. Qui si produce la Vernaccia, unica regina bianca tra i vini rossi sovrani della Toscana, da conoscere e gustare anche in annate più vecchie. Vale una visita il Colombaio di Santa Chiara, cantina della famiglia Logi. I fratelli Giampiero, Alessio e Stefano lavorano con somma cura e grande intuito nel realizzare vini dallo stile elegante e dal sorso pieno di fascino. Altra bellissima scoperta è l’azienda di Antonio Vagnoni e della sua famiglia. Talento

e capacità enologica in tutti i vini, soprattutto in due vernacce: la riserva I Mocali e il Fontabuccio. In chiusura di viaggio, un breve salto in zone vinicole come la Maremma, la Val D’Orcia, Suvereto e Carmignano. In quest’ultima terra è imperdibile la Tenuta di Artimino, con la cinquecentesca villa medicea La Ferdinanda che, assieme alla cantina, appartiene alla famiglia Olmo. Batteria di vini decisamente di alto livello tra cui spiccano il Carmignano Docg Poggilarca e la riserva Grumarello. Sempre nel Carmignano, la Tenuta di Capezzana è una delle più antiche aziende vinicole della regione e vanta la presenza di alcuni vitigni quasi sconosciuti nel resto del territorio.

Nel cuore della Doc Terre di Pisa, Usiglian del Vescovo rappresenta un fantastico connubio tra natura incontaminata, memoria storica e moderne tecniche agronomiche. L'azienda Pietro Beconcini rispecchia invece l'amore per la tradizione con il Sangiovese e si segnala come prima azienda italiana a coltivare l’uva Tempranillo, di origina spagnola.

Infine, Muralia a Roccastrada, nel Grossetano, ha scelto come logo un simbolo ripreso dai sumeri che significava “mano”. La filosofia è chiara: toccare con mano il frutto del proprio lavoro e lasciarlo parlare, senza interferire.

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© Ricasoli 1141 La Sala d’arme del Castello di Brolio a Gaiole in Chianti (Siena)

IL PAESE DEI MILLE PAESI

di Osvaldo Bevilacqua [Direttore editoriale Vdgmagazine.it e ambasciatore dei Borghi più belli d’Italia]

NEL MITO DI SUTERA

IL PICCOLO BORGO SICILIANO CONSERVA ARCHITETTURE, SAPORI E TRADIZIONI DEI POPOLI CHE NE HANNO ABITATO I LUOGHI.

E CELEBRA UN RITO SPECIALE PER LA FESTA DI SAN GIUSEPPE

Sutera (Caltanissetta)

© Ignazio Catalano

Nella provincia di Caltanissetta, tra i profumi del rosmarino e del timo, Sutera – quasi 1.500 abitanti di cui circa 200 nel borgo antico – accoglie gli ospiti con i suoi angoli carichi di storia. Tra questi il Ràbato, la casbah, un agglomerato di case che affollano gli stretti vicoli fondato nell’860 d.C. dagli arabi, dopo il dominio dei Bizantini. Anche il quartiere Rabatello prese vita nella seconda metà dell’800, edificato con uno stile urbanistico tipicamente arabo con case costruite in gesso e ubicate in stradine all’interno di un percorso sinuoso, quasi labirintico, caratterizzato da numerose salite e discese. Dallo stesso modello deriva la casa contadina siciliana a un solo piano, il dammuso.

Altri quartieri devono la loro origine alla dominazione araba, così come

molte tradizioni: all’epoca, infatti, vennero introdotte notevoli tecniche di coltivazione, come l’incanalamento dell’acqua dei torrenti e nuove piante, tra cui il pistacchio, e il villaggio divenne sede di scambi commerciali e operazioni strategico-militari.

Quando si passeggia tra i vicoli in pietra lavica e calcarea del Ràbato, tra i suoi cortili, le vecchie case e gli orti incolti dove fioriscono i pistacchi, sembra di camminare su territori dal sapore biblico, ma solo il successivo dominio normanno determinò la conversione di qualunque edificio in luogo di culto cristiano. I primi normanni, e poi Federico II di Svevia, crearono il nuovo quartiere Giardinello, caratterizzato da case circondate da ettari di terreno adibiti a orticelli o graziosi giardini.

Le prime testimonianze storiche risalgono al VII secolo a.C. e la fondazione della città, tra storia e leggenda, è attribuita a Dedalo, l’architetto ateniese fuggito dal labirinto di Creta e ospita-

to da re Cocalo, che dominava su una porzione dell’isola. La sua posizione, tra il Monte San Paolino e la collinetta di San Marco, era talmente vantaggiosa che numerosi flussi migratori greci la ritenevano adatta per condurre una vita florida avendo a disposizione terreni fertili e sentieri ricchi di cacciagione in totale tranquillità. Per questo, forse, il suo nome deriva dal greco soter che significava salvatore.

Sutera, uno dei Borghi più belli d'Italia, domina la splendida Valle dei platani, un lembo straordinario di Sicilia, e continua a regalare eccellenze ed emozioni dovunque. Numerose le chiese e i palazzi d’epoca che riempiono di bellezza gli occhi dei visitatori. Tra questi i ruderi del Palazzo Salamone, in cui nacque Francesco Salamone, uno degli eroi della disfida di Barletta del 1503, e la Rocca spaccata, una collinetta che, secondo la tradizione, si sarebbe aperta al momento dell’ultimo respiro di Gesù sulla croce.

77 a cura di vdgmagazine.it
Chiesa Maria Santissima del Carmelo, Sutera © Salvatore Diprima

IL PAESE DEI MILLE PAESI

Altri luoghi di interesse della cittadina sono il Santuario di San Paolino, l’eremo di Sant’Onofrio, antico convento dei Filippini, la chiesa di Sant’Agata, il municipio, la chiesa di Maria Santissima del Carmelo, il Museo etno-antropologico e la cinquecentesca chiesa di Maria Santissima Assunta edificata nel 1532 nel luogo in cui secoli prima sorgeva la moschea.

È un territorio, questo, dove le tradizioni sono molto sentite e partecipate, a cominciare dalla festa di San Giuseppe, il 19 marzo. Ogni anno, a Sutera, il comitato dei festeggiamenti in onore del santo sceglie tre persone del paese per vestire i panni della Madonna, di San Giuseppe e di Gesù bambino. Le celebrazioni prendono inizio al mattino con un corteo presieduto dal sacerdote che, insieme ai fedeli, si reca a casa delle persone scelte per la vestizione dei figuranti e poi in chiesa per officiare la Santa Messa.

Subito dopo il corteo, figuranti, sacerdote e fedeli raggiungono piazza Mameli per la storica Tavulata di San Giuseppe – in siciliano Tavuli di San Giuseppi – una lunga tavola imbandita in loro onore con i prodotti tipici della zona. Dopo la benedizione viene distribuita a tutti la minestra del santo, preparata dai componenti del comitato, mentre chi interpreta la sacra famiglia mangia anche altre pietanze locali, come i minnulicchi, dolci di pasta fritta della tradizione siciliana.

«È ancora in uso, anche se in misura minore rispetto agli anni passati, apparecchiare nelle proprie case i vicchiareddi, ossia tavole imbandite dai fedeli che, per riconoscenza al santo, invitano a pranzo i parenti o i vicini», racconta il presidente della pro loco, Carmelo Mattina. «Dopo la festa di San Giuseppe Sutera si animerà, di nuovo, con i riti e le processioni della Settimana santa, per rivivere il dramma doloroso della mor-

te di Cristo. Le confraternite faranno da corollario a un entusiasmante rito che segue la veglia pasquale e la Resurrezione di Cristo. Martedì dopo Pasqua, poi, partirà una solenne processione dalla vetta della montagna per accompagnare, fino al centro del paese, le preziose urne in argento contenenti le sacre reliquie dei compatroni San Paolino e Sant’Onofrio. Emozioni che vanno vissute di persona».

Alcuni piatti tipici del borgo sono il maccu di fave, una minestra a base di legumi, lu pitirri, una sorta di polenta di farina di semola di grano duro, e li virciddratu, ciambelline di pasta di pane, che a nominarle in dialetto sembrano ancora più buone. Specialità che hanno sapori antichi e richiedono contenitori all’altezza: per trasportare li virciddratu, ma anche le mandorle di varietà fellamasa, l’olio di oliva e i formaggi, viene spesso utilizzato lu panaru, un cesto di rami di ulivo, salice o olmo intrecciati artigianalmente.

U’ PITIRRI

di

Una perla tipica dell’entroterra siciliano, forse importata dall’Africa in epoca romana ma con evidenti influenze arabe: u’ pitirri è una minestra densa e cremosa, caratterizzata dall’aroma del finocchietto selvatico fresco in cui si identifica gran parte dell’Isola.

Secondo l’antica ricetta le uova si miscelano a mani aperte, una alla volta, alla farina di semola – in dialetto questo si chiama “frisculiare” – anche se in origine si usava solo acqua come per il cous cous. Il composto ottenuto si sgrana in un setaccio a maglia larga, detto crivu, e si lascia asciugare per circa 24 ore. Poi si fanno bollire in acqua e sale verdure invernali come cavolo verde, borragine, cavolfiore, cardi selvatici tritati a coltello, carota, sedano, cipolla e piselli e, a cottura ultimata, si aggiunge la pasta. Si mescola lentamente per qualche minuto e si porta in tavola con olio extravergine di oliva a crudo.

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© Giuseppe Carruba La tavolata in occasione della festa di San Giuseppe © Salvatore Diprima

di Peppone Calabrese PepponeCalabrese peppone_calabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

IL SAPORE DEL BOSCO

A CAVALESE, IN VAL DI FIEMME, PER SCOPRIRE

LA CUCINA DOLOMITICA, TRA RISPETTO DELL’AMBIENTE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Sono montanaro, amo passeggiare nei boschi e lo faccio fin da quando sono piccolo. Mi piace calpestare le foglie

secche, sentire il profumo del muschio e vedere i colori della natura nelle varie stagioni. Ho nel tempo maturato la convinzione che ogni bosco

abbia il suo odore e il suo sapore e così decido di andarne a scoprire uno in Trentino, precisamente a Cavalese, ai piedi dell’Alpe Cermis. Comincio la

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© Massimo/AdobeStock
Cavalese (Trento)

mia passeggiata su un sentiero ben tracciato e mentre cammino assorto nei miei pensieri sento alcune voci in lontananza. Seguo il suono e capisco che provengono dal bosco inoltrato, fuori dal sentiero. Sono indeciso se seguire o meno il vociare ma alla fine mi faccio coraggio e mi avvio. Vedo un gruppo di persone e, arrivato a pochi metri, vengo invitato a unirmi. Uno di loro si presenta: «Piacere, sono Alessandro Gilmozzi e i ragazzi che stanno con me sono tutti membri della mia brigata». Penso siano i partecipanti a uno di quei giochi di guerra nei boschi che tanto vanno di moda ma il loro abbigliamento non è consono a una battaglia. Chiedo di che tipo di brigata si parla e uno dei ragazzi mi dice: «Lui è il nostro chef e patron di El Molin, un ristorante stellato a cui la Michelin ha attribuito anche la stella verde per la sostenibilità, e noi oggi stiamo facendo un’uscita di foraging, cioè raccogliamo bacche, fiori, licheni, foglie e cortecce».

Interviene Alessandro che mi spiega meglio: «Io e i ragazzi usciamo almeno due volte alla settimana, talvolta più spesso. La mia cucina vive di erbe, funghi e cortecce selvatiche, ma anche di prodotti che acquisto dal contadino sulla base delle disponibilità o da masi specializzati nella coltiva-

zione di erbe aromatiche tradizionali. Durante queste escursioni cerco di trasmettere loro ciò che ho ricevuto da ragazzo, affinché non vada perduto. La montagna è parte di me, sono nato qui, in un luogo unico al mondo. Sono cresciuto passeggiando nei boschi con mio padre e mia zia, le mie caramelle erano le bacche, e ho imparato fin da piccolo a riconoscere le erbe e i funghi commestibili, ad allenare la vista e l’olfatto per individuarli. Qualcosa che non si studia sui libri, o meglio, per cui i libri non bastano». La passeggiata procede con la calma che solo un uomo abituato a rispettare il tempo della montagna conosce. A ogni passo ci sono infiniti spunti per lo chef, che non smette di cercare con lo sguardo qualcosa che per noi è invisibile. Alessandro è generoso e risponde volentieri a tutte le mie domande, ma a un certo punto si ferma, con sguardo concentrato, e d’improvviso si china. Poi raccoglie un lungo pezzo di corteccia e l’appoggia con delicatezza nel cesto di vimini che ha con sé. Gli chiedo perché tanta delicatezza e lui risponde: «Per consentire a spore e pollini di continuare a diffondersi anche dopo la raccolta». Sono stupito dal suo grande rispetto per il bosco e lo incalzo chiedendogli cosa ne farà.

«È corteccia di pino cembro, o cirmo -

lo. Un tempo, per raccoglierne la resina, che è la linfa e l’olio essenziale della pianta, si praticavano dei fori sugli alberi vivi con delle piccole trivelle. Ora, grazie alla tecnologia, possiamo effettuare questa raccolta in modo più sostenibile, senza danneggiare la pianta e limitandoci a scegliere i pezzi di corteccia che si sono già naturalmente staccati, ma rimangono ricchi di resina. Una volta rientrati, grazie all’uso di una pressa, possiamo estrarre dalle varie scaglie un elisir davvero incredibile. Un lavoro rispettoso

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© Stefano Caffarri © Stefano Caffarri Il ristorante El Molin, Cavalese Il dessert Borderline, servito in una scatola di legno di cirmolo

della pianta, che richiede pazienza e viene effettuato goccia a goccia». Poi mi spiega che il cirmolo è un sempreverde molto resistente: cresce fino a un’altitudine di 2.400 metri e, nei secoli, ha rappresentato una grande risorsa gastronomica per quella terra. Il suo legno ha anche proprietà calmanti e rilassanti, tanto che se ne usavano i trucioli per riempire cuscini e costruire culle e giacigli.

Così Alessandro ha deciso di utilizzarlo nel suo ristorante. «El Molin è stato ricavato da uno dei mulini antichi che un tempo utilizzavano le acque del torrente Avisio. Io l’ho ristrutturato realizzando con il cirmolo la struttura interna del salottino di accoglienza e alcune stoviglie con cui presento i miei piatti, come la zangola che uso per montare il burro direttamente al tavolo o la scatola in cui serviamo le praline», mi spiega sorridendo. Poi cambia tono, si ferma e aggiunge: «Non è solo il legno a essere importante, pensa che con le pigne effettuiamo ben sette diverse lavorazioni, che ci consentono di ricavare resine e oli aromatici, ma anche estratti per cocktail e polvere da utilizzare per il risotto, ricreando il profumo della baita in inverno. Gli scarti delle lavorazioni, poi, vengono usati per alimentare i bracieri e scaldare l’ambiente».

Continuiamo a camminare, i ragazzi lo seguono e ascoltano attentamente, qualcuno raccoglie qualche fiore. Io guardo Alessandro e sorrido, stupito dalla sua filosofia di vita, che richiede tempo e impegno. Lui mi svela che dietro la dedizione si cela anche un intelligente utilizzo della tecnologia: «In passato, per alcuni procedimenti di stagionatura e maturazione servivano molti mesi, mentre adesso con alcune tecniche bastano poche ore per ottenere risultati uguali o addirittura migliori. Per esempio, dopo aver marinato il sedano rapa, l’ho maturato a ultrasuoni per qualche ora, come si fa con i salumi, con l’ulteriore vantaggio che questo processo elimina la carica batterica del prodotto. In questo modo, un vegetale povero riesce a sorprendere l’ospite al tavolo». Lo chef va avanti a parlarmi dei suoi piatti, nati grazie a intuizioni improvvise o per raccontare una storia. Come

quella dei macaron, conosciuti come specialità parigina ma diffusi in Italia sin dal XVI secolo: «Nel periodo della Controriforma, durante il Concilio di Trento, ai vescovi piacevano moltissimo i cosiddetti basin de Trent, dolcetti fatti con albume d’uovo e polvere di mandorla. Io ho rielaborato questa tradizione disidratando la pasta e utilizzandone la polvere ottenuta al posto della farina di mandorle, per poi farcirli con una preparazione a base di rosa canina e fragola».

Alessandro è così legato alle dolomiti e alla Val di Fiemme che mi chiedo se abbia mai pensato di lavorare in un contesto internazionale. Mi risponde guardando a terra: «Da giovane ho avuto delle esperienze fuori, la mia famiglia ha sempre lavorato nel settore dell’ospitalità e io ero impaziente di vedere il mondo. Al mio ritorno, però, ho sentito che il mio posto era qui, che volevo proseguire una filosofia di cucina autenticamente dolomitica. Quando è stata assegnata la stella Michelin al mio ristorante, ho ricevuto una pro -

posta molto interessante per lavorare in Canada, e non ti nascondo che in quel momento ho esitato». Alza lo sguardo, mi guarda fisso e aggiunge: «Alla fine, però ho scelto di rimanere, non riesco a immaginarmi altrove. Nei boschi sento il suono dei miei passi da bambino, la voce dei miei che m’insegnano cosa mangiare o come usare la resina di betulla per sigillare un taglio alle mani. So che questo è il mio posto nel mondo: i miei boschi sono anche i miei orti».

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© Stefano Caffarri © Stefano Caffarri
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Macaron di pasta

di Padre Enzo Fortunato padre.enzo.fortunato padrenzo padreenzofortunato [Giornalista e scrittore]

SULLE TRACCE DI FRANCESCO

AD ASSISI, TRA I LUOGHI VISITATI NEGLI ANNI DA PAPA

BERGOGLIO CHE HA VOLUTO RIPERCORRERE LA VITA DEL SANTO DI CUI PORTA IL NOME

BUON VIAGGIO BRAVA GENTE
82 © dudlajzov/AdobeStock
Chiesa di Santa Maria Maggiore, Assisi

Dieci anni di pontificato da quella sera in cui il silenzio dominava in una piazza San Pietro gremita nonostante la pioggia – l’elezione di un pontefice è sempre un evento eccezionale – un silenzio appena rotto dopo l’annuncio del cardinale eletto: Jorge Mario Bergoglio, qui sibi nomen imposuit Franciscus. Poi un fragore assordante. Il papa venuto dalla fine del mondo aveva deciso di chiamarsi Francesco. Un nome tanto importante quanto impegnativo. Pochi giorni dopo spiegò ai giornalisti il motivo di quella scelta azzardata, ispirata da una frase dell'arcivescovo emerito di San Paolo, il brasiliano Claudio Hummes. «Quando è stato raggiunto il quorum dei due terzi è scattato l'applauso. Claudio mi ha abbracciato

e mi ha detto: “Non dimenticarti dei poveri”. Subito, in relazione ai poveri, ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi, mentre lo scrutinio proseguiva, ho pensato alle guerre. E Francesco è l’uomo della pace. E, così, è venuto il nome nel mio cuore: Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della povertà e della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato».

Tutti si aspettavano un’imminente visita ad Assisi e Bergoglio non tradì le aspettative: quell’anno celebrò la festa di San Francesco nella cittadina umbra. Una giornata straordinaria durante la quale il nuovo pontefice toccò tutti i luoghi fondamentali nella vita del santo. Per altre cinque volte, poi, è tornato ad Assisi. L’ultima, per il momento, il 24 settembre 2022, in occasione della manifestazione internazionale Economy of Francesco al Teatro Lyrick, un tempio della cultura ricavato nell’ex reparto chimico industriale della fabbrica Montedi -

son, progettata negli anni ‘50 dagli architetti Pier Luigi Nervi e Riccardo Morandi.

Tornando al 4 ottobre 2013, la prima volta di Bergoglio ad Assisi, ci si può avventurare tra i luoghi in cui il papa ha sostato – toccati poi anche nel corso delle visite seguenti – ripercorrendo le tappe fondamentali dell’esistenza del santo. Ma, prima di iniziare questo cammino, va ricordato un posto che non è una meta turistica: l’Istituto Serafico, che accoglie e cura bambini e ragazzi affetti da gravi disabilità plurime, chiamati ad affrontare con coraggio ogni giorno faticosi percorsi di riabilitazione. «Gesù è nascosto in questi ragazzi, in questi bambini, in queste persone. Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù, in loro troviamo le piaghe di Gesù», disse il papa.

Per ripercorrere la vita del Poverello sui passi del pontefice si parte da Santa Maria Maggiore, la chiesa del

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Tomba di San Francesco nella basilica omonima © Smartshots International/GettyImages

BUON VIAGGIO BRAVA GENTE

vescovado, dove Francesco ricevette il battesimo, quando gli fu imposto, in un primo tempo, il nome di Giovanni. Nella chiesa di San Damiano, fuori dalle mura cittadine, visse invece una forte esperienza interiore nei primi tempi della sua conversione. Fermatosi a pregare davanti a un’immagine del crocifisso, udì la voce di Gesù che gli parlava nell’intimo e gli chiedeva di ripararne la casa. Si sentì

così pronto per nuove battaglie. Sulla piazza del Vescovado, alla presenza del vescovo Guido I, rinunciò all’eredità paterna restituendo al padre terreno anche gli abiti che indossava. Visse allora in solitudine per due anni, rafforzandosi nella sequela di Cristo, fino a quando si unirono a lui alcuni uomini di Assisi. Una delle loro prime dimore fu un tugurio abbandonato, detto Rivotorto, «dove a fatica potevano stare seduti o stesi per terra»: da lì furono però cacciati da un campagnolo, giunto là con il suo asino, che reclamava il possesso del luogo. La chiesetta di Santa Maria degli Angeli, dove avevano già dimorato periodicamente, divenne così la loro residenza più stabile: Francesco amò quella piccola cappella, preferendola a tutte le altre.

Poi la «gente poverella crebbe», come racconta Dante nel canto XI del Paradiso, divenendo un Ordine numeroso, mentre Francesco continuava con costanza a dare l’esempio.

Nei primi mesi del 1221, però, vittima della febbre quartana, mangiò della carne durante la Quaresima. Allora convocò la cittadinanza in piazza San Rufino, dove tenne una predica. Poi entrò nella chiesa, si tolse la tonaca e si fece trascinare nudo con una corda al collo davanti alla gente, confessando il peccato commesso. Tutti

LA RIVOLUZIONE DI BERGOGLIO

«Sembriamo tutti giudici mancati, ma Dio perdona chi non giudica i fratelli». Così, in una messa a Santa Marta, nella Città del Vaticano, papa Francesco sottolinea come il giudizio verso l’altro sostituisca spesso la misericordia cristiana. Anche il papa, del resto, è costantemente criticato: alcuni lo hanno addirittura bollato come eretico, chiedendone le dimissioni. Una storia per molti versi speculare a quella di San Francesco d’Assisi che, nel corso della sua vita, è dovuto passare attraverso tre processi. Il primo, mosso dal padre Pietro di Bernardone, terminò con uno dei gesti più eclatanti e significativi mai raccontati nelle vite dei santi, la spoliazione. Il secondo, noto come il processo del signor papa, ha come protagonista Innocenzo III ed è una parte centrale del complicato percorso che portò all’approvazione della Regola francescana. Infine il terzo, scatenato dai dissidi sull’interpretazione delle norme redatte da Francesco, che avevano causato numerose dispute tra i frati, terminò con la decisione del santo di rassegnare le dimissioni dalla guida del suo stesso Ordine. Partendo dal racconto di questi tre episodi, Enzo Fortunato riflette sulle somiglianze tra la vita del santo e quella di papa Bergoglio. Entrambi, come Gesù, non giudicano mai l’altro ma sono continuamente sotto giudizio. Il ritorno dello spirito francescano veicolato dal pontefice, infatti, ha scosso dalle fondamenta una Chiesa arroccata e autoreferenziale che rischiava di perdere di vista il messaggio più autentico del Vangelo: l’amore verso gli ultimi. Come scrive il cardinale Matteo Maria Zuppi, «una delle chiavi di lettura offerta da padre Enzo Fortunato sta nel modo in cui entrambi – il Santo e il papa – rispondono ai loro accusatori. O, come sarebbe meglio dire, il modo in cui non rispondono. Non si tratta di eludere il confronto, ma di ribaltare il piano e la logica dell’accusa. Questa, infatti, alimenterebbe soltanto l’odio e il rancore. La logica del cuore apre invece lo spazio a un altro modo di intendere la relazione umana».

scoppiarono in pianto e compresero la lezione, avvertendo l’urgenza di una vera conversione. Pochi anni dopo quell’evento, Francesco tornò al Signore. Non appena intuì l’aggravarsi del male, si fece riportare alla Porziuncola, dove dal grembo «l’anima preclara/mover si volle, tornando al suo regno/e al suo corpo non volle altra bara», scrive sempre Dante. Fu sepolto provvisoriamente nella chiesa di San Giorgio ma nel 1230 le sue spoglie vennero traslate nella basilica costruita in suo onore per volere di papa Gregorio IX, che ha il cuore pulsante nella cripta dove è posta la Tomba di San Francesco. Chiara gli sopravvisse per 27 anni e per 42 dimorò a San Damiano: dopo la sua morte, nel 1253, le spoglie furono portate nella chiesa di San Giorgio, fino a quando non fu edificata la basilica di Santa Chiara.

La vita di Francesco trascorse in un colloquio continuo con l’Altissimo, per questo egli cercava luoghi isolati dove immergersi in preghiera. Fuori da Assisi, inerpicandosi sul monte Subasio, si incontra l’Eremo delle carceri, dove la tradizione vuole si conservi la grotta in cui il santo colloquiava con Dio. Allo stesso modo, ripercorrere anche solo spiritualmente i luoghi di Francesco vuol dire entrare in dialogo con lui.

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Papa Bergoglio al Teatro Lyrick di Assisi in occasione della manifestazione Economy of Francesco, il 24 settembre 2022 Mondadori, pp. 204 € 17,50 © NurPhoto/GettyImages

TUTTI A CORRERE

IL 19 MARZO A ROMA, IL 2 APRILE A MILANO. TORNANO LE MARATONE DI PRIMAVERA: OLTRE 42 CHILOMETRI TRA PIAZZE E STRADE CITTADINE. MA ANCHE PERCORSI PER AMATORI E STAFFETTE SOLIDALI di Flavio Scheggi mescoupsdecoeur

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L’arrivo della primavera, con le giornate che si allungano e le temperature che iniziano a salire, è il momento dell’anno più apprezzato dagli appassionati della corsa. E proprio in questo periodo si svolgono due grandi eventi che molti sportivi hanno segnato da mesi in calendario: la maratona di Roma, il 19 marzo, e quella di Milano, il 2 aprile. Impossibile non rispondere al richiamo della regina delle corse su strada, con i suoi 42 chilometri e 195 metri per entrambe le città. Gli appassionati di podismo scelgono la Capitale per correre immersi nella storia, in uno scenario unico. Mentre all’ombra della Madonnina si va per fare il miglior tempo, grazie a un percorso con lunghi rettilinei. In entrambi i casi, oltre alla gara principale, sono in programma una serie di eventi con distanze differenti come la staffetta charity per raccolta fondi o itinerari ridotti adatti a bambini e famiglie.

L'Acea Run Rome The Marathon, organizzata da Infront Italy, Corriere dello Sport-Stadio e Italia Marathon Club, prevede tre eventi diversi per consentire a circa 30mila persone con ogni livello di allenamento e di tutte le età, bambini compresi, di vivere un’eccezionale domenica sulle strade eterne della Capitale. Circa 10mila maratoneti, provenienti da 110 nazioni, si impegnano per portare a termine i canonici 42 chilometri. Si parte dai Fori Imperiali per attraversare la città in un percorso unico che tocca oltre 30 monumenti come il Colosseo, Circo Massimo, San Pietro e il Vaticano, Castel Sant’Angelo, il Lungotevere, piazza di Spagna

© Phototoday
Maratoneti dell'Acea Run Rome The Marathon (2022) in via della Conciliazione

e piazza Navona. Oltre alla maratona, domenica 19 marzo, sono previste la staffetta solidale Run4Rome Relay e la stracittadina di cinque chilometri

Sn4iFun Run. Nella prima, il percorso di 42,195 chilometri viene diviso in quattro frazioni e si affronta in squadra: in pratica è una corsa per quattro persone che compongono una vera e propria staffetta. Ogni team sostiene

una delle organizzazioni no profit che aderiscono al progetto, all’insegna della solidarietà e dell’amicizia. Parte fondamentale dell’evento capitolino è la stracittadina Sn4iFun Run, dove decine di migliaia di persone partecipano camminando o correndo senza competizione. In questo caso, l’obiettivo è vivere una domenica mattina in libertà e spensieratezza, magari con la

propria famiglia o gli amici. Quest’anno, poi, l’evento capitolino si arricchisce di un appuntamento unico: al momento del via, le Frecce Tricolori sorvoleranno il cielo di Roma con uno spettacolo pronto a imprimersi negli occhi di tutti i partecipanti.

Il 2 aprile è prevista invece la 21esima Milano Marathon, organizzata da RCS Sports & Events, che ha come protagonisti atleti d'élite e amatori provenienti da ogni parte del mondo. La gara, che ha come punto di partenza e arrivo Corso Venezia, in pieno centro, è la più veloce sul suolo italiano e nel 2022 ha saputo coinvolgere oltre 13mila partecipanti, tra maratona e corsa a staffetta. Questa edizione vedrà il debutto in maratona di Yeman Crippa, il mezzofondista italiano campione d’Europa nei 10mila metri e bronzo nei cinquemila a Monaco di Baviera 2022, ambassador della competizione meneghina. Il percorso si snoda su un tracciato ad anello, con quasi 18 chilometri all'interno della cerchia dei Bastioni (nel cuore della città) tra le zone di Repubblica, Moscova, Parco Sempione, Duomo, Cairoli e Cordusio, e il resto dentro la circonvallazione esterna. Previsto il passaggio dei runner in zona City Life e nell’area nord-ovest che compren-

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Il passaggio della Milano Marathon sotto al Duomo (2022) Il passaggio dell'Acea Run Rome The Marathon in piazza del Popolo (2022) © LaPresse © Phototoday

de l’Ippodromo, San Siro, il Parco di Trenno e il quartiere Gallaratese. Un tracciato capace di conciliare le esigenze di scorrevolezza dei top runner con quelle degli amatori che non vogliono perdere la possibilità di ammirare una città nella sua combinazione di elementi storici e contemporanei. Oltre che per la parte agonistica, la Milano Marathon si distingue per essere uno degli eventi sportivi italiani più efficaci nel fundraising solidale, con circa quattro milioni di euro raccolti finora. Anche quest’anno la corsa

principale sarà affiancata dalla Lenovo Relay Maraton, la staffetta a squadre che permette di dividere il percorso in quattro frazioni tra i sette e i 13 chilometri ciascuna. Per partecipare, i runner devono iscriversi a una delle organizzazioni no profit aderenti al Milano Marathon Charity Program, elencate sul sito ufficiale della manifestazione. Il giorno prima della corsa, tra le iniziative in programma c’è la Levissima School Marathon, la corsa dedicata ai più piccoli, aperta anche alle famiglie e agli accompagnatori. L’evento è ar-

ricchito da un percorso didattico per sensibilizzare gli alunni delle scuole primarie e secondarie di Milano sui valori dello sport e l’importanza delle attività all’aperto, alla base di uno stile di vita sano. E in più, al pomeriggio del saggio, nella stessa area, la Dog Run Arcaplanet: una corsa-camminata di circa tre chilometri in compagnia del proprio cane, per esaltare il piacere di fare attività sportiva col proprio animale.

runromethemarathon.com milanomarathon.it

COME AFFRONTARE LA MARATONA

Fulvio Massini, maratoneta e allenatore dagli anni ‘70, ha scritto diversi libri sul tema tra cui Andiamo a correre (2012) e Tipi che corrono (2018). Ecco i suoi cinque consigli fondamentali per affrontare al meglio una maratona.

IL RISCALDAMENTO Fare 15 minuti di stretching un’ora prima del via e poi rimanere coperti con abiti che trattengono il calore fino a un istante prima di cominciare la gara.

LA PARTENZA Cominciare a correre con calma, cercando il proprio ritmo e aggiustandolo eventualmente al primo segnale chilometrico. Partire troppo velocemente può compromettere il risultato della maratona.

LA TATTICA È necessario impostare la gara su un ritmo e cercare di mantenerlo fino alla fine. Ritengo improduttivo partire piano e aumentare la velocità nel finale o, al contrario, iniziare forte e sperare di perdere il meno possibile durante la corsa.

BERE IN GARA È un dovere farlo a ogni rifornimento: bisogna rallentare, se necessario fermarsi, afferrare il bicchiere e ingerire acqua o integratore a piccoli sorsi prima di riprendere la corsa.

COSA MANGIARE Chi corre in meno di quattro ore non dovrebbe avere questo problema. Chi pensa di impiegare più tempo, dopo la mezza maratona potrà mangiare qualche pezzo di frutta fresca o secca fornita ai ristori.

DOPO LA GARA Non abbuffarsi di cibo ma procedere con calma e gradualità. E, se possibile, farsi fare un massaggio defaticante.

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Il taglio del traguardo alla Lenovo Relay Maraton, la staffetta a squadre di Milano (2022) © Claudio Furlan/LaPresse

A OCCHI APERTI

Copyright JR

Un progetto ambizioso: mostrare gli invisibili. Con un fine ancora più coraggioso, quello di non banalizzarli e non cadere nella retorica. Utilizzando uno strumento che fa da megafono e palco universale, l’arte. JR la “usa” per tenere gli occhi aperti sul mondo che osserva in profondità, spingendosi in luoghi lontani, marginali, flagellati da miseria e conflitti. Per carpire e svelarci la più piccola delle lacrime, la smorfia di dolore o il sorriso di una bambina.

Classe 1983, l’artista francese, famoso in tutto il mondo per i lavori che uniscono fotografia, arte pubblica e impegno sociale, torna in Italia con la sua prima personale. Dopo i grandi squarci su Palazzo Strozzi a Firenze e Palazzo Farnese a Roma, porta alle Gallerie d’Italia di Torino il progetto Déplacé∙e∙s che riflette sulla condizione dei migranti e dei rifugiati. La mostra, a cura di Arturo Galansino, organizzata da Intesa Sanpaolo e aperta fino al 16 luglio, raccoglie per la prima volta alcuni scatti realizzati in zone di crisi: dall’U-

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Déplacé·e·s, Picnic, Ajara, Mauritania (2022)

ALLE GALLERIE D’ITALIA DI TORINO LA PRIMA PERSONALE DI JR, L’ARTISTA FRANCESE CHE RIFLETTE SULLA CONDIZIONE DEI MIGRANTI E DEI RIFUGIATI

craina fino ai vasti campi profughi di Mugombwa, in Rwanda, di Mbera, in Mauritania, o di Cùcuta, in Colombia, e di Lesbo, in Grecia. Fotografie, video, installazioni, sculture e grandi teli con i ritratti dei bambini rifugiati per rendere concreti quei volti e palesare le condizioni in cui, oggi, versano migliaia di persone. La descrizione della realtà, l’urgenza del presente e un invito ad aprire gli occhi sull’umanità. Per dare volti e voci a chi non ce l’ha.

Torni in Italia con un progetto importante, per il tema e il

percorso con cui lo hai realizzato. Ce lo racconti? È un lavoro intimamente legato all’infanzia. Ciascun intervento si concentra su un bambino che incarna lo slancio verso il futuro, una nota di speranza resa in modo semplice. Ho cominciato questo progetto in Ucraina subito dopo lo scoppio della guerra, nel marzo del ‘22. Sono andato là con un’immagine che mi aveva colpito, il ritratto di Valeriia, una bambina di cinque anni dal viso radioso, che ho riprodotto su un telo di 45 metri. Con alcuni ragazzi ucraini l’ab-

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di Sandra Gesualdi sandragesu

biamo installato nel centro di Leopoli, volevamo che fosse ben visibile dall’alto, soprattutto dagli aerei russi che ogni giorno volano sopra le teste della popolazione sganciando le bombe. Sono tornato una seconda volta in Ucraina chiedendo se avessero bisogno di aiuti. Mi hanno chiesto di far viaggiare questa figura affinché il mondo non li dimenticasse e sapesse che la guerra continua. Ho raggiunto anche altre destinazioni molto diverse tra loro. Sono stato nel campo profughi di Mugombwa, in Ruanda, martoriato dai conflitti armati, e in uno dei più affollati del Sahel, nell’Africa subsahariana, dove dal 2012 hanno vissuto quasi 78mila rifugiati impossibilitati a riattraversare il confine. In Colombia, invece, la comunità di accoglienza di Cucuta riunisce esuli venezuelani e colombiani. Sull’isola greca di Lesbo sorge un centro di accoglienza e identificazione che ha rimpiazzato il campo di Moria, simbolo dei flussi migratori verso l’Europa, distrutto da un incendio nel 2020. Déplacé∙e∙s racconta questi luoghi e chi li vive, rendendo visibile un fenomeno in costante crescita: l’esodo di intere popolazioni, da un capo all’altro del mondo, a causa di guerre, carestie, cambiamenti climatici.

Qual è il legame tra ciò che hai trovato in questi luoghi e quello che scopriamo nelle tue opere?

Le mie pulsioni artistiche sono connesse al desiderio di conoscere e capire meglio ciò che mi circonda. Per comprendere le realtà designate da parole come migranti, rifugiati, profughi, ho bisogno di farne esperienza diretta. Ci sono un’accelerazione e uno spaventoso peggioramento delle condizioni in cui avvengono tali spostamenti. Il mio ruolo di artista non è quantificare e analizzare numeri, ma quello di fare luce sugli esseri umani che si celano dietro quei dati. Abbiamo convertito le crisi migratorie in una faccenda meramente tecnica, discutiamo di statistiche, definiamo categorie. Ma sorvoliamo sul fatto che sono in gioco vite umane e che le ragioni per cui una persona abbandona il proprio Paese sono sempre più complesse di qualsiasi tassonomia.

Durante questi viaggi che cosa ti ha colpito di più?

I volti delle persone che ho incontrato: tutti hanno in comune l’attesa. Potrebbero stare ovunque. In Mauritania, per esempio, ho attraversato il deserto per arrivare al campo profughi più isolato del mondo: là sanno di essere dimenticati e quando sono arrivato agitavano gli striscioni per segnalarsi. Le immagini dei bambini che ho fotografato, oltre a Valeriia in Ucraina, sono di Thierry in Ruanda, Andiara in Colombia, Jamal in Mauritania, Mozhda in Grecia e il loro sguardo, da cui ho creato le gigantografie decorate da due occhi in formato extra large, costringono a porsi delle domande sulla loro sorte: qual è il loro posto e come vengono considerati? Quali sono i loro diritti e il loro destino?

L’arte può scalfire le coscienze collettive?

Sembra una missione impossibile, invece accade. Le mie macrofotografie in movimento mettono insieme centinaia di migliaia di persone e quest’azione resta. La performance realizzata in piazza San Carlo a Torino con oltre 1.500 persone è stata un’opera collettiva. I teli si possono deteriorare, la memoria dell’atto rimane: tanti sconosciuti si sono ritrovati insieme per realizzare un’idea, creando una piccola

e semplice magia che sposta la percezione di un problema. Se questa è una cosa che si può ripetere e diffondere, facendo prendere coscienza alle persone, allora sono convinto che qualcosa possa succedere, senza proclami. L’arte schiaccia il pessimismo.

Chi è JR?

Sono un immigrato di seconda generazione, mio padre e mia madre hanno origini tunisine. In Francia tutti vengono da un luogo diverso, si sentono profondamente francesi ma vengono considerati stranieri. Questo genera aggregazione in comunità. Penso anche di essere un artista che impegna gli altri, anche se c’è differenza tra attivismo e arte. Il mio ruolo è sollevare domande senza dare risposte. Chi sono io per andare in Ucraina o Mauritania e dire quello che c’è da fare o cambiare? Vado là per lavorare con la gente e trovare un’immagine che funzioni per loro, che li rappresenti. Per me è importante viaggiare perché così studio e scopro situazioni che ho visto solo attraverso i media. Cerco di trovare un modo per creare qualcosa che abbia senso per le persone: l’opera dipende sempre dalla loro volontà. Hai scattato le tue prime foto nelle periferie di Parigi. Cosa significa per te questa città?

È stata la partenza di un grande percorso che continua ogni

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La performance in piazza San Carlo a Torino con le grandi opere di JR raffiguranti bambini e bambine profughi Copyright JR

giorno. Sono cresciuto nei quartieri suburbani, dove mi sentivo un po’ perso tra la grandezza degli edifici. Scrivevo il mio nome sui muri per mostrare che ero lì, che esistevo. Quando ho trovato una macchina fotografica nella metropolitana non sapevo cosa farne. Ho iniziato a documentare i miei amici mentre realizzavano graffiti su edifici o tunnel, scatti che poi ho fotocopiato e lasciato in giro tra le strade di periferia. Il mio lavoro è nato così, ma in quel momento non sapevo cosa fosse veramente una fotografia o un artista. Sentivo solo il bisogno di condividere queste immagini. Da autodidatta a nome internazionale. Quando hai capito di essere diventato un artista famoso?

La rivoluzione nel mio lavoro è avvenuta con le proteste del 2005 nelle banlieue parigine a cui ho assistito dalla mia finestra. Credo di esserlo diventato in quel momento, di aver trovato un senso quando ho cominciato a fare foto a queste proteste, alle persone. Mi sono ritrovato sulla copertina del New York Times per aver documentato questi episodi, così in molti mi hanno scoperto e io ho iniziato a prendere coscienza del potere dell’immagine. Cosa troviamo in mostra a Torino?

La fotografia è la materia prima del mio approccio artistico, mi interessa soprattutto la sua capacità di mettere in contatto la gente, di farla interagire e partecipare. Le Gallerie d’Italia offrono possibilità espositive articolate: gli schermi dinamici e l’ampia sala dotata di videoproiettori a 360˚ favoriscono le esperienze immersive e risucchiano il visitatore all’interno delle immagini. I grandi spazi mi hanno permesso di realizzare qualcosa di diverso e di portare lì i giganti teli originali dei bambini.

La domanda delle domande: a cosa serve l’arte?

Mi chiedo se possa trasformare il mondo. Prima pensavo che fosse una cosa impossibile, poi ho notato che ognuno di noi può compiere un’azione capace di creare una reazione che, a catena, può innescarne un’altra e questo, sì, potrebbe anche modificare qualcosa. La mia installazione

nelle favelas di Rio de Janeiro, per esempio, rappresentava una luna posta a 40 metri di altezza, visibile da ogni parte. Ha attirato e incuriosito tanti visitatori – è venuto anche il campione di Formula 1 Lewis Hamilton – che hanno seguito una regola: chi entrava nella favela per vedere l’opera doveva insegnare qualcosa ai bambini. Dopo questo progetto, il sindaco della città ha avviato nuove politiche sociali. Si può modificare la percezione che noi abbiamo del mondo. E cambiando quella si può cambiare il mondo.

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Particolare della performance a Torino (2023) Copyright JR JR nel suo atelier (2022) Copyright JR

LA TERRA DI TUTTI

NO MAN’S LAND, NEL PESCARESE, È UN GRANDE MUSEO A CIELO APERTO DOVE SI SONO DATI APPUNTAMENTO MOLTI ARTISTI DEL CONTEMPORANEO. CHE CON LE LORO OPERE HANNO VOLUTO TESTIMONIARE UNA PERSONALE IDEA DI LIBERTÀ

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Foto di Gino Di Paolo

Un museo d’arte contemporanea senza pareti, solo antiche porte che si dischiudono sul suolo e misteriosi simboli impressi su oltre 200 alberi, un luogo accessibile 24 ore su 24 a ingresso libero, senza sorveglianza alcuna. No Man’s Land è un museo a cielo aperto che non ha regole e funziona secondo la responsabilità

di ognuno, una terra dell’immaginazione disponibile a chiunque, dove le utopie si rivelano realizzabili. E non si tratta di un universo parallelo come quelli tratteggiati da Lewis Carroll in Alice nel paese delle meraviglie o da J.K. Rowling nella saga di Harry Potter. Benvenuti nella “terra di tutti” a Rotacesta, una frazione del pittoresco borgo di Loreto Aprutino incastonata

tra la costa pescarese e il Gran Sasso. Tutto ha inizio una manciata di anni fa. I protagonisti di questa storia sono una delle coppie più famose dell’arte contemporanea, Mario Pieroni e Dora Stiefelmeier, che hanno trascorso mezzo secolo di vita intensa a stretto contatto con gli artisti, da Gino De Dominicis a Jannis Kounellis, da Gerhard Richter a Meret Oppenheim

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L’installazione di Yona Friedman con Jean-Baptiste Decavèle, No Man’s Land (2016), a Rotacesta (Pescara)

fino a Carla Accardi e Michelangelo Pistoletto, solo per citarne alcuni. Mario e Dora hanno un terreno di famiglia a Rotacesta. Sono due ettari in una specie di dirupo: nel punto più alto c’è un bel prato di circa 6.000 m² da dove si scende attraversando un bosco di noci e, infine, si giunge in una radura nei pressi del fiume Tavo. Nulla di panoramico né di eccezionale. Ma non per gli occhi di Yona Friedman, il grande architetto visionario interpellato da Mario e Dora a Parigi. Gli mostrano delle fotografie del luogo. È il 2015. E davanti agli scatti del piccolo bosco Friedman prorompe: «Bellissimo! Sugli alberi edifichiamo un museo senza pareti». La galleria pensile non si è mai realizzata ma al suo posto è stata

costruita a terra una grande struttura di bambù, una “città spaziale”. «Questo noceto è meraviglioso, sembra la cisterna di Istanbul!», aggiunge Yona, «perché non creiamo una biblioteca?

Ho un dizionario, realizzato nel 1956, basato su 240 icone per aiutare le persone che non parlano la stessa lingua a comprendersi».

Ci sono 220 alberi di noce, Mario e Dora sono entusiasti. E così su ogni tronco viene impresso un ideogramma di Friedman per accogliere chiunque, con simboli universali, nella terra di tutti. L’architetto è morto nel febbraio del 2020 lasciando a Rotacesta una parte significativa del suo testamento spirituale, in installazioni progettate insieme all’artista francese Jean-Baptiste Decavèle. «Mi piacerebbe che trovaste delle pietre fluviali per tracciare un disegno che rifletta, dall’alto, un po’ della mia mitologia personale», aveva chiesto un giorno a Mario e Dora. Così, poco tempo dopo, sono arrivati dei camion carichi di sassi dalla Puglia, bianchi e levigati dall’acqua, ed è nata No Man’s Land l’opera site-specific da cui prende nome il luogo e la fondazione omonima. Un grande disegno e la suggestiva visione di Yona: la fiducia nelle utopie realizzabili in piccole comunità che saranno, domani, la maggioranza. Le sorprese per chi giunge in visita a Rotacesta sono però solo all’inizio, perché qui, nel tempo, si sono dati

appuntamento alcuni dei più grandi talenti del contemporaneo. E hanno lasciato una loro straordinaria testimonianza dell’idea di libertà a cui ognuno anela nella propria vita. È il caso del compositore e performer Alvin Curran che ha realizzato un progetto che aveva in mente già da tanti anni: far cadere un pianoforte a coda nel bosco come se fosse precipitato dal cielo e, attraverso un meccanismo, farlo suonare giorno e notte con un brano composto per l’occasione. Mentre la musica rimane sempre giovane, il pianoforte – sono già passati quasi cinque anni – si sta disintegrando nella natura. A No Man’s Land una volta c’erano anche le pecore. Questo mondo pastorale è finito, non ci sono più le transumanze, le migrazioni stagionali delle greggi. È quanto avverte con nostalgia Gianfranco Baruchello, immenso artista che ci ha lasciati lo scorso gennaio. Nel 2018 ambienta nel noceto la sua Adozione della pecora. Lezione n. 1. Porta con sé delle sagome in legno di ovini e, insieme ai bambini della scuola primaria di Loreto Aprutino, esegue una performance con un gregge ideale.

Un altro lavoro, concepito sui fondamenti della nostra cultura decostruendo idee e categorie consolidate all’insegna della visionarietà, è quello eseguito dall’artista e attivista politico Cherokee Jimmie Durham nel 2019, due anni prima della sua scomparsa.

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ARTE E CULTURA
Dora Stiefelm Private Moon (2003/2022) di Leonid Tishkov

L’opera consiste in una grande porta, molto complessa, a due ante e insolitamente non in verticale, poggiata sul terreno. È una porta antica, napoletana, del ‘700. «È stato interessante osservare che qualcuno ogni tanto

tira le maniglie per vedere cosa ci sia sotto», raccontano Mario e Dora. «Come tutto il resto, anche questo portone diventerà polvere che verrà riassorbita dalla natura. Jimmie l’ha chiamata Solid Ground, cioè terreno

solido, dando valore a questa terra quasi come se la tenesse nascosta, rispettosamente. È un’idea bellissima, no? Di solito una porta chiusa nasconde, custodisce un segreto, qualcosa; nel nostro caso protegge la terra», proseguono. Passeggiando qui capita di imbattersi in tanti altri “miracoli”. A partire dalla suggestiva Private Moon, un’opera luminosa che fa capolino tra i noci, emblema del russo Leonid Tishkov. Dal 2003, l’artista porta questo spicchio di luna privata con sé in giro per il mondo, dall’Europa alla Nuova Zelanda, passando per la Cina e il Giappone, componendo una sorta di poema visuale in movimento. Mentre il belga Honoré d’O ha trasformato la sua automobile, che ha all’attivo più di 500mila km, in una vettura d’arte e l’ha guidata dalla città di Gent, in Belgio, fino a Loreto Aprutino. Durante il lockdown ha deciso di farne uno strumento di condivisione mettendola a disposizione della comunità aprutina, dando vita al progetto No Man’s Car. Quando lascio questo luogo d’arte e incontro, vengo salutato dalla stessa targa in marmo realizzata dall’artista Alberto Garutti che mi aveva accolto all’inizio della giornata. È del 2020 e porta la scritta ”tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui”. In pratica, vuol dire «tu sei qui ora», commentano Pieroni e Stiefelmeier congedandosi da me. «È un modo di assumersi la responsabilità della propria presenza e di dare valore a un luogo». E che luogo… nomanslandfoundation.org

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Pian de Pian Piano (2017) di Alvin Curran Solid Ground (2019) di Jimmie Durham

LA COLOMBA E

«Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego»

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Frida Kahlo Sconti Trenitalia

L’ ELEFANTE

A PADOVA, FINO AL 4 GIUGNO, LA MOSTRA SU FRIDA

KAHLO E DIEGO

RIVERA. UNA DELLE

PIÙ TRAVOLGENTI, CREATIVE E CELEBRI

COPPIE DELLA

STORIA DELL’ARTE

dell’arte, fatta di sentimenti totalizzanti, tradimenti, abbandoni e ritorni.

A Padova, negli spazi del Centro culturale Altinate San Gaetano, fa tappa fino al 4 giugno la mostra curata da Daniela Ferretti che racconta i due pittori sudamericani attraverso le tele provenienti dalla collezione statunitense di Jacques e Natasha Gelman, in cui spiccano anche i famosi autoritratti di Frida.

Quando si sono conosciuti lei era una giovinetta non ancora ventenne con i capelli vaporosi tagliati sul collo. Lui invece, il doppio dei suoi anni, era già uno dei più affermati artisti messicani nel mondo, attivista ed esponente di spicco del Partito comunista. Lei lo adulava e lo spiava mentre dipingeva corpi di modelle pastose o realizzava i famosi e giganti murales con cui comunicava alle masse di contadini analfabeti.

Frida Kahlo e Diego Rivera, soprannominati la colomba e l’elefante per le loro fattezze fisiche, hanno intrecciato biografie e arte senza risparmiarsi, impastandole a ideali di giustizia, lotte politiche e genio. A far loro da sfondo, come quinta irrinunciabile della loro storia, un Messico attraversato da una delle più grandi rivoluzioni del ‘900. Frida e Diego, insieme, hanno odorato gli stessi cambiamenti sociali, soffiato sul vento delle lotte democratiche accanto ai contadini sfruttati da secoli, viaggiato in lungo e in largo, incontrato intellettuali, dipinto, creato e raccontato il loro tempo con colori accesi e oli brillanti. E si sono amati, consumando una tra le storie d’amore più celebri e intense nel mondo

La relazione consumata tra i coniugi Kahlo-Rivera, a tratti dolorosa e dannosa, ha funzionato per entrambi da combustibile creativo, insieme alla politica, alimentando e tenendo viva la loro carriera artistica. Si sono raffigurati a vicenda, aggiungendo ogni volta dettagli intimi o scene di sentimenti collettivi. Un fuori e dentro la coppia, il privato e il pubblico fermato con oli e affreschi come se la pittura fosse un diario per immagini. I grandi murales di Rivera sulle facciate dei palazzi raccontano le trasformazioni socioculturali della storia messicana e le antiche tradizioni indios, lanciando messaggi di lotta di classe leggibili da tutto il popolo. All’opposto Frida perlopiù si autorappresenta, scarica nei suoi dipinti tutto il dolore e i lutti reali che il destino le riserva, utilizza spatola e pennelli come strumenti di cura e liberazione dal male, quello fisico in primis. Inizia a pitturare dopo un terribile incidente che la immobilizza a letto per mesi e le procura fratture gravi in tutto il corpo, lasciandole piaghe nell’anima, ossa rotte e tormenti per il resto dei suoi giorni. Dipinge distesa, mentre è allettata, osservandosi attraverso uno specchio, e così racconta di sé a se stessa, si autoraffigura con quel corpo fracassato che le procura aborti e occhi colmi di lacrime. O si descrive nei famosi primi piani con le folte sopracciglia nere, le acconciature fiorite e gli abiti tradizionali che la presentano come donna libera di scegliere, caparbia e scevra da ogni etichetta, amata da uomini e donne, osannata da artisti come Vasilij Kandinskij, Marcel Duchamp e persino Pablo Picasso, proiettan-

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Frida Kahlo con statuetta olmeca fotografata da Nickolas Muray (1939) Throckmorton Fine Art, New York © Nickolas Muray Photo Archives di Sandra Gesualdi sandragesu

dola fino ai giorni nostri come icona dell’arte contemporanea e simbolo di emancipazione femminile. In mostra anche molti scatti di Frida realizzati dai maestri internazionali che l’hanno conosciuta, tra cui Héctor Garcia, Manuel Álvarez Bravo, Lucienne Bloch, Edward Weston, Nickolas Muray, e che hanno posato lo sguardo sulla pittrice, donna libera e fragile allo stesso tempo. Frida ha ammaliato e continua a farlo per quella lealtà verso se stessa che è riuscita a infondere nei suoi quadri e per il coraggio e la mestria di aver espresso il sangue del ventre, la paura della perdita, la gracilità dell’esistenza, utilizzando la palette dei colori vividi e intensi che solo il suo Messico poteva offrirle. «Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita», scrisse. «Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego». Le colombe volano, gli elefanti no, ogni tanto si scontrano e incontrano. mostrafridapadova.it

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ARTE E CULTURA
Frida Kahlo Diego on My Mind (Self-portrait as Tehuana) (1943) © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust Mexico, D.F. / By Siae 2023 Diego Rivera Sunflowers (1943) © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museums Trust Mexico, D.F. / By Siae 2023

BACCHETTA MAGICA

A SOLI 29 ANNI MICHELE SPOTTI DIVENTA DIRETTORE MUSICALE DEL TEATRO DELL’OPERA DI MARSIGLIA.

E PUNTA AD

ABBATTERE OGNI

BARRIERA CON IL PUBBLICO, SOPRATTUTTO

QUELLO PIÙ GIOVANE

di Francesca Ventre – f.ventre@fsitaliane.it

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© Grzesiek Mart

è in atto una corrispondenza di armoniosi sensi. C’è molta sintonia, infatti, tra il maestro 29enne e il Teatro dell’Opera della città francese, che l’ha nominato direttore musicale a partire dalla stagione 2023/24. Una soddisfazione piena per l’artista lombardo, pronto a rinnovare i cartelloni nel tentativo di attrarre ogni tipo di pubblico, seppur nel solco della tradizione italiana ed europea. Bambino prodigio, fucina di idee e viaggiatore da sempre, Spotti ha cominciato a studiare musica fin da piccolo grazie alla nonna pianista. Ma ha assunto subito con serietà l’impegno:

«Nel mio percorso didattico la musica è stata sempre un elemento cardine della vita, non un passatempo. Non l’ho mai considerata come qualcosa di ludico».

Per questo sei riuscito a conquistare il prestigioso incarico così giovane?

Di sicuro ha avuto importanza la mia abnegazione continua nel lavoro, ma anche l’entusiasmo e la preparazione. In ultimo, lo ammetto, ha contato essere al posto giusto al momento giusto.

Come è cominciata la collaborazione con il Teatro dell’Opera?

Il mio primo approccio con il teatro di Marsiglia è stato nell’ottobre 2021, nel periodo difficile di convivenza con l’epidemia da Covid-19. Mi sono cimentato nel Guglielmo Tell di Gioachino Rossini. E, nonostante la situazione tristemente inedita, il risultato è stato straordinario, a livello artistico e umano. È stata la scintilla che ci ha fatti innamorare reciprocamente. A questo è seguito il concerto della Sinfonia n. 3 in Re minore di Anton Bruckner che ha permesso di far concretizzare la scelta.

Era un ruolo ambito da molti?

Sì, perché il teatro di Marsiglia ha una consolidata tradizione, arricchita da un’orchestra filarmonica che si esibisce in un repertorio sinfonico. La Francia, rispetto all’Italia – e lo affermo senza polemica – dimostra più coraggio nell’affidare ruoli importanti a persone giovani. In Europa, in generale, non si guarda alla carta d’identità ma alla preparazione. Ma, comunque, anche nei teatri francesi raramente un italiano under 30 ha avuto degli incarichi. Questo mi inorgoglisce molto:

vuol dire che ho conquistato il cuore dei miei colleghi e delle maestranze. Per cosa si distingue il palco di Marsiglia?

È un palco abituato a ricevere grandi repertori, proprio come il Guglielmo Tell rossiniano. Il teatro ha un’acustica eccezionale, adatta a tutte le vocalità. Per i repertori sinfonici, poi, c’è l’Auditorium du Pharo e io ho avuto la fortuna di esibirmi anche qui. Gli spazi di esecuzione sono importanti per poter crescere e migliorare. Che impronta vuoi dare con la tua direzione?

La fortuna è che sono stato preceduto da Lawrence Foster, un ottimo direttore. Ma è di un’epoca diversa: io ho un differente background per motivi anagrafici e provengo anche da un’altra area geografica. Per i programmi, sto scegliendo nuovi titoli e punterò ad attirare più pubblico possibile, anche portando freschezza nella scelta dei solisti. Il mio sarà un lavoro certosino. Immagino un’interazione forte tra direttore, orchestra e pubblico, anche con la proiezione di video che accompagnino all’ascolto. Voglio abbattere ogni barriera che possa creare delle

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Patrick Donav/GettyImages
Il Teatro dell’Opera di Marsiglia ARTE E CULTURA

distanze tra esecutori e spettatori. Cos’hai in progetto per i giovani?

Voglio creare una sinergia. Sono loro coetaneo e quindi lo scoglio anagrafico non esiste. Occorre solo invogliarli a venire a teatro. Anche perché ormai assistere a un concerto costa quanto un paio di cocktail, non è economicamente proibitivo. Quando ero bambino, invece, non c’erano le convenzioni e le promozioni di adesso. Quali sono i tuoi maestri e i punti di riferimento nella direzione?

Daniele Gatti ha avuto finora una delle carriere più belle: il massimo a cui si possa aspirare per la completezza. Tra i direttori del passato Leonard Bernstein è il mio idolo assoluto, lo considero un genio. E potrei fare tanti altri esempi, viventi e non, ma non voglio scimmiottare nessuno, perché l’arte della direzione è molto personale, cambia nel corso degli anni e va cucita sul proprio corpo. La tecnica, invece, è una compagna di vita, specchio dell’anima.

I tuoi autori preferiti?

Bruckner e Gustav Mahler sono i miei due fari per la sinfonica. Per l’opera, forse scontati, direi Giuseppe Verdi e Richard Wagner. L’orchestra marsigliese ha un suono e una cultura mitteleuropei. Quando dirigo questi repertori, poiché la sonorità è parti -

colare, sento l’amore dei musicisti e del pubblico verso queste opere. La reputo un’altra notevole fortuna che mi è capitata. Come valorizzerai il patrimonio italiano?

Sarà ben preservato grazie a nomi come Ottorino Respighi, Alfredo Casella e Giuseppe Martucci. E per il belcanto presento autori come Verdi e Rossini, oltre a Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti. Il pubblico francese, che è molto esigente, apprezzerà questo repertorio italiano e sono sicuro che sarà un’occasione di arricchimento reciproco. Che cosa ti piace di Marsiglia?

Il suo ambiente sano, con aria pura che sa di salsedine, rende l’umore migliore. Io amo il mare, non a caso vivo in Sicilia. Adoro, inoltre, la sua ricchezza multietnica, che consente scambi culturali anche a livello musicale. È la seconda città di Francia e il teatro deve essere alla sua altezza. Vivi ad Acireale, nel Catanese, con tua moglie Francesca, un’oboista. Dove vi siete conosciuti?

A Portopalo di Capo Passero, la punta più meridionale della Sicilia. Io abitavo a Como e facevo su e giù, ma poi mi sono stabilito sulla sua Isola. Sono un pellegrino costante, la sedentarietà non è neanche prevista nei no -

stri piani familiari. Abbiamo un figlio, Davide, nato a Bergamo un anno fa, che è stato già in Svizzera, Germania, Austria e Francia. In Italia ha visto Torino, Modena, Bologna e Parma. Anche questa è una conferma della mia indole da viaggiatore.

Marsiglia ti ricorda la Sicilia?

Io dico sempre che è un mix tra Parigi e Palermo. Ha la grandeur della città francese ed è un porto tra i più importanti in Europa. E poi ha grandi spazi che affascinano, proprio come quelli del capoluogo siciliano affacciato sul mare.

Prima che cominci la stagione teatrale, quali altri appuntamenti hai in programma in giro per il mondo?

A fine aprile debutto in Francia con La traviata di Verdi nel Théâtre du Capitole di Tolosa. A giugno dirigo al Palau de les Arts di Valenza una nuova produzione dell’Ernani di Giuseppe Verdi.

E il tuo tempo libero?

Si sta riducendo drasticamente. La mia vita è un Tetris ma mi godo quello che ho. In questo periodo sto ricevendo straordinarie opportunità e voglio coglierle a pieno.

michelespotti.com

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Grzesiek Mart
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Bert Stern Twiggy wearing a mod minidress by Louis Féraud and leather shoes by François Villon (Twiggy indossa un miniabito di Louis Féraud e scarpe in pelle di François Villon) (1967) Vogue © Condé Nast

RITRATTO DI UN SECOLO

IN MOSTRA A VENEZIA I TESORI FOTOGRAFICI DELL’ARCHIVIO

CONDÉ NAST ACQUISITI DALLA PINAULT COLLECTION. UN VIAGGIO

TRA I PROTAGONISTI E GLI EVENTI EPOCALI DEL ‘900

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di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili Jean Howard Marlon Brando (1951) Vogue © Condé Nast

Una Twiggy appena 18enne, seduta su un televisore dove è riflessa la sua stessa immagine, fissa la camera da presa con i suoi giganteschi occhi da cerbiatto. Il “ramoscello” londinese divenne

l’incarnazione di un nuovo modello di bellezza che fece la sua comparsa negli anni ‘60. Oltre a rompere con i canoni estetici della generazione precedente, fu straordinaria interprete degli abiti a trapezio e della minigonna, sim-

bolo di libertà e rivoluzione giovanile. Questo è solo uno degli scatti esposti a Chronorama. Tesori fotografici del 20° secolo, dal 12 marzo al 7 gennaio 2024 a Palazzo Grassi di Venezia. Oltre 400 immagini degli archivi di Condé Nast,

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PHOTO Margaret Bourke-White Rooftop deck-tennis players, against Manhattan skyline (Giocatori di deck-tennis sul tetto con lo skyline di Manhattan sullo sfondo) (1931) Vogue © Condé Nast

recentemente acquisiti dalla Pinault Collection, raccontano un’epoca caratterizzata da cambiamenti epocali, fenomeni sociali, innovazioni straordinarie e personalità illustri e carismatiche.

Si percorre il secolo dagli anni ‘10 fino agli albori degli ’80 attraverso le opere di oltre 150 artisti internazionali come Cecil Beaton, Lee Miller, Horst P. Horst, Irving Penn, Helmut Newton, tra i fotografi, Eduardo Garcia Benito, Helen Dryden e George Wolfe Plank, tra gli illustratori.

Tutti nomi che sono stati testimoni di un’era e, con la propria sensibilità ar-

tistica, hanno saputo innovare l’estetica fotografica nel tempo attraverso la pubblicazione del proprio lavoro sulle riviste edite da Condé Nast come Vogue Vanity Fair e GQ Nella collezione si possono infatti ammirare immagini leggendarie, come lo scatto di Marlon Brando realizzato da Jean Howard, la significativa fotografia dal titolo Rooftop deck-tennis players, against Manhattan skyline (Giocatori di deck-tennis sul tetto con lo skyline di Manhattan) di Margaret Bourke-White e l’immagine di Suzy Parker che ritrae la supermodella e sorella maggiore Dorian Leigh all’interno di un’auto.

Insieme alla mostra anche il progetto Chronorama Redux allestito in quattro spazi di Palazzo Grassi, che propone uno sguardo contemporaneo sulle opere presentate all’interno dell’esposizione principale. Gli artisti Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani e Daniel Spivakov interrompono il percorso cronologicamente lineare della rassegna con le loro creazioni, realizzando una sorta di parentesi diacronica in cui è possibile riflettere su epoche più o meno lontane della storia recente. palazzograssi.it

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Suzy Parker Snapshot of her famous sister, Dorian Leigh (Istantanea della sua famosa sorella, Dorian Leigh) (1954) Vogue © Condé Nast
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FRECCE TRENITALIA

GUIDA AI SERVIZI

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CON LE FRECCE PARTI PER I PONTI DI PRIMAVERA

Aprile e maggio, con le temperature miti, i ponti e la Pasqua, rappresentano i mesi migliori per una gita fuori porta. Con Trenitalia puoi raggiungere la meta desiderata lasciando l’auto a casa e spostandoti senza stress. Sono oltre 250, infatti, le Frecce che ogni giorno collegano le città d’arte da Nord a Sud: Venezia, Firenze, Bologna, Napoli, Salerno, Milano, Torino, Verona, Bari, Lecce.

E per scoprire i gioielli nascosti nell’entroterra vengono in aiuto i collegamenti Frecce+autobus FRECCIALink, con cui è possibile arrivare direttamente anche in località come Matera, Assisi e Perugia.

Per chi, invece, è già orientato al mare e a lunghe passeggiate sulla spiaggia c’è la possibilità di andare da Milano a Reggio Calabria con sei Frecciarossa al giorno, di cui due Fast che permettono di raggiungere Lamezia Terme in poco più di 7 ore e Reggio Calabria in poco più di 8 ore e 30 minuti, e quattro Frecciarossa che estendono il proprio percorso fino a Torino. In più, due collegamenti Frecciarossa consentono di viaggiare durante la notte tra Milano e Reggio Calabria in occasione di ponti e festività, per essere a destinazione già nelle prime ore del mattino. In totale, verso la Calabria, sono a disposizione 16 Frecce al giorno da Roma, due Frecciarossa da Venezia e due Frecciargento sulla tratta tra Bolzano, Verona e Paola con prosecuzione fino a Sibari (Cosenza).

Per chi vuole raggiungere la costa Adriatica, invece, sono in programma ogni giorno 30 Frecciarossa dal Nord e fino a 14 Frecciarossa e Frecciargento da Roma alla Puglia. Infine, chi vuole spostarsi oltre i confini ha la possibilità di arrivare facilmente all’aeroporto internazionale di Roma Fiumicino grazie ai collegamenti diretti con il Frecciarossa. Dal centro delle città di Firenze, Bologna, Napoli, Padova e Venezia si può raggiungere senza difficoltà l’aeroporto Leonardo da Vinci della Capitale a bordo del Frecciarossa e partire per una nuova avventura o, al contrario, tornare a casa dopo un lungo viaggio lasciandosi cullare da un mezzo moderno e confortevole. Maggiori informazioni sul sito trenitalia.com

OFFERTE E SERVIZI
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SEGUI LE TUE PASSIONI CON FRECCIAROSSA

Le Frecce di Trenitalia sono anche musica e arte, tra spettacoli da sogno e suggestioni rock. Con l’offerta Speciale Eventi attiva su Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca, infatti, è possibile raggiungere le tappe dello show itinerante Kurios del Cirque du Soleil, ma anche seguire Roger Waters, lo storico membro dei Pink Floyd, nelle sette date italiane del nuovo tour. In entrambi i casi, le Frecce offrono la possibilità di raggiungere il luogo dell’evento – Roma, Milano o Bologna – e tornare a casa con uno sconto fino al 70% sul biglietto Base: basta inserire i codici KURIOS e WATERS in fase di acquisto. Inoltre, per gli spettacoli del Cirque du Soleil che si svolgono in settimana tra il martedì e il giovedì è attivo uno sconto del 25% sul ticket d’ingresso. Maggiori informazioni su trenitalia.com

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A ISCHIA CON LE FRECCE

L’isola del Golfo di Napoli è la meta perfetta, in qualsiasi momento dell’anno, per rilassarsi tra natura, cultura e cure termali. Chi sceglie di soggiornare nella perla dell’arcipelago campano può raggiungere la città di Napoli con Frecciarossa e Frecciargento, fino al 10 giugno, approfittando dell’offerta Speciale Eventi*. Per usufruire di sconti fino al 70% sul prezzo Base, basta inserire in fase d’acquisto il codice GOTOISCHIA*. Un modo super conveniente per godersi le bollenti Fumarole sulla spiaggia dei Maronti, ammirare il Castello Aragonese e i vicoli storici di Ischia Ponte oppure, a partire dal mese di aprile, immergersi nei percorsi d’acqua del Negombo o Poseidon. Maggiori informazioni su trenitalia.com

*Per acquistare l’offerta è necessario essere in possesso di un voucher o di una conferma di prenotazione per un soggiorno a Ischia da presentare a bordo treno. Non sono consentiti il cambio di prenotazione o di biglietto e il rimborso.

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LIBERTÀ DI VIAGGIO

E CAMBI ILLIMITATI

Biglietto acquistabile fino alla partenza del treno. Entro tale limite sono ammessi il rimborso, il cambio del biglietto e il cambio della prenotazione un numero illimitato di volte. Dopo la partenza, il cambio della prenotazione e del biglietto sono consentiti una sola volta fino a un’ora successiva.

ECONOMY

CONVENIENZA E FLESSIBILITÀ

Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del secondo giorno precedente il viaggio. Il cambio prenotazione, l’accesso ad altro treno e il rimborso non sono consentiti. È possibile, fino alla partenza del treno, esclusivamente il cambio della data e dell’ora per lo stesso tipo di treno, livello o classe, effettuando il cambio rispetto al corrispondente biglietto Base e pagando la relativa differenza di prezzo. Il nuovo ticket segue le regole del biglietto Base.

MASSIMO RISPARMIO

Offerta a posti limitati e soggetta a restrizioni. Il biglietto può essere acquistato entro la mezzanotte del sesto giorno precedente il viaggio. Il cambio, il rimborso e l’accesso ad altro treno non sono consentiti.

BIMBI GRATIS

Con Trenitalia i bambini viaggiano gratis in Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity in 1^ e 2^ classe e nei livelli Business Premium e Standard. Gratuità prevista per i minori di 15 anni accompagnati da almeno un maggiorenne, in gruppi composti da 2 a 5 persone. I componenti del gruppo dai 15 anni in poi pagano il biglietto scontato del 40% sul prezzo Base1

CARNET 15, 10 E 5 VIAGGI

I Carnet Trenitalia sono sempre più adatti a tutte le esigenze. Si può scegliere quello da 15 viaggi con la riduzione del 30% sul prezzo Base, da 10 viaggi (-20% sul prezzo Base) oppure il Carnet 5 viaggi (-10% sul prezzo Base). Riservato ai titolari Carta FRECCIA, il Carnet è nominativo e personale. L’offerta è disponibile per i treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca e Intercity 2

NOTTE & AV

L’offerta consente di usufruire di prezzi ridotti per chi utilizza, in un unico viaggio, un treno Notte e un treno Frecciarossa o Frecciargento. La promozione è valida per i viaggiatori provenienti con un treno notte dalla Sicilia, dalla Calabria o dalla Puglia che proseguono sulle Frecce in partenza da Napoli, Roma o Bologna per Torino, Milano, Venezia e tante altre destinazioni, e viceversa 3

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BASE
SUPER ECONOMY
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A/R IN GIORNATA

Promozione per chi parte e torna nello stesso giorno con le Frecce a prezzi fissi, differenziati in base alle relazioni e alla classe o al livello di servizio. Un modo comodo e conveniente per gli spostamenti di lavoro oppure per visitare le città d’arte senza stress 4

ME&YOU

La promozione consente di viaggiare in due tutti i giorni con sconti fino al 50% sul prezzo Base su Frecce, Intercity e Intercity Notte. L’offerta è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e i servizi cuccette, VL ed Excelsior 6

YOUNG & SENIOR

Riservate agli under 30 e agli over 60 titolari di Carta FRECCIA, l’ offerta Young consente di risparmiare fino al 70% sul prezzo Base mentre la Senior fino al 50% su tutti i treni nazionali e in tutti i livelli di servizio, ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 5

INSIEME

Offerta dedicata ai gruppi da 3 a 5 persone per viaggiare con uno sconto fino al 60% sul prezzo Base di Frecce, Intercity e Intercity Notte. La promozione è valida in 1^ e 2^ classe e in tutti i livelli di servizio ad eccezione dell’Executive, del Salottino e delle vetture Excelsior 7

NOTE LEGALI

1. I componenti del gruppo dai 15 anni in poi pagano il biglietto scontato del 40% sul prezzo Base. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Cambio prenotazione/biglietto e rimborso soggetti a restrizioni. Acquistabile entro le ore 24 del secondo giorno precedente la partenza.

2. Il Carnet consente di effettuare 15, 10 o 5 viaggi in entrambi i sensi di marcia di una specifica tratta, scelta al momento dell’acquisto e non modificabile per i viaggi successivi. Le prenotazioni dei biglietti devono essere effettuate entro 180 giorni dalla data di emissione del Carnet entro i limiti di prenotabilità dei treni. L’offerta non è cumulabile con altre promozioni. Il cambio della singola prenotazione ha tempi e condizioni uguali a quelli del biglietto Base. Cambio biglietto non consentito e rimborso soggetto a restrizioni.

3. L’offerta Notte&AV è disponibile per i posti a sedere e le sistemazioni in cuccetta e vagoni letto (ad eccezione delle vetture Excelsior) sui treni Notte e per la seconda classe, o livello di servizio Standard, sui treni Frecciarossa o Frecciargento.

L’offerta non è soggetta a limitazione dei posti. Il biglietto è nominativo e personale.

4. Il numero dei posti è limitato e variabile, in base al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. Acquistabile fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno. Il cambio prenotazione/biglietto è soggetto a restrizioni. Si può scegliere di effettuare il viaggio di andata in una classe o livello di servizio differente rispetto a quella del viaggio di ritorno. Il rimborso non è consentito. Offerta non cumulabile con altre riduzioni, compresa quella prevista a favore dei ragazzi.

5. L’offerta Young è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 70% per le Frecce e dal 20% al 70% per gli Intercity e Intercity Notte. L’offerta Senior è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 50% per le Frecce e dal 20% al 50% per gli Intercity e Intercity Notte. Per le offerte Young e Senior il numero dei posti disponibili è limitato e varia in base al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. È possibile cambiare esclusivamente la data o l’ora di partenza, una sola volta e fino alla partenza del treno, scegliendo un viaggio con la stessa categoria di treno o tipologia di servizio e pagando la differenza rispetto al corrispondente prezzo Base intero. Il Rimborso e accesso ad altro treno non sono ammessi. Al momento dell’acquisto il sistema propone sempre il prezzo più vantaggioso. A bordo è necessario esibire la CartaFRECCIA insieme a un documento d’identità.

6. Offerta a posti limitati e variabili in base al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio scelto ed è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza per i treni Intercity e Intercity Notte. La percentuale di sconto varia dal 40% al 50% per le Frecce e dal 20% al 50% per gli Intercity e Intercity Notte. Cambio biglietto/prenotazione e rimborso non sono consentiti.

7. Offerta a posti limitati e variabili rispetto al giorno, al treno e alla classe/livello di servizio. La percentuale di sconto varia rispetto al prezzo Base dal 40% al 60% per le Frecce e dal 20% al 60% per gli Intercity e Intercity Notte. Lo sconto non è cumulabile con altre riduzioni fatta eccezione per quella prevista in favore dei ragazzi fino a 15 anni. La promozione è acquistabile entro le ore 24 del sesto giorno precedente la partenza per le Frecce e fino alle ore 24 del secondo giorno precedente la partenza del treno per i treni Intercity e Intercity Notte. Il cambio e il rimborso non sono consentiti.

117 PROMOZIONI

MOMENTI DI GUSTO AD ALTA VELOCITÀ

Il FRECCIABistrò ti aspetta per una pausa di gusto. Nel servizio bar, presente su tutti i Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca, si possono acquistare deliziosi prodotti e menù pensati per ogni momento della giornata. Un’ampia selezione che comprende snack dolci e salati, panini e tramezzini, primi piatti caldi e freddi, insalate e taglieri, bevande alcoliche e analcoliche. L’offerta prevede anche opzioni vegetariane e gluten free ed è arricchita dalle note di gusto del caffè espresso Illy. Il servizio è previsto anche per i clienti dei treni Eurocity.

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Il viaggio nel viaggio
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Grazie ai servizi e ai contenuti del portale FRECCE il viaggio a bordo dei treni Frecciarossa e Frecciargento e nelle sale FRECCIAClub e FRECCIALounge è più piacevole. Per accedere basta collegarsi alla rete WiFi, digitare www.portalefrecce.it o scaricare l’app Portale FRECCE da App Store e Google Play. Ulteriori dettagli, info e condizioni su trenitalia.com

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CASHBACK CARTAFRECCIA PIÙ VIAGGI, PIÙ PUNTI E PIÙ SCONTI SULLE FRECCE

Con il Cashback Trenitalia è possibile utilizzare i punti Carta FRECCIA per ottenere sconti immediati sull’acquisto di biglietti e carnet per le Frecce.

Con 300 punti si ha diritto a una riduzione di 10 euro su un ticket, per se stessi o per un’altra persona, che ne costi almeno 20. Con 600 punti, invece, si risparmiano 20 euro sull’acquisto di un biglietto che abbia un importo minimo di 40 euro.

Convertire i punti è semplicissimo: basta selezionare la voce Cashback Carta FRECCIA nella fase di acquisto del biglietto su trenitalia.com o sull’App Trenitalia. È possibile utilizzare il cashback anche nelle biglietterie delle stazioni, nei FRECCIAClub e nei FRECCIALounge.

Il servizio CashBack Carta FRECCIA è soggetto a condizioni. Il regolamento completo del Programma Carta FRECCIA, che ha validità fino al 31 dicembre 2023, è disponibile sul sito Trenitalia o alle emettitrici self-service della rete nazionale o le biglietterie Trenitalia. I premi potranno essere richiesti fino al 29 febbraio 2024.

CARTA FRECCIA
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MOSTRE IN TRENO E PAGO MENO

VIVI LA CULTURA CON LE FRECCE.

SCONTI E AGEVOLAZIONI NELLE

PRINCIPALI SEDI MUSEALI E DI

EVENTI IN ITALIA

Palazzo Reale di Milano rende omaggio al maestro indiscusso della videoarte con la mostra Bill Viola, fino al 25 giugno. Nato nel 1951, l’artista statunitense è riconosciuto a livello internazionale per le sue sperimentazioni con le immagini in movimento, grazie alle quali ha creato opere uniche, considerate veri capolavori.

Partendo dallo studio della musica elettronica e dalle potenzialità della performance art, da oltre 40 anni Viola realizza lavori che, attraverso un nuovo linguaggio artistico, analizzano costantemente i temi della vita e della morte per poter indagare l’uomo e il suo rapporto con l’ambiente, le filosofie orientali e occidentali e l’importanza iconica del mondo naturale.

L’esposizione milanese offre ai visitatori un percorso in cui ritrovarsi a contemplare le profonde questioni che il maestro esplora con immagini al rallentatore in cui luce, colore e suono creano momenti di profonda introspezione. Emozioni, meditazioni e passioni emergono dai suoi video, accompagnando lo spettatore in un viaggio interiore. Ingresso a metà prezzo riservato ai possessori di un biglietto delle Frecce con destinazione Milano in una data antecedente al massimo di due giorni da quella della visita. palazzorealemilano.it | arthemisia.it

IN CONVENZIONE ANCHE I MACCHIAIOLI

Fino al 10 aprile al Museo Revoltella, Trieste museorevoltella.it

MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA DI MILANO museoscienza.org

UTAMARO HOKUSAI HIROSHIGE

Fino al 25 giugno alla Società promotrice delle Belle arti, Torino hokusaitorino.it

LEE MILLER - MAN RAY

Fino al 10 aprile a Palazzo Franchetti, Venezia leemillermanray.it

FRIDA KAHLO E DIEGO RIVERA

Fino al 4 giugno al Centro culturale Altinate San Gaetano, Padova mostrafridapadova.it

JAGO, BANKSY, TVBOY

Fino al 7 maggio a Palazzo Albergati, Bologna palazzoalbergati.com

ESCHER

Circa 200 opere raccontano la storia di Maurits Cornelis Escher, l’artista olandese divenuto famoso per le sue distorsioni ottiche. In mostra al Museo degli innocenti di Firenze, fino al 26 marzo, incisioni e litografie sfidano le leggi della matematica e della fisica, creando mondi impossibili. Ingresso a metà prezzo riservato ai possessori di un biglietto delle Frecce con destinazione Firenze in una data antecedente al massimo di tre giorni da quella della visita. museodeglinnocenti.it | arthemisia.it

Relatività (1953)

© The M.C. Escher Company

REACHING FOR THE STARS

Dal 4 marzo al 18 giugno a Palazzo Strozzi, Firenze palazzostrozzi.org

FONDAZIONE FRANCO ZEFFIRELLI DI FIRENZE fondazionefrancozeffirelli.com

VAN GOGH

Fino al 26 marzo a Palazzo Bonaparte, Roma mostrapalazzobonaparte.it

ARTE LIBERATA

Fino al 10 aprile alle Scuderie del Quirinale, Roma scuderiequirinale.it

MUSEO CIVICO GAETANO FILANGIERI DI NAPOLI filangierimuseo.it

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Maurits Cornelis Escher
Maggiori informazioni
trenitalia.com
su
Bill Viola Emergence (2002) Performer: Weba Garretson, John Hay, Sarah Steben Photo Kira Perov © Bill Viola Studio

Per schematicità e facilità di lettura la cartina riporta soltanto alcune città esemplificative dei percorsi delle diverse tipologie di Frecce. Maggiori dettagli per tutte le soluzioni di viaggio su trenitalia.com Alcuni collegamenti qui rappresentati sono disponibili solo in alcuni periodi dell’anno e/o in alcuni giorni della settimana. Verifica le disponibilità della tratta di tuo interesse su trenitalia.com.

Cartina aggiornata al 24 febbraio 2023

122 NETWORK // ROUTES // FLOTTA
LEGENDA: Foggia Madonna di Campiglio Pinzolo Val Gardena Val di Fassa-Val di Fiemme Cortina d’Ampezzo Courmayeur Aosta Udine Trieste Pisa Bari Lecce Reggio di Calabria Fiumicino Aeroporto Genova Rimini Ancona Pescara Taranto Lamezia Terme Caserta Bolzano Bergamo Milano Torino Bardonecchia Bologna Firenze Perugia Roma Paola Sibari Brescia Vicenza Venezia Padova Modena NO STOP Reggio Emilia AV La Spezia Potenza Matera Trento Ravenna Verona Salerno Mantova Treviso Napoli Napoli Afragola Assisi Parigi Lione Chambéry Ora

Velocità max 400 km/h | Velocità comm.le 300 km/h

Composizione 8 carrozze

Livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard Posti 457 | WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIAROSSA ETR 500

Velocità max 360 km/h | Velocità comm.le 300 km/h | Composizione 11 carrozze

4 livelli di servizio Executive, Business, Premium, Standard | Posti 574 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIAROSSA ETR 700

Velocità max 250km/h | Velocità comm.le 250km/h | Composizione 8 carrozze

3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 497 WiFi Fast | Presa elettrica e USB al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIAROSSA ETR 600

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h | Composizione 7 carrozze

3 livelli di Servizio Business, Premium, Standard | Posti 432 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIARGENTO ETR 485

Velocità max 280 km/h | Velocità comm.le 250 km/h

Composizione 9 carrozze | Classi 1^ e 2^ | Posti 489 WiFi | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

FRECCIABIANCA ETR 460

Velocità max 250 km/h | Velocità comm.le 250 km/h

Composizione 9 carrozze

Classi 1^ e 2^ | Posti 479 | Presa elettrica al posto Servizi per persone con disabilità | Fasciatoio

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NATE PER CORRERE

LE AUTOMOTRICI ELETTRICHE ALE 601, SIMBOLO DEL COMFORT E DELLA VELOCITÀ ANNI ’60, SONO PRONTE A TORNARE

SUI BINARI DOPO UN RESTAURO INIZIATO NEL 2019

Sono previste per giugno le corse di prova di alcune automotrici elettriche che hanno fatto la storia dei trasporti in treno di prima e seconda classe, cambiando il paradigma della velocità e del comfort nei viaggi in Italia. La Fondazione FS Italiane ha intrapreso nel 2019 il restauro filologico di quattro ALe 601, simbolo degli anni ’60, riportando in vita il loro elegante design interno. A bordo dei nuovi treni storici c’è anche il famoso bar ristorante: sedersi su uno degli sgabelli affacciati ai grandi finestrini consente un tuffo nel passato, quando i viag -

giatori erano accolti dal personale della Compagnie Internationale des Wagons-Lits, in servizio con la rigorosa giacca biacca.

Queste automotrici elettriche leggere, destinate a una seconda vita al servizio del turismo di prossimità ed esperienziale, furono progettate nella seconda metà degli anni ‘50 e presentate al pubblico nel 1961.

Rispondevano a una nuova esigenza di mobilità, che richiedeva un profondo potenziamento dei servizi rapidi per favorire il trasporto di massa tra le grandi aree urbane. Nell’Italia del secondo dopoguerra lo stile di vita era in continua me -

tamorfosi: la progressiva industrializzazione stava cambiando l’economia e per i lavoratori la vacanza diventava un’abitudine sempre più imprescindibile. Le Ferrovie inauguravano quindi una serie di treni rapidi, poi divenuti iconici, come la Freccia della Laguna, tra Roma e Venezia, il Tirreno, tra Roma e Torino, e il Peloritano, che in sole dieci ore collegava la Sicilia con la Capitale. Le ALe 601 furono protagoniste indiscusse di questi viaggi a più di 200 km/h. La corsa verso l’Alta Velocità era cominciata. fondazionefs.it fondazionefsitaliane

125 PRIMA DI SCENDERE
FONDAZIONE FS
©
FS
Un’automotrice ALe 601 nella stazione di Messina per il rapido Peloritano (1965)
Archivio Fondazione
Italiane
di Gabriele Romani

[Geologo Cnr, conduttore tv e saggista]

VIESTE, IL REGNO DELLA SELCE

Se pensate che il Gargano sia da godere solo d’estate vi sbagliate di grosso. È vero che le sue falesie candide, i suoi archi in pietra e la sua costa alta e frastagliata lo rendono unico, ed è anche vero che la Foresta umbra è un miracolo naturalistico di pinete e roccia, ma uno sguardo più approfondito apre spiragli segreti. Passeggiando fuori stagione su una spiaggia di Vieste, non avrete diffi -

coltà a riconoscere macchie scure allungate all’interno dei calcari composti da vari livelli che già destano impressione. Sono piccoli ma persistenti strati di selce scura che si sono formati, decine di milioni di anni fa, a grandi profondità in quell’oceano Tetide oggi scomparso, e poi si sono sollevati in superficie. La loro nera lucentezza non sfuggì ai nostri antenati di ottomila anni fa che ne provarono, nel contempo, la straor-

dinaria efficacia per costruire utensili, lame, coltelli, punte di freccia. Grazie alla selce si svilupparono le prime economie, quando le miniere della Defensola erano il più grosso complesso industriale del Neolitico e i semilavorati di questo materiale viaggiavano per la penisola e prendevano addirittura il mare per arrivare presso altre comunità. Prima di diventare scrittori, i sapiens furono soprattutto minatori.

PRIMA DI SCENDERE FUORI LUOGO
Vieste (Foggia)
© Wested61/GettyImages 126

LA POESIA DEL VIAGGIO

Voler bene a una persona è un lungo viaggio rupi, cadute d’acqua e bui improvvisi, dilatati il chiuso di foreste, lampi a volte sul silenzio così vasto del mare e strade sopraelevate, grida viali immersi all’improvviso in una luce sconosciuta.

Voler bene a uno, a mille, a tutti è come tener la mappa nel vento. Non ci si riesce ma il cuore me l’hanno messo al centro del petto per questo alto, meraviglioso fallimento.

Sugli altipiani di ogni notte eccomi con le ripetizioni e le mani rovesciate della poesia: non farli stare male, sono tuoi, non farli andare via

[Voler bene a una persona, tratta da Avrebbe amato

Il viaggio inizia quando inizia la poesia del viaggio. La giornata della poesia coincide con il primo giorno di primavera. La coincidenza, ai miei occhi, non suggerisce un banale paragone tra la poesia e una specie di bouquet floreale o tra immagini idilliache. I poeti non abitano un Eden in terra o un giardino incantato e la poesia non è fuori dalle brutture e dalle ambiguità della storia. Ma la primavera è l’inizio e la poesia è l’autentico inizio del linguaggio umano. La voce poetica ci fa ricominciare, inau-

gura sempre il nostro “stare al mondo” con meraviglia e timore. Diamo il via a un viaggio, infatti, non banalmente quando muoviamo il primo passo giù dal letto o saliamo su un vagone, ma quando lasciamo che il viaggio ci colpisca con i suoi incontri, cambiamenti e ispirazioni. Quando si movimenta, si accende il nostro modo di vedere e, dunque, di cercare parole “pari alla vita”. Lì inizia veramente il viaggio, cioè quando inizia la poesia del viaggio. E il viaggio è una delle grandi metafore usate dai poeti,

sia nelle grandi narrazioni dei testi sacri, sia in Omero e in Dante, fino ai poeti dei nostri giorni.

Così anche in questa rubrica si festeggia il 21 marzo con una mia poesia sul tema, mentre sul sito e sui social di Ferrovie dello Stato troverete, oltre ai video già realizzati lo scorso anno con poeti in viaggio, un nuovo progetto-performance di rime e testi a tema, alcuni con la traduzione nella lingua dei segni. Buon viaggio, buona primavera, buona poesia!

127 PRIMA DI SCENDERE STAZIONE POESIA
© iG vo a n n i Gastel
di Davide Rondoni DavideRondoniAutore daviderondoni Daviderond [Poeta e scrittore]
© kichigin19/AdobeStock
chiunque, Davide Rondoni] Inquadra il QR Code per il video e i podcast di FSNews dedicati alla Giornata mondiale della poesia 2023

PRIMA DI SCENDERE

FOTO DEL MESE di Irene Marrapodi

Un istante di assoluto silenzio, tanto più intenso quanto più si avvicina il momento in cui sarà interrotto dal leggero sprofondare della rete oltre il pelo dell’acqua. Un attimo di placida quotidianità nella Cina contemporanea, mentre due persone, un uomo e una donna, ripetono gesti arcaici. Lei gestisce l’andamento dell’imbarcazione, che increspa solo lievemente la superficie del mare che separa il continente da Taiwan, mentre lui getta la rete, unica grande nota di colore nell’azzurro che permea l’immagine. Un cane li accompagna, osservando incuriosito il nuotare dei pesci. Lo scatto della fotografa sudcoreana Sue Park, più volte vincitrice dell’International Photography Awards e direttrice della Shatto Gallery di Los Angeles, è esposto fino al 4 giugno nel Palazzo del Duca di Senigallia (Ancona) in occasione di prima personale dell’autrice in Italia curata da Lorenzo Uccellini. Una selezione di 70 immagini della “ricercatrice di bellezza”, come la stessa Park si definisce, che rappresenta un viaggio tra natura e scorci di vita nei cinque continenti. Ritratti e paesaggi che sussurrano verità nascoste, tra umani misticismi e colori così intensi da trascendere il senso della vista e permettere all’animo di vibrare di emozione. Increspandosi dalla gioia, come uno specchio d’acqua colmo di vita. sueparkphoto.com

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Sue Park, China, casting the net © 2019, Sue Park

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PRIMA DI SCENDERE

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LA POESIA DEL VIAGGIO

1min
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VIESTE, IL REGNO DELLA SELCE

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NATE PER CORRERE

1min
pages 127-128

MOSTRE IN TRENO E PAGO MENO

2min
pages 123-125

CASHBACK CARTAFRECCIA PIÙ VIAGGI, PIÙ PUNTI E PIÙ SCONTI SULLE FRECCE

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ECONOMY

5min
pages 118-121

A ISCHIA CON LE FRECCE

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pages 116, 118

SEGUI LE TUE PASSIONI CON FRECCIAROSSA

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CON LE FRECCE PARTI PER I PONTI DI PRIMAVERA

1min
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RITRATTO DI UN SECOLO

1min
pages 109-112

BACCHETTA MAGICA

4min
pages 105-108

L’ ELEFANTE

2min
pages 103-104

LA TERRA DI TUTTI

4min
pages 98-101

A OCCHI APERTI

6min
pages 94-97

TUTTI A CORRERE

4min
pages 88-91

SULLE TRACCE DI FRANCESCO

5min
pages 84-86

IL SAPORE DEL BOSCO

5min
pages 81-84

IL PAESE DEI MILLE PAESI

2min
pages 80-81

NEL MITO DI SUTERA

1min
pages 78-79

UN SORSO TOSCANA DI

5min
pages 75-78

PERDERSI A BOLOGNA

3min
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I LUOGHI DI LUCIO

4min
pages 66-69

ALTA QUOTA

4min
pages 63-65

PEDALARE AD

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ANIMA PALCOSCENICO DA

7min
pages 58, 60-61

IL BUONGIORNO SI VEDE DA FIORELLO

6min
pages 52, 54-58

QUANDO TORNERÀ HADDA?

3min
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Lo scaffale della Freccia a cura di Gaspare Baglio e Sandra Gesualdi

2min
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FAME D’ARIA

9min
pages 43-46

SHOWGIRL PER SEMPRE

2min
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LA MIA VITA HIPPY

2min
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L’IMPORTANTE È (NON) RIDERE

1min
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HOTEL NATIONAL A RIMINI, LA CITTÀ ALLE SPALLE, IL MARE DAVANTI

2min
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save the date MARZO 2023

7min
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L’ITALIA che fa IMPRESA

1min
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DEL GRANO

1min
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LE STORIE E LE VOCI DI CHI, PER LAVORO, STUDIO O PIACERE, VIAGGIA SUI TRENI. E DI CHI

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A TU PER TU

1min
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IRON PEOPLE D’ UCRAINA

4min
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COLTIVARE LA MEMORIA

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LA STORIA FUTURO DIVENTA

3min
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VITE DELLE NOSTRE IL PUZZLE

5min
pages 4-9
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