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N° 9 - Settembre 2021 - Supplemento del periodico Valsugana News
Punto e a capo di Waimer Perinelli
AFGHANISTAN
STUPRI, REPRESSIONI E VENDETTE MA NON È UN FILM
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rento esterno giorno, in televisione scorrono le immagini degli afgani aggrappati alla ruote e alla scaletta degli aerei europei; è il film della fuga da Kabul. Gli americani sono i maestri mondiali del cinema e dopo ogni guerra ci raccontano, a modo loro, come fermarono i coreani rossi, difesero Saigon e Bagdad. Chissà quale sceneggiatura stanno preparando per Kabul. Là, in Afganistan, intanto si gira in presa diretta e si muore veramente in una guerra civile dove i soldati difendono valori, forse di democrazia, certamente di petrolio, gasdotti e papaveri. Nella logica imperiale ci sta che una superpotenza s'impegni in difesa della propria necessità di espandersi. In Afganistan ci hanno provato militarmente in due, URSS e Stati Uniti, che non sono riusciti a compiere quello che riuscì brillantemente a Giulio Cesare, modello romano di grande diffusione negli USA dove la sede del Parlamento si chiama Campidoglio. Ma Cesare era Cesare e i Celti, Galli appellantur, dai romani, avevano problemi fra di loro e con i germani. Con Cesare Scotoni, raffinato collaboratore della rivista, stavo seguendo in televisione il filmato vero, quello dove i morti muoiono davvero e gli antieroi non sono invincibili come Rambo, e,
davanti a tanta miseria umana, l'amico ha detto: " L'umanità singolarmente è molto maturata, ma come collettività è regredita", una cosa tanto vera da essere dolorosa. Per umanità si deve intendere quella filosofica della repubblica ideale, della fratellanza, tolleranza, rispetto della persona. Nell' umanità dolente dobbiamo mettere per prime le donne, sovrane nella società matriarcale del neolitico europeo, schiavizzate, sfruttate, assassinate, in ogni successivo secolo senza distinzione di latitudine. A Kabul si ripete il film di ogni guerra dove gli avversari sono prede e le donne sono evidentemente le più preziose visto che gli uomini vengono subito trucidati e i bambini rapiti. Diceva Wiston Churchill che l'esperienza non ti impedisce di commettere errori, ma ti permette di riconoscerli. Riconosciamo perciò in Afganistan gli errori di Saigon e quelli di Bagdad e perfino l'autorevole filosofo statunitense Michael Walzer ammette che : la decisione di lasciare è giusta ma eseguita male. Lasciare poteva essere giusto, perché la guerra era ormai perduta, ma l'errore è stato sicuramente iniziarla senza avere a un capo come Giulio Cesare, né Ottaviano Augusto che seppero vincere, ma soprattutto unire, e i tempi non sono più quelli. Oggi la collettività è regredita e a voler essere realisti siamo
ancora su questa terra grazie alla scienza. Non solo quella sanitaria, agricola con la produzione di fertilizzanti, bensì paradossalmente a quella fisico-atomica . Anche i piccoli uomini del potere sanno che il fallout atomico non è razzista, non distingue buoni e cattivi, colpisce i miserabili ma anche i miliardari cinici. Ce lo racconta il cinema di ogni nazione con missili sparati più o meno per caso, telefoni e bottoni rossi. Nell'attesa di tempi migliori l'Europa gira e rigira lo stesso frammentato copione di buone intenzioni. La sceneggiatura parla di unità e politica comune. Nel 1953 Alcide Degasperi proponeva, oltre all'unità politica ed economica, un esercito europeo. E' noto che era un uomo pacifico ma realista e sapeva, anche prima dell'avvento dell'atomica, che con un esercito comune almeno non ci saremmo più massacrati fra di noi. Al di là della realtà dei fatti, l'idea è solo un escamotage, una bugia: la Pace si ottiene con l'intelligenza, l'amore, la comprensione, il sacrificio. Grazie Gino Strada.
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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Maurizio Cristini (Enologo ed esperto in giochi ed enigmistica) Laura Paleari (moda e costume) - dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) Francesco Zadra (Attualità) - dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) Alessandro Caldera (sport e cronaca) dott.ssa Sabrina Chababi (attualità, storia, arte, cultura) Alex De Boni (attualità e politica) - dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di Settembre di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.
Settembre 2021
Punto & a capo: l’Afghanistan
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Abraham Maslow e la sua Piramide dei Bisogni
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Sommario
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Cinema e società: Circle, giudicare gli altri
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L’editoriale: Vaccino e Green Pass, a Voi la scelta
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La coscienza dell'escursionista
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Afghanistan: il ritorno dei talebani 11
La Giornata Mondiali dei Sogni
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Sono bambina, non sono una sposa
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Un romanzo familiare: Saranno rosse le mie scarpe 62
Il politico in cronaca: Antonio Bisaglia
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Il personaggio di casa nostra: Alex Zanghellini
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In filigrana: le vendite telefoniche
18
Un tuffo nell’Archeologia: Pietro Paolo Orsi
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Bambini e tecnologia: le cattive abitudini
21
La moda: il fascino del Vintage
69
Polarità e polarizzazione
22
Dati, fatti e informazioni
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La vita in controluce
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Non solo animali: l’asino
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Vasco SI, Vasco NO
26
La madre dell’astrattismo: Hilma af Klint 74
Uomo, ecologia e ambiente
29
Medicina & Salute: il disturbo del deficit
76
Il senso religioso
33
Medicina & Salute: i disturbi del sonno
79
Arte urbana
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Salute e benessere: la carie e la pulizia dei denti
80
Società oggi: feste private e Covid
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Tecnologia e sonno
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I signori del vento
39
La pagina verde: il balcone fiorito
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A Feltre l’Ados, donne operate al seno
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I giardini Zen
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In ricordo di Piera degli Esposti
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Conosciamo l'erboristeria e la fitoterapia
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Il personaggio: Niki Lauda 48
Curiosità artistiche: uso della canapa
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Tra presente e passato: a caccia con i rapaci
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Che tempo che fa: cambiamenti climatici 2021 88
Fiume: storia di un’impresa
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La giornata mondiale della gratitudine
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La patente nautica
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Il politico in cronaca Antonio Bisaglia Pagina 15
Solidarietà e Volontariato A Feltre l’Ados Pagina 43
Il personaggio Alex Zanghellini Pagina 64
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L'editoriale di Armando Munaò
VACCINO E GREEN PASS,
a Voi la scelta…
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Gli appelli a non vaccinarsi sono inviti a morire, oppure a far morire: se non ti vaccini, contagi, muori, o fai contagiare e fai morire. Senza vaccinazione si deve chiudere tutto, di nuovo.” Con questa parole il Presidente del Consiglio Mario Draghi, ha dato un chiaro ed inequivocabile messaggio a chi, politico e non, esprimeva e ancora esprime dubbi sull’importanza della vaccinazione anti Covid. E un accorato invito alla vaccinazione lo ha espresso, e a chiare e inequivocabili lettere, anche il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Vaccinarsi è d’obbligo, per due ragioni, come ha più volte sottolineato il Generale Francesco Figliuolo: evitiamo
che persone, anche deboli, possano ammalarsi, ma soprattutto si blocca la circolazione del virus. Quindi non facciamoci prendere e coinvolgere da sterili polemiche o posizioni demagogiche. Dobbiamo vaccinarci per il nostro bene e di quello di tutta la comunità”. “La vaccinazione è importante perché è l’unico modo per uscire dalla crisi sanitaria ed economica. Le scelte del Governo tutelano la vita degli italiani e il Green Pass non è affatto una vessazione”. Cosi’ Luigi Di Maio. Come un chiaro e “cristallino” messaggio, Draghi lo ha anche dato in merito all’indispensabile utilità e uso del Green Pass. Documento, che dopo il parere favorevole dal Consiglio dei
Ministri, nessuno escluso, è già in uso, ma che ancora tante contrarietà ha generato e tutt’ora genera, non solo tra moltissimi politici, ma anche e soprattutto nel popolo dei No Vax. E sul Green Pass altra “forte” precisazione di Mario Draghi quando ha affermato, con dati alla mano, che “il miglioramento finora ottenuto è dovuto essenzialmente alla campagna vaccinale, e quindi occorre prendere coscienza di questa nuova positiva situazione, anche per rassicurare la popolazione. E la scelta di introdurre il Green Pass non solo è per cambiare i parametri per mantenere le Regioni in zona bianca, ma essenzialmente per tenere aperte le attività economiche e continuare nella crescita della nostra 7
L'editoriale economia”. “Il green Pass, ha sottolineato il Ministro Speranza, non limita affatto la nostra libertà, tutt’altro, ce la fa riconquistare perché è uno strumento che ci consente di rendere più sicuri i luoghi della socializzazione, i posti di lavoro e dove incontreremo i nostri amici, le nostre famiglie. E chi afferma il contrario agisce per pura demagogia, anche politica.” Da sottolineare che nel mese di luglio e metà agosto, oltre al fatto che la maggior parte degli anziani sono stati vaccinati, coperti e schermati, sono notevolmente diminuiti, se non crollati in alcune regioni, i numeri dei ricoveri, specialmente quelli in terapia intensiva e delle persone decedute. E purtroppo c’è ancora chi si ostina, a smentire i numeri affermando che il vaccino a nulla serve e che il Green Pass ci priva della nostra libertà.
Certo la nostra Costituzione lascia al cittadino, sia la scelta se vaccinarsi o meno e sia l’utilizzo e quindi la presentazione del Green Pass. Tutto esatto. Con una piccola eccezione però: la libertà di un individuo finisce dove comincia quella degli altri e quindi se una persona non vuole vaccinarsi è padronissimo di farlo, ma in questo caso dovrebbe essere a lui impedito di recarsi a teatro, allo stadio, ai concerti o a frequentare luoghi affollati dove il contagio si può diffondere con rapidità. E vediamo, per essere chiari, cosa prevede a proposito la nostra Costituzione: “La Costituzione tutela, come
diritto fondamentale, la salute del singolo cittadino, ma altresì come interesse della collettività”. Ragione per cui, e nel rispetto di quanto sopra, non è ammissibile la libertà di chi non si vuole vaccinare mettendo a rischio la
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L'editoriale salute altrui ed è quindi è giusto limitare la libertà di chi, per propria scelta e convinzione, non vuole vaccinarsi. E nel 2018 la Corte Costituzionale ha rafforzato questo principio stabilendo che: “si può imporre un trattamento sanitario se è diretto, non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri”. E sempre, nel rispetto dei nostri principi costituzionali, si potrebbe, anzi si dovrebbe, subordinare alla vaccinazione, quindi obbligandola, chi esercita professioni che impongono il contatto con altre persone, specialmente se queste sono fragili. Il voluto riferimento è per i medici o per chi opera in ambiente sanitario, gli insegnanti, le forze dell’ordine e chi lavora nei centri anziani, case di riposo o in strutture pubbliche. Purtroppo in molti (anche politici) vedono l’obbligo della vaccinazione e l’esibizione del Green Pass come un violazione della propria libertà e dei propri diritti. E di questo sono veramente convinti e non vogliono sentire ragioni e, per svariati e personali motivi che non
sto qui a elencarvi, sono restii a farsi convincere del contrario. Anzi, non vogliono proprio saperne. Qualcuno ha anche avuto l’imbecille idea di scrivere “No Vaccino, No Green Pass, all’interno di una Stella di Davide di colore giallo che si era cucita sulla camicia quasi a paragonare le decisioni governative a quanto i nazisti imposero agli ebrei in luoghi pubblici e nei campi di concentramento.
Io rispetto le loro idee. Se però un cittadino, a torto o a ragione, sceglie la non vaccinazione e quindi il non utilizzo del Green Pass, a mio modestissimo avviso deve assumersi le proprie responsabilità e quindi accettare le conseguenze del proprio comportamento e della decisione presa. E per cortesia non tiriamo in ballo la privazione della libertà e dei principi democratici. C’entrano come i cavoli a merenda.
“Chi si contagia di Covid tra gli over 80 e non è vaccinato ha una probabilità di morte venti volte maggiore di chi è immunizzato con due dosi nella stessa fascia d’età. Tra i 60 e i 79 anni la differenza di letalità tra i vaccinati e chi non lo è, diventa ancora più eclatante: 30 volte maggiore il rischio di morte per chi non si è coperto”. Tra i 40 e i 59 anni nei vaccinati diminuisce invece di cinque volte il rischio di finire in ospedale. Tra i più giovani 12-39 anni, siamo al rischio quasi zero per casi in terapia intensiva tra i vaccinati. In quattro mesi, dal 4 aprile all’8 agosto, neanche un episodio. E’ quanto emerge dalle dichiarazioni dell'Istituto Superiore di Sanità che ha analizzato i dati del nuovo rapporto che evidenzia non solo il crollo dei ricoveri dei vaccinati, ma anche i rischi maggiori nei non vaccinati nella fascia 60-79 anni. Rapporto , frutto dell’analisi congiunta dei dati dell’anagrafe nazionale vaccini con quelli della sorveglianza Covid-19 che affluiscono dalle regioni, che ha preso in considerazione il numero dei contagiati, dei ricoveri ordinari o in terapia intensiva e decessi legati al Covid. Mentre andiamo in stampa apprendiamo che il Governo Draghi sta considerando (ma è quasi certo) l'obbligatorietà della vaccinazione anti Covid, il prolungamento dell'uso del Green Pass nonché la possibilità della 3a dose del vaccino. Su questa proposta tutti i partiti della maggioranza sono stati d’accordo tranne la Lega di Salvini anche se, all’interno del suo partito, ci sono molti esponenti e alcuni Governatori favorevoli all'obbligo.
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Tra USA, Europa e Oriente di Alfonso Tommasini
AFGHANISTAN: IL RITORNO DEI TALEBANI
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ella guerra afgana la conclusione imprevista con la vittoria troppo rapida dei Talebani ha creato un vero e proprio cortocircuito: per la prima volta un gruppo terroristico allargato responsabile in passato anche della distruzione delle statue di Budda di Bamiyan, ha sconfitto l'Occidente. Questo evento riconduce alla memoria una storica guerra che anche allora scosse il mondo: quella russo – giapponese del 1904 – 1905 quando ci fu la prima vittoria di una nazione asiatica (il Giappone) su una europea (la Russia zarista) con la conseguente perdita da parte dei russi di mezza isola di Sackalin e dell'egemo-
nia sulla Manciuria e la Corea. In Afghanistan bisogna chiedersi che cosa non ha funzionato. Di certo c'è che di fronte alla domanda “Perché combattiamo?”, l'esercito sostenuto dall'Occidente si è dissolto e questo ha a che fare col fallimento del tentativo di far ascendere quel paese ad una nuova nazione libera e democratica. E' inutile cercare capri espiatori, perché questa è anche una sconfitta della cultura occidentale e delle sue discipline come sociologia, etnologia, antropologia che non sono servite a capire la vera natura dell'Afghanistan . Del resto c'era stato un precedente simile nel Vietnam degli
Anni 60/70 dove gli USA avevano fallito nel voler creare in quel paese (si parla della Repubblica del Vietnam del Sud) con enormi investimenti in campo educativo culturale, il prototipo di una nuova democrazia di tipo occidentale. Premesso che il sottoscritto ritiene necessario fare una fondamentale distinzione fra l' Islam come religione e l' Islam Politico, se si ragiona su scala globale, in questo momento gli avvenimenti afgani, al di là degli effetti locali che si prospettano terribili innanzitutto con perdite di libertà e rappresaglie contro la popolazione filo -occidentale, potrebbero avere come la peggiore conseguenza quella di galvanizzare proprio le varie espressioni dell'Islam Politico nel resto del mondo che attualmente si trovano in fase di stand by, nonché di stimolarne nuove emulazioni ancora più pericolose, allargando l'arco del terrorismo islamico mondiale. Ciò in quanto sono tuttora attive molteplici frazioni di quell'Islam fanatico che distrugge le minoranze etnico religiose, come in primo luogo l' Isis o Daech che pur non dominando più un territorio possiede ancora una grande capacità di diffusione. C'è poi la succursale siriana di Al Qaida, denominata prima Jabhat Al Nusra ed attualmente Tahrir al Cham che sostiene apertamente i Talebani e d'altro canto rientra anche nella strategia bellica di Israele che la utilizza in funzione antisiriana. Se poi si esamina l'Africa, ci sono paesi come Mali, Niger e Burkina Faso dove l'islamizzazione armata è in continua crescita, senza contare il movimento Boko Aram in Nigeria già pesantemente stanziato sul territorio. Nel Maghreb islamico prospera l' Aqmi installato da Al Qaida mentre in Siria, i turchi, che hanno
annesso parte di quel paese, appoggiano ed armano la formazione islamica dell'Esercito Siriano Libero. Come si vede ci sono tuttora le premesse verso il possibile passaggio dall'Emirato territoriale afgano allo Djihadismo mondiale con possibili contorni di terrorismo di massa (Vedi Bataclan e altri). In questo contesto è importante vedere le posizioni dei paesi confinanti con l' Afghanistan o comunque viciniori come Pakistan, Russia, Cina Turchia e da questo punto di vista la situazione non sembra positiva in quanto i russi sono in fase attendista mantenendo un doppio binario con contatti sporadici coi Talebani ma anche partecipazione a manovre militari presso i confini afgani. Il Pakistan si è posto come garante alle promesse moderate dei Talebani mentre la Cina ha già ricevuto da un dirigente Talebano la promessa che avrà una grande importanza nella fase di ricostruzione del paese. I turchi(che avevano un contingente in Afghanistan ma senza partecipare ai combattimenti) si sono sostanzialmente posti come soggetti “Super partes”. Bisognerà comunque vedere la direzione che prenderanno la varie politiche, soprattutto in quella zona grigia dei partner occidentali come Pakistan e Turchia che hanno da sempre rapporti ambivalenti con quell'Islam Politico.
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Attualità di Francesco Zadra
«Sono bambina, non una sposa!» Vi sono delle bambine che, già a partire dai cinque anni, si ritrovano oggetto di veri e propri contratti, cedute per denaro dalle loro famiglie divengono spose per una sorta di dote al contrario, versata dai futuri mariti ai genitori delle ragazzine.
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na sposa bambina è derubata del suo futuro e diviene di colpo grande per forza, vittima di una violenza travestita di cultura, di appartenenza etnica, di costumi millenari, che non sa contrastare, alla quale obbedisce accettando di sacrificarsi, dimenticando per sempre quello che, forse, non è neppure arrivata a immaginare, ma che poteva essere un suo futuro diverso. È allora che pensa di non essere fatta per la libertà. Non ci si crederà, ma in Italia succede più spesso che nel resto del mondo. Secondo la ricerca intitolata “Non ho l’età: matrimoni precoci nelle baracco-
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poli della città di Roma”, limitata ai matrimoni avvenuti tra il 2014 e il 2016 nelle baraccopoli romane, i matrimoni con sposi minorenni di età compresa tra i 16 e i 17 anni erano il 77%, e nel 28% dei casi i contraenti erano addirittura tra i 12 e i 15 anni. Un fatto macroscopico del quale però l'opinione pubblica ha sentore solo quando accade l'irreparabile, come a Saman Abbas, giovane d'origine pakistana, a Novellara, nella Bassa Reggiana, oppostasi a un matrimonio combinato e quindi uccisa. Un crimine che appare pianificato e attuato all’interno della cerchia familiare. Un delitto annunciato, prevedibile forse dai pochi che si sono presi il tempo di vedere La sposa bambina, un film del 2014 con protagonista Nojoom, una bambina yemenita. Nojoom significa “le stelle”, ma suo padre lo cambia in Nojoud, “nascosta” e, pur amandola, la consegna alle regole non scritte della convivenza nello Yemen che comportano una totale sudditanza delle femmine rispetto ai maschi. Una ricerca elaborata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l’adolescenza,
tenendo conto anche delle situazioni sommerse, conta almeno duemila casi di spose bambine ogni anno in Italia. Un dato fermo al 2007, poiché nel nostro Paese non esistono progetti specifici per contrastare i matrimoni forzati e non è quindi sollecitato un monitoraggio costante. Dalla stessa fonte apprendiamo che le spose bambine in Italia provengono soprattutto dalle comunità di India, Pakistan, Bangladesh, ma anche Albania e Turchia; praticano la religione musulmana e devono sottostare alla legge islamica secondo la quale una bambina raggiunge la maggiore età già a nove anni. Gli Stati più a rischio a livello globale - secondo i dati delle Nazioni Unite sono Niger, Ciad, Bangladesh, e Guinea, dove il sessanta per cento delle donne si sposa prima dei 18 anni. Nel mondo 15 milioni di ragazze si sposano prima di aver compiuto la maggiore età, ma anche bimbi maschi sono in alcuni casi promessi a donne adulte. Nelle comunità di India e Pakistan le famiglie si mettono d'accordo con un vero e proprio contratto matrimoniale, un accor-
Attualità do economico grazie al quale i genitori dei futuri sposi ottengono somme di denaro, la certezza del mantenimento dei propri figli o addirittura un aiuto per ottenere documenti e permessi di soggiorno. Il matrimonio forzato è un reato e una violazione dei diritti umani, non solo in Italia ma, secondo alcune associazioni che si occupano di queste problematiche, come l’Associazione Nazionale Famiglie degli Emigranti, provare questi abusi è molto difficile, anche se si può sospettare che quando un cittadino straniero chiede il ricongiungimento con un cugino di secondo grado, quel lontano parente potrebbe essere, in realtà, il marito di una bambina o il suo promesso sposo. Troppo spesso questi fatti restano impuniti ed estranei a qualunque calcolo statistico, per quel fenomeno sociale che mantiene sacche non integrate che pur assecondando in
superfice uno stile di vita “occidentale”, non intendono il matrimonio forzato come un reato penale specifico, tanto meno una violazione dei diritti umani o una forma di violenza sulle donne. I numeri portati in evidenza dall’impegno associativo che si batte per i diritti umani e fa rete promuovendo la campagna di sensibilizzazione «Sono bambina, non una sposa!», oltre alla dolorosa cronaca di fatti come quello accaduto a Saman, sembrano mostrare quanto anche in Italia siamo lontani dal garantire i diritti dell’infanzia e promuovere un sano sviluppo delle bambine e dei bambini;
tantomeno ci possiamo dire capaci di un efficace contrasto alla povertà urbana. Ma dov’è il vero problema? Nel giorno della sua scomparsa, possiamo ripensare più seriamente a quanto diceva Gino Strada: «I diritti umani devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti! Altrimenti chiamateli privilegi».
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Il politico in cronaca di Waimer Perinelli
La misteriosa morte di Antonio Bisaglia
IL TERZO UOMO DELLA PIRUBI
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l 24 giugno del 1984 Antonio Bisaglia, potente uomo politico padovano, affogò nella baia di Portofino, località della Liguria frequentata da super ricchi. Cadde in mare dal panfilo Rosalù di proprietà della moglie Romilde Bollati di Saint Pierre. A bordo dell' imbarcazione, lunga 22 metri e pesante oltre cinquanta tonnellate, c'erano altre sei persone ma nessuno si accorse della sua caduta in tempo utile per soccorrerlo. Nessuno si aspettava nemmeno la caduta visto che il mare era calma piatta e non c'era un alito di vento. I testimoni riferirono di un'onda anomala il cui urto avrebbe fatto precipitare Bisaglia, dalla tuga, dove sdraiato prendeva il sole leggendo il giornale, alla passeggiatina, da dove il corpo, del peso di 90 chilogrammi
circa, dopo avere travolto un paio di candelieri, sarebbe precipitato nell'acqua azzurra di uno dei golfi più belli d'Italia, procurando la morte per affogamento dell'uomo politico, di 55 anni e buon nuotatore.. Mortale incidente batterono le telescriventi delle agenzie e scrissero a caldo i giornali; tuttavia molte circostanze sono poco credibili, sospette. Antonio Bisaglia era nato a Padova il 21 marzo del 1929. Il padre era ferroviere di Rovigo, la famiglia numerosa. Il giovane completò gli studi in seminario poi si laureò in giurisprudenza all'università di Padova. Nel 1945 si era iscritto all'A zione Cattolica iniziando un percorso culturale e politico frequente nell'ambito della nascente Democrazia Cristiana diretta da Alcide Degasperi. Ha la fortuna d'incontrare ed avere
l'apprezzamento di Mariano Rumor, vicentino, già leader veneto e nazionale del partito che governerà l'Italia, da solo per trent'anni e in compagnia della sinistra per altri dodici prima del crollo con le inchieste di "mani pulite". Siamo nel 1952 Rumor ha immediata stima del ventitreenne Antonio e lo inserisce nel proprio staff affidandogli la propaganda ed il tesseramento. Sono anni politicamente molto caldi con la battaglia contro il comunismo di Togliatti, l'ingerenza della Chiesa nello scenario italiano, dove la propria esperienza di ex seminarista sarà utile strumento di analisi per Bisaglia e la politica europeista di Degasperi. L'Italia economica e politica sta compiendo il massimo sforzo di rinascita dalle macerie della guerra e il giovane padovano-rovigino compie un lavoro egregio, tanto che Rumor, nel 1954 guida la sua nomina alla presidenza della Cassa Mutua di Rovigo e due anni dopo gli rende agevole l'ingresso nel Consiglio
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Il politico in cronaca provinciale del partito. Nel 1963 alle elezioni politiche Antonio Bisaglia raccoglie 35 mila preferenze ed a 37 anni viene eletto alla Camera dei Deputati. E' l'inizio di una folgorante carriera incentrata sul controllo della provincia padovana con sconfinamenti nel vicentino dove ha il proprio feudo il protettore Mariano Rumor che nel 1951 era stato nominato Sottosegretario all'Agricoltura del governo Degasperi.
Bisaglia è un fedelissimo e nel 1968 viene nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Inizia il periodo d'oro del duo Rumor-Bisaglia a cui viene aggregato il trentino Flaminio Piccoli e nasce il trinomio PiRuBi con il quale oltre all'unione politica della corrente Dorotea viene associata 16
un'autostrada di collegamento fra Venezia e Trento ritenuta indispensabile per il commercio e il turismo, affogata nella contestazione, ancora oggi rimpianta davanti al caos di mezzi pesanti che pervade la strada statale 47 e le viuzze provinciali. Al fallimento del progetto stradale contribuisce anche lo scontro fra i tre uomini politici, in particolare i due veneti, il cui territorio di competenza si fa tropo stretto. Una sedia per due della loro stazza non è sufficiente, e Bisaglia, che alle elezioni del 1972 è passato da 35 mila a 138 mila preferenze, dopo essere stato nominato nel 1974, dallo stesso Rumor, ministro all'agricoltura, deve mordere il freno. È ormai temuto dal suo ex protettore e solo il governo Moro nel novembre del 1974 gli aprirà grandi varchi. Nel 1975 l'ex delfino, assieme a Piccoli, scaverà la fossa a Rumor mettendolo in minoranza al Congresso democristiano del luglio 1975. Grandi scalate, conoscenze delle cose palesi e segrete dello Stato e molti misteri. Fra il 1974 ed il 1984 mentre Bisaglia accumula ministeri, scoppiano il Caso Petroli, il fallimento della banca Franklin National Bank di Michele Sindona, che morirà in carcere dopo avere bevuto un caffè alla Stricnina, l'assassinio del giornalista Pecorelli che, si scrisse, indagava nella torbida matassa di soldi e appalti. Con Bisaglia, nel golfo di Portofino, affogarono buona parte di questi misteri. Ma ne nacquero di nuovi e intriganti. A poche centinaia di metri dalla disgrazia, sopra gli scogli, gli ospiti della villa del re degli elicotteri Agusta avevano probabilmente assistito alla tragedia senza potere fare nulla. Una di loro era Vacca Agusta, moglie dell'imprenditore, che, per singolare coincidenza, morirà anch'ella in circostanze misteriose, cadendo e annegan-
do in mare. Scrive Agatha Christie che una coincidenza è solo una coincidenza, due sono ancora coincidenze ma tre sono un fatto. Nel nostro caso la terza coincidenza è la morte del sacerdote Mario Bisaglia, fratello di Antonio, acceso contestatore della disgrazia accidentale e sostenitore dell'omicidio. Era il 17 agosto del 1992 quando
Il politico in cronaca il corpo del prete fu ripescato dal laghetto alpino di Centro di Cadore nei pressi di Domegge, in provincia di Belluno. Era partito tre giorni prima da Rovigo diretto a Calalzo dove voleva incontrare il Papa ed aveva appuntamento con due giornalisti. Aveva le tasche piene di sassi e si ipotizzò il suicidio. Le indagini appurarono che nei polmoni non c'erano né acqua né microrganismi tipici. Uno strano suicidio visto che probabilmente era caduto o gettato nel lago già cadavere. Il caso fu archiviato. Resta ancora da chiarire perché sul corpo di Antonio Bisaglia non fosse stata effettuata l'autopsia. Scrive il direttore del Giornale di Vicenza in un editoriale di 16 anni dopo: "Quello stesso giorno (24 giugno 84) Francesco Cossiga, ministro degli interni, piombò nell'ospedale di Santa Margherita Ligure, dove Bisaglia, subito
ripescato in mare, fu portato già morto. Non fu eseguita nessuna autopsia e la sera stessa la bara venne portata a Genova poi, con un volo militare direttamente a Roma". Perché tanta fretta? Mario Borghezio ex deputato leghista, nel 1993, pre-
sentò un'interrogazione al ministro di Grazie e Giustizia scrivendo di "misteriose morti parallele" e si sa che le parallele, salvo che per Aldo Moro, non s'incontrano mai e con loro forse anche la verità è affogata nel mare blu di Portofino.
serenità. Il Reiki aiuta a ritrovare calma e rio psico-fisico Aiuta a ritrovare il proprio equilib lla mente. calmando il continuo vorticare de po sano!" E come si dice: "Mente sana in cor
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In filigrana di Nicola Maccagnan
Le vendite telefoniche e l'utilizzo dei call center Inseguiti dalle telefonate promozionali dei call center: storia (semiseria) della dura battaglia quotidiana tra chi cerca di fare il proprio lavoro e chi non vorrebbe passare le giornate al telefono.
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e avete un telefono cellulare o uno smartphone, divenuto oramai strumento di uso quotidiano di molti di noi - e non solo dei più giovani - sapete benissimo di che cosa stiamo parlando. Il telefono squilla, numero con prefisso di Brindisi. Il telefono squilla di nuovo, numero con prefisso di Como. Di lì a breve suona ancora, questa volta la chiamata arriva addirittura da Tolmezzo. E poi da Milano, Palermo e perfino dall'estero. Dopo un po' ecco un'altra telefonata: a richiamare la nostra attenzione è questa volta un'utenza da telefono cellulare.
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Che cos'hanno in comune tutte queste chiamate? Arrivano da call center da cui, attraverso percorsi via etere che nemmeno vogliamo immaginare, addetti alle vendite cercano di creare con noi un contatto per proporci, ovvero venderci, una merce o sempre più frequentemente un servizio, legato magari alle forniture di energia, assicurazioni o altro ancora. Tralasciamo qui tutto il tema legato alle truffe, o alle tentate truffe, che purtroppo si registrano legate a questa modalità di stipulare contratti, spesso ai danni di utenti più deboli e indifesi, come le persone anziane o in difficoltà. Questa è materia penale e non ci addentriamo. Focalizziamoci invece su tutta l'attività di vendita telefonica condotta nel rispetto delle regole e quindi legittima. Un vero e proprio “mare magnum” in crescita esponenziale negli ultimi anni e che, evidentemente, dà i suoi frutti, in termini commerciali ed economici. E' qui che si giocano le sorti di molte aziende che hanno scelto questo canale
per cercare di sviluppare, del tutto legittimamente ripetiamo, i loro affari, talvolta addirittura in maniera esclusiva. Niente negozi o punti di consulenza, con relativi costi di affitto e personale, ma soltanto grandi magazzini di stoccaggio (nel caso delle merci) da cui far partire l'ordine poco dopo la conferma di acquisto. E uno stuolo più o meno nutrito di addetti ai call center, appunto, pagati spesso con contratti tutt'altro che faraonici, e incentivati dallo stesso sistema di remunerazione a “spingere” sulle vendite. Si è scritto e detto molto sul sistema di reclutamento di questi operatori telefonici, spesso tutt'altro che sprovveduti, a volte giovani, non di rado laureati o comunque molto qualificati, alla ricerca di un'occasione per inserirsi nel mondo del lavoro. Ed è per questo, qui lo ammetto candidamente, che – anche all'ennesima chiamata quotidiana a cui magari ho pure risposto – non me la sono mai sentita di rispondere in malo modo o con tono
In filigrana arrogante. Dall'altra parte del telefono, ho spesso pensato, potrebbe esserci un venditore senza scrupoli, ma forse anche un giovane che cerca di mettere insieme, non senza fatica e con ritmi ossessivi, il pranzo con la cena. E merita il massimo rispetto. Va detto però, per contraltare, che anche la proverbiale pazienza di Giobbe a un certo punto ha un limite. E soprattutto se sto lavorando, magari alla ricerca della concentrazione non sempre così pronta, una telefonata che ti interrompe a ogni piè sospinto qualche pensiero e parolina non proprio da educanda alla fine te li strappa. Strumenti per “difendersi”? Sulla carta parecchi. Dal Registro Pubblico delle Opposizioni, al blocco dei numeri o all'attivazione di particolari App sullo smartphone, fino ad estremi, ma complicatissimi “rimedi”, come il ricorso alle associazioni di consumatori o addirittura
al Garante della Privacy. Col rischio, peraltro non remoto, di bloccare - tra le chiamate indesiderate – quelle di aziende o intermediari che invece ci interessano e a cui magari, qualche tempo prima, siamo stati proprio noi a dare il nostro contatto. “La domanda sorge spontanea”, diceva quello. Possibile che non esista un metodo più civile e “indolore” per regolamentare quella che sembra divenuta a tutti gli effetti una giungla telefonica? Una questione solo all'apparenza marginale. Il tempo è diventato un bene sempre più prezioso per tutti noi, in questi anni frenetici. Contemperare le legittime aspettative di tutti (chi deve vendere i propri prodotti/servizi, chi telefona perché questo avvenga e chi, esausto, non ne può più) non è semplicissimo, ce ne rendiamo conto. Magari istituendo un registro nazionale
“certificato” a cui gli utenti sono liberi di accedere su base volontaria per selezionare singole aziende, categorie merceologiche o di servizi a cui sono realmente interessati (con la possibilità di revocare poi la propria adesione)? Forse potrebbe essere un'idea.
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Bambini e tecnologia di Patrizia Rapposelli
CATTIVE ABITUDINI
“Mangio se mi lasci tablet e smartphone”
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n bambino con un boccone in bocca e il cellulare in mano è un bambino moderno. Nell’era digitale smartphone e tablet sono diventati i moderni babysitter dei piccoli, soprattutto a tavola. Ad oggi la vita frenetica porta la famiglia moderna a sedersi a tavola di fretta. I genitori esausti per lo stress lavorativo e per gli impegni quotidiani preferiscono figli che durante i pasti non creano problemi. Serve qualcosa che li incanta. Infatti, un bel cartone animato online o una divertente app di giochi intervengono in aiuto del genitore moderno. Il bambino stordito dal suo tablet mangia qualsiasi cosa, senza accorgersene o disturbare. Questo atteggiamento sta diventando prassi quotidiana e gli effetti sulle abitudini alimentari, di vita e famigliari sono disastrosi. Una cattiva abitudine che inclina il dialogo famigliare, gli stessi adulti sono spesso di male esempio, e crea disattenzione verso il pasto. Il cibo riempie con i colori, i sapori e il gusto, ma questa brutta consuetudine va a disperdere il rito del piacere del convito, momento in cui il bambino dovrebbe imparare a segui-
re un corretto stile di vita. Attenzione a cosa e a come si mangia. La scena è pressoché sempre la stessa, uno o più genitori, uno o più bambini, uno o più videogiochi. Gli adulti parlano o sono affaccendati con gli smartphone, mentre i più piccoli si intrattengono da soli. Accade inoltre che, quando i bambini sono più di uno, ognuno è in possesso del suo tablet o console ed ignora la presenza del coetaneo. Situazione inquietante sotto molti aspetti. Prescindendo dal fatto che tutto questo è contrario alle regole del galateo, è allarmante l’assenza totale di comunicazione non solo tra piccolo e adulto, ma anche tra bambini. Oltre a ciò, una corretta abitudine a tavola permette al bambino di distinguere gli stimoli e di comprendere il senso di sazietà. Semplificando: l’immaturo deve imparare cosa significa tale sensazione altrimenti il rischio è di cadere poi in obesità. Imparare a masticare il cibo ed apprezzarlo, senza distrazione. Il cibo perde sapore, è più interessante l’aggeggio elettronico. Prima tra i piccoli si giocava con il cibo a tavola e adesso non più, si ingoia senza partecipazione. I pasti in famiglia dovrebbero rappresentare un momento importante per
comunicare con i figli, per trasmettere serenità e stabilità. Decisivo è il ruolo del genitore, il quale dovrebbe dare il buon esempio. Oltre la metà dei bambini italiani usa abitualmente internet. Lo rivelano i dati di un’indagine condotta da Save the Children e una fetta lo utilizza come distrazione a tavola. È questo l’inquietante ritratto della famiglia di oggi? Importante inoltre sottolineare come il “pasto tecnologico”, al di là di compromettere l’ascolto e la comunicazione in famiglia, può contribuire alla messa in atto di comportamenti sbagliati dal punto di vista alimentare. Qualità e quantità di cibo non contano. Madre e padre hanno forse smesso di fare i genitori? Mancano regole stabilite e norme di condotta. La comodità ha reso la tecnologia il nuovo ipnotizzatore dei bambini. Non si può parlare di innovazione digitale, se prima non c’è una vera e propria educazione digitale. I genitori devono tornare a fare mamma e papà, risvegliando il senso della convivialità a tavola e educare il bambino alle buone abitudini. Forse, sul piano educativo qualcuno ha un po' mollato?
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Italia, ieri, oggi e domani di Cesare Scotoni
POLARITÀ e POLARIZZAZIONE
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olarità e polarizzazione. Fin dall’inizio della fine della Prima Repubblica, che datiamo alla primavera del 1978 ed all’assassinio di Aldo Moro, con la sua saga delle troppe NON verità che cominciano con il suo rapimento, passano dall’assassinio della sua scorta ed arrivano ai compromessi ed ai mancati compromessi che precedettero e seguirono il suo omicidio, l’Italia ha vissuto un’eterna fase di trasformazione che ritrova, a distanza di oltre 40 anni, il Paese sempre meno eguale, ma bloccato nella sua crisalide di antinomie. Più povero e meno coeso. Con un peso internazionale che, dovendo affrontare scenari nuovi e dinamiche meno nuove, si trova oggi in cerca di un nuovo assetto e di un diverso ruolo. Il recente confronto sul bipolarismo italiano tra Ernesto Galli della Loggia e Silvio Berlusconi, ospitato dal Corriere della Sera prima di Ferragosto è l’evidenza del perché un dibattito tra alternative che non sono tali, ovvero il ridurre il confronto ad una sfida tra persone per la gestione del presente, anziché ad una sfida tra Progetti che interessano i nostri figli, non permetta al Paese di uscire da un’impasse che dura da quaranta anni. Quattro decenni in cui la “pars destruens” di cui scriveva Bacone ha lascia-
to le Istituzioni in macerie. La metodologia suggerita da quel Grande della Storia nel “Novum Organum”, con il passaggio dalla Deduzione alla Induzione e la necessità di una “pars costruens” sembra però estranea ai troppi che si sono improvvisati tribuni del Popolo forti solo di una “visibilità” travestita da autorevolezza. Anzi, la tristissima vicenda del come un Welfare Europeo distrutto da una visione autocratica, centralista e finto liberista dell’Unione abbia fallito nel curare con i propri sistemi sanitari le diverse patologie
dovute ad un Coronavirus particolarmente innovativo, ha visto proliferare sui teleschermi i profeti di una Scienza che ha la pretesa di farsi religione e rifiuta quel dubbio che permette di mettere in discussione ciò che fino a ieri era dato per acquisito e fare con ciò i progressi cui da 2 secoli ci siamo abituati. Provando ancora una volta come Bacone (Francis Bacon) sia ancora inarrivabile nella sua utopia, per troppi, ad appena 400 anni da quella pubblicazione. Forse ciò che manca in una realtà governata
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Italia, ieri, oggi e domani apoditticamente da comunicatori sempre più attrezzati ad offrire un messaggio calibrato sul singolo utente, posti al servizio della contingenza, sono quindi la volontà e la capacità di partire dai dati puntuali e ricavarne le correlazioni per costruire poi relazioni e leggi che abbiano un valore generale. Un bipolarismo imperfetto per (non) governare l’esistente ed un antico consociativismo per dare a tutti un boccone di poco, non sono l’alternativa che merita questo Paese. Se Berlusconi offriva narrazioni e lustrini per lasciar intravedere una Modernizzazione del Paese ai potenziali elettori e gli altri si offrivano invece con l’affidabilità dell’auto usata (?!) e la garanzia della Consuetudine al Potere in un Paese sempre più avvitato, per il bene di tutti, è bene scordare questi ultimi tragici trenta anni della Repubblica. Più che un velo pietoso servirebbe una pietra tombale. Il Paese NON è cresciuto e la politica
che ha saputo esprimere in quei trenta anni merita la “p” minuscola. Serve indubbiamente una classe dirigente che, magari priva di quella Cultura che ormai non si insegna più a scuola, sia almeno in grado di riconoscerla, rispettarla e confrontarsi con quella. La Scienza è innanzi tutto un Metodo, richiede la capacità e l’umiltà di confrontarsi con i dati e di offrire risposte valide fino al momento in cui non se ne trovano altre. La Politica è altro. Essa abdica al suo ruolo con l’invocazione continua ai Tecnici ed a un Sapere che non ha, anziché sforzandosi di immaginare percorsi utili alla Comunità che la esprime. Siamo al fondo del barile ed il Popolo oggi non vuole né delle icone da ammirare né dei tribuni da applaudire, vuole proposte concrete per migliorare le prospettive
proprie e delle generazioni che seguono. E certo non vuole avere la sensazione che il pluralismo dell’informazione sia sacrificato ad interessi opachi e giocati sulle spalle delle generazioni future. Come da oltre 20 mesi è sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo immaginare delle polarità costruite sui contenuti e sui progetti, non su mezze figure avvezze al cercare la polemica come unica fonte di visibilità. Il tempo è poco. Serve impegno. Dei tanti che vogliono un Paese diverso.
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La vita in controluce di Franco Zadra
«Scrivo e dipingo e amo. E la vita sa di sale»
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'abbazia di Northanger, è forse il romanzo meno conosciuto e meno di successo di Jane Austen, autrice di Orgoglio e pregiudizio. Scritto nel 1803, riporta, in un dialogo tra donne, un giudizio impietoso, forse ancora attuale e condiviso da più di uno studente, sui libri di storia, con «nulla che non mi stanchi o non mi annoi. Le liti tra papi e re, con guerre e pestilenze in ogni pagina; gli uomini tutti dei buoni a nulla, e praticamente nessuna donna... è molto barbosa...». Insomma, quando le donne sono le protagoniste della storia, tutto diventa più interessante!
Così almeno pare pensasse Umberto Veronesi, che nell’ambito della sua attività di oncologo, in particolare si era occupato di carcinoma mammario, prima causa di morte per tumore nella donna, ha voluto evidenziare quella che gli era apparsa una peculiarità femminile. «C’è qualcosa nella donna – scriveva Veronesi nel suo libro “Dell’amore e del dolore delle donne” - che la tiene ancorata saldamente alla vita e non le fa mai perdere il contatto con chi le sta accanto». Un libro che racconta storie di donne nel dolore della malattia, donne che con un sorriso sopra i denti stretti,
hanno lottato per se stesse e per ciò in cui credono; storie raccontate da un uomo che ha dedicato tutta la vita all’ascolto del mondo femminile. Le donne hanno risposto a questo ascolto interloquendo con il medico attraverso lettere di un’intensità e bellezza sorprendenti, rivelando quella capacità forse tipica delle donne di affrontare il dolore a viso
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La vita in controluce aperto e trasformarlo in uno strumento di crescita personale. Una di queste lettere, riportata in un estratto nel libro di Veronesi, è di una donna operata al seno. Un testo che si può leggere in forma completa nell’antologia “Il prima e il dopo. Quando la mia storia diventa la sua storia”, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2007. La tentazione è forte: abbandonarsi su un divano può essere la soluzione. Non uscire, non alzarsi nemmeno per mangiare: fare in modo che il mondo ti giri intorno, ma che non sia necessario fare, frequentare, telefonare… Insomma lasciare che il destino disponga di te. Sì, ci pensi a mollare. A lasciarti andare, dare le dimissioni, dormire un anno di fila, non parlare, a nasconderti: pensieri che ti travolgono i primi tempi, quando il futuro assume contorni sfumati. Ma la vita è strana, sorprendente e più forte di te. Dopo un primo istante di smarri-
mento, inspiegabilmente reagisci. Mettersi a letto e sparire? Non lo fai. Insicurezza? Paura? Non ci stai e allora invece di far la malata ti viene di fare “la persona sana”, molto sana, più sana di chiunque altro. Abbandonare il lavoro? Non lo fai, perché là riesci a distrarti e non pensi più al maledetto stomaco in subbuglio… E la femminilità? Che farne? Chiuderla in un cassetto e riparlarne – forse – dopo qualche anno? Un altro rifiuto sgorga da dentro come un’eruzione vulcanica: ti trucchi come prima. Non modifichi l’abbigliamento, non ti arrendi alla tuta informe. La scollatura ti mortifica, allora scopri le gambe. Frivola e superficiale? Forse: ma tutto questo
occuparmi di aspetti secondari mi ha distolto da pensieri cupi e tristi, convincendomi che c’è ben altro oltre al vomito, alla morte, al dolore. Ha fornito un alibi per vivere. Restano i controlli: so che avrò sempre paura, ma di una cosa sono certa: in ospedale andrò con le forcine nei capelli, mascara a profusione, e tacchi a spillo. «Stessa forza d’animo – annota Veronesi – che dimostra un’altra paziente colpita dalla malattia a trentanove anni. Nonostante le operazioni, il dolore, la paura, l’esposizione del proprio corpo a nuove visite, a ferite, cure, cicatrici, dice: “scrivo e dipingo e amo. E la vita sa di sale”».
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Musicalmente di Gabriele Biancardi
Vasco SI? Vasco NO? Il Vasco nazionale non si discute. Quando qualcuno si permette di dire che in fondo “Non è sto gran artista”, viene guardato con sospetto, lesa maestà si potrebbe dire. Ora, un concerto a Trento del Blasco, o meglio, l'idea di poter fare un evento di così grande portata, ha diviso in curva sud e curva nord i trentini. Da una parte coloro che sono già con i soldi in mano per il biglietto e dall'altra quelli che hanno già i polpastrelli infiammati a forza di scrivere sui social tutti contro di questa operazione.
Proviamo allora a fare una disamina distaccata. Pro: risonanza nazionale, migliaia di persone che arriverebbero in provincia. Alberghi pieni, ristoranti occupati all'inverosimile. Indotto per negozi e varie attività. Prestigio nel proporre “Il concerto”, quello che potrai raccontare a figli e nipoti. Poi, ovviamente, la gioia di poter esserci, poter ascoltare colui che negli ultimi quarant'anni, tiene per mano classifiche e fedeltà. Fin qui tutto bene, la provincia forte di un portafoglio che non trema è disposta a fare la parte del leone. Due milioni e mezzo per approntare l'area, che nei piani dovrebbe essere un polo per futuri eventi. 60.000 biglietti “comprati” a priori dalla Pat per un totale di 3.225.000 euro. Una mostra su Vasco per un ammontare di 100.000 euro. 300.000 euro per ospitalità per tutto il carrozzone che lavora per il concerto. Una curiosa postilla appare ad un certo punto: “le Parti si obbligano a non rivelare il contenuto della Convenzione “. Questo non dovrebbe essere permesso, la trasparenza è importante. Ci sono altre voci di spese naturalmente, 26
sono visibili dopo veloce ricerca in internet. I soldi impiegati quindi sono la prima voce per chi storce il naso. Vero che il richiamo di gente sarebbe enorme, vero anche che il pubblico da concerto, non prenota due giorni prima alberghi e ristoranti, ma preferisce il “mordi e fuggi” che di solito non lascia tanti soldi sul territorio. Lavoro nell'ambito della musica, per cui ogni evento lo vedo come una bella opportunità. Sono però abituato
ad eventi organizzati da privati, società del settore, che lo fanno di mestiere. Organizzano un concerto, rischiano del proprio e se va bene, tutti contenti. La vera domanda che mi gira in testa è per quale motivo, la provincia autonoma di Trento, si sia lanciata in un rischio così importante. Siamo davvero sicuri che per il prossimo maggio la pandemia sarà un lontano ricordo? Siamo certi che saranno 120.000 le persone che compreranno il biglietto? Anzi no, 60.000 perché la metà è stata già prenotata dalla Pat. La priorità è proprio questa? Gli antichi romani su questo erano piuttosto avanti, “panem et circenses” è una frase che viene spesso usata per questo concerto. Sarebbe bellissimo se le risorse finanziarie del nostro territorio, fossero in grado di provvedere ai tanti problemi che sono sotto gli occhi di tutti, sanità, viabilità... e anche in grado di regalare, perché di questo si tratta, una serata così memorabile. Il fatto è che nessuno di noi decide. La firma è stata fatta, gli accordi presi e possiamo solo sperare che vada tutto per il meglio. Che il Covid sia un brutto
Musicalmente ricordo, che ci sia il tutto esaurito, che l'indotto porti sollievo a tutti gli esercizi, che l'impatto con migliaia di automobili non sia un trauma. Che non lascino un campo di battaglia nel post concerto. Che quella sera non piova. Tante le speranze. Avere grandi progetti, essere ottimisti fa sicuramente bene alle nostre anime provate da tante difficoltà. Però è anche vero che di solito noi trentini, facciamo passi che hanno la misura delle nostre gambe e questo pare essere un salto più che altro. Eppure non riesco ad essere totalmente contro questo evento. Penso alle maestranze che lavoreranno, non c'è solo il “cantante” che prende soldi. Ma tutta una filiera di persone che potranno finalmente tornare a fare il proprio mestiere. Una domanda però affiora sempre. Perché? Un consiglio provinciale che dovrebbe avere cura
di tutta un territorio, infonde una gran parte di danaro in un solo, seppur enorme, evento? Probabilmente non ho una grande visione, i miei limiti non mi permettono di capire il motivo di tutto questo spiegamento di forze e denaro. Non sono nemmeno quello che “occupatevi prima di...” anche se qualche problemino in giro lo abbiamo. L'unica è stare a vedere. Una curiosità, pare che si voglia intitolare una via o addirittura un monumento al signor Vasco Rossi di Zocca di Modena. Credo che appena saputo, si sia dato una grattata epocale. Di solito strade e statue si dedicano a coloro che sono “andati avanti”, non ai viventi.
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“Il nostro futuro prende quota:
la montagna per sfuggire al riscaldamento globale”
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iamo giunti alla coda di un’estate assediata dal mal tempo, in cui abbiamo vissuto i segni tangibili del cambiamento climatico, nodo urgente nelle agende politiche di ogni governo. Oggi quello che ci chiediamo con insistente preoccupazione è: “cosa possiamo fare, qui ed ora, non per contrastare, ma per rallentare il riscaldamento globale?” La risposta a tale quesito, non più differibile, è stata al centro dell’incontro con Luca Mercalli, Presidente della Società meteorologica italiana, tenutosi il 25 luglio a San Gregorio Nelle Alpi, organizzato dalla Consulta Giovani e dalla Proloco di San Gregorio Nelle Alpi. Mercalli ha presentato il suo ultimo libro “Salire in montagna: prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale”, diario che racconta la scelta
della montagna non solo come passione e come tema del suo lavoro, ma da tre anni come scelta di vita, di ciò che l’autore stessa chiama “migrazione verticale”. Di questo investimento nel futuro ambiente montano approfondiamo i “come” ed i “perché” con IL Prof. Luca Mercalli. L’INTERVISTA La parola chiave della sua esposizione è stata “ristrutturazione”: una ristrutturazione del nostro modo di vivere e del capitale immobiliare esistente. Un’operazione non priva di difficoltà: la matassa della burocrazia è senz’altro “un freno a mano” rispetto al motore del cambiamento. È uno dei problemi maggiori in Italia: introdurre la burocrazia significa far lievitare i costi, dilatare i tempi tanto da indurre qualcuno addirittura a rinunciare. Ristrutturare una casa o una vita richiede un grande impegno rispetto ai limiti delle nostre forze e delle potenzialità di una persona e di una famiglia. Quando si affronta la fase iniziale di vendita dell’immobile con la frammentazione fondiaria e i cavilli notarili si perde molto tempo e si devono affrontare delle spese inutili, ad esempio la tassa di registro sui terreni che viene applicata
per transazione e non su m2, senza differenziare in modo proporzionale all’estensione del terreno. Spesso non si considera neanche la differenza tra il valore di mercato ed il valore venale dell’immobile? Esatto, oppure non c’è neppure una correlazione con il valore del terreno: nel senso che è applicata tanto per un terreno a Milano che potrebbe valere migliaia di euro in termini di valore immobiliare, come per un pezzo di pietraia in montagna che anche se non vale nulla, può avere un valore altissimo sul piano della funzionalità, specie nelle piccole borgate, dove lo
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Uomo, ecologia e ambiente
spazio è preziosissimo dal punto di vista operativo. Un altro aspetto problematico è la normativa relativa alla progettazione della ristrutturazione delle case. Qui si entra nel gorgo delle normative regionali e nazionali, comprese quelle per i bonus energetici, che si cumulano e si contraddicono le une con le altre. Ci sono uffici tecnici in cui c’è una certa apertura e disponibilità, mentre ce ne sono altri che si proteggono a priori con sbarramenti ad ogni proposta. Ci vorrebbero maggiore elasticità e criteri generali che sono quelli del valore storico-locale, senza puntarsi su dettagli tecnicamente irrilevanti che possono bloccare un’intera attività. Un’applicazione dei vincoli urbanistici improntata alla ragionevolezza e alla flessibilità? Specialmente flessibilità, in particolare con riguardo alle case vecchie dove certe volte ci sono dei vincoli strutturali che possono veramente far cambiare il senso dei progetti e i costi. Mentre la casa nuova nasce dal nulla, perciò si può sempre cambiare sul progetto senza che succeda nulla, nella casa vecchia non è possibile farlo. Con riferimento ai criteri con i quali programmare questa migrazione 30
verticale, ha parlato dell’assenza di una legge sul divieto di consumo di suolo. È un problema nazionale che non riguarda solo la montagna ma prima di tutto la pianura, dove il suolo è stato consumato in maniera drammatica. La legge non c’è: è in discussione dal 2012 ma nessuno la vuole firmare. Eppure, il divieto di consumo di suolo sarebbe un principio di sostenibilità ambientale, economica e sociale? Assolutamente. La vulnerabilità del territorio aumenta e non sarà più possibile riparare dopo, perché è talmente estesa che avrebbe dei costi e dei limiti fisici insuperabili, sarebbe impensabile. L’unico modo è fermarsi oggi e risparmiare quel poco territorio che ancora non è stato compromesso. La tutela del paesaggio, dell’ambiente e dell’ecosistema sono costituzionalmente sancite, ma come tanti precetti costituzionali rimangono allo stato di potenza senza passare alla messa in atto. La Costituzione italiana non mette l’ambiente al primo posto e questo ha una sua ragione storica: è solo da poco tempo che si cerca di dare un valore costituzionale all’ambiente, in maniera trasversale, cioè attraverso la tutela della salute (art. 32) e
sul piano estetico mediante la tutela del paesaggio (art. 9). Tuttavia, mancano tutti i principi fondamentali dal punto di vista scientifico. Talvolta l’attenzione all’ambiente si riduce alla raccolta differenziata, piccoli gesti che sono importanti, però non viene percepito il concetto dell’ecologia, cosa molto più profonda, ramificata con tante materie che si intersecano. Tutto ciò è mancato, si comincia solo ora a parlarne. Siamo ancora in una logica per cui la tutela dell’ambiente e le libertà economiche sono due aspetti escludenti oppure possiamo dire di aver aperto effettivamente il capitolo della “green economy”? Purtroppo, siamo ancora in una situazione di forte conflitto. C’è un sentimento popolare che vede i temi ambientali come un ostacolo all’attività economica, senza rendersi conto che sono la base della qualità della vita. Poi c’è l’aspetto dello sfasamento temporale: quando facciamo una predazione delle risorse naturali spesso non vediamo immediatamente il danno, che diventerà più visibile in futuro. È anche vero però che spesso i segnali si manifestano nel breve termine. Pensiamo anche solo agli inquinamenti dei PFAS nel vicentino: l’acqua nella falda rimarrà inquinata in maniera persistente per secoli penalizzando le persone di quel territorio. Nel libro descrive la scelta dell’efficienza energetica come un investimento: per l’ambiente, per la qualità della vita e per la bolletta. Dunque, oltre ad essere una scelta eticamente imperativa rappresenta anche un’opzione economicamente persuasiva? Quando parliamo di efficienza
Uomo, ecologia e ambiente nell’uso delle risorse parliamo anche di minori spese per la fornitura dell’energia e delle materie prime. Se spreco poco e riesco ad utilizzare energia rinnovabile ne guadagna anche la mia bolletta, quindi c’è anche un ritorno economico, ma non in tutto. Nel senso che spesso la” green economy” la si fa solo dove conviene; invece, bisogna anche fare delle rinunce cioè bisogna anche “non fare” certe cose a priori, anche se avrebbero una certa convenienza economica. La definizione calzante di principio dello sviluppo sostenibile? La definizione canonica dello sviluppo sostenibile è fare in modo che non ci siano compromissioni della qualità della vita e dell’ambiente per le generazioni future. Nell’attuale sistema economico, fondato sulla crescita, non è possibile alcuno sviluppo sostenibile, perché è negato dal dogma della economia di mercato, cioè la crescita infinita in un pianeta finito. Non è possibile fondare il sistema su una crescita continua. Dovremmo essere consapevoli dei limiti: questa sarebbe la grande acquisizione che metterebbe a posto tutto. Al proposito si è affermato il concetto di “decrescita felice”. Se parliamo di “decrescita felice” dobbiamo distinguere… Un conto sono le leggi fisiche che sono inflessibili: non è possibile la crescita infinta in un pianeta finito. Poi ci sono le modalità antropologiche e politiche di declinare questo principio. La decrescita ha senso nei Paesi occidentali ricchi che sprecano molto, ma non nei Paesi poveri dove bisogna ancora crescere almeno al livello di potersi assicurare una vita dignitosa. La decrescita non è come un principio fisico che vale ovunque, perché ha già una sua connotazione locale e culturale, tipica più di una situazione dei Paesi occidentali, dove effettiva-
mente è necessaria. Io stesso ho fatto della decrescita a casa mia: prima usavo 1000 m3 di gas per scaldarmi adesso ne ho azzerato il consumo. Il cambiamento climatico sta avvenendo qui e adesso. Possiamo tornare ad un clima sano? Si possono solo limitare le conseguenze, perché è già diventato irreversibile nella sua forma attuale, che per fortuna è ancora ai suoi primi passi. Non possiamo più guarire: guarire è tardi ma possiamo limitare l’entità dei sintomi. Dalla Convenzione di Rio del ’92 l’impegno per la riduzione delle emissioni di CO2 è rimasto lettera morta. Perché non sono stati accolti i ricorrenti appelli della comunità scientifica? Per interessi economici, per incapacità di rendersi conto che i danni che facciamo sono irreversibili, si è cercato in tutti i modi di ignorare le misure che si dovevano prendere quando forse avrebbero avuto un effetto più efficace se le avessimo cominciate trent’anni fa. Tutti i provvedimenti di prevenzione richiedono qualche rinuncia iniziale, che non si è stati disposti a fare.
Scetticismo perché si pensava che fosse un problema lontano? Mancanza di coesione politica globale sul contrasto al cambiamento climatico? L’interesse di colossi dell’industria mondiale, che traggono beneficio da regolamentazioni ambientali permissive, ad alimentare la “macchina della negazione”? Tutti questi fattori hanno concorso alla realtà di emergenza climatica che viviamo oggi. Nel cambiamento climatico non c’è una responsabilità unica e totale: c’è la responsabilità sia di singoli individui sia della collettività. Quanto da ora in avanti potremo fare in termini di contenimento sarà fondamentale per ammortizzare gli effetti del cambiamento climatico. Economia circolare, riqualificazione energetica, ripensamento dello stile di vita delle persone saranno il “vocabolario” con cui dovremo scrivere il nostro domani. Un sentito ringraziamento al Professore Luca Mercalli per la gentile disponibilità e preziosa collaborazione.
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Il senso religioso di Franco Zadra
la SCINTILLA che mette in azione il MOTORE UMANO Nel percorso che abbiamo intrapreso con questa rubrìca stiamo ancora confrontandoci con gli aspetti primari di un approccio più “vero”, “umano”, e “ragionevole” al fatto religioso, facendoci condurre passo passo dal genio educativo di Luigi Giussani nel suo testo intitolato appunto “Il senso religioso”. Ci sappiamo dunque dotati dalla natura, come esseri umani, di uno “strumento” che ci rende capaci di rapportarci con la realtà tutta intera, una “scintilla” che «mette in azione il motore umano» che possiamo riconoscere come esigenza di felicità, di verità, di giustizia, di bellezza..., dalla quale dipende tutto ciò che diciamo o facciamo.
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i ha fatto pensare molto, proprio su questo punto, una lettera di un sedicente intellettuale parmense apparsa nei primi giorni del mese scorso sul quotidiano “Il foglio” che è possibile ritrovare in rete digitando nel motore di ricerca “Cristo sequestrato”. Un testo che mi ha fatto subito rabbrividire per la volgarità che esprime, al limite dell'insulto personale e nei confronti di una intera comunità ecclesiale, ma che possiamo utilizzare come esempio di scuola per verificare l'esattezza della logica aristotelica che Andronico di Rodi, seguace di Aristotele tra i Peripatetici, ci ha messo a disposizione nell'edizione delle sue sei opere di logica conosciuta come “Organon”. Una sola frase di quell'opera basta a definire l'autore della lettera al Foglio: «è da pazzi chiedersi le ragioni
di ciò che l'evidenza mostra come fatto!». Il nostro, “ragionando” su un fatto accadutogli in una chiesa della Valsugana nella quale era «corso dentro a pregare» - fate caso che non si tratta di un “nemico della fede”, anzi, si presenta come “cattolico fervente” -, trovandosi davanti alle limitazioni che la parrocchia aveva installato in ottemperanza alle direttive sanitarie anti-Covid, «corde con appesi segnali di divieto», le legge inorridito come «folle esempio di bondage ecclesiastico». “Bondage” è quella pratica sessuale consistente nel legare o immobilizzare il partner, consenziente, nei preliminari erotici o durante il rapporto; un termine che riferito a Nostro Signore suona come una bestemmia orripilante. E via di seguito a dire che i preti hanno perso la fede, i parrocchiani sono dei “cerberi”, e che è molto meglio per lui stare lontano dalle chiese. Vogliamo comunque provare a considerare come vero il punto di
vista di questo parmense, così come ha fatto “Il foglio” pubblicandone la lettera, ma che cosa fa, secondo me e Aristotele, della polemica del nostro, un ragionamento illogico? La questione è semplice ed evidente, anche se insidiosa e fatale, e un rischio reale al quale siamo tutti esposti. Incontrando un fatto è doveroso tenere conto di tutti gli elementi in gioco – e il nostro sembra fare finta di non sapere del Covid - altrimenti si cade inevitabilmente in un riduzionismo che ci fa sragionare, e alla lunga danneggia la nostra sanità mentale. Un riduzionismo che scegliamo spesso per paura, per autodifesa, ma che è peggiore della morte, perché ci aliena dal nostro essere umani. Una storia importante, per me, per fare più attenzione a questo rischio, è quella raccontata da Eric Emmanuel Schmitt nel suo romanzo “Oscar e la dama in rosa”, pubblicato da Rizzoli nelle edizioni Bur.
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Uomo, ambiente e società di Caterina Michieletto
Arte urbana Il colore è vita: la nostra meravigliosa Terra, con il suo eccezionale, ricco e multiforme patrimonio ambientale è un pullulare di vita ed una festa di colori. Da questa associazione colore-vita nascono quel curioso fascino per la tavolozza dei colori e quel magico gioco di sfumature che nell’infanzia sono una scoperta sensazionale. Come diceva Pablo Picasso: “Tutti i bambini sono degli artisti nati; il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi”. Da questo felice “matrimonio” tra i colori e la vita nasce l’arte, una tecnica che unisce abilità manuale e sensibilità spirituale per costruire o progettare qualcosa. Spesso il “bello dell’arte” coincide con il “bello della natura”: ci sono luoghi che già di natura sono forme d’arte si pensi a paesaggi incantevoli che diventano protagonisti di quadri, fotografie, cartoline etc., ma possono esistere dei luoghi innaturalmente incolori? È difficile pensarlo, perché anche in quelle zone sbiadite perché spogliate da catastrofi naturai o abusi dell’uomo, la natura, come osservava il poeta inglese “Gerard Manley Hopkins”, non è mai esausta e con il ritorno della vita riappaiono i colori. Arte e natura, bellezza dell’arte e bellezza nella natura, arte urbana e qualità dell’ambiente. L’arte urbana si propone di recuperare il nesso tra territorio e bellezza dove questo si è interrotto con un risvolto sociale educativo ed anche economico di non poco conto. L’intervista che segue racconta un’esperienza significativa di arte urbana, “Restera Art District”, inaugurata nel 2015 nella Restera del Sile, una passeggiata fluviale particolarmente suggestiva ulteriormente abbellita da questi contributi artistici. Intervista a Michele Zappia, Responsabile di “Restera Art District”. 34
La tua esperienza si è chiusa a cerchio: partito da Treviso, la tua formazione si è snodata tra l’Italia e l’estero e al termine di questo percorso il ritorno alle radici. Cosa ti ha spinto a tornare? Un’istintiva una voglia di seminare nel mio territorio quello che avevo raccolto dagli studi universitari di Economia e Antropologia, che mi avevano portato in Spagna e negli Stati Uniti. Si era concluso un ciclo di vita e volevo chiudere il cerchio così ho fatto ritorno nel 2009. Tutto è partito 2014 con l’Associazione culturale “La Pulperia”, il cui nome deriva da un programma radiofonico che facevo a Barcellona. Nel 2015 abbiamo organizzato la prima edizione del “Festival di Anthropica”, manifestazione con la quale, anno dopo anno, è stato realizzato “museo a cielo aperto” con murales affreschi e altre installazioni artistiche che costellano la Restera del Sile e rigenerano i resti dell’architettura industriale. Nel 2021 abbiamo battezzato questo distretto artistico che si snoda tra la Restera e la Silea “Restera Art District”. Parlando del nome, “Anthropica”, qual è la filosofia di fondo? “Anthropica” è esattamente questo: la messa al centro dell’essere umano. L’antropologia era una disciplina che tradizionalmente costruiva “ponti” tra le culture e l’antropologo era colui che andava nelle colonie con osservazione partecipante si calava nella in quella realtà sociale, culturale ed economica, per documentare l’esperienza nel “taccuino”. Nel 2017 l’edizione di “Anthropica” si era intitolata “l’arte sono le relazioni sociali” in un duplice senso: le relazioni sociali sono il bene maggiore che abbiamo perciò da curare come fosse un’opera d’arte preziosa; il valore dell’arte deriva dal contesto in cui è inserita l’opera e
dalle relazioni sociali che la costellano. Non è solo l’opera in sé stessa. Se ci pensiamo ogni cosa non ha valore in sé, ma acquisisce significato nel contesto, dalle relazioni che si tessono attorno. Mettere l’accento sulle relazioni sociali, il che non vuol dire che tutto è arte... Altrimenti, passa il messaggio che per essere un’artista sia sufficiente un po' di creatività, un po' di esuberanza e di manualità; non è così, ci vuole preparazione, sacrificio e ore di lavoro. L’importante è saper contestualizzare. L’arte urbana non è soltanto un mezzo espressivo, è un “collante sociale” ed anche uno strumento di rigenerazione e sviluppo urbanistico. “Città più belle persone più felici” è il “testamento spirituale” che vorreste lasciare a chi conosce questa parte di Treviso. Questa forma d’arte è un importante strumento di espressione perché con relativamente pochi mezzi è possibile avere un forte, reale e concreto impatto, che va oltre il piano estetico ed artistico, si interviene sul tessuto sociale. Per noi fondamentale è incentivare, coltivare e perpetuare il dialogo tra arte e società. L’arte è spesso, per certi aspetti giustamente, per altri limitatamente, racchiusa in contesti specifici e determinati come può essere un museo, una chiesa, questo ha dei vantaggi, ma anche degli svan-
Uomo, ambiente e società taggi. Noi vogliamo portare l’arte nella quotidianità delle persone, nei luoghi che attraversano di giorno. L’arte urbana contemporanea ha soprattutto come significato quello di creare ponti tra le persone, creare luoghi vivibili e umani. Abbiamo riscontrato con mano quello che prima di Anthropica era un convincimento teorico: facendo un intervento artistico in un luogo cambia il significato del luogo e si crea più socialità attorno ad esso, diventa un punto di riferimento: una piazza dove ci sono i classici gradoni grigi, non più frequentata (una volta erano gremite di persone di tutti le generazioni, ora pressoché deserte) se si decorano diventano “volani” per la socializzazione. Abbellisci la città e abbellisci la vita di chi vive la città. La bellezza aiuta a vivere meglio: se siamo circondati da luoghi anonimi e grigi, non troviamo spazio per coltivare noi stessi e noi stessi in relazione ad altri. Il degrado chiama degrado, la bellezza chiama bellezza. La pigrizia e l’inerzia portano al decadimento. Se si riesce ad innescare un meccanismo virtuoso di più cura, più bellezza, più socialità ci guadagniamo tutti. Com’è stato il dialogo con gli enti pubblici? Il progetto ha incontrato resistenze oppure è partito con una “calda accoglienza”?
Difficoltà ce ne sono tante e sono sempre molto maggiori di quelle che si immagini. Se agli esordi di “Anthropica” avessi immaginato tutte le difficoltà che avrei dovuto affrontare non avrei fatto nulla, come in tutte le cose della vita. Treviso per molto tempo è stata una città fredda, per certi versi spenta, che si è rianimata negli ultimi dieci anni: noi siamo nati, come altre associazioni culturali, in quel contesto. La città ha conosciuto un vero e proprio “piccolo Rinascimento”. Il problema maggiore? Nessuno ti limita appositamente, però l’indifferenza è pesante, bisogna ricavare gli spazi, dialogare con tutte le parti, poi c’è una marea di burocrazia. Abbiamo ricevuto qualche aiuto, ma più che altro è necessario contare su sé stessi. L’arte urbana sta dando alla città, può attrarre turisti ed essere un motore di crescita artistica culturale, sociale ed urbanistica, che però le pubbliche amministrazioni a tutti i livelli non colgono. Paradossalmente, il fatto che in Italia ci sia così tanta cultura ereditata dai secoli passati da un lato ci favorisce perché fa crescere in un ambiente stimolante, dall’altro lato si dà per scontata, perciò non si avverte il grande valore di investire in arte e cultura. L’arte è lavoro e senza investimenti non c’è lavoro, non c’è qualità del prodotto finale. Investimenti pubblici, coinvolgimento di tutte le figure istituzionali e professionali e partecipazione della collettività per uno sviluppo globale ed integrato della città. L’idea è che il futuro del tuo quartiere e della tua città dipende anche da te: a tal fine deve sussistere coesione sociale e senso di appartenenza della comunità al territo-
rio, diversamente nessuno avrà a cuore la qualità e la preservazione degli spazi pubblici. Quindi, la cittadinanza attiva deve incontrare le istituzioni che a loro volta dovrebbero investire di più: sarebbe un piccolo passo che poi avrebbe un effetto dirompente a catena. Concludiamo con uno sguardo all’orizzonte: quale meta vuole raggiungere “Anthropica” e quali aspettative coltiva per un domani? Il sogno sarebbe portare l’arte urbana lungo questa passeggiata fino alla Laguna di Venezia. La possibilità di realizzare materialmente queste aspettative dipende molto da quella collaborazione istituzioni da un lato e tra istituzioni e comunità dall’altro. ognuno con le sue responsabilità e a ciascuno offre opportunità. Se si imbocca questa strada allora si può creare veramente tanto. Grazie infinte a Michele Zappia per la sua gentile disponibilità e per aver condiviso con noi i frutti del suo progetto, nel desiderio di “seminare” e far germogliare questa iniziativa ricca di potenzialità anche in altri luoghi. Un sentito ringraziamento a tutto il gruppo di “Anthropica” per il loro costante impegno in questa attività artistica, una preziosa risorsa per la costruzione di legami sociali e un valido strumento per la rigenerazione urbana attraverso l’arte urbana.
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Società oggi di Patrizia Rapposelli
FESTE PRIVATE E COVID
Il popolo della notte non si ferma
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on serve andare indietro di due secoli, ma “solo” di uno. Torniamo al tempo del proibizionismo negli Stati Uniti. Per un decennio circa fu vigente il divieto costituzionale sulla produzione, importazione, trasporto e vendita di bevande alcoliche. Effetto collaterale: il fiorire del contrabbando, raduni allegri e rumorosi nelle case private per bere alcolici. Analogia non perfettamente calzante, ma funzionale a sufficienza per descrivere quello che sta accadendo. È il tempo delle feste private. Lo scenario è andato via – via a prefigurarsi tale
per tutto l’anno, la gente e soprattutto i giovani infischiandosi di regole e limiti, orpelli fastidiosi, si è organizzata
privatamente. Ad oggi le feste private sono un fenomeno sottaciuto in forte aumento tra i
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Società oggi giovani. Discoteche e luoghi della notte, chiusi sulla carta, diventano motivo di divertimento alternativo e pretesto per portare lo svago in casa. In giro per l’Italia scoppia la moda dei festini nelle abitazioni, sui terrazzi, nei giardini, nei luoghi isolati della montagna. Queste iniziative costituiscono elementi di forte rischio rispetto all’emergenza sanitaria in atto; infatti, divertimento e responsabilità non sono concetti che spesso coincidono. Le feste diventano potenzialmente esplosive per la proliferazione di contagi. In questi lunghi mesi l’autorità diventata autoritaria ha lambito i limiti costituzionali e al contempo ha smarrito la necessaria autorevolezza. Da qui, un concitato imperio a cui non fa seguito il celere ubbidire. Le regole e i limiti, a volte discordanti e confusi, fanno scomparire l’autorevolezza necessaria a contenere un’emergenza sanitaria. Quanti vaccinati ci sono nelle
molte feste organizzate privatamente? Tra i giovani il numero di immunizzati è aumentato significativamente; una parte spinta da una consapevole responsabilità e una fetta dalla paura di limitata libertà personale. Non basta. Da dopo Ferragosto la campagna vaccinale ha accelerato con le aperture per la fascia 12-18 anni senza prenotazione. La platea della fascia 12-19 è stata quasi completamente vaccinata, con una doppia dose, ma con qualche differenza tra i territori. Sta di fatto che la categoria prioritaria, in questo momento, è quella dei ragazzi. Da una parte in previsione dell’apertura delle scuole, dall’altra per paura dei cluster di contagiati emersi da alcuni party decerebrati. Vaccino non vuol dire divertimento senza freni, ma questo concetto da molti non è stato compreso. Giovani, giovanissimi. In tanti non hanno neppure 20 anni e di notte
bivaccano, bevono e si divertono in modo sconsiderato nelle nottate estive; pazienza se le discoteche sono chiuse. Nulla di nuovo. Il popolo della notte non si arrende, anzi rilancia ed esagera creando un vero e proprio fenomeno, quello delle feste private senza ritegno. Educare alla responsabilità. Continuiamo a parlare di coscienziosità, ma senza fornire strumenti per maturarla, i primi a trasgredire sono gli adulti. La festa clandestina, organizzata in modo pericoloso a livello sanitario, è solo uno dei tanti aspetti dell’intera pandemia, che sta mettendo in risalto una vecchia generazione che ha difficoltà nel trasmettere giudizio e sensatezza alle nuove generazioni. Un vulnus che riguarda l’intera comunità educante. Festa privata un fenomeno in forte aumento e un rischio per l’autunno. La pandemia non è finita.
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I signori del vento di Franco Zadra
I SIGNORI del VENTO
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e siete di quelli fermamente convinti che “tenere i piedi per terra” sia la condizione ovvia e più sicura per attraversare i nostri giorni ricchi di vita e di emozioni, allora non iniziate a leggere questo articolo, ma soprattutto tenetevi lontani dalla bella pubblicazione del libro di Maurizio Bottegal, nato a Zurigo nel 1962, “Signori del vento, la (mia) storia del parapendio fra aneddoti e curiosità”, pub-
blicato da Dbs-Smaa di Seren del Grappa (BL), agosto 2021. Potreste, infatti, vedervi d'un tratto espropriati delle vostre certezze e desiderosi di conoscere quel mondo al quale sentite già di voler appartenere, con tutta la vostra anima. Volare! Un desiderio scritto nel Dna del genere umano, da Icaro in poi, ma che forse, proprio per la fine fatta da quel primo mitico aeronauta, avvicinatosi troppo al sole che sciolse la cera che teneva incollate le penne d'uccello alla struttura alare autocostruita, facendolo precipitare rovinosamente al suolo, fa desistere la maggiorparte di noi dal solo pensarci. Ma l'attuale paracadute da lancio è più vicino alle “ali d'aquila” di biblica memoria, da sempre
sinonimo di sicurezza e di forza, un'ala direzionabile per decollare dai pendii montani, con ormai una efficienza aerodinamica che consente, con quasi la stessa facilità di andare in bicicletta, dei veri e propri voli sfruttando le correnti d'aria calda, le termiche, per poter guadagnare quota e surfare
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I signori del vento attraverso l'aria. C'è, a dimostrarlo ogni giorno, un popolo di gente felice che realizza il sogno di volare con gli strumenti e le conoscenze che il progresso tecnologico mette oggi a disposizione. Per noi terrestri che ancora non abbiamo spiccato il primo volo, una “congrega di pazzi”! Più di 100 piloti iscritti che si ritrovano al Para & Delta Club Feltre, costituitosi nel 1990 dall'unione dei primi deltaplanisti con i pionieri de l'allora nuova disciplina volante, il parapendio, che ogni giorno praticano quello «sport da pensionati», come lo ha definito Maurizio Bottegal per distinguerlo e distanziarlo dagli altri sport “estremi” legati all'aria. Un popolo che si riconosce nei
cameo raccolti nel libro di Bottegal che passo passo descrivono l'itinerario, meglio sarebbe dire il piano di volo, formativo di un pilota di parapendio attraverso 20 di loro che con le loro testimonianze, gli aneddoti e le avventure, rendono il volume “Signori del vento” un'opera del tutto unica e molto più ricca e significativa del consueto manuale di tecnica e pratica del volo libero. L'entusiasmo e il coinvolgimento emotivo cresce mano a mano che si sfogliano le oltre 250 pagine che raccontano di sensazioni forse prima neppure immaginate, conoscenze e capacità del tutto praticabili, padronanza della vela, ma soprattutto di sé e di quell'elemento invisibile che 40
cominciamo a riconoscere non più soltanto come ciò che ci mantiene in vita attraverso il respiro e con i piedi per terra, ma che anche ci può sostenere in volo e che possiamo imparare a “plasmare”, come dice bene Dante Porta nella prefazione al libro, per dirigerci dove vogliamo, come “Signori del vento”. Signori, quindi, e non “super eroi”, con un punto di vista “superiore”, “dall'alto” e che certo rende più consapevoli e anche felici del territorio che abitano, ma che umilmente sanno conservare in un confronto rispettoso con le correnti ascensionali e le bizze del Meteo, nella pazienza di dover sempre imparare, padroneggiare la tecnologia e i materiali della vela per arrivare a «mantenere il timone dritto nella direzione delle emozioni». Una disciplina giovanissima quella del parapendio, se si pensa che i primi Mondiali furono disputati a Kossen in Austria nel luglio del 1989, patrocinati dalla Federazione Aeronautica Internazionale, con 120 piloti provenienti da tutto il mondo. La Nazionale italiana, capitanata da Massimo
Angius, era composta per metà da feltrini, Maurizio Bottegal, che avrà 13 presenze in Nazionale fino al 2009, Carlo Dalla Rosa, Silvio Bertoni, e Vinicio Rossi. Vi era poi Sebastiano Zagonel, del Primiero, i gardenesi Philippe e Tadeus Moroder, e Luigi Felicetti della Val di Fassa. Da allora, il Para & Delta Club Feltre, ha visto susseguirsi diverse generazioni di piloti che con impegno e passione, passando dal famosissimo Trofeo Guarnieri, alle gare di coppa del mondo, sono giunti a organizzare nel 2017 i Campionati Mondiali di parapendio, con direttore di gara proprio Maurizio Bottegal, ricevendo nel 2018 il riconoscimento più alto della Federazione Aeronautica Internazionale, la medaglia d'oro per il grande contributo al successo e lo sviluppo dell'aeronautica. Ma c'è molto di più, fin dal 1992 è istituita la scuola di Volo Libero Monte Avena che con i suoi quasi trent'anni di esperienza è ormai un punto di riferimento per
I signori del vento tutti coloro che desiderano avvicinarsi al più puro degli sport dell'aria e, grazie a questa, quasi un migliaio di piloti hanno spiccato il primo volo negli splendidi cieli feltrini. Non basterà leggere un articolo per decidere di iscriversi a un corso teorico-pratico-motivazionale dedicato al “volare meglio”, ma il libro di Bottegal è intrigante e riempie di gratitudine per questo sport capace di attrezzarti del coraggio di volare.
Il parapendio è il più semplice e leggero mezzo di volo libero esistente, in continua evoluzione, sia nei materiali utilizzati che nelle tecniche di costruzione, ideato nel 1985 da Laurent de Kalbermatten che lo rese più efficiente, più facile da gonfiare, e dalle maggiori prestazioni dei paracadute di allora. È composto da una vela alla quale è sospesa la selletta del pilota, dove anche è normalmente integrato un paracadute d'emergenza, tramite un sistema di fasci funicolari. Dotato di freni aerodinamici e un acceleratore (o speed) in grado di variare l'angolo di attacco, e una pedalina (speed bar) agendo sulla quale si può variare l'incidenza dell'ala per una migliore performance di velocità o efficienza di volo, anche in base alle condizioni aerologiche.
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Conosciamo le associazioni di casa nostra di Nicola Maccagnan
Ados sezione di Feltre,
da vent’anni al fianco delle donne operate al seno. C’è una malattia che, come altre e forse e più di altre, richiede un percorso lungo e paziente, molta forza di volontà e una rete di aiuto che riguarda non soltanto le cure ospedaliere e mediche, ma anche un percorso di sostegno personale e psicologico. Stiamo parlando del tumore al seno, un’esperienza che tocca da vicino la vita di un numero molto alto di donne, in Italia e anche nel nostro territorio. Tra le più importanti associazioni attive in questo campo, tanto prezioso quanto delicato, vi è l’Ados Italia, Associazione Donne Operate al Seno, formalmente costituita nella propria sezione di Feltre dal 2001. A guidarla è, dal 2008, Prisca Perenzin, un passato con incarichi di responsabilità in ambito infermieristico all’ospedale “Santa Maria e Prato, e oggi anima con molte altre collaboratrici del sodalizio feltrino.
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residente, qual è la situazione dei tumori al seno nel nostro territorio e a livello nazionale? Le donne operate al seno sono, nel solo bacino feltrino, in media un centinaio all’anno, con un trend di incidenza sulla popolazione del tutto simile a quello rilevato a livello nazionale. Il dato che più preoccupa è però quello legato al progressivo abbassamento delle fasce d’età colpite da questa patologia; negli ultimi anni assistiamo a un numero sempre maggiore di casi anche tra le donne al di sotto dei 50 anni. Ci parli un po’ della vostra associazione? Attualmente l’associazione vede coinvolte una ventina di volontarie. La maggior parte di loro sono impegnate nell’attività di massaggio per il linfodrenaggio (di cui parleremo dopo); a loro si aggiungono due volontarie che seguono invece le signore operate in un percorso individuale di accompagnamento, sostegno e consulenza. Quali sono le attività che vi ca-
ratterizzano maggiormente? Cerchiamo di essere attive in tutti gli ambiti che possono essere utili alle donne per capire, prevenire e superare l’esperienza complicata del tumore al seno, non certo sostituendoci al servizio medico e ospedaliero, ma affiancandolo soprattutto nel lungo periodo post-operatorio. L’attività si compone principalmente due servizi: i massaggi alle donne operate per prevenire l’edema linfatico e ridurre gli effetti dell’intervento e poi, come detto,
quella di accompagnamento, sostegno e consulenza in tutti gli ambiti che riguardano la “nuova” vita delle signore operate, compresi aspetti molto pratici come le problematiche legate alle protesi, al reperimento delle parrucche, all’acquisto di materiali idonei e all’individuazione di comportamenti corretti. Una curiosità: è un’associazione totalmente al femminile o c’è anche qualche uomo che si è fatto avanti per darvi una mano? Sporadicamente abbiamo avuto 43
Conosciamo le associazioni di casa nostra
anche degli uomini tra i nostri volontari, sebbene la maggior parte sia naturalmente costituita da donne. C’è però un altro aspetto da sottolineare: il tumore alla mammella interessa, sia pure in percentuale ridotta, anche gli uomini e in passato abbiamo assistito anche delle persone operate di sesso maschile. Di che cosa ha maggiormente bisogno una donna operata al seno? Non c’è dubbio, di parlare e di essere ascoltata. Non sempre le signore operate al seno trovano in famiglia un ambiente ideale, e talvolta nemmeno adeguato, in cui potersi confrontare e trovare il sostegno necessario. Ricordo che quando l’accesso alla sede-ambulatorio della nostra associazione
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era libero (ora a causa dell’emergenza Covid avviene solo su appuntamento) le signore si presentavano anche con largo anticipo sull’orario di apertura per poter parlare e confrontarsi liberamente, prima tra di loro e poi con noi. Come ha influito l’emergenza sanitaria legata la Covid-19 sulla cura delle donne
nosocomio feltrino. Da questo punto di vista non abbiamo assistito a nessuna particolare battuta d’arresto; lo stesso si può dire per gli interventi chirurgici che, essendo di natura oncologica, sono sempre stati garantiti. A proposito di prevenzione, possiamo ricordare anche da queste pagine qualche utile consiglio? Come Ados ci adoperiamo da tempo, anche con l’ausilio di slides e filmati, nel promuovere la cultura della prevenzione, che parte sempre dall’autopalpazione del seno; e poi un corretto stile di vita, dieta adeguata, attività fisica, una giusta
con tumore al seno e sullo screening di prevenzione? Per fortuna (o meglio preparazione) il territorio dell’ex ULSS di Feltre è sempre stato ai vertici nelle classifiche dello screening per il tumore al seno, con percentuali ampiamente al di sopra dell’80%, così come il servizio di senologia del “S. Maria del Prato” ha sempre rappresentato un fiore all’occhiello del
quantità di sonno. Poi c’è lo screening, gratuito nella regione del Veneto per le donne comprese nella fascia d’età fra i 50 e i 74 anni. Se però vi è familiarità per questa tipologia di tumore o in caso si manifesti un campanello d’allarme l’invito è sempre di rivolgersi tempestivamente al proprio medico o alla struttura sanitaria. C’è ancora qualche tabù da sfatare riguardo a questa patologia? C’è ancora chi parla mal volentieri della malattia e chi fa addirittura
Conosciamo le associazioni di casa nostra fatica a raccontare il proprio vissuto. In media una donna su dieci si sottrae anche al primo approccio, manifestando una sorta di rifiuto. E poi, sembra quasi paradossale, le difficoltà maggiori le riscontriamo a volte con le ragazze e le donne più giovani, che pure dovrebbero essere più informate e “libere” e invece dimostrano spesso una ritrosia ingiustificata, ad esempio, alla pratica dell’autopalpazione. Nascondere la testa sotto…l’ascella può essere in questi casi molto rischioso. Quali sono i vostri programmi di medio e lungo termine? Proseguire nella nostra vita associativa, che è sempre stata caratterizzata (a parte naturalmente l’ultimo periodo) da grande vivacità. Organizziamo incontri e conferenze, ma anche momenti ludici come cene
Il 18 settembre saremo in prima linea, tra l’altro, a Prà del Moro con l’edizione 2021 della “Corsa sotto la luna”, promossa dall’associazione “Donne come noi”. Ecco un altro nostro tratto distintivo: collaboriamo volentieri con tutti gli enti e le associazioni che condividono l’impegno per la salute e il bene dei nostri concittadini sul territorio.
e gite, proprio per dare alle nostre signore un’occasione di socialità e di spensieratezza.
Per chi volesse entrare in contato con la sezione di Feltre dell’Ados questi sono i riferimenti: tel 0439 883277, mail: ados.feltre@ gmail.com. La sede-ambulatorio è aperta presso l’ospedale “S. Maria del Prato”, su appuntamento, il lunedì e il giovedì dalle 15.00 alle 17.00.
La natura è vita... noi ti aiutiamo con lei!
Siamo aperti al pubblico dal lunedì al venerdì, dalle 08.30 alle 18.30
Faustino Bessegato - Responsabile filiale Cell. +39 335 6154612 - +39 393 9649412 Phytoitalia Nord-est srl Via Col D'Artent, 16 Lentiai - 32026 Borgo Valbelluna (BL) Tel. 0437 552428 - Fax 0437 551097 45
In ricordo di una grande attrice di Katia Cont
Piera degli Esposti La scorsi in camerino, la porta non era totalmente chiusa e la vidi mentre di fronte allo specchio illuminato da una serie di lampadine, con i polpastrelli cercava di ravvivare la sua chioma bionda. Mi fece sorridere, perché pensai a tutte le attrici che prima di andare in scena si fanno sedute di trucco e parrucco anche
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quando il personaggio non lo richiede. Era li per una conferenza, per parlare dell’arte del teatro, del cinema. Notai gli occhi truccati con una matita nera un po’ sbavata ma che nonostante fosse imperfetta le donava tantissimo. Mi colpì il foulard scuro, che lei teneva sempre con una mano come a non farlo mai andare via, scuro come quella matita che le segnava lo sguardo, penetrante che raccontava tanto di lei. Un rossetto vivace le sottolineava il viso accompagnato da un sorriso contagioso. I suoi tratti distintivi. Non la conoscevo artisticamente fino a quel primo appuntamento
In ricordo di una grande attrice al quale andai per pura coincidenza. Mi trovai seduta in un piccolo teatro studio alle porte di Udine, e lei si presentò sul palco e pretese di parlare senza microfono. “Siamo tutti vicini, ci sentiamo benissimo anche senza microfono”. Poi aggiunse rivolgendosi alla direttrice del teatro :”e poi loro (indicando noi tra il pubblico) loro non lo hanno, e loro sono qui per parlare con me.” Ruppe subito il ghiaccio e ci sentimmo tra amici. Iniziò una lunga serata di confronto tra persone che parlavano la “stessa lingua” e che sognavano le stesse cose. Non so ancora se fu quell’occasionale incontro che la rese ai miei occhi una delle attrici più affascinanti del panorama culturale Italiano. Ho sempre associato a lei il connubio perfetto tra bellez-
za interiore e bellezza esteriore, tra forza e fragilità, la scoprii una donna movimentata, estremamente colta e spesso controcorrente e sfrontata. Fu raccontata in molte occasioni, come nel libro della sua grande amica Dacia Maraini “Storie di Piera” dal quale emerse il particolarissimo ritratto della madre di Piera, e il loro rapporto tormentato e doloroso. Da quegli scritti, Marco Ferrari fece un film “Tutte le storie di Piera “ che si distacca dalla sola biografia privata per riattraversarla seguendo le tappe della vita artistica, nel teatro, innanzitutto, e nel cinema, nel rapporto di stima con i registi, a cominciare da Ferreri con cui, si rivela nel film con pudore, l'attrice ebbe una storia d'amore. E’ stata una grandissima attrice. Lei non interpretava dei personaggi,
ma prendeva se stessa e si trasformava nel personaggio, trasmetteva, comunicava al pubblico senza il filtro della sceneggiatura. Per Piera degli Esposti, recitare era terapeutico, la aiutava ad esprimere le emozioni e a non reprimerle, era interprete drammatica e comica, incarnava ogni personaggio senza ereditarne le caratteristiche. Pensava che recitare la rendesse immortale e sperava di essere la prescelta per non morire mai. Credeva che la vita fosse come il teatro e che si potesse “immobilizzare” e lei che si considerava con il temperamento di Antigone con un forte legame con il padre e la madre, ha scelto di non sposarsi e di non avere figli per poi accorgersi che la vita procedeva e lentamente iniziava a portarsi via i suoi affetti e alla fine anche lei.
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Il personaggio di Alessandro Caldera
Lauda, il pilota che vide l’inferno prima di vincere ancora
“
Tutti quelli che hanno corso in macchina hanno questa consapevolezza: quando si vince, il 30 per cento di merito va alla macchina, il 40 per cento al pilota, il restante 30 per cento alla fortuna”. Già, la fortuna, la dea bendata della mitologia classica, che non ha voltato le spalle al protagonista del racconto di oggi ma che anzi, per rimanere in tema epico, ha mandato un eroe a salvargli la vita, in un domenica tedesca del 1976. La storia, e che storia, è quella di Niki Lauda e di un uomo al
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quale il pilota austriaco deve letteralmente la vita: Arturo Merzario. Di famiglia benestante, il pilota austriaco abbandonò gli studi universitari in favore dell’automobilismo; svolse tutta la trafila, prima approdò in Formula 3 e poi scommettè tutto sulla Formula 2, alla quale arrivò grazie ad un prestito bancario con conseguente polizza sulla vita. La scuderia che se ne assicurò le prestazioni fu, nel ’71, la March con la quale debuttò al trofeo in memoria di Jim Clark, lo “scozzese volante”, perito tre anni prima in un incidente sulla
pista di Hockenheim. A quella manifestazione la figura di Niki fu però oscurata da un certo Ronnie Peterson, al quale la sorte riserverà, qualche anno dopo, una fine prematura e infame occorsa durante il Gp di Monza del ’78. Tornando però al debutto in F2, è bene citare le parole del direttore tecnico Herd in merito a quel giorno nel quale lo stesso Lauda pensò di essere stato annichilito dal più accreditato collega svedese: “Niki fece 1'14"0 mentre Ronnie 1'14"3. In quel momento capii che Niki doveva
Il personaggio
avere qualcosa di speciale”. Le doti in effetti erano strabilianti, al contrario della vettura che guidò nel Gp d’esordio, che lo appiedò dopo appena venti passaggi. Le due stagioni successive furono interlocutorie, mentre il ’74 rappresentò il momento della svolta, suggellato dalla chiamata, su consiglio di Clay Regazzoni, di Enzo Ferrari per sostituire, ironia della sorte, Arturio Merzario. La prima parte di stagione con la scuderia di Maranello fu al di sotto delle aspettative al punto che, dice la leggenda, Lauda stesso si rivolse al “Drake” con toni non proprio pacatissimi, sottolineando la mancanza di competitività della macchina. Il miracolo sportivo lo realizzò allora l’ingegner Mauro Forghieri, un’ istituzione per il “Cavallino”, capace di recuperare più di 5 decimi con le migliorie apportate alla vettura. Il mondiale non si concluse con il trionfo iridato, che andò a Fittipaldi su Mclaren, ma pose le basi per la sfavillante annata 1975 nella quale Lauda si laureò per la prima volta campione, alla guida della meravigliosa e vincente 312 T. Arriviamo però al
1976, stagione nella quale si videro contrapposte la morigeratezza di Lauda, soprannominato per l’appunto “il computer”, e la gaiezza di James Hunt, pilota Mclaren, una sorta di trasposizione automobilistica di George Best. Il duello tra i due non poté che essere segnato dal drammatico incidente del pilota austriaco, avvenuto il 1 agosto 1976 sulla storica pista del Nürburgring. Lo schianto di Niki, alla curva Bergwerk, fu causato dall’utilizzo di gomme morbide, ancora fredde, su un tracciato parzialmente bagnato; l’impatto contro le protezioni fu molto pesante, al punto che la macchina tornò in piena traiettoria, venendo poi in breve tempo avvolta dalle fiamme a causa della fuoriuscita di benzina. Fu in quel momento che la figura di Merzario si rivelò cruciale: il pilota italiano riuscì infatti ad estrarre il ferrarista dall’abitacolo prima che la situazione si rivelasse irreversibile. Le condizioni sembrarono disperate al punto che Enzo Ferrari ingaggiò Carlos Reutmann, scomparso proprio in queste settimane, perché non credeva nel recupero
dell’austriaco. A 42 giorni esatti dal weekend tedesco, Lauda tornò incredibilmente al volante, il corpo martoriato presentava ancora le ferite del tremendo incidente, il volto palesava ancora vistose scottature, causanti la fuoriuscita di sangue nel contatto con il casco. All’ultima gara, Fuji, valida ancora per il campionato, Niki diede prova della propria personalità: la pioggia torrenziale fece pensare più volte al rinvio dell’evento, cosa che però non avvenne. L’austriaco però viste le condizioni meteo, decise di ritirarsi dopo due giri, lasciando così via libera per il mondiale ad Hunt che vinse con un solo punto di margine. L’atteggiamento e la decisione del pilota divisero la critica ferrarista e forse, proprio in quel momento, il matrimonio tra Lauda e la casa di Maranello finì, nonostante il titolo del ’77. Niki, oggi non c’è più, ci ha lasciato nel 2019, guarda caso a 42 anni di distanza dal suo ultimo capolavoro con la “Rossa”. Quel numero, ambivalente, ci ha raccontato prima una incredibile rinascita e poi, in modo doloroso, ha posto la parola fine alla vita di un vero uomo e combattente che riposa oggi a Vienna, con la tuta Ferrari addosso.
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Tra presente e passato di Alvise Tommaseo
A CACCIA CON I RAPACI come rivive un'arte antica Un urlo breve e secco si alza dalla vallata ed il bellissimo rapace, che vola alto sul bosco, cambia repentinamente direzione e si dirige in picchiata verso il prato che circonda un’elegante abitazione immersa nel verde. Il falco, un incrocio tra la specie Pellegrino e Sacro, ha sentito nitidamente il richiamo di Matteo ed ha capito che è arrivata l’ora del pranzo, naturalmente a base di carne cruda che, lanciata in aria dal suo padrone, viene intercettata dal rapace ad una decina di metri di altezza. Una scena magnifica che si ripete spessissimo, nella vallata feltrina, soprattutto in questa stagione fino ad inverno inoltrato.
G
razie ad Alvaro ed a Matteo Bassani, padre e figlio rispettivamente di 72 e 39 anni, da sempre residenti nella bella località di Seren Del Grappa, l’antica arte della falconeria continua a vivere, con i suoi
riti e le sue millenarie tradizioni, anche nella provincia di Belluno. La loro passione risale ad una ventina di anni fa, all’inizio del nuovo millennio, quando decisero di partecipare ad un corso di falconeria organizzato a Bassano del Grappa. “Fin da ragazzino – racconta Alvaro Bassani, imprenditore oggi in pensione – rimanevo affascinato dal volo dei falchi e delle poiane che numerosi solcavano la nostra vallata. Il loro volteggiare, veramente maestoso, mi continua ad incuriosire ed a incantare.” A parere di Matteo, insegnante di informatica, il fenomeno più interessante è quello dell’ascesa dei rapaci, senza battito d’ali, a seguito delle correnti di aria calda, fino ad altezze incredibili che arrivano a sfiorare i duemila
metri. “Si tratta della stessa tecnica – spiega il giovane falconiere – adottata dagli alianti e dai parapendii. Grazie al calore del sole, il terreno si scalda facendo in modo che si formi una sorta di bolla d’aria tiepida che, essendo meno densa è più leggera di quella che la circonda, si stacca dal suolo per dirigersi verso l’alto. I rapaci si accorgono di questo fenomeno naturale ed entrano nelle correnti ascensionali. Così, senza battere le ali e con il minimo sforzo, si alzano nel cielo, volteggiando lentamente da veri
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Tra presente e passato
dominatori degli spazi aerei.” Quale è la tecnica che contraddistingue l’arte venatoria della caccia con i rapaci? “La falconeria – ribatte Matteo – è la perfetta simbiosi tra l’uomo e l’uccello e si distingue, in modo netto, in due branche: la caccia con gli uccelli di alto volo e quella con i rapaci a volo basso. Al primo gruppo appartiene sicuramente il falco pellegrino. Gli esemplari appartenenti a questa specie, una volta liberati, si posizionano a circa duecento metri di altezza. A quel punto il cacciatore può fare partire dal suolo, o dallo specchio d’acqua, il selvatico, solitamente una pernice, una quaglia, un fagiano o un’anatra. Il rapace appena si accorge della potenziale preda si getta in pic-
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chiata nel tentativo di catturarla. Diversa è la strategia dei rapaci a basso volo, tra i quali primeggia l’astore. In questo caso si concretizza una caccia ad inseguimento diretto: il falconiere si muove tra la campagna o la boscaglia, tenendo posato sul polso il rapace, che lancerà in volo solo quando la preda scovata abbandona il nascondiglio per darsi alla fuga.” A questo proposito Alvaro, forte della sua esperienza e saggezza, precisa “che il bello della caccia è la sua imprevedibilità; tante volte la preda si rivela più furba dei falchi, i cui attacchi spesso non vanno a buon fine. Ma questo succede anche in natura e, quindi, va benissimo anche così: il vero falconiere si entusiasma per la correttezza del volo del proprio uccello, per l’obbedienza ai comandi del conduttore; non certo per il numero
dei selvatici catturati.” La famiglia Bassani ha un tale amore per i rapaci che è riuscita a fare realizzare, da un esperto fabbro di Seren Del Grappa, il cancello di ingresso al proprio giardino con impressa l’effigie di due bellissimi rapaci. Alvaro e Matteo hanno la falconeria nel rispettivo Dna. Nella loro lunga esperienza di allevatori - addestratori hanno ospitato, nelle ampie voliere del giardino, un grande numero di uccelli appartenenti a varie specie di rapaci, la maggior parte diurni, ma non sono mancati quelli notturni come il barbagianni. “Abbiamo iniziato – ricordano – con la poiana di Harris, di origine americana che è facile alla socializzazione. Purtroppo il bell’esemplare, a cui eravamo molto affezionati, è stato ucciso da un
contadino della zona perché aveva attaccato le anatre di sua proprietà. Dopo questa spiacevole esperienza siamo passati, in una prima fase, all’Astore, al Nibbio Reale, al Girifalco, al Lodolaio e poi ai falchi Pellegrini e Sacri, oltre che agli Sparvieri.” La loro conoscenza, nei decenni, si è fatta talmente completa che, addirittura, le stesse Guardie Provinciali chiedono la loro collaborazione quando viene reperito sul territorio un rapace selvatico in difficoltà, a condizione che non abbia,
Tra presente e passato ovviamente, bisogno di cure veterinarie. Altre volte Alvaro e Matteo Bassani vengono chiamati per le dimostrazioni a scopo didattico. “E’ capitato – sottolineano - che vengano da noi delle scolaresche per vedere i rapaci in volo; altre volte ci spostiamo con i nostri animali su richiesta di qualche associazione o gruppo di persone interessate ad una dimostrazione.” Ma quali sono i maggiori pericoli che mettono in pericolo i rapaci selvatici? La cultura del rispetto dell’ambiente e delle specie animali, in questi ultimi decenni, fortunatamente, ha fatto proseliti. Il bracconaggio, che pur persiste, si è comunque drasticamente ridotto ed anche gli agricoltori non fanno più un dramma per la perdita di una gallina o di un’anatra. “I danni maggiori – sot-
tolinea Matteo – sono imputabili ai cavi della corrente elettrica, sia quelli ad alta che a bassa tensione. Quando le ali di un rapace fanno ponte, l’uccello rimane inesorabilmente folgorato. Bisogna, quindi, intervenire sulle linee elettriche più pericolose.” Il periodo di maggior diffusione della falconeria in Italia ed in Europa è stato sicuramente il medioevo, lo testimoniano vari quadri ed affreschi dipinti un po’ in tutti i Paesi. Ma ci sono anche degli interessanti mosaici che ci ricor-
dano come anche gli antichi Romani cacciassero gli uccelli con l’ausilio dei rapaci notturni. Tra tutti si cita quello magnifico conservato, in provincia di Treviso, nelle sale del museo di Oderzo; nella fattispecie viene rappresentata la cattura delle allodole grazie all’aiuto delle civette, pratica venatoria che è stata praticata nei nostri territori fino agli anni ’60 del Novecento. Il futuro della falconeria? “Purtroppo – ribattono all’unisono Alvaro e Matteo – tenere ed addestrare un rapace è estremamente impegnativo. Si tratta di uccelli meravigliosi che abbisognano di cure continue e costanti. Chi li detiene deve dedicare loro tanto tempo per tutto il corso dell’anno. Si tratta di un sacrificio, che regala però tante soddisfazioni, ma
che non tutti sono disposti a fare. Noi fortunatamente siamo in due e, quindi, quando uno di noi si allontana da Seren Del Grappa c’è sempre l’altro presente. Ma non tutti hanno questa fortuna ed opportunità.” La vallata feltrina, nella speranza che qualche giovane si avvicini a questa antichissima disciplina venatoria, può intanto dormire sonni tranquilli: finché ci saranno i Bassani la falconeria continuerà a vivere in questo bellissimo territorio ed i rapaci da loro addestrati volteggeranno anche nel prossimo futuro nei cieli del bellunese.
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Ieri avvenne di Chiara Paoli
Fiume, storia di un’impresa Dal Palazzo del Governo di Fiume, il 12 settembre 1919, si leva potente ed evocativa la voce di Gabriele D'Annunzio «Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume.»
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a frustrazione di una “vittoria mutilata” solleva gli animi e muove gli eserciti, che sostenuti dal poeta vanno ad occupare la “terra promessa” con il patto di Londra, firmato il 26 aprile del 1915. Bisogna tenere conto non soltanto dei patti firmati dall’Italia prima di entrare in guerra, ma anche di quelli che sono i dati che emergono dai censimenti dell’epo-
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ca, che evidenziano come circa la metà della popolazione fiumana, parlasse correntemente l’italiano, a dispetto di un quarto parlanti il serbocroato, cui si aggiungevano minoranze di lingua slovena, ungherese e tedesca. La stessa città di Fiume voleva entrare a far parte del Regno d’Italia; nell’ottobre del 1918 si era già costituito a Fiume un Consiglio nazionale, con presidente Antonio Grossich, a favore dell’annessione all’Italia. Ma le trattative a Parigi, nell’aprile del 1919 non vanno come gli italiani si aspettano, a causa della forte opposizione del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che concede Trento e Trieste, ma non vuole cedere per quanto concerne Fiume e la Dalmazia. E' proprio in conseguenza dell’abbandono del tavolo delle trattative, da parte di Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino, che si forma il primo nucleo della Legione Fiumana, creata su base volontaria per
volere di Giovanni Host-Venturi e Giovanni Giuriati, intenzionati a difendere la città dal giogo di altre nazioni. Mentre la popolazione tutta insorge fortemente a sostegno dell’italianità di Fiume, i militari francesi si oppongono, strappando il tricolore che le donne portavano ben in vista, scoppiano quindi tafferugli e tumulti, che a partire dal 29 giugno si protraggono per una settimana, venendo ribattezzati come “Vespri fiumani”. Gli scontri lasceranno sul campo 9 morti e molti feriti. Arriva quindi l’intervento di Parigi, che impone lo scioglimento del Consiglio Na-
zionale Fiumano ed il ritiro delle truppe italiane, ingiustamente accusate di aver provocato i disordini. Il presidente Grossich però non demorde ed incontra il poeta D’Annunzio a Roma il 30 giugno 1919, per chiedergli di fare da guida alla resistenza. In risposta viene chiesto l’allontanamento da Fiume dei Granatieri di Sardegna, comandati dal generale Mario Grazioli, che lascerà la città il 25 agosto, per accamparsi in quel di Ronchi, da dove venne inviata una lettera al Vate Gabriele D’Annunzio, perché li
Ieri avvenne raggiunga, con il suo esercito. Un’influenza causerà qualche giorno di ritardo nella partenza del poeta, che il giorno precedente si decide anche a scrivere una lettera a Mussolini, per chiedere il suo aiuto: «Mio caro compagno, il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d'Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile...Sostenete la Causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.» Seguiranno 16 mesi di occupazione da parte dell’esercito Dannunziano, con l’affermazione nell’agosto del 1920, di uno stato indipendente, la Reggenza Italiana del Carnaro.
Tanti mesi di battaglie, porteranno infine alla firma del Trattato di Rapallo, che in data 12 novembre 1920 riconosce l’indipendenza di Fiume. Ma D’Annunzio non intende scendere a compromessi e dopo alcuni giorni rifiuta il testo, scatenando l’ultimatum da parte del generale Caviglia. Seguono quindi i giorni del cosiddetto “Natale di sangue”; il primo attacco viene infatti sferrato alla Vigilia, per proseguire nei giorni 26 e 27 dicembre; diverse decine le vittime degli scontri, che inducono il Vate alla resa di fine anno, rassegnando le proprie dimissioni, con una lettera al generale Ferrario «Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919 e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei
Rettori adunati in Governo Provvisorio. Io lascio il Popolo di Fiume arbitro unico della propria sorte, nella sua piena coscienza e nella sua piena volontà... Attendo che il popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore, la mia vittoria.»
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Il personaggio di ieri di Monica Argenta
Abraham Maslow
e la “sua” Piramide dei Bisogni
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ato a New York nel 1908 da genitori immigrati da Kiev, lo psicologo Abraham Maslow è conosciuto ai più per “la teoria della gerarchia dei bisogni” da lui formulata in un articolo del 1943 e poi sviluppata e approfondita in un libro del 1954. Sintetizzando, nel pensiero di Maslow bisogno e motivazione sono sovrapponibili e responsabili dell'agire dell'essere umano. Maslow inoltre individua e organizza i bisogni in una gerarchia che partendo dai bisogni di carattere fisiologico, prosegue con quelli di sicurezza, di appartenenza, di autostima e infine di auto-realizzazione dell'individuo. Utilizzata e citata in ambiti anche apparentemente lontani -dalla psicologia motivazionale all'istruzione, dal marketing all'organizzazione aziendale -la rappresentazione dell'iconica “Piramide di Maslow” è nota a molti. Infatti, Maslow oltre a perseguire la sua
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fortunata carriera accademica cercò e riusci ad andare oltre le mura universitarie e rese applicabili le sue teorie nel mondo reale. Cercò di far capire, ad esempio, che sì per un operaio è importante lo stipendio (per soddisfare il bisogno di comprare cibo e pagare l'affitto), ma è anche altrettanto importante riuscire a motivare il suo senso di appartenenza all'azienda. Altra applicazione diffusissima delle teoria è nelle strategie di marketing, dove è importante capire se il posizionamento dei propri prodotti è tra i bisogni personali o sociali. Per via della sua semplicità di lettura, la “Piramide di Maslow” è divenuta nei decenni sempre più popolare tanto che molti di noi la danno oramai per scontata, mentre altri addirittura la banalizzano. Tuttavia è importante sottolineare che la teoria di Maslow in realtà è molto più di tutto questo e se ancora ne parliamo è perché in essa risiede un pensiero veramente profondo. Innanzi tutto, c'è da dire che la famosa “Piramide di Maslow” è un semplice espediente grafico, mai utilizzato dall'autore stesso, ma nata dalle esigenze di sintesi di editori di testi didattici. Sebbene l'autore abbia utilizzato il termine “gerarchia” e sia stato solito usare grafici durante le proprie lezioni, la struttura piramidale così come presentata non è
frutto della sua opera. Il malinteso nacque, probabilmente, dal fatto che Maslow evidenziò quanto nella società americana una larga maggioranza delle persone riuscisse a soddisfare i propri bisogni strettamente fisici mentre il numero delle persone che riuscivano a soddisfare i bisogni di sicurezza, appartenenza, autostima e auto-realizzazione andassero progressivamente a diminuire in numero. Inoltre, la “gerarchia” dei bisogni da lui formulata non è tanto da intendere come una scala di gradini che l'individuo deve necessariamente percorrere dal basso verso l'alto, tanto quanto invece essa è un insieme di condizioni necessarie e fluide per arrivare all'auto-realizzazione dell'Uomo. In poche parole, è pur vero che senza cibo e senza casa siamo motivati in modo impellente a porre rimedio a queste mancanze ma il bisogno di appartenenza, di autostima e di auto-realizzazione sono ancora presenti e attivi nel nostro agire e percepire il mondo. Tutti i bisogni sono lì, con noi, sempre, anche se nella contingenza stiamo semplicemente cercando un piatto di minestra calda per riempire lo stomaco. Interessante è ricordare che Maslow, da giovane professore di psicologia alla ricerca di “leggi universali” sul genere umano, andò sotto indicazione della famosa antropologa Ruth Benedith, a compiere delle osservazioni presso dei nativi americani a Siksika. La sua esperienza presso il popolo dei Piedi Neri, svoltasi nell'estate 1938, fu responsabile dell'abbandono delle teorie imparate nei corsi di laurea e della formulazione della sua nuova visione. Nella riserva indiana, a fronte di una forte povertà materiale, lui riportava insistentemente tra i suoi appunti quanto il senso
Il personaggio di ieri di appartenenza e di autostima instillato fin da bambini risultasse in senso di realizzazione e benessere per l'individuo. Paradossalmente, fu lui a sentirsi e ad esser trattato da “deviato” da uomini e donne che apparentemente avevano raggiunto lo stato di “niità pitapi” (persona completamente sviluppata). Grazie anche a fondi governativi canadesi e statunitensi, dagli inizi degli anni 2000 diversi attivisti dei popoli nativi stanno conducendo delle ricerche sull'influenza della cultura dei popoli dei Piedi Neri sull'opera del famoso psicologo. Alcuni addirittura sostengono che non dovrebbe essere più una piramide a rappresentare comunemente la teoria di Maslow, bensì un “tipi” (la classica tenda indiana cuneiforme, per capirci). Le influenze sulle teorie di Maslow sono state però tante, difficile attribuire una singola origine al suo lavoro. Figlio di emigranti ebrei a New York, ateo convinto
tutta la vita, studente di psicologia positivistica, uomo timido ma aperto alle sfide intellettuali, intimo di Albert Einstein e altri “mostri sacri” di cui cercò l'amicizia ma
soprattutto di carpirne la personalità. Insomma, Abraham Maslow e la “sua” Piramide meritano ancora di esser esplorati nonostante la grande popolarità.
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Cinema e società di Nicola Maschio
Circle: giudicare gli altri per proteggere sé stessi
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rende il via, con questo numero, una rubrica dedicata al cinema. Ma non a quei film di cui abbiamo già sentito parlare tanto, bensì a quelle pellicole meno famose ma che, per certi aspetti, trasmettono messaggi o richiamano analogie particolari. Non si tratterà inoltre di un giudizio rispetto alla qualità del film, né tantomeno di una recensione, ma semplicemente di un’analisi di elementi interessanti e d’attualità. Il lungometraggio che consideriamo in questo primo appuntamento è Circle, un film disponibile sul portale Netflix in lingua originale (inglese) con sottotitoli in italiano. Al suo interno, nonostante la trama per certi aspetti scontata, troviamo tanti elementi attuali: differenze di etnie, giudizi sul sesso, aspetti legati alla pandemia Covid. La trama di Circle La storia, in realtà, è abbastanza banale: 50 persone vengono rapite da un’astronave aliena e rinchiuse in una stanza, all’interno della quale devono restare in piedi al proprio posto. Non possono uscire dalla loro zona e neppure toccarsi l’uno con l’altro. Ogni due minuti circa, un raggio di luce viene emanato da un nucleo centrale, colpendo ed uccidendo una persona dell’ampio “cerchio umano”. La selezione all’inizio sembra casuale, ma i protagonisti capiscono presto che sono loro stessi a votare, in modo segreto, chi eliminare ad ogni turno. I personaggi Il gruppo di soggetti che compongono il cerchio è eterogeneo. Abbiamo il pessimista, che fin dal principio ritiene che non ci sia alcuna speranza di
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sopravvivenza. C’è poi l’egoista, un ragazzo giovane che, per guadagnare tempo, convince gli altri che sia necessario sacrificare prima di tutto le persone anziane. Ancora, abbiamo i patrioti ed i tradizionalisti, persone che sostengono sia imperativo difendere prima la propria cultura. Ci sono poi esponenti delle Forze dell’ordine, dediti alla giustizia ed al sacrificio, ed infine anche quelli che potremmo definire come simboli dell’innocenza: una donna incinta ed una bambina piccola. Perchè la storia di Circle sembra così attuale? Il film, ovviamente, è frutto della pura e semplice fantasia. Eppure, ci sono momenti e passaggi che sembrano calarsi perfettamente all’interno del contesto sociale in cui stiamo vivendo. In primo luogo, pensiamo ai soggetti anziani: nel film vengono etichettati come persone che “hanno già vissuto la loro vita” lasciando intendere che quest’ultima, in qualche modo, valga meno di quella di un giovane; un po’ come ciò che è successo durante le prime fasi della pandemia di Coronavirus quan-
do, nonostante l’elevato numero di persone anziane decedute, in tanti pensavano che fosse un fatto meno rilevante rispetto a giovani o adulti di mezza età. Ancora, il tema dell’omofobia: quando una donna dichiara di avere una moglie, c’è chi si schiera a suo favore e chi, viceversa, la giudica “colpevole” di un qualche reato verso la società. Vi è poi anche il tentativo di dialogo e di confronto, volto alla costruzione di conoscenza, che tuttavia si sgretola in pochi minuti, sbattendo contro idee e convinzioni contrarie ed opposte: si pensi ad esempio, in questo caso, all’attuale dibattito sulla vaccinazione anti-Covid. Infine, si ripresentano il tema del razzismo (un uomo di colore accusa i “bianchi” di accanimento nei suoi confronti), ma anche della violenza di genere (il voto unanime condanna un uomo che ha picchiato la fidanzata). Insomma, per quanto la trama non ricalchi i grandi capolavori cinematografici del passato, Circle è sicuramente un film ricco di spunti. Una frase in particolare ne riassume il significato: “Hanno fatto questo per vedere a cosa diamo valore, cosa ci sta a cuore: quando giudichiamo qualcuno, sosteniamo che ci sia qualcosa di sbagliato in lui”.
Umana-Mente di Chiara Paoli
La coscienza dell’escursionista La montagna è una passione, intraprendere escursioni per ammirare i suoi paesaggi un privilegio e un’opportunità che però non va presa sottogamba. Ogni estate è purtroppo costellata di tragici eventi e la montagna si trasforma in un bollettino di guerra, anche senza bisogno di fucili e cannoni.
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a questo è solo uno dei tanti casi in cui la montagna si è rivelata fatale. I monti ci proteggono, rassicurano e ci fanno sentire a casa, ci accolgono al rientro dalle vacanze al mare e ci inducono ad alzare lo sguardo verso le vette nutrendoci di speranze. La montagna però ha anche un’altra faccia della medaglia, è fatta di fatica, duro lavoro per i suoi abitanti, inverni freddi, estati assolate e pericoli imminenti. I rischi sono molteplici e vanno preventivati, possono essere valanghe o smottamenti, ma anche più semplicemente una distrazione, un piede messo in fallo, una caduta che risucchia nel vuoto. In montagna bisogna essere preparati, soprattutto ad alta quota e dove le vie e i passaggi risultano esposti. I montanari doc sanno che prima di partire il tragitto va pianificato, vanno controllate le previsioni meteo, preparata l’attrezzatura e soprattutto bisogna verificare di essere fisicamente allenati ad affrontare percorsi impegnativi e con forti dislivelli.
Improvvisarsi alpinisti rischia di costare caro, perché mettere in moto la macchina del Soccorso Alpino non è uno scherzo e se l’intervento richiesto non è necessario o è dovuto alla superficialità dell’escursionista, bisogna tenere conto che il prezzo da pagare sarà elevato, nell’ordine di diverse migliaia di euro. Con le cime non si scherza e quando si decide di dedicarsi al trekking bisogna acquistare l’attrezzatura adatta, per quanto le ciabatte infradito siano bellissime in spiaggia, stridono alquanto con i sentieri di montagna, si frantumano in tempo zero ed espongono il piede a torture inimmaginabili. Una felpa è sempre necessaria, il tempo cambia velocemente e dopo una “sudata” salita è sempre meglio coprirsi quando ci si ferma, per non rischiare di prendersi un raffreddore. Una ventina o giacca antipioggia, trova spazio quando il tempo è incerto e si rischia di incappare nella pioggia. I bastoncini possono essere utili strumenti di appoggio e soprattutto non deve mai mancare una bottiglietta d’acqua o
in caso di giornate molto calde, qualche bevanda contenente sali minerali. In assenza di rifugi aperti ovviamente bisogna portarsi dietro anche i panini o altro cibo per la giornata. La montagna va vissuta con occhi spalancati in contemplazione delle sue bellezze, pronti ad incontri con animali selvatici che abitano questi luoghi e rispettosi della natura e della flora che ci circonda. L’immondizia si riporta a valle e si smaltisce negli appositi contenitori; troppo spesso le persone si rivelano irrispettose e abbandonano i propri rifiuti deturpando questi nostri splendidi paesaggi. Questi splendidi pinnacoli naturali non sono adatti a tutti e soprattutto non si possono predisporre per chi vorrebbe tutte le comodità a portata di mano. Chi non ha voglia di faticare per guadagnare la vetta, può accontentarsi delle mete a bassa quota e osservare da lontano le cime. La natura è bella perché è tale, perché è selvaggia e ricca di verde e non va rovinata costruendo ovunque strade asfaltate, mega parcheggi e aree camper attrezzate.
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Società e dintorni di Chiara Paoli
La Giornata mondiale dei Sogni
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In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno.” Queste le parole di Clarissa Pinkola
Estés, poeta, psicoanalista e scrittrice statunitense, che si è occupata di aiutare molte persone dopo eventi traumatici, come il Massacro della Columbine High School, che risale al 1999 e in seguito ai più famosi attentati dell’11 settembre 2001. E forse anche questo periodo di pandemia può andare ad inserirsi
tra quelli da definire “tempi duri”, che “rubano i sogni” a molte persone. Ma i sogni e le aspirazioni devono continuare ad alimentare la nostra mente e aiutarci a superare anche questo periodo buio. Daisaku Ikeda d’altra parte dice “Proprio come un fiore sboccia dopo aver sopportato il rigido freddo invernale, un sogno può avverarsi solo se si è preparati a sopportare i tormenti che ne accompagnano la realizzazione e a compiere tutti gli sforzi necessari!” Per realizzare i propri desideri è necessario rimboccarsi le maniche e darsi da fare, in nostro aiuto arriva il World Dream Day, cioè la giornata mondiale dei sogni. Questa ricorrenza, che viene celebrata
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Società e dintorni il 25 settembre, si basa su tre principi basilari: creatività, collaborazione e partecipazione. Il WDD è stato ideato nel 2012 dall’americana Ozioma Egwuonwu docente universitaria ed esperta in strategie motivazionali, per spingere ogni individuo sulla strada della realizzazione delle proprie aspirazioni. Il sogno visto come proposito che induce al cambiamento, un’organizzazione che negli anni si è trasformata in un movimento globale, che promuove numerose iniziative. Condividere sogni e aspirazioni, ci aiuta ad affrontare meglio le difficoltà che ci si presentano lungo il cammino, in fondo come sostiene Michele Lessona, “Volere è potere”, questo il titolo del suo saggio datato 1869. Sul sito dell’organizzazione worlddreamday.org è possibile scaricare la “Dichiarazione del sogno”, che può aiutarci a focalizzare l’attenzione su un desiderio e
formulare delle strategie, almeno 3, per concretizzarlo. Sono molti i personaggi illustri che hanno parlato di questo argomento, emblematiche anche le parole di Walt Disney: “Pensa, credi, sogna e osa”, che mettono in luce il fatto che per seguire le nostre aspirazioni dobbiamo anche azzardare, tentare e se necessario perseverare. Questa giornata vuole promuovere la positività e se anche voi volete dare il vostro contributo potete farlo condividendo sui social i vostri sogni e quanto siete riusciti
a ottenere con impegno e dedizione, utilizzando l’apposito hashtag #WorldDreamDay. Anche Arthur Schopenhauer aveva una sua opinione a proposito: “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.”
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Un romanzo familiare di Armando Munaò
"SARANNO ROSSE LE MIE SCARPE"
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gni romanzo è sempre frutto di fantasia, immaginazione autobiografica. Non fa eccezione il romanzo " Saranno rosse le mie scarpe" scritto da Angela Rossi, che dopo avere speso molto tempo nel campo delle risorse umane e organizzazione, consulente aziendale, ha sentito la necessità di rallentare, fermarsi pochi attimi per riflettere. Aveva 50 anni, aveva studiato giurisprudenza e lavorato sodo ma non era pienamente soddisfatta. Così ha deciso di guardarsi dentro, di rivedere la propria vita per capire se e come aveva sbagliato. "Mi sono concessa una seconda vita, dice Angela Rossi, ho voluto recuperare le mie passioni, i miei sogni tra i quali in primo piano il piacere della scrittura, la voglia di mettere su carta i miei pensieri, le mie emozioni" E così ha compiuto un viaggio che parte dall'infanzia della protagonista di nome Greta, quando è ancora una bambina e, appena trasferita a Gorizia, prende le misure con la sua nuova vita. I primi giochi nel cortile, i timidi tentativi di stringere legami e, al contempo, i battibecchi in famiglia, con la nonna specialmente, con cui forzatamente divide i suoi spazi. "Una ragazzina molto timida, sensibile e aperta alle aspettative della famiglia che la circonda, dice l'autrice, ma da questa troppa condizionata perché in parte subisce la forza pulsante della famiglia, la straordinari potenza, l'energia e gli affetti che caratterizzano la quotidianità di questa famiglia che seppur in un ambien-
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te pieno di amorevole affetto sovente, con le sue regole e i suoi principi, condiziona il vivere di tutti i componenti raccontando come a volte un destino, fatto di elementi, come sempre misti, tra aspetti positivi e negativi, può realmente condizionare la crescita e quindi la vita futura." Non si è davanti ad una reale sofferenza, in fondo Greta è una bimba fortunata con una nonna dalla grande personalità e la mamma più leggera a volte capricciosa. Fra le due donne uno scontro generazionale nel quale Greta è come un coccio nel menage familiare fonte di frustrazioni, ilarità, incomprensioni e
condivisioni, raccontato con straordinario realismo, ed esposto con cristallina chiarezza. Descrive la diversità di vedute di generazioni non tanto lontane eppure incompatibili. Arriva poi nella vita il momento in cui riflettere su tutto e ciò equivale ad uscire dalla soggezione e lo scrivere è una specie di psicoterapia. Il romanzo, infatti, può essere definito una storia: sulla famiglia, sulle tre età delle donne protagoniste, nipote, madre, nonna, sui diversi punti di vista di tre generazioni e sulla faticosa ricerca della libertà e dell’affermazione individuale e che affronta il rapporto tra destino e volontà. "La molla dello scrivere il libro, dice Angela Rossi, parte dalla consapevolezza, che sebbene la nostra vita possa, a volte essere considerata normale e anche monotona, sovente invece è caratterizzata da aspetti particolari che inducono a specifiche riflessioni e analisi suggerite da spunti e non di rado anche da sensazioni. Quindi la voglia di riconsiderare le mie esperienze vissute, anche da bambina, in un particolare ambiente familiare”. Un percorso a ritroso che però arriva ai nostri giorni. Un percorso di “rifioritura” in grado di generare emozioni, sensazioni e, per certi aspetti, anche particolari novità e scelte. Il titolo è un invito a riconsiderare la vita e le sue occasioni.
Un romanzo familiare " Le “mie scarpe saranno rosse”, dice l'autrice, indica la voglia di un futuro caratterizzato da intenzioni precise e forti. La voglia di vivere un viaggio nel mondo caratterizzato da quel colore rosso che è il simbolo della visibilità e del protagonismo in tutti gli aspetti e le varie fasi di un percorso di vita. E' una promessa fatta a me stessa per rompere questa invivibilità e dare nuova vita e luce ad un roseo futuro. Alle vicissitudini che sono leggibili nel libro e che rappresentano non solo uno spaccato della mia vita ma anche un particolare coraggio di essere protagonista e prendersi il palcoscenico." Come spesso accade un momento di crisi come quello creato dalla pandemia di Covid 19, può diventare un'occasione creativa. " E' così, scrive Angela, che nel particolare momento, quello del lockdown, si è rafforzato in me il desiderio di scrivere e quindi ho deciso non solo di mettere su carta una storia di vita profondamente personale e nel contempo recuperare molte emotività che erano sopite” Angela Rossi, con questa sua prima opera, ci regala una storia sulla faticosa ricerca della libertà e dell’affermazione individuale in un contesto affettivo complesso, resa ancora più ardita da un evento delicatamente celato nell’ombra delle pagine interne, dense di emozioni e di grandissimo significato. E alla domanda: se Lei una mattina dovesse guardarsi allo specchio, vede riflessa l'immagine della protagonista? "Voglio essere estre-
mamente sincera. Si, la vedo perché quella ragazzina, che è il personaggio del libro sono realmente io. Questo romanzo è infatti una storia profondamente autobiografica dalle innumerevoli sfaccettature e riflessi che racconta uno spaccato di vita, rivolto però ad un futuro che nella vita di ognuno di noi, deve essere, possibilmente, sempre roseo e da vivere nel migliore dei modi." Il libro si rivolge a tutti, essendo certamente noi tutti dei figli, molti anche genitori; può essere molto apprezzato da un pubblico femminile, pur non rivolgendosi a quel target in via esclusiva, in quanto fortemente femminili sono gli argomenti trattati e le sensibilità di lettura; un lettore over 40/45 anni può particolarmente apprezzare l’ambientazione storica, avendo avuto conoscenza diretta del contesto sociale di riferimento
CHI È Angela Rossi è nata a Trento. Dopo la laurea in Giurisprudenza, si è sempre occupata di Risorse e di Organizzazione, dapprima come manager in aziende private, quindi coach e consulente aziendale. Appassionata di temi di sviluppo personale, è attivamente coinvolta in attività di supporto e cura della persona. Collabora infatti da circa due anni con “Imprenditore non sei solo”, una Associazione non profit che si occupa di sostenere gli imprenditori in difficoltà, missione che realizza attraverso il dono. In una comunità virtuosa molti professionisti, imprenditori a loro volta, ed esperti in vari campi, offrono le loro competenze specialistiche agli assistiti seguendoli attraverso un protocollo formativo che dà loro strumenti, mentalità, energie utili a risollevarsi sul mercato e ristabilire il loro equilibrio personale, e familiare. E’ una associazione in espansione, che si propone di essere presente nel tempo in tutte le regioni d’Italia, impegnata a soccorrere la persona, da un lato, nel contempo a contribuire al benessere sociale. Durante il lockdown, quel terribile periodo di ripiegamento collettivo, ha scritto “Saranno rosse le mie scarpe” che rappresenta il romanzo d’esordio, con tratti fortemente autobiografici. NOTA D’AUTORE: Parte del ricavato della vendita del libro sarà destinato alla realizzazione e al sostegno dei laboratori solidali di scrittura LetterariaMente
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Il personaggio di casa nostra di Alex De Boni
ALEX ZANGHELLINI, l'arte di lavorare il legno seguito un corso sulla scultura del che trasforma un pezzo di legno in legno, è un autodidatta per quanun opera d’arte. Ancora oggi è una to riguarda la pirografia, ossia una grande passione, ma grazie al grande tecnica d'incisione, per mezzo di consenso ottenuto Alex sta facendo una fonte di calore, su legno, cuoio, più di un pensiero per trasformare sughero o altra superficie, praticata il suo hobby in un vero e proprio già in passato usando punte di ferro lavoro, creando la linea “La vena del arroventato. Legno”. “Poco più di un anno fa ho ripreso a fare piccoli lavori di intaglio sul legno, pubblicandoli sulle pagine social, mai avrei immaginato di ottenere così tanti consensi e richieste di opere sia a livello locale che nazionale”, afferma Zanghellini. Tutto è iniziato con l’acquisto di un pirografo e l’incisione di alcune immagini su taUn uomo che lavora con le sue vole di legno, inizialmente come mani è un operaio; un uomo regalo per alcuni amici. “Un vero che lavora con le sue mani e il e proprio hobby che mi aiutaINTERVENTI DI suo cervello è un artigiano; ma un va a distrarmi dal dolore che la • Ristrutturazione uomo che lavora con le sue mani, • Rinnovo pandemia aveva portato con • Manutenzione il suo cervello e il suo cuore è un è che avevo toccato in- FEB prima soteck 2020.qxp_Layout 1 29/10/20 17:18 Pagina 1 PER UNA CASA SICURA, UNICA EDse EFFICIENTE artista.” Questa celebre frase di persona vivendo elaborando in San Francesco d’Assisi rispecchia E VENDITA PRODUZIONE una azienda di Bergamo”. • Porte per garage (garanzia 4 anni per verniciatura legno) perfettamente Alex Zanghellini, un Zanghellini, che in passato aveva • Sezionali, basculanti (garanzia 10 anni*) umile operaio di origini bellunesi • Portoni a libro
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Il personaggio di casa nostra La svolta è stata il momento in cui Alex riuscì a riportare fedelmente sulla tavola l'immagine di una bambina che giocava sull’altalena, “lì capii che ero in grado di incidere sul legno non solo delle spente riproduzioni, ma vere e proprie emozioni. Da quel momento ho capito che non avevo limiti nel realizzare le mie opere ed ho cominciato a cimentarmi anche con personaggi famosi come Vasco Rossi e Valentino Rossi”. I complimenti degli amici e il passaparola hanno da subito promosso il lavoro di Alex che ha cominciato ad essere subissato di richieste: “ho ricevuto ordini da tutt’Italia e anche dall’estero. Per vivere lavoro in una fabbrica e dedico qualche ora alla sera per questa passione”. Non ci sono delle tempistiche standard o dei costi fissi per le opere del ragazzo bellunese, ogni tavola va studiata
e pensata a se stante, i dettagli richiesti fanno la differenza.“Il mio consiglio è quello di inviarmi sempre immagini di foto in primo piano, per esaltarne ogni caratteristica”. Il legno che Zanghellini utilizza è tutto bellunese fornito dalla segheria cesiolina di Tiziano Biesuz: “la mia soddisfazione più grande è che da una semplice tavola piatta regalo emozioni vere. I miei lavori trasmettono sentimenti importanti, e sono gli stessi clienti a dirmelo, spesso rimangono senza parole quando consegno loro le mie opere”. Anche Radio News 24 ha dedicato un intervista ad Alex che per promuovere la sua arte ha aperto la pagina facebook “La Vena del Legno” e quella instangram "lavena.dellegno" dove si trovano tutte le informazioni relative al suo lavoro ed i contatti per commissionare delle opere. L’artista ha reinventato
il cosiddetto tagliere di legno con un lato destinato per l'uso culinario e l'altro raffigurante le immagini richieste che impreziosiscono ed abbelliscono l’arredamento di ogni casa, sia in stile rustico che moderno. “Tutti i bambini sono degli artisti nati; il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi”, degna conclusione con le parole di Pablo Picasso
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Un tuffo nell'archeologia di Chiara Paoli
Pietro Paolo Giorgio Orsi “Dalle tradizioni culturali della sua terra attinse l’impulso alla ricerca archeologica, attuata in fortunatissimi scavi nel Trentino, nella Sicilia nella Calabria. Illustrò le sue vaste indagini con opere di dottrina che gli diedero fama nel mondo e lo portarono agli onori del Senato. Tenne vivo nel cuore il ricordo e l’amore per la città natale che volle erede delle sue raccolte d’arte.” Questa citazione è tratta dal monumento dedicato a Paolo Orsi, collocato nel portico di palazzo Alberti Poja a Rovereto.
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ietro Paolo Giorgio Orsi nasce a Rovereto il 17 ottobre del 1859, allora territorio dell'Impero austro-ungarico, dove frequenta l'Imperial Regio Ginnasio. Appena sedicenne diviene socio del Museo Civico della città della quercia e assistente di archeologia ed entomologia. Nel 1880 ottiene l’incarico di conservatore per la Sezione Archeologica e Numismatica, che mantiene sino alla morte. Intanto nel 1877 aveva avviato i suoi studi umanistici presso l'Università di Padova, che poi prosegue a Vienna, dove si specializza in storia antica e archeologia; si reca anche a Roma dove segue le lezioni di paleontologia di Luigi Pigorini. Nel 1882
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ottiene la laurea e due anni dopo fa richiesta e gli viene riconosciuta la cittadinanza italiana. Le prime ricerche archeologiche si concentrano nella terra natia, con alcuni scavi presso il Colombo a Mori, la Busa dell'Adamo a Lizzana e Castel Tierno. Lavora come insegnante per un periodo, per poi entrare nella direzione generale delle antichità e delle belle arti di Roma, ma la sua vita cambia nel 1888, con la vittoria del concorso di ispettore di III classe degli scavi e dei Musei a Siracusa. Qui ha modo di operare sotto la direzione di Francesco Saverio Cavallari, in un territorio ancora sconosciuto. La sua ricerca si concentra sulla preistoria, sui centri attivi nell'età del Bronzo e sulle colonie greche. Esegue ricerche anche in Calabria, per l’esattezza a Locri, dove ha modo di collaborare con il direttore dell'Istituto Germanico di Roma Eugene Petersen. Nel 1891 diviene direttore del Museo archeologico di Siracusa, sotto la sua guida vengono ampliati gli spazi espositivi e le collezioni, che vengono prontamente inventariate. Molteplici le campagne di scavo a cui ha preso parte negli anni, esplorando templi,
catacombe, necropoli e mura. Per un breve periodo riveste la carica di Commissario del Museo Nazionale di Napoli tra il 1900 e il 1901, gettando le fondamenta per il riordinamento totale dell'Istituto, che si realizza con il suo successore. Nel 1907 viene deputato all’organizzazione della Soprintendenza alle antichità della Calabria con sede a Reggio Calabria e ha collaborato fattivamente alla nascita del grande Museo Nazionale della Magna Grecia. Nel 1907 con l’istituzione delle Soprintendenze, ottiene la nomina a So-
Un tuffo nell'archeologia
printendente per la Calabria sino al 1924 e per la Sicilia Orientale, incarico rinnovato nel 1923. Sempre nel 1924 su raccomandazione di Ettore Tolomei, viene eletto senatore del Regno d'Italia, con l’intento di sostenere la ricerca archeologica. Paolo Orsi è da riconoscere tra i fondatori della Società Italiana di Archeologia, nata nel 1909 e nel 1920 con Umberto
Zanotti Bianco, costituiscono la "Società Magna Grecia" designata alla raccolta di fondi per gli scavi e la rivista «Archivio storico per la Calabria e la Lucania». Oltre 300 sono gli scritti che lo conducono alla vittoria del Gran Premio di Archeologia dell'Accademia dei Lincei. Dopo il pensionamento rimane a Siracusa per collaborare all'ordinamento del museo che ora porta il suo nome. Nell'autunno del 1934 fa ritorno a Rovereto dove si spegne l'8 novembre dell’anno seguente. A Paolo Orsi è intitolata la Rassegna del cinema archeologico promossa dal Museo Civico di Rovereto a partire dal 1990 e che quest’anno si rinnova con un nuovo nome “ROVERETO ARCHEOLOGIA MEMORIE” (RAM).
Così lo ricorda l'amico marchese Enrico Gagliardi: «Rivedo il maestro: alta, solida la persona, […] un solco profondo sulla fronte e lo sguardo penetrante ben rilevavano in lui l'uomo di studio e di scienza, abituato al diuturno travaglio del pensiero. Il parlare lento, misurato, chiaro, traduceva subito il carattere dell'uomo, diritto e preciso, che attraverso il lavoro senza indugi e senza stanchezza, vedeva netta la meta. La sua vita austera, d'una semplicità francescana, che rifuggiva dagli onori e da ogni teatrale popolarità, gli ha permesso di operare in silenzio in luoghi disagiati. Dovunque Egli è passato, ha lasciato un'orma profonda; perché niente sfuggiva al suo sguardo, alla sua acuta osservazione; i suoi studi si concentravano subito in limpide e fondamentali pubblicazioni che hanno illustrato intere regioni e periodi oscurissimi, mai prima di lui tentati, e da lui fatti rivivere e resi eloquenti dopo millenni di silenzio.»
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La moda tra passato e presente di Laura Paleari
Il Fascino del Vintage
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a molti definito il futuro della moda, il Vintage, da un paio di anni a questa parte sta spopolando sempre di più, soprattutto tra i giovani. Vintage deriva dal termine francese “vendenge” ossia vendemmia, il quale stava ad indicare tutti quei vini d’annata di pregio. Specularmente, nella moda, questo termine indica i capi e gli accessori iconici di epoche passate che, con il tempo, acquistano sempre più valore. Spesso viene confuso con il termine Retrò il quale indica tutto ciò che viene creato rifacendosi a stili del passato, a differenza del vintage dove gli oggetti sono “autentici”. La filosofia Vintage nasce negli anni ’60 in America, quando, successivamente all'epoca del dopoguerra e del boom economico, la cultura Hippies portò una nuova filosofia di vita e, con essa, un nuovo modo di vestirsi, riutilizzando i capi degli anni precedenti e, se all’inizio era necessario recarsi in piccoli mercatini per la ricerca dei capi, oggi continuano a nascere nuove boutique con prodotti accuratamente selezionati. Contro le aspettative, la fascia di età più interessata al Vintage è quella compresa dai 24 ai 38 anni e, in particolare, oggi i consumatori ricercano capi degli anni ’80 ma soprattutto ’90; questo grazie, principalmente, ai social media e ai messaggi di
sostenibilità sempre più presenti. Sono le donne intelligenti quelle che hanno scoperto questo mondo, fatto di qualità, tessuti, manodopera che l’industria di questo tempo non riesce ad offrire”. Scriveva questo il New York Times, già nel 1965, criticando la nascita del consumismo e l’avvento del fast fashion, ossia dell’acquisto immediato di un capo, il quale, di solito, presenta un costo bassissimo. Creando continuamente nuovi desideri e quindi nuovi bisogni, il consumatore sarà quasi “obbligato” a comprare per stare al passo. Tutto ciò porta le aziende alla produzione di tantissime collezioni, sempre più veloce, frenetica, in paesi al di fuori dell’Italia, sfruttando lavoratori spesso inconsapevoli o costretti ad accettare contratti di sfruttamento più che di lavoro; i capi disegnati e venduti, inoltre, sono spesso le copie riprodotte e leggermente modificate di capi di alta moda, inaccessibili per la fascia media di mercato, la quale, comprando capi d’abbigliamento simili a quelli proposto dalle grandi firme ma ad un prezzo decisamente inferiore della metà, potrà “sognare e illudersi” di indossare quello che non può avere. Tuttavia, negli ultimi tempi e con gli ultimi movimenti “Green” in difesa dell’ambiente, anche le case di moda stesse stanno iniziando a concepire uno schema più circolare, dove si prende in considerazione tutto l’arco vitale del capo, dalle materie prime della sua creazione, fino al suo riciclo o riutilizzo per altri vestiti; anche la pandemia ha “aiutato”
il ritorno di un’ economia più circolare: portando il consumatore a ricercare la qualità più che la quantità. “Less is More”, “Decluttering”, sono solo alcuni dei nuovi termini legati ad un approccio consumistico più responsabile e consapevole. L’attenzione inoltre per i lavoratori e operai delle grandi catene è aumentata dopo il crollo del Rana Plaza, nel 2013, una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh, dove numerose operaie, sfruttate e private di qualunque diritto, stavano realizzando capi per i brand del fast fashion occidentali quando l’edificio è crollato per le mancate norme di sicurezza: il più grande incidente legato al mondo dell’abbigliamento. La verità è che bisognerebbe avere meno capi nel nostro armadio ma di qualità, spendendo un po’ di più per un paio di jeans o una maglietta ma con la certezza che dureranno anni, e che non dovremo cambiarli la prossima stagione. Il vintage, in questo, ha una caratteristica essenziale: ci rende unici. Non solo si utilizzano capi del passato, ma si gioca con gli stessi, mescolando abiti maschili e femminili, stili e materiali diversi. L’idealizzazione del passato, più solido e rassicurante rispetto ad un futuro e, soprattutto, un presente incerto, la nostalgia di epoche passate… è il soffio di un ricordo lontano che lo rende assolutamente affascinante.
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Tra sintesi, analisi e verifiche di Grazioso Piazza
Dati, fatti e informazioni
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iviamo in un’epoca in cui, come mai prima, ci viene dato accesso ad un numero enorme di dati e di informazioni, cosa che dovrebbe favorire una visione più chiara di ciò che ci circonda, di come il mondo si muove e di quali siano le scelte che più di altre possono migliorare la nostra vita. Non possiamo tuttavia affermare che le cose stiano esattamente come sopra auspicato. Su molte questioni, dagli aspetti legati alla pandemia, alla situazione economica, passando per i temi ambientali, tutti sostenuti da un numero elevato di dati e di statistiche, le interpretazioni che ci vengono proposte si contraddicono spesso l’una con l’altra. Ciò è conseguenza di come i dati vengano spesso piegati, anche inconsapevolmente, per sostenere una posizione per-costruita, più che per garantire oggettività all’interpretazione.
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Per mettere ordine dove spesso regna la confusione partiamo quindi da una citazione: “La scienza è fatta di dati, come una casa di pietre. Ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa”. Così scriveva Jules-Henri Poincaré (1854-1912) nel suo “La scienza e l’ipotesi”. Dare un ordine ai dati diviene quindi il modo con cui perseguire una loro corretta e coerente lettura. Un percorso che è bene tragga avvio dalla chiarezza su quelli che sono i termini usati: fatto, dato, informazione, relazione. Per quanto possano essere diverse le opinioni tra due parti ci sono degli elementi su cui le stesse dovrebbero poter sempre convergere, ciò che chiamiamo dati. Un’unità elementare oggettiva, frutto di una misura diretta o comunque quantificata con un metodo riconosciuto di osservazione, a garanzia della sua affidabilità.
La mia statura, come la vostra, è un dato, così come lo sono le temperature misurate sul pianeta in vari periodi dell’anno, la concentrazione di determinati composti chimici nell’aria delle nostre città o la dimensione della spesa effettuata dai diversi settori dell’Amministrazione Pubblica. Elementi che trattati singolarmente non dicono se io sia alto o basso, se il pianeta si stia surriscaldando o meno, se la Pubblica Amministrazione spenda troppo o troppo poco. Altri punti di convergenza dovrebbero essere quelli che chiamiamo fatti. Situazioni chiaramente riconoscibili e per molti versi anch’esse inconfutabili, nate da una prima analisi di dati elementari quale, ad esempio, la variazione di un valore nel tempo. Così riconosciamo come un fatto il tendenziale surriscaldamento medio del pianeta o l’incremento di mortalità registrato in taluni dei mesi trascorsi, specialmente in certe aree del paese. Questo, tuttavia, ancora non ci offre un quadro completo e utile a trarre conclusione sul singolo tema. Per giungere a ciò dobbiamo trasformare i dati e i fatti in informazioni, frutto di una lettura incrociata e più ampia che spesso si presenta come l’anello debole del processo, in quanto più esposto alle distorsioni, volontarie o meno. Il passaggio cruciale nella costruzione dell’informazione sta nell’identificare se vi siano e quali siano le relazioni tra i dati o i fatti. Tra queste la definizione del rapporto causa-effetto riveste un ruolo chiave, su cui spesso si giocano le strumentalizzazioni di parte.
Tra sintesi, analisi e verifiche Correlazione tra dati o sua distorsione?
L’esistenza di serie di dati che mostrano andamenti simili è sufficiente per dichiarare che esiste una relazione tra
esse? Che una è la causa e l’altra è l’effetto che ne deriva? La consapevolezza sul significato degli elementi qui descritti, su ciò che dovremmo riuscire a riconoscere alla base di ogni confronto e l’attuazione di un approccio più “scientifico”, sono gli strumenti per dare ordine alla confusione comunicativa nella lettura di quanto ci propongono social network e media in genere. Un’occasione per sfruttare, in modo sempre più consapevole e produttivo, le conoscenze che ci sono rese disponibili, filtrandole da potenziali distorsioni e da fake news.
Un semplice esempio di passaggio dal dato all’informazione è un’esperienza comune a tutti e parte da una qualsiasi immagine digitale prodotta dalla fotocamera dei nostri smartphone, formata da unità elementari, dette pixel, a ciascuna delle quali è associato un solo dato: il colore. Ciò che osserviamo guardando l’intera foto comprende però paesaggi o volti, oggetti o situazioni, nulla che sia in effetti registrato nei singoli pixel della foto digitale, milioni di punti semplicemente colorati. La nostra mente realizza così, in modo automatico, l’oneroso lavoro di lettura dei singoli dati e di costruzione delle relazioni che li legano, riconoscendo le uniformità e le sfumature e da qui, richiamando alla memoria situazioni già apprese, la presenza di volti, alberi o case, situazioni di gioia o tristezza, se l’immagine sia artistica o meno. Il tutto con un rischio: qualora ci venisse offerta una sola visione parziale, le nostre conclusioni potrebbero essere diverse da quelle ottenute con la disponibilità dell’immagine complessiva. Così, tra le provocazioni nate nel web una, scherzosa e un po’ irriverente, risulta particolarmente efficace rispetto al tema delle correlazioni, invitando a indagare il contenuto dell’olio degli infermi, dato l’elevato numero di decessi che si realizzano a seguito della sua somministrazione. Una voluta inversione dei fattori tra ciò che si presenta come effetto (il decesso) e ciò che si propone come causa (somministrazione dell’olio), introduce così un’immagine plausibile, ma totalmente falsata. 71
PERIODICO GRATUITO D’INFORMAZIONE Attualità, Cronaca, Turismo, Spettacolo Cultura, Tradizioni, Storia, Arte, Industria, Commercio, Artigianato, Volontariato.
FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina È stampato in 5mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm. FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici. La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 30 collaboratori di cui 12 giornalisti, 2 avvocati, 1 ingegnere, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici. FELTRINO NEWS viene posizionato in oltre 280 punti quali edicole, farmacie, supermercati, centri commerciali, alberghi, ristoranti, parrucchieri, autostazioni, ambulatori, ospedali, bar, negozi, macellerie e in tutti i luoghi di pubblica affluenza.
Non solo animali di Monica Argenta
“Asino è chi non sa nulla di me”
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n tempo, fortunatamente sempre più lontano nel passato, rimbombavano i rimproveri dei maestri o dei professori verso quegli alunni non troppo preparati: “Asino!” dicevano e a volte facevano addirittura indossare al povero studente delle fittizie orecchie lunghe. Chissà poi se quegli stessi Maestri e Professori conoscevano minimamente un asino... Non credo, non si sarebbero espressi così. Partiamo con un po' di dati: L' albero genealogico degli asini domestici ha due grossi rami: uno in Africa e l’altro in Asia. Non è chiaro quale sia il più antico, ma è certo che i primi ad essere addomesticati furono gli asini africani. L’addomesticamento dell’asino risale a 5000 anni fa nella regione della Namibia e che l’espansione dell’allevamento asinino sia stato determinato dai mercanti che portarono l’animale in tutta l’Africa magrebina. Certo è che in Asia, nel III millennio a.C., si addomesticavano già gli asini per essere cavalcati, attaccati ai carri e sottoposti al trasporto e che gli antichi Egizi li allevavano per impieghi agricoli. Anche in Europa si diffuse presto la pratica dell'allevamento dell'asino e
l'Italia rimase uno dei paesi europei ai primi posti per produzione asinina fino ai primi del '900. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, venendo a meno la sua funzione agricola e bellica, si registrò un rapido decremento delle presenze di questo animale. Tuttavia, dai primi anni del nuovo millennio, sembra esserci una timida ripresa dell'allevamento degli asini, soprattutto grazie alle riscoperte delle “nuove potenzialità”. Gli asini sono sempre più considerati come animali o da compagnia, da terapia; sono utilizzati per accompagnare i turisti nelle attività di trekking o semplicemente vengono impiegati come “sfalciatori-tosaerba naturali”, per strade, sentieri, appezzamenti terrieri. Considerati questi i vantaggi di avere questo animale, verrebbe proprio voglia di adottarne uno. Ma poi, è così semplice prendersene cura in modo adeguato? E' vero che questo animale ha una natura molto rustica e che si accontenta di foraggi magrissimi ma non dobbiamo dimenticare che per il suo benessere sono necessarie molte cure e attenzioni. Inoltre, un asino ha una vita media molto lunga, circa 30 anni. Pur accontentandosi di pranzare “sfalciarci”
il prato, dobbiamo ricordare che in realtà ci sono un gran numero di erbe tossiche e stare molto attenti. Il veterinario sarà necessario non solo in caso di malesseri. Bisognerà provvedere a regolari vaccinazioni, vermifughi e altri interventi ordinari sanitari per una cifra che si aggira intorno ai 200 Euro all'anno. A questo dovranno essere aggiunte ovviamente tutte le spese mediche straordinarie e le spese per il maniscalco che dovrebbe essere impiegato per il pareggio del piede con regolarità. Insomma, adottare un asino non è certo economico per chi vuole semplicemente risparmiarsi la pena di tagliare l'erba del proprio prato! Al contrario, per chi volesse averlo come amico, l'asino si rivelerà una scelta vincente perché con la sua sensibilità, la sua calma e le sue lunghe ciglia conquisterà il cuore anche del più “duro” degli esseri umani. Ce lo insegna la sua storia di addomesticamento avvenuta ben prima di quella del cavallo e la sua presenza tra i miti e le leggende più belle del pianeta. Si ringrazia della collaborazione per la stesura dell'articolo il Dott. Vet. Erik Franchi- L'Anello del Re Salomone- Fattoria Didattica- Figino (MI)
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La madre dimenticata dell'astrattismo di Alice Vettorata
Hilma af Klint
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dipinti astratti sono quelli che facilmente dividono gli osservatori, tra chi ne apprezza la filosofia, la resa visiva e chi sostiene di non comprenderli. O addirittura non definirli arte. Ciò che spesso accomuna pittori e pittrici che oggi conosciamo come esponenti dell’Astrattismo è il percorso di ricerca pittorica, nato attraversando diverse fasi figurative. Alcuni pittori come Piet Mondrian, Wassily Kandinsky e Kazimir Malevich vengono riconosciuti e inseriti in questo movimento artistico grazie alle linee sintetiche, pulite e alle tonalità basilari e decise che caratterizzano i loro lavori. Tanto da farci immaginare che queste tre personalità nell’immaginario comune sono identificate come gli esponenti principali dell’Astrattismo. Sfogliando qualsiasi rivista del settore o tornando ai manuali scolastici infatti, troveremo riprodotte su carta patinata le loro tele. Kandinsky, dopo aver realizzato diverse tele a soggetto figurativo, anche in collaborazione con l’artista Franz Marc sotto il nome del collettivo Der Blaue
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Reiter, nel 1910 fece conoscere al mondo il suo primo acquarello astratto, privo di titolo. Questa rivoluzione pittorica avvenne grazie a un artista russo naturalizzato francese, destinato a lasciare un segno indelebile nella storia dell’arte. Pochi anni prima dell’esposizione del celebre acquarello astratto di Kandinskij, in Svezia, precisamente nel 1906 venne però realizzata un’altra serie di opere significative per quanto riguarda la corrente Astratta. “The Paintings for the Temple” è il titolo dato all’insieme dei cento novantatré lavori che la compongono, creati da Hilma af Klint, pittrice che molto raramente viene menzionata insieme ai suoi tre colleghi citati sopra. Anche perché una delle caratteristiche che la contraddistingue è il fatto che non ebbe mai contatti con loro, non si confrontò con le loro teorie e ipotesi sulla nuova corrente pittorica. Infatti, la genesi che portò i differenti pittori a far nascere la corrente astratta non ha nulla in comune tra di loro. Nel caso della af Klint è decisamente
inusuale. Hilma frequentò una scuola tecnica e la Royal Academy of fine Arts di Stoccolma, luoghi nei quali apprese le tecniche per realizzare prevalentemente ritratti e paesaggi. Fu molto fortunata e abile nel riuscire a vivere della propria arte quasi sin dagli esordi della sua carriera, caratteristica decisamente rara. Poi però cambiò rotta, anche grazie a conoscenze effettuate all’interno di questi istituti formativi. Durante il corso della sua vita si associò a numerosi gruppi di persone con interessi affini ai suoi, attitudine che le permise di approfondire le conoscenze più disparate, dal suo amore per la natura, al vegetarianismo nel rispetto della stessa, al fascino per la spiritualità e l’occulto. Sfere d’interesse distanti tra loro, ma accomunate da una materia comune, la scienza, caratteristica che tornerà prepotentemente nelle sue opere astratte.
La madre dimenticata dell'astrattismo Ciò che la spinse a modificare il proprio stile pittorico fu principalmente una seduta spiritica, nella quale la af Klint sostenne di aver udito una voce che le sussurrò all’orecchio di dipingere “on an astral plane”, ciò vale a dire, in un piano astratto. Che le attività spiritiche vissute nei gruppi di Theosophy, una religione nata negli USA e nel Friday group, sede nella quale i partecipanti meditavano e si approcciavano alla scrittura automatica, la spinsero a creare opere astratte è innegabile, ma bisogna riconoscere che anche le informazioni apprese nell’ambito scientifico diedero un gran contributo. Nelle sue tele, oltre alla presenza della spiritualità, è possibile distinguere rappresentazioni di atomi, la allora recente scoperta dei raggi x e particelle subatomiche. Come lei spiegò dopo aver realizzato la corposa serie Paintings for the Temple, nelle sue opere intendeva
sempre combinare spiritualità e materia, che riteneva facce differenti della stessa medaglia. Nonostante la visione pionieristica avuta nel 1906 riguardante la sua concezione di pittura astratta, non pubblicò questi studi, poiché ritenne che il pubblico non sarebbe stato pronto ad apprezzare una nuova filosofia, un inedito concetto di arte. Per spiegare come i suoi numerosi interessi avessero contribuito a dar vita a qualcosa che il mondo non aveva ancora mai visto, spiegò: “Le immagini venivano dipinte direttamente attraverso me, senza disegni preliminari. Non avevo idea di cosa avrebbero rappresentato le opere e ho continuato a
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lavorare rapidamente, senza modificare alcuna pennellata.” Attingendo alla scrittura automatica, alla scienza, alla spiritualità, fece danzare sulla tela tutti i suoi interessi, dando vita a uno stile che ancora oggi fa interrogare l’osservatore, spronandolo a conoscere sempre di più del mondo circostante.
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Medicina & Salute di Erica Zanghellini*
Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività:
quali sono le strategie più efficaci?
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l disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (anche denominato ADHD) è un disturbo che viene rilevato in età evolutiva, ma che si manifesterà per tutto il ciclo di vita. Questo disturbo del neurosviluppo porta con sé una compromissione importante a livello della regolazione e si caratterizza come una persistente alterazione dell’attenzione e dell’iperattività/impulsività che interferiscono significativamente nella vita di chi ne è affetto. Queste alterazioni devono essere riscontrate, prima dei 12 anni e interferire con la vita scolastica e sociale. La disattenzione si manifesta come un’ incapacità a rimanere attenti su compiti che richiedono uno sforzo prolungato, come ad esempio nella lettura di testi lunghi, oppure rimanere concentrati durante una spiegazione a scuola o ancora durante le conversazioni. Da fuori potrebbe sembrare
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che il bambino non ci stia ascoltando, che non sia capace a porre attenzione ai particolari e capite bene come queste caratteristiche si traducono in una problematicità importante nello svolgere i compiti a casa . Per di più, frequentemente si trovano associate alterazioni nelle abilità di pianificazione e di organizzazione che aggravano sicuramente la situazione. Se guardiamo invece, il piano dell’ impulsività e dell’ iperattività noteremmo una difficoltà a gestire gli impulsi e a calcolare le conseguenze delle proprie azioni. Queste si traducono in bambini che, non riescono a stare fermi, li vedrem-
mo per esempio alzarsi dalla sedia anche in situazioni in cui gli è richiesto di stare seduti, o ancora interrompere le conversazioni perché non sanno aspettare il loro turno oppure rispondere frettolosamente, magari senza aver finito di sentire la domanda fino alla fine. Asseconda delle peculiarità che il bambino riporta si delineeranno profili diversi, non è infatti per forza necessario che siano presenti tutte queste caratteristiche, ma nonostante ciò, il bambino ne soffrirà. Di solito infatti, sono bambini sensibili e intelligenti e quindi si accorgeranno ineluttabilmente delle differenze tra loro e i loro amichetti. Per di più molto spesso si riscontrano nella loro vita, situazioni in cui i feedback rispetto il loro operato saranno negativi (a scuola, nelle attività quotidiane o anche a casa) e questo non farà altro che minare la loro autostima. Per evitare questo, è importante cercare di individuare precocemente tale disturbo, proprio per mettere in atto il prima possibile degli aiuti che supportino il bambino e rafforzino la sua efficacia e quindi di
Medicina e salute conseguenza la sua autostima. Vorrei ricordare agli adulti che girano attorno a bambini che soffrono di questo disturbo, che per quanto complesso e difficile gestire la situazione, il bambino non lo fa apposta ad avere quel tipo di comportamenti ma, è il disturbo specifico a dettarli. Aggiungerei quindi che l’atteggiamento adottato dagli adulti può fare la differenza per rafforzare o ridurre i “sintomi” o “segni” del disturbo. Partendo dal presupposto che ogni intervento dovrebbe essere calibrato sugli elementi distintivi specifici del bambino e quindi individuati ad doc, potrei comunque consigliare alcuni suggerimenti che si possono mettere in pratica da subito. Più persone che interagiscono col bambino li metteranno in pratica pedissequamente più risultati ci saranno. Purtroppo in questo caso c’è la necessità di operare in gruppo proprio perché le manifestazioni ci sono in tutti gli ambiti di vita del minore. L’ambiente diciamo può intervenire sull’intensità e la durata dei sintomi e quindi accrescerli o diminuirli. Le strategie importanti che si possono mettere in pratica nella quotidianità sono due e adesso le vediamo qui di seguito: 1) Stabilire una routine giornaliera.
Come accennavo prima il bambino con questa problematicità fa molta fatica a pianificare, a organizzarsi ecco perché se noi organizziamo la giornata al posto suo, lui si sentirà più al sciuro e più efficace. Le regolarità e le scadenze pattuite lo aiutano a comprendere meglio le situazioni e a renderle più prevedibili. Mi raccomando calibrate bene i tempi, anche in questo caso è importante essere realistici e proporre le varie attività asseconda i tempi di attenzione del bambino. 2) Stabilire quello che si vuole ottenere dal bambino e cosa invece succede se il minore infrange l’accordo. Il bambino fa fatica a immaginare le conseguenze delle sue azioni ecco perché è importante essere chiari a stabilire
richieste. Le regole devono essere semplici, esplicitate con un linguaggio adeguato per l’età del ragazzo, sempre volte al positivo e limitate come numero. Una volta decise e condivise col bambino risulta necessario anche prevedere cosa succederà se non verranno portate a termine. Mi raccomando andiamo per gradualità, cerchiamo di avere una stima realistica di quello che il bambino può fare, ed eventualmente aumentiamo la difficoltà in un secondo momento. Nel caso in cui il minore non porti a termine quanto concordato deve avere già nella sua testa cosa accadrà, io vi suggerisco di evitare di infliggere punizioni vere e proprie ma, eventualmente prestabilire ad esempio la perdita di qualche privilegio o la perdita di qualche attività piacevole. E ora, non mi resta che augurarvi buon lavoro.
*Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675
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I disturbi del sonno
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problemi del sonno di solito comportano conseguenze che hanno, non di rado, ripercussioni sulle funzioni vitali e sulla nostra quotidianità. Il sonno occupa circa un terzo della nostra vita e influisce sul nostro benessere psicofisico, sulle nostre attività fisiologiche e quelle cognitive. Molte persone almeno una volta nella vita hanno sperimentato una difficoltà di qualche genere in questa area. Il disturbo più conosciuto è l’insonnia, ma non è l’unico; rientrano infatti, in questa categoria, tanto per citarne i principali: - Le ipersonnie, - I disturbi sonno- veglia (transitori o permanenti); - E le parassonie. Le ipersonnie ascrivibili appunto a un disturbo del sonno si verificano quando la persona ha una eccessiva sonnolenza. Possono essere di diversa origine ma, la particolarità in comune è
una predisposizione al sonno eccessiva, tanto da verificarsi anche in situazioni inadeguate. Spesso sono legate a altri tipi di disordini medici, il più frequente è la sindrome delle apnee ostruttive o malattia dei grandi russatori. Nella seconda categoria, ovvero nei disturbi sonno-veglia, rientrano tutti quei disturbi in cui si dorme quando si dovrebbe stare sveglio e viceversa. Praticamente l’orologio biologico ( il quale scandisce il ritmo sonno-veglia a livello interno) non coincide con il ciclo luce-buio. Le cause possono essere sia interne (vanno ricercate nel comportamento/abitudini di quella persona) che esterne (dipendono dall’ambiente per esempio il jet lag, oppure il lavorare su turni). Ed infine l’ultima categoria, di solito si manifesta o durante il passaggio tra la veglia e il sonno, o nel sonno vero e proprio ed è rappresentata da un
evento atipico o comunque indesiderato che non è possibile controllare. Il nome tecnico è parasonnie e rientrano in questa categoria il sonniloquio, il sonnambulismo, il disturbo da incubi e il disturbo da terrore. Il disturbo principale, ovvero l’insonnia, più o meno tutti l’abbiamo provata, ed è una insoddisfazione sulla qualità o quantità del sonno. E se non si riesce a prendere sonno o a dormire una quantità di tempo sufficiente e se tale disturbo continua è utile consultare uno specialista che saprà aiutarvi ad individuare le cause e trovare la giusta soluzione. L’insonnia può essere dovuta a diversi e molteplici fattori che possono essere psichiche, neurologiche o mediche o anche comportamentali. Per fortuna la scienza medica e la farmaceutica ci possono aiutare a risolvere i piccoli problemi dell’insonnia perché hanno creato nei vari laboratori farmaci e messo a nostra disposizione rimedi, anche naturali, atti proprio ad evitare questo fastidioso problema. Per esempio la melatonina, sostanza prodotta dal nostro cervello che è il principale ormone regolatore del sonno. Di poi ci sono sostanze note in fitoterapia come la valeriana, la camomilla, la lavanda ecc. In ogni caso è sempre da evitare il famoso “fai da te”. Quindi rivolgersi al medico di fiducia oppure al proprio farmacista per ottenere i giusti e appropriati consigli.
Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta
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Per una vita migliore di Elisa Corni
Tecnologia e sonno La tecnologia permea le nostre vite ogni giorno di più: l’orologio ci avvisa se sono arrivate mail; il telefono ci suggerisce dove andare a pranzo; il computer ci fa lavorare; apparecchiature intelligenti dialogano con noi in casa; i libri e i giornali li leggiamo non più su carta ma sullo schermo dei tablet. Ci sono sicuramente dei vantaggi nel vivere circondati da strumenti digitali capaci di incamerare grandi quantità di informazioni in poco, pochissimo spazio.
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a ci sono anche, come sempre, delle controindicazioni. Per esempio, il rovescio della medaglia di questa lunga esposizione agli schermi è che una delle fasi più importanti della nostra vita quotidiana può risentirne seriamente. È il sonno, quel fenomeno che, usualmente di notte, permette a tutti noi di riposare, ricaricare le batterie e sognare. Ma se il sonno non è fatto a dovere, ci possono essere delle ripercussioni sulla giornata a venire, irritabilità, stanchezza, e nervosismo nel migliore dei casi. Ma, vi domanderete, che c'entrano gli smartphone e i computer con il nostro sonno? Ebbene, l’ultima chiacchierata serale su Whatsapp o la lettura del quotidiano preferito tra i cuscini del letto potrebbero essere la causa del vostro dormire male. E la colpa è tutta della famigerata “luce blu”. Tutti gli schermi dei dispositivi digitali che ci accompagnano letteralmente dalla mattina alla sera emettono una
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particolare luce, dal tenue colore blu, che poco si confà alle nostre necessità di riposare. Molto simile, se ci si fa caso, alla luce che precede il sorgere del sole. Vi sarà capitato di svegliarvi molto presto e assistere alla comparsa, in mezzo a tutto quell’azzurrognolo, dei primi raggi del nuovo giorno. Ecco, il colore della luce emessa dai nostri dispositivi digitali è molto vicina a quella del cielo poco prima dell’alba. Quindi dell’inizio della giornata, non della sua fine. Ed è qui che sta l’inghippo: per migliaia e migliaia di anni la vita dell’uomo è stata regolata dall’alternanza giorno-notte: si va a dormire quando il sole tramonta - e qui la luce tende all’arancio e ai colori caldi in generale e ci si sveglia con l’alba. La luce azzurra, quindi, è indice dell’inizio della giornata, del lavoro: così il nostro sistema nervoso per millenni ha interpretato le variazioni di colore. Gli smartphone e gli schermi li maneggiamo solo da pochi anni e
non ci siamo ancora abituati a questo cambiamento. Il messaggio che ci arriva dal nostro cervello è «svegliati che è giorno!», mentre l’orologio ci direbbe che è arrivato il momento di chiudere gli occhi e abbandonarsi a Morfeo. Il problema è ormai noto, e così si impostano i filtri con i colori caldi la sera, si progettano schermi che virano verso il giallo, si vendono pellicole da occhiali e da schermi. Ma forse la cosa migliore sarebbe abbandonare la tecnologia e tornare al buon vecchio libro. Sulla base degli studi collegati all’insonnia da schermo azzurro, alcune ditte hanno cominciato a produrre luci rosse e calde da mettere sul comodino per favorire il giusto tipo di sonno. Stimolando la melatonina, l’ormone del sonno, questo tipo di apparecchiature aiuterebbero a riposare meglio. Insomma, la tecnologia non è solo nemica del buon riposo, basta sapere come regolarsi.
Salute e benessere di Paolo Rossetti
LA CARIE E LA PULIZIA DEI DENTI
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econdo una statistica, effettuata per verificare lo stato di salute orale dell’infanzia, emerge che circa il 25% dei bambini di età compresa tra i quattro e gli otto anni hanno problemi derivanti dalla carie. Dati allarmanti che devono fare riflettere, specialmente quei genitori che non sempre educano i propri figli ad una corretta igiene orale. E se da un lato la carie nella post adolescenza e negli adulti evidenzia una diminuzione, lo stesso non si può affermare nei bambini che hanno denti da latte o cominciano ad avere quelli permanenti poiché in questi casi si evidenzia un considerevole aumento negli ultimi cinque anni. Per la cronaca, e per meglio avere un quadro generale della situazione, i bambini di 4/5 anni hanno mediamente un 22% di carie in fase iniziale o già conclamata, mentre quelli di età compresa tra i dieci e i dodici quantificano oltre un 40% di carie multiple. La carie, come affermano gli odontoiatri, non è da considerarsi una vera
patologia, ma solo e solamente un qualcosa che si può prevenire sia con una corretta informazione, sia con una buona educazione familiare e sia con periodici controlli odontoiatrici. Ma quali le vera e concrete causa dell’insorgere della carie? Affinchè si possa sviluppare, vengono indicati almeno tre importanti fattori: non corretta alimentazione con la presenza di molto zuccheri o bevande zuccherine; la non rimozione dell’insorgere della placca batterica; una particolare predisposizione individuale del bambino. E quali invece i trattamenti o i consigli
utili per combattere la carie? Innanzitutto abituare i bambini a lavarsi i denti dopo ogni pasto, magari aiutandoli con degli esempi, come fosse un gioco, specialmente quando sono piccoli. Una recente statistica ci dice, purtroppo, che il 40% e più dei genitori non si preoccupa di insegnare ai loro figli questa importantissima operazione; il 10% dei bambini non si lava mai i denti; il 40% li lava tutti i giorni almeno una volta. Il restante 50% pulisce i denti in maniera saltuaria e in maniera sbagliata e irregolare. Di poi un controllo odontoiatrico periodico di almeno una volta l’anno, e in caso servisse, perché non lavando i denti vi è la concreta possibilità di formazione della placca batterica, una mirata pulizia dei denti. In questi anni la fluoro profilassi ha rappresentato un ostacolo ed una pietra miliare contro la carie. Ed oggi, infatti, l’effetto preventivo del fluoro è stato dimostrato essere una delle più potenti barriere contro lo sviluppo della carie.
LA PAROLA AI LETTORI COMUNICATO DI REDAZIONE
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La PAGINA VERDE in collaborazione con
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rosso e porpora, facilmente coltivabile in vaso, che gli antichi indicavano come vero portafortuna per chi ama i fiori e adora circondarsi da essi. Il ciclamino è ideale per il balcone d’autunno perchè bene riesce sopportare le temperature non più estive. In caso di freddo intenso è necessario spostarlo all’interno dell’abitazione o in un angolo del balcone particolarmente riparato. In questa particolare pagina desideriamo dare alcuni piccoli ma importanti consigli per la coltivazione del ciclamino. Innanzitutto il terreno per l’impianto deve essere ricco di sostanze organiche e inserito in vasi di terracotta utili al drenaggio dell’acqua. E a proposito di acqua è bene evitare gli eccessi tenendo presente di non bagnare le foglie e i fiori (vanno
rimossi quelli appassiti) per evitare la formazione di muffe. Buona regola è quella di concimare periodicamente in modo da dare alla pianta le necessarie sostanza nutritive. Ed è bene sapere che come tutte le piante anche il ciclamino è soggetto a particolari malattie quali i funghi, l’oidio, il marciume delle radici ed altre. Da ricordare che il ciclamino è una pianta facilmente propagabile per divisione e quindi è possibile dividere i bulbi di grandi dimensioni e successivamente possono essere facilmente collocati nel terreno o in vaso e quindi ottenere nuove piantine. In ogni caso è sempre da evitare il famoso “fai da te” e quindi è bene rivolgersi a un esperto che saprà indicare le giuste cure e come fare per avere sempre rigogliosa e viva questa “amabile” pianta da balcone.
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’estate è finita e l’autunno è oramai alle porte e con il suo arrivo i fantasmagorici colori che hanno dipinto la nostra natura cambiano e assumono toni e cromie caratteristici di questa stagione. Noi, però, volendo, possiamo fare rivivere e ricreare un piccolo giardino in un angolo della nostra abitazione, Il voluto riferimento è per la possibilità di godere la bellezza del nostro balcone che all’occasione può diventare una quanto mai piacevole zona per il nostro relax quotidiano. Il balcone, piccolo o grande che sia, non necessita di particolare impegnativo lavoro a condizione però di seguire i consigli degli esperti che sono i soli in grado di dare giusto consigli, sia per le piante da impiantare che per le cure e il loro vitale mantenimento. E’ utile sapere che tutte le piante autunnali hanno coloro vividi e caldi, con belle foglie e colori cangianti che danno una allegra visione d’insieme. Per la donna non c’è cosa più bella e piacevole che coltivare tra le mura domestiche piantine e cromatici fiori che infondono allegria e serenità, E tra i piante più indicati e più diffuse e di più facile trattamento e gestione c’è il ciclamino, una pianta vivacissima e davvero unica con fiori bianchi, rosa,
Conosciamo l'Oriente di Chiara Paoli
I Giardini Zen
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uelli che noi oggi definiamo giardini Zen, sono nati in tempi medievali, in quello che è il Periodo Heian, compreso fra 794 e 1185. Il nome originario di questi spazi è karesansui, e i primi, vengono realizzati nei palazzi nobiliari di Kyoto. Il termine karesansui compare per la prima volta all'interno del trattato di giardinaggio intitolato “Sakuteiki”, elaborato nell'XI secolo e significa letteralmente "natura secca". In realtà al tempo non si trattava di un giardino a sé stante, quanto piuttosto di un settore, che si inseriva in un contesto più ampio. È solo nel periodo successivo, quello Muromachi (1336-1573) che il giardino karesansui diviene una tipologia a sé stante, strutturandosi all'interno dei monasteri del buddhismo zen. Da questa collocazione prende perciò il nome di Giardino Zen, così come lo conosciamo noi oggi; ed è dentro le mura del monastero che esso diviene espressione e simbolo di visione cosmica. Il giardino Zen, ha un notevole vantaggio, non necessità di acqua e perciò può essere realizzato anche in zone aride. A volte, però, capita che anche l’acqua entri a far parte di questi luoghi dediti alla meditazione, poiché è simbolo di vita, in questo caso essa deve essere im-
mobile, come avviene nel caso degli stagni, oppure il suo scorrere in pendenza, deve procedere da est verso ovest, accompagnando il levarsi e il calar del sole. Oltre al Karesansui, vi sono altre 3 tipologie di giardini giapponesi: il Kaiyu-shiki-teien, in cui il visitatore deve seguire un percorso immerso in un micro-paesaggio attraverso il quale è possibile scoprire le bellezze naturali che lo compongono. I Roji o “giardini della quarta parete”, giardini rustici creati su un lato delle case del tè, come emblema della fine di un percorso, e i Tsubo-Niwa che si caratterizzano come piccoli cortili, realizzati con rocce, muschio e vegetali, cui si aggiungono piccole vasche, necessarie per detergere le mani. I tradizionali giardini giapponesi possono essere concepiti quali “oasi” dove è possibile ritrovare l’equilibrio psico-fisico; fin dall'antichità giardini Zen miravano a ricostruire scenari immaginari in scala ridotta. Quelli ambìti dalla nobiltà o dagli imperatori erano concepiti per dare piacere all’osservatore, mentre nei templi buddisti servono a favorire la riflessione e la contemplazione, trascendendo dal fine estetico. L’idea di fondo di questa cultura è che il benessere
assoluto è raggiungibile solo attraverso la relazione con la natura, di cui l’essere umano non solo è parte integrante, ma anche in prima istanza custode. Prendersi cura di un giardino zen corrisponde all’aver riguardo per sé stessi e per il proprio spirito, di fatto esso rappresenta il viaggio trascendentale che ci conduce verso l’eternità; è quindi un espediente in grado di ristabilire la pace interiore. Proprio per questo, in questi ultimi anni, nelle case vanno di moda i Bonseki, giardini Zen in miniatura, si tratta per lo più di quelli secchi, i Karesansui, considerato che sono più facilmente riproducibili. Vengono forniti su vassoi di lacca nera riempiti di sabbia bianca, sassi e rocce; per prendersene cura vengono forniti adeguati strumenti, come piccoli rastrelli, piume, rametti e setacci. Il rastrellare la sabbia, dando vita a linee curve continue intorno ai sassolini presenti, è espressione dei pensieri che si fronteggiano e dopo aver percorso molteplici strade differenti, conducono a nuove rappresentazioni, innalzandoci a più sagge riflessioni. Lo stesso suono dei sassolini rimanda al fluire dell’acqua, così come lo scorrere delle idee nella nostra testa.
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Erboristeria e fitoterapia di Armando Munaò
UN MERCATO IN CRESCITA
Dialogo aperto con Faustino Bessegato In questi ultimi due anni e secondo una recentissima indagine statistica, il grande universo erboristico e fitoterapico ha evidenziando una notevole crescita con un aumento acquisti di circa il 6,5%. Un mercato che sempre di più interessa e coinvolge gli italiani che considerano gli e-commerce erboristici tra le opzioni più considerate dal pubblico, sia per la convenienza e la loro qualità e sia per una continua ricerca di prodotti sempre a base naturale. I dati ci dicono che sono oltre tremila le aziende agricole italiane impegnate in questo settore e che le piante officinali utilizzate oggi nel nostro paese per le loro particolari proprietà e per scopi erboristici, farmaceutici e altri settori sono oltre 300. Per saperne di più e per dare una giusta informazione ai nostri lettori, abbiamo intervistato il Sig. Faustino Bessegato, un vero e competente esperto che da anni opera in questo grande e particolare settore, titolare della Phytoitalia con sede a Lentiai, nella zona di Valbelluna.
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ig. Bessegato, ci vuole meglio spiegare quali sono le differenze sostanziali tra erboristeria e fitoterapia? Di fatto vi è pochissima differenza, anche se deve essere spiegato che la fitoterapia usa solo e solamente piante
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officinali. Nella nostra struttura con diversi e opportuni provvedimenti, molte piante possono dare origine a prodotti che possono essere considerate medicinali. Ed è quindi molto importante distinguere una pianta officinale da una medicinale. A tal proposito mi preme sottolineare che nè l'erboristeria nè la fitoterapia si devono sostituire alla medicina tradizionale. Possono però essere, invece, di buon aiuto nella cura di alcune malattie perchè a volte possono potenziare la funzione del farmaco e non di rado togliere anche o mitigare alcuni effetti
collaterali. Ripeto, perché è necessario ribadirlo a chiare lettere: le erbe non possono e non devono mai sostituire le medicine. Chi afferma questo può essere considerato, senza alcun dubbio, un vero “ciarlatano”. Quali, a suo avviso, i comportamenti giusti per effettuare acquisti evitando le fregature? A mio modesto avviso è molto importante affidarsi ad aziende “serie” e certificate che nel loro “modus operandi”, grazie alla conoscenza e agli esperti, seguono e controllano tutta la filiera ovvero dalla nascita della pianta alla consegna del prodotto finito. Ed è buona cosa fare sempre una verifica con un esperto o chi opera in questo mondo. In questi anni il mercato si avvale delle vendite-acquisti
Erboristeria e fitoterapia online. Sono garantite o è meglio acquistare direttamente in negozio? Ogni azienda sceglie le proprie modalità di vendita. La nostra si basa su due modulazioni vendita: quella online, (era il nostro primo metodo di vendita) che essenzialmente è una vendita all'ingrosso tuttora la più gettonata. Poi, per esigenze di mercato, siamo presenti con la vendita al minuto nelle farmacie e alcune erboristerie su richiesta. Quando, come e per quale motivo nasce la sua azienda? La mia azienda di Phytoitalia Nord-Est ( di cui sono responsabile) nasce nel 2011 ed è una delle filiali sparse sul territorio italiano, L'azienda madre Phytoitalia, con sede a Milano, è operante nel mercato italiano da quasi un trentennio. Questa è la derivante da una azienda francese, Cristhian Fenioux, che fa la coltivazione, produzione e lavorazione delle piante attraverso la “ Criotriturazione” quasi in esclusiva da prima degli anni '90. Per fare questo tipo di lavoro,
oltre alla specifica preparazione, competenza e professionalità, quanto influiscono la passione e la voglia di fare? Ha detto bene, quello che muove il proprio lavoro è, indiscutibilmente la passione e la soddisfazione lavorativa. E se mi permette, di là dell’aspetto economico, anche il desiderio di fare qualcosa di utile cercando, nel contempo, di migliorare la vita e il benessere altrui. Le confesso che i miei primi passi nel campo dell’erboristeria e fitoterapia, 45 anni fa) sono stati motivati, perché, a causa di numerose problematiche che mi affliggevano, ho utilizzato le erbe e uno stile di vita appropriato a mio personale vantaggio. Sappiamo che nella sua azienda le erbe e le piante officinali si lavorano con un particolare procedimento.
Sì, è vero. Noi utilizziamo un processo che è chiamato di “criolavorazione che segue, prima la scelta della pianta e poi la lavorazione della stessa a freddo ad una temperatura di circa - 20° che serve a mantenere al massimo l'efficacia e i principi attivi della pianta stessa. Noi non usiamo estratti o derivati bensì tutti i principi della pianta e mi permetta di sottolineare che questo procedimento non è fatto in nessuna parte d’Italia e che secondo la Farmacopea europea la nostra metodologia garantisce il massimo dell'utilizzo della pianta. In Italia c’è qualche azienda che usa e utilizza la triturazione. Lei fa anche consulenza, tiene corsi specifici o informazioni mirate? Di base sono un iridologo naturopata, informatore ed esperto in fitoterapia con particolari e specifiche conoscenze nel campo dell'alimentazione. E quindi, ove utili e su richiesta, posso dare alcuni e credo appropriati consigli su questi particolari campi, ovviamente, senza sostituirmi “MAI” alla scienza medica e farmaceutica.
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Curiosità artistiche di Alice Vettorata
Canapa: la pianta alleata della storia dell’arte L
a riscoperta dei prodotti derivati dalla canapa vede spesso protagonisti i settori legati alla produzione tessile, alimentare e cosmetica, tre ambiti ricchi di informazioni dati i numerosi im-
pieghi delle differenti parti della pianta. Tra i vari altri settori, forse inaspettati, che utilizzano la canapa si conferma quello dell’arte figurativa, disciplina che sfrutta le proprietà di questa cannabacea sin dal XV secolo, e che oggi è possibile vedere protagonista della ricerca artistica di nuovi performer. La canapa nell’ambito artistico è stata sfruttata sia per la realizzazione di tele, colori ad olio e solventi, sia nella sua interezza per la creazione di opere. Le tele utilizzate per essere dipinte con i colori ad olio venivano tradizionalmente prodotte con una fitta trama realizzata in fibre di
lino, canapa o juta, mentre ad oggi le tele più facilmente reperibili sul mercato sono di cotone puro o associato a delle fibre sintetiche, dato il loro basso costo di produzione. Testimone dell’originale composizione delle tele è il termine inglese ancora oggi utilizzato, canvas, derivante dalla parola latina canapa. Nei Paesi Bassi durante la prima metà del XV secolo le tele in canapa iniziarono ad essere un valido alleato dei pittori fiamminghi, i quali le prediligevano per le loro capacità di non compromettere la brillantezza del colore ad olio nel tempo. In Italia il loro utilizzo venne introdotto du-
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Curiosità artistiche rante la seconda metà dello stesso secolo, ma qui le tele in canapa vennero apprezzate anche per un’altra importantissima motivazione oltre alla loro incredibile resa del colore: la loro resistenza. Le tele realizzate con la fibra di canapa infatti non vengono attaccate da muffe e parassiti, né tantomeno dall’umidità, motivo principale per il quale la prima città italiana che abbracciò l’utilizzo della canapa nel settore delle belle arti fu Venezia. Scoprire che le tele prodotte in fibra di canapa e lino permettevano di contrastare i problemi dati dall’umido clima della città lagunare, condusse gli artisti all’abbandono della pittura sulle tavole in legno. Questa scelta ha consentito di far giungere a noi opere che, se fossero state dipinte su un supporto ligneo non avremmo mai potuto ammirare, o perlomeno, non ci sarebbero giunte in condizioni ottimali! Durante il Rinascimento la canapa venne impiegata anche come base per la
realizzazione degli affreschi che decorano la Cappella Sistina, a insaputa del committente Papa Giulio II. Michelangelo infatti, per creare il primo strato d’imprimitura per le celebri scene bibliche si servì di colori all’olio di canapa, grazie ai quali ad oggi è ancora possibile vedere la brillantezza dell’affresco originale, caratteristica che nei dipinti ad olio spesso viene perduta con il passare del tempo. Altri noti artisti predilessero l’utilizzo della canapa soprattutto per i loro autoritratti, come da Vinci e nei secoli successivi anche Rembrandt e Van Gogh, come avvenne nel 1889 per il suo celebre self-portrait. Questi importanti nomi protagonisti dell’arte figurativa hanno agevolato la strada della ricerca artistica a nuove generazioni di pittori e performer che ora più che mai sperimentano con i supporti derivati dalla lavorazione della canapa. Uno dei nomi più celebri al momento è
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quello di Jacques Leo, artista milanese che si serve delle caratteristiche del canapulo per creare opere materiche, capaci di trattare il tema della sostenibilità ambientale e dei numerosi impieghi della pianta in questione. Riscoprire materie prime come la canapa, largamente utilizzata nei secoli precedenti e adattarle al momento storico attuale è la chiave per poter imparare nuovamente a vivere in modo sostenibile, e come da tempi immemori, uno dei mezzi più efficaci per sollevare questioni d’attualità e sensibilizzare gli animi, è l’arte.
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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli
Cambiamenti climatici 2021: IL SESTO RAPPORTO DELL’IPCC
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unedì 9 agosto 2021 l'IPCC (Intergovenrmental Panel on Climate Change) ha pubblicato il primo dei tre volumi del Sesto Rapporto di Valutazione (AR6), nel quale gli scienziati rilevano cambiamenti nel clima della Terra in ogni regione e in tutto il sistema climatico. Molti di questi cambiamenti sono senza precedenti in migliaia, se non centinaia di migliaia di anni e alcuni tra quelli che sono già in atto, come il continuo aumento del livello del mare,
– La basi fisico-scientifiche approvato venerdì 6 agosto da 195 governi membri del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, nel corso di una sessione virtuale che si è tenuta per due settimane a partire dal 26 luglio. I precedenti cinque rapporti erano stati pubblicati nel 1990, 1995, 2001, 2007 e 2013-14, e l'attuale sesto ciclo verrà completato nel 2022 con la pubblicazione dei rapporti degli ulteriori due gruppi di lavoro, dediti a impatto,
sono irreversibili in centinaia o migliaia di anni. Tuttavia, forti e costanti riduzioni di emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra limiterebbero i cambiamenti climatici. Se, da una parte, grazie a queste riduzioni, benefici per la qualità dell’aria sarebbero rapidamente acquisiti, dall’altra, potrebbero essere necessari 20-30 anni per vedere le temperature globali stabilizzarsi. Sono questi alcuni dei principali contenuti del rapporto del Gruppo di lavoro 1 dell’IPCC, Cambiamenti Climatici 2021
adattamenti e vulnerabilità (secondo gruppo) e mitigazione (terzo gruppo). Riscaldamento più veloce Il rapporto mostra che le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono responsabili di circa 1,1°C di riscaldamento rispetto al periodo 1850-1900. Mediamente nei prossimi 20 anni, secondo il rapporto, la temperatura globale dovrebbe raggiungere o superare 1,5°C di riscaldamento. Questa valutazione si basa sulle serie di dati osservati utilizzate per valutare il riscaldamento avvenuto nel passato. Queste
serie di dati sono migliorate rispetto alle analisi precedenti. Allo stesso tempo, il rapporto si basa sui più recenti avanzamenti scientifici nella comprensione delle risposte del sistema climatico alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane. Ogni regione del pianeta affronta cambiamenti che stanno crescendo Molte caratteristiche dei cambiamenti climatici dipendono direttamente dal livello di riscaldamento globale, ma ciò che le persone vivono in prima persona in diverse aree del pianeta è spesso molto diverso dalla media globale. Per esempio, il riscaldamento sulla superfice terrestre è più elevato rispetto alla media globale, nell’Artico è più del doppio. Dalle analisi del rapporto emerge che nei prossimi decenni un aumento dei cambiamenti climatici è atteso in tutte le regioni. Con 1,5°C di riscaldamento globale, ci si attende un incremento del numero di ondate di calore, stagioni calde più lunghe e stagioni fredde più brevi. Con un riscaldamento globale di 2°C, gli estremi di calore raggiungerebbero più spesso soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute. Nei grafici di figura 2 sono mostrati a) Variazione della temperatura del Pianeta (media decennale) dall’anno 1 al 1850 (ricostruzione) e dal 1850 al 2020 (rilevazioni) b) Variazione della temperatura annuale del Pianeta dal 1850 al 2020 (rilevazioni) e le simulazioni che tengono conto degli effetti naturali e dell’attività dell’uomo o solo delle attività naturali (attività solare e vulcanica)
Che tempo che fa
Ma la temperatura non è l’unico elemento in gioco. I cambiamenti climatici stanno portando molti cambiamenti in diverse regioni, e tutti aumenteranno con un ulteriore riscaldamento. Questi includono cambiamenti nei valori dell’umidità, nei venti, nella neve e nel ghiaccio, nelle aree costiere e negli oceani. Per esempio: I cambiamenti climatici stanno intensificando il ciclo dell’acqua. Questo porta, in alcune regioni, piogge più intense e inondazioni ad esse associate, in molte altre regioni porta a siccità più intense. I cambiamenti climatici stanno influenzando gli andamenti delle precipitazioni. Alle alte latitudini, è probabile che le precipitazioni aumentino, mentre ci si attende che diminuiscano in gran parte delle regioni subtropicali. Sono attesi cambiamenti nelle precipitazioni monsoniche, con variazioni nelle diverse regioni. Per le aree costiere ci si attende un continuo aumento del livello del mare per tutto il XXI secolo che contribuirebbe a inondazioni costiere più frequenti e gravi nelle aree basse rispetto al livello del mare e all’erosione delle coste. Eventi estremi riferiti al livello del mare che prima si verificavano una volta ogni 100 anni, entro la fine di questo secolo potrebbero verificarsi ogni anno. Un ulteriore riscaldamento intensificherà
lo scioglimento del permafrost, la perdita della copertura nevosa stagionale, lo scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare, e la perdita del ghiaccio marino artico estivo. I cambiamenti nell’oceano quali il riscaldamento, le più frequenti ondate di
calore marino, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei livelli di ossigeno in mare sono stati chiaramente collegati all’influenza umana, si legge nel rapporto. Questi cambiamenti influenzano sia gli ecosistemi marini che le persone che dipendono da essi, e continueranno almeno per il resto di questo secolo.
Per le città, alcuni aspetti dei cambiamenti climatici possono risultare amplificati. Tra questi, le ondate di calore (le aree urbane sono di solito più calde dei loro dintorni), le inondazioni dovute a forti precipitazioni e l’aumento del livello del mare nelle città costiere. Il Sesto Rapporto di Valutazione fornisce una valutazione dei cambiamenti climatici su scala regionale più dettagliata rispetto al passato. Per la prima volta il rapporto include un focus sulle informazioni utili per valutazione del rischio, l’adattamento e altri processi decisionali che sono di aiuto nel tradurre i cambiamenti fisici del clima – calore, freddo, pioggia, siccità, neve, vento, inondazioni costiere e altro – nei loro significati più diretti per le società e per gli ecosistemi.
Queste informazioni regionali possono essere esplorate in dettaglio nel nuovo Atlante interattivo (https:// interactive-atlas.ipcc.ch/), dove sono disponibili anche schede sulle regioni, il riassunto tecnico e il rapporto che è alla base del materiale fornito.
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Giornata mondiale della Gratitudine di Nicola Maschio
L’importanza di dire “Grazie”
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ra il 1965, ma la parola “grazie” esisteva già da parecchio tempo. Eppure, per sottolineare quanto sia importante il suo significato, solo il 21 settembre di quell’anno (precisamente alle Hawaii) si pensò d'istituire quella che poi sarebbe passata alla storia come la “Giornata della Gratitudine”. L’idea è semplice: la parola “grazie” racchiude tante cose, dalla gentilezza all’educazione, dall’empatia alla cortesia. È un modo forte e diretto per dimostrare vicinanza ad un’altra persona, per riconoscere l’importanza rispetto a quanto si è ricevuto. Inoltre, ci sono anche alcuni aspetti particolarmente significativi del ringraziare gli altri: si pensi ad esempio alla ricerca di Robert Emmons, dell’Università
della California, che ha scoperto come la gratitudine impatti sull’essere umano in un modo straordinario, riducendo del 23% il livello di stress e del 7% i sintomi di infiammazione nei pazienti con insufficienza cardiaca. Lo stesso dottor Emmons, unitamente al collega Michael McCullough, condusse poi ulteriori esperimenti: in particolar modo, i due chiesero ad alcuni volontari di scrivere una serie di note ed appunti, ogni giorno per parecchie settimane; i gruppi in tutto furono tre, con uno di questi composto da persone che riportavano solo fatti positivi, uno invece solo quelli negativi ed il terzo ed ultimo gruppo riportava indistintamente episodi di ogni genere. Il risultato? Coloro che decisero
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LLUNO ED OLTRE 90 FESTIVO
Giornata mondiale della Gratitudine di concentrarsi sugli aspetti positivi delle loro giornate, videro incrementare il loro livello di ottimismo e soddisfazione, come conseguenza dell’essere grati nei confronti di qualcosa o di qualcuno, sviluppando poi una maggiore resistenza fisica in termini di salute, recandosi in meno occasioni dal medico. Inoltre, combatte la depressione, diminuisce la pressione sanguigna e può impattare sulla qualità del sonno, migliorandola, così come sembra favorire notevolmente le capacità di apprendimento e giudizio. Essere grati permette di instaurare rapporti di fiducia, relazioni interpersonali solide, ottenendo spesso il rispetto di chi sta dall’altra parte o, quantomeno, di non causare effetti negativi come sospetto o disprezzo. Questo ovviamente nel caso in cui la parola “grazie” non venga usata in tono sarcastico o fuori luogo, magari per evidenziare una qualche mancanza o dimenticanza. Ancora, uno stato d’ani-
mo caratterizzato dall’essere disposti a ringraziare ed essere “aperti” con chi ci sta attorno influenza positivamente l’umore, migliora la salute ed impatta addirittura sull’efficienza lavorativa, rendendo infatti più sereno l’individuo. Ancora, gli studi pubblicati da The Journal of Psychology e quelli condotti dalle dottoresse Blaire e Rita Justice dell'University of Texas - Health Science Centre, hanno confermato che che la gratitudine apporta notevoli benefici fisici e psicosociali, soprattutto relativamente a salute, umore e legami. Addirittura, hanno spiegato gli esperti dell'University of Birmingham "La lista di potenziali benefici è circa infinita: meno errori di giudizio, efficaci strategie di apprendimento, più supporto verso le persone, maggiore fiducia in sé stessi,
migliore approccio al lavoro, rinforza la resilienza, diminuisce la sofferenza fisica, influisce positivamente su salute e longevità". Insomma, quello che oggi in tanti conoscono come il World Gratitude Day sarà un appuntamento molto importante per la nostra salute psico-fisica. Essere grati infatti sembra comportare, in modo scientifico e comprovato, una migliore qualità della vita.
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LA PATENTE NAUTICA, TIPI E RINNOVO
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a patente nautica è il documento che abilita il cittadino maggiorenne al comando di unità da diporto. È rilasciata a seguito di esame dagli uffici della motorizzazione civile, dalle Capitanerie di porto o dagli uffici circondariali marittimi. Le patenti nautiche che oggi si possono ottenere, ovviamente dopo i relativi esami, sono: Categoria A: comando e quindi condotta di natanti e imbarcazioni da diporto aventi una lunghezza fino a 24 metri. Le patenti di Cat. A si dividono poi in: patente entro le 12 miglia - che permette di condurre natanti e imbarcazioni fino a 24 metri di lunghezza senza limiti di potenza; la patente nautica senza limiti che permette di condurre natanti e imbarcazioni abbattendo però il vincolo della distanza dalla costa. Categoria B: comando e quindi condotta di navi da diporto aventi una lunghezza superiore a 24 metri.
PRATICHE VEICOLI
Categoria C: direzione nautica di natanti e imbarcazioni da diporto per disabili e portatori di handicap. La patente nautica ha una validità di 10 anni, mentre per i cittadini di età superiore ai 60 anni è di 5 anni. La patente nautica, dopo la sua scadenza, si può rinnovare in qualsiasi momento perché non esiste limite massimo di tempo per farlo e quindi la sua validità sarà ripristinata nel momento del rinnovo. Per il rinnovo patente nautica occorre produrre un certificato medico sanitario, che secondo le nuove normative può essere rilasciato oltre che da una struttura sanitaria pubblica (es. ASL), anche presso le agenzie di pratiche auto come per il rinnovo della patente.
Trasferimenti di proprietà e immatricolazioni Radiazione per esportazione veicoli Consulenze e pratiche per il trasporto di merci conto terzi e conto proprio Nazionalizzazione veicoli provenienti dall’estero
PATENTI
Occorrerà poi presentare il certificato presso lo stesso Ufficio che ha rilasciato la patente (UMC o C.P.) anche tramite un’agenzia di pratiche auto, la quale provvederà al rinnovo del documento. Importante sapere che chiunque conduca un'unità con patente nautica scaduta è soggetto alla sanzione amministrativa da 207€ a 1033 €.
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Gli eroi della guerra di Andrea Casna
Josef Josi Kiss,
«Il Cavaliere del cielo» Era chiamato così per via del suo comportamento leale e cavalleresco perché cercava sempre di risparmiare la vita all'avversario. Al momento della sua morte, in combattimento, nel 1918, nei cieli di Lamon (nel Feltrino), aveva al suo attivo ben 113 missioni di guerra con 19 vittorie. Volava su un Albatros D.III dipinto di nero con una grande 'K' raffigurata su entrambi i lati delle ali.
È
Josef Josi Kiss, asso dell'aviazione austroungarica, nato a Bratislava 26 gennaio 1896 (morto Lamon, 24 maggio 1918). La sua è stata una carriera incredibile. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, nel 1914, Kiss abbandona gli studi ginnasiali per partire volontario nell'esercito di Francesco Giuseppe d'Austria. Nell'ottobre del 1914 entra a far parte del 72º Reggimento di Fanteria dell'esercito austro-ungarico, e inviato sul fronte orientale in Galizia contro le armate dello Zar di Russia. Ferito gravemente in battaglia viene rimandato a casa per un periodo di recupero. Ed è durante la convalescenza che si avvicina, con ambizione e curiosità, al mondo dell'aviazione facendo quindi domanda per entrare nell'arma aerea. Nell'aprile 1916 riceve il brevetto e il diploma di sergente pilota per essere poi assegnato alla nuova squadriglia aerea Flik 24 stanziata lungo il fronte italo-austriaco al Cirè di Pergine in Valsugana. Nella tarda primavera dello stesso anno Kiss compie la sua prima missione di volo sull'altopiano dei Sette Comuni e poi nell'area tra il bellunese e il Friuli. La prima operazione bellica avviene il 20 giugno 1916 colpendo un aereo italiano. Il 25 agosto l'aereo pilotato dal giovane Kiss infligge una serie colpi ad un bombardiere italiano Caproni Ca.33, del Capitano Gaetano Coniglio della 5ª Squadriglia, costringendolo ad atterrare in emergenza sull'aeroporto di Cirè. E le vittorie di questo asso dell'aviazione austroungarica proseguono senza sosta. Il 17 settembre attacca, sempre nei
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cieli del Trentino, un bombardiere Caproni Ca.3, pilotato dal capitano Filippo Valdimiro: anche in questo caso il capitano è costretto ad atterrare oltre le linee nemiche, ma a Chizzola, in Vallagarina. Il 10 giugno 1917 a bordo di un Hansa-Brandenburg D.I Kiss abbatte un caccia italiano Nieuport sul cielo di Asiago. Grazie a queste vittorie Kiss diventa un "Asso" dell'aviazione", entrando a far parte della Kaiser Staffel (ovvero squadrone imperiale), dotata di velivoli Albatros D.III. In mancanza di titoli di studi, e per le sue umili origini familiari, non può accedere alla nomina di ufficiale. E con il suo aereo da caccia continuò i suoi successi in combattimento ricevendo otto medaglie, ottenendo, nei successivi due mesi e mezzo, fino al gennaio 1918, ulteriori dodici vittorie aeree, di cui otto in missioni di guerra. Il 25 gennaio 1918 K vien ferito all'addome in un duello aereo, fra Asiago e Val d'Assa, contro l'asso italiano Silvio Scaroni. Kiss è
quindi costretto ad effettuare un atterraggio di emergenza a Ciré dove, svenuto e sanguinante, viene trasferito presso l'ospedale militare da campo nei pressi di Trento. Il 24 maggio 1918, non ancora del tutto guarito dalla ferita, Kiss, con altri due commilitoni, parte dal campo d'aviazione di Cirè per quella che sarà la sua ultima missione. Durante il combattimento, che vede impegnati tre aerei austro-ungarici e i nove aerei britannici, Kiss si trova ad affrontare da solo sei velivoli avversari. Kiss muore per un colpo al petto: il velivolo precipiterà avvolto dalle fiamme oltre le linee italiane. La sua salma verrà ricomposta da alcuni fanti del Regio Esercito e cavallerescamente consegnata alle truppe austro-ungariche. A ventiquattro ore dalla morte l'imperatore Carlo I lo promosse a Tenente della riserva: caso unico nella storia dell'Imperiale-Regio esercito austro-ungarico. Durante la commemorazione funebre, nell'aeroporto di Cirè, gli alleati gli diedero i massimi onori delle armi ed aerei italiani, francesi e britannici, lanciarono dal cielo una corona commemorativa, appesantita da una chiave inglese, recante la scritta: «Il nostro ultimo omaggio per il nostro coraggioso avversario». Josef Kiss venne in seguito sepolto a Pergine Valsugana. La fidanzata di Kiss, una ragazza di Pergine, Enrica Bonecker, visitò ogni giorno la tomba dell'amato per i successivi cinquantadue anni, fino alla sua morte. Nel 1970 la salma fu traslata al Sacrario militare di Castel Dante di Rovereto.
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