Feltrino News n. 9/2021 Settembre

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Conosciamo l'Oriente di Chiara Paoli

I Giardini Zen

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uelli che noi oggi definiamo giardini Zen, sono nati in tempi medievali, in quello che è il Periodo Heian, compreso fra 794 e 1185. Il nome originario di questi spazi è karesansui, e i primi, vengono realizzati nei palazzi nobiliari di Kyoto. Il termine karesansui compare per la prima volta all'interno del trattato di giardinaggio intitolato “Sakuteiki”, elaborato nell'XI secolo e significa letteralmente "natura secca". In realtà al tempo non si trattava di un giardino a sé stante, quanto piuttosto di un settore, che si inseriva in un contesto più ampio. È solo nel periodo successivo, quello Muromachi (1336-1573) che il giardino karesansui diviene una tipologia a sé stante, strutturandosi all'interno dei monasteri del buddhismo zen. Da questa collocazione prende perciò il nome di Giardino Zen, così come lo conosciamo noi oggi; ed è dentro le mura del monastero che esso diviene espressione e simbolo di visione cosmica. Il giardino Zen, ha un notevole vantaggio, non necessità di acqua e perciò può essere realizzato anche in zone aride. A volte, però, capita che anche l’acqua entri a far parte di questi luoghi dediti alla meditazione, poiché è simbolo di vita, in questo caso essa deve essere im-

mobile, come avviene nel caso degli stagni, oppure il suo scorrere in pendenza, deve procedere da est verso ovest, accompagnando il levarsi e il calar del sole. Oltre al Karesansui, vi sono altre 3 tipologie di giardini giapponesi: il Kaiyu-shiki-teien, in cui il visitatore deve seguire un percorso immerso in un micro-paesaggio attraverso il quale è possibile scoprire le bellezze naturali che lo compongono. I Roji o “giardini della quarta parete”, giardini rustici creati su un lato delle case del tè, come emblema della fine di un percorso, e i Tsubo-Niwa che si caratterizzano come piccoli cortili, realizzati con rocce, muschio e vegetali, cui si aggiungono piccole vasche, necessarie per detergere le mani. I tradizionali giardini giapponesi possono essere concepiti quali “oasi” dove è possibile ritrovare l’equilibrio psico-fisico; fin dall'antichità giardini Zen miravano a ricostruire scenari immaginari in scala ridotta. Quelli ambìti dalla nobiltà o dagli imperatori erano concepiti per dare piacere all’osservatore, mentre nei templi buddisti servono a favorire la riflessione e la contemplazione, trascendendo dal fine estetico. L’idea di fondo di questa cultura è che il benessere

assoluto è raggiungibile solo attraverso la relazione con la natura, di cui l’essere umano non solo è parte integrante, ma anche in prima istanza custode. Prendersi cura di un giardino zen corrisponde all’aver riguardo per sé stessi e per il proprio spirito, di fatto esso rappresenta il viaggio trascendentale che ci conduce verso l’eternità; è quindi un espediente in grado di ristabilire la pace interiore. Proprio per questo, in questi ultimi anni, nelle case vanno di moda i Bonseki, giardini Zen in miniatura, si tratta per lo più di quelli secchi, i Karesansui, considerato che sono più facilmente riproducibili. Vengono forniti su vassoi di lacca nera riempiti di sabbia bianca, sassi e rocce; per prendersene cura vengono forniti adeguati strumenti, come piccoli rastrelli, piume, rametti e setacci. Il rastrellare la sabbia, dando vita a linee curve continue intorno ai sassolini presenti, è espressione dei pensieri che si fronteggiano e dopo aver percorso molteplici strade differenti, conducono a nuove rappresentazioni, innalzandoci a più sagge riflessioni. Lo stesso suono dei sassolini rimanda al fluire dell’acqua, così come lo scorrere delle idee nella nostra testa.

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