Premiata Salumeria Italiana 4-2023

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 4 Luglio-Agosto 2023 € 6,70

LA BRESAOLA RICCA DI SAPERE

SAPERE

/sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze.

Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

PAGANONI.COM

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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

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EURO ANNUARIO CARNE 2023

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.

Edizione 2023

Copia cartacea: € 95,00

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 3
23
4/
€ 6,70
In questo numero: Agenda Bra (CN) – Albareto (PR) 12 La copertina esplosa Salame di Suino Nero Piemontese in cera d’api di Chiapella Salumi 14 Dietro al banco Tre domande a Davide Cecconi Elena Benedetti 16 Immagini Carpegna DOP, gusto e sofficità 18 Tendenze L’importanza del design nel food packaging 20 Premiata Salumeria Italiana, 4/23 5 A pagina 74. N. 4
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70
Salumi & Co. Vintage e Tradizione – Bottega green – Bag, usare e riusare – We lov Gin 22 Fotografati e mangiati Salamino all’Amarone della Valpolicella DOCG – Biscotti con latte d’asina 24 Chips di peperone crusco – Nocciole ricoperte con cioccolato bianco Suggestioni dal mondo Portogallo, Prado Mercearia – UK, un’idea per la zona vini 26 Brevi storie di cibo lento Non sono un salame Alessia Morabito 30 a velocità contemporanea Attualità L’Italian sounding ci ruba 120 miliardi di euro 32 Il food in rete Social food 36 Aziende Dolce come il miele Gaia Borghi 38 Storie di gusto: Epta per la nuova salumeria di Lernia 40 Maccheroncini di Campofilone IGP del Pastificio Marcozzi Smeralda, il mare nel piatto Sebastiano Corona 46 Luxardo 200 anni di storia di una famiglia e del maraschino Gian Omar Bison 52 La Qualità Prosciutto di Carpegna DOP territorio, conoscenza, garanzie 56 Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, una questione di tempo 60 Latte fieno STG Riccardo Lagorio 62 Il buono secondo Lara Girando l’Italia a suon di prosciutti Lara Abrati 68 Premiata Salumeria Italiana, 4/23 6 Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 4 Luglio-Agosto 2023 € 6,70
A pagina 46.
In
copertina: buona estate con il salame di Suino Nero Piemontese in cera d’api di Chiapella Salumi.
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 8 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Visual Scaffali e dintorni Elena Benedetti 72 Premiate Salumerie Italiane Bottega moderna col cuore nella tradizione Elena Benedetti 74 Strumenti Il coltello da prosciutto Nunzia Manicardi 80 Prodotti tipici La dolce manna che non piove dal cielo, ma dai frassini delle Madonie Chiara Papotti 83 Analisi del food Api, non solo miele Giovanni Ballarini 86 Differenze tra “affettati vegetali” e veri salumi 88 Locali di gusto Premiata famiglia Fais Sebastiano Corona 90 Quando una stella muore Riccardo Lagorio 96 Fiere Arriva SANA 2023 100
A pagina 52.
A
A pagina 62.
pagina 90.
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 10 www.premiatasalumeriaitaliana-online.com Il gusto di camminare Il Cammino d’Abruzzo Elena Simonini 104 Lo chef dell’olio Evolover in viaggio Fabrizio Bertucci 108 Formaggio L’estate ha più sapore con la qualità europea del 110 Pecorino Romano DOP Vino Le Morette Gian Omar Bison 114 Il Grasparossa è Cru Federica Cornia 118 Turista del vino, identikit 122 Tecnologie Quattro obiettivi strategici realizzabili con l’ERP CSB-System 124 Track Alimenti: innovazione e tutela del settore alimentare 128 Tre Libri The Food Store – Genova | Tavole – Il mondo del pane 132
A pagina 108. A pagina 118. A pagina 83.

AGENDA

Bra (CN)

Cheese, il più grande evento mondiale dedicato ai formaggi a latte crudo — evento organizzato, fin dalla sua prima edizione (questa sarà la 14a), dall’associazione Slow Food e dalla Città di Bra (CN)— tornerà dal 15 al 18 settembre. Quattro giorni con protagonisti caci, tome e tutte le altre forme del latte possibili, con una sola regola: che siano naturali, cioè ottenuti con latte che non ha subito trattamenti termici come la pastorizzazione. Nella cittadina piemontese, da sempre la casa di Slow Food, si riunirà nuovamente un popolo di pastori, casari, affinatori e appassionati che vedono nei latti e nei formaggi molto più di un alimento: un modo di intendere la natura, i prati e i pascoli, l’allevamento, la vita stessa.

Protagonista assoluto di Cheese è il mercato: centinaia di espositori provenienti da ogni angolo d’Italia e da decine di Paesi propongono al pubblico delizie straordinarie che evidenziano come da tre ingredienti — latte, caglio e sale — si possano ottenere migliaia di prodotti unici. Per uno spuntino veloce tra una conferenza e l’altra, oppure per la sera, ci sono food truck che propongono le specialità italiane del cibo da strada e i birrifici artigianali. E poi i Laboratori del Gusto, per avventurarsi tra sapori e abbinamenti più o meno noti, e gli Appuntamenti a tavola. cheese.slowfood.it

Albareto (PR)

Appuntamento dal 29 settembre al 1o ottobre ad Albareto (PR) con la 26a edizione della Fiera Nazionale del Fungo Porcino . È ai piedi del monte Gottero, fra i pendii della via Francigena e al crocevia fra EmiliaRomagna, Liguria e Toscana, che cresce il prezioso IGP di Borgotaro, un prodotto di qualità superiore tutelato dal 1993, ed è ad Albareto che al fungo è dedicato anche un museo, inaugurato lo scorso anno, ultimo nato nella rete dei Musei del Cibo.

La Fiera Nazionale del Fungo Porcino di Albareto da oltre una decina d’anni è gemellata con la Fiera del Tartufo Bianco di Alba (CN), in calendario dal 7 ottobre al 3 dicembre (fieradeltartufo. org). Per questo, oltre alle delizie micologiche, alla manifestazione arriveranno anche le lusinghe del prezioso tubero e non mancheranno aziende delle Langhe a portare in esposizione le specialità di un altro territorio ricco di gusto (photo © Francesca Bocchia). fieradialbareto.it

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 12

Dall’1 al 3 settembre torna il Festival del Prosciutto di Parma

Torna, dall’1 al 3 settembre, il Festival del Prosciutto di Parma, una grande festa per conoscere e degustare il miglior Prosciutto di Parma e apprezzare le bellezze culturali e naturalistiche dei suoi luoghi d’origine. Tre giorni per celebrare il Re dei Prosciutti in un calendario ricco di appuntamenti all’insegna della gastronomia, dello spettacolo e della cultura. Sul sito del Festival a breve il programma completo.

>> Link: festivaldelprosciuttodiparma.com

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sinfonia
Una
di prelibatezze

LA COPERTINA ESPLOSA

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori DALSALUMIFICIOALLASALUMERIANONSTOP Anno XXXV N. 4 Luglio-Agosto 2023 14 Autorizzazione del Consorzio Prosciutto di Parma del 21D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N Anno XXXV N. 4
Premiata Salumeria Italiana, 4/23

Dal Salumificio Chiapella di Clavesana (CN), importante realtà artigianale delle Langhe condotta con passione dalla famiglia Chiapella, ecco un prodotto realizzato con un macinato a grana grossa di carne selezionata solo dai tagli pregiati di capi di Suino Nero Piemontese. La sua particolarità? È rivestito da cera d’api biologica, un rivestimento naturale che protegge il salame dopo il periodo della stagionatura e che conferisce al prodotto un profumo e un sapore davvero unici. Il prodotto quest’anno ha conquistato anche il prestigioso Golosario Award 2023. Vi raccontiamo tutto a pag. 38.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 15

TRE DOMANDE a Davide Cecconi

Formazione, empatia, esposizione: conosciamo DAVIDE C ECCONI da anni. Grande professionista, molto stimato, porta avanti l’attività di famiglia nel piccolo comune di Ceccano, nel Frusinate. Con passione e professionalità nel tempo ha apportato notevoli miglioramenti all’attività, rendendola competitiva ed elevandola ad un livello imprenditoriale; il tutto, però, con la stessa genuinità di cinquant’anni fa.

È un butcher conosciuto e riconosciuto a livello mondiale anche grazie alla sua consolidata presenza nella Nazionale Italiana Macellai, che ha gareggiato nel World Butchers’ Challenge del 2018 in Irlanda del Nord, a Belfast (UK), e del 2022 a Sacramento (USA).

Oggi il suo negozio è indubbiamente un punto di riferimento per chi sceglie di mettere in tavola una carne buona e di qualità e di riscoprire il gusto dell’autentica gastronomia locale. Grande

attenzione è anche data ai prodotti di norcineria: «siamo specializzati nella vendita di salumi senza glutine e dei migliori insaccati prodotti nel territorio di Frosinone».

Quanto è cambiata la tua professione (di salumiere) negli ultimi 10 anni?

«Non è la professione che è cambiata, c’è stata proprio una metamorfosi che ha portato ad un cambiamento profondo a 360° sotto il profilo della competenza. Il nostro mestiere è cambiato tantissimo perché oggi il macellaio, il salumiere, studia, si mette in gioco, ci mette la faccia, per portare avanti la filosofia che ritiene vincente. Perché è sicuro di sé, nonostante sia sempre pronto a migliorare. Ecco, tutta questa competenza, questa continua ricerca e formazione noi la mettiamo a disposizione del nostro cliente.

Ogni volta che un cliente entra in negozio io gli spiego qual è il nostro modo di lavorare, quali sono le no-

stre scelte. La concorrenza intorno a noi è fortissima: siamo circondati da realtà che fanno la guerra dei prezzi ma a noi una guerra sul prezzo non interessa affatto.

Quando il cliente arriva in bottega dobbiamo capire innanzitutto le sue esigenze e poi consigliarlo considerando le sue aspettative, con l’onestà del non volerlo per forza indirizzare verso i tagli più costosi. Il nostro compito è sempre quello di soddisfare le sue richieste suggerendogli il prodotto migliore per lui, che può essere anche un taglio meno nobile ma di alta resa in base alla sua richiesta. E io quel taglio glielo devo spiegare, così come devo indicargli la maniera migliore di prepararlo, di cucinarlo, una ricetta che lo valorizzi.

La mia vendita ha alla base un rapporto di fiducia, una fiducia che non si compra ma si conquista un po’ per volta, attraverso una relazione diretta incentrata su credibilità e stima. Al clien-

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 16 DIETRO AL BANCO

te io devo dare attenzione, coccolarlo, e questo perché il nostro lavoro noi lo facciamo con competenza e professionalità ed abbiamo il dovere principe di “spiegare” a chi viene nel nostro negozio, quindi ci sceglie e sceglie di spendere da noi il suo denaro.

Oggi dobbiamo quindi essere sempre pronti e formati a dare dei consigli: per questo motivo ho organizzato una serie di corsi di formazione per i miei collaboratori. Voglio che un mio collaboratore sia in grado di servire il cliente come se lo stessi servendo io! Per questo serve un processo educativo e di studio affinché chi lavora con me si senta pronto e professionale nella corretta gestione del cliente.

La nostra professione sta assumendo un profilo che tende sempre più alla managerialità, per i tanti conti di bilancio e attività da saper gestire. Per questo è sempre più importante avere un team compatto e unito da motivare e moderare».

Cosa cercano oggi i clienti?

«Io rappresento la quarta generazione in macelleria: la nostra filosofia commerciale è sempre stata fondata sulla qualità e chi viene da noi cerca solo qualità. Qualità, professionalità, servizio e pulizia sono le quattro chiavi, gli elementi fondanti della nostra attività. Quello poi che ricerca il cliente dipende anche dal periodo e dalla stagionalità, come ad esempio il periodo pasquale o il Natale. Ma da noi vengono in tanti anche ad acquistare prodotti già pronti, solo da cuocere. Ricca è infatti la nostra offerta di prodotti gourmet e in grande sviluppo la sezione dei prodotti di gastronomia».

Quanto è importante l’esposizione dei prodotti, dentro e fuori dal banco?

«Questo terzo punto io lo trovo fondamentale. Oggi non si acquista più per fame. Scelgo quel prodotto perché lo ritengo buono: è l’occhio che mi dà l’input all’acquisto. Il prodotto

deve essere accattivante all’interno del banco, che non deve essere monocromatico ma colorato. Sempre nell’ottica di miglioramento del servizio, stiamo iniziando a fare anche confezioni sottovuoto con una shelf-life di 7-8 giorni per dare un servizio in più ai nostri clienti.

Non ultimo, tutti i tagli anatomici devono essere belli, muniti di cartellino tecnico e di cartellino dei prezzi. Guai ad avere paura a comunicare i prezzi al cliente perché l’eventuale imbarazzo o disagio sarà subito percepito andando così a minare quella fiducia che è alla base di tutto».

Macelleria Norcineria

Salumeria Gastronomia Cecconi

Via Anime Sante 43

03023 Ceccano (FR)

Telefono: 0775 601892

E-mail: info@macelleriacecconi.com

Web: macelleriacecconi.com

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 17

Nato in una terra di confine tra la Romagna e le Marche, regione di appartenenza del comune omonimo dove viene prodotto, il Prosciutto di Carpegna DOP, pur riconoscendosi tra i crudi dolci, rimane leggermente aromatico. Si distingue per il colore, delicatamente ambrato, e la sofficità della fetta all’assaggio. Potete leggere di più a pagina 56.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 18 IMMAGINI

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
ph: Franceschini Vincenzo

L’importanza del design nel food packaging

Nel corso degli ultimi anni il packaging alimentare ha acquisito sempre più importanza. Per un’azienda, infatti, progettare un packaging personalizzato che sia attraente equivale ad un aumento delle vendite. Pensateci: siete annoiati, temporeggiate davanti allo scaffale mentre con gli occhi cercate distratti il vostro prossimo acquisto. Che sia una tavoletta di cioccolato o una bottiglia di vino, il vostro sguardo finirà quasi sempre sulla scatola o l’etichetta più interessante. Non è così? Le soluzioni di food packaging devono proteggere il contenuto, essere facili da riporre negli scaffali e da distribuire. Devono poi fornire informazioni utili ed essere in grado di attirare l’attenzione su uno scaffale pieno di prodotti dello stesso genere. Insomma, devono gridare: “Sceglici!” al cliente indeciso. Un packaging mediocre non sarà in grado di differenziarsi dalla concorrenza e potrebbe, quindi, rappresentare un ostacolo nella vendita (fonte: “Food packaging: una questione di gusto” di ALEKSANDRA OWCZAREK, packhelp.it; in foto, il pack di biscotti con latte d’asina della marchigiana I Sette Artigiani. I biscotti sono stati felicemente degustati e fotografati in Redazione. Come potete leggere nell’approfondimento a pag.24).

TENDENZE
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 20

il gusto di casa in ogni momento

Soave e Soavius

100% ARTIGIANALE SENZA CONSERVANTI PRODOTTO NATURALE SUINO NATO E ALLEVATO IN ITALIA

tradizione Vintage e

Le scatole dal sapore vintage sono un elemento che arricchisce la bottega con colori e forme. Ma anche con quell’idea di tradizione e artigianalità tipiche del nostro Paese e delle sue tante espressioni regionali. Qui in foto una tipica scatola siciliana per contenere pasta di marzapane, costruita artigianalmente in Sicilia (costumidisicilia.com). Un’idea per box personalizzati di prodotti selezionati, perfetti per un cadeau originale.

GREEN

Sì al green, no agli sprechi e largo al cibo buono, semplice e salutare. Questi elementi delineano il nuovo consumatore secondo quanto emerso da un recente report di Cortilia. Anche in salumeria c’è voglia di green e magari un angolo con vasetti di erbe aromatiche pronti da portare a casa insieme alla spesa di salumi, formaggi e pasta è una bella idea. Semplicissima e poco costosa, da realizzare e di sicuro impatto in bottega.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 22 SALUMI & CO.
BOTTEGA

usare e riusare BAG,

È la tipica borsa che le nostre nonne facevano all’uncinetto e usavano al mercato per la spesa, bell’esempio di riuso all’infinito che oggi è tornato di moda in mille colori e impieghi. La borsa di rete si trova a prezzi molto contenuti e può essere un’idea per la shopper da regalare alla clientela. Perfetta per l’estate!

“Gli anni passano, ma il gin resta. Ancora una volta il distillato di ginepro si conferma al primo posto nella classifica degli spirits più consumati al mondo”: scriveva qualche tempo fa iconmagazine.it. La presenza di tanti produttori di gin al salone fiorentino Taste 2023 ha confermato un’offerta decisamente ampia, con prodotti dal packaging accattivante per colori e design. Un angolo gin in bottega può essere un’idea per quel target di clientela a caccia di spirits per un aperitivo estivo con gli amici. E la t-shirt è un giusto elemento di arredo (questa su lappe.it a 25 euro).

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LOVE GIN We

Salamino all’Amarone della Valpolicella DOCGBiscotti con latte d’asina

“La collezione dei Salamini Bazza nasce con l’intento di rinnovare e proporre in un formato più accattivante e pratico il nostro classico salame naturale, frutto della più autentica tradizione contadina della Bassa padovana. Li facciamo stagionare lentamente, almeno un mese e mezzo, per poi impacchettarli uno ad uno in una pratica confezione sottovuoto, in modo da preservarne la morbidezza, i sapori e i profumi a lungo. Abbiamo mantenuto la stessa storica ricetta: una ricetta antica tramandata di padre in figlio. Li prepariamo con i migliori tagli di carne, 100% italiana, di cui utilizziamo solo tagli pregiati come coscia e pancetta. Non aggiungiamo conservanti, glutine e lattosio per garantire un prodotto sano e genuino. La classica ricetta è stata, tuttavia, impreziosita da ingredienti che possono ricordare i profumi tipici del nostro Paese, ma anche evocare sapori di terre lontane”.

Il Salumificio Bazza di Terrassa Padovana è un’impresa a conduzione familiare che produce solo salami naturali. Di questa linea noi abbiamo assaggiato il salamino all’Amarone DOCG, il rosso più pregiato della Valpolicella e uno dei più importanti vini italiani. “Qui i tipici sapori del salume si fondono con l’aroma rotondo e fruttato del vino, dando vita ad un prodotto pregiato dal gusto unico ed elegante”.

>> Link: salumibazza.it

Gli ingredienti di questi buonissimi biscotti sono: farina tipo 0, latte di asina, zucchero di canna, burro, uova, agente lievitante. “Il latte utilizzato per i nostri biscotti è prodotto da asine allevate allo stato semibrado negli Appennini nel totale rispetto del benessere animale. Per comporre il nostro biscotto utilizziamo pochissimi ingredienti, proprio per non alterare le peculiarità del latte d’asina”.

I Sette Artigiani, due generazioni di fornai al lavoro, nasce nel 1995 a Colmurano, in un piccolo paese delle Marche, grazie alla passione per il territorio e la buona tavola delle sorelle RITA e CRISTINA e dei rispettivi mariti. Con l’ingresso della seconda generazione, l’azienda ha subito un radicale cambiamento che ha visto un restyling del marchio e la creazione di un nuovo packaging che esprima al consumatore la qualità e l’attenzione riservata al prodotto. L’attuale mission aziendale prevede la realizzazione di prodotti di qualità adottando un ciclo produttivo completamente manuale, garantendo impegno e accuratezza in ogni fase di lavorazione. E il packaging della confezione è bellissimo (in foto a pag. 20).

>> Link: isetteartigiani.it

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FOTOGRAFATI E MANGIATI

Si chiamano Crusky e sono chips fritte di peperone crusco. “I peperoni cruschi sono un’opera d’arte della cucina lucana, così croccanti e così fragili da frantumarsi appena posti sulla lingua, trasformandosi in coriandoli di sapore che mettono in festa le papille gustative”. In barattolo o in pack, già fritti, sono perfetti per l’aperitivo.

Ottimi anche in cucina, danno un tocco in più ai primi piatti. Disponibili nel formato da 50 e 30 g ed in busta da 100 g. Sono prodotti a Policoro (MT) da ge • nu • í • no, “un progetto che nasce e germoglia in Basilicata, una terra bellissima e da sempre legata alla vita contadina; un luogo in cui la cucina tradizionale è motivo di orgoglio e le ricette semplici, che resistono nel tempo, sono la prova tangibile che un’idea genuina non può che essere fortunata”. L’oro rosso lucano si fa contemporaneo.

>> Link: genuinoe.com

Nocciole ricoperte con cioccolato bianco

I dragées Amandula, “confetti” composti da una ricopertura e da un ripieno, nascono dal connubio tra la migliore frutta secca italiana e il pregiatissimo cioccolato Callebout nelle sue varianti: fondente, al latte, al gusto caramello e ruby. A queste si aggiunge la variante unica del cioccolato fondente aromatizzato con olio essenziale di bergamotto, proveniente dal territorio di Reggio Calabria. Noi in Redazione abbiamo assaggiato le nocciole ricoperte con cioccolato bianco. “Una peculiare mescolanza di sapori, che sa esaltare il gusto delicato e inconfondibile di tutte le materie prime senza dover ricorrere all’aggiunta di aromi artificiali o all’utilizzo di coloranti. La selezione artigianale delle migliori nocciole italiane sapientemente tostate e ricoperte con pregiatissimo cioccolato bianco belga”. Il sapore del cioccolato è cremoso con note di caramello e vaniglia in perfetto equilibrio. L’abbinamento con le nocciole armonico e delicato, ideale per i palati che ricercano gusti raffinati.

Amandula è il brand del laboratorio artigianale Caracciolo, fondato a Brancaleone (RC) nel 1965 da GIOVANNI CARACCIOLO e CATERINA LAGANÀ.

>> Link: amandula.com

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Chips di peperone crusco

Siamo una Redazione facilmente “suggestionabile”, nel senso che quando andiamo in giro, per lavoro o piacere personale, oppure ci perdiamo nei meandri del magico mondo del web, ci piace farci “suggestionare” dalle proposte più creative e originali che propongono/ espongono le botteghe alimentari, salumerie, macellerie e gastronomie in Italia e nel mondo. E a partire da questo numero le nostre migliori “suggestioni” le condividiamo volentieri con voi!

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 26 SUGGESTIONI DAL MONDO
Portogallo, Prado Mercearia di Lisbona, wine bar e bistrot, pavimento di ceramica stile vintage, arredi in legno, stile rétro, illuminazione semplice (photo © facebook.com/petitepassport).
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 27
UK, un’idea per la zona vini. Arredo semplice ma d’effetto. A Londra presso Brawn, Neighbourhood Restaurant & Store (photo © themodernhouse.com).
È un’idea
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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

Non sono un salame

di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

S.è un mio collega ed è stato licenziato. S. ed io non eravamo amici quando è successo, solo stimati conoscenti, ed una simpatia a pelle agevolata dal fatto che fosse arrivato a Modena proprio per l’apertura di questo ristorante, e per un “forestiero” attaccarsi al lavoro diventa un puro istinto di sopravvivenza per sentirsi meno soli.

Esistono il talento e l’esperienza. I talenti sono un dono della natura e riconoscerseli addosso prima che valorizzarli è spesso difficoltoso. L’esperienza disciplina il talento e spesso lo sostituisce in maniera virtuosa e con sensibilità.

Il mestiere del cuoco ogni tanto è sovrastimato, fatto passare per arte. Per me è un artigianato altamente specializzato e come tra bravissimi e appassionatissimi falegnami, orafi, sarti, ecc… ogni tanto nasce un artista

Sia chiaro che gli artisti sono pochi. Gestire i costi, le conservazioni in frigorifero, il servizio, insegnare ai colleghi, organizzarne e supervisionarne il lavoro, ha poco della poesia dell’artista.

Non conosco i talenti di S. ma leggendo il suo CV vengono le vertigini: Arnolfo, Mugaritz, giusto per citarne due, e se non fosse per il suo carattere mite e riservato, lo sguardo aperto e sorridente, potrebbe mettere soggezione. Dovrebbero annoverare la capacità di non abbattersi nei talenti più desiderabili.

Quando ho saputo del licenziamento ho sentito male per immedesimazione.

Non mi interessano i motivi. Mi interessa che S. rimanga in zona e non si bruci perché questo lavoro lo ama e con la sua bravura ed esperienza eleva la professionalità di tutti noi colleghi.

Ho pensato che coinvolgerlo a chiamata negli eventi catering fosse una buona idea: attivo ma saltuario, ben pagato, un lavoro attinente ma diverso e quindi stimolante, di organizzazione ma anche esteticamente soddisfacente, per dare tempo a tristezza e delusione di fare il proprio corso senza perdere energie.

Ed è così, tagliando Salame Felino gomito a gomito quasi ogni sabato, allestendo alzate in argento e banchetti luculliani tra un Ginori ed un cristallo che ci scambiamo le nostre considerazioni sulla ristorazione e sulla vita, col nostro idealismo positivo non scevro da analisi disincantate.

Felino è un comune nelle prime colline dell’Appennino tosco-emiliano. Il suo salame è tanto antico da essere rappresentato all’interno del Battistero di Parma per mano di Benedetto Antelami nel XII secolo e con molta probabilità si faceva anche prima di quell’epoca.

La sua produzione affianca da sempre quella del Prosciutto di Parma, le polpe migliori di spalla, pancetta e rifilature magre vengono macinate grosse e conciate.

Viene insaccato ancora a mano e messo a stagionare. Il microclima è lo stesso del Prosciutto di Parma. Sembra che fosse consumato cotto fino alla metà del ’700.

Si dice che il Salame di Felino sia il Principe dei salami. Nel 2013 è stato riconosciuto prodotto IGP

La tradizione vuole che venga affettato con un taglio inclinato di 60° per mostrarne la grana.

A Felino c’è il Museo del Salame ed io son pronta ad andare, magari con S. per festeggiare la prossima fine della stagione dei matrimoni con salame e calice di vino.

Il mio compagno dice «tutte le cose hanno una fine, ma il salame ne ha due».

Io nelle due punte del salame vedo non due fini ma due inizi, come vedo S. pronto ad un reset e ad una nuova stagione di vita.

È con questo pensiero che costruisco un’amicizia con S., credendo in lui, accogliendo le sue paure ed incertezze e guardandolo con la curiosità di quando aspetti un fiore sbocciare.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 30
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 31

L’ITALIAN SOUNDING CI RUBA 120 MILIARDI DI EURO

È il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo

Sale a 120 miliardi di euro il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo. È questo l’allarme lanciato da COLDIRETTI durante la recente edizione di Tuttofood Milano (8-11 maggio 2023), anche attraverso l’esposizione in un’area del Padiglione 1 della top ten del made in Italy tarocco a tavola, con tanto di classifica delle più grottesche imitazioni delle specialità nazionali scovate in tutto il mondo che tolgono spazio e valore sui mercati ai veri pro-

dotti tricolori. Sia chiaro: l’industria del falso made in Italy a tavola è diventata un problema planetario. Per colpa del cosiddetto Italian sounding nel mondo oltre due prodotti agroalimentari tricolori su tre sono falsi, senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo Coldiretti ci sarebbero i formaggi, a partire da Parmigiano Reggiano e Grana Padano, con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali.

Russia regina

del made in Italy tarocco

La vera novità del made in Italy tarocco, secondo Coldiretti, è oggi rappresentata dalla Russia: con la guerra in Ucraina e l’embargo agli scambi commerciali che ha vietato l’esportazione a Mosca di un’importante lista di prodotti agroalimentari, si è diffusa nel Paese una fiorente produzione di imitazioni del made in Italy a tavola. Il risultato è che in molti territori sono sorte fabbriche specializzate nella produzione di imi-

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 32 ATTUALITÀ

tazione dei formaggi e salumi italiani per sostituire quello originali. Il sindacato russo dei produttori lattiero-caseari, Soyuzmoloko, ha stimato che la produzione di formaggio russo è quadruplicata, raggiungendo 47 miliardi di rubli, pari a oltre 553 milioni di euro, di cui una discreta fetta è rappresentata proprio dai prodotti “simil italiani” come il Parmesan. Addirittura i produttori di formaggio russi hanno espresso fiducia che la Russia possa iniziare a produrre Parmigiano di alta qualità da esportare attivamente in 5-7 anni. All’interno delle stesse aziende, informa Coldiretti, si producono anche Montasio, Pecorino, mozzarella e ricotta e sui mercati si trovano mascarpone, robiola made in Russia, diversi tipi di salame Milano, scamorze e pizza Sono Bello “Quatro” formaggi, con tanto di errore grammaticale.

Italian sounding anche in USA

Se la Russia è il Paese dove il falso made in Italy è cresciuto di più, la leadership produttiva di questa (poco onorevole) classifica è nelle mani degli Stati Uniti dove, secondo Coldiretti e Filiera Italia, il fenomeno delle imitazioni di cibo tricolore è arrivato a rappresentare oltre 40 miliardi di euro, un terzo in valore dell’intero mercato dai tarocchi. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in USA sono, in realtà, realizzati in Wisconsin, California e New York: dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Secondo Coldiretti, la produzione di imitazioni dei formaggi italiani nel 2022 ha raggiunto negli USA il quantitativo record di oltre 2,7 miliardi di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack, che è risultata nello stesso anno pari a 2,5 milioni di chili. Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche come l’olio Pompeian made in USA e i salumi più prestigiosi, dalle imitazioni di Parma e San Daniele alla mortadella Bologna o al salame Milano venduto in tutti gli Stati Uniti.

Il Sudamerica tarocca soprattutto i formaggi Anche in Sudamerica il fenomeno, già diffuso, rischia di essere ulteriormente spinto dall’accordo di libero scambio MERCOSUR, che obbliga di fatto prodotti come Parmigiano e Grana a convivere per sempre con le “brutte copie” sui mercati locali, dal Parmesan al Parmesano, dal Parmesao al Reggianito fino al Grana.

Prosecco tarocco

Tra gli “orrori a tavola” rilevati da Coldiretti non mancano i vini: dal Chianti al Prosecco, che non è solo la DOP al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova, mentre in Brasile, nella zona del Rio Grande, diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione Prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del MERCOSUR (fonte: EFA News – European Food Agency).

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Pietro D’Angeli è il nuovo presidente di ASS.I.CA.

Lotta al sommerso, riduzione dell’IVA sui prodotti di salumeria dal 10 al 4%, incremento dell’internazionalizzazione, interventi più efficaci per riuscire ad eradicare la PSA dal nostro Paese: il nuovo corso di ASS.I.CA. (Associazione Industriali Delle Carni e Dei Salumi) targato Pietro D’Angeli, neoeletto alla presidenza, riparte da questi capisaldi. Nel corso dell’assemblea annuale dell’associazione, svoltasi il 15 giugno scorso, il passaggio di consegne tra il presidente uscente, Ruggero Lenti, e il suo successore, è stata l’occasione per fare il punto sull’andamento del settore che dopo il periodo pandemico si è trovato subito a fare i conti con l’esplosione dei primi casi di PSA (Peste Suina Africana) registrati ad inizio 2022 tra la Liguria e il Piemonte, a cui si sono uniti gli aumenti dei costi delle materie prime e di quelli energetici oltre al rialzo dell’inflazione: un insieme di criticità che ha messo a dura prova il comparto, penalizzato anche dalla mancata esportazione di prodotti verso Paesi che all’indomani della scoperta dei primi casi di PSA rinvenuti su carcasse di cinghiale hanno deciso di bloccare le importazioni, determinando un danno economico che ASS.I.CA., da subito, ha stimato in 20 milioni di euro per ogni mese di mancate esportazioni.

Calo della redditività

«L’aumento dei costi produttivi ha superato il 25% — ha dichiarato D’Angeli nel suo primo intervento come presidente di ASS.I.CA. — a cui si deve aggiungere un tasso inflattivo che solo nel primo trimestre di quest’anno ha toccato quasi l’8%. Le nostre aziende, nel lodevole tentativo di calmierare i prezzi per non colpire i consumatori, hanno scaricato in maniera molto contenuta sul mercato questi aumenti, determinando però una contrazione dei margini di guadagno e quindi della redditività aziendale, causando a cascata problemi di liquidità con tutte le conseguenze che questo può voler dire per un’impresa. Oggi, poi, con l’aumento dei tassi di interesse, l’accesso al credito per le aziende medio-piccole sta rappresentando un’altra importante discriminante che mina la redditività. E senza redditività non c’è futuro».

Quali le vie da percorrere per trovare una soluzione efficace ai problemi che attanagliano le aziende?

Secondo Pietro D’Angeli si deve partire da azioni concrete perché il segnale, da parte del Governo, deve arrivare forte e chiaro. A iniziare dalla riduzione dell’IVA sui prodotti della salumeria italiana che dovrebbe passare dal 10 al 4%. «Questa misura sarebbe in grado di ridare ossigeno sia ai produttori che ai consumatori — ha sottolineato D’Angeli — i primi potrebbero registrare margini di guadagno meno risicati, i secondi non sarebbero penalizzati da un minor potere d’acquisto. Si tratta di un provvedimento che potrebbe essere adottato da subito equiparando il nostro settore ad altri dell’agroalimentare

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che già beneficiano di un’IVA al 4%. Subito dopo non posso che pensare all’internazionalizzazione, strumento che nel breve periodo potrebbe dare respiro alle aziende puntando sul grande appeal che l’agroalimentare made in Italy vanta a livello mondiale, a cui si uniscono come elemento di valore aggiunto l’ampliamento delle gamme di prodotti offerti indirizzati a rispondere a consumatori sempre più attenti all’autenticità, ad un regime alimentare equilibrato, alla sostenibilità nel rigoroso rispetto della nostra tradizione alimentare».

Durante il convegno svoltosi successivamente all’assemblea, sono state presentate in anteprima due ricerche che ASS.I.CA. ha commissionato a Ismea sulla distribuzione del valore lungo la filiera.

L’intervento di Fabio del Bravo, responsabile direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea, ha puntualizzato gli obiettivi della ricerca, ricordando che «la pressione sul mercato suinicolo resta ancora piuttosto alta — ha dichiarato — e nonostante il progressivo ma parziale rientro dei prezzi delle materie prime energetiche e dei costi di alcuni dei principali componenti alimentari, la ridotta disponibilità di carne suina a livello europeo mantiene i listini su livelli elevati».

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1. Salumeria in blu

Si chiama così la bottega di Maria Fiorenza Fellone a Pescara, che offre un’ampia selezione di prodotti di salumeria abruzzese, nazionale e anche estera. La gastronomia con piatti pronti completa l’offerta. Bravissima sui canali social, con una comunicazione diretta ed efficace. Noi la seguiamo su instagram.com/lasalumeriainblu. Disponibile anche lo shop on-line su lasalumeriainblu.com (facebook.com/lasalumeriainblu).

2. Mortadella Bologna IGP sempre più digital

Grande soddisfazione da parte del Consorzio Mortadella Bologna IGP per i risultati conseguiti nella comunicazione web e social. Il percorso è iniziato due anni fa con il restyling completo della brand identity, nuovi nome, logo e strategia di comunicazione basata sul potenziamento della brand awareness con un diverso posizionamento, unico e distintivo della Mortadella Bologna IGP. Il tutto tra restyling del sito mortadellabologna.com, per una miglior esperienza di fruizione, riorganizzazione dei social media e lavoro con influencer (in foto il Torinese, panino creato da Daniele Reponi con nocciolini di Chivasso).

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SOCIAL di Elena
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FOOD

3. Volpetti, salumeria moderna

Si chiama Volpetti e da oltre 40 anni è sinonimo di eccellenza gastronomica a Roma Testaccio. Su volpetti.com è attivo lo shop che offre salumi, formaggi, tantissimi vini e drogheria, quest’ultima con condimenti, aceto, olio, conserve e molto altro ancora. Ciascun prodotto è presentato da una scheda ben fatta che racconta caratteristiche e origine di quel dato alimento. Dall’anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio ai capperi di Salina, dal Pecorino Romano DOP alla Cecina de León IGP, ogni prodotto è raccontato con la stessa cura riposta da chi serve dietro al banco.

4. RAGU, patrimonio da salvaguardare

Un lavoro di ricerca bellissimo? Si chiama RAGU, è l’acronimo di Reti e Archivi del Gusto ed è un progetto che rende fruibili i ricettari delle famiglie dall’Ottocento a oggi. Mila Fumini ha raccolto 120 ricettari che raccontato la storia del paese tramite la cucina di casa. Tra vecchi quaderni, istruzioni per la spesa e libretti in bella grafia, l’archivio ora è digitale. Da seguire su facebook.com/raguretiearchividelgusto

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Benedetti
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DOLCE COME IL MIELE

ÈLUI il protagonista della nostra copertina di LuglioAgosto 2023: il salame in cera d’api di Suino Nero Piemontese firmato da Chiapella Salumi «Un prodotto innovativo ma al tempo stesso tradizionale» mi racconta alla recente edizione di Tuttofood Milano mentre osservo la loro nuova “creazione” ALESSANDRO CHIAPELLA, proprietario insieme alla famiglia (oggi alla quarta generazione in azienda) dello storico Salumifi cio Chiapella di Clavesana (CN), specializzato nella produzione di salumi tipici del territorio langarolo e di tante, tantissime altre specialità norcine della tradizione regionale del nostro Belpaese. Ma il rivestimento in cera d’api biologica in effetti ancora mancava…. Si tratta di una particolare metodologia di conservazione completamente naturale in cui mi è capitato d’imbattermi raramente nel variegato mondo della salumeria, venendo scelta da piccole realtà artigianali sparse qua e là per l’Italia, Romagna soprattutto, pur presentando diversi vantaggi proprio in termini di conservazione del prodotto, a partire dal profumo, intenso e decisamente piacevole. «Tutto nasce dall’idea di valorizzare ulteriormente uno dei prodotti più preziosi ed esclusivi della nostra produzione, ovvero le carni di Suino Nero Piemontese, un’antica razza recuperata nella sua purezza da pochi anni anche grazie all’impegno della nostra famiglia» prosegue Alessandro.

Nero Piemontese, Nero di Cavour, Nero di Piemonte sono i nomi con cui è conosciuta questa razza suina che si caratterizza per il mantello nero e la cute colore ardesia, la mascherina facciale bianca e i “calzini” bianchi delle zampe anteriori. Animali dalla crescita lenta, con una massa che può arrivare a superare i 200 kg, allevati allo stato semibrado in una bellissima tenuta non distante da Carrù, liberi di muoversi tra boschi e prati nutrendosi di ciò che la natura offre loro.

Con le loro carni, oltre ai tagli classici, richiestissimi dagli chef di fama nazionale e internazionale del Piemonte e non solo con cui la famiglia Chiapella collabora da tempo, vengono prodotti uno straordinario prosciutto crudo e il salame, in budello naturale e, appunto, ultima novità, con rivestimento in cera d’api.

Maiali e api

Perché proprio la cera d’api? «Dai racconti del nonno Antonio è una vecchia tradizione che si usava in campagna quando non c’era la possibilità di conservare i cibi con i moderni metodi del sottovuoto» prosegue nel suo racconto Alessandro Chiapella.

«La conservazione doveva avvenire in modo sano, senza che il salame si rovinasse, per offrire un prodotto sempre di qualità come appena fatto. La cera d’api crea infatti un rivestimento naturale che protegge il salame dopo

il periodo della stagionatura, evitando al contempo che essi assumano odori o sapori sgradevoli: se il salume è integro può essere conservato tranquillamente fuori frigo e, quando viene iniziato, lo si può riporre in frigorifero senza ulteriori accorgimenti. La protezione di cera evita il rapido essiccamento del prodotto, garantendo la possibilità di fare scorte di salumi senza avere timore di dover accelerare i tempi di consumo o di spreco del prodotto.

Ultimo, ma non ultimo, volevamo creare per questa nostra produzione così pregiata un packaging che fosse completamente biologico e biodegradabile: anche questo è un piccolo passo nella direzione della salvaguardia dell’ambiente».

Ma non è finita qui. «Io credo che nulla accada per caso — prosegue Alessandro —, perché il destino ci ha fatto incontrare Joanne ed Enrico, i “custodi” dei nostri maiali neri e proprietari della tenuta in cui gli animali vivono, anzi, convivono… con le api: Joanne e Enrico, infatti, prima di entrare a far parte con noi in quest’avventura fantastica dei suini neri del Piemonte, sono soprattutto due apicoltori Doc!».

Molto morbido al taglio, il salame di Suino Nero Piemontese Chiapella resta saporito all’assaggio, con un leggero retrogusto di miele. Golosissimo.

>> Link: www.chiapellasalumi.it www.ilnerochiapella.it

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AZIENDE
Il salame in cera d’api realizzato con le carni del Nero Chiapella

L’idea di Chiapella Salumi del Salame di Nero Piemontese in cera d’api è stata molto apprezzata anche dal critico gastronomico Paolo Massobrio che, ad aprile, ha premiato il prodotto per la sua originalità nella categoria “Salumi” con il Sol&Agrifood-ilGolosario, riconoscimento arrivato alla sua 13a edizione e nato per esaltare le eccellenze emergenti dell’agroalimentare italiano in mostra durante la manifestazione veronese. «Un vero onore e una grande soddisfazione veder riconosciuta la qualità di questa razza eccelsa. Una garanzia di scelte naturali al 100% che, unita alla nostra passione, ci hanno portato al raggiungimento di questo importantissimo riconoscimento!» ha commentato Alessandro Chiapella.

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STORIE DI GUSTO: EPTA PER LA NUOVA SALUMERIA DI LERNIA

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Per l’apertura della terza salumeria di famiglia (Salumeria Gastronomia Di Lernia – Storie di cibo dal 1932, Corso Vittorio Emanuele 121, Trani), i Di Lernia si affidano all’expertise di EPTA, con l’obiettivo di coniugare uno stile moderno con il fascino di un’antica bottega alimentare. Uno spazio che, a partire dal concetto tradizionale di negozio specializzato, si trasforma in un vero e proprio luogo di convivialità, in cui la qualità e la genuinità delle referenze sono al primo posto.

Era il 1932 quando il nonno Pietro decise di avviare una piccola attività nel centro storico di Trani, Puglia. Uno store che, grazie alla grande dedizione e costanza del signor Di Lernia, ha accolto gli abitanti della cittadina per quasi un secolo. Dagli anni ’70 all’arrivo del nuovo millennio, il punto vendita ha saputo reinventarsi continuamente e

oggi è il nipote a proseguire la storia. Nasce, così, una seconda salumeriagastronomia dove farsi consigliare dallo staff sui migliori prodotti oppure sedersi a tavola per godersi le specialità del giorno e i taglieri, insieme ad un buon calice di vino.

Un ambiente caldo e familiare dà il benvenuto alla clientela, il cui sguardo è catturato fin da subito da Bistrot, il banco refrigerato di Eurocryor, marchio del Gruppo Epta, realizzato su misura per esprimere l’identità visiva del negozio. Un mobile connotato da linee pulite e da una trasparenza totale grazie ai vetri extrachiari, suggerito per donare continuità all’esposizione gastronomica, assicurando al contempo la migliore conservazione e visibilità delle referenze.

Vantaggio del banco è, inoltre, la sovrastruttura, che consente ai Di Lernia di ampliare l’offerta con una selezione

complementare di prodotti da abbinare ai pregiati salumi e ai formaggi locali. Completa l’arredamento il verticale a temperatura positiva SkyView Plus di Bonnet Névé, posto di fronte a Bistrot e dedicato alla presentazione di alimenti preconfezionati, in armonia con il look dello store.

Un vero e proprio spazio del gusto, nonché punto di riferimento per gli amanti della buona cucina, in cui vivere un’esperienza culinaria unica con prodotti di altissima qualità, freschi e genuini. Con Epta, tecnologia, sapori e design si mixano, per dar vita alla ricetta perfetta per un’attività di successo

>> Link: www.eurocryor.com

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MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE IGP DEL PASTIFICIO MARCOZZI

STORIA, TRADIZIONE, TERRITORIO E QUALITÀ

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Tra tutte le varietà di pasta che oggi si possono scoprire nel nostro ricchissimo patrimonio culinario, troviamo anche dei fili dorati sottilissimi definiti “Capelli d’angelo”, talmente sottili da sciogliersi in bocca. Scopriamo come sono i Maccheroncini di Campofilone IGP del PASTIFICIO MARCOZZI

La storia dei maccheroncini nasce nel cuore dell’Italia, nelle Marche. Nel piccolo borgo medievale nell’attuale provincia di Fermo, a Campofilone Una cittadina famosa per le vergare che lavoravano la pasta a mano; un rituale da eseguire la domenica, diventato così una tradizione da tramandare, nata dall’esigenza di conservare le uova, in quanto in primavera le galline depongono molte più uova rispetto alle altre stagioni. Questo ha ispirato l’ingegno delle vergare di Campofilone a realizzare la pasta in casa e poi ad essiccarla all’aria aperta.

I maccheroncini di Campofilone hanno una lunga storia: la tradizione pastaia di Campofilone inizia infatti secondo leggende popolari-gastronomiche parlate e scritte sin dal 1400, dove in una particolare ricetta si citano i “Maccheroncini fini fini”. Mentre i primi documenti certi che si riferiscono a questa pasta come “capelli d’angelo” risalgono al Concilio di Trento del 1560, serviti in una ricetta. Qui i maccheroncini vengono ricordati “così sottili da sciogliersi in bocca”

Sono anche citati nei quaderni di cucina che le famiglie nobili del 1700 e 1800 facevano compilare dai cuochi di casa per fornire le ricette preferite ai futuri cuochi sostituti. Un esempio sono i quaderni di cucina di case nobili degli

STELLUTI SCALA e CONTI VINCI

Una delle testimonianze ancora più interessanti proviene proprio dai quaderni del poeta marchigiano GIACOMO

LEOPARDI, il quale elenca tre modi diversi in cui preferisce i prodotti pastai di Campofilone, che riporta in promemoria per il suo cuoco.

Nel 1931 la prima guida italiana realizzata ad opera del TOURING CLUB, e precisamente nell’articolo 6, cita i Maccheroncini di Campofilone come prodotto tipico del borgo medievale sito in provincia di Ascoli Piceno, documentando così l’esistenza di un legame

forte tra la specialità gastronomica ed il suo paese di origine: “I Maccheroncini di Campofilone si distinguono con decisione dalle altre paste alimentari per la sottigliezza della sfoglia ed il taglio fi nissimo. Tali caratteristiche consentono al prodotto un ridottissimo tempo di cottura pari ad uno/due minuti, nell’acqua bollente o direttamente nel condimento”.

E, dal 1999, gli autentici Maccheroncini di Campofilone sono riconosciuti come prodotto tipico-tradizionale dalla Regione Marche, diventando così il prodotto principe della tradizione artigiana campofilonese: genuinità, tradizione, gusto e sapore.

L’anno cruciale è il 2013, quando, il 13 novembre, i Maccheroncini ottengono il riconoscimento IGP – Indicazione Geografi ca Protetta . È un marchio comunitario che viene attribuito a prodotti agricoli, alimenti o vini e che garantisce la loro provenienza locale. I Maccheroncini di Campofilone diventano così l’unica pasta all’uovo italiana che può vantare questo prestigioso riconoscimento.

Per poter mantenere tale riconoscimento dell’IGP, il pastificio Marcozzi di Campofilone segue attentamente un rigido Disciplinare di produzione in cui sono stabiliti scrupolosamente tutti i dettagli relativi all’ottenimento del prodotto alimentare e contiene tutte le specifiche, dove uno dei requisiti fondamentali è la produzione dei Maccheroncini solo ed esclusivamente nel territorio di Campofilone (delimitazione della zona geografica), nonché la prova dell’origine e gli elementi che comprovano il legame con l’ambiente.

«Il Disciplinare è volto a preservare la tradizione dei Maccheroncini di Campofilone IGP — dicono al Pastificio Marcozzi — e per noi la tradizione viene prima di tutto, perché la ricetta secolare deve essere tramandata inalterata di madre in figlia», così come segue:

• solo uova fresche italiane (35% sul totale) da galline italiane allevate a terra;

• solo la migliore semola di grano duro 100% italiano per un prodotto più pregiato;

• rigorosamente senza l’aggiunta di acqua

Anche il poeta marchigiano Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837), all‘interno di una sorta di promemoria messo all’attenzione del cuoco di casa, elenca tra i suoi 49 piatti più desiderati ben tre modi diversi in cui preferisce i prodotti pastai di Campofilone.

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In alto: per poter mantenere l’IGP, il Pastificio Marcozzi segue un rigido Disciplinare di produzione in cui sono stabiliti tutti i dettagli relativi all’ottenimento del prodotto.

In basso: i tradizionali Maccheroncini di Campofilone IGP con ragù di carne.

A pagina 45: Maccheroncini di Campofilone IGP Bio, fiore all’occhiello della gamma Marcozzi.

La Marcozzi, da sempre attenta ai dettagli, rispetta il procedimento nei minimi dettagli in quanto necessari per donare alla pasta un aspetto ruvido e poroso, ideale per legarsi bene ad ogni condimento.

La sfoglia dei Maccheroncini di Campofilone IGP è sottilissima, inferiore a 0,7 mm, il che garantisce una maggiore velocità di cottura, un gusto delicato e un’alta digeribilità. La stesura a mano su fogli consiste nel disporre manualmente i fili di pasta su fogli di carta con la lama di un coltello, rispettando il metodo artigianale e la lavorazione delle vergare di Campofilone. I fili dorati sottilissimi vengono predisposti su dei caratteristici foglietti alimentari di carta e i bordi dei fogli vengono poi piegati per proteggere il prodotto, pronti per la fase successiva dell’essiccazione, un processo lungo e graduale: almeno 36/48 ore a bassa temperatura 28°-54°. Infine, due foglietti di pasta all’uovo essiccata vengono inseriti manualmente all’interno dell’astuccio. Le caratteristiche peculiari dei Maccheroncini di Campofilone IGP

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del Pastificio Marcozzi si traducono in:

* alta resa in cottura, superiore di circa il 30% per la pasta all’uovo fresca e del 20% rispetto alle altre paste all’uovo essiccate; infatti, con soli 250 grammi di pasta si ottengono 4 porzioni;

* tempi di cottura ridotti, bastano solamente 1-2 minuti per gustarli;

* lavorazione prettamente artigianale, curata ed attenta, come quella “fatta in casa”.

«Il nostro grande impegno nel rispetto dell’ambiente è volto a proteggere ciò che ci circonda» dichiara la responsabile commerciale & marketing BARBARA

MARCOZZI. «Per produrre la nostra pasta utilizziamo soprattutto energia rinnovabile proveniente dal nostro impianto fotovoltaico e il nostro imballaggio è riciclabile al 100%, la sua “finestra” è in PLA, una plastica biodegradabile trasparente, prodotta da zucchero di canna o da glucosio».

Ogni anno, nel centro storico di Campofilone, si celebra questa tradizione con la Sagra nazionale dedicata

appositamente ai Maccheroncini di Campofilone IGP organizzata dalla pro loco di Campofilone. Grazie a questo evento è possibile degustarli secondo la ricetta tradizionale con ragù di carne, ma sono ottimi conditi anche con altre salse o semplicemente con olio extravergine di oliva ed una spolverata di parmigiano.

Il fiore all’occhiello del Pastificio Marcozzi sono i Maccheroncini di Campofilone IGP BIO , per esaltare maggiormente la genuinità del prodotto con l’utilizzo del migliore grano biologico dai campi solo ed esclusivamente italiani. «Oggi la nostra pasta è conosciuta ed apprezzata anche all’estero, simbolo della tradizione, di una pasta fatta come una volta, della convivialità in famiglia. Rimane vivo il ricordo delle mani sapienti di nostra nonna Adelina che ci ha insegnato tutto l’amore per ogni singolo filo di pasta. Tutto il nostro sapere lo tramandiamo oggi con passione e proteggiamo con cura come un dono prezioso da valorizzare sempre di più» afferma la famiglia Marcozzi.

>> Link: www.marcozzidicampofilone.it instagram.com/pastamarcozzi

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Smeralda, IL MARE NEL PIATTO

Specialità che ha attraversato i secoli con alterne fortune, la bottarga nasce come cibo dei pescatori, piatto povero da consumare nei lunghi viaggi, per poi divenire pregiata ed elitaria, la cui qualità si è elevata nel tempo

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In alto: nella bottarga, per ottenere omogeneità e gusto, la scelta delle materie prime è essenziale ed è sempre affiancata da una lavorazione accurata e artigianale.

A sinistra: bottarga Smeralda grattugiata fresca su linguine mantecate al burro salato e scorza di limone. Un perfetto modo per celebrare l’attesissima stagione estiva!

La Sardegna non è l’unica regione in Italia in cui viene prodotta, ma è di sicuro tra quelle che hanno fortemente contribuito a farla diventare di più ampio interesse negli ultimi decenni, quando, pur con tutte le limitazioni che il prezzo di un prodotto così pregiato può comportare, il suo consumo si è aperto ad un vasto pubblico, quasi di massa. È stato negli anni in cui la richiesta si faceva sempre più pregnante e il mercato, quello più remunerativo, ne richiedeva una tipologia d’eccellenza, che è nata Smeralda, un’azienda tuttora impegnata nella lavorazione e commercializzazione di conserve ittiche e non solo.

Era il 1988 quando la famiglia Piras, già operativa nel mondo dell’agroalimentare, decise di avviare un’impresa che inizialmente si occupava solo di distribuzione. Le diedero un nome importante che voleva anche essere di buon auspicio: Smeralda. Smeralda come una delle coste più belle della Sardegna, un luogo ricco di significato da innumerevoli punti di vista, che ha fatto la fortuna di un’isola sino a quel

momento ai più sconosciuta. A quel mercato che richiedeva eccellenze e lusso anche a tavola i Piras decisero di dare risposte, fornendo bottarga ma anche altre specialità della tradizione sarda, che fossero in grado di soddisfare esigenze elevate.

Dalla mera distribuzione, si è presto passati alla lavorazione, inizialmente impiantando un laboratorio a Pirri e poi in un’altra zona di Cagliari, in spazi ben più ampi.

La prima esperienza è servita a dare un’impronta all’azienda che tuttora rimane. Qualità, igiene e continuità sono infatti diventati da subito tre elementi imprescindibili nel modo di operare dei Piras. Sicurezza e igiene non potevano che essere il Vangelo in processi così delicati come quelli di lavorazione ittica, ma lo erano già in tempi in cui ancora l’Unione Europea non aveva nemmeno programmato un sistema di autocontrollo come quello che oggi tutti conosciamo.

Altra regola importante, ma forse non scontata, soprattutto per una produzione artigianale, era quella, sin dagli albori, di dare continuità nelle

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forniture. Nei tempi in cui la Grande Distribuzione iniziava a fare capolino nella nostra vita, imponendo la presenza continuativa e senza intoppi negli scaffali, i Piras hanno compreso che un rapporto commerciale corretto non poteva che essere impostato garantendo affidabilità e puntualità nelle forniture. Al cliente bisognava sempre dare delle risposte, anche di fronte ai problemi.

Ciò che però ha governato i processi sin dall’inizio e in ogni ambito dell’attività è la ricerca della qualità e l’obiettivo del miglioramento continuo. Non poteva essere altrimenti per un’impresa nata con l’ambiziosa finalità di servire le tavole più esigenti del pianeta, reggendo il confronto con specialità e prelibatezze d’élite, che in Sardegna giungevano da ogni dove, al seguito di una clientela raffinata e pretenziosa come poche.

Da allora la famiglia Piras, nel frattempo diventata ancor più ampia e numerosa, ha aggiunto un altro elemento che caratterizza il laboratorio produttivo: la Ricerca & lo Sviluppo, che vanno di pari passo con tutto il resto, in

un incessante sforzo per trovare nuovi processi e nuove metodologie.

Smeralda è un laboratorio produttivo, ma in certo qual modo anche di sperimentazione, dove un occhio resta fermo e immobile sulla tradizione isolana, senza mai perderla di vista, e l’altro studia nuove modalità per generare elementi distintivi del prodotto, garantendo ulteriore sicurezza e igiene, introducendo leggere modifi che ai processi, tese unicamente ad elevare la qualità, offrendo al consumatore finale un prodotto ancora più selezionato e scelto.

È grazie a questo operato certosino che i Piras sono riusciti ad attuare un sistema innovativo di macinazione della bottarga che ne conservi intatte le uova; un nero dalla cremosità e colore unici e un gusto che richiama in maniera decisa ed inequivocabile la carne della seppia; un sistema di lavorazione delle baffe di bottarga che gli restituisca un colore chiaro e inconfondibile, oltre ad una consistenza eccezionale.

La bottarga rappresenta il 60% del fatturato aziendale, ma ci sono altri prodotti a completare un’offerta sele-

zionata dove artigianalità e tradizione fanno rima con innovazione.

Nello spaccio aziendale, che sarebbe più corretto chiamare boutique di specialità regionali, in via del Lavoro a Cagliari, il quartier generale dei Piras, le proposte sono infatti tante: tra quelle di specialità ittiche, tutte lavorate nei due stabilimenti che hanno sede nella stessa via, ci sono anche la crema alla bottarga di muggine, la bottarga di tonno, la polpa di riccio, il nero di seppia, la polpa di granchio, gli ittici affumicati, i gamberi e surimi e l’insalata di mare. Sono proposti in formati e pesature diverse a seconda del prodotto. Per completare il paniere di specialità isolane, Smeralda propone a marchio proprio, o marchio aziendale, anche altri prodotti sardi come conserve vegetali, pane e pasta, formaggi, salumi e vini.

La bottarga è proposta in una vasta gamma di formati, pesature e lavorazioni. Quella di Smeralda si distingue per un colore giallo oro con sfumature che ricordano la scorza d’arancia, per delicatezza al palato e per salinità, moderatamente accentuata. Oltre a quelle di importazione, la cui selezione è

Oro di Sardegna. E non chiamatelo caviale del Mediterraneo

Il nome non ha una provenienza definita, ma sembra chiaro il riferimento all’arabo butarikh, che indica, appunto, le uova di pesce salate. Si ipotizza fossero proprio gli Arabi, a seguito delle numerose incursioni nel Mediterraneo, a trasmettere a Sardi, Spagnoli e Siciliani le diverse tecniche di lavorazione delle uova di pesce e il nome che oggi tutti conosciamo. Non furono però i soli. Questo salume di mare era già diffuso nel Mediterraneo almeno al pari delle tecniche di produzione. Allora, come oggi, le specie predilette erano muggine, tonno e pesce spada, le cui sacche ovariche venivano salate, pressate e lasciate essiccare per alcuni mesi, per essere consumate poi nel corso del tempo. Si tratta di un prodotto antichissimo che, a dispetto della sua tradizione millenaria, si mostra particolarmente adeguato ai ritmi e alle esigenze della vita moderna. Il tempo è ridotto al minimo, è difficile ritagliarsi uno spazio per cucinare o anche solo per consumare con la dovuta calma le proprie pietanze. Allo stesso modo, l’attenzione al cibo porta oggi a considerare come un diritto quello di acquisire tutti gli elementi nutritivi di cui si ha bisogno, senza tralasciare gusto e immagine. Da questo punto di vista la bottarga è una certezza: che la si consumi come antipasto, come condimento di pasta, riso, crostini, pizza o insalata, è un prodotto eccezionale in grado di dare personalità e gusto a qualunque piatto. Oltre che per essere consumata da sola o con un semplice filo d’olio.

Le proprietà nutritive sono diverse: è ricca di proteine e di aminoacidi essenziali, importante fonte di lipidi, acidi grassi polinsaturi ed Omega-3, e per questo grande alleato nel rallentare la degradazione ossidativa. In Italia si produce principalmente in Toscana, Calabria e Sicilia, ma quella sarda, oltre ad essere importante in termini quantitativi, è tra le più rinomate, e lo è in particolare quella di muggine, prodotta da cefali locali o anche solo lavorati nell’isola, da uova di provenienza extraregionale. La tradizione produttiva isolana, tramandata da generazioni e solo parzialmente modificata nei secoli, permette infatti di godere di risultati eccezionali. Sono particolarmente rinomate quelle di Cabras, di Tortolì e Marceddì, dove le peschiere garantiscono una certa quantità di prodotto locale, oltre che baffe d’importazione che qui vengono trasformate. Ma esistono realtà produttive di grande valore anche nel Cagliaritano, dove le tecniche di lavorazione, tuttora artigianali e con un grande apporto manuale, si rifanno a processi produttivi del passato, con alcune innovazioni tutt’altro che invadenti, ma anzi capaci, se possibile, di elevare ulteriormente la qualità complessiva del prodotto.

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fatta personalmente dai Piras, Smeralda propone anche le baffe ottenute dalla lavorazione delle uova di muggine sardo. Un prodotto elitario e pregiatissimo, facilmente individuabile per pezzatura e prezzo, che viene lavorato seguendo metodi alternativi di stagionatura.

In via del Lavoro, la domanda giusta da fare non è sulla provenienza della materia prima. Perché i Piras non ne fanno mai una questione di luogo d’origine, quanto di qualità e sicurezza. Tutti i prodotti ittici, non solo le uova di muggine, richiedono il rispetto di regole rigidissime sul piano igienico-sanitario. La scelta viene pertanto fatta a seguito di un serrato controllo. Non sarebbe altrimenti possibile fornire uno standard così elevato, né poter mantenere le certificazioni BRC e IFS che si confermano da decenni.

Ci sono poi accorgimenti particolari: la polpa di riccio, per esempio, quando la pesca del riccio in Sardegna è aperta, proviene da esemplari aperti, sgusciati

e puliti in laboratorio. Uno ad uno. Il salmone affumicato e proposto a fette è lavorato da fresco e non congelato. Quello a ritagli proviene da salmone selvaggio. Il nero di seppia, che un tempo si usava principalmente per insaporire e per decorare i piatti, oggi invece vanta un gusto e un sapore impareggiabili.

Le confezioni sono tutte di grande raffinatezza, le uniche atte a contenere prodotti che sono di per sé gioielli del mare.

L’attenzione complessiva è evidente ed è infatti valsa, in 35 anni di lavoro, la presenza in una ventina di Paesi nel mondo. Il 40% del fatturato aziendale è costruito in Sardegna, il 40% nel mercato nazionale, in particolare nel Nord Italia, e il restante 20% nei mercati classici europei, negli Stati Uniti, nell’ex Unione Sovietica, in Giappone, Turchia e Israele, con una diffusione nelle grandi superfici della Distribuzione Moderna, quanto nei negozi di specialità tipiche e nell’HO RE CA

Un impegno, questo, che ha dato importanti risultati, non senza rinunce e sacrifici e che ha coinvolto altri membri della famiglia Piras, anche di seconda generazione, quanto validi collaboratori ad essa estranei.

Il lavoro corale è evidente, nel mantenere processi quanto più possibile artigianali e manuali, nella convinzione che l’apporto umano sia sempre un valore aggiunto. Un operato, anche sul piano prettamente commerciale, di cura del cliente, mettendosi in ascolto dei mercati, ma anche e soprattutto del consumatore finale, gestendo persino il singolo riscontro, che — lungi dall’essere un problema, anche quando si traduce in un reclamo — è visto come un’occasione di confronto con chi si siede a tavola a degustare il prodotto. Solo così si può fare sempre di più e sempre meglio.

>> Link: www.smeralda.com

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La salagione richiede un tempo ben preciso che Smeralda ha definito e affinato negli anni. Una volta terminata, le sacche ovariche vengono lavate con acqua fresca e sottoposte ad una leggera pressatura.

LUXARDO

200 ANNI DI STORIA DI UNA FAMIGLIA E DEL MARASCHINO

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di Gian Omar Bison

Fondata da Girolamo Luxardo nel 1821 a Zara, sulle coste della Dalmazia, oggi la Luxardo Spa è gestita dalla sesta e settima generazione. Quelle di una famiglia che ha dedicato tutta la propria storia alla produzione del Maraschino Luxardo. Un liquore di fama mondiale distribuito in oltre 90 mercati diversi.

Èuna vicenda lunga e articolata, con un filo conduttore che ha intrecciato i destini, le paure e i successi civili ed imprenditoriali di una famiglia ad alcuni tra gli avvenimenti più rilevanti e tragici della storia italiana. È la storia dei Luxardo, a capo dell’omonima azienda liquoristica dal 1821 grazie al fondatore Girolamo Luxardo, che hanno portato la fabbrica del noto maraschino dalla città di Zara, in Dalmazia, a Torreglia in provincia di Padova. Un percorso avvincente e travagliato, iniziato in una città italianissima per popolazione, lingua, cultura e tradizioni, passata nei secoli dalla Serenissima Repubblica di Venezia all’Impero austro-ungarico, poi al Regno d’Italia, conclusosi drammaticamente con la Seconda Guerra Mondiale.

Ligure di nascita, mercante di valore, Girolamo si trasferì a Zara nel primo Ottocento con incarichi diplomatici ottenuti dal Regno di Sardegna. MARIA

CANEVARI, moglie di Girolamo, iniziò a produrre liquori in casa concentrandosi in particolare su quello che nella cittadina dalmata era conosciuto da secoli col nome di “rosolio maraschino”, un liquore a base di marasche, varietà di ciliegie acidule tipiche della Dalmazia. Ottenuta nel 1829 da Francesco II imperatore d’Austria l’esclusiva per produrre questo liquore con la determinante innovazione del processo della distillazione a vapore, si aprirono per i Luxardo 120 anni di prosperità industriale, seguiti dal dramma del 1944, con la distruzione della fabbrica e il compimento di una delle pagine più buie e sanguinose della storia contemporanea: l’esilio e l’epurazione degli Italiani nelle terre passate sotto il controllo di Tito.

Vicende spesso finite in tragedia, come quella che vide la fucilazione di PIETRO LUXARDO e la morte per annegamento del fratello NICOLÒ e della moglie BIANCA. L’unico superstite della quarta

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In alto: la lunga storia della famiglia Luxardo, che nel 2021 ha celebrato i suoi 200 anni, trova nel museo recentemente inaugurato la sua “casa”. Si tratta di un luogo che invita il visitatore ad un viaggio di grande suggestione, accompagnandolo con un’esperienza immersiva ed emozionale dalle origini a Zara fino ai Colli Euganei, dove dal 1947 ha sede l’azienda, una delle più antiche distillerie esistenti al mondo. In basso: la tinaia.

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generazione restava GIORGIO, che si trovava fortuitamente al di qua dell’Adriatico. Da lui, e dalla ricongiunzione con i superstiti della famiglia, cominciò la ripresa dell’attività nel 1947 ai piedi dei Colli Euganei, territorio considerato adatto alla coltivazione delle ciliegie marasche.

L’azienda e i suoi numeri PIERO LUXARDO, attuale presidente della Luxardo Spa e sesta generazione, ci racconta il periodo di rifondazione euganea e i lunghi sviluppi successivi. «Per coltivare le marasche ci vuole un suolo collinare come a Torreglia — puntualizza — e all’epoca la famiglia acquistò proprio qui un terreno per nuove piantagioni e per la fabbrica. Ancora oggi l’azienda controlla direttamente tutta la filiera di produzione, dalla materia prima, la marasca di clone Luxardo, fino all’imbottigliamento. Per questo motivo vi è un costante aggiornamento e ripopolamento delle piante». Oggi parliamo di un’azienda con una sua ben precisa collocazione nel mondo degli spirits, che oltre al Maraschino annovera una gamma completa di liquori della tipica tradizione gastronomica italiana. L’export copre quasi l’80% del volume d’affari dell’azienda, articolato in oltre 90 mercati diversi, tra cui spiccano USA, Canada e Inghilterra. Sessanta i dipendenti e un capitale sociale totalmente riconducibile alla famiglia con un vincolo di prelazione in caso di vendita a favore degli altri soci. «Non è previsto l’ingresso di eventuali soci e partner, sia finanziari che industriali» sottolinea Piero Luxardo.

Nel 2021 l’azienda è entrata nel ristretto ambito di Les Hénokiens, esclusivo club internazionale di cui possono fare parte solo imprese, attualmente 51 nel mondo, che da almeno 200 anni appartengano alla medesima famiglia. Sempre nel 2021 sono intervenuti significativi investimenti, con un aggiornamento della distilleria, delle linee di imbottigliamento e delle cantine dove avviene l’invecchiamento dei distillati e dei liquori in tini di legno di larice, rovere e frassino.

Quanto ai prodotti, oltre agli storici Maraschino e Cherry “Sangue Morlacco” (che D’ANNUNZIO chiamò così in occasione dell’impresa di Fiume, volendo celebrare la tenacia indomita del popolo

“morlacco”, che viveva nell’entroterra dalmata, e infatti l’etichetta porta ancora oggi la firma del poeta), troviamo Limoncello, Sambuca, Amaretto, Triple Sec, fino alle recenti produzioni di Gin e Bitter. Inoltre, viene prodotta un’ampia selezione di specialità aromatiche per la pasticceria, con la quale Luxardo è fornitore di moltissimi artigiani in tutta Italia. Da circa un decennio è stata infine avviata una specifica linea di produzione di confetture di alta gamma, sempre destinate alla pasticceria.

Shop e Museo

A marzo è stato inaugurato il museo aziendale. «Un’azienda con oltre due secoli di storia — sostiene Piero Luxardo — non poteva prescindere da una struttura celebrativa della propria tradizione e delle proprie vicende, in modo da offrire ai visitatori la possibilità di immedesimarsi in una “cultura d’impresa” tra le più originali della storia italiana dei liquori». La struttura è stata ideata e realizzata dallo Studio Architetti Mar di Venezia, ponendo particolare attenzione al contesto ambientale in cui è inserita. Il progetto vede una parte esterna in lame ritorte d’acciaio COR-TEN, materiale versatile, dalle straordinarie proprietà strutturali ed estetiche e di estrema resistenza. Il susseguirsi delle lame restituisce una sensazione tridimensionale di vibrazione sull’intera facciata frontale e, giocando con la luce, la fa sembrare quasi in movimento.

L’interno si snoda in un insieme di sale con andamento circolare dove vengono ripercorse le tappe fondamentali della lunga storia di famiglia. Non mancano postazioni digitali e video che raccontano anche le fasi di produzione dei liquori. «È una forte emozione, non solo per me ma per tutta la famiglia — commenta Franco Luxardo, senior partner — poter vedere finalmente compiuto uno dei miei più grandi sogni». Il Museo Luxardo è visitabile su prenotazione dal mercoledì al sabato. Ricavato da una vecchia casa colonica adiacente al museo, il negozio aziendale, da poco rinnovato, offre ai visitatori la possibilità di assaggiare e acquistare tutta la gamma dei prodotti Luxardo.

>> Link: www.luxardo.it

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Premiata Salumeria Italiana, 4/23
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Prosciutto di Carpegna DOP

territorio, conoscenza, garanzie

Il Prosciutto di Carpegna DOP rappresenta un immenso patrimonio gastronomico che negli anni si sta consolidando come un importante protagonista della salumeria italiana, sia sul mercato nazionale che internazionale. Tutto questo anche

grazie all’attività del Consorzio che lo rappresenta — il Consorzio del Prosciutto di Carpegna DOP, costituitosi nel 2015 — con lo scopo di tutelare e promuovere questo prodotto che ha le sue origini proprio a Carpegna, nelle Marche. Il Carpegna DOP porta con sé,

sia in termini produttivi che culturali, una tradizione secolare che risale al 1400, e regolamentata da un disciplinare che dal 1996 ne attesta la DOP, è oggi un’eccellenza apprezzata e ricercata sia nel canale della ristorazione e del Normal Trade sia in quello della GDO.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 56 LA QUALITÀ
Che sia effettuato a mano con un coltello stretto, lungo e ben affilato, o a macchina, nella fase di taglio del Prosciutto di Carpegna DOP è fondamentale preservare il grasso, che durante la stagionatura conferisce dolcezza e morbidezza a tutta la coscia.

A sinistra: la dicitura marchiata a fuoco “Prosciutto di Carpegna” ne certifica la provenienza. In basso: a seconda delle tempistiche di stagionatura, la fetta del Prosciutto di Carpegna DOP varia tra un colore rosso ambrato e un rosa salmonato nelle zone più magre. La sofficità resta una delle caratteristiche distintive del prodotto.

La produzione del Prosciutto di Carpegna nel 2022 è cresciuta del 30% sul 2021, arrivando a raggiungere un fatturato di 12 milioni di euro. I canali principali di vendita sono la GDO (85,4%) ed il Normal Trade. Da registrare anche un aumento delle esportazioni all’estero (6% del fatturato totale).

Anche nel 2023 le attività del Consorzio, volte alla promozione del prosciutto, si rivolgono a diversi target quali i professionisti della ristorazione, i professionisti della GDO ed il consumatore finale. La campagna “Puri si nasce, soffici si diventa” prevederà attività adv su carta stampata e on-line, una campagna radio sulle principali emittenti nazionali, collaborazioni con chef per la creazione di ricette ed abbinamenti con il Carpegna DOP, l’organizzazione di incoming per visitare l’unico prosciuttificio che lo produce. Non sarà dimenticata la degustazione: è infatti la singola fetta la più importante ambassador del Prosciutto di Carpegna DOP.

Eccellenza, lavorazione e stagionatura

La qualità, elevatissima, è preservata da un disciplinare ferreo che definisce ogni passaggio di produzione del Carpegna, così da poter offrire al consumatore finale un prodotto DOP tutelato e garantito. C’è poi il patrimonio di conoscenza. La storia della sua

lavorazione — artigianale e tramandata da generazioni — che risale al 1400, quando prese forma il processo di trattamento e stagionatura giunto fino ai giorni nostri, ha permesso al Prosciutto di Carpegna DOP di presenziare sulle tavole attraverso i secoli, di mantenere intatte le sue peculiarità superando le mode culinarie che accompagnano le epoche, ammaliando i palati con quelle note dolci-sapide inconfondibili.

Questo processo riprende fedelmente la tradizione: dal massaggio alla sfregatura, fatta con il sale marino, dalla legatura fino ad arrivare alla stuccatura, passaggio — quest’ultimo — che contribuisce all’unicità del Carpegna DOP. Lo stucco del Carpegna, infatti, è un composto rigorosamente applicato a mano costituito da strutto, farina di riso, aromi naturali, un mix segreto di spezie, tra cui si riconoscono pepe e

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 57

paprika che caratterizzano il suo gusto intenso e aromatico.

In condizioni ambientali costantemente monitorate, il prosciutto viene poi appeso alle scalere mediante corda “a strozzo” e stipato nelle cantine per proseguire la stagionatura. Il processo di stagionatura si conclude quando ogni prosciutto viene selezionato con la punzonatura: viene punto con un osso affilato in precisi punti della coscia e valutato dal suo profumo.

Quando la coscia raggiunge gli standard qualitativi richiesti avviene, infine, la marchiatura a fuoco che

Il territorio in cui nasce

sigilla a vista, col marchio consortile, la garanzia di un prodotto di elevata qualità certificato DOP.

Il processo di selezione e lavorazione che porta il Prosciutto di Carpegna DOP al banco dei salumieri e sulle nostre tavole è ricco di passaggi preziosi, fatto anche di numeri:

• 160 kg è il peso minimo che deve avere il suino;

• 10 i mesi dei capi prima della macellazione;

• 12 kg, il peso minimo della singola coscia fresca rifilata;

• 15 °C e 20 °C sono le temperature

Carpegna, il luogo. Carpegna DOP, il prosciutto. Un prodotto che rappresenta un’eccellenza della salumeria italiana di origini secolari e che ancora oggi porta con sé un patrimonio immenso fatto di gusto, profumo e sofficità uniche, come unico è il prosciuttificio in cui viene meticolosamente lavorato. Il territorio in cui nasce è incastonato sulle colline del Montefeltro, quel morbido panorama marchigiano che accoglie l’aria asciutta e salmastra proveniente dall’Adriatico e un microclima estremamente puro, un contesto unico che contribuisce alla straordinarietà di questo protagonista della salumeria italiana. La geografia è il punto focale che traccia anche l’iter produttivo, anzi è il suo incipit perché circoscrive la provenienza d’origine della materia prima, delimitata a solo tre regioni: Lombardia, Emilia-Romagna e Marche. Il Prosciutto di Carpegna DOP, infatti, può essere prodotto solo dalla razza suina italiana conosciuta come “pesante padano” o “suino pesante”.

Immerso nella natura rigogliosa delle colline del Montefeltro, a 748 m di altitudine, nel Parco interregionale del Sasso Simone e Simoncello, quello di Carpegna Prosciutti è l’unico stabilimento in cui avviene la produzione del Prosciutto di Carpegna DOP e dal 2013 appartiene al Gruppo Fratelli Beretta.

in cui avviene l’intero processo di stagionatura, in un ambiente dove penetra l’aria salmastra delle colline e luce naturale;

• 16 sono i mesi minimi di stagionatura.

Dopo questo prezioso lavoro, la glorificazione del Prosciutto di Carpegna DOP avviene sulle nostre tavole, su cui può sprigionare tutta la sua pregevole sofficità e la sua fragranza aromatica. Un vero tributo alla gastronomia italiana. Il pane lo esalta nella sua purezza e il colore, leggermente ambrato, sollecita ogni senso già al primo incontro con il palato. Ma il Prosciutto di Carpegna DOP è perfetto anche per arricchire piatti e stuzzichini grazie alla sua nota sapida e inconfondibile.

Consorzio Prosciutto di Carpegna DOP

Il Consorzio nasce il 27 maggio 2015 per tutelare e valorizzare il Prosciutto di Carpegna DOP: i valori, le caratteristiche e la sua produzione; elementi unici che lo hanno portato a fregiarsi, sin dal 1996, della Denominazione di Origine Protetta – DOP. Il ruolo istituzionale del Consorzio è strettamente legato alla tutela della qualità di questo protagonista della salumeria italiana.

>> Link: consorzioprosciuttodicarpegna.it @consorziocarpegna

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PROSCIUTTO CRUDO DI CUNEO DOP, UNA QUESTIONE

DI TEMPO

Intervista alla presidente del Consorzio Chiara Astesana

Un nuovo concept di comunicazione in cui il “tempo”, la lunga e lenta stagionatura cui viene sottoposto il Prosciutto crudo di Cuneo DOP, diventa protagonista, l’ingresso nel Consorzio di un secondo produttore che si affianca alla Carni Dock di Lagnasco (CN), l’andamento della produzione e i dati di mercato, il preaffettato, il futuro delle attività di promozione del prodotto da

parte del Consorzio… Abbiamo incontrato e intervistato Chiara Astesana, presidente del Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo DOP

L’entrata in campo di un secondo produttore: quali vantaggi/svantaggi ha rappresentato per il Consorzio?

«L’adesione al sistema dei controlli (circa due anni fa) e, successivamente, al Consorzio da parte del Prosciuttificio

Lurisia è senz’altro un fatto positivo. L’attività del Consorzio centrata su un solo produttore, durata oltre dieci anni, ha consentito di posizionare sul mercato il prosciutto Crudo di Cuneo DOP come un prodotto di alta qualità e di alto valore. Dovendoci confrontare con un solo produttore è stato facile definire una politica e una strategia di prodotto e la relativa comunicazione condivisa. Sono note le caratteristiche del prodotto:

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selezione super accurata delle cosce, lavorazione artigianale e stagionatura oltre 24 mesi. Per fortuna il secondo produttore, che esprime una potenzialità produttiva di 2.500-3.000 pezzi l’anno, concorda sulla linea percorsa e produce un prosciutto di alta qualità: lavorazione artigianale, stagionatura lunga (attualmente di 16-18 mesi) e realizzata in montagna, circa 700 m slm. Abbiamo dovuto ridefinire e condividere la strategia di comunicazione e del merchandising del prodotto, cosa che prima era presto fatto, avendo un solo interlocutore».

Qual è stato l’andamento della produzione nel corso del 2022?

«Nel corso del 2022 sono state messe sotto sale 17.377 cosce, con un incremento del 1,96% rispetto al 2021. Le vendite di prosciutti stagionati sono state di circa 11.000 pezzi. I prosciutti venduti nel corso del 2022 sono sostanzialmente frutto delle cosce messe sotto sale nell’anno 2020, anno del Covid, durante il quale si era ridotta in misura importante la produzione».

Qual è il peso dei diversi canali distributivi in Italia?

«Il principale canale di vendita del prosciutto Crudo di Cuneo è il Normal Trade, col 75% dei volumi. Nel corso del 2022 è cresciuta la quantità di prodotto commercializzata tramite la GDO, quasi parallelamente al preaffettato, raggiungendo la quota del 16%. Il canale HO RE CA. rappresenta circa il 9% delle vendite. Preciso che, al momento, nessuno dei produttori esporta il prosciutto Crudo di Cuneo».

Qual è la quota rappresentata dal preaffettato sul fatturato complessivo?

«Il 2022 è stato il secondo anno nel quale il prosciutto Crudo di Cuneo è stato commercializzato affettato, in vaschetta. La percentuale del preaffettato nel corso del 2022 ha raggiunto il 16% circa del totale commercializzato».

Abbiamo notato di recente un nuovo concept della comunicazione del Crudo di Cuneo DOP. Ce lo vuole illustrare?

«Nel corso dell’autunno 2022 il Consorzio ha presentato a Milano, in occasione della manifestazione

Golosaria, il nuovo concept della comunicazione. Il concept si concentra su uno degli “ingredienti” più semplici (ma fondamentali) del nostro prosciutto: il tempo. La fetta di prosciutto stessa si fa “tempo” diventando, metaforicamente, la clessidra in cui — con la necessaria lentezza — ogni istante scorre prezioso. Il nuovo l’headline, “Il tempo è il nostro segreto”, sottolinea che il lungo periodo di stagionatura consente al prosciutto di diventare speciale, di evolvere fino al momento ottimale in cui il profumo, il gusto e la morbidezza diventano inconfondibili e unici. Il sale marino, altrettanto semplice e determinante, avvolge la scena in un movimento dinamico, quasi perpetuo, che si fa custode del gusto e della tradizione».

Qual è il programma di attività dei prossimi mesi?

«Il 2023, per una serie di coincidenze, sarà l’anno del ritorno alla normalità dopo gli alti e bassi del periodo Covid. Nell’autunno il Consorzio ha in programma di partecipare alla Fiera del Tartufo Bianco d’Alba, kermesse internazionale che si svolge sul territorio dell’area di produzione del Crudo di Cuneo DOP. Inoltre, il Consorzio è partner di un progetto per la creazione e lo sviluppo di filiere corte e di mercati locali. A

settembre, presso l’Enoteca del Barolo, sarà aperto un negozio di vendita di alcune eccellenze del territorio, tra le quali il prosciutto Crudo di Cuneo DOP. Collegato al progetto di apertura e lancio del negozio sarà realizzata una importante campagna di comunicazione dei vini Barolo DOCG e Nascetta DOC, della Nocciola Piemonte IGP, del Murazzano DOP, che col prosciutto Crudo di Cuneo DOP costituisce il paniere di eccellenze in vendita e degustazione presso l’enoteca. Per il 2024 il Consorzio ha partecipato al Bando europeo di cui al Reg. UE 1144/2014 con il Consorzio Garda, capofila, e i Consorzi del Montasio DOP e del Salame Varzi DOP, quali partner. Se il progetto sarà approvato avremo risorse importanti da investire nella realizzazione di azioni di promozione a livello europeo».

>> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

REGIONE PIEMONTE

PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 1/2022_B – Progetto di valorizzazione dei prodotti agricoli e alimentari di qualità del Piemonte, DOP e IGP

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La presidente Chiara Astesana.

LATTE FIENO STG

di Riccardo Lagorio

L’Europa dei marchi di tutela è un puzzle che si compone di tante tessere, con regolamenti e discipline in continua evoluzione. Accanto alle DOP e alle IGP, sigle ormai note (per quanto riguarda le differenze, varrebbe la pena porsi la domanda: a chi?) nel panorama alimentare, da qualche anno si è diffusa un’altra sigla, STG (acronimo di Specialità Tradizionale Garantita). Diversamente dagli altri due marchi, intende rivolgersi a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una produzione o composizione che si distingue da altri prodotti simili e tradizionali (cioè

esistenti da almeno vent’anni), anche se non vengono elaborati solo in tale zona. L’esempio forse più noto in Italia è quello della pizza napoletana. Ma non è l’unico utilizzato nel nostro Paese. Sta avendo una certa diffusione il Latte Fieno STG, specie sulla spinta di alcune cooperative altoatesine.

Secondo la definizione corrente il Latte Fieno è ottenuto da bovine allevate in aziende tradizionali e alimentate da erba, legumi, fieno e cereali senza l’utilizzo di alimenti fermentati e la somministrazione di mangimi OGM Quanto scritto implica l’assenza nel menu delle bovine di fieno umido o

fermentato proveniente da balle rotonde arrotolate in fogli di plastica. Insomma, quello che ci si dovrebbe attendere da un allevamento che, proprio perché moderno, ha assunto pratiche di un tempo.

A Maso Marmsolhof, non distante da Castelrotto, in Alto Adige, è l’asina Gilda a dare il benvenuto col suo raglio montano. Gerani fioriti ai balconi e persino alle finestre della stalla, un’aria idilliaca che ha come orizzonte lo Sciliar. «Qui a 1200 metri non è certo facile raccogliere erba, trasformarla in fieno, stivarlo e pascere le bovine» racconta un allegro MATTHIAS RIER, che conduce la

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fattoria, un Erbhof (maso che da oltre 200 anni appartiene alla stessa famiglia). Sono 22 le bovine in lattazione, 15 i vitelli. «Il ciclo di vita delle bovine è ben diverso che in altre zone della penisola: l’età raggiunge facilmente i 14 anni. Vivono in maniera semplice e vivono a lungo. La media di produzione per bovina è di 20 litri al giorno, che non è poco, considerando il metodo di allevamento e gli anni trascorsi qui». Rier coltiva 20 ettari dedicati alla coltura di fieno e buona parte di questi si trovano a 1700 metri, «ideali per la raccolta di fieno ricco di erbe selvatiche e fioriture estive» mette in risalto.

In alto: il Latte Fieno STG è una forma di produzione lattiera che proviene da bovine allevate in aziende lattiere tradizionali, sostenibili, e alimentate esclusivamente da erba, legumi, cereali e fieno, senza l’utilizzo di alimenti fermentati e la somministrazione di mangimi OGM. A destra, l’Altopiano dello Sciliar. In basso: Matthias Rier, che conduce il Maso Marmsolhof, in Alto Adige.

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A sinistra: Matthias Rier e Mirjam Cestari con la mozzarella della linea Latte Fieno di Brimi Centro Latte Bressanone. Oggi Brimi è l’unico caseificio in Alto Adige che, oltre ai classici prodotti lattiero-caseari, si è specializzato proprio nella produzione di mozzarella. A destra: Manfred Kruselburger del Maso Pulvererhof.

La domanda che sorge spontanea è se a questa evidente diversità di produzione corrisponde anche una altrettanto palese difformità di gusto con il latte intero convenzionale. MIRJAM CESTARI, dell’ufficio comunicazione della cooperativa Brimi, sul tema è chiara. «È assai difficile poter distinguere le due tipologie sotto il profilo gustativo, ma è molto evidente a livello chimico fisico dove le essenze emergono come marcatori del latte» spiega con convinzione. Questa cooperativa, a cui aderiscono oltre 1.000 soci, ha introdotto il Latte Fieno (Heumilch) nella linea produttiva a partire dal 2017 ed è oggi riconosciuta come una delle realtà dove l’STG ha acquisito maggior valore di mercato. A partire dalla mozzarella, ma anche per quanto riguarda il latte fresco e la panna

A dire il vero, per capire dalla mozzarella la natura del latte, sembra

che esistano alcuni indicatori… La mozzarella Latte Fieno rilascia più latticello al momento del taglio, perché vengono utilizzati fermenti lattici e non acido citrico per la sua produzione. Anche la pasta pare essere un poco più tenace e filante rispetto ad altre tipologie di mozzarella.

Dal canto loro, i nutrizionisti sono concordi nell’affermare che questo tipo di latte, oltre a essere facilmente digeribile, garantisce un maggiore contenuto di grassi buoni, con diversi vantaggi per il consumatore. «Da parte dell’allevatore esiste un beneficio diretto per quanto riguarda la produzione di Heumilch» afferma Matthias Rier. «Infatti vengono riconosciuti per il latte 70 centesimi al litro, circa il 25% in più rispetto a quello convenzionale». Le Latterie Vipiteno e Merano invece arricchiscono il banco frigo con cremoso yogurt naturale LatteFieno e la Latteria Mila con latte

Il Latte Fieno STG è ottenuto da bovine allevate in aziende tradizionali e alimentate da erba, legumi, fieno e cereali senza l’utilizzo di alimenti fermentati e la somministrazione di mangimi OGM. Questo tipo di latte, oltre a essere facilmente digeribile, garantisce un maggiore contenuto di grassi buoni

fieno fresco. In Val Ridanna MANFRED KRUSELBURGER produce latte nel Maso Pulvererhof insieme alla moglie MARETA. Anche in questo caso le vacche vengono allevate per un periodo di tempo assai lungo, anche 15 anni, ma il latte non è Heumilch. «Secondo i parametri della cooperativa per la quale produciamo latte, quella di Vipiteno, possiamo allevare 2,5 animali ogni ettaro coltivato a erba. Così al momento possiamo allevare 19 vacche e il nostro toro. L’inseminazione naturale è uno degli aspetti ai quali tengo di più, perché fa parte del concetto di naturalità del nostro latte» spiega Manfred.

L’analisi sensoriale del latte pare mostrare che l’alimentazione con l’insilato abbia un’influenza significativa sul colore (più giallo), sulla consistenza e sull’intensità degli odori. La scelta di alimentare i propri bovini da latte con uno o con l’altro tipo di foraggio è determinata da motivazioni diverse. Spesso è la redditività a fare propendere per una o l’altra. Ma se è vero che l’uomo è ciò che mangia, forse questo accade anche per le bovine da latte. A loro andrebbe posta la domanda: se la vita trascorre meglio alimentandosi con fieno ed erba fresca oppure anche con insilati di mais. Probabilmente non lo sapremo mai, ma il consumatore, quello sì, sembra già preferire il Latte Fieno STG.

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Club sandwich all’italiana: salumi e frutta in due panini da spiaggia

Immaginare piatti gustosi quando il caldo incombe sembra una missione impossibile eppure la soluzione c’è e la propone Maria Teresa Di Marco di “La Cucina di Calycanthus” che, per l’Istituto Valorizzazione Salumi Italiani (IVSI), ha realizzato il Club Sandwich “all’italiana” nelle due versioni altoatesina e calabrese: due panini che celebrano la ricchezza gastronomica del nostro Paese, da Nord a Sud, dallo speck alla ‘nduja, con un tocco fresco regalato dalle mele e dalle pere. Frutta e salumi, con il loro mix bilanciato di vitamine (fra le quali A, C e B), proteine e sali minerali come potassio e magnesio, ci garantiscono un corretto apporto nutritivo senza lasciarci sconfiggere dalla calura. «Siamo fortunati: viviamo in un Paese bellissimo. Lo sanno tutti e lo sappiamo anche noi, seppure qualche volta, forse, rischiamo di dimenticarcelo, anche a tavola. La cucina italiana non è grande solo per l’invenzione geniale della pizza, o per la versatilità commovente della pasta, ma anche e soprattutto per la ricchezza incalcolabile di prodotti e di produttori che rendono la nostra tavola tanto generosa di piaceri e di sapori. Ogni regione ha le sue eccellenze, ma pure ogni provincia, spesso ogni paese, quasi sempre ogni città» ha commentato Di Marco.

Club sandwich (versione altoatesina)

Ingredienti

3 fette di pane di segale • 60/80 g di speck tagliato grosso • 40 g di burro • 1 cucchiaino piccolo di cren • 1 cetriolo • 1 mela verde • rosmarino o ginepro (facoltativi)

Esecuzione

Affettare il pane piuttosto sottile ottenendo tre fette regolari per ogni panino. Tostare il pane se si preferisce una versione più croccante, oppure lasciarlo naturale. Montare il burro con il cren e conservare da parte. Affettare sottilmente la mela ben lavata con tutta la buccia. Tagliare a nastro il cetriolo. Spalmare una prima fetta con il burro al cren, disporre sopra lo speck, quindi la mela e il cetriolo, procedere

allo stesso modo con la seconda fetta sistemata sopra al primo strato.Terminare l’ultimo strato con la fetta di pane e sistemare sopra un nastro di cetriolo. È possibile aromatizzare ogni strato con poco rosmarino o con una bacca schiacciata di ginepro.

Club sandwich (versione calabrese)

Ingredienti

3 fette di pane di segale o integrale • 20/30 g di ‘nduja • 100 g di scamorza affumicata affettata fine • 1 pera

Esecuzione

Affettare il pane piuttosto sottile ottenendo tre fette regolari per ogni panino. Tostare il pane se si preferisce una versione più croccante, oppure lasciarlo naturale. Lavare la pera e affettarla sottilmente con tutta la buccia, affettare sottilmente la scamorza. Spalmare uno strato sottile di ’nduja su una prima fetta di pane, disporre sopra la scamorza e quindi la pera, chiudere questo primo strato con una seconda fetta di pane a sua volta spalmata di ’nduja e completare con la scamorza e la pera. Sistemare in cima l’ultima fetta di pane sempre spalmata di ’nduja e completare con una fetta di pera scenografica.

>> Link: www.salumi-italiani.it

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SUINCOM S.p.a. Strada Comunale del Cristo 12/14 - 41014 Solignano di Castelvetro (Mo) - Italy tel. +39 059 748711 - fax +39 059 532038 - info@suincomgroup.it - www.suincomgroup.it Riconoscere la qualità, realizzarla e portarla sulla tavola di tutti

Girando l’Italia a suon di prosciutti

Il mondo dei prosciutti crudi: così vasto e così poco valorizzato!

Ne esistono a decine, ma ne conosciamo solo quanti se ne possono contare sulle dita di una mano (forse meno). Un piccolo tour, idee per percorsi, assaggi e degustazioni

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 68 IL BUONO SECONDO LARA

I prosciutti d’Italia: tante le microproduzioni, a volte quasi sconosciute

Spesso ci si chiede come una bottega alimentare possa differenziarsi dalla Grande Distribuzione e si rimane in sospeso perché a volte ci si ferma all’ambito del conosciuto e del facile. Ma se si decide di andare un po’ oltre, mettendo in discussione il concetto del si è sempre fatto così, si possono raggiungere consapevolezze tanto semplici e scontate quanto spesso poco ovvie.

Come si salva la bottega artigianale? Cosa può fare di diverso dalla concorrenza della GDO?

Può offrire cultura!

E come si fa? Vendendo non solo prodotti, ma esperienze. Nel mondo enogastronomico si è soliti farlo ad esempio per la categoria vinicola o casearia e meno in quella salumiera, soprattutto quando si trattano le produzioni più

famose. Oggi entriamo nel mondo del prosciutto crudo; anzi, dei prosciutti crudi. Perché, anche se poco conosciuti, in Italia se ne producono diverse decine in termini di tipologie. Alcuni famosi e tutelati dalle denominazioni di origine, altri meno celebri e dalla produzione più artigianale; infine, ve ne sono anche alcuni ormai spariti o quasi, soprattutto in alcune zone del Sud Italia.

Se chiedessimo ad una persona qualsiasi di dirci quali siano i prosciutti crudi italiani, probabilmente non ne citerebbe più di 3 o 4 tipologie, nella migliore possibilità. In primis, probabilmente verrebbe citato il Prosciutto di Parma DOP, la cui produzione è tutelata dall’omonimo Consorzio fin dai primi anni ‘60.

A seguire, il conosciuto Prosciutto di San Daniele DOP, che si differenza a vista dal cugino parmense grazie alla tipica forma a chitarra (ottenuta grazie alla pressatura della coscia) e dalla presenza dello zampino (fondamentale

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Prosciutto di San Daniele DOP e melone. Prosciutto Toscano DOP.

nella fase di maturazione al fine di favorire il drenaggio dell’umidità). Il Prosciutto di San Daniele DOP viene inoltre prodotto in un’area davvero piccola, che fa riferimento in esclusiva al territorio comunale di San Daniele del Friuli. In entrambi i casi, sono poco valorizzate le differenti stagionature: sono infatti prodotti che facilmente si potrebbero prestare a golose e interessanti verticali d’assaggio.

Un’altra produzione tra le meglio conosciute è il Prosciutto crudo di Sauris, prodotto nell’omonimo paese (in provincia di Udine) e protetto dall’Indicazione di Origine Protetta. Caratteristica principale e riconoscibile di questo prosciutto è la nota di affumicato, che avviene con metodi tradizionali in piccoli camini bruciando legno di faggio. Questo prosciutto inizia già ad essere uno dei prodotti che si trovano raramente; lo si acquista e assaggia facilmente nelle zone di produzione, ma man mano che ci si allontana è tra gli sconosciuti.

Continuiamo il tour spostandoci in Valle d’Aosta, dove possiamo trovare il Jambon de Bosses DOP, la cui concia, oltre al sale, contiene anche un mix di erbe di montagna. Viene stagionato in quota, a 1600 m slm per almeno 12 mesi. Un prodotto di nicchia, disponibile in quantità limitata.

Tra le DOP ritroviamo anche il Prosciutto Toscano e la sua caratteristica principale risiede nella sua decisa sapidità, che lo rende riconoscibile al palato e perfetto se consumato con il tipico pane sciocco locale. Già con queste sole tipologie possono nascere interessanti opportunità di scoperta e degustazione.

Stando nella zona dell’arco alpino, si trovano altri prosciutti (alcuni tutelati da denominazioni di origine), ma ancora meno conosciuti di quelli citati fino ad ora. Dal piemontese Prosciutto Crudo di Cuneo fino al Bauernschinken, un prosciutto altoatesino che rientra nei PAT (Prodotti Agricoli Tradizionali) della regione.

Poi il prosciutto dell’Alta Val di Susa e, sempre in Piemonte, se ne produce uno tipico in Val Vigezzo e uno in Valle Gesso. Ed è incredibile come, solo considerando la zona montuosa, si possano trovare una decina di prosciutti diversi.

Infine, spostandoci ad est (sempre nella zona dell’arco alpino), troviamo il prosciutto crudo del Carso e quello di Cormons. In Friuli Venezia Giulia la cultura della lavorazione del maiale e la produzione di prosciutti è molto radicata ed è possibile affermare che la tecnica dell’affumicatura è ciò che più caratterizza queste produzioni.

Viaggiando con la fantasia verso la parte centrale della penisola, si trova il Prosciutto di Modena DOP, ma anche il mantovano, per arrivare poi al Prosciutto di Norcia, uno dei più conosciuti nella zona. In Campania troviamo il prosciutto crudo di Trevico, inserito nei PAT della regione; ve ne sono anche altri, ma ormai la loro produzione è purtroppo scomparsa.

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Bauernschinken.

Anche nelle isole l’arte norcina si dedica alla trasformazione delle cosce in preziosi prosciutti, ma lo fa a partire da una tradizione di allevamento suinicolo che mira a razze rustiche e autoctone i cui animali sono allevati allo stato semi-brado, come il suino nero siciliano, utilizzato per la produzione del prosciutto dei Nebrodi. In Sardegna troviamo il prosciutto di Urzulei, quello di Villagrande e quello di Talana, anche qui prodotto con animali che vivono allo stato brado, domestici o selvatici, come i cinghiali. Prosciutti prodotti a partire da carni molto magre, che daranno un prodotto completamente diverso da quello a cui siamo abituati. Molto più asciutto e sapido, senza la tipica dolcezza data dal grasso maturo.

La nostra Penisola ci offre produzioni diverse e varie, tutte da valorizzare. Un’attenta ricerca potrebbe portare all’opportunità di migliorare la propria proposta a base di salumi, differenziando il classico tagliere per l’antipasto all’italiana o il proprio banco salumeria.

Il prosciutto crudo: cos’è, come si produce e come si assaggia

Il prosciutto crudo è un salume dalla storia antica, che si produce utilizzando la parte anatomica intera. In particolare, si utilizza la parte della coscia. Questo taglio è caratterizzato dalla buona struttura muscolare, senza presenza eccessiva di tessuto connettivo e con una buona parte di grasso esterno, con poche o quasi nulle infiltrazioni nel muscolo. In genere per la loro produzione si scelgono suini pesanti, questo per lavorare carni mature e dalle caratteristiche adatte alla lunga maturazione. La coscia viene quindi refilata, poi salata e, infine, portata a maturazione.

Fondamentale è sapere che i salumi che provengono da pezzi interi “maturano” e non “fermentano”, cosa che invece avviene nei salumi a carne trita come i salami. La maturazione avviene ad opera di enzimi idrolitici presenti naturalmente che operano al

fine di scindere le molecole complesse come le proteine e i grassi. Proprio in questa fase si sviluppano gli aromi unici che caratterizzano i migliori prosciutti crudi, come i sentori di nocciola e burro, ma anche il sentore tostato che ricorda la crosta di pane o il malto d’orzo.

All’assaggio non devono esserci sentori dannosi, come quello di carne fresca, ma anche quello di patata o il sentore di muffa. Tra i sapori, l’assaggio si deve caratterizzare da una piacevole dolcezza che arriva immediatamente dopo la prima fase della masticazione, che lascia spazio alla sapidità, che non deve mai essere eccessiva. Infine, devono mancare il sapore amaro e qualsiasi acidità, anche lieve.

Riconoscere le caratteristiche di un buon prosciutto crudo permette di raccontarlo meglio: perché la bottega specializzata è un bacino di cultura gastronomica da tutelare, valorizzare, supportare Lara Abrati

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Prosciutto dei Nebrodi.

Scaff ali e dintorni

Il visual merchandising è una strategia di marketing con la quale i rivenditori sfruttano il loro spazio per disporre la merce in modo da attirare l’attenzione dei clienti. In poche parole, visual merchandising significa disporre, promuovere ed esporre i prodotti in modo da invogliare i clienti all’acquisto. Su questo argomento la produzione di analisi, studi, manuali d’istruzione ed approfondimenti è amplissima, e se consideriamo il mondo grocery è focalizzata principalmente su spazi commerciali che tendono più al supermercato che non alla bella bottega di salumeria. Però i meccanismi che attivano l’interesse del cliente o potenziale cliente nel momento in cui

varca la soglia dell’esercizio commerciale sono i medesimi e possiamo fare tesoro dei tanti stimoli che arrivano da questa letteratura.

Quali sono i primi elementi che risaltano maggiormente quando si entra in un negozio? La vetrina, il layout dello spazio di vendita, l’illuminazione, l’esposizione dei prodotti, il design degli interni, la grafica, le esposizioni stagionali e festive e molti altri sono solo alcuni esempi. Le tattiche di visual merchandising sono utilizzate dai rivenditori per migliorare l’esperienza del consumatore e aumentare le vendite. Il visual merchandising nel mondo grocery è la

presentazione o l’esposizione di articoli che aumentano la loro attrattiva. È un misto di scienza e arte. Richiede una conoscenza della scienza della vendita al dettaglio, compreso il comportamento d’acquisto dei consumatori, le emozioni che ispirano gli acquisti e l’uso di principi psicologici per influenzare gli acquirenti. L’arte della presentazione e dell’esposizione si trova nell’uso di colore, luce, spazio, tipo di scaffalature, posizionamento del prodotto e altri fattori visivi

Layout del negozio

Il layout del negozio è un aspetto importante del visual merchandising dei supermercati, perché determina la quantità di spazio utilizzato e la posizione

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È buona prassi allineare i prodotti degli scaffali sul fronte ravvicinandoli tra loro. Gli spazi vuoti vanno colmati e meglio non utilizzare ripiani troppo profondi che potrebbero dare l’idea di scarsità di merce.

degli scaffali per trattenere i clienti nel negozio più a lungo. Le dimensioni del negozio, il tipo di articoli da presentare e il target di clientela influenzano il layout del punto vendita.

Scaffali, posizionamento e allestimento

Nel visual merchandising del grocery il posizionamento degli scaffali all’interno dello spazio adibito alla vendita non è certo banale. Per prodotti che sono in relazione per impiego e utilizzo come, ad esempio, la pasta e i condimenti, il posizionamento va fatto sullo stesso scaffale. In gergo tecnico si chiama cross-merchandising . Altri esempi?

Birre e patatine, olio evo e aceto balsamico, conserve di prodotti ittici e prodotti da forno. Riso e funghi secchi. La vicinanza dei prodotti è strategica, un impulso all’acquisto tira l’altro. Il posizionamento della merce all’altezza degli occhi favorisce l’aumento delle vendite. È meno probabile che i clienti si pieghino o si mettano sulle punte dei piedi per cercare un determinato marchio/prodotto quando gli articoli di alto valore sono posizionati all’altezza degli occhi; di conseguenza, posizionare gli articoli di alto valore all’altezza degli occhi fa aumentare l’importo del conto. Altra regola comune è che gli articoli più acquistati o più popolari dovrebbero essere tenuti in fondo allo scaffale, poiché saranno venduti in ogni caso, ma i prodotti di proprietà del negozio o quelli in offerta dovrebbero essere posti all’altezza degli occhi per aumentare la loro propensione alla vendita

Aggiornare l’esposizione dei prodotti

Un’altra strategia importante è quella di aggiornare regolarmente gli espositori, soprattutto quando vengono introdotti nuovi prodotti nel negozio. La frequenza delle modifiche è determinata dal tipo di articoli venduti, dagli sconti offerti su articoli specifici e dalla quantità di tempo che i potenziali clienti trascorrono semplicemente guardando gli articoli.

Fonte: Websys websysinfotech.in

Nota

Non perdere l’appuntamento con “VISUAL” nel prossimo numero di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA. Si parlerà di Natale!

Premiata Salumeria Italiana, 4/23

BOTTEGA MODERNA COL CUORE NELLA TRADIZIONE

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 74 PREMIATE SALUMERIE ITALIANE
di Elena Benedetti

Giuseppe e Domenico Maffettone nel nuovo locale di San Giuseppe Vesuviano, inaugurato nel 2021. 150 m2 di area vendita con cucina a vista e una decina di sedute esterne per il consumo in loco. Salumeria, panificio, gastronomia, un minimarket…: A’ Pastaol Maffettone è tutto questo e molto di più.

Si chiama A’ Pastaol Maffettone e si trova a San Giuseppe Vesuviano, piccolo comune della città metropolitana di Napoli.

«Il nome è stato scelto in onore della nostra nonna» mi dice GIUSEPPE MAFFETTONE, mentre ne ricorda le abilità in cucina. Qui il cibo è un valore che rimanda fortemente alle tradizioni, alla famiglia. Non ci si piega alla convenienza. La qualità è tutto e l’approccio di questa bottega — che si estende su 150 m2 di area vendita con una cucina a vista e una decina di sedute esterne per il consumo in loco — è tutto improntato a dare il meglio al cliente.

Il nuovo locale è stato aperto nell’ottobre del 2021, realizzato con la collaborazione di COSTA GROUP, l’azienda ligure specializzata nella progettazione e arredamento di locali legati alla ristorazione, e con la scelta di EPTA e della sua linea Eurocryor per banchi, celle e vetrine refrigerate. «Il nostro locale ha tante anime, la salumeria, il panificio, la gastronomia e un minimarket che offre un’ampia selezione di prodotti, frutta e verdura, pasta, quella di Gragnano e alcuni pastifici antichi di Torre Annun-

ziata (NA), conserve, vini locali e molto altro» mi dice Giuseppe.

La bottega ha una forte impostazione moderna, non solo per l’offerta che agevola il cliente negli acquisti e in una spesa che abbraccia un po’ tutti i prodotti, ma anche per la gestione e organizzazione degli spazi, caratterizzati da arredi che trasmettono un giusto mix tra locale contemporaneo e stimoli che rimandano continuamente alla tradizione. «La nostra parmigiana alle melanzane è cotta nel forno a legna, come insegna la cucina napoletana» mi dice Giuseppe con una punta di soddisfazione. «Certo, in questo modo ne produciamo meno rispetto ad un prodotto più “industriale” ma i nostri clienti sono soddisfatti e per noi questa è l’unica cosa che davvero conta!».

Qui lavorano senza sosta Giuseppe insieme a quattro collaboratori: il fratello DOMENICO, la cognata FORTUNA, il cugino GIUSEPPE e PINA, collaboratrice che affianca Fortuna. Una bella squadra, instancabile nel coordinare la produzione dei vari reparti in un lavoro «bello, che dà tante soddisfazioni, ma che non si ferma mai!».

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A San Giuseppe Vesuviano A’ Pastaol Maffettone è un bell’esempio di bottega moderna, caratterizzata da estesi spazi dedicati, ricca offerta di prodotti, un servizio al cliente puntuale e veloce (comprendente anche la consegna a domicilio). Una concezione di “salumeria” ampia, destinata a svilupparsi insieme alle nuove abitudini di acquisto e di consumo.

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Partiamo dalla salumeria . «Qui selezioniamo i prodotti migliori, dai salumi Levoni, alla mortadella Villani, dal prosciutto di Parma firmato Slega alla bresaola Paganoni, oltre a prodotti di nicchia di piccoli produttori come la toscana Macelleria Marini che realizza salumi artigianali di eccellenza.

Ci sono poi i formaggi, tanti formaggi, la mozzarella di bufala dell’Alto Casentino e un’offerta che occupa un banco lungo 7 metri! Nell’area gastronomia offriamo piatti pronti a forte vocazione tradizionale, non solo per la scelta ma per loro realizzazione, che

deve rimandare alla cucina di casa» prosegue Giuseppe. «D’altra parte noi abbiamo imparato a cucinare in casa, con prodotti buoni, genuini, di stagione, e questa è e resta la nostra impostazione».

Al banco gastronomia si affianca un’area dedicata alla verdura e frutta del territorio per agevolare la clientela ad effettuare una spesa completa in maniera efficiente.

Il panificio è un’attività che caratterizza molto A’Pastaol Maffettone, anzi, ne è il motore, l’asse portante, con una ricca offerta di pane fresco lavorato tutti

Il nuovo locale della famiglia Maffettone è stato aperto nell’ottobre del 2021 ed è stato realizzato con la collaborazione di Costa Group, l’azienda ligure specializzata nella progettazione e arredamento di locali legati alla ristorazione, e la scelta di Epta e della sua linea Eurocryor per banchi, celle e vetrine refrigerate. Il tutto per dare il meglio al cliente

i giorni, domeniche incluse. La ricerca dei grani migliori, la panificazione due volte al giorno e l’idea di partire in autunno con un’offerta di «prodotti di pasticceria della nonna» sono elementi che impegnano non poco lo staff.

Programmi per il futuro? «Vorremmo aumentare le sedute per il consumo in loco e lavorare coi grani antichi, oltre a studiare biscotteria per la nuova pasticceria» mi risponde Giuseppe Maffettone.

Ecco un bell’esempio di bottega moderna, caratterizzata da estesi spazi dedicati, ricca offerta di prodotti in assortimento, un servizio al cliente puntuale e veloce (che comprende anche le consegne a domicilio). Una concezione di “salumeria” molto ampia, destinata a crescere e svilupparsi seguendo tendenze e nuove abitudini di acquisto e di consumo. Vale sicuramente un giro a San Giuseppe Vesuviano.

A’Pastaol Maffettone

Via Pianillo 154

80047 San Giuseppe Vesuviano (NA)

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 78
L’area dedicata ai prodotti di panetteria, il vero e proprio cavallo di battaglia, l’asse portante della bottega della famiglia Maffettone, con una ricca offerta di pane fresco lavorato tutti i giorni, domeniche incluse.

IL COLTELLO DA PROSCIUTTO

È uno strumento di fondamentale importanza per esaltare al meglio gusto e consistenza del pregiato salume

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 80 STRUMENTI

Non basta avere un buon prosciutto a disposizione. Il segreto per gustarselo al meglio è il taglio e per questo occorre non solo saperlo eseguire ma, innanzitutto, avere il coltello adatto per farlo. I coltelli da prosciutto sono uno strumento di importanza fondamentale per godere del sapore e della consistenza del prosciutto, i quali vengono esaltati nel modo giusto se si riesce ad effettuare tagli precisi ed uniformi.

Quella del taglio è, in sintesi, una vera e propria arte. Oltre che essere affascinante da vedere, regala delle sensazioni all’assaggio uniche. Non esiste una sola tecnica di taglio. Per scegliere quella migliore bisogna considerare alcuni fattori: la stagionatura del prosciutto, la praticità della posizione di taglio e le dimensioni delle fette. Il taglio a mano viene effettuato principalmente in occasioni in cui il prosciutto è degustato al momento, subito dopo il taglio stesso.

Esistono diverse scuole di taglio, ma le più conosciute e apprezzate sono quella italiana e quella spagnola. In Italia si preferisce tagliare fette sottili, lunghe e intere, mentre secondo la scuola iberica bisogna tagliare in tante piccole porzioni così da gustare distintamente le diverse parti del prosciutto.

La principale differenza coi coltelli comuni è che quelli da prosciutto hanno una lama più larga e ricurva che consente di eseguire il taglio in modo preciso ed uniforme. Sono infatti appositamente progettati per questo scopo. Possono essere realizzati con diversi materiali come l’acciaio inossidabile, il titanio, la ceramica. I fattori da considerare sono la lunghezza della lama e il materiale di cui è essa fatta, il peso del coltello e il design del manico. La scelta può fare la differenza fra un taglio mediocre e uno perfetto, ma è una scelta che deve essere effettuata in base alle esigenze personali e alla specifica tecnica di taglio adottata che, come già detto, può variare. Un esempio è quella a V, quando la pelle avanza dallo stinco verso il centro del prosciutto formando appunto una V, più o meno angolata a seconda dei casi.

Ogni tipo di coltello si adatta quindi a diversi tipi di prosciutto e di preferenze di taglio. Di regola ne occorrerebbero due: uno a lama rigida corta per sbucciare

la crosta e rimuovere il prosciutto dalle parti più vicine all’osso ed uno a lama lunga e flessibile per affettarlo.

La storia dei coltelli da prosciutto risale all’epoca romana, quando esso era una delle principali fonti di proteine per i soldati. Fu però solo nel Medioevo che divenne possibile utilizzare coltelli specifici per il taglio. Conosciuti come “coltelli mortali”, erano grandi e pesanti, con una lama forte e uniforme. Col passare del tempo ne sono stati messi a punto di svariati modelli, tipici delle diverse zone di produzione e utilizzo. L’attenzione degli esperti di settore verso questo utensile si è fatta poi nel tempo sempre più raffinata e innovativa e con materiali sempre più di qualità e di design specifico.

Per prolungare la vita del coltello è essenziale prendersene cura e mantenerlo correttamente in modo che sia sempre nelle migliori condizioni. È indispensabile pulirlo e asciugarlo dopo ogni utilizzo, evitare di tagliare cibi duri o congelati e conservarlo in un luogo asciutto e protetto. Inoltre, si consiglia di affilarlo regolarmente per mantenerlo sempre in perfette condizioni di taglio e ottenere fette migliori, più fini e uniformi. Bisogna quindi dotarsi anche di un apposito affilatoio. Importanti anche le pinzette, per afferrare e disporre le fette.

Si dovrebbe infine poter disporre di uno spazio e di un tavolo specifici e di un porta prosciutto. Non è detto che lo spazio in cui si lavora debba essere per forza molto ampio: l’importante è che sia comodo. Si tenga conto, tuttavia, che in uno spazio ristretto è più difficile eseguire un taglio corretto ed è più facile correre il rischio di tagliarsi. A questo proposito occorre fare molta attenzione a dove si posiziona la mano che non sta usando il coltello: è importante non metterlo davanti alla direzione di taglio nel caso in cui il coltello fuoriesca per evitare lesioni. Se però non si può disporre che di un piccolo spazio, è meglio acquistare un porta prosciutto pieghevole, soprattutto se non lo si usa spesso. In caso contrario è preferibile uno fisso e di dimensioni più grandi. In entrambi i casi questo utensile deve garantire stabilità perché è ciò che ci farà fare un taglio di qualità. E una buona presa del prosciutto darà anche comodità e sicurezza a chi sta lavorando.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23
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La dolce manna che non piove dal cielo, ma dai frassini delle Madonie

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 83 PRODOTTI TIPICI

A Castelbuono, uno dei comuni siciliani “custodi” della tradizione della manna, l’associazione madonieexplorers.com organizza tutto l’anno incontri con uno dei produttori manna, per far conoscere un mestiere raro quanto prezioso. La storia di questa rarità vegetale affonda infatti le sue radici nell’antichità classica: Greci e Romani la conoscevano col nome di “Miele di rugiada” o “Secrezione delle stelle” (photo © madonieexplorers.com).

Nell’immaginario collettivo la manna ci porta immediatamente alla Bibbia: nutrimento che piovve dal cielo per sfamare gli Ebrei stremati, in viaggio nel deserto. Di fronte a quel cibo così inusuale si chiesero in aramaico: “Man Hu?” (cos’è?). Da qui la radice del nome, manna. In Provincia di Palermo, nei comuni di Castelbuono e Pollino, vivono i custodi della manna “eletta”, riconosciuta come presidio Slow Food, linfa ottenuta dalla corteccia che fuoriesce dalle branche principali di alcune specie di frassino del genere Fraxinus L. Le incisioni vengono effettuate da sapienti esperti nei mesi di luglio, agosto e settembre con il tradizionale strumento tramandato di padre in figlio: il mannaruòlu. A contatto con l’aria la linfa solidifica lentamente, strato su strato, e forma i cosiddetti “cannoli”

La manna altro non è che un essudato zuccherino costituito principalmente da mannite, acidi organici, acqua, glucosio, fruttosio, mucillagini, resine e composti azotati. Le qualità è fortemente influenzata dalla zona di provenienza, dall’esposizione, dalle caratteristiche

chimico-fisiche del terreno, dall’età delle piante e dall’andamento stagionale. Quella di tipo “cannolo”, che si forma per gocciolamento della linfa lungo la corteccia, assume un aspetto stalattitiforme. È lei quella più pregiata, perché quasi totalmente priva di impurità. Non tutta quella raccolta, infatti, è di qualità eccellente: solo quella che non entra in contatto con la corteccia è considerata purissima ed è tutelata da Slow Food.

Nel corso degli anni è stato messo a punto un sistema che prevede l’uso di un filo di nylon legato ad una piccola lamina d’acciaio posta sotto l’incisione, che consente la raccolta ogni due giorni. Una pianta adulta, in fase di maturità e con buona attività di crescita vegetativa, può fornire da 1 a 5 kg/anno di manna. Dopo lo stoccaggio ed immediatamente prima del confezionamento il prodotto viene esposto al sole per una durata non inferiore alle 24 ore. La manna non opportunamente asciugata comporta infatti un rapido declino qualitativo ed un aumento delle impurità sul prodotto finito. La versione “eletta” la si può trovare in commercio

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confezionata in bustine, scatolette o barattoli, con chiusure tali da consentire la conservazione del naturale tenore di umidità del prodotto

La storia di questa rarità vegetale affonda le sue radici nell’antichità classica. I Greci e i Romani la conoscevano col nome di “Miele di rugiada” o “Secrezione delle stelle”. Ma la coltivazione del frassino da manna, analizzando i documenti rinvenuti, risale presumibilmente alla dominazione araba (IX-XI secolo d.C.). Il più antico testo in cui è citata è un diploma del Vescovo di Messina datato 1080

Nel corso dei secoli la produzione si diffuse anche in altre regioni meridionali, in particolare in Calabria, ma la Sicilia è rimasta la maggiore produttrice. Le notevoli estensioni investite a frassino nelle province di Palermo e Trapani la portano ad essere punto di riferimento nel mondo per questo prodotto straordinario, unico nel suo genere. Nel catasto agrario del 1929 la valle del fiume Pollina venne definita “zona agraria del frassino”. Un patrimonio forestale oggi ridotto a 250 ettari, caratterizzati da terreni marginali e scoscesi che non si sono mai prestati a colture meccanizzate e redditizie.

Soltanto il 20-30% dei frassini è ancora produttivo e offre manna destinata al commercio. Dall’ultimo dopoguerra in poi la produzione ha subito un crollo. Gli ultimi frassinicoltori — poco più di centinaio e perlopiù anziani — mantengono viva la coltura e scongiurano la

temuta scomparsa. Il presidio riunisce alcuni coltivatori di frassino da manna che si sono dati un Disciplinare con l’obiettivo di migliorare la tecnica di raccolta e di garantire manna naturale contro le tante contraffazioni.

Per secoli risorsa portante dell’economia locale, la manna si distingue anche per le straordinarie proprietà nutritive ed organolettiche. Leggere e spugnose, quasi insapori, le stalattiti sono un dolcificante naturale a bassissimo contenuto di zuccheri semplici, con

proprietà depurative e blandamente lassative. Oggi la maggior parte del raccolto è destinato alla trasformazione: se ne estrae mannite che, confezionata in pani, è utilizzata dall’industria cosmetica e farmaceutica. Si può trovare anche tra i prodotti di pasticceria, utilizzata nella preparazione di torte, biscotti, budini e moltissime altre specialità dolciarie. Un prodotto sicuramente singolare, ma dalle tantissime virtù ancora poco conosciute.

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Le notevoli estensioni investite a frassino nelle province di Palermo e Trapani portano la Sicilia ad essere punto di riferimento nel mondo per questo prodotto straordinario, unico nel suo genere, dotato di importanti proprietà nutritive ed organolettiche.

API, NON SOLO MIELE

Il miele è uno degli alimenti più antichi dell’uomo: l’allevamento delle api era infatti già praticato nell’Antico Egitto, circa 3.000 anni prima della nascita di Cristo, usando arnie cilindriche in terracotta, disposte orizzontalmente, da cui si estraevano i favi colmi di miele. Sempre gli

antichi Egizi svilupparono l’apicoltura nomade spostando lungo il Nilo gli alveari per seguire il succedersi delle fioriture e ottenere un alimento riservato alle caste più elevate e usarlo nei riti di mummificazione e in medicina. Le api sono anche tra i primi insetti che oggi consideriamo una risorsa preziosa per

il mantenimento del nostro ecosistema e il futuro stesso dell’umanità (si pensi soltanto che, Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, la FAO, delle 100 specie di colture che forniscono il 90% dei cibi di tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api, NdR).

Il miele può essere usato per la doratura della carne, non solo per la sua naturale colorazione, ma perché favorisce la reazione di Maillard.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 86 ANALISI DEL FOOD

Nuovo futuro per le api

L’allevamento, i mercati e la commercializzazione degli insetti stanno riscuotendo notevole interesse e il loro futuro come cibo, ingredienti alimentari e nei mangimi per animali sembra promettente. A questo proposito, le nidiate delle api mellifere, costituite da larve e pupe, possono essere considerate un cibo di potenziale consumo per l’uomo, non essendo tossiche ma anzi con elevato valore nutrizionale, un alto contenuto di proteine, amminoacidi essenziali e acidi grassi, incluso l’acido oleico monoinsaturo. Il consumo di larve e pupe di api è una pratica diffusa in molti Paesi del mondo nei quali sono utilizzate come ingredienti di diverse preparazioni in cucina (mentre secondo un’analisi COLDIRETTI/IXÈ, la maggioranza degli Italiani — 54% — considera gli insetti estranei alla propria cultura alimentare e non li porterebbe mai a tavola, NdR). Le forme di consumo più frequenti includono la loro essiccazione, cottura e frittura e la preparazione di conserve. Una volta cotte o essiccate, le nidiate mantengono la loro forma e presentano una consistenza piacevolmente croccante e un intenso sapore di nocciola. Da un

punto di vista nutrizionale ad esempio, però, le caratteristiche e la qualità delle nidiate di api sono influenzate da un insieme di fattori che derivano dalla nutrizione, dagli stadi di sviluppo, dalle caste, dal peso corporeo e dallo stato di salute delle api, dalle condizioni dell’habitat e del clima, nonché dai metodi di lavorazione e preparazione. Per quanto riguarda i residui antimicrobici, invece, attualmente il Regolamento dell’Unione Europea n. 37/2010 della Commissione non ha stabilito LMR per le sostanze antimicrobiche nel miele e quindi l’uso di antibiotici in apicoltura non è consentito nella Comunità europea. Anche se i farmaci antibiotici non sono autorizzati per il trattamento delle api, molti studi mostrano la presenza di residui nel miele, sollevando il sospetto che ciò sia causato principalmente dal suo uso illegale in apicoltura. Infine, è da sottolineare il fatto che vi sia necessità di una regolamentazione e di una legislazione specifica per l’uso delle covate come alimento, al fine di sostenerne una corretta produzione, trasformazione e commercializzazione e garantire la sicurezza alimentare e ambientale.

Miele prezioso

Le nidiate di api trovano applicazione anche in medicina, con effetti riportati su problemi di fertilità, malattie nervose e mentali, malnutrizione con miglioramento dell’appetito e aumento di peso e aumento dell’immunità contro le malattie virali. Tuttavia, la maggior parte delle proprietà terapeutiche si trova nel prodotto delle api, ovvero il miele, e soprattutto nei polifenoli di cui questo alimento è ricco. I polifenoli nel miele hanno un alto valore di biodisponibilità e non sono esposti ad alcuna reazione chimica come l’estrazione o il decotto che potrebbe influire sulla loro qualità.

Molto spesso nutrizionisti e medici tendono a sconsigliare elevate quantità di miele per potenziali rischi per la salute; ciononostante, salvo alcune patologie come il diabete, questo alimento è indicato per il suo effetto sullo stress ossidativo e per le sue proprietà antibatteriche, antinfiammatorie, antitumorali, antivirali. Pertanto, i produttori di miele sono incoraggiati ad etichettare il contenuto fenolico sui loro prodotti a base di miele.

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Gli antichi Egizi iniziarono ad allevare api per prelevarne il miele, considerato un vero e proprio nettare degli dei (photo © Dmytro Vietrov).

DIFFERENZE TRA “AFFETTATI VEGETALI” E VERI SALUMI

Cosa sono? E cosa li distingue dai salumi a base di carne?

Affettati vegetali : oggi ne troviamo moltissimi in commercio. Ma cosa si intende veramente con questo termine e in cosa si differenziano dai salumi a base di carne? E, soprattutto, è vero che sono meglio per la nostra salute?

Con “affettato vegetale” si intende un prodotto che tenta di imitare il tradizionale affettato di carne, ma la carne non c’è, essendo completamente a base di glutine di frumento e legumi. E il glutine è il vero protagonista, perché fa da legante, rendendo l’impasto omogeneo. Invece i legumi più usati sono la soia, i

ceci e il lupino. Questi vengono riscaldati, schiacciati e decorticati per ottenere i fiocchi, poi sgrassati con esano, un solvente prodotto dalla raffinazione del petrolio, eliminato col vapore ma di cui restano comunque tracce.

La lavorazione è complessa e prosegue con macinazione, estrusione o concentrazione della farina. Tutti questi procedimenti hanno il fine di estrarre la proteina destrutturata, che ha una consistenza elastica e viscosa in modo da ricordare un vero affettato di carne. I processi prevedono l’utilizzo di temperature molto elevate, di circa

140 °/180 °C, che impoveriscono dal punto di vista nutrizionale la materia prima di partenza. Inoltre, vengono impiegati diversi oli, come olio di semi, di girasole, di cocco e palma, che rendono il prodotto molto più grasso di quello a base di carne.

Vengono usati anche sciroppi dolci per dare sapore e cercare di riprodurre il più possibile quello del salume tradizionale. Il muscolo di grano è un altro impasto usato per produrre affettati vegetali e contiene glutine e farina di legumi insieme, in prevalenza soia e lenticchie, impastati con aromi vari e

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 88

coloranti di origine sintetica o naturale — come quelli derivanti dal pomodoro e dal succo di barbabietola, per riprodurre ad esempio il colore di prosciutto cotto e bresaola.

I coloranti non sono gli unici ingredienti che vengono addizionati. Purtroppo la lista di additivi è lunga e molti sono di sintesi, come addensanti, emulsionanti e oli raffinati. Vien da sé che si tratta di prodotti altamente manipolati, poveri dal punto di vista nutrizionale, con poche proteine, carente di amminoacidi essenziali e con troppi grassi, sale e carboidrati, specialmente amidi. Sono dei veri e propri prodotti iper-processati e nutrirsi di questi artefatti non fa per niente bene alla salute. Il rischio di abusare di questi elaborati è molto alto, specialmente nelle diete vegane, fregiandosi della dicitura di “cibo sano”. Meglio la giusta quantità di un salume tipico ricco di sapori e muffe benefiche derivate da una sapiente stagionatura, nutriente, proteico, col giusto apporto di grassi essenziali e composti bioattivi benefici, o un affettato vegetale iper-trasformato, frutto di intense lavorazioni industriali, nutrizionalmente povero, pieno di additivi e dal sapore discutibile? A voi la scelta.

Fonte: Assosuini assosuini.it

Premiata Salumeria Italiana, 4/23
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Premiata famiglia Fais

SONO PARTITI DA UN LOCALE AL CENTRO DI ORISTANO PER ANDARE ALLA CONQUISTA DEL MERCATO DELLA RISTORAZIONE A CAGLIARI. FATICA, SACRIFICI E COMPETENZA

SEMBRANO ESSERE LE CARTE VINCENTI DI QUATTRO RAGAZZI CON LE IDEE

MOLTO CHIARE E UNA GRANDE VOGLIA DI FARE

di Sebastiano Corona

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 90 LOCALI DI GUSTO

L’economia italiana è ricca di esempi di successo di famiglia e impresa si intrecciano in un connubio indissolubile, in cui è spesso difficile comprendere dove finisca una e inizi l’altra e se questo legame sia un punto di forza o meno. Certo è che gli esempi virtuosi non mancano e viene spontaneo pensare che — pur con tutte le difficoltà del caso — la riuscita di alcuni percorsi imprenditoriali sia dovuta in buona parte al fatto che quell’amore che anima la famiglia sia lo stesso che si mette nel lavoro. La storia che oggi raccontiamo è proprio questa: tre sorelle, ELISABETTA, VALENTINA e CHIARA, e un fratello, PIERLUIGI, con sua moglie ISA, molto vicini nell’età e nell’esperienza di studio. Cinque giovani in un certo qual modo figli d’arte che, anche col supporto di genitori e affini, si sono cimentati presto nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità e lo hanno fatto con grande soddisfazione, oltre che con impegno e devozione incessante.

Originari di Bonarcado, un paesino dell’Oristanese, dopo vari trasferimenti, hanno frequentato l’università nel capoluogo sardo, per poi tornare a Oristano dove hanno avviato Josto nel Vicolo e poi Josto al Duomo. Solo dopo qualche tempo hanno ceduto al richiamo della città che li aveva ospitati durante i loro studi, aprendo prima Framento, nel

A pag. 90: la famiglia Fais. In alto e a sinistra: lievito madre (in sardo, su framentu) e ingredienti genuini sono alla base di Framento, pizzeria con cui i Fais hanno debuttato nel mondo della ristorazione a Cagliari nel 2015. «Le nostre pizze finiscono in un forno ma iniziano in una cucina. Le nostre scelte sono sostenibili, scegliamo e selezioniamo i nostri prodotti con molta cura», dice Pierluigi Fais (photo © mauronster e NIKOBOI).

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Etto-Antica Macelleria Moderna, nel centro storico di Cagliari, è una macelleria con cucina. Sempre disponibili nel reparto gastronomia specialità da asporto o da gustare in loco. A cena si mangia anche la carne al barbecue (photo © mauronster).

2015, poi Josto e, a seguire, Etto, nel 2019. Un intreccio di locali, professionalità e competenze messo al servizio di progetti sempre nuovi, portati avanti con sacrificio e ponderazione. Un successo giunto tutt’altro che gratuitamente e che ha avuto il suggello di prestigiosi riconoscimenti e ambiti premi.

Dividendosi ruoli e responsabilità, non senza fatica, i fratelli Fais si sono cimentati a Cagliari, prima nel mondo della pizza, a seguire in quello della ristorazione e poi in quello delle carni. E per chi ha pazienza di aspettare (non molto, in verità), grandi idee stanno passando, proprio in queste settimane, dal cassetto al cantiere. I Fais vorrebbero, infatti, tra le varie cose, anche rafforzare il servizio del catering e quello della lavorazione dei prodotti che utilizzano nella somministrazione e che saranno poi destinati anche alla vendita.

Le attività si trovano tutte a pochissima distanza l’una dall’altra, nel centro storico di Cagliari, dove è possibile anche sedere all’aperto per consumare i propri piatti. Si tratta di tre proposte diverse tra loro che hanno in comune l’impronta forte di una filosofia di lavoro e di cura per il cliente che non è comune. I quattro fratelli sono impegnati in prima persona dietro i banconi, pur avendo anche ruoli di gestione complessiva dell’impresa familiare. Non

è però solo questo ad accomunare le diverse attività: c’è una ricerca minuziosa del prodotto locale, diversamente valorizzato a seconda del contesto e dell’occasione.

C’è un’attenzione al servizio almeno pari a quella che c’è sul piatto (ed è tanta!). C’è il tentativo di attivare un circolo virtuoso che faccia ripartire le economie locali grazie alla ristorazione e alla vendita al dettaglio, facendo nel contempo l’occhiolino all’ambiente e alle piccole comunità. C’è il desiderio di svecchiare la cucina sarda, passando anche per la macelleria e per la pizzeria. E per usare le parole di ALESSANDRO BORGHESE, che a Josto tempo fa ha attribuito il premio di 4 Ristoranti a Cagliari, PIERLUIGI FAIS è riuscito, «partendo dalla tradizione, a rinnovarla e arricchirla».

È però con la pizzeria che i Fais hanno debuttato nel 2015 a Cagliari. Il nome Framento richiama in maniera inequivocabile quello che è uno dei termini sardi per indicare il lievito madre. La filosofia del locale, per usare le parole di Pierluigi Fais, stavolta accompagnato anche dalla moglie Isa, è quella di valorizzare l’impasto, la cui madrighe — altro termine sardo — esposta al pubblico in un frigorifero a vista, viene rinfrescata ogni giorno e “coccolata” come un essere vivente. Il resto della pasta per la pizza lo fanno le semole

sarde bio macinate a pietra e le farine scelte di provenienza nazionale. Quando arriva il menu ed è difficile prendere una decisione, guai a chiedere qualcosa di diverso da quanto proposto nero su bianco, né aggiungere o togliere qualche ingrediente alla pizza proposta! Qualcuno ha lavorato per realizzare una pietanza armonica nel gusto e nella composizione e qualunque variazione potrebbe far venir meno quell’equilibrio trovato con fatica. Si guardi dunque questa regola come un ennesimo atto di cortesia, perché questo è.

D’altronde il menu è vario, le pizze cambiano a seconda della stagione e di ciò che la campagna, in quel momento, offre. Il richiamo alla tradizione è evidente nella proposta degli ingredienti. Il bordo è pronunciato, alto e ampio, croccante fuori e morbido dentro, più che soddisfacente in quantità, nonostante le dimensioni che possono sembrare al di sotto dello standard, ma che invece sono da ricondurre unicamente al fatto che la pasta viene stesa a mano, non con il mattarello, e per questa ragione appare più ridotta. Il forno è elettrico e utilizzato a bassa temperatura, pertanto la cottura richiede qualche minuto in più, rispetto al normale.

Il menu di Framento, al pari di quello di Etto, gioca con le parole e usa termini rivisitati e ilari per dare un tocco di ori-

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ginalità ad una proposta che originale lo è già nel contenuto, nella forma e nella presentazione. Comprende le pizze classiche rilette dallo chef, ma anche proposte del tutto inedite, dove gli ingredienti locali trionfano e solo eccezionalmente subiscono gradite interferenze del patrimonio gastronomico nazionale o estero.

La lavagna con le proposte gastronomiche gioca con i termini, utilizzando spesso il sardo, soprattutto per battezzare i piatti. Tra gli ingredienti isolani preferiti vi sono gli oli regionali e in particolare del Montiferru, da dove i Fais provengono, ma anche specialità come il muggine affumicato di Cabras, la salsiccia Pusole di Baunei, i pecorini sardi di Giuseppe Cugusi del Caseificio Sa Marchesa, il casizolu di Bonarcado, la menta, il tonno pinna gialla della Sardegna, i porcini leccini, la vinaigrette di sapa, la ricotta mustia, i capperi di Selargius, s’oia pistada, i pomodori secchi o la rucola selvatica, solo per citarne alcuni. Ma c’è anche la zucca, i broccoli, la stracciatella fresca di Mozzarilandia, i würstel tedeschi, la fontina d’alpeggio o il salmone affumicato irlandese. Tutti originali.

È ottima la selezione di birre, ma qui, in maniera tanto azzardata quanto riuscita, la pizza si serve con le

Il menu di Josto è un tributo alle generazioni isolane passate, che hanno consegnato ai Sardi di oggi un patrimonio inestimabile sotto ogni profilo. Non a caso uno dei cavalli di battaglia del locale è la pecora, a cui i Fais rendono a loro modo omaggio

bollicine nel bicchiere. Così ha deciso Pierluigi Fais, colui che in famiglia più di chiunque altro definisce e compone i piatti, nella convinzione che, oltre ad essere un abbinamento gradevole per il palato, quei vini ben si accompagnino alla spensieratezza e alla gioia che la pizza normalmente genera.

La macelleria Etto è quasi contigua a Framento ed è uno dei mezzi con cui i Fais pongono l’accento più sulla qualità delle proteine animali che sulla quantità. Una qualità che significa, per quanto possibile, scarso o nullo impatto ambientale e legame stretto con il territorio.

La carne isolana non è necessariamente più pregiata, ma acquistare in Sardegna significa mettere in tavola un prodotto che viene prevalentemente o esclusivamente da pascoli bradi o semibradi, allevato da piccoli proprie-

tari che insistono in comunità in via di spopolamento e che affrontano difficoltà immense dovute ad un lavoro pesante e alla carenza di servizi.

L’offerta è esclusivamente di carne di pecora, di suino e di bovino, con capi di peso che vengono frollati a lungo. Il menu per il consumo in loco è limitato ma vario, con accostamenti insoliti e curiosi e tutt’altro che banali e prevede incursioni che giungono dalle altre attività dei Fais, come per esempio, il pane cotto nel forno di Framento. Oppure il pane di Piero Ditrizio, con cui Valentina Fais stringe a sua volta un legame imprenditoriale e personale e che, dietro l’angolo, in via Crispi, in una pasticceria bella e ricca, porta al banco i migliori maritozzi della città. Ma questa è un’altra storia.

La carne di Etto si può consumare sul posto, dentro o fuori dal locale, nel

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Pecora bollita, piatto di Josto Cagliari (la carne proviene da Etto), e lo staff del locale, con Pierluigi Fais, Matteo Russo e Riccardo Cocco (photo © mauronster).

corso Vittorio Emanuele, quasi completamente pedonale, e si può acquistare, anche con consegna a domicilio, unitamente ad altre specialità isolane e non, già confezionate, come semole, oli, pasta secca, vini, pane tipico e molto altro.

Josto ha invece un altro passo. Si trova in via Sassari, a qualche metro, ma fronte piazza del Carmine, un altro luogo simbolo della città. Due sale ricavate in una vecchia falegnameria ristrutturata accolgono i commensali che già sulla porta possono intravedere la cucina a vista e Pierluigi, con tutta la sua brigata, preparare piatti unici e raffinati. Gli spazi lasciano intuire un’anima industriale, magistralmente riportata a nuovo con tubi di ferro a vista, rifiniture di legno, lampadari moderni ed elementi di design.

Anche qui i Fais hanno voluto riprendere alcuni prodotti del territorio per rivalutarli e riproporli in chiave moderna, con l’ambizione di contribuire, per quanto possibile e per il ruolo che

rivestono, a far ripartire l’economia ad essi legata. Un’economia oggi in forte affanno che stenta a ritagliarsi uno spazio nella ristorazione moderna.

Il menu di Josto vuole essere un tributo alle generazioni isolane passate, che hanno consegnato ai Sardi di oggi un patrimonio inestimabile sotto ogni profilo, da quello antropologico a quello storico, identitario e culturale

Non a caso uno dei cavalli di battaglia di Josto è la pecora, per millenni protagonista in Sardegna, motore del sostentamento economico di tutta la regione. Per questo ed altri motivi, alla pecora, secondo Pierluigi, i Sardi dovrebbero fare un monumento e i Fais contribuiscono come possono a renderle omaggio.

Quello di Josto è un ovino a fine carriera, che ha già dato tanto in termini di latte, di lana e di agnelli. È un prodotto sostenibile perché cresciuto in allevamenti estensivi, in pascoli incontaminati e seguendo i ritmi che la natura detta. La pecora sarda permette

Gli spazi di Josto Cagliari lasciano intuire un’anima industriale, riportata a nuovo con tubi di ferro a vista, rifiniture di legno, lampadari moderni ed elementi di design. Anche qui i Fais hanno voluto riprendere alcuni prodotti del territorio per rivalutarli e riproporli in chiave moderna, con l’ambizione di contribuire, per quanto possibile e per il ruolo che rivestono, a far ripartire l’economia ad essi legata (photo © Barbara Pau).

di portare in tavola un prodotto eccellente, antico nell’essenza e innovativo nella cucina.

Ed è sempre la pecora che offre l’assist per raccontare il territorio e l’identità isolana. Le proposte sono diverse, due in particolare meritano un cenno. La pecora bollita, differente da come siamo abituati a consumarla in Sardegna, cotta nel brodo e servita con patate e cipolle. Quella proposta da Pierluigi Fais è pulita e sgrassata, con un lavoro lungo e certosino, ed è servita in forme nuove e diverse, accompagnata da contorni insoliti, in molti casi dalle erbe selvatiche del Montiferru. In alternativa è proposta arrosto, servita sulla sua stessa riduzione.

Nei piatti di Pierluigi Fais, innovativi sotto tanti aspetti, la tradizione si ripresenta con prepotenza e costanza, quasi a volersi ritagliare uno spazio con la forza, generando così un connubio sorprendente di sapori e immagini. In un’ottica di sostenibilità ambientale, i Fais propongono un menu che limita le

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proteine animali a favore di alternative meno impattanti per il pianeta. Il pesce è solo quello pescato locale, le carni sono sempre sarde, sebbene reperirle di tutte le tipologie, sia talvolta faticoso. La pasta viene fatta nella cucina del ristorante con semole isolane di grano duro, preferibilmente macinato a pietra, mentre sono nazionali le farine di grano tenero, vista la scarna coltivazione nell’isola. La carta dei vini è invidiabile. Chi conosce bene Pierluigi sostiene che sia uno dei pochi chef che si intende davvero anche di vini. Una dote di cui si dovrebbe approfittare quando si fa un salto a Cagliari.

La scelta di aprire solo la sera è stata una decisione ardua ma anche ponderata. In certo qual modo una strada obbligata visti i ritmi di vita e di lavoro per i quattro fratelli e per i collaboratori. Ma appare anche una politica al passo coi tempi, nella convinzione che potersi ritagliare uno spazio sia un modo per elevare la qualità della vita di tutti, rendendola più gratificante, anche per dare un senso nuovo e diverso al lavoro.

D’altronde lavoro non è solo quello che si fa a porte aperte al pubblico. Tutto ciò che avviene a monte e a valle toglie molto spazio ed energia e necessita di grande attenzione per il raggiungimento del risultato finale a tavola.

Un’altra scelta che accompagna i Fais sin dall’inizio della loro carriera nel mondo della ristorazione è quella della sostenibilità e della circolarità: un processo difficile da attuare, che si fatica a mettere in pratica in maniera definitiva e completa.

È un dialogo continuo con il mondo che circonda la ristorazione. È un obiettivo il cui raggiungimento va coltivato nel tempo e a cui si aspira nonostante le difficoltà. Perché la sostenibilità, quanto la circolarità, sono processi che, per loro natura, non si possono costruire in solitudine, ma solo nell’ambito di un sistema più vasto.

Un sistema in cui non sempre si entra a cose fatte per poterne fruire, ma che si costruisce nel tempo, con tutti gli altri attori. Anche in questo i Fais sono fortemente impegnati e stanno facendo la loro parte.

>> Link: dijef.com

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QUANDO UNA STELLA MUORE

di Riccardo Lagorio 18

Bernard Fournier ha celebrato per tre decenni nel suo locale a Campione d’Italia l’anatra Mulard ma, soprattutto, l’arte del foie gras, facendolo conoscere, ravvivandolo nel gusto e nello spirito, portandolo a vette mai toccate prima. «Forse ora inizierò dei corsi dedicati affinché si conosca davvero la realtà di questo prodotto. Ad iniziare dalla dizione…»

giugno 2023. È una data che si ricorderanno in molti. In molti di coloro che hanno seguito le vicende della cucina italiana, la sua storia recente. Il 18 giugno 2023 è stato l’ultimo giorno di attività del ristorante Da Candida, aperto nel 1992 dall’istrionico chef patron francese BERNARD FOURNIER e dalla moglie trentina ADRIANA BERTI. Per oltre trent’anni il locale ha illuminato il livido panorama della ristorazione di Campione d’Italia, fazzoletto di terra tricolore circondata da territorio elvetico. «Dovevamo aprire dopo due mesi

di ristrutturazioni. La burocrazia italiana ce ne fece impiegare il doppio» ricorda Bernard. «E il primo ad entrare quel lontano venerdì sera fu il comandante della polizia municipale». Veniva a fare l’ultimo estenuante controllo.

Il rapporto con Campione d’Italia e Bernard Fournier non pare essere stato da principio idilliaco: trascorsi sei mesi dall’apertura le solite voci incontrollate lo danno lì lì per chiudere. «Alla fine le malelingue hanno dovuto aspettare più di 370 mesi perché Da Candida chiudesse. E non certo perché mancassero i clienti, ma perché Bernard Fournier

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ha più di 67 anni». Nel 1995 arriva per la prima volta la Stella Michelin a suggellare una cucina fatta di tradizione francese e classicismo italiano. Un locale, insomma, che aveva le carte in regola per attraversare indenne le procelle scatenate su questo sacro modello dalle sperimentazioni molecolari, dalle pappette veg, dall’occhiolino strizzato verso le cucine etniche, le fermentazioni, le destrutturazioni. Manco i cuochi fossero Picasso.

Lui no: Bernard Fournier — e in ciò risiede la sua grandezza — ha celebrato per tre decenni in Italia l’anatra Mulard e, soprattutto, l’arte del foie gras: lo ha fatto conoscere, lo ha in certi casi ravvivato nel gusto e nello spirito, lo ha portato a vette mai toccate prima. L’anatra Mulard, ibridi sterili ottenuti dall’incrocio di anatre di Barberia e anatra comune. «Chi non conosce la genesi del foie gras non si immagina neppure che l’anatra Mulard non subisce nessuno stress per ottenere il fegato grasso. Razze diverse di anatra e oche possono subire invece uno squilibrio nell’assunzione eccessiva di cibo».

Ma Fournier, nei quarant’anni di attività, ha sempre utilizzato anatre Mu-

lard, per buona pace degli ambientalisti e degli animalisti. «Forse inizierò dei corsi dedicati al foie gras affinché anche in Italia si conosca la realtà di questo prodotto. Ad iniziare dalla dizione, perché non ci si sbagli a confondere il foie gras entier con quello au bloc. Il primo deriva da un solo fegato lavorato, mentre il fegato au bloc è un insieme emulsionato di fegati. È intuitivo che il primo sia più pregiato».

Anche il consumatore dovrebbe prendere conoscenza di questa specificità. Una volta marinato al Vino Santo trentino, alla vaniglia di Tahiti, ai fichi, al fior di sale di Trapani o di Bretagna e in altra mezza dozzina di gusti, dal foie gras cucinato a bagnomaria a 85 °C per 12 ore si ottiene la terrina mentre cuocendo a 60 °C in immersione, avvolto da un apposito panno, viene invece denominato au torchon

A celebrare la chiusura sono stati chiamati per un buffet i clienti affezionati e una selezionata serie di colleghi pronti a volere celebrare il loro maestro o mentore. «Un tempo avremmo applaudito solo all’apertura di un locale, non alla sua chiusura» scherza MAURO ELLI de Il Cantuccio di

Albavilla (CO); DARIO RANZA, presidente della delegazione svizzera al Bocuse d’Or e per anni cuoco del ristorante Principe Leopoldo del lussuoso Hotel Villa Principe Leopoldo di Lugano; la giovane PAMELA PAREDI dell’Osteria Lanterna di Cressogno Valsolda (CO). Loro si sono dati da fare a voler ricordare quanto importante Bernard Fournier sia stato per tutta la ristorazione ticinese e comasca. Ma anche italiana.

L’ultimo menu, appeso nella bacheca avvolta da tulle bianche e crema, recita piatti golosi con protagonista l’anatra Mulard: magret affumicato e melograno; magret arrosto con carote e Marsala; coscia confit, rösti di patate e uvetta di Zibibbo. Ma anche tournedos di manzo alla Rossini con purè di patate, rognone di vitello alla Digionnese, lumache alla bourguignonne. Il meglio di quanto l’opera culinaria umana abbia mai espresso. Da domani gli affreschi ottocenteschi e il caminetto in pietra grigia rimarranno soli, qualcuno scrosterà l’insegna murale che riporta la scritta Ristorante Da Candida e il silenzio calerà su viale Marco da Campione. Giù il sipario.

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A pagina 96: foie gras in torchon al passito (photo © Luca Belfiore). In alto: Bernard Fournier e lo staff del ristorante Da Candida.

elBulli è il primo ristorante al mondo a diventare un museo

elBulli — il tempio spagnolo della ristorazione portato alla fama internazionale dallo chef Ferran Adrià, entrato nelle sue cucine nel 1984 fino al 2011, anno della sua chiusura —, ha pensato di salvaguardare la sua eredità in quasi 4.000 m2 (2.500 all’esterno e 1.300 all’interno) a Cala Montjoi, nel Parco Naturale di Cap de Creus, a nord di Girona, quasi al confine con la Francia. Un’eredità, quella di elBulli1846 — il nome indica il numero di piatti che sono stati preparati nel mitico ristorante elBulli — che vuole indurre i visitatori a riflettere su gastronomia e innovazione e rendere omaggio a tutti quelli che hanno contribuito alla storia del locale come impresa e ai progetti dell’omonima Fondazione. «elBulli1846 vuole salvaguardare l’eredità di elBulli perché tutti, chi vi è passato e chi non lo ha conosciuto, hanno contribuito a fare del locale quello che è diventato» ha dichiarato Adrià.

Sono 69 le installazioni artistiche, concettuali e audiovisive a disposizione dei visitatori, che possono così capire come elBulli sia riuscito, negli anni della sua esistenza, a cambiare il paradigma della gastronomia mondiale. «Vogliamo che tutti i visitatori del museo comprendano come sia riuscito a generare un impatto così grande a livello mondiale, e provocare una riflessione sulla relazione tra la conoscenza e l’innovazione» ha detto Lluis García, direttore generale della Fondazione. Viene anche presentata la metodologia sviluppata sui progetti della fondazione come la “Bullipedia” (in foto), l’enciclopedia della ristorazione in Occidente sulle tracce di Wikipedia. E alla fine del percorso c’è elBulliDNA, una delle installazioni visivamente più dirompenti che ha la forma di una grotta e si integra nel paesaggio di Cap de Creus. Da lì, si passa all’ingresso all’edificio storico del ristorante, conservato integralmente, che ha ospitato elBulli per 50 anni. Quello che non si fa, in questi spazi, è mangiare. «Altrimenti sarebbe un ristorante» spiega Ferran Adrià. «E il nostro scopo oggi invece è far mangiare conoscenza». Ed è bene spiegarlo perché la sala ha tutti gli elementi originali: tovaglie, stoviglie e cristalleria; lo stesso vale per la cucina, dove Ferran Adrià, Juli Soler e la brigata creativa concepirono le 1846 elaborazioni finali di quel che si gustava in sala. Una visita che permetterà di comprendere meglio il sistema di pianificazione, organizzazione e funzionamento di un ristorante di quel tipo, dove sono stati creati piatti iconici. Nella parte dell’edificio dedicata alle relazioni interdisciplinari, si trovano gli schemi, i libretti e le mappe utilizzati da Ferran Adrià, per esempio, nel suo viaggio in Giappone. Il museo è aperto dal 15 giugno al 16 settembre, dalle 9:00 alle 20; la domenica è chiuso.

>> Link: elbullifoundation.com

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ANTICA CORTE PALLAVICINA

Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO”

43010 Polesine Parmense (PR)

Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416

www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.

Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.

ARRIVA SANA 2023

Una 35a edizione sempre più internazionale e B2B. Dal biologico all’healthy food, dalla cosmesi green alla moda sostenibile, dalla blockchain alle soluzioni contro gli sprechi: numerosi sono i temi che il Salone internazionale del biologico e del naturale approfondirà a BolognaFiere da giovedì 7 a sabato 9 settembre insieme ad aziende e professionisti del comparto Organic & Natural Food. Tornano a SANA Rivoluzione Bio, Sanatech, La Via delle Erbe e le iniziative legate ai momenti di consumo della colazione e dell’aperitivo bio. New entry 2023: la Veg Area e lo spazio dedicato al mondo Free From

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SANA 2023 prenderà il via sotto i riflettori di “Rivoluzione Bio”, gli Stati Generali del biologico, organizzati in collaborazione con FederBio e AssoBio e realizzati con Nomisma, nel quadro del progetto Being Organic in EU gestito da FederBio in partenariato con Naturland DE e cofinanziato dall’UE nell’ambito del Reg. EU n. 1144/2014. Rivoluzione Bio ospiterà la presentazione dei dati dell’Osservatorio SANA, promosso con il sostegno di ICE.

Sana alimentazione e salvaguardia dell’ambiente, ricerca della qualità e rispetto delle materie prime, filiera corta e andamento dei prezzi: le preferenze dei consumatori sono guidate da motivazioni e necessità che cambiano nel tempo, ma che sembrano sempre più influenzate dai principi della sostenibilità e dello stare bene. Si inserisce in questo contesto la 35a edizione di SANA, Salone internazionale del biologico e del naturale, da quest’anno interamente B2B: produttori, distributori, buyer, istituzioni e organismi di controllo si danno appuntamento a BolognaFiere per restare aggiornati sulle ultime tendenze e novità.

L’area Organic & Natural Food, aperta dal 7 al 9 settembre, presenterà all’interno dei padiglioni 29 e 30 i migliori prodotti per un’alimentazione biologica, salutare e sostenibile, a filiera controllata, DOP, DOC e IGP. L’area Care & Beauty e la sezione Green Lifestyle, con soluzioni e servizi per

vivere tempi e spazi della quotidianità in modo sostenibile, amplieranno e completeranno la proposta espositiva della manifestazione e saranno anche domenica 10 settembre.

Organizzata da BolognaFiere in collaborazione con FEDERBIO, ASSOBIO e COSMETICA ITALIA, SANA 2023 è la storica e unica vetrina di riferimento per il mercato italiano del bio e del naturale, realizzata con il patrocinio del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, della Regione EmiliaRomagna e del Comune di Bologna. Secondo il presidente di BolognaFiere, GIANPIERO CALZOLARI, «35 anni fa, quando abbiamo avuto la felice intuizione di promuovere una fiera internazionale del biologico e del naturale, abbiamo fatto la scelta giusta. Il tema della sostenibilità ambientale, così come quello di una sana alimentazione, oggi è cruciale per il benessere delle persone e il futuro

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del pianeta. SANA, con Rivoluzione Bio e gli Stati Generali del biologico, insieme ai dati dell’Osservatorio SANA che presentiamo ogni anno, è il luogo in cui l’intero settore fa il punto della situazione e discute, anticipando i trend di mercato. La svolta B2B dell’evento è una scelta coraggiosa e importante per sostenere il business e l’export delle imprese espositrici. Anche per questo, in questa edizione, abbiamo voluto dare un supporto alle aziende agricole della Romagna colpite dall’alluvione, offrendo loro gratuitamente lo spazio espositivo, per aiutarle a ripartire».

Internazionalizzazione!

Nel 2023 SANA punta a potenziare il

proprio ruolo sui mercati internazionali. Col sostegno e l’attiva collaborazione di ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane si sta, infatti, promuovendo la presenza in fiera di sempre più numerosi e qualificati buyer esteri, favorita anche dall’azione del network di agenti di BolognaFiere al lavoro in questi mesi. L’obiettivo è quello di incrementare la partecipazione di grandi importatori di prodotti biologici, rappresentanti della GDO e operatori attivi nell’ambito della cosmesi naturale e del food service, e provenienti dai principali mercati europei ed extraeuropei (ad esempio, Canada, USA, Giappone, Corea, Indonesia, Israele, Singapore,

UAE, Cina, Marocco, Tunisia e America Latina). Sul fronte degli espositori è già confermata la presenza di importanti aziende e collettive in arrivo da Austria, Germania, Giappone e Sudafrica.

Formazione e cultura di prodotto

Focus-novità di SANA 2023, realizzato in collaborazione con V Label Italia, la Veg Area dedicherà uno spazio espositivo a tutto ciò che è veg, dal vegano al vegetariano, dal raw vegan al plant based, valorizzando gli ultimi trend di consumo e le innovazioni di prodotto. Il secondo focus-novità di questa edizione sarà incentrato su intolleranze e sana alimentazione. Organizzato in colla-

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Dopo l’esordio positivo dello scorso anno, confermate le aree Breakfast e Aperitivo in partnership con Slow Wine.

borazione con la World Gluten Free Chef Academy del gluten free specialist FRANCESCO FAVORITO, il focus darà visibilità ai prodotti rivolti alle persone allergiche, intolleranti o sensibili alla salubrità dei consumi alimentari, attraverso presentazioni e approfondimenti dedicati ai prodotti free from e rich in Dopo l’esordio positivo dello scorso anno, sono, inoltre, confermate le aree Breakfast e Aperitivo (in partnership con SLOW WINE), che riproporranno, naturalmente in versione bio, prodotti di alta qualità destinati a questi specifici momenti di consumo. Per il secondo anno consecutivo CARREFOUR rinnova la propria partecipazione a SANA non solo nell’area espositiva, ma anche nelle aree eventi legate al consumo (aree Breakfast e Aperitivo) e al Free From

In coordinamento con le iniziative di SANA legate al breakfast e al free from, FONDAZIONE SANT’ORSOLA coordinerà un convegno sulle innovazioni nella “sana” ristorazione collettiva in ospedale, coinvolgendo altre importanti strutture ospedaliere italiane. Inoltre, presso il Centro Servizi di SANA, la Fondazione realizzerà un Charity Desk teso a raccogliere fondi per finanziare i propri progetti per il benessere dei pazienti e il cibo che cura. SANA 2023 darà spazio anche al tema della riduzione degli sprechi, trasversale, in realtà, a tutta la manifestazione e di sempre maggiore attualità. Saranno oggetto di approfondimento le diverse modalità di recupero e riuso degli scarti di lavorazione, con l’obiettivo di favorire il contrasto allo spreco alimentare e non solo.

Iniziative e progetti speciali

SANA prenderà il via sotto i riflettori di Rivoluzione Bio, gli Stati Generali del biologico, organizzati in collaborazione con FederBio e AssoBio e realizzati con Nomisma, nel quadro del progetto Being Organic in EU gestito da FederBio in partenariato con NATURLAND DE e cofinanziato dall’UE nell’ambito del Reg. EU n. 1144/2014. Rivoluzione Bio ospiterà la presentazione dei dati dell’ Osservatorio SANA , promosso con il sostegno di ICE. Si rinnova anche l’appuntamento con Sanatech, il Salone professionale dedicato alla filiera agroalimentare, zootecnica e del benessere biologico ed ecosostenibile,

con molteplici categorie merceologiche e momenti di formazione. Promosso da BolognaFiere con il supporto di FEDERBIO SERVIZI e in collaborazione con AVENUE MEDIA, Sanatech si occuperà di agricoltura biologica e di precisione, di tracciabilità, economia circolare e di tecnologie per la cosmesi naturale, aprendosi ai temi emergenti come il mondo del bio-controllo e il settore del bio-packaging. È previsto, inoltre, un approfondimento sulla blockchain, in particolare sul progetto TrackIT Blockchain a cura di ICE.

L’intera sezione scientifica di SANA valorizzerà le competenze e le esperienze femminili, con la partecipazione di innumerevoli esperte, che interverranno in qualità di relatrici ai convegni e ai workshop in programma.

Novità

SANA darà risalto alle novità di prodotto proposte dagli espositori attraverso l’area SANA Novità e, nella valorizzazione dell’intera filiera, si rivolgerà non solo ai visitatori italiani, ma anche a quelli internazionali grazie alla piattaforma di networking B2Match, per tradurre in opportunità di business il loro interesse verso i prodotti esposti in fiera.

Inedito pure New on SANA, lo spazio per le start-up e le giovani imprese che puntano sull’innovazione e lo sviluppo sostenibile. L’iniziativa intende coinvolgere tali realtà, supportando i processi e i progetti a forte valenza innovativa nei segmenti agroalimentare, cosmetico, del confezionamento e di tutto ciò che è green

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Premiata Salumeria Italiana, 4/23

IL CAMMINO D’ABRUZZO

PESCARA, TERAMO, CHIETI E L’AQUILA, ANDATA E RITORNO

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 104 IL GUSTO DI CAMMINARE
di Elena Simonini

L’estate è il periodo in cui, dopo tanti mesi di lavoro, mille impegni e faticosi incastri quotidiani, molti di noi amano programmare piccole o grandi avventure. Ma spesso diventa diffi cile scegliere il luogo migliore dove impiegare il prezioso tempo della vacanza e quindi dove liberare le proprie scarpette da trekking. Eppure c’è un posto, neanche troppo difficile da raggiungere, che riesce a coniugare semplicemente e splendidamente tutte le immaginabili istanze che ognuno di noi può desiderare durante un itinerario estivo a piedi: mare, piccoli borghi, montagne, colline, boschi, laghi, natura incontaminata e panorami mozzafiato Questo è l’Abruzzo, tutto l’Abruzzo, dal mare alla montagna, con tutta la meraviglia di luoghi che vi sono in mezzo, attorno e dappertutto. Perché credetemi, l’Abruzzo è di una bellezza genuina, e al tempo stesso intensa e commovente

Partiamo dunque, e mettiamoci in cammino sull’itinerario più lungo e completo attraverso l’intera regione: il Cammino d’Abruzzo, un meraviglioso percorso, di molto recente istituzione e ancora in fase di ultimazione, il quale consta di circa 700 km totali che si sviluppano ad anello, sul tracciato degli antichi tratturi e su stradine secondarie, lungo le quattro province di Pescara, Teramo, Chieti e L’Aquila. Si tratta di importante progetto promosso dall’Università degli Studi di Teramo, a cura dell’Associazione Culturale Abruzzo a Piede Libero, il quale, collegando 71 borghi, 4 parchi regionali in 38 tappe da percorrere a piedi o eventualmente anche in mountain bike e, in alcuni tratti, praticabile anche dai mezzi di ausilio per i portatori di disabilità motorie, intende valorizzare il turismo lento come imprescindibile pratica di sostenibilità e come rilevante strumento di promozione del patrimonio storico, artistico, culturale e paesaggistico dell’intero territorio regionale.

Si segnala che, essendo attualmente il tragitto del Cammino d’Abruzzo non del tutto completato, per questa estate 2023 l’itinerario è organizzato soltanto per le prime 27 tappe, per complessivi 450 km, che si estendono, in una magnificenza di luoghi, da Pescara fino a Scanno.

Questo cammino, riassumendo a grandi linee la traiettoria, prende avvio da Pescara per poi risalire la costa giungendo all’entroterra teramano e quindi proseguire, attraverso un sentiero boschivo di una bellezza straordinaria, sui paesi dell’area Vestina. Da qui si scavallano le alte colline di Forca di Penne e ci si immerge nel vasto territorio aquilano, fino a raggiungere il Chietino, con la sua caratteristica e strepitosa Costa dei Trabocchi, e per poi, infine, rientrare a Pescara, completando così questo stupendo percorso ad anello.

Tra i posti più incantevoli che incontrerete sull’itinerario ad oggi percorribile, raccomando certamente di soffermarvi a Montesilvano Colle per godere dell’impareggiabile panorama sull’imponente e maestoso Gran Sasso, e poi di visitare il delizioso borgo di Atri, coi tipici palazzi storici, le piazze, le chiese, i cunicoli e i suoi suggestivi scorci sulla luccicante costa teramana. Scendendo verso il mare e scorgendone i colori e la limpidezza, non potrete fare a meno, anche per ristorarvi dalle prime fatiche del cammino, di tuffarvi nelle acque trasparenti e incontaminate che si aprono oltre la pineta e di fronte alla impotente Torre del Cerrano, antico edificio risalente al 1500 costruito come punto di avvistamento costiero e attualmente importante laboratorio di biologia marina con museo del mare.

Proseguendo e rientrando verso le colline, incontrerete Morro D’Oro, un incantevole paesino di origine medievale, e poi Notaresco, con la sua famosa e caratteristica neviera, piccolo miracolo di ingegneria, utilizzata per mantenere al fresco carne e vivande, e infine Canzano, peculiarissimo borgo sotto il quale si articola un intreccio di grotte e passaggi segreti.

Iniziando la salita verso la montagna, giungerete quindi in un meraviglioso luogo incantato che è il borgo di Castelli, incastonato fra il Gran Sasso e i suoi verdissimi boschi, conosciuto per le botteghe dei maestri ceramisti, autori di tipici prodotti di artigianato che in passato hanno raggiunto le corti di tutta Europa.

Avvicinandosi poi alla Riserva Naturale del Lago di Penne, avrete modo di riposarvi al fresco a ridosso delle

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Campo Imperatore, Gran Sasso

Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio: non una lenticchia qualsiasi!

Le lenticchie (Lens culinaris) sono una pianta annuale erbacea appartenente alla famiglia delle leguminose, originaria della Mesopotamia e coltivata ad oggi in tutto il mondo. I frutti sono dei baccelli contenenti due semi dalla caratteristica forma a lente (da cui il nome), la cui dimensione e colore varia molto a seconda della varietà. Quella coltivata nel comune di Santo Stefano di Sessanio e in alcune aree dei comuni limitrofi nel territorio della provincia de L’Aquila è una lenticchia speciale: piccola, dal diametro di pochi millimetri, globosa, saporita e con un colore scuro, marrone-violaceo, striato. Nasce oltre i 1.000 metri di altitudine, solo sulle pendici del Gran Sasso, zona in cui le coltivazioni di legumi sono attestate in documenti monastici del 998. L’habitat ideale, con inverni lunghi e rigidi e primavere brevi e molto fresche, permette alle piantine di maturare in tempi diversi, poiché, una volta sfalciate, se lasciate sul campo accumulate in piccoli covoni e poi ammassate sotto un telo, nutrono comunque i loro semi portandoli a maturazione. Crescendo su terreni brulli e aridi, la lenticchia non ha bisogno di particolari cure, ma diventa un legume impegnativo nel momento della raccolta che si fa sempre a mano, anche perché i campi sono impervi e la meccanizzazione comporterebbe una perdita del 30-40% del raccolto. È un processo che si effettua ancora come 1000 anni fa ed è molto faticoso. Le lenticchie arrivano a maturazione in momenti diversi, questo perché le altitudini sono variabili, di solito tra il taglio e la battitura a volte trascorrono 15 giorni compresi tra la fine di luglio e la fine di agosto. Il presidio Slow Food che tutela la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio sposa un progetto avviato negli anni passati dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti e dalla Regione Abruzzo che ha permesso di riunire i produttori in un’associazione e di arrivare ad un’etichettatura e ad un controllo del raccolto, al fine di garantire il consumatore da eventuali frodi.

Una zuppa ci rifocillerà

La lenticchia di Santo Stefano non è una lenticchia qualsiasi, ma un biotipo preciso selezionato per questi territori da tempo immemore. Proprio per le piccole dimensioni, 2-5 mm, questo tipo di lenticchia non ha bisogno di essere messa in ammollo, è straordinariamente saporita e il modo migliore per apprezzarla è in zuppa. Basta coprirla con acqua, aggiungere spicchi d’aglio scamiciati, qualche foglia di alloro, sale, olio extravergine di oliva, e portare ad ebollizione, a pentola chiusa. Per festeggiare il raccolto di agosto, nella prima settimana di settembre viene organizzata ogni anno una sagra durante la quale è possibile degustare piatti tipici popolari, come, appunto, la zuppa di lenticchie con i crostini, una pietanza ideale al termine di una giornata di cammino per ritrovare forze e buonumore, soprattutto se accompagnata da un Cerasuolo d’Abruzzo Doc, ottimo vino rosato ottenuto da uve Montepulciano d’Abruzzo.

acque prima di proseguire, ancora in salita, fino a Penne, uno dei borghi più antichi d’Italia. E poi ancora Loreto Aprutino, città medievale conosciuta dai pellegrini di tutto il mondo, Castel del Monte, arroccato a 1345 metri, coi suoi tunnel sotterranei scavati nella roccia e con le sue tipiche case-torri, e Santo Stefano di Sessanio, borgo mediceo il cui centro storico è interamente costruito

in pietra calcarea bianca. E così avanti, camminando, attraverso molti luoghi incantevoli, via via fino ad Anversa e infine a Scanno, con la sua atmosfera rarefatta nel tempo e le tipiche botteghe orafe, ad oggi ultima tappa dell’itinerario percorribile di questo cammino.

Insomma, tante avventure, e tutte diverse, dentro ad una sola, che è l’Abruzzo con il suo Cammino, nella

sua peculiarissima varietà di paesaggi e borghi incorniciati da una immensa natura incontaminata e incontrastata. L’Abruzzo, un territorio piccolo ma grande, semplice e splendido al tempo stesso, caratterizzato da una bellezza stupefacente, quella che non ti aspetti e che, forse proprio per questo, resta indimenticabile agli occhi e al cuore.

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Via Francigena patrimonio UNESCO: regioni e ministeri italiani insieme

Il percorso che punta a portare nel 2025 al riconoscimento della Via Francigena come patrimonio UNESCO compie un ulteriore e significativo passo avanti. Dopo il rinnovo del protocollo d’intesa fra le sette regioni italiane comprese nel famoso itinerario di Sigerico, il Ministero della Cultura e il Ministero degli Esteri, in occasione del Francigena Fidenza Festival, hanno fornito il loro appoggio formale alla candidatura. «Il percorso verso la candidatura UNESCO della Via Francigena sta andando avanti. Anche se i tempi possono sembrare lunghi, noi, con la pazienza dei camminatori, senza mai scoraggiarci, un passo dopo l’altro, proseguiamo sapendo che un giorno otterremo questo riconoscimento, partito da Fidenza e diventato transnazionale» ha detto durante il Festival il sindaco di Fidenza Andrea Massari. «Oltre all’Italia, infatti, la Via Francigena attraversa Inghilterra, Francia e Svizzera e lo Stato Vaticano nel tratto romano. Proprio il fatto che al dossier debbano lavorare diversi Paesi è la ragione delle lungaggini burocratiche. L’auspicio dei promotori è comunque quello di poter presentare la candidatura in occasione del Giubileo 2025».

«Credo che il messaggio che ci arriva dai cammini, Via Francigena in primis, sia di incontro, di dialogo e di rallentamento dei tempi di cui le nostre società hanno grande bisogno», ha aggiunto il sindaco di Parma Michele Guerra, assicurando il contributo della sua città, accanto a Fidenza e a tutti gli altri territori attraversati dal cammino «per la grande conquista del titolo UNESCO, elemento fondamentale e straordinario volano, che poi responsabilizza anche le amministrazioni, obbligandole alla tutela e alla promozione del territorio» (fonte: Corriere del Gusto).

EVOLOVER IN VIAGGIO di

«Lo sa che non può introdurre e, soprattutto, mangiare l’olio portato da lei nel mio ristorante?

E che se — potenzialmente — lei muore qui, la responsabilità è mia?». «Ha ragione, mi scusi, ripongo immediatamente la mia 100 ml, ma lei lo sa che se condisco questa pietanza con l’olio che mi ha portato a tavola io muoio, senza il “potenzialmente”?».

Si fa per ridere, ovviamente. Ma questa gag, neanche troppo di fantasia, è una Polaroid di quanto avviene quotidianamente in gran parte delle attività di somministrazione, fatte salve quelle attente al problema che sono, grazie a Dio e grazie al movimento EVO sempre più incisivo, in esponenziale aumento.

Allora ecco il Vademecum dell’estate 2023, redatto da un semplice appassionato (che di guru ce ne sono già abbastanza...), rilassante e spiritoso, da leggere sotto l’ombrellone o al rifugio in quota con leggerezza ma da tenere a mente quando si passeggia la sera per le vie delle località di mare o di montagna e si sceglie dove mangiare.

Per il viaggiatore Evolover

• Tu portali sempre quei campioncini da 100 ml che spaziano dal fruttato leggero, passando per il medio, fino all’intenso. E, per chiudere il cerchio della gag iniziale in positivo e propositivo, condividine i profumi ed i sapori con il ristoratore che ha provato a farti ingurgitare qualcosa di improponibile rischiando di rovinarti la vacanza. E quando lui sbarrerà gli occhi per la piacevole e sorprendente ventata erbacea, digli

che, investendo pochi euro in più, alzerebbe l’asticella del suo locale di TANTO, rendendone profondamente identitaria la sua cucina.

• Scegli le Città dell’Olio, cerca frantoi e oli extravergine di oliva della zona in cui stai villeggiando, informati sui loro siti internet e investi una giornata di Oleoturismo in azienda: assaggi, picnic in oliveto, racconti di famiglia… Goditi il tutto e riportalo sui tuoi canali social al fine di divulgare il tanto faticoso quanto splendido lavoro che svolgono quotidianamente i produttori.

Per ristoratori, chef e pizzaioli

• In sala, la Carta degli Oli Extravergine. Per iniziare fatela snella, con due fruttati leggeri, due medi e due intensi, naturalmente dell’ultima campagna olearia, dando priorità al territorio, senza trascurare, però, oli che vi hanno colpito sensorialmente, anche se provenienti da altre regioni. Formate il personale di sala anche se non ancora Sommelier dell’Olio (ma a breve sì, vero?) nel guidare l’ospite all’abbinamento con i piatti ordinati. Fatene assaggiare poco in una ciotolina, ma mettete in carta le 100 e le 250 ml. Così che le acquistino e, se non le finiscono a tavola, le portino a casa, cominciando a trasferire anche nelle loro dispense la cultura dell’olio di qualità

• Mi sembra scontato suggerirvi di usare olio extravergine di oliva di qualità anche in cucina. Tutto quello che mettete in padella, infatti, lo ritrovate nel piatto. Parlate con i produttori, saranno ben felici di fornirvi, insieme ai preziosi monovarietali

da tavola, anche i loro non meno pregiati blend a costi accessibili

• Se proprio non riuscite per quest’anno a redigere la carta degli Oli (ma dai che ce la fate, altrimenti non ha senso la vostra carta dei vini con 100 etichette…), almeno togliete da mezzo le oliere in vetro e le bottigline senza tappo antirabbocco, e fatelo per due semplici motivi: evitare sanzioni e non dare all’ospite la sensazione — leggi “certezza” — con quell’etichetta tutta unta, di aver continuamente integrato con chissà che cosa.

Per i produttori

• Continuate con l’ottimo lavoro che state facendo e sviluppando sulla ricerca della qualità dal campo fino in frantoio, implementando le ospitate in azienda, formando personale dedicato al fine di far vivere ai turisti, italiani e non, delle esperienze uniche che partono dalla storia degli alberi, passando per i racconti di famiglia del nonno contadino ed il nipote agronomo, fino agli assaggi in bicchierino e sul pane. Al commiato cercate di lasciare una bottiglia del vostro oro verde, ma, soprattutto, una volta tornati a casa, la consapevolezza che fare il salto per passare dalla miscela comunitaria da supermercato all’olio extravergine di qualità non ci vuole molto, un piccolo sforzo economico che non è altro che un investimento, che torna in termini di piacere e salute.

Buon riposo estivo a tutti dal vostro

Chef dell’olio: preparo anche io la mia valigia.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 108 LO CHEF DELL’OLIO
L’extravergine di qualità non va mai in vacanza
Premiata Salumeria Italiana, 4/23 109

L’ESTATE HA PIÙ SAPORE CON LA QUALITÀ EUROPEA DEL PECORINO ROMANO DOP

L’estate porta con sé la voglia di gustare in compagnia piatti creativi e allegri. Il Pecorino Romano DOP è l’alleato perfetto in cucina anche durante la bella stagione: perfetto da gustare in purezza per una pausa merenda al mare, ma anche come protagonista indiscusso delle ricette estive, garantendo sempre tutta la qualità europea nella sua forma migliore. Il Consorzio di tutela del Pecorino Romano, attraverso il progetto “La qualità europea nella sua

forma migliore”, cofinanziato dall’Unione Europea, propone per la bella stagione alcuni spunti per sperimentare nuove creazioni, ricette gustose, sane e leggere, capaci di esaltare il gusto del Pecorino Romano, sottolinearne le caratteristiche uniche e regalare piacevolissime sensazioni anche ai palati più esigenti. Come il “Ricordo di una pizza e fichi”, ricetta realizzata dallo chef LUCA BRUSCHETTI, in collaborazione con APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani).

«I sentori di pascoli sconfinati e aria pura e della lavorazione frutto di mani sapienti e di segreti tramandati di generazione in generazione, che da sempre il Pecorino Romano DOP porta con sé, si possono apprezzare anche d’estate, quando la voglia di leggerezza si concilia col gusto grazie alle ricette che vi proponiamo e che vi invitiamo a realizzare», sottolinea il presidente del Consorzio GIANNI MAODDI

>> Link: www.pecorinoromano.com

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 110
FORMAGGIO

Ingredienti per 4 persone

• 4 pezzi di focaccia;

• per il cremoso: 0,5 l latte; 40 g di amido di mais; 150 g Pecorino Romano DOP; pepe nero a piacimento;

• per la spuma: 250 g Pecorino Romano DOP; 250 g latte; 190 g panna da montare; 1 foglio colla di pesce;

• per i fichi caramellati: 3 fichi, 50 g zucchero di canna, 30 g burro g;

• per decorare: fiori eduli q.b.; germogli di pisello q.b.

Procedimento

Per la focaccia: preparare 4 pezzi di focaccia tagliati rettangolari. Se la focaccia è molto spessa, dividerla a metà, condirla con un filo di olio evo e tostarla in forno a 180 °C per 5 minuti.

Per il cremoso al Pecorino Romano DOP: in un pentolino portare a leggero bollore il latte e l’amido. Fuori dal fuoco, aggiungere il formaggio e il pepe e miscelare con una frusta; filtrare il tutto, coprire con pellicola a contatto e fare riposare in frigo. Quando il composto si sarà addensato, lavorarlo ancora una volta con la frusta e metterlo in una sac à poche

Per la spuma al Pecorino Romano DOP: sciogliere il Pecorino Romano DOP nel latte, mixare al minipimer e filtrare, aggiungere la panna, la colla di pesce precedentemente ammorbidita in acqua fredda e mixare di nuovo. Versare il composto nel sifone, mettere due cariche di N2O e far riposare in frigo un paio d’ore. Per i fichi caramellati: frullare lo zucchero fino a farlo diventare polveroso, passare gli spicchi di fico precedentemente tagliati nello zucchero di canna e caramellarli in padella col burro.

Finitura e presentazione

Usare la focaccia come fosse la base di una pizza e costruire il piatto alternando fichi caramellati, cremoso e spuma. Concludere con germogli di pisello e fiori eduli.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 111
“Ricordo di una pizza e fichi”, ovvero focaccia croccante e consistenze di Pecorino Romano DOP

“Aperitivo in Quota” con Bitto e Valtellina Casera

Anche con la stagione calda il refrigerio e la magia degli alpeggi della Valtellina, tra casere e calecc’, offrono un’esperienza unica per appagare palato e mente, con nuove proposte che ora portano tutto il sapore di questo territorio in un bicchiere. È questo lo spirito di “Aperitivo in Quota”, la nuova iniziativa del Consorzio Tutela formaggi Valtellina Casera e Bitto DOP che sposa i suoi formaggi a tre cocktail inediti a base di ingredienti locali, come il Braulio, il Nebbiolo e le mele della Valtellina IGP, da degustare in una selezione di rifugi e di locali in quota. 14 i locali coinvolti, dove fino a fine agosto sarà possibile degustare un tagliere a base di formaggi DOP Valtellina Casera in abbinamento a tre cocktail ideati da Pietro Pedrazzoli del Jom Bar di Trevisio (SO).

Prodotti unici da scoprire in vacanza e degustare nel tempo a casa

Il Bitto DOP è uno dei rarissimi formaggi a riuscire a stagionare fino a 10 anni (non a caso Bitu in celtico vuol dire perenne), assumendo un gusto che diventa via via più intenso e piccante. Anche il suo colore giallo intenso è dovuto alla permanenza delle mucche da latte in alpeggio e la forte concentrazione di betacarotene presente nelle erbe. Un formaggio da meditazione, con una pasta friabile che può lasciare sentori di frutta secca, nocciola, noce, burro e fiori secchi e da gustare a temperatura ambiente. Il Valtellina Casera è invece un formaggio di latteria, a pasta semicotta e semidura, che una volta era prodotto solo d’inverno, quando il bestiame scendeva a valle. Non a caso il suo nome deriva da “casera”, la cantina dove si producevano o conservavano i formaggi per la stagionatura. Oggi questo formaggio, realizzato esclusivamente con latte vaccino parzialmente scremato, viene prodotto tutto l’anno ed è adatto da portare in tavola tutti i giorni, gustandolo in purezza, nella sua versione giovane (70 giorni), o stagionata (almeno 6 mesi), con un retrogusto di frutta secca mai amarognolo, perfetto in abbinamento con cocktail o lo Sforzato della Valtellina.

Bitto DOP e Valtellina Casera, oltre a rappresentare un’eccellenza della produzione casearia della provincia di Sondrio, hanno un legame profondo col territorio: a livello sociale, essendo i casari veri e propri custodi del paesaggio e della biodiversità alpina, e a livello economico. Con un fatturato alla produzione di oltre 14 milioni di euro e un valore al consumo di 26,8 milioni di euro (+5,5% sul 2021), in cui a fare da traino è il Valtellina Casera (21,5 milioni, +9%), le due DOP sono infatti un traino per l’economia della valle, dando lavoro a 650 addetti.

>> Link: www.ctcb.it

Lo Spritzolo, spritz al vino Nebbiolo by Pietro Jom Bar: un calice da vino con ghiaccio a cubetti; 1 parte (60 g) di vino rosso Nebbiolo (usare un rosso di Valtellina che non abbia fatto passaggi in legno); 2 parti (120 g) di gassosa; 1 cucchiaino da caffè di liquore agli agrumi tipo mandarinetto Isola Bella o un triple-sec. Mescolare dolcemente. Strizzare la scorza di limone e appoggiarla sopra il drink.

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T radizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

BOTTIGLIA OBBLIGATORIA produttoripertuttiicertificati

Questa bottiglia da 100 ml è garanzia di originalità e qualità per l’ aceto della antica tradizione delle nobili famiglie modenesi.

Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP

La tradizione produttiva è certamente antichissima, ma... che l’aceto invecchi è un dire tutto modenese. In realtà chi invecchia è il padrone, mentre l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP matura nelle botticelle e sublima a pura essenza attraverso un lunghissimo processo produttivo. Si tratta di un processo “in continuo” che segue la famiglia e unisce le generazioni, e che solo dopo almeno 12 anni di attività, inizia a dare una piccola

aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

ONED• M I NAZIONE D ORIGINE PR O •ATTET
Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Viale Virgilio 55, 41123 Modena tel. 059 208604 fax 059 208606 consorzio.tradizionale@mo.camcom.it www.balsamico.tradizionale.it
ORIGINALE
con incarico di “Tutela” dal Ministero Politiche Agricole e Forestali per DM 16/10/2009, Gazz.Uff. 4/11/09

Le Morette

Le Morette – Azienda Agricola

Valerio Zenato rappresenta una tra le realtà più dinamiche e interessanti della zona di produzione del Lugana DOC. Ha sede a San Benedetto di Lugana, sulla sponda meridionale del lago di Garda, in prossimità del laghetto del Frassino, sito

naturalistico di interesse comunitario. Fondata oltre 60 anni fa, sorge inizialmente come vivaio per la produzione di barbatelle per la viticoltura e poi con Gino Zenato, il fondatore, viene affiancata la coltivazione in proprio. Nel 1981 la gestione passa al figlio Valerio che si dedica con determinazione alla

vitivinicoltura ottenendo i primi riconoscimenti e avviando definitivamente l’azienda che oggi gestisce insieme ai figli Fabio e Paolo, la terza generazione. Fabio si occupa di commercializzazione e promozione del brand, in particolare all’estero. Paolo si prende cura della cantina e dell’attività vivaistica.

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Perché Morette? Perché l’Aythya fuligula, particolare specie protetta di anatra tuffatrice detta, appunto, moretta, nidifica nel laghetto del Frassino, Patrimonio UNESCO dal 2011. «La scelta di questo esemplare alato come simbolo aziendale — sottolinea Valerio Zenato — è dovuta alla sua eleganza

e al profondo rispetto che la nostra famiglia ha per l’ambiente circostante a partire dall’adozione dei principi di agricoltura integrata che applichiamo tra i vigneti con l’utilizzo di ammendanti organici e sostanze di origine naturale».

L’azienda si sviluppa su 50 ettari di vigneti divisi in tre tenute, due a San

Benedetto di Lugana e una nel comune di Desenzano, nell’area di coltivazione più prossima al lago di Garda. Tutti i vigneti si trovano su terreni argillosi. La produzione è di circa 450.000 bottiglie. Approssimativamente i due terzi prendono la via dell’export, principalmente in Europa, ovvero Germania,

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Austria, Svizzera, Danimarca, Belgio, Olanda, Polonia e Paesi Baltici. Ma è in crescita la presenza anche negli Stati Uniti, Cina, Hong Kong e nei mercati emergenti.

L’attività vivaistica dell’azienda agricola Le Morette ha consentito alla famiglia Zenato di sviluppare negli anni una profonda conoscenza del vitigno Turbiana e della sua coltivazione nei diversi ambienti di cui si compone il territorio della zona DOC. «Il Trebbiano di Lugana (Turbiana) presenta elementi di differenziazione genetica rispetto ad altri vitigni appartenenti alla famiglia dei Trebbiani» sottolinea Fabio Zenato — che ne ha fatto argomento di tesi al momento della laurea in Scienze Agrarie conseguita all’università di Milano —, considerati fino a quel momento affini. Da qui il disconoscimento dell’omonimia tra Turbiana e Verdicchio e la conseguente modifica al Disciplinare di produzione del Lugana che dal 2011 prevede la denominazione ufficiale del vitigno Turbiana.

Oggi il Consorzio è impegnato nella definizione e registrazione di alcuni

nuovi cloni attraverso un progetto di ricerca che prevede almeno quattro anni di microvinificazioni di circa 30 diversi biotipi individuati sul territorio, coltivati in un campo collezione. Questo progetto — continua — ha fatto emergere la peculiarità del Lugana: un caso probabilmente unico in Italia, che conferma l’elevato grado di conservazione del germoplasma della gran parte dei vigneti in quest’area. Ciò ha comportato un migliore adattamento della pianta al territorio e il vino Lugana che ne deriva proprio grazie a questa stabilità genetica e alle caratteristiche delle argille dell’area, ha sviluppato caratteristiche sempre più definite e riconoscibili». Le osservazioni empiriche hanno messo in risalto che i vigneti di Turbiana, anche per queste ragioni, vivono mediamente più a lungo, arrivando ad una vita media di oltre quarant’anni.

Nell’ottobre del 2013 viene inaugurata la nuova sede de Le Morette.

«Si tratta di una struttura immersa tra i vigneti, costruita nel massimo rispetto dell’ambiente e che rappresenta per noi — sottolinea Paolo Zenato — un

punto di arrivo, a coronamento dei sacrifici e della dedizione al lavoro della famiglia». La cantina sorge al centro di un’area di 15 ettari, tutti adibiti a vigneto. Rispecchia l’idea, di derivazione padronale, di azienda agricola al centro di un podere, la cui integrazione è però tutta rivista in chiave contemporanea con la mitigazione dell’impatto paesaggistico. Sul profilo esterno spiccano due torrette mentre gli spazi produttivi sono tutti celati nei livelli interrati dove l’uva viene lavorata per caduta gravitazionale, grazie agli 8 metri di profondità a cui si trovano gli spazi di lavoro.

Sempre al livello interrato si trova la bottaia, interamente costruita a volte in mattoni, che garantiscono temperatura e umidità controllate. L’appassimento delle uve si effettua in condizioni completamente naturali, sfruttando una parete in grigliato di mattoni posizionata a nord che veicola la ventilazione proveniente dal lago. L’imbottigliamento avviene nell’ala ovest della struttura, dalla quale le bottiglie vengono immediatamente trasferite al piano interrato.

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A sinistra: Paolo e Fabio Zenato.

A destra: barbatelle del vivaio Le Morette. «Essere vivaisti oggi nella produzione di barbatelle di vite — dice Valerio Zenato — significa farsi carico della responsabilità di produrre materiale vegetale con la massima garanzia di qualità sanitaria, attestata dalle autorità preposte solo dopo severi controlli di certificazione». L’azienda collabora anche con l’Università di Viticoltura Veronese ad un progetto sulla selezione clonale e la caratterizzazione delle numerose varietà viticole veronesi.

Al pian terreno si trova un’ampia sala degustazioni, il punto vendita e gli uffici. «Tutto l’edificio è stato studiato per ottenere la massima efficienza energetica — evidenziano i Zenato — grazie ad un’attenta scelta dei materiali utilizzati, volti a garantire un isolamento sia termico che acustico. La cantina è autosufficiente per la produzione di energia elettrica e anche l’impianto di riscaldamento dello stabile attinge dall’energia fotovoltaica, grazie all’utilizzo di pompe di calore. Grazie a questo impegno e lavoro abbiamo ottenuto nel 2020 la certificazione “Biodiversity Friend” per un modello di agricoltura sostenibile, a basso impatto ambientale e integrata nel paesaggio. E nel 2022 abbiamo conquistato il riconoscimento dal Great Wine Capitals Global Network, nell’annuale concorso Best of Wine Tourism per la promozione internazionale del turismo enologico Sustainable Wine Tourism Practices. Oggi la cantina è prossima a un ampliamento, per dare giusto spazio alla nuova linea di imbottigliamento di cui l’azienda si è dotata nel corso del 2021».

La zona di produzione del Lugana DOC si estende sulla sponda meridionale del Lago di Garda, nei comuni di Peschiera del Garda, Sirmione, Desenzano del Garda, Pozzolengo e, in parte, Lonato. I terreni di questa zona hanno preso origine dall’azione di trasporto del ghiacciaio del Garda e sono caratterizzati da una stratificazione di argilla compatta di natura calcarea e, in alcuni casi, marnosa. La vite, come l’olivo, trova proprio in questo particolare angolo di territorio il microclima ideale per la massima espressione in termini di qualità.

Alle Morette si produce prevalentemente Lugana DOC, di cui si propongono tre versioni: il Lugana Mandolara, la selezione Lugana Benedictus e il Lugana Riserva. A questi si aggiungono altri due bianchi: Serai Bianco e Cépage Spumante Brut. Non solo bianchi ma anche Rosé, in particolare il Bardolino DOC Classico Chiaretto e i rossi: il Bardolino DOC Classico, il Serai Rosso e il Perseo, un cuveé di gran carattere e struttura. La produzione si completa un vino passito e alcune specialità quali

le grappe distillate di vinacce delle uve Turbiana. Tra i prodotti di particolare interesse anche l’olio extravergine d’oliva e il miele. Soffermandoci sul Mandolara possiamo dire essere un vino prodotto mediante la selezione dei vitigni e delle uve Turbiana. Di colore giallo paglierino intenso con riflessi verdognoli, presenta al naso note spiccate di fiori bianchi e fruttate. Sapore fresco, fine, armonico e particolarmente delicato, equilibrato, con un tipico sentore di mandorla nel finale, caratteristico del vitigno, supportato dalla naturale sapidità, tipica dei terreni argillosi. Si accompagna molto bene con piatti a base di pesce ed è altresì indicato con carni bianche e antipasti di sapore delicato. Ottimo anche come aperitivo.

Le Morette

Az. Agr. Valerio Zenato

Viale Indipendenza 19/d

37019 Peschiera del Garda (VR)

Telefono: 045 7552724

E-mail: info@lemorette.it

Web: luganalemorette.it

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FATTORIA MORETTO

Il Grasparossa è Cru

di Federica Cornia

Siamo a Castelvetro, in provincia di Modena, sulle colline del Lambrusco Grasparossa in visita alla Fattoria Moretto

L’azienda oggi è gestita da due fratelli, Fausto e Fabio, terza generazione della famiglia Altariva. Un amore per il vino

e il territorio il loro, che parte da lontano, da quando negli anni ’60 Antonio Altariva, il nonno, scende da Pavullo nel Frignano verso le colline di Castelvetro per fare il mezzadro e comincia anche a vendere uva e vino in damigiana di produzione propria. Quando nel ’71

il figlio di Antonio, Domenico, detto Moretto, acquista una casa e 2,5 h di terra, ecco gettate le fondamenta della prima vigna di proprietà e della cantina. Nel 1991 il passo decisivo lo fanno i due fratelli, che dal padre ereditano la stessa passione per Lambrusco e viti-

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Grappoli di Grasparossa, Fattoria Moretto, Castelvetro di Modena. Il Lambrusco Grasparossa prende il suo nome dal fatto che in autunno raspo e pedicelli si arrossano.

coltura, fondando l’azienda vitivinicola Fattoria Moretto, a cui danno questo nome proprio in onore di Domenico. Fabio e Fausto si dividono i compiti in base alle propensioni di ognuno: Fausto si occupa della parte produttiva, di vigna e cantina, Fabio della parte commerciale nazionale ed estera e del rapporto con gli agenti. Nel ’95 Fausto decide di coltivare la vigna secondo il metodo della lotta integrata, primo passo verso l’agricoltura biologica. Sono questi gli anni di un cambio radicale nella produzione del vino, gli anni che segnano l’evoluzione del Lambrusco della Fattoria con il passaggio dalvino rifermentato in bottiglia all’utilizzo di autoclavi d’acciaio. «L’obiettivo era ottenere vini più puliti, più eleganti e più costanti. Un vino che rispecchiasse le caratteristiche del territorio. È questa la mission dell’azienda» sottolinea Alessio Altariva, figlio di Fabio.

Laureato in Economia e marketing internazionale e in Enologia e viticoltura, è lui ad accogliermi e a ripercorrere con me la storia della Fattoria Moretto e il cambio di status che negli ultimi decenni ha interessato, e sta interessando, questo

vino frizzante dall’anima contadina. Il carattere esuberante e la caratteristica spuma che lo contraddistinguono nascono dalla pratica della vendemmia tardiva cui il Grasparossa era soggetto: la buccia spessa degli acini permetteva alle famiglie contadine di posticipare la raccolta, senza alcun danno per l’uva — anche se la maturazione scappava un po’ —, e di portare così a termine i lavori che erano principale fonte di reddito. Ne conseguiva che si ottenevano mosti con elevato grado zuccherino. Col freddo la fermentazione non avveniva completamente, si bloccava per ripartire in primavera, quando le temperature tornavano a riattivare i lieviti ancora contenuti negli zuccheri che, in ambiente ermeticamente chiuso, facevano partire la seconda fermentazione. «Questo procedimento — sottolinea Alessio — oggi sta tornando un po’ di moda. Per noi però il controllo della temperatura nel processo di vinificazione, che nel Lambrusco un tempo veniva lasciato un po’ al caso, è fondamentale per ottenere un prodotto sempre più salubre e controllato in ogni suo passaggio».

Ben lontana dai grossi volumi delle

grandi produzioni industriali, è in quest’ottica che l’azienda reinterpreta l’utilizzo dell’autoclave, strumento che da queste parti si è diffuso per le grandi produzioni negli anni ’60-’70.

Nelle zone pianeggianti dell’Emilia Romagna è diffusa la forma di allevamento a doppia spalliera (GDC-Geneva Double Curtain) che consente la totale meccanizzazione di tutte le operazioni colturali. Qui in collina che impianti utilizzate?

«Noi impieghiamo i due sistemi a controspalliera più utilizzati qui in zona, il cordone speronato e il guyot. Tra i due c’è una piccola differenza di resa e la scelta dell’impianto da utilizzare viene fatta in virtù più che altro del tipo di terreno. Come lavorazioni sono molto simili. Poi dipende dalle varietà che usi».

Siete stati tra i primi a lanciare nel vostro territorio l’idea della produzione di un vino Cru?

«Mi ricollego al discorso dell’autoclave. Sebbene nasca con l’intento di massificare le produzioni per renderle un po’ industriali, se utilizzata in un

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Autoclavi, cantina Fattoria Moretto, Castelvetro di Modena.

certo modo è uno strumento per aver più controllo sulla vinificazione e valorizzare di più quello che c’è “prima”, cioè l’uva, la vigna, il territorio. Ecco, a noi interessa proprio valorizzare vigna, uva e territorio. Come farlo? Questo è una zona di contadini che per la maggior parte aveva la vigna. Quello che si faceva una volta era di prendere tutte le uve, metterle insieme e fare una vinificazione abbastanza standard. A nessuno è mai venuto in mente, almeno fino a qualche anno fa, di tenere separate le uve di un vigneto da quelle di un altro perché sono diverse anche se sono di Lambrusco Grasparossa.

Abbiamo pensato a territori più blasonati del nostro, per esempio la Langa del Barolo, la Borgogna in Francia, al loro modo di lavorare: non valorizzano più di tanto il vitigno in sé, quello che per noi sarebbe il Lambrusco Grasparossa, ma valorizzano il territorio. E come lo fanno? Con una classificazione che si basa, appunto, sul territorio stesso. Ogni collina, ogni spiazzo, ogni vigna ha caratteristiche diverse dalle altre e ha un nome che li identifica. Ci siamo ispirati

un po’ a questo tipo di ragionamento e ci siamo detti “perché non farlo anche noi col Lambrusco?”

Se crediamo veramente che il Lambrusco sia un vino di qualità e vogliamo cercare di dimostrarlo e valorizzare il nostro territorio, penso che la direzione sia quella di iniziare a lavorare diversi vigneti, che si trovano in posti diversi, con terreni diversi, esposizioni diverse, ad altitudini diverse, e lavorarli separatamente, non più mettere tutte le uve insieme. È da questo approccio che sono nati i nostri due Cru, il Monovitigno e il Canova, due vini ottenuti dalle uve di due vecchie vigne, un impianto del ’69 e uno del ’71, che ad ogni vendemmia avevano qualcosa di diverso dalle altre uve: maturazioni migliori, più profondità di materia, più succo, più ricchezza. Questo è un po’ il concetto di Cru che nasce dalla Francia, passa attraverso il Piemonte e di cui oggi si parla sempre di più.

Fare questo discorso per il Lambrusco era un po’ da pazzi. Dato il valore che delle uve, chi te lo faceva fare di organizzare raccolte separate, stare

attento a non mischiare tutto? Però per noi quella è stata la svolta: ad oggi i riconoscimenti e i premi che otteniamo li riceviamo spesso per queste due etichette. Penso che sia perché hanno qualcosa da dire».

Secondo voi il Lambrusco è penalizzato dal fatto che è considerato un vino da bere giovane?

«Penso che di questo aspetto il Lambrusco possa farne la sua forza. Non dobbiamo sempre ostinarci a pensare che tutti i vini migliori o più buoni siano vini da conservare in cantina per 15 anni per poi dover sprigionare chissà quali aromi. Ci sono vini che sono fatti per quello e vini, come il Lambrusco, che hanno una prontezza, una freschezza che pochi altri vini hanno.

A volte ci ostiniamo, anche per cultura, a pensare che una data cosa sia meglio di un’altra e tutti ci troviamo poi ad imitarla. Invece secondo me alle volte è meglio fare un passo indietro, capire che cosa si ha tra le mani e cercare di valorizzare quello che c’è. Secondo me deve essere un po’ questa la chiave dell’interpretazione. E penso che il Lambrusco possa essere recuperato. Che si possa riscattare dall’identificazione con un vino dolce, di bassa qualità ed economico». Reputazione, spiega Alessio, che risale agli anni ’70, momento di grande diffusione del Lambrusco e del boom delle esportazioni in USA, periodo in cui si sfruttava il fatto che fosse un vino di pronta beva e per questo lo si lasciava un po’ zuccherino, con gradazioni alcoliche bassissime, caratteristiche che gli fecero guadagnare la nomea di “Coca Cola italiana”. «In tutto questo — sottolinea — se non altro c’è stato l’aspetto positivo di diffondere la conoscenza dell’esistenza del Lambrusco nel mondo. Oggi c’è un’evoluzione in atto, iniziata da circa 15/20 anni, da quando tante piccole aziende si sono messe a produrre Lambrusco impegnandosi nella ricerca di qualità. È il lavoro di queste aziende che sta cambiando il mercato. Ce ne accorgiamo per la domanda e il tipo di domanda. Gli Stati Uniti, per esempio, tirano le fila del mercato del Lambrusco di qualità tanto che aziende molto grosse, che hanno sempre lavorato più sulla quantità, oggi hanno piccole linee dedicate proprio alla qualità».

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I due Cru di Fattoria Moretto: il Lambrusco Canova e il Lambrusco Grasparossa Monovitigno.

Con il cambiamento a livello produttivo da parte dei viticoltori si può dire che sia cambiata e stia cambiando la percezione del Lambrusco da parte del pubblico quindi. E anche i costi sono cambiati.

«Sì, sta cambiando. Tra chi ancora non spenderebbe una certa cifra per comprare una bottiglia di Lambrusco, c’è invece chi è curioso e la compra. Si sente interesse e c’è richiesta. Quello del costo è un passaggio importante, obbligatorio. I costi sono giustificati da investimenti e dall’offerta di servizi nuovi in un territorio a vocazione contadina, dove la mentalità è ancora quella e non molto orientata alla ricettività. Però anche qui c’è un cambio generazionale in atto. È un processo che richiede tempo, che sta avvenendo e che potrebbe essere una grande risorsa per il territorio. Ma c’è ancora molto da fare. Ad oggi siamo ancora indietro, sebbene ci sarebbe da cavalcare un’onda importante come quella di aver qui vicino, a Maranello, la Ferrari».

Fattoria Moretto in tal senso si è già organizzata: dal lunedì al sabato è possibile prenotare una degustazione, previa prenotazione, con visita in vigna e in cantina: «Nel turismo ci abbiamo puntato, creduto e investito quando, dieci anni fa, abbiamo inaugurato la nuova cantina con sala di degustazione nella quale siamo in grado di accogliere 10-15 persone. Dal 2015, anno in cui abbiamo iniziato, da 100 visitatori

siamo passati a circa 700 all’anno. Poi c’è stata la battuta di arresto dovuta al Covid. Con un minimo di lungimiranza non si può non considerare questo aspetto di sviluppo e crescita. Abbiamo così tanto da offrire come territorio. Ci vuole però un’offerta affidabile. Che tenga conto che la gente vuol fare un’esperienza e bere vino».

Il cambio di status del Lambrusco ha a che fare con la qualità e anche con il tipo di consumo. Come promovete il vostro lavoro, il vostro prodotto?

«Io personalmente faccio parte del Gruppo Giovani del Consorzio Tutela Lambrusco di Modena con cui stiamo realizzando eventi ad hoc per cercare di promuovere l’abbinamento del Lambrusco con una cucina che sia diversa da quella tradizionale. Con diverse aziende del Consorzio, per esempio, abbiamo partecipato ad una serata di degustazione in un ristorante giapponese a Milano, in cui sono stati serviti 4 o 5 piatti, ognuno con un Lambrusco prodotto da un’azienda diversa, in base agli abbinamenti. A me piace molto il discorso dell’Asian food perché utilizza anche la carne di maiale, molto usata anche da noi, però con l’aggiunta di spezie e piccante. Il Lambrusco poi si abbina benissimo anche con la pizza. In base all’abbinamento con Sorbara o Grasparossa si può giocare sul condimento. Il Canova per esempio è un lambrusco che consiglierei con un

qualcosa di strong, con una pizza che abbia come ingrediente la carne. Con una pizza più delicata, come può essere quella con prosciutto, pomodorino a crudo e stracciatella, vedo bene il Tasso. Comunque il Gruppo Giovani del Lambrusco è attivo e di progetti ne ha tanti. L’obiettivo è avvicinare i giovani al Lambrusco di qualità».

Cos’è il Progetto Montebarello 155?

«Montebarello 155 è un progetto che nasce, a livello pratico, nel 2019, prima del Covid; a livello teorico invece prende forma molto prima e nasce da una esigenza precisa, quella di valorizzare la produzione di Lambrusco Grasparossa di collina. La denominazione Grasparossa di Castelvetro comprende una zona pianeggiante, pedecollinare e collinare del territorio in provincia di Modena. Ma la viticoltura di pianura e quella di collina sono diverse: nella seconda hai più difficoltà perché, oltre alle pendenze, c’è il discorso delle rese più basse. Fai fatica a meccanizzare i processi, cosa che comporta operazioni anche manuali e dunque costi differenti. C’è poi differenza anche a livello organolettico, per via delle caratteristiche diverse del terreno. I costi sono più alti e le rese minori.

Nel 2019 così, insieme ad altre aziende, abbiamo deciso di promuovere l’istituzione di una sottozona, quella di Montebarello appunto. Lo abbiamo fatto proponendo un disciplinare aggiuntivo a quello del Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP, che abbassa le rese massime e vuole creare un biodistretto. Chi aderisce deve praticare l’agricoltura biologica, o essere un’azienda in conversione, fare la raccolta, a mano, delle uve di Grasparossa al 100%. Vuole essere un disciplinare espressione di altissima qualità del prodotto del territorio di collina.

È una cosa che ci avvicina al discorso di prima, quando parlavamo delle Langhe e della Borgogna e della valorizzazione del territorio, non solo di un vitigno».

Avete progetti per il futuro?

«Abbiamo sempre dei progetti. Naturalmente a lungo termine». Federica Cornia

>> Link: www.fattoriamoretto.it

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Fausto Altariva con la moglie Cristina, Fabio e Alessio Altariva.

TURISTA DEL VINO, IDENTIKIT

AMA CIBO E VINO, HA UN POTERE DI SPESA ALTO E

UN BUON NETWORK: È IL TURISTA ENOGASTRONOMICO

IL TIPO PIÙ DIFFUSO SECONDO IL “REPORT ENOTURISMO

E VENDITE DIRECT-TO-CONSUMER 2023” DI DIVINEA

Il turista enogastronomico che unisce l’interesse per il vino a quello della buona cucina si conferma di gran lunga il profilo più presente nelle cantine italiane. Sono visitatori curiosi di conoscere la realtà che visitano,

hanno un potere di spesa mediamente alto e hanno spesso un buon network di conoscenze che abilita altri visitatori tramite passaparola. È quanto emerge dal “Report Enoturismo e Vendite directto-consumer 2023”, preparato da Divi-

nea, che offre elementi interessanti e utili per cogliere le evoluzioni del mondo del vino e comprendere le reali opportunità delle vendite dirette e dell’enoturismo, attraverso l’analisi dei dati e dei trend di mercato.

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Spiccano così gli identikit dei turisti del vino che oggi, insieme al turista enogastronomico, vedono come protagonisti esperti winelovers e sommelier, che, con la loro testimonianza e il loro endorsement, possono portare prestigio all’azienda. Al terzo posto troviamo la coppia romantica, e lo conferma il fatto che picnic e cene siano tra le esperienze più gettonate soprattutto in occasione di ricorrenze come compleanni e San Valentino. «Il turismo del vino vive un momento felice e conferma il trend della ricerca esperienziale di chi viaggia» spiega ROBERTO VILLA, CMO e Digital Expert di Divinea. «In questo contesto, le aziende del vino hanno la necessità di conoscere il proprio cliente attraverso la raccolta dei dati e creare proposte enoturistiche sempre all’altezza delle aspettative».

Secondo i dati di Divinea, al quarto posto ci sono i visitatori stranieri, che hanno cominciato a tornare dopo il periodo di emergenza sanitaria. Il numero di persone straniere è probabilmente calato rispetto agli anni pre-Covid ma, in termini qualitativi, restano un bacino prezioso con un potere di spesa alto, che tende ad acquistare significativi quantitativi di vino. Al quinto posto entrano i neofiti e sempre più aziende stanno adattando la comunicazione per avvicinare persone curiose di scoprire per la prima volta cosa c’è dietro una bottiglia di vino. Al sesto si trovano gli sportivi che coniugano la bellezza dei luoghi del vino alle visite in cantina, in particolare quelle che si sono attrezzate per venire incontro alle loro esigenze con proposte dedicate e strutture dotate dei servizi necessari.

Al settimo posto ci sono le famiglie, che, soprattutto nel fine settimana e durante la stagione estiva, scelgono di trascorrere insieme in cantina una giornata o dedicano alla visita un turismo di prossimità. All’ottavo il turista casuale che non pianifica la visita, mentre al nono i visitatori con animali domestici che premiano le aziende che hanno l’accortezza di prendersene cura. All’ultimo posto il visitatore ricorrente, ovvero persone che hanno vissuto un’esperienza positiva in una cantina e sono i migliori candidati a diventare ambasciatori di un brand.

Per maggiori informazioni sul report: hubs.la/Q01QSDyL0

Paltrinieri e Roteglia 1848: da un’amicizia nasce il primo Vermut di Sorbara in purezza

Voir la vie en rose: dalla sperimentazione di Paltrinieri (cantinapaltrinieri.it), realtà pluripremiata dedita alla produzione di Lambrusco di Sorbara Doc da tre generazioni e che costantemente ne ricerca nuove interpretazioni, e dall’arte nella trasformazione e miscelazione di botaniche di Roteglia 1848 – Opificio liquori (www.roteglia1848.it), che ama proporre i propri liquori in mix con vini del proprio territorio, ovvero la provincia modenese, è nato il primo Vermut di Lambrusco di Sorbara. Un magnifico color rosa brillante, ben visibile grazie alla trasparenza della bottiglia, gusto delicato e molto pulito, è il risultato dell’unione delle abilità e delle caratteristiche fondanti di Cantina Paltrinieri e Roteglia 1848: l’acidità e la nota fruttata del vino Sorbara sostengono l’alcolicità e amplificano le sensazioni officinali della parte liquorosa, arrivando al perfetto equilibrio tra freschezza e aromaticità. Tra le spezie aggiunte, oltre all’assenzio (da cui il Vermut prende il nome), si ritrovano angelica, camedrio, salvia e timo, per un sorso fresco, fragrante e persistente, avvolto da leggere sensazioni alcoliche. Un vermut pensato per una bevuta da solista, aggiunto di ghiaccio o rinfrescato, ma ottimo anche per la miscelazione più ricercata.

Due nomi, una sola anima Verso, Vermut Sorbara secondo Paltrinieri, diventa DiVerso, ossia appartenente a Verso, secondo Roteglia 1848: un unico prodotto che si differenzia soltanto nell’etichetta. Quest’ultima, disegnata dallo storico designer della cantina, Fabrizio Loschi, rappresenta perfettamente la mano dell’artista e lo stile Paltrinieri. Roteglia 1848, invece, ha deciso di reinterpretare il suo classico look rétro, facendo il “verso” all’artista, con 6 etichette “diverse” (in foto) illustrate da Anita Sofia Manganelli. Un primo lancio di sole 600 bottiglie numerate, 300 per ciascuna etichetta, da gustare e collezionare.

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QUATTRO OBIETTIVI STRATEGICI REALIZZABILI CON

l’ERP CSB-SYSTEM

Iproduttori di alimenti non hanno vita facile: devono tener testa ad una concorrenza globale in cui catene di approvvigionamento più complesse vanno di pari passo con le maggiori aspettative di consumatori e rivenditori circa capacità di consegna, qualità e sostenibilità dei prodotti. Allo stesso tempo, l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, continuano a mettere sotto pressione i margini di guadagno. In questo contesto aprire nuovi canali di vendita e portare avanti la digitalizzazione potrebbe essere di grande aiuto, consapevoli del fatto che l’impiego di un ERP all’avanguardia resta il prerequisito essenziale. In generale, l’ERP CSB-System consente di

perseguire quattro obiettivi strategici:

1. guidare la crescita dell’azienda attraverso le tecnologie digitali;

2. aumentare la sua competitività attraverso processi più intelligenti;

3. sfruttare i dati per processi decisionali più rapidi;

4. migliorare la resilienza grazie all’ottimizzazione dei processi.

Incrementare la crescita

Il consumatore sta diventando sempre più un attore decisivo nel determinare gli standard dell’industria alimentare. La pandemia ha accelerato il tema dell’e-food e ha messo a fuoco gli investimenti nei negozi on-line: chi vende attraverso il proprio canale digitale, al

di fuori della classica presenza sugli scaffali della GDO, ha opportunità maggiori di vendita e di crescita del proprio business. Il CSB Webshop comunica con l’ERP CSB-System senza interfacce. Ciò assicura che non vi sia interruzione del supporto tra acquisizione ed elaborazione delle informazioni. Si può dire finalmente addio a soluzioni ad isola, doppi inserimenti, problemi di interfaccia e sincronizzazioni manuali. Inoltre, l’ERP CSB-System è utilizzabile in cloud e come app su smartphone e tablet.

Il CSB-System è un ERP completo che offre funzionalità estese per ogni comparto della filiera: dagli Acquisti alla Produzione, dal Magazzino alle

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 124 TECNOLOGIE
Il CSB-System è un ERP completo ed offre funzionalità estese per ogni area aziendale lungo l’intera filiera.

Vendite fino a Contabilità, Archiviazione documentale e Business Intelligence. Le soluzioni CSB-System sono flessibili e scalabili, consentano un’efficace integrazione e analisi dei dati From Farm to Fork e un rapido adattamento ai cambiamenti sul fronte della domanda.

Creare processi più intelligenti

La forza di molte aziende alimentari risiede nella leadership di prodotto. Ma questa non può esistere senza la conoscenza accurata dei processi di produzione. Le applicazioni MES e CIM del CSB-System hanno la principale funzione di gestire e controllare produttività dello stabilimento. La gestione coinvolge gestione e spedizione degli ordini, avanzamenti in quantità e tempo, carico a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari. La manutenzione predittiva e le soluzioni robotiche rendono il tutto ancora più intelligente. In questo contesto, anche l’elaborazione industriale delle immagini svolge un ruolo importante nell’automazione della fabbrica: con CSB-Eyedentifier® è possibile automatizzare le fasi di inserimento, identificazione, smistamento e destinazione degli articoli. Il CSB-Image-Meater®, invece, offre un metodo innovativo per una classificazione commerciale obiettiva e trasparente delle carcasse suine, con automatizzazione completa del processo.

Prendere decisioni più rapide

Accedere velocemente a dati corretti è la sfida quotidiana per chiunque debba prendere delle decisioni: dunque un ERP in grado di fornire delle cifre giuste, svolge un ruolo decisivo. Il CSB-System, essendo un software integrato che comunica con tutte le aree aziendali, grazie a funzioni come la pianificazione della produzione su diversi scenari temporali, il reporting in relazione a determinati KPI, l’ottimizzazione della gestione del magazzino e i dati provenienti da finanza e controlling, accelera i processi e l’accesso alle informazioni. Perché ogni processo digitalizzato genera dati da cui si possono trarre degli input decisionali: improvvisamente diventa trasparente il margine di contribuzione di un prodotto oppure quale fornitore offre la migliore qualità o ancora se ci sono “punti oscuri” nella tracciabilità.

Migliorare la resilienza e la capacità di azione

L’efficienza dei processi di gestione e la gestione flessibile della catena di approvvigionamento sono diventate molto più importanti durante la pandemia. Ma ad un’analisi più attenta, intervenire su queste criticità si è rivelato estremamente strategico: l’ERP CSB-System contribuisce ad affrontare le sfide presenti, ma è anche uno strumento per poter agire in caso di eventi imprevisti e fluttuazioni del mercato: la pianificazione delle vendite, per esempio, impone previsioni per il futuro che si basano su dati provenienti dalla capacità di stoccaggio, dall’ottimizzazione delle scorte, dalla pianificazione dei giri di consegna, e così via.

In altre parole, il monitoraggio digitale completo della creazione del valore aggiunto, dal ricevimento della merce alla consegna del prodotto, rende la catena di produzione il più flessibile possibile e ne migliora la resilienza

Progetto strategico per i prossimi anni

Numerosi studi riportano che per essere competitivi non c’è modo di aggirare la digitalizzazione. Già oggi il successo delle aziende alimentari si basa sul concetto di ottimizzazione continua supportata dall’IT. Scegliere le soluzioni collaudate CSB-System contribuisce a contrastare l’aumento dei costi di processo a vantaggio di una maggiore efficienza e verso l’Industria 4.0.

Referente:

• Dott. A.MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5

37012 Bussolengo (VR)

Telefono: 045 8905593

Fax: 045 8905586

E-mail: info.it@csb.com

Web: www.csb.com

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Gestione ricette e lotti al CSB-Rack.
SHOW YOUR BUSINESS POTENTIAL 16-17 January 2024 20 th EDITION TECHNICAL SCIENTIFIC COMMITTEE www.marca.bolognafiere.it

TRACK ALIMENTI: INNOVAZIONE E

TUTELA DEL SETTORE ALIMENTARE

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 128

La filiera agroalimentare è un comparto che produce un immenso valore: pesa in modo determinante sulla bilancia commerciale italiana e l’innovazione e la tutela del settore saranno fondamentali per garantire sicurezza alimentare e cibo di qualità per il futuro. Nel processo di digitalizzazione della filiera alimentare si inserisce Track Alimenti, software ERP di Tracciabilità e rintracciabilità alimentare progettato da ZUFFELLATO TECHNOLOGIES

Zuffellato Technologies ha sede a Ferrara e opera in ambito IT come system integrator dal 1975. Ma è negli anni ’90 che inizia l’avventura con Track, una suite che si dirama nei quattro settori del comparto agroalimentare: Track Carni, Track Agri, Track Ittico e, appunto, Track Alimenti. Chiediamo a ENRICO ZUFFELLATO, CEO di Zuffellato Technologies, che cosa c’è stato alla base di questo sviluppo.

«Tutto è nato da un’idea. Come in tutte le cose, le idee sono il motore per far crescere progetti e svilupparli. In questo

caso, l’idea di un nostro collaboratore che ha avuto la grande capacità di ascoltare un cliente. Ancora una volta si dimostra quanto sia importante ascoltare i clienti, con attenzione, e cercare di portare loro soluzioni concrete che portino risultati».

Quali sono state le tappe più importanti del percorso di Track Alimenti sul mercato e le sfide più difficili che ha dovuto affrontare?

«Quando si inizia un nuovo progetto le difficoltà bisogna metterle in conto, ma, allo stesso tempo, si vive un’importante fase di entusiasmo, perché nel mondo software creare qualcosa di nuovo è appassionante e coinvolge tutta l’azienda. In ogni settore che abbiamo analizzato e nel quale abbiamo avuto modo di confrontarci ci sono state difficoltà, ma sapevamo sin dall’inizio che sarebbe stato un bellissimo viaggio. Per Track Alimenti la sfida più grande è stata quella di riuscire a standardizzare una procedura che potesse andare incontro a più esigenze, dalla filiera del grano

a quella dei mangimi, da quella della lavorazione a quella della distribuzione: non è stato facile raccogliere tante esigenze e provare a canalizzarle in un unico prodotto, ma ci siamo riusciti!».

Quali sono i punti di forza di Track Alimenti?

«La capacità di gestione del magazzino e la sua valorizzazione, l’ubicazione dei prodotti, la gestione della materia prima: sono la massima espressione di un software che punta alla tracciabilità come elemento forza nell’intero ciclo produttivo dell’azienda alimentare. Ma invece che parlare di punti di forza vorrei concentrarmi sugli sviluppi futuri: vogliamo migliorare le tecnologie, la user friendly, la capacità di produrre e analizzare dati sintetizzandoli e fornendoli al responsabile e al titolare. Già oggi la nostra forza consiste nel controllo dei dati, della marginalità e della produzione, che diventano fondamentali per guidare un’azienda alimentare. Ma vogliamo fare ancora meglio!».

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 129

Enrico Zuffellato, Amministratore Delegato di Zuffellato Technologies. L’azienda di Ferrara opera in ambito IT come system integrator dal 1975. Negli anni ’90 inizia l’avventura con Track, una suite che si dirama nei quattro settori del comparto agroalimentare: Track Carni, Track Agri, Track Ittico e Track Alimenti.

Qual è il vostro cliente tipo? Parliamo di PMI o realtà più grandi?

«Le realtà con le quali ci confrontiamo sono molto diverse, non solo per dimensione e struttura, ma soprattutto per esigenze. Spesso lavoriamo con imprese dello stesso settore e della stessa dimensione ma con necessità completamente diverse. Ancora una volta ascoltare le persone che lavorano all’interno delle aziende è fondamentale. In ogni caso, il nostro mercato principale riguarda le PMI fino a 100 mln di euro di fatturato, aziende che hanno incredibili capacità di innovazione e che ancora oggi affrontano il mercato con coraggio e portano nel mondo il nostro made in Italy».

La tracciabilità alimentare è diventata obbligatoria in tutta l’Unione Europea dal 1o gennaio 2005. Le aziende italiane di oggi percepiscono la normativa su tracciabilità e rintracciabilità come un obbligo o sono pronte a vederla come un’opportunità?

«La normativa sulla tracciabilità esiste ed è molto chiara, è un obbligo, ma questo non significa che le aziende non ne percepiscano le potenzialità.

L’innovazione tecnologica e la crescita digitale che questo obbligo ha comportato sono sotto gli occhi di tutti: se oggi molte aziende possono parlare di sicurezza, sostenibilità, made in Italy, qualità e tutela del prodotto, è anche grazie a software e processi che ga-

rantiscono al 100% questi aspetti. La tecnologia, usata nel modo giusto, dà sempre una mano».

Abbiamo vissuto sulla nostra pelle come cambiamenti inaspettati possono stravolgere vite e processi produttivi. Le aziende devono sempre avere un attento occhio al futuro per prevedere o rispondere velocemente a questi cambiamenti: può dirci quali sono le nuove tecnologie e le nuove tendenze della tracciabilità alimentare in Italia e in Europa? Quali sono le sfide del futuro che le aziende devono essere pronte ad affrontare?

«Effettivamente le recenti alluvioni che hanno devastato un territorio come quello emiliano-romagnolo ci hanno fatto capire quanto sia difficile oggi prevedere i cambiamenti, soprattutto climatici. Dobbiamo renderci conto che il cambiamento climatico ha un impatto importante sul settore alimentare in generale e ancora di più su queste aziende che fanno della natura la loro sopravvivenza. Ed ecco che le tecnologie possono aiutarci a ridurre il rischio: software basati su tecnologie cloud come Track, nuove modalità di gestione dei magazzini che velocizzano la rotazione del prodotto, l’utilizzo delle etichette RFId che miglioreranno e velocizzeranno ulteriormente le fasi di produzione e l’evasione degli ordini. Insomma, le sfide sono tante, ma le tecnologie esistono per aiutarci ad affrontarle, anche quelle più complesse!».

• Track è un software di Zuffellato Technologies Via Bela Bartok 12 44124 Ferrara

Telefono: 0532 904711

E-mail: info@zuffellato.com

>> Link: www.trackanyfood.com

>> Link: www.zuffellato.com

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 130

PAOLO EMILIO BELLISARIO

The Food Store

50+ Stunning Interior Designs & Branding Concepts

Editore: The Images Publishing Group

259 pp. – € 31,25

THE GENOESER

GENOVA ⎮ TAVOLE

Manuale minimo per vivere il territorio con la giusta consapevolezza culturale e gastronomica

Editore: Terrae Opificio Culturale Enogastronomico

16 pp. – € 16,00

Il mondo del pane.

Conoscerlo, sceglierlo, farlo a casa

Editore: Slow Food 304 pp. – € 20,00

Ogni aspetto del design di un negozio di alimentari e della strategia di branding dovrebbe essere incentrato sul modo migliore per migliorare l’esperienza di acquisto e sfruttare le nozioni di piacere visivo e sensoriale del cliente. Una disposizione ottimale degli interni e un branding chiaro e intelligente sono alcuni dei modi più efficaci per stimolare un’esperienza positiva e incrementare le vendite. Ricco di illustrazioni, questo libro presenta un’ampia gamma di soluzioni di design per la vendita al dettaglio e strategie di branding di oltre 50 progetti provenienti da tutto il mondo.

TAVOLE è il nuovo progetto editoriale non periodico di Terrae Opificio Culturale Enogastronomico. Una raccolta, un poster, una mappa per muoversi in un territorio. Tra parole e immagini, tra cultura e cibo, con tante voci diverse, verrete guidati come una mappa di tesoro in tesoro. “Abbiamo coinvolto illustratori e autori e chiesto loro: dove vado? cosa faccio? cosa mangio… quando sono nella tua città? Chi non l’ha mai chiesto? E chi, se non l’ha fissato su carta o una nota del telefono, l’ha dimenticato?”. Questi consigli sono stati fissati su carta, coloratissimi, e a fianco a questi ci sono le parole di persone che, in modo diverso, ogni giorno o quasi, parlano di cultura gastronomica. E una volta tornati dal viaggio… si può incorniciare! A Genova c’è l’itinerario d’autore di ROSSANA BORRONI, la mappa (formato poster 42×59,4 cm) di MARLA CRUZ LINARES per THE GENOESER. Hanno collaborato: ELISA BERTINELLI, FRANCESCA ROMANA DE BERNARDINO, MATTIA FIANDACA, IRENE FOSSA, FRANCESCA LAURERI, BENEDETTA MOSTRATISI, PAOLO TEGONI, ELISA TENEGGI

Fare il pane racconta la nostra storia. È un modo per riavvicinarsi alla terra, ai contadini, alle nostre tradizioni. Conoscere le farine e le altre materie prime, prendere confidenza con le tecniche di lievitazione e di impasto sono solo alcune delle cose che imparerete, guidati passo dopo passo da testi chiari e utili consigli. La guida definitiva all’Universo del pane, riproposta in una veste grafica inedita. Al suo interno sono disponibili 50 ricette di pani (e di piatti che lo vedono protagonista) e 200 schede per conoscere i pani d’Italia e del mondo.

Premiata Salumeria Italiana, 4/23 132 TRE LIBRI
ALESSANDRA MASTRANGELO (a cura di)

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TUTELA DEL SETTORE ALIMENTARE

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