Technopolis 57

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E-COMMERCE, MOTORE DI CRESCITA

Lo sviluppo del commercio elettronico procede di pari passo con la digitalizzazione del retail. Il metaverso è la terza dimensione, oggi ancora immatura.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Le tecnologie di A.I. generativa, a partire da ChatGPT, sollevano questioni di etica, di privacy e di sicurezza da non sottovalutare.

INDUSTRIA SMART

La "twin transition", digitale ed ecologica, sta attraversando anche il settore manifatturiero. Ma a che punto siamo in Italia?

INCHIESTA MSSP

Chi sono i fornitori di servizi di sicurezza gestiti, di quali attività si occupano e perché sempre di più le aziende li cercano.

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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE NUMERO 57 | MAGGIO 2023
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4 STORIA DI COPERTINA

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 57 - MAGGIO 2023

Periodico mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012

Direttore responsabile:

Emilio Mango

Coordinamento:

Valentina Bernocco

Hanno collaborato:

Roberto Bonino, Alessandro Catalano, Loris Frezzato, Arianna Perri, Elena Vaciago

Foto e illustrazioni: 123rf.com, Burst, Freepix, Pixabay, Unsplash

Editore e redazione:

Indigo Communication Srl

Via Palermo, 5 - 20121 Milano tel: 02 87285220

www.indigocom.it

Pubblicità:

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Stampa: Ciscra SpA - Arcore (MB)

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Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

Mercato maturo, ma ricco di opportunità

Ostacoli e lusinghe del metaverso

Una rivoluzione che richiede tempo

Retail e delivery si trasformano in digitale

11 IN EVIDENZA

Sostenibilità digitale, in Italia poca strategia

Domanda debole, mercato Pc in calo

Retail Analytics Cloud Platform: la killer application?

Il lavoro ibrido dà nuovo impulso alle stampanti

Il taglio dei costi non ferma la trasformazione

Il machine learning incontra la gestione documentale Standardizzazione flessibile, la “terza via” del software

Tecnologia e sostenibilità a braccetto

Posta elettronica, il primo fronte da proteggere

Un supporto digitale per i pazienti cronici

24 ITALIA DIGITALE

Pnrr, a che punto siamo?

Silla Industries, tecnologie per la mobilità elettrica

28 SMART MANUFACTURING

La startup della fabbrica intelligente diventa grande L’industria italiana nella transizione bifronte

34 INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Chi ha paura dell’A.I. generativa?

38 CYBERSECURITY

Debolezze e immaturità aumentano i rischi

42 EXECUTIVE ANALYSIS

Inchiesta Mssp: la sicurezza diventa un servizio Nuove esigenze da colmare

46 ECCELLENZE

Ducati Motor Holding

Laserfilm

Fienilnuovo 1644

Franchini Servizi Ecologici

50 APPUNTAMENTI

SOMMARIO

MERCATO MATURO MA RICCO DI OPPORTUNITÀ

La filiera dell’e-commerce e del retail digitalizzato è uno dei motori di crescita dell’economia italiana.

Nell’ultimo decennio abbiamo visto l’e-commerce trasformarsi da dimensione parallela al commercio tradizionale a parte integrante di un ecosistema che ingloba diversi canali di acquisto (fisici e digitali), diverse modalità di pagamento, di interazione tra aziende e clienti. Un ecosistema di cui, idealmente, il consumatore dovrebbe essere il fulcro, come sottolineato dai mantra del marketing sull’importanza di una customer experience improntata alla personalizzazione e all’omnicanalità.

Come noto, le dinamiche e le limitazioni della pandemia nel 2020 hanno funzionato da propulsore per il comparto del commercio elettronico, pur tra gli alti e bassi di una domanda che si impennava per alcune categorie di beni e servizi e calava per altre, anche in base alle ondate dei contagi e ai lockdown. Nel 2021, poi, secondo le stime di Statista il 74% della popolazione mondiale ha effettuato almeno un acquisto da siti Web o app nel corso dei dodici mesi precedenti, e la ripartizione tra canali di vendita offline (negozi, televendite e cataloghi cartacei) e online (siti Web e app mobili) è stata, rispettivamente, 86,3% e 16,4%. Nel 2022 la proporzione è rimasta quasi invariata, anzi la componente online è calata leggermente al 16,2%, mentre quest’anno è salita al 17,3% e gli analisti di Statista prevedono aumenterà di poco

nel breve termine, arrivando a 21,6% nel 2027. Che cosa significa? Innanzitutto, che i canali di vendita tradizionali non scompariranno, ma anche che l’e-commerce è un fenomeno ormai maturo, per il quale non sono ipotizzabili future “esplosioni” o rivoluzioni. Le tecnologie a supporto, presumibilmente, continueranno a far sbocciare nuove opportunità per le vendite online, e pensiamo alle prospettive del metaverso e dell’intelligenza artificiale. Tuttavia i punti vendita fisici resteranno di gran lunga prevalenti, diventando semmai sempre meno tradizionali e sempre più connessi, e popolandosi di soluzioni digitali come tablet in dotazione al personale, chioschi multimediali per la ricerca di prodotti e per i pagamenti self-service, applicazioni per riscattare voucher e magari installazioni di realtà virtuale. Tutto

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STORIA DI COPERTINA | E-COMMERCE
Foto di Mohamed Hassan da Pixabay

IL CLIENTE PRIMA DI TUTTO

Mettere al centro dell’attenzione i clienti e la qualità della loro esperienza è essenziale per la buona riuscita di qualsiasi attività di commercio, online e offline. Solo così è possibile migliorare, personalizzare e fidelizzare, ma anche evitare di perdere occasioni. Le evidenze abbondano, e ne citiamo una: secondo recente studio di Skeepers (società italiana specializzata in soluzioni di customer engagement), l’87% degli utenti legge le recensioni online per farsi un’idea prima di effettuare un acquisto, il 71% le pubblica per condividere la propria esperienza. Il problema, per le aziende, è riuscire a non annegare nel mare dei dati che vengono prodotti a ogni interazione su siti Web, app, social media, email, chat di servizio clienti, piattaforme di recensioni e altri canali ancora. I dati abbondano, ma è difficile tradurli in indicazioni e misurazioni. Forrester (nello studio “State Of VoC And CX Measurement Survey”, 2022) ha chiesto agli addetti ai lavori a che punto fosse la strategia della loro azienda in fatto di misurazione della “voce” e della soddisfazione del cliente: il 47% ha risposto che è poco o molto poco matura. In meno di un’azienda su tre i programmi di misurazione della customer experience sono ben compresi anche dai manager che ricoprono altri ruoli.

questo vale, se non altro, per gli showroom e per i punti vendita “vetrina” di una catena e per settori come la moda e il lusso. Ma anche per tutti gli altri sarà importante, per non perdere posizioni e competitività, saper trasformare i processi del back-office con tecnologie di automazione, raccolta e analisi dei dati, così da poter ottimizzare gli spazi e gli inventari, prevedere la domanda e offrire ai clienti un servizio più personalizzato. Accanto al canale online, nativamente digitale, conviverà un retail sempre più digitalizzato. Queste sono alcune delle previsioni degli analisti e degli addetti ai lavori, anche se non esiste una sfera di cristallo. Metaverso e intelligenza artificiale pongono entrambi questioni di sicurezza e di privacy oggi ancora senza risposta, e al momento nessuno sa come e in che misura saranno rilevanti per l’ecommerce di domani. Inoltre è sensato pensare che le imprevedibili dinamiche dell’economia mondiale e locale influenzeranno il futuro del commercio più di quanto non possa fare la tecnologia.

La fotografia mondiale

L a classifica di Statista aggiornata a fine 2022 sui dieci principali colossi dell’ecommerce vede sfilare, in ordine di giro d’affari, Alibaba Group, Amazon, Apple, BestBuy, Coupang, Jd.com, Su-

ining.com, Target, The Home Depot e Walmart: quasi un duopolio, in cui c’è una sola azienda non statunitense né cinese (la sudcoreana Coupang, che è comunque registrata negli States). Leggermente diversa è la lista di Mordor Intelligence, in cui tra i primi dieci mancano alcuni di questi nomi e figurano, al loro posto, Inter Ikea Systems (la rete di franchising della società svedese), Rakuten, Airbnb e Shopify.

C onsiderando sia i ricavi delle aziende che vendono sia i fornitori di logistica, i servizi B2B, le piattaforme per i pagamenti e la tecnologia a contorno, Sta-

tista calcola che il valore complessivo del mercato del commercio elettronico supererà quest’anno i 4.100 miliardi di dollari, per salire oltre i 6.300 miliardi nel 2027. Per lo stesso anno si prevede che il 66,6% della popolazione mondiale, ovvero circa 5,29 miliardi di persone, avrà acquistato in e-commerce almeno una volta (la percentuale attuale è 57,2%). In parte sovrapponibili sono le stime di Allied Market Research, che per il commercio digitale quantificava 4.200 miliardi di dollari di giro d’affari nel 2020 e ipotizza 17.500 miliardi per l’anno 2030.

L’OCCASIONE DEL RECOMMERCE

Dare una seconda vita agli oggetti è un’opportunità per chi compra, ma anche per chi vende o veicola i prodotti. Per la rivendita di articoli usati sono nate piattaforme ad hoc, come Vinted, e giganti dell’e-commerce come Zalando hanno inaugurato un filone nuovo che intercetta sia le esigenze del caro-vita sia i valori dell’economia circolare. Il recommerce oggi non è più un’abitudine di nicchia, come mostra una ricerca commissionata da Visa a Opinium e condotta lo scorso ottobre su ottomila consumatori europei (Francia, Germania, Polonia e Regno Unito) e duemila manager d’azienda: l’87% ha già partecipato ad almeno un’attività di recommerce, ovvero rinnovo, ricarica, riparazione, rivendita, restituzione (di un prodotto arrivato a fine vita) o ridistribuzione. Visa le chiama le “sei R”. In particolare, il 45% dei consumatori intervistati ha detto di rivendere un oggetto usato almeno due volte l’anno, mentre una Pmi su quattro già offre prodotti di seconda mano e altre (48%) intendono farlo in futuro.

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Un motore di crescita per l’Italia Quanto vale l’e-commerce in Italia, e come sta cambiando? La risposta più autorevole sul tema è quella di Netcomm, il consorzio nazionale del commercio elettronico. Secondo uno studio condotto in collaborazione con The European House – Ambrosetti, la filiera dell’e-commerce e del retail digitalizzato valeva nel 2021 circa 71 miliardi di euro (+4,4% sul 2020, già un anno di forte crescita) ed è uno tra i principali motori della nostra economia.

Nella catena del valore rientrano le vendite online (marketplace e retailer totalmente o parzialmente attivi sul canale digitale ma anche piattaforme pubblicitarie, servizi integrati per la presenza Web e le attività di customer care) e i servizi a supporto, come logistica, packaging e sistemi di pagamento. Lo studio ha calcolato che 100 euro investiti questa filiera hanno una ricaduta pari a 148 euro sull’economia nazionale; ogni 100 unità di lavoro generate in modo diretto dalle attività di e-commerce e digital retail, si creano altrove altri 141 posti di lavoro. Considerando la crescita di fatturato delle aziende del settore privato in Italia nel quinquennio 2016-2020, oltre il 40% deriva dalla filiera di e-commerce e digital retail.

“Alla luce dei risultati di questo studio non possiamo che decretare una volta per tutte la fine della concezione di ecommerce come un semplice trend”, ha dichiarato il presidente di Netcomm, Roberto Liscia. “La rete del valore del commercio digitale è molto di più: stiamo parlando di una filiera concreta e tangibile che fa crescere la nostra economia più di tutte le altre 98 attività economiche prese in considerazione e che riguarda 723mila imprese”.

Mentre la distribuzione delle aziende attive è abbastanza uniforme sul territorio italiano, oltre metà del giro d’affari si concentra nel Nord-Ovest, e in

particolare in Lombardia. Lo studio di Netcomm e Ambrosetti ha anche evidenziato che solo per una minima parte delle imprese (10% di chi opera nel B2B e 6,4% di chi vende B2C) l’investimento sui canali digitali ha comportato chiusure o ridimensionamenti dei negozi tradizionali.

In Italia non soltanto l’e-commerce B2C è in crescita. L’anno scorso il 61% delle aziende ha adottato soluzioni digitali per la vendita business-to-business, secondo quanto emerso da un altro studio di Netcomm, realizzato con il supporto di Adacto/Adiacent, Big Commerce e Rewi: il dato segna un incremento del 12% sul 2021. “Nel post-pandemia”, ha commentato Liscia, “la possibilità di fidelizzare il cliente attraverso il miglioramento e l’innovazione del servizio offerto è diventata la ragione principale

che spinge le aziende alla digitalizzazione delle transazioni commerciali B2B”. Sul totale delle vendite B2B in Italia, la quota dei canali digitali si limita oggi all’11% ma si prevede arriverà al 25% nell’arco di tre anni.

C ome preferiamo acquistare? Sebbene saldare in contanti alla consegna sia quasi sempre possibile, i pagamenti digitali sono di gran lunga l’opzione preferita da chi compra online. Statista ha calcolato per l’Italia 67 miliardi di euro di valore complessivo dei pagamenti digitali nel commercio elettronico del 2022, cifra che raddoppierà nell’arco di quattro anni. Parallelamente ci sarà un boom (+165% in quattro anni) di pagamenti realizzati tramite smartphone nei negozi fisici, per un giro d’affari che nel 2026 sfiorerà i 60 miliardi di euro.

6 | MAGGIO 2023 STORIA DI COPERTINA | E-COMMERCE
Foto di Pixabay

OSTACOLI E LUSINGHE DEL METAVERSO

Siamo pronti a fare shopping in realtà virtuale immersiva? Forse ancora no, ma bisogna dare tempo al tempo. Il settore della moda e del lusso è stato, insieme all’industria del gaming, uno tra i primi a debuttare in questo mondo, che più correttamente dovremmo identificare come Web3, una rete fatta non solo di luoghi digitali immersivi, ma anche di sistemi di distribuzione e verifica dei dati (la blockchain), metodi di pagamento e di scambio di valore (le criptovalute e gli Nft, i token non fungibili). Citiamo il caso di Nike, che l’anno scorso ha venduto l’Nft di un modello di sneaker in edizione limitata per 45 ether, corrispondenti in quel momento a circa 130.000 dollari. Sfizi o investimenti da collezionisti, che in quel caso era possibile sfoggiare poi su Snapchat grazie a un filtro ad hoc. E su Decentraland (piattaforma e marketplace su cui poggiano luoghi ed eventi fruibili in realtà virtuale immersiva) sono già andate in scena due edizioni della “Metaverse Fashion Week”, una settimana della moda a cui hanno

partecipato marchi come Adidas, Clarks, Dolce e Gabbana, Tommy Hilfiger, tra sfilate, negozi virtuali e afterparty. Oggi si inizia a parlare di metaverse commerce e si tratta di una dimensione interessante da sperimentare se non altro per ragioni di ritorno d’immagine, prima che di ritorno economico. Per farlo diventare un canale di vendite rilevante servirà tempo. Sarà necessario, per esempio, definire gli standard tecnologici (i protocolli di interscambio dei dati, i sistemi di pagamento), le regole di tutela della privacy e della cybersicurezza, i meccanismi di controllo delle identità e altri “mattoni” fondanti senza i quali l’edificio rischia di nascere fragile. L’attuale arcipelago di “mondi” isolati dovrà comporre un ecosistema di piattaforme connesse. Inoltre per un’adozione di massa è condizione importante l’abbassamento della soglia di accesso, perché i visori di realtà virtuale sono ancora un lusso per pochi. Suggeriscono cautela anche i tentennamenti di Meta, la società che ha fatto da apripista con grandi annunci e investimenti, salvo poi

sospendere il supporto agli Nft su Facebook e Instagram a meno di un anno dalla loro introduzione. Le premesse per il futuro successo però non mancano. Gartner prevede che entro il 2026 un utente su quattro trascorrerà almeno un’ora al giorno in un metaverso per attività di lavoro, studio, svago o shopping. La società di ricerca TechNavio stima (nel report “Metaverse in E-Commerce Market”) che le attività di vendita nel Web3 nel 2026 arriveranno a valere quasi 86 miliardi di dollari. Da qui ai prossimi tre anni la crescita sarà sostenuta dalla sempre maggior diffusione delle tecnologie di realtà aumentata e mista (tra l’altro, secondo molte indiscrezioni, è forse prossimo il lancio degli attesi visori di Apple), anche se le preoccupazioni riguardanti privacy e cybersicurezza potranno agire in senso opposto.

Intanto già oggi l’interesse non manca, e non solo tra i giovanissimi. Da un sondaggio di Zipline (azienda di servizi di consegna tramite drone) è risultato che l’idea di fare acquisti online o in negozio usando visori di realtà aumentata o virtuale attrae l’85% dei giovani della Generazione Z, il 75% dei Millennial e il 69% degli appartenenti alla Generazione X. Dal punto di vista tecnologico, i programmi di intelligenza artificiale generativa probabilmente daranno una spinta alla maturazione delle piattaforme del Web3 e soprattutto alla qualità della loro user experience, contribuendo a popolarle di avatar (non umani) in grado di sostenere conversazioni, oppure creando in tempo quasi reale una scenografia immersiva che segue passo passo gli spostamenti degli utenti.

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L’ecosistema del Web3 è ancora frammentato e poco popolato da aziende e utenti. Un mondo immaturo, ma che già suscita molto interesse.
Foto di Vinicius “amnx” Amano su Unsplash

UNA RIVOLUZIONE CHE RICHIEDE TEMPO

Il metaverso è ancora agli inizi, ma i brand più influenti a livello globale sono già ben presenti nei suoi mondi tridimensionali e virtuali: Coca-Cola, McDonald’s, Ford, Louis Vuitton e Marvel sono solo alcuni esempi. Nel metaverso possiamo fare acquisti, concludere affari, incontrarci, imparare, socializzare, giocare e vivere nuove esperienze. Potremo fare esperienze reali in una dimensione virtuale (come provare un capo di abbigliamento prima di acquistarlo), ma anche esperienze non possibili altrove (provare a battere quel rigore che ha deciso la partita della squadra del cuore la sera precedente, o rivivere la partita da diverse angolazioni). Le aziende potranno sperimentare gemelli digitali di qualsiasi oggetto o servizio offerto, dai dispositivi elettronici a locali e uffici, automobili o persino aerei. Potranno effettuare demo sul funzionamento dei prodotti, per evitare al cliente la consultazione di ponderosi manuali di istruzioni. I dati biometrici e i documenti condivisi tramite blockchain dovrebbero consentire qualsiasi tipo di transazione commerciale in modo sicuro e senza interruzioni.

Gartner prevede che entro il 2026 il 30% delle aziende del mondo disporrà di prodotti e servizi nel metaverso, ma come raggiungere questo obiettivo? I contact center svolgeranno un ruolo fondamentale e dovranno progettare servizi pronti per il metaverso che richiederanno, tra l’altro,

la ridefinizione delle interfacce utente e della formazione degli agenti. Anche processi e applicazioni dovranno adattarsi a questo nuovo touchpoint – ad esempio, i Crm dovranno memorizzare le identità Web3 in modo che i clienti possano essere riconosciuti nel metaverso – ma la loro portata e contenuto non cambieranno molto. I principi di un servizio clienti efficace e di una buona customer experience che già conosciamo si applicheranno anche al metaverso. Per il servizio clienti, il metaverso non sostituirà i canali fisici o online, ma diventerà un nuovo punto di contatto, che dovrà essere strettamente correlato agli altri: i clienti chiederanno esperienze che colleghino senza soluzione di continuità il mondo reale a quello virtuale. Questo potrebbe significare entrare in una vetrina virtuale ed essere assistiti da avatar o bot conversazionali basati

sull’intelligenza artificiale in grado di fornire informazioni, suggerimenti e servizi più complessi come la prenotazione di appuntamenti o l’estratto conto. E, se lo vorrà, il cliente potrà passare dall’interazione con un bot a quella con un agente umano. Inoltre Ia personalizzazione raggiungerà livelli nemmeno lontanamente immaginabili per altri canali di comunicazione. Le nostre attività, il nostro aspetto, i luoghi che visitiamo, le aziende con cui interagiamo e le emozioni che esprimiamo costituiranno la base per servizi iper personalizzati. Le informazioni generate nel metaverso saranno superiori a quelle social, consentendo alle aziende di utilizzare l’analisi predittiva e di modellare le esperienze in modo molto più preciso. L’obiettivo finale è quello di usare questi dati fino al punto in cui i consumatori saranno in grado di autosegmentarsi e di scegliere il proprio customer journey.

Il metaverso è ancora in una fase embrionale e ha davanti numerosi ostacoli: oltre alle attuali limitazioni hardware da superare, bisognerà definire i protocolli Internet sottostanti, gli standard per la progettazione di oggetti 3D (come gli avatar), nonché i diritti sui dati. Ma anche Internet ha dovuto affrontare notevoli problemi inizialmente e ha richiesto molto tempo (e la proliferazione degli smartphone) prima di raggiungere un’adozione di massa. Allo stesso modo, dovremmo concedere al metaverso il beneficio del dubbio e i suoi tempi di maturazione. Il suo potenziale di trasformare l’esperienza cliente e di modificare il rapporto tra consumatori e aziende è limitato solo dall’immaginazione.

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Il metaverso ha le potenzialità per trasformare l’esperienza cliente, e il customer service dovrà giocare la propria parte.
Alessandro Catalano, country manager di Avaya Italia Alessandro Catalano

RETAIL E DELIVERY SI TRASFORMANO IN DIGITALE

La smart data capture, ovvero la lettura e “cattura” intelligente dei dati, è parte integrante di quel percorso di trasformazione digitale accelerato dalla pandemia di covid a partire dal 2020. Chi ancora non vendeva in e-commerce e non faceva consegne a domicilio si è dovuto attivare rapidamente. Per Scandit, azienda che sviluppa tecnologie per scanner di codici a barre, cartellini del prezzo, documenti d’identità o Iban, gli ultimi anni sono stati forieri di crescita e conquista di nuovi clienti. “Le nostre soluzioni tecnologiche di smart data capture permettono di usare un semplice smartphone per applicazioni di business”, ha raccontato a Technopolis Maurizio Costa, key account manager di Scandit Italia. “Il last mile delivery, per esempio, in seguito all’esplosione dell’e-commerce è cresciuto moltissimo perché ha permesso alle aziende di reagire rapidamente ad attrezzarsi di fronte alla nuova domanda”.

Nell’attuale scenario macroeconomico collegato alla crisi geopolitica alcune dinamiche sono cambiate nuovamente. Nelle aziende del largo consumo, in particolare, il rallentamento delle vendite ha indotto maggiore cautela anche negli investimenti tecnologici. “In Italia, ma in generale in Europa, osserviamo che i budget IT nelle aziende si sono un po’ ridotti o se non altro c’è una maggiore attenzione al ritorno sull’investimento”, ha proseguito Costa. “Prima c’era maggiore

libertà di utilizzare il budget allocato, mentre ora si valuta progetto per progetto, privilegiando le iniziative con Roi a brevissimo termine e con diretto impatto sul business e in particolare sulla riduzione dei costi”.

Per le tecnologie di smart data capture, tuttavia, c’è ancora ampio potenziale di crescita. “Siamo solo all’inizio del percorso, sebbene Scandit sia presente sul mercato fin dal 2009”, ha sottolineato il manager. “La nostra tecnologia permette alle aziende di realizzare un cambiamento importante, rottamando decine di migliaia di device dedicati e sostituendoli con applicazioni abilitate alla smart data capture attraverso semplici smartphone”. La convergenza delle applicazioni su un unico dispositivo rappresenta un vantaggio per l’utente (pensiamo a un addetto alle vendite, a un operatore di magazzino, a un fattorino) che non ha più la necessità di spostarsi tra Pc, cellulare e terminale dedicati bensì può svolgere diverse attività solo con uno smartphone.

La voglia di soluzioni tecnologiche di questo genere, capaci di semplificare il lavoro quotidiano, è confermata da una recente indagine commissionata proprio da Scandit, “Global Delivery Insight - Driver Technology in the Last Mile”, condotta su 1.200 corrieri in undici Paesi. In Italia il 90% dei corrieri interpellati si è detto insoddisfatto dei metodi normalmente utilizzati per le consegne di posta e pacchi. Il 30% vorrebbe poter scansionare più di un codice a barre alla volta, il 17% ha problemi con la lettura di codici danneggiati e il 18% ha difficoltà a effettuare la scansione in condizioni di scarsa illuminazione. In Italia il 78% dei corrieri usa lo smartphone come terminale per la registrazione delle consegne.

Nella grande distribuzione la tecnologia smart data capture è utile per le attività di magazzino e di corsia, per esempio il pricing, il posizionamento a scaffale, la verifica delle promozioni. Nel settore di moda e lusso viene utilizzata nelle attività di supporto alla vendita, nei terminali di pagamento in negozio e nella gestione del magazzino. Altro ambito di destinazione è quello sanitario, che è in fase di adozione avanzata negli Stati Uniti ma non nel nostro Paese. V.B.

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Le tecnologie di smart data capture migliorano le operazioni di consegna, ma anche la gestione del punto vendita e del magazzino.
Maurizio Costa

l’analisi

SOSTENIBILITÀ DIGITALE, IN ITALIA C'È ANCORA

POCA STRATEGIA

Come sappiamo, in senso lato, l’espressione “IT sostenibile” si riferisce a tutte le pratiche di produzione, utilizzo e smaltimento di tecnologia che generano un impatto positivo sull’ambiente. Oltre al ciclo di vita degli asset, la definizione include anche la supply chain end-to-end, lo sfruttamento delle materie prime, ma anche la tutela dei diritti umani e il rispetto della giustizia sociale in tutti gli aspetti che coinvolgono un prodotto. Sono ormai molte le realtà che hanno avviato politiche di applicazione dei principi di sostenibilità dell’IT, sia realizzati all’interno dello stesso dipartimen to interessato sia estesi all’azien da nel suo complesso, che può far uso del digitale per comprendere meglio il proprio impatto sull’ambiente e attivarsi per contenerlo. Una fotografia dello stato dell’arte in Italia la fornisce l’ultima edizione dell’annuale “Digital Business Transformation Survey” di The Innovation Group (Tig). Emerge, in prima battuta, che l’attenzione posta dalle aziende al tema della sostenibilità viene giudicata buona dalla maggior par te del campione analizzato. Il 28% si è espresso in modo totalmente positivo e un altro 51% ha valutato l’attuale attenzione come “abbastanza soddisfacente”.

Anche il livello di conoscenza dei dipendenti sulle pratiche adottate è piuttosto alto (per il 71%), mentre la qualità del dibattito interno potrebbe essere migliore, almeno per il 32% del campione.

solo il 28% sta osser vando dei benefici misurabili (e per il 4% sono superiori alle attese), mentre il 27% si aspetta di vederli nell'arco di un paio di anni, il 13% crede ci vorrà più tempo e una quota di pessimisti, il 14%, non prefigura vantaggio concreto e misurabile nemmeno in futuro.

In termini quantitativi, tuttavia, la strada da percorrere appare ancora lunga. Solo il 18% delle aziende ha messo in campo un piano completo e ben consolidato, mentre un altro 32% lo ha attivato o lo sta sviluppando. Il 36%, per contro, non ha messo in atto azioni concrete (almeno per quanto gli intervistati dicono di sapere). Ne deriva che i benefici della transizione ecologica sono ancora difficilmente percepiti. Tra le aziende che hanno sviluppato un programma di sostenibilità,

Ma quali sono i benefici sperimentati? Il 60% ha parlato di miglioramento dell’immagine aziendale, mentre il 42% ha indicato effetti sull’innovazione e la differenziazione produttiva e di modelli di business. I vantaggi competitivi e l’apertura di nuovi mercati od opportunità non superano, ciascuno, il 26%. Vero è che il peso percentuale dei fattori qualitativi e più qualificanti è in crescita rispetto a un’analoga indagine realizzata da Tig l’anno scorso. Tuttavia, questi dati indicano chiaramente che il tema della sostenibilità in generale e la sua declinazione nel mondo digitale sono ancora visti con prospettive limitate, senza strategie di lungo termine e senza capacità di misurazione efficaci. Controllare la certificazione dei fornitori, ridurre il consumo di carta o attivare efficaci metodologie di smaltimento è certamente utile, ma i manager del business e dell’IT dovranno impegnarsi (meglio se congiuntamente) nella definizione di progetti di decarbonizzazione e compensazione delle emissioni che abbiano obiettivi chiari e misurabili. Solo così si otterranno risultati positivi per l’ambiente e, a tendere, anche redditizi per il business.

10 | MAGGIO 2023 IN EVIDENZA

DOMANDA DEBOLE, MERCATO PC IN CALO DEL 29%

Per Idc nel primo trimestre sono state distribuite meno di 57 milioni di unità. Le scorte in magazzino restano superiori al livello “salutare”.

Una crisi prolungata, una “discesa precipitosa”, causata da una debole domanda, dall’eccesso di scorte in distribuzione a dal peggioramento del clima macroeconomico. Così gli analisti di Idc descrivono lo scenario dei personal computer, un mercato le cui vendite a volume nel primo trimestre di quest’anno sono calate del 29% (versus primo trimestre 2022), con circa 56,9 milioni di unità immesse in distribuzione. Nel primo trimestre del 2022 l’andamento percentuale era stato simile, –28,1% anno su anno, ma ben più alti erano i numeri assoluti (80,2 milioni di unità). Le stime di un’altra grande società di analisti, Canalys, sono dello stesso tenore: la contrazione anno su anno in questo caso è addirittura del 33%, i volumi del trimestre sono 54 milioni di unità. Si tratta, in ogni caso, del quarto

trimestre consecutivo di calo percentuale (anno su anno) a doppia cifra. “Consumatori e aziende resteranno cauti nelle spese per nuovi Pc nel breve periodo”, ha commentato Ishan Dutt, senior analyst di Canalys, “e una significativa ripresa del mercato è attesa non prima del quarto trimestre del 2023”.

Nessuno, tra i principali Oem (Original Equipment Manufacturer, nell’ordine Lenovo, Hp, Dell, Apple e Asus), sfugge alla dinamica negativa. Tra i primi cinque la sola Hp è calata meno della media del mercato (-24,2%, secondo i dati di Idc) mentre il ruzzolone peggiore è stato quello di Macbook e iMac (-40,5%), penalizzati forse dall’essere prodotti premium. In generale, la debolezza della domanda è conseguenza del clima macroeconomico e dell’inflazio -

ne, ma non solo: si è ormai esaurita la corsa agli acquisti di nuovi Pc, sia nelle aziende sia nelle case degli utenti in smart working, e si ritorna alle dinamiche pre-covid.

“Benché le scorte in magazzino sia siano svuotate negli ultimi mesi, sono ancora al di sopra del livello salutare di quattro-sei settimane”, ha commentato Jitesh Ubrani, research manager dei Mobility and Consumer Device Trackers di Idc. "Anche con pesanti sconti, i distributori e produttori di Pc possono aspettarsi che elevate scorte persistano fino alla metà dell’anno e, potenzialmente, fino al terzo trimestre”.

Non tutto il male verrà per nuocere: gli analisti sottolineano che il momento di stallo permetterà a tutta la catena di fornitura di riorganizzarsi, mentre molti Oem stanno cercando di spostare parte della produzione al di fuori della Cina. Inoltre, secondo Idc, c’è ragione di sperare in un futuro luminoso. Arrivati al 2024, l’invecchiamento della base installata inizierà a farsi sentire, stimolando nuovi acquisti. “Se, a quel punto, l’economia sarò in ripresa”, scrive Linn Huang, research vice president of devices and displays di Idc, “ci aspettiamo un significativo vantaggio per il mercato, perché i consumatori vorranno aggiornarsi, le scuole dovranno sostituire i Chromebook consumati e le aziende vorranno spostarsi su Windows 11. Se nei mercati chiave la recessione si trascinerà fino all’anno prossimo, la ripresa potrebbe essere faticosa”. A detta di Canalys, il mercato dei personal computer ha “fondamenta forti per una crescita di lungo termine”, e i volumi di vendita torneranno al di sopra dei livelli prepandemia. V.B.

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Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay

l’intervista

RETAIL ANALYTICS CLOUD PLATFORM: LA KILLER APPLICATION?

Oggi c’è una piattaforma, frutto dello sforzo congiunto di due aziende che collaborano da anni, che potrebbe rappresentare un punto di svolta per il data-driven retail. Una piattaforma veloce e pronta all’uso perché basata su cloud e perché già arricchita con l’esperienza accumulata nel corso di anni di analytics applicati al mondo del commercio. “Noi di Sas”, dice Mirella Cerutti, managing director Italy e regional vice president, “abbiamo la capacità di offrire una piattaforma tecnologica che risponde alle necessità del mercato e consente una gestione del dato in qualsiasi forma, dalla sua nascita alla fruizione. Da sempre puntiamo a partnership con i principali player dei diversi settori di mercato e nel mondo retail abbiamo lavorato con Jakala per costruire una soluzione pronta all’uso, soprattutto oggi che c’è una richiesta sempre maggiore di analytics, dovuta anche alla gestione dell’omnicanalità”.

“Abbiamo lanciato la piattaforma insieme a Sas”, racconta Marco Di Dio Roccaz-

zella, general manager di Jakala, “usando i dati per personalizzare i processi e per definire pricing e promozioni (quest’anno ad esempio, con un’inflazione ancora alta, c’è da gestire il delicato tema del re-pricing e delle promozioni). Si tratta di una piattaforma semplice, che sfrutta una serie di soluzioni già pre-elaborate e ulteriormente accelerate dal cloud”. Sas e Jakala, in sostanza, puntano sull’offerta di una soluzione facilmente integrabile nei sistemi aziendali e rapida da mettere in produzione, in modo da favorire un veloce ritorno dell’investimento. “Le aziende che riescono veramente a tirare fuori valore dai dati sono poche”, prosegue Cerutti, “proprio perché mancano sul mercato piattaforme semplici da utilizzare ma in grado di gestire e sfruttare il dato in maniera completa, durante tutto il suo ciclo di vita”. Il passaggio sembra semplice ma non lo è, perché l’integrazione deve essere governata e il dato deve rimanere sempre sotto controllo, un obiettivo complesso per molti

imprenditori e manager. “Non solo con la nuova Retail Analytics Cloud Platform è possibile governare l’integrazione”, dice Di Dio Roccazzella, “ma l’adoption è più veloce facile grazie al fatto che la piattaforma è già premasticata espressamente per il mondo del retail: per iniziare a usarla efficacemente ci vogliono settimane, e non mesi. Il ritorno è più veloce e l’impatto sul cliente finale è rilevante”. “Quando le aziende vedono i ritorni di questo tipo ti piattaforme”, aggiunge Cerutti, “di norma la richiesta si espande a ulteriori analisi, per abbracciare tutta la gamma degli analytics, dai più semplici ai più complessi, come quelli che coinvolgono intelligenza artificiale e machine learning”. “La soluzione è destinata al più ampio spettro del mercato retail”, precisa Di Dio Roccazzella, “dal lusso alla Gdo, fino all’e-commerce puro, in pratica a tutte le aziende che tengono traccia del comportamento del consumatore finale. Le applicazioni tipiche vanno dalla gestione delle fidelity card in ottica broadcasting, al mondo del pricing e delle promozioni, fino al forecasting”. “Stiamo già lavorando su alcune aziende del largo consumo”, spiega Cerutti, “proprio sulle attività di forecasting. Pianificare meglio la domanda e passare queste informazioni alla produzione significa anche diminuire gli sprechi, con impatto diretto sull’ultima riga ma anche sulla sostenibilità. Nell’ottica di una vera soluzione as-a-service, ogni cliente può iniziare subito a operare attivando i servizi che interessano, crescendo poi gradualmente insieme alla confidenza acquisita e al ritorno ottenuto”. E.M.

IN EVIDENZA 12 | MAGGIO 2023
La tecnologia di Sas e le competenze di Jakala vogliono cambiare le regole del gioco nel settore retail. Intervista a Mirella Cerutti e a Marco Di Dio Roccazzella.
Marco Di Dio Roccazzella Mirella Cerutti

IL LAVORO IBRIDO DÀ NUOVO IMPULSO ALLE STAMPANTI

Secondo le stime di AssoIT, nel 2022 il segmento consumer & office ha raggiunto un giro d’affari di 1,666 miliardi di euro. Crescono i servizi.

Il mercato delle stampanti in Italia ha subìto l’effetto di numerosi fattori, che spaziano dalla digitalizzazione dei documenti al lavoro remoto, per arrivare alle esigenze di sostenibilità, che spingono anche le aziende a contenere il più possibile lo spreco di carta. L’andamento del segmento consumer & office ne ha risentito e, dopo aver chiuso il 2019 con un volume di vendite pari a 1,923 miliardi di euro, l’anno successivo ha registrato un calo di poco inferiore al 20%. Un calo per ora non recuperato, nonostante la lenta ripresa in corso. I numeri arrivano da AssoIT, l ’associazione che raccoglie i produttori di soluzioni di stampa, digitalizzazione e gestione documentale, e che rappresenta un comparto da 70mila addetti e circa tre miliardi di valore, includendo anche tutto il mondo industriale e della grafica. “Usciamo da un periodo difficile, contraddistinto da nuove sfide e problematiche come lo shortage di materie e componenti, però possiamo dire di averlo affrontato bene e di po-

ter guidare le evoluzioni in corso con i nostri gruppi di lavoro”, ammette il presidente Marcello Acquaviva, che è anche managing director di Brother Italia.

Se il segmento commercial & graphics ha segnato una ripresa più netta ed entro il 2024 dovrebbe recuperare i valori del 2019, quello legato agli uffici e a l consumer ha maggiormente sofferto di il rallentamento della produzione, pur avendo chiuso il 2022 con u na crescita dello 0,9%, per un valore complessivo di 1,668 miliardi di euro. “Ancora non riusciamo a evadere il backlog di domanda accumulato”, commenta Rossella Campaniello, vice presidente di AssoIT e printing system business director di Hp Italia. “Ci sono però importanti elementi di spinta. A cominciare dal rinnovo tecnologico, che incide soprattutto sulle vendite dell’hardware e ci porta a stimare che il segmento nel suo complesso crescerà dell’1,8% nel 2023”.

A fare da traino non c’è solo la necessità di ammodernare il parco instal-

lato, ma anche la crescita dei servizi. “Il luogo di lavoro”, conferma Campaniello, “oggi è un concetto più allargato e fluido rispetto al passato e questo genera una nuova domanda di servizi di stampa gestita, ma anche di sicurezza dei processi e di riduzione dell’impatto ambientale. Si cerca una qualità certificata e l’appoggio a fornitori affidabili per gestire la transizione”. Questo segmento vale oggi 265 milioni di euro e crescerà in termini di peso percentuale sul valore totale, con la parte dei servizi innovativi destinata ad arrivare al 35,4% nel 2024. A ssoIT ha delineato una mappa delle trasformazioni in atto e del loro peso strategico, indicando che la mobilità in supporto al lavoro ibrido e la scansione come leva per la dematerializzazione sono i fattori a minor complessità e con orizzonte di breve termine. Cybersecurity in ottica Gdpr, gestione documentale come evoluzione della stampa gestita e sostenibilità sono, invece, le tendenze che richiederanno più impegno e tempo per compiersi, coinvolgendo valenze tanto operative quanto sociali.

Da una ricerca delle stessa AssoIT è risultato che dal 2011 a oggi ci sia stata una riduzione del 46,2% nel consumo energetico del sistemi di stampa e sono altissime (sopra il 90%) le percentuali di riutilizzo dei materiali e di corretto smaltimento dei consumabili. “Parliamo di un mondo che appare virtuoso e che va comunque guidato verso l’adozione di buone pratiche in fase di acquisto, formazione a gli utenti e policy di sicurezza e, infine, utilizzo consapevole”, sottolinea Massimo Pizzocri, vice presidente di AssoIT e amministratore delegato di Epson Italia.

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Foto da Freepik

SOSTENIBILITÀ, INNOVAZIONE E COMPETENZE PER L’INDUSTRIA

SPS Italia è la fiera dell’automazione e del digitale per l’industria intelligente e sostenibile.

L’undicesima edizione è a Parma dal 23 al 25 maggio.

SPS Italia è l’appuntamento annuale per conoscere nuovi trend e confrontarsi sui temi più sfidanti dell'automazione industriale, punto di riferimento per il comparto manifatturiero italiano. In programma a Parma dal 23 al 25 maggio 2023, si svilupperà su sei padiglioni, con oltre 800 espositori che mettono in mostra il meglio delle tecnologie dell’automazione a servizio della trasformazione dell'industria in ottica 4.0 (padiglioni 3, 5 e 6). Inoltre un’area aggiuntiva “District 4.0” (padiglioni 4, 7 e 8) illustrerà attraverso demo funzionanti e casi applicativi le potenzialità delle soluzioni di Digital&Software, Robotica e Meccatronica, Additive Manufacturing. Uno spazio, quest’ultimo, dedicato alla manifattura additive e alla stampa 3D industriale, presentato da Formnext, fiera di riferimento per il settore del gruppo Messe Frankfurt.

Automazione e Sustainable Innovation

Alle aree tematiche di District 4.0 se ne aggiunge una che vuole offrire al visitatore un percorso dimostrativo sulle soluzioni più innovative e sostenibili. Un percorso che consentirà al visitatore di soffermarsi sui temi della Sostenibilità, Circolarità e Flessibilità.

L’area “Sustainable Innovation” valorizzerà il ruolo delle smart production solution con le tre principali accezioni: automazione al centro della sostenibilità; digitale come tecnologia a supporto della sostenibilità; tecnologie emergenti per la sostenibilità. La tematica sarà centrale anche nel palinsesto convegnistico, oltre che in occasione della tavola rotonda inaugurale anche nei convegni scientifici, insieme a 5G, additive manufacturing, cyber security e metaverso industriale.

Un Position Paper per rispondere alle necessità delle Pmi

SPS Italia promuove una nuova iniziativa, volta a identificare i bisogni delle realtà imprenditoriali italiane in termini di tecnologia. Lo fa insieme al Comitato Scientifico della fiera: università e oltre cento rappresentanti di realtà produttive italiane eccellenti.

Position Paper è il documento che verrà redatto e presentato in occasione della Tavola Rotonda inaugurale del 23 maggio, con lo scopo di definire obiettivi specifici utili a favorire concretamente l’evoluzione del paradigma tecnologico. Spiega Maurizio Mangiarotti, VP Engineering Automation GSK e membro del Comitato Scientifico

SPS Italia: “Le esperienze con cui ci siamo confrontati in ambito 4.0 in questi anni, come comitato scientifico, nelle varie aree industriali in cui operiamo quotidianamente, ci hanno spinti a una necessaria riflessione su come collegare i bisogni aziendali, influenzati da nuovi fattori in continua evoluzione (supply chain resiliance, sustainability, solo per fare alcuni esempi), con l’esteso panorama di tecnologie disponibili e come allineare il modello organizzativo al cambiamento. Prendere posizione perché è importante evidenziare come la strategia di automazione, più che l’implementazione di singole tecnologie innovative, possa essere la strada giusta da percorrere per rispondere alle mutate necessità industriali. Prendere posizione perché è fondamentale che

il cambio di paradigma porti anche a valutare con lenti nuove i modelli organizzativi e gli standard da adottare”.

Formazione e programma educational

Il programma Educational della manifestazione coinvolge università, aziende, studenti, professori e istituti tecnici da tutta l’Italia con programmi mirati e attività prima, durante e dopo la fiera. Da quest’anno, con il Ministero dell’Istruzione, le aziende e gli attori della filiera più sensibili rispetto alla corretta formazione delle nuove risorse per il settore manifatturiero, SPS Italia si impegna a redigere un “Manifesto delle Competenze” volto a definire le skill necessarie per entrare nel mondo del lavoro. Una guida utile non sono per i ragazzi, ma anche per i docenti e le famiglie che spesso possono essere lontane da sbocchi professionali prettamente legati all’industria. She SPS Italia, il progetto di empowerment di SPS Italia

She SPS Italia è la community di professioniste che unisce e racconta storie e promuove la diversità, l’apertura al talento e la spinta alla visione femminile. I contributi, le esperienze e le conoscenze di donne che si occupano di automazione e tecnologie per l’industria vengono valorizzati costantemente sui canali della manifestazione e condivisi in una rete che si alimenta anche per allargare il bacino di utenza femminile, in un mondo storicamente rappresentato da uomini. Inoltre, per il secondo anno, un call for paper con award ed evento di networking dedicato (il secondo giorno di fiera) inviterà la community a inviare case history in una delle categorie: Sostenibilità Sociale, Empowerment, Imprenditoria Femminile e Mentorship.

La partecipazione a SPS Italia è gratuita registrandosi sul sito spsitalia.it o dalla app della fiera “SPS Italia”, per Android e iOS. Dall'app sarà possibile consultare il programma dei convegni e la mappa dei padiglioni e creare percorsi tematici in base ai settori di applicazione o tecnologie abilitanti di interesse

14 | MAGGIO 2023
TECHNOPOLIS PER SPS ITALIA

DATI E PERSONALIZZAZIONE NEL SETTORE FINANZIARIO

I servizi di Personal Financial Management sono un valore aggiunto che le banche possono offrire ai clienti. Serve, però, una visione d’insieme sui dati.

È ormai assodato che la personalizzazione rappresenti la nuova norma nei servizi finanziari, soprattutto considerando il caro vita che ha coinvolto ogni settore della nostra quotidianità. Non è un caso che un recente studio di Genesys riveli come il 72% degli esperti di customer experience assista a un aumento della domanda di servizi personalizzati durante i periodi di incertezza economica. Ecco perché comprendere i clienti e le loro esigenze è fondamentale per qualsiasi istituto finanziario che voglia crescere nell’attuale panorama economico. Il benessere finanziario personalizzato è il futuro dell’attività bancaria e per arrivarci le banche dovranno sfruttare la potenza dell'aggregazione dei dati.

Per un cliente, il benessere finanziario può essere determinato confrontando le sue spese con le sue entrate. Tuttavia, quando una persona si assume maggiori responsabilità finanziarie, come il pagamento di un’auto o di un mutuo, calcolare il suo benessere finanziario diventa più complesso. Per risolvere tale problema, i clienti devono avere la possibilità di visualizzare facilmente i loro conti e valutare le loro esigenze attuali, così da mantenere una solida visione d’insieme delle loro finanze. I servizi di Personal Financial Management (Pfm) rappresentano un valido alleato per rispondere alle esigenze dei clienti che cercano chiarezza e semplificazione nella loro relazione con l’ambiente finanziario. Fungono, infatti, da assistenti finanziari che organizzano la visualizzazione di entrate e uscite, la pianificazione di spese e risparmi, fornendo suggerimenti e consigli personalizzati per la gestione del proprio budget.

Il problema principale per le banche e le cooperative di credito, però, è imparare a fornire ai clienti una visione d’insieme, soprattutto quando detengono solo una piccola quota del portafoglio dell’utente. L’aggregazione dei dati rappresenta la soluzione al problema, raccogliendo i dati dei clienti, sparsi tra più conti e prodotti, e integrandoli in un’unica dashboard. Questo approccio porta valore al cliente finale e arricchisce la sua financial awareness, quindi la sua alfabetizzazione finanziaria, che gli consente di acquisire le conoscenze e competenze idonee per gestire efficacemente le sue risorse.

Le piattaforme bancarie sono progettate per fornire agli istituti finanziari gli strumenti e le capacità di cui hanno bisogno per digitalizzare i loro servizi.

L’aggregazione dei dati e le piattaforme vanno di pari passo quando si tratta di migliorare i servizi finanziari personalizzati. Tuttavia, indipendentemente dalle competenze e dalla capacità del reparto IT, costruire in-house una soluzione di Pfm in grado di aggregare i dati in modo scalabile e di aiutare i

clienti a raggiungere i loro obiettivi finanziari è incredibilmente complicato e oneroso, soprattutto se il tutto deve essere integrato omogeneamente con gli altri servizi offerti agli stessi clienti.

È sempre più evidente come le banche abbiano bisogno di platform partner affidabili che forniscano le capacità necessarie di aggregazione dei dati, per adattarsi a un mercato sempre più personalizzato. Ciò offre, da un lato, maggiore chiarezza e supporto al team commerciale dell’istituto nella gestione e nella visualizzazione dei conti dei clienti; dall’altro, offre una piattaforma ottimizzata che funge da fonte centralizzata di conoscenze finanziarie ed esperienze digitali all’altezza delle aspettative del cliente. In conclusione, le piattaforme rappresentano una soluzione ideale per fornire ai clienti i servizi su misura necessari per migliorare il loro benessere finanziario. Consentendo alle banche di sfruttare i dati per migliorare la customer experience, le rendono uno strumento prezioso per farsi trovare preparate ai cambiamenti a cui stiamo assistendo.

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TECHNOPOLIS PER BACKBASE

IL TAGLIO DEI COSTI NON FERMA LA TRASFORMAZIONE

Le aziende puntano su progetti mirati, con recupero dell’investimento e breve termine, spesso incentrati su cloud e cybersicurezza. Il punto di vista di Insight.

Come si concilia in azienda la spinta alla digitalizzazione con le ottimizzazioni dei costi che l’attuale contesto economico impone? Un system integrator come Insight (12.500 dipendenti e una presenza nella classifica Fortune 500, che elenca le maggiori imprese statunitensi per fatturato) ha un buon punto di osservazione sul mercato e testimonia che oggi nelle aziende coesistono tendenze opposte. “Viviamo in un’era in cui il business e la tecnologia stanno convergendo”, ci ha raccontato Adrian Gregory, recentemente entrato in Insight in qualità di presidente per l’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). “Oggi la tecnologia è centrale per le aziende di qualsiasi settore, e quindi determinati progetti non possono fermarsi. Non si tratta più di definire strategie tecnologiche, bensì di strategie di business nelle quali la tecnologia è centrale”.

L a stessa Insight ammette che una tra le attuali tendenze forti nelle aziende è la semplificazione (è uno degli aspetti evidenziati nel suo “Trend Report 2023”), che contempla innanzitutto una razionalizzazione dei costi, sia quelli di personale sia, anche, quelli degli investimenti tecnologici. “Ci si focalizza sulle risorse che già fanno parte dell’azienda”, ha proseguito Gregory, “e anziché imbarcarsi in progetti immensi e pluriennali ci si concentra su iniziative mirate, portate avanti da squadre più piccole. Iniziative che rispondono a specifiche questioni e che hanno un

ritorno sull’investimento più rapido”. Altra tendenza osservata da Insight è la prominenza della cybersicurezza. Un tema che, in realtà, non è nuovo ma non è nemmeno mai passato di moda.

“La natura della sicurezza è cambiata”, ha osservato Gregory. “I rischi del Byod (Bring Your Own Device, ndr) non sono ancora stati risolti e nel frattempo la cybersicurezza si è spostata da una prospettiva incentrata sui dispositivi al modello dello Zero Trust. Oggi esistono troppe buone ragioni per commettere attacchi cyber, viste le debolezze dei sistemi legacy, le vulnerabilità, la mancata installazione delle patch. Quindi è necessario dotarsi di servizi di cybersecurity gestiti, delegando a qualcuno di esterno la cura quotidiana della sicurezza. Ci sono poi rischi legati al fattore umano: le persone cliccano su link di phishing, usano password non sicure, compiono gesti avventati. E il

modo giusto per affrontare il problema è fare formazione. In terzo luogo, è importante avere un piano di risposta agli attacchi: è sempre meglio prepararsi, pensando che prima o poi l’evenienza capiterà”.

Nonostante la tecnologia sia ormai centrale per il successo di qualsiasi azienda, ancora oggi il mondo del business e quello dell’IT a volte faticano a capirsi a vicenda. “Molti chief information officer che incontriamo nel nostro lavoro ci raccontano che i leader aziendali faticano a comprendere la tecnologia e spesso vogliono risposte su Kpi, statistiche, confronti con il passato”, ha testimoniato Gregory. “Sul cloud computing la domanda classica posta ai Cio è: quanti workload sono stati migrati? Ma non è la domanda giusta da porre. Se il cloud viene utilizzato solo come ambiente su cui migrare le applicazioni, senza pensare a come trasformare il business, allora si creano problemi di governance. Sarebbe meglio ragionare sui vantaggi che il cloud può portare all’azienda, sulle opportunità da poter sfruttare, e magari adottarlo in modo graduale”. Accanto alla semplificazione e alla cybersicurezza, una terza tendenza osservata da Insight è quella delle

IN EVIDENZA 16 | MAGGIO 2023
Adrian Gregory Pietro Marrazzo

superapp: piattaforme tecnologiche controllate da un singolo vendor, in cui vengono aggregate applicazioni e funzionalità diverse. Come WeChat (della cinese Tencent), che per oltre 900 milioni di utenti non è solo un’app di messaggistica, ma anche un social media, un aggregatore di notizie, una piattaforma per i pagamenti digitali e altro ancora. Un caso più familiare alle nostre latitudini, e specie nelle aziende, è Microsoft Teams, piattaforma che integra decine di applicazioni della società di Redmond e migliaia di altre.

“Le superapp sono un trend da tenere sott’occhio”, ha dichiarato il manager di Insight. “Le persone desiderano semplicità e avere a che fare con il minor numero di interfacce possibili”.

Il principale settore di mercato di riferimento per il system integrator è quello delle aziende di dimensione mediogrande, che non sempre hanno al proprio interno l’esperienza e le risorse necessarie per gestire processi di adozione e integrazione tecnologica complessi.

“Vantiamo una lunga competenza nella vendita di licenze, nella compliance, nel disegnare contratti ad hoc con i clienti”, ha commentato Pietro Marrazzo, general manager Southern Europe di Insight, “e conosciamo il modo di lavorare delle principali società software al mondo. Possiamo mettere intorno allo stesso tavolo figure aziendali diverse, per far comprendere i benefici delle tecnologie e costruire insieme al business una strategia digitale. A questo abbiamo aggiunto, negli ultimi anni, anche competenze sul cloud”. Nel nostro Paese la società ha realizzato l’anno scorso un incremento di fatturato del 20% sul 2021, crescendo in particolare nell’area della consulenza e nei servizi professionali.

IL MACHINE LEARNING INCONTRA LA GESTIONE DOCUMENTALE

L’intelligenza artificiale che velocizza e migliora il lavoro si applica anche alla classificazione automatica dei documenti. Si chiama AI Classifier l’ultima novità di Siav: un programma che mette insieme funzioni di machine learning e di gestione documentale. Gli algortimi integrati consentono di individuare la categoria di appartenenza di un documento, di classificarlo e di inserirlo nei flussi più adeguati, riducendo in tal modo il carico di lavoro manuale solitamente destinato a queste operazioni.

“Siamo partiti da un prototipo e lo abbiamo sperimentato inizialmente al nostro interno”, ha raccontato Stefano Delli Ponti, head of innovation di Siav. “Ora abbiamo una soluzione facilmente personalizzabile sulle caratteristiche dei nostri clienti, scalabile e fruibile in modalità SaaS e completamente integrata nel nostro sistema di gestione documentale Archiflow”. La classificazione automatica si può applicare a moltissimi ambiti, tra cui anche la Pec. “Le aziende ricevono ogni giorno comunicazioni di tutti i tipi, raramente collegate tra loro, e sono spesso oggetto di flussi molto elevati di messaggi, che devono essere smistati a diversi destinatari interni”, ha fatto notare Alessandro Fabris, product manager di Siav. “Grazie all’integrazione con AI Classifier, il Pec manager di Archiflow è in grado di classificare il testo e gli allegati delle email senza alcun intervento manuale. Questa funzionalità, in combinazione con un sistema di smistamento basato su regole, consente di attivare meccanismi di inoltro automatico delle email al

destinatario di competenza in base alla classificazione del messaggio. Si alleggerisce così il lavoro delle segreterie, minimizzando al contempo il tasso di errore”.

Più in generale, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale aiuta ad accedere in modo puntuale alle informazioni e individuare ciò che serve all’interno di archivi anche molto voluminosi. La capacità di predire quale percorso seguirà un certo documento, all’interno dei processi definiti nelle aziende, è un altro elemento distintivo, mentre l’integrazione nativa con il sistema documentale permette l’archiviazione dei messaggi e delle ricevute secondo logiche sicure e aderenti alle normative.

Per ora a beneficiare della novità è il prodotto-faro di Siav, ovvero il sistema di gestione documentale Archiflow. A seguire arriverà anche l’integrazione in Silloge, programma che mette insieme il document management, la collaborazione e la gestione dei workflow. “Il consolidamento del lavoro ibrido ha fatto esplodere le comunicazioni digitali”, aggiunge Fabris, “ragion per cui diventa essenziale per le aziende riuscire a governare questa massa di informazioni e i relativi processi”. Siav sta anche esplorando il campo dell’intelligenza artificiale generativa, per la quale prevede ci possano essere ”sviluppi molto interessanti per i clienti, per esempio integrando OpenAi con l’information retrieval e coniugare la gestione documentale di base con la capacità di selezionare contenuti sulla base di argomenti specifici”, ha spiegato Delli Ponti. R.B.

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STANDARDIZZAZIONE FLESSIBILE, LA “TERZA VIA” DEL SOFTWARE

Talentia Software propone due piattaforme (Human Capital Management e Corporate Performance Management) con declinazioni verticali e nazionali, ma rapide da implementare.

Meglio un software standardizzato, uguale per tutti, già “pronto all’uso”, o meglio una soluzione personalizzata in base alle necessità del singolo contesto? Talentia Software, multinazionale francese specializzata in tecnologie per le risorse umane e la gestione finanziaria e amministrativa, ha scelto la “terza via” della standardizzazione flessibile. I suoi software dialogano con i principali Erp, Crm e altri prodotti diffusi sul mercato, ma con verticalizzazioni e declinazioni geografiche specifiche e con la possibilità di impostare parametri personalizzati per il singolo contesto d’uso. Un modo per consentire ai clienti (tipicamente, medie e grandi aziende) di adottare una soluzione customizzata, che si adatti alle dinamiche del settore di riferimento ed sia conforme alla regolamentazione nazionale. Senza, però, impiegare molti mesi o anni per partire. Un esempio

è, in Italia, l’integrazione nativa con il gestionale di Zucchetti. “La nostra forza è il fatto di avere dei modelli preconfigurati ma allo stesso tempo adattabili alle esigenze dei clienti. Ci adattiamo alle esigenze di settori verticali differenti, dal retail, all’industria della moda, ai servizi”, ha raccontato Marco Bossi, head of Hcm business unit di Talentia Software in occasione di un recente incontro con la stampa. La sigla Hcm sta per Human Capital Management ed è una delle due aree di offerta: una piattaforma per la gestione e la valorizzazione delle risorse umane, che mette insieme funzionalità di e-learning, recruitment, misurazione delle performance, sviluppo delle carriere e altro ancora. L’altra area è quella del Corporate Performance Management (Cpm), che si concretizza in una piattaforma di reporting finanziario con funzioni di gestione

del budget, previsioni, consolidamento, closing e analisi dei dati tesa a migliorare i processi decisionali. La tecnologia di Talentia si pone “a cappello” delle soluzioni di gestione delle paghe e all’Erp, ovvero rende omogenei i dati contenuti in altre applicazioni.

Per entrambe le componenti dell’offerta le vendite sono in crescita, anche in Italia. In ordine di “peso” sui ricavi della multinazionale, il primo Paese su scala globale è la natia Francia, cui seguono Svizzera (dove la concentrazione di banche e società di ser vizi finanziari alimenta la domanda di soluzioni Cpm) e l’Italia al terzo posto con un giro d’affari annuo di 11,5 milioni di euro. “Il mercato italiano è molto importante per noi e ha avuto nell’ultimo anno una crescita di fatturato del 24%”, ha commentato Bossi. “Un risultato ottenuto puntando su SaaS, che ci permette di strutturare non solo la vendita del software ma anche di tutti i servizi collaterali”. Tra i clienti italiani spiccano Ferrovie dello Stato, Coop Alleanza 3.0, Ovs, Benetton, De Agostini e Damiani. Alcuni hanno adottato le soluzioni Hcm, altri quelle di Cpm, altri ancora entrambe. “I due sistemi si incontrano”, ha spiegato Pascal Palmisciano, Cpm professional service director di Talentia Software. “I dati del modulo Hcm relativi ai dipendenti e al budget delle HR possono integrarsi con il sistema di gestione delle paghe”. La filiale italiana funge anche da competence center internazionale e inoltre nella sede Bari (oltre che in Francia e in Romania) si realizzano le attività di sviluppo software. “Oggi reclutiamo neolaureati e li formiamo internamente, con un percorso che dura almeno tre anni”. Lo staff della filiale italiana conta attualmente una novantina di collaboratori, e l’azienda è sempre alla ricerca di nuovi talenti.

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Pascal Palmisciano Marco Bossi

TRIPLICE TRASFORMAZIONE CON STAMPA E SERVIZI

La stampa, l’acquisizione tramite scanner, la copia e l’invio di documenti non sono semplici operazioni isolate. La produzione e la gestione documentale devono inserirsi nei processi aziendali e fanno parte a pieno diritto del concetto di workspace , che non è solo la somma dei luoghi di lavoro (le sedi aziendali e gli “uffici domestici” dello smart working) ma una dimensione fatta di spazi, interazioni e strumenti tecnologici. “Le soluzioni di stampa e scansione hanno un ruolo chiave nella trasformazione del workplace, che procede in tre direzioni parallele: la ricerca di una maggiore produttività ed efficienza, il potenziamento della sicurezza e la sostenibilità ambientale”, spiega Lorenzo Matteoni, senior manager marketing di Brother Italia. “Brother, con la proposta Workplace X Brother, è impegnata in prima linea per aiutare le aziende in questa triplice evoluzione sia attraverso la propria offerta di sistemi di stampa e dispositivi multifunzione sia con i propri servizi di gestione documentale”.

Produttività ed efficienza

Innanzitutto, le stampanti e i dispositivi multifunzione affidabili e ad alte prestazioni di Brother, integrati con soluzioni di gestione dei workflow, possono favorire risparmi significativi di costi e di tempi, incrementando efficienza e produttività in azienda . Il primo passo è la scelta dei sistemi ideali rispetto alla destinazione d’uso, ai volumi di stampa previsti e al numero di utenti aziendali. Per ottenere una marcia in più, inoltre, si possono adottare i servizi di stampa gestita di Brother, che spaziano dall’analisi dell’uso effettivo delle stampanti (per identificare le inefficienze) alle revisioni periodiche, dal monitoraggio dei sistemi da remoto alla consegna automatica delle cartucce di toner e inchiostro. In sintesi, si ottengono una maggiore visibilità e un miglior controllo dei costi, una ottimizzazione dei consumi e flussi di lavoro senza interruzioni, anche grazie alla compatibilità delle tecnologie di Brother con molti software in cloud.

Le sfide di sicurezza

Accanto all’efficienza e alla produttività, un altro fronte di trasformazione importante per le aziende di ogni dimensione è la sicurezza. Secondo uno studio di Quocirca (condotto nel 2022 su 531 responsabili IT di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania), il 61% dei chief information officer fatica a tenere il passo con le sfide e le esigenze di sicurezza di stampa, mentre il 67% è preoccupato dei rischi connessi allo smart working. Il 68%

delle aziende del campione ha sperimentato nell’arco di un anno una o più perdite di dati correlate alle attività di stampa. Brother risponde a queste sfide adottando una sicurezza su tre livelli: rete, periferiche e documenti. I dispositivi includono funzioni come il rilevamento automatico delle intrusioni, l’autenticazione e autorizzazione (tramite PIN o Card per sbloccare un ordine di stampa o per limitare alcune funzioni in base all’utente), l’impiego di protocolli di comunicazione protetti (crittografia end-to-end e controllo dell'accesso basato su porta). Per chi avesse bisogno di funzioni ancor più avanzate, anche ai fini della compliance al Gdpr, esistono Secure Print Advanced e Secure Print+. La prima è una funzionalità che protegge i documenti ed evita le code di stampa richiedendo l’autenticazione tramite PIN o scheda NFC, Near Field Communication, su qualsiasi stampante collegata in rete (i lettori NFC sono integrati nelle periferiche Brother). Secure Print+, invece, all’autenticazione associa il fatto di poter inviare i documenti di stampa a dispositivi specifici.

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TECHNOPOLIS PER BROTHER
I dispositivi di stampa e multifunzione hanno un ruolo importante nell’evoluzione del lavoro. La proposta Workplace X Brother.

TECNOLOGIA E SOSTENIBILITÀ A BRACCETTO

Un campus di 130mila metri quadrati nel varesotto: qui Elmec racchiude le sue molte anime.

Cloud provider, system integrator, fornitore di servizi di sicurezza, gestore di device aziendale, operatore delle energie rinnovabili, rivenditore di prodotti ricondizionati. Molte sono le anime di Elmec, ma tutte sono racchiuse nel campus tecnologico allestito a Brunello, nel varesotto. Oggi esteso su una superficie di 130mila metri quadrati, è destinato ad ampliarsi ancora a seguito della recente acquisizione dell’area precedentemente occupata dal produttore di carrelli elevatori Linde, adiacente allo spazio già di proprietà dell’azienda. Qui sorgeranno nuovi uffici e troveranno maggiore spazio alcune delle attività del gruppo.

Oltre cinquant’anni sono passati dalla fondazione di un’azienda che originariamente offriva servizi di “elaborazione meccanografica” (da qui il nome), per poi passare alla rivendita di Pc e via via ai servizi di outsourcing e agli sviluppi che ne hanno caratterizzato la crescita fino a oggi. Sono ormai oltre 700 i dipendenti perlopiù concentrati nel campus centrale, ma in parte dislocati in a ltre sedi (undici in totale) fra Brescia, Padova, Parma e la Svizzera.

Una parte rilevante dell’area di Brunello è occupata dal green data center inaugurato nel 2015 e certificato Tier IV dall’Uptime Institute. Totalmente sostenibile dal 2021, grazie all’acquisto di energia rinnovabile e alla costituzione degli impianti, l’infrastruttura si sviluppa su due blocchi di server room, al momento occupate parzialmente ma pronte a ospitare la crescita di risorse che l’azienda svilupperà anche negli anni a venire. Il data center vanta oggi un Pue di 1,15 (migliore dell’indice Power Usa-

ge Effectiveness medio globale, che è pari a 1,18), grazie all’installazione di un sistema di raffreddamento intelligente, che adatta il proprio impulso alle variazioni della temperatura esterna, ma anche ai pannelli fotovoltaici che funzionano per buona parte dell’anno e a un impianto di illuminazione totalmente a Led. Da qui vengono erogati i servizi di hybrid cloud, ma anche quelli di business continuity e disaster recovery per una clientela composta perlopiù da realtà multinazionali, non necessariamente con quartier generale nel territorio dove opera Elmec. Tra le peculiarità, c’è anche il supporto alla migrazione di sistemi As/400 e Power. Il data center lavora oggi con una potenza da 2,4 Mw e ospita circa 12,4 petabyte di dati. Un’altra sezione del campus è destinata alle attività di CybergOn, un Soc (centro per le operazioni di sicurezza) che consente all’azienda di offrire servizi gestiti di cybersecurity per il rilevamento di attività sospette sui sistemi dei clienti (non solo quelli che già fruiscono dell’offerta cloud) e anche di attivare procedure di remediation. Le oltre 40 persone che lavorano qui si occupano in

parte anche di sviluppo interno di soluzioni, collegamento con i clienti e formazioni, con team fra loro separati. Rilevante per volume di attività è anche la componente dedicata al workplace management, in cui rientra anche l’offerta di device-as-a-service. Elmec si occupa di gestire le postazioni di lavoro per i dipendenti delle aziende clienti, fornendo i servizi di assistenza sui modelli dei più importanti produttori di Pc, il provisioning, l’helpdesk e il monitoraggio. Le business unit comprendono anche una componente (3D) dedicata alla manifattura additiva e un’altra (Solar), che si occupa di progettazione e installazione di impianti basati su energie rinnovabili e sostenibilità energetica. Elmec si contraddistingue anche per una serie di iniziative interne improntate al riuso e al riciclo di beni di consumo e per una componente commerciale, denominata Buytec, che si occupa di ricondizionare dispositivi provenienti dal mercato B2B e riproposti a compratori in Europa tramite un e-commerce dedicato, che nel solo 2022 ha portato a distribuire oltre 5.500 device.

IN EVIDENZA 20 | MAGGIO 2023

POSTA ELETTRONICA, IL PRIMO FRONTE DA PROTEGGERE

Per i cybercriminali, l’email resta il principale strumento per sferrare un attacco. Uno studio di Vanson Bourne ha di recente evidenziato una crescita superiore a l 60% nel 2022 per i tentativi di phishing su scala mondiale. Otto aziende su d ieci hanno ammesso il rischio di subire fughe di dati causate da comportamenti imprudenti o negligenti dei propri dipendenti nella gestione ordinaria della propria posta elettronica.

Per proteggersi da questo flusso di minacce, le imprese fanno leva su soluzioni che possono essere parte di suite di cybersicurezza complete oppure si affidano a specialisti nel campo dell’email security. Di questo secondo lotto fa parte Retarus, realtà che da parecchio tempo propone la propria Secure Email Platform. “Riteniamo che nello scenario attuale, in cui compaiono sempre più rapidamente e frequentemente nuove varianti virus e nuovi metodi di attacco informatico, per tenere il passo con gli aggressori sia opportuno utilizzare soluzioni cloud con un approccio multivendor”, ha dichiarato Massimi-

liano Luppi, head of sales per il mercato italiano di Retarus. “Il cliente può sempre contare sulla migliore protezione possibile contro gli attacchi e può concentrarsi sul proprio core business. Purtroppo, però, la protezione dagli attacchi da sola non è sufficiente. Altrettanto importante è che le aziende dispongano di un ‘piano B’ nel caso in cui l ’ infrastruttura di posta abbia un disservizio. Qui entriamo in

gioco noi, con soluzioni per la continuità della posta elettronica: in questo modo le aziende possono continuare a comunicare senza problemi con i fornitori o i clienti anche se il sistema di posta elettronica principale subisce un attacco, evitando così la sospensione delle proprie linee di produzione”.

Gli analisti fanno continuamento notare come l’email sia spesso utilizzata per violare o compromettere altre applicazioni, at traverso movimenti laterali sull’infrastruttura aziendale. Le tecniche di social engineering, nella quale i criminali informatici impersonificano altre persone d i una società, rimangono particolarmente diffuse. A questo si aggiungono i ransomware, che sfociano in richieste di riscatto in cambio dello sblocco del computer o dell’applicativo intaccato: anche in questo caso, un link o una email non filtrati permettono agli attaccanti di entrare in possesso delle credenziali di accesso, necessarie per i loro scopi.

Retarus lavora in questo contesto, proponendo soluzioni per la fascia medio-alta del mercato, con la necessità di proteggere e garantire il flusso delle loro comunicazioni business critical. “Per questo offriamo soluzioni SaaS per messaggistica, e-mail security e business integration”, riprende Luppi. “Dalla sede di Milano gestiamo clienti in tutt’Italia, con soluzioni che sono cross-industry, in settori come sanità, finanza, manifatturiero, automotive, logistica e retail. In Italia, in particolare, la maggior parte del nostro business si concentra nel settore manifatturiero e retail”. Per il futuro, Luppi indica la volontà di acquisire migliori relazioni con system integrator ben radicati sul territorio, con il supporto di una struttura di servizi da gestire in combinazione con un organico locale destinato a crescere.

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La difesa informatica comincia dall'email, ancora oggi principale porta d’accesso per i cyberattacchi. Il punto di vista di Retarus Italia.
Massimiliano Luppi Foto di Kaitlyn Baker su Unsplash

UN SUPPORTO DIGITALE PER I PAZIENTI CRONICI

La piattaforma software dell’italiana Qwince crea un’ interazione diretta e costante fra strutture sanitarie e utenti che necessitano di monitoraggio continuo.

Oltre 14 milioni di persone in Italia convivono con una patologia cronica, secondo i dati rilevati dai sistemi di sorveglianza e rilevanza, coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con le Regioni. Il “XX Rapporto sulle Politiche della Cronicità”, infatti, evidenzia che quattro cittadini su dieci soffrono di almeno una malattia di questo tipo e che la policronicità colpisce il 30% degli italiani. Questi dati servono a inquadrare il posizionamento di PuntoFarma, piattaforma digitale che Qwince ha appena introdotto sul mercato proprio per facilitare la collaborazione tra operatori sanitari e malati cronici. “Il nostro intento è creare una rete di protezione intorno al paziente tramite un canale sicuro di interazione con le strutture sanitarie di riferimento”, spiega Gianmarco Troìa, amministratore delegato dell’azienda di Palermo, autrice della soluzione.

PuntoFarma è indirizzata in prima battuta ad aziende ospedaliere, centri specialistici e diagnostici, poliambulatori, ma anche medici di base e farmacie dei servizi. Esse possono impostare con questo strumento un rapporto continuativo a distanza con i pazienti, avendo sempre sotto controllo tutti i dati di assistenza e cura, per interagire tramite diversi canali di comunicazione (WhatsApp, Telegram, email, Sms, Web) e per analizzare in tempo re -

ale parametri sanitari e ambientali. Così è possibile prevenire situazioni di disagio clinico, programmare prestazioni e intervenire in caso di necessità anche con alert di segnalazione.

Naturalmente, occorre instaurare un rapporto biunivoco con i pazienti, i quali possono registrarsi e accedere gratuitamente al portale PuntoFarma da Pc, tablet o cellulare per usufruire del servizio messo loro a disposizione dalle strutture sanitarie. Oltre ad avere sott’occhio tutti i propri dati sanitari, le persone possono effettuare prenotazioni, riceve -

re promemoria personalizzati sulle cure, monitorare i propri parametri e visualizzare referti e immagini diagnostiche. Ma soprattutto, il modulo Teleconsulto consente di attivare un canale di comunicazione diretto tra medico e paziente, per mantenere un controllo costante e preparare eventuali visite o ricoveri.

L’utilizzo di un simile strumento presuppone una certa cultura digitale sedimentata in prima battuta nei fruitori. “La metà dei malati cronici non è particolarmente anziana e si colloca nella fascia tra i 36 e i 65 anni”, chiarisce Troìa. “Quindi, una certa predisposizione alla tecnologia dovrebbe essere già presente, ma abbiamo creato una soluzione che minimizza le conoscenze necessarie e fa leva su strumenti ormai noti, come le chat, WhatsApp o la videochiamata. Inoltre, si tratta di un modo per avere una vista olistica dei pazienti e creare un circolo di cura che possa coinvolgere medici o caregiver in supporto alle terapie esistenti e ai normali controlli fatti di persona”. Una certa attenzione è stata posta sugli aspetti legati alla sicurezza e alla protezione dei dati in un contesto di estrema sensibilità. PuntoFarma è classificato come dispositivo medico software disponibile in cloud o installabile sui sistemi della struttura sanitaria, in conformità al Medical Device Regulation e al regolamento Gdpr. La stessa Qwince si occupa di raccogliere e gestire i dati, appoggiandosi a un data center di Telecom Italia, ma avendo disegnato la piattaforma con la logica della privacy by design e integrato la crittografia bidirezionale punto-a-punto sui dati e sulle connessioni per il teleconsulto.

IN EVIDENZA 22 | MAGGIO 2023
Gianmarco Troìa

FLESSIBILITÀ, LA CARTA VINCENTE DEL PLM

La flessibilità è una caratteristica vincente per i sistemi di Product Lifecycle Management (Plm), incaricati di raccogliere, tracciare e gestire i dati relativi a tutte le fasi di vita di un prodotto, dalle materie prime utilizzate allo smaltimento. Ne è convinta Aras, multinazionale che propone una piattaforma Plm personalizzabile e adattabile a diversi settori industriali e specifici contesti. Ne abbiamo parlato con il country manager per l’Italia, Luigi Salerno.

Perché adottare un sistema di Product Lifecycle Management, innanzitutto?

Oggi le aziende di ogni settore hanno a che fare con una crescente complessità a livello di dati e processi da gestire. La complessità non dipende solo dalla dimensione aziendale, ma deriva dai processi, dalle catene di fornitura, dagli standard e dalle normative di riferimento del settore e anche, specie nell’industria, dalle tante configurazioni di prodotto previste per i diversi clienti. Un Plm aiuta a definire degli standard e a gestire più facilmente le molte variabili, e inoltre consente di tracciare e recuperare i dati nei diversi punti del ciclo di vita di un prodotto o servizio. Questo è importante per molte attività, per esempio per risalire al singolo componente che ha dato origine a un problema, o per poter certificare un determinato prodotto ai fini della sua esportabilità.

Oggi il tema della sostenibilità è in primo piano. Un sistema di Plm può essere d’aiuto?

Certamente. Oggi il successo di un’impresa dipende anche dalle sue pratiche “green”: come evidenziato da diversi studi, i consumatori tendono a preferire i prodotti di aziende e marchi che seguono principi di sostenibilità, per esempio nella scelta delle materie prime o nel loro riuso e riciclo. Questa tendenza, insieme alle modifiche normative in atto e future, rappresenta un radicale cambiamento ma anche una sfida per molti settori industriali, che devono in certi casi trasformare le attività produttive e anche la scelta dei materiali e dei fornitori. Nel definire obiettivi Esg, tuttavia, spesso non si tiene conto dell’intero ciclo di vita del prodotto, che include anche lo smaltimento o il riciclo. Con un Plm è possibile considerare anche questi aspetti e ottenere una piena tracciabilità di ogni elemento.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un Plm efficace?

Un aspetto secondo noi vincente, che caratterizza la nostra piattaforma Innovator, è la flessibilità. Con Innovator è possibile modellare qualsiasi processo

aziendale e collegare, visualizzare, inviare dati di qualsiasi tipo, strutturati e non, risolvendo il problema delle “isole” tecnologiche, dei database non coordinati e non comunicanti tra loro. Aras mette a disposizione centinaia di connettori con cui è possibile personalizzare Innovator e collegarlo ad applicazioni CAD, Erp, software di Product Data Management o altri Plm eventualmente già in uso. Il giusto grado di personalizzazione è importante per poter adattare il software ai processi aziendali esistenti e alle loro evoluzioni future. Il nostro è un approccio low-code, che evita ai clienti di dover scrivere (e magari riscrivere in un momento successivo) grandi quantità di codice, con le complessità e i costi che ne derivano. Inoltre la flessibilità caratterizza anche il nostro approccio al mercato, dal momento che lavoriamo con grandi realtà enterprise, con aziende medie e piccole. Proponiamo Innovator sia come tecnologia utile per federare i dati e renderli disponibili agli utenti superando il problema delle “isole”, sia come soluzione Plm end-to-end . La piattaforma può essere adottata on-premise, in un cloud privato o di altro fornitore oppure, se si opta per la modalità Software as-a-Service, all’interno di un cloud gestito da noi.

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TECHNOPOLIS PER ARAS
I sistemi di Product Lifecycle Management aiutano a ottenere visibilità, tracciabilità e compliance, e sono importanti anche ai fini della sostenibilità.

PNRR, A CHE PUNTO SIAMO?

questi fattori eccezionali. Molti Stati, tra cui l’Italia, hanno iniziato a rivedere alcuni progetti per far fronte all’inflazione. In questo senso, sembra quindi esserci una certa flessibilità nello sviluppo del Piano da parte della Commissione Europea.

Nel momento in cui scriviamo, il governo sta aspettando un responso sull’ultima tranche effettuata alla fine del 2022, la cui scadenza prevista era marzo 2023, ma che è stata prorogata alla fine del mese di aprile. In particolare, il governo è in attesa dell'arrivo dei correttivi per sbloccare la terza tranche da 19 miliardi di euro.

I prossimi traguardi

Il Pnrr è la grande occasione di un’Italia che vuole non solo risollevare la propria economia dopo il terremoto del covid (a cui si è aggiunto, due anni dopo, l’impatto di una crisi geopolitica mondiale) ma anche trasformarsi sul doppio asse del digitale e della sostenibilità. Stiamo attraversando una fase delicata del processo attuativo, in quanto entro il primo semestre del 2023 sono fissate una cinquantina di scadenze, alle quali corrisponde un’accelerazione attesa della spesa del 190% rispetto al triennio 2020-2022. Nella valutazione di impatto sulle dimensioni Desi (Digital Economy and Society Index) pesano soprattutto gli investimenti relativi all’integrazione delle tecnologie digitali, concentrando essi, nel 2023, quasi il 45% della spesa programmata. Il profilo di spesa relativo alle altre dimensioni Desi risulta essere più distribuito nel tempo, ma è chiaro che il 2023 rimane una fase critica poiché coincide con il momento in cui gli investimenti devono iniziare a tradursi in cantieri.

Ma a che punto è l’Italia? Dei 54 obiettivi da raggiungere entro il primo semestre,

alla data del 13 febbraio 2023 nessuno di questi era stato completato, il 61% risultava in corso e il 37% solo avviato. Il verdetto da Bruxelles è che il nostro Paese si t rova in grande difficoltà: si assiste in particolare a un ritardo nel cronoprogramma che potrebbe potenzialmente aumentare. Le tempistiche, infatti, sono uno degli elementi più critici nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Inoltre, un nuovo decreto del governo, che mira alla modifica di diversi aspetti della governance del Pnrr, dovrà a breve diventare operativo. Anche un nuovo codice appalti, entrato in vigore a inizio aprile, avrà delle ricadute sull’andamento dei progetti del piano. L’introduzione d i una qualunque riforma, infatti, comporta necessariamente un rallentamento, ovvero la necessità di studiarla e capirla. A questo scenario si aggiungono il rialzo dei prezzi dei beni energetici e le tensioni inflazionistiche che causano la disruption della supply chain e le ricadute che quest’ultima avrà sui progetti già stati finanziati dal Pnrr. Bruxelles in questo senso rassicura chiarendo che nella definizione del Piano sono stati considerati

Come noto, il Pnrr è strutturato su sei “missioni”, delle quali la prima, “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, ha un peso preponderante e attrae, da sola, uno stanziamento di circa 40 miliardi di euro (sui si sommano gli 8 miliardi del Piano complementare). Nella missione 1, “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, si concentra il 65% degli obiettivi, cioè 21, mentre nella missione 6, “Salute”, ne sono previsti sei. Circa la metà degli obiettivi da realizzare entro giugno è riferibile al Dipartimento per la Transizione Digitale e al Ministero della Salute. Va sottolineato che i vantaggi della digitalizzazione saranno trasversali a tutti gli ambiti coperti dalle sei missioni del Pnrr, inclusi sanità, scuola, industria e Pubblica Amministrazione (componente 1 della missione 1). Qui, in particolare, si punta idealmente a raggiungere il modello del government as a platform digitalizzando i servizi degli enti pubblici e le relazioni con i cittadini. Per la componente 1 sono previsti quest’anno 13 milestone e 27 target da raggiungere, tra cui l’ampliamento dell’adozione delle piattaforme di identità digitale (Spid e Cie), l’estensione dell’anagrafe nazionale

24 | MAGGIO 2023 EXECUTIVE ANALYSIS | Networking ITALIA DIGITALE
L’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prosegue con cinquanta scadenze previste a breve e un’accelerazione della spesa.

digitale (Anpr) e la digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali (Inps, Inail e il Consiglio di Stato). Nell’ambito della PA digitale rientra anche il futuro lancio di Syllabus, una piattaforma online per la formazione di competenze dei d ipendenti pubblici; attualmente è stato già aperto il portale inPA per la digitalizzazione delle procedure concorsuali. Per quanto riguarda il settore dell’istruzione, nel primo semestre dovranno essere conseguiti target relativi alla migrazione del 50% delle scuole e università a ll’anagrafe nazionale e alla connessione delle strutture sanitarie alle reti ultraveloci. Inoltre, dovranno essere aggiudicati i contratti di cinque progetti relativi a tecnologie satellitari ed economia spaziale.

Il ruolo complementare del Pnc

Parallelamente al Pnrr, lo stato di attuazione del Pnc (Piano Nazionale Complementare) non è significativamente migliore. Infatti, il rialzo dei prezzi dei beni energetici, le tensioni inflazionistiche e i tempi di conseguimento delle autorizzazioni da parte della Commissione Europea hanno causato ulteriori ritardi. Gli obiettivi non completati, in ritardo o parzialmente completati nel 2022 sono una quarantina, a cui si aggiungono i 37 adempimenti da realizzare nel 2023, riguardanti ministeri, Regioni, Comuni e Autorità portuali. Secondo le amministrazioni titolari, 25 su 37 obiettivi hanno u n grado di complessità alta. In particolare: un obiettivo è già stato realizzato dal Ministero dell’università e della ricerca; 20 risultano essere in corso e 16 ancora da avviare. Il Pnc ha stanziato per il 2023 circa 5,6 miliardi di euro per la realizzazione degli obiettivi del Pnrr, valore in linea con lo stanziamento del 2022.

La complessa migrazione in cloud

Nel Pnrr è prevista anche la creazione di infrastrutture di data center che insieme formeranno il Polo Strategico Naziona-

LE RIFORME DEL PNRR

Le riforme previste nel Piano si suddividono in:

• or izzontali: trasversali a tutte le Missioni del Piano, riguardano la Giustizia e la PA;

• a bilitanti: funzionali a garantire l’attuazione del Piano, consentono di abbattere le barriere agli investimenti pubblici e privati;

• settoriali: di accompagnamento ai singoli investimenti.

le (Psn), ambiente cloud dove confluiranno le informazioni provenienti da tutte le amministrazioni pubbliche. Lo scopo è garantire maggiore sicurezza ai dati e, insieme, migliorare, sviluppare e rendere più interoperabili i servizi digitalizzati della Pubblica Amministrazione. Contestualmente è iniziato lo spostamento di d ati ma, a fronte di oltre 11.000 data center attualmente presenti nelle PA italiane, si è ancora lontani dalla loro completa migrazione in cloud. Inoltre, pur essendo stato attestato il conseguimento del t raguardo, la Pcm ha evidenziato come la lista degli enti pubblici che hanno completato lo spostamento verso il Psn sarebbe in realtà conseguenza di un errore materiale: il processo di migrazione non può e ssere materialmente implementato laddove l’infrastruttura non sia stata già oggetto di collaudo con esito positivo. Nel corso dell’anno 2023, le risorse complessive dell’investimento ammonteranno a 900 milioni di euro e saranno in buona parte destinate alle attività di migrazione degli enti di Pubblica Amministrazione Centrale e delle Asl.

Il cittadino al centro

Pur tra ostacoli e ritardi, ci stiamo muovendo verso il modello del government as a platform, raggiungendo importanti traguardi. Infatti, gli obiettivi che sono stati completati nei tempi previsti dal cronoprogramma fanno riferimento all’attuazione del portale digitale unico; all’adozione della piattaforma PagoPA d a parte del 60% delle PA e all’utilizzo da parte

del 30% delle PA del front-end dell’app IO. In particolare, PagoPA vede più di 19.000 enti aderenti, più di 400 prestatori di servizi di pagamento coinvolti nella piattaforma e circa 650 milioni di transazioni effettuate, per un valore di oltre 126 miliardi di euro. Per il 2023 resta da raggiungere l’obiettivo finale europeo del numero di enti presenti nell’app IO (occorre giungere all’80% entro il 2026 e ad oggi siamo al 68%).

In questo contesto sarà quindi necessario focalizzarsi sul miglioramento delle competenze digitali di base, formando non solo coloro che erogano i servizi, ma anche e soprattutto gli utenti e, quindi, l’intera popolazione italiana. Al fine di migliorare le competenze digitali di base e superare il digital divide, il Pnrr ha previsto un importante investimento volto a migliorare le competenze digitali e la citizen inclusion. L’inclusione, secondo il Piano, coincide con il concetto di miglioramento dell’accessibilità dei servizi pubblici digitali: dovrà essere sviluppata un’offerta integrata e armonizzata di servizi digitali all ’avanguardia orientati al cittadino, garantendo la loro adozione diffusa tra le amministrazioni centrali e locali e migliorando l ’esperienza degli utenti. Gli obiettivi previsti per il 2023 a tal proposito sono tanti, tra cui: analizzare i dati raccolti dal Cnr per consolidare le informazioni utili alla realizzazione della dashboard di monitoraggio, pubblicare gli avvisi per la selezione degli esperti su InPA e avviare le selezioni e il recruiting.

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SILLA INDUSTRIES, IL DIGITALE PER LA MOBILITÀ ELETTRICA

Vederci lungo è certamente un chiave fondamentale per avere successo nel mondo imprenditoriale. Più o meno è quanto è successo ad Alberto Stecca e Cristiano Griletti, quando, circa sei anni fa, hanno deciso di lavorare insieme e poi, nel 2021, fondare ufficialmente Silla Industries. La mobilità elettrica era già un ambito dal forte potenziale, ma soprattutto in Italia i numeri non parevano ancora incoraggianti (e la situazione oggi non è poi cambiata troppo). I due soci, forti di un’esperienza già ben definita in campo automotive, hanno scelto di puntare sui sistemi di ricarica, in modo particolare quelli per uso domestico, progettando e realizzando in-

teramente in Italia la gamma Prism. In soli due anni di attività strutturata, Silla Industries è arrivata a generare un volume d’affari pari e 4,5 milioni di euro e ad avere un organico di una quarantina di persone. In un contesto di crescita tanto rapida e di core business centrato sull’innovazione, la tecnologia digitale ha iniziato presto a supportare le attività dell’azienda. “Siamo partiti puntando sulla ricerca”, ricorda Cristiano Griletti, capo della R&D oltre che cofondatore di Silla, “addirittura facendo le prime sperimentazioni su Arduino, per poi passare a framework architetturali più professionali. L’idea di appoggiarci alle tecnologie open source ci ha sempre accompagnati. Essendo cresciuti molto rapidamente, la logistica è stato uno dei primi problemi che abbiamo dovuto affrontare e per questo abbiamo adottato il software aperto Odoo, per gestire la supply chain in modo integrato con gli ordini e il magazzino. La precisione nell’organizzazione e il trattamento dei materiali sono stati fondamentali e il ruolo del respon-

sabile della produzione in questa fase è stato molto importante”.

Obiettivi ambiziosi

Silla ha prodotto nel 2022 circa 17mila caricatori e per quest’anno l’obiettivo è di salire a 25mila pezzi, con un organico destinato a raggiungere le 60 unità fra personale tecnico, commerciale e marketing. Fin qui la società ha lavorato soprattutto con sviluppatori e installatori per il mercato B2B (aziende, alberghi o altre strutture che offrono un servizio alla loro clientela), ma da qualche tempo è attivo anche il negozio online, che porta direttamente al cliente privato, il quale a sua volta si appoggia a un elettricista per realizzare l’impianto domestico. La produzione, come già accennato, viene realizzata interamente in Italia e su questo si stanno concentrando anche le evoluzioni legate all’uso del digitale. “Abbiamo già messo a punto un sistema di tracciamento dei prodotti lungo tutta la catena di fabbricazione e lavoriamo con strumenti open source per tutta la fase di progettazione,

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Partendo dalla produzione di sistemi domestici per la ricarica delle auto, in due anni l’azienda padovana ha raggiunto i 4,5 milioni di euro di giro d’affari.

essendo partiti con il Cad freeware Eagle, per approdare ora a Kicad”, racconta ancora Griletti. “Vogliamo continuare a non dipendere da fornitori esterni e migliorare i processi, ma la rapida crescita va anche gestita e l’innovazione deve prima essere testata, come sta accadendo in questa fase per l’IoT”. Il management ha un’estrazione tecnologica, ma applicata perlopiù agli ambiti di specializzazione più consolidati, dalla progettazione dei circuiti stampati all’evoluzione della mobilità elettrica. Per questo, esiste oggi in organico una figura di chief technology officer (Cto) e si sta delineando una progressiva apertura verso nuovi fronti applicativi. “Abbiamo già adottato strumenti di prototipazione rapida e stampanti 3D per realizzare Pcb professionali anche nell’arco di una giornata a costi relativamente bassi”, illustra Griletti. “In campo produttivo guardiamo con interesse alle prospettive molto interessanti collegate all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. L’automazione è un passaggio inevitabile e investirà anche l’area del supporto ai clienti, fin qui gestito solo con persone fisiche, e la comunicazione, dove abbiamo già sperimentato anche le potenzialità di ChatGPT”.

La crescita di Silla Industries per il 2023 e oltre si fonderà sull’espansione in Europa, soprattutto quella centro-settentrionale, dove la mobilità elettrica e la domanda di dispositivi avanzati di ricarica in edifici residenziali, aziende e strutture private di ser vizio stanno crescendo molto più che in Italia. Ma in piano ci sono anche diversificazioni nelle linee di prodotto, in particolare verso la gestione integrale degli impianti fotovoltaici e alla ricarica a corrente continua (mentre ora si usa quella alternata, più adatta per costi e dimensioni delle colonnine all’uso privato). “La sperimentazione è per noi sempre stato un mantra e questo riguarda anche le tecnologie digitali che dovranno supportare la nostra crescita”, conclude Griletti.

GEMELLI DIGITALI E BIOLOGICI PER LA MEDICINA PREDITTIVA

È stato lanciato ufficialmente a Roma il progetto”Digital Driven Diagnostics, prognostics, and therapeutics for (4) sustainable Healthcare”, in breve D34Health, finanziato grazie al Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr e destinato a iniziative di ricerca per tecnologie e traiettorie innovative in ambito sanitario e assistenziale. A capo dell’iniziativa c’è l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, mentre per il coordinamento è stata appositamente creata la Fondazione D34Health. L’obiettivo di fondo è lo sviluppo di nuove soluzioni per diagnosi, monitoraggio e terapia di cinque patologie di riferimento, ovvero tumore del colon, tumori del fegato e del dotto biliare, tumore del sistema nervoso centrale, diabete di tipo uno e sclerosi multipla.

Attraverso un approccio di data mining, i ricercatori svilupperanno modelli digitali e biologici per lo studio delle patologie, ovvero digital twin dei pazienti e gemelli biologici di organi o tessuti. “Gemelli”, perché saranno creati con caratteristiche il più possibile sovrapponibili a quelle dei pazienti, per essere utilizzati in test di ampia gamma che forniranno risultati affidabili senza il ricorso alla sperimentazione animale. Tali modelli saranno sviluppati partendo dalla raccolta dei dati sanitari da un ampio numero di casi e da diversi ospedali; i casi verranno quindi analizzati attraverso algoritmi di intelligenza artificiale e integrati con dati raccolti attraverso tecnologie innovative come dispositivi indossabili, sensori e organ-on-chip.

Il progetto è basato sulla cooperazione e integrazione delle competenze di diversi attori pubblici e privati. La Fondazione nata per coordinarlo è infatti composta da 28 partner tra università pubbliche e private, istituti di ricerca e imprese, e svolge attività di potenziamento della ricerca sulle tecnologie digitali in ambito sanitario, attraverso un sofisticato processo di data mining, al fine di migliorare diagnosi, monitoraggio e cure. Tra i membri fondatori dell’hub c’è anche il Politecnico di Torino, che coordina, insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’Ospedale San Raffaele, all’Università degli Studi di Torino e all’Irccs Candiolo, lo spoke numero 4 del progetto, denominato “Modelli biologici e bioingegnerizzati in vitro”. In questo contesto, si punta alla creazione di “tecnologie indossabili, sensori e biomarcatori” per i modelli biologici, mettendo a disposizione le competenze tecniche e tecnologiche per lo sviluppo, la sperimentazione e la validazione dei twin biologici. L’Università degli Studi di Torino coordinerà lo sviluppo dei modelli biologici di malattia nello spoke 4, anche attraverso l’uso delle sue banche dei tessuti e parteciperà allo spoke 1 sui “casi d’uso clinici e nuovi modelli di cura supportati dall’intelligenza artificiale”, coordinato dall’Università di Milano. Il budget totale del progetto D34Health è pari a 126,5 milioni di euro, di cui il Politecnico di Torino avrà a disposizione 15,87 milioni di euro e l’Università degli Studi di Torino 4,3 milioni di euro. R.B.

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LA STARTUP DELLA FABBRICA INTELLIGENTE DIVENTA GRANDE

Miraitek4.0 compie cinque anni ed è ormai una realtà consolidata nell’ambito dell’Industria 4.0. Un progetto visionario ma allo stesso tempo molto concreto, che ha già superato gli obiettivi iniziali.

Ha compiuto cinque anni da poco, ma nonostante la giovane età è ormai parte del panorama dell’innovazione del manifatturiero. Fondata nel 2018 come spin-off del Politecnico di Milano, Miraitek4.0 ha l’obiettivo di integrare soluzioni di Industrial IoT (Internet of Things industriale) per la digitalizzazione della fabbrica. “Lo spirito era ed è ancora oggi quello di mettere insieme intelligenze che arrivano da mondi diversi, come università, ricerca, industria, innovazione, con un approccio non da informatici ma da utenti”, dice Marco Taisch, cofondatore di Miraitek4.0, “mettendoli poi in comunicazione e cooperazione con altri soggetti imprenditoriali (come

ad esempio Cosberg) che consentissero di avere in casa una buona palestra in cui allenarsi. La formula si è rivelata vincente, perché ha creato

valore per tutti e sta aiutando molte fabbriche a consumare meno risorse e a essere quindi più sostenibili”. Nella pratica, Miraitek4.0 realizza progetti, consulenze e attività di assessment, e integra una suite di servizi confezionati base alle esigenze del cliente, il quale viene supportato lungo tutto il processo di digitalizzazione. La piattaforma software di Industrial IoT sviluppata fornisce tutte le informazioni utili per la gestione della fabbrica: dal semplice monitoraggio dei flussi al dettaglio sui consumi energetici, fino alla pianificazione della manutenzione e alla gestione della qualità. La società si pone, quindi, come partner del futuro per le imprese, sviluppando soluzioni 4.0 che consentono di raccogliere e analizzare i dati, così da ottimizzare la produzione e ridurre eventuali inefficienze e criticità.

“Lo scorso anno abbiamo chiuso con un fatturato di 770mila euro”, prosegue Taisch, “un risultato che va oltre i l budget previsto. Abbiamo operato soprattutto su due mercati. Il primo è quello dei produttori di macchine (beni strumentali), come ad esempio Cavanna, per i quali il nostro ruolo è duplice: non solo fornire la piattaforma IoT ma supportarli nel percorso verso la servitizzazione. E poi c’è il secondo mercato, quello delle fabbriche che possiedono macchine da collegare. Al nostro interno convivono le due a nime IT e OT; grazie al connubio di questi due mondi aiutiamo i nostri clienti a fare un salto in termini di crescita, per cui l’IoT diventa l’abili-

SMART MANUFACTURING 28 | MAGGIO 2023
Marco Taisch Foto di Rob Lambert su Unsplash

VANTAGGI E RISCHI DELLA DIGITALIZZAZIONE

Sensori, reti wireless, oggetti connessi, robotica, Automatic Guided Vehicle (Agv), stampa 3D, software per la gestione della produzione e delle attività di magazzino, per la simulazione di modelli e la progettazione (digital twin), per l’analisi dei dati e per l’automazione basata su intelligenza artificiale, senza dimenticare le soluzioni di cybersicurezza specifiche per il settore: sono alcune delle tecnologie qualificanti della cosiddetta “industria 4.0”. Secondo le stime di MarketsandMarkets Research, il mercato mondiale dei prodotti e servizi per la manifattura smart nel 2020 valeva 97,6 miliardi di dollari e, con un tasso composto di crescita annuale del 18,5%, arriverà a movimentare 228,3 miliardi nel 2027. Parte della spinta arriverà dalle tecnologie disponibili, in particolare quelle per l’analisi dei dati in tempo reale e per la manutenzione predittiva. Un ruolo propulsore spetta anche ai fondi pubblici che, a livello nazionale e internazionale, saranno messi in campo per favorire l’attività di ricerca e sviluppo, la nascita di startup e l’adozione del modello 4.0 da parte delle imprese industriali. Paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada, in particolare, hanno stanziato investimenti per spingere il settore della stampa 3D. MarketsandMarkets sottolinea che, in linea di massima, servono budget importanti e competenze evolute per adottare reti 5G private, veicoli Agv, macchinari dotati di sensori e altre tecnologie per la digitalizzazione delle industrie. Gli ambiti coinvolti in questa trasformazione spaziano dall’automobilistico all’agroalimentare, dall’industria chimica alla meccanica, dal settore dell’oil&gas al farmaceutico, senza dimenticare edilizia, produzione di semiconduttori, aerospaziale e difesa. Tra le diverse tecnologie che compongono il mercato, cresceranno oltre la media le soluzioni per i digital twin, che permettono di creare simulazioni tridimensionali e interattive per attività di progettazione, collaudo, manutenzione e altro ancora. Su base geografica, invece, la crescita maggiore nel medio periodo sarà osservata nella regione Asia Pacifico. La digitalizzazione dei processi industriali comporta notevoli vantaggi, a partire dalla possibilità di tracciare, prevedere, correggere e potenziare le attività di fabbrica, interlogistica e logistica. Dall’analisi dei dati, come noto, possono derivare insight utilizzabili per scopi immediati e tattici (tagliare i costi, ridurre i tempi di produzione) o strategici (riposizionamento, apertura di nuovi mercati). Tuttavia è altrettanto risaputo che il passaggio al 4.0 comporti anche un innalzamento dei rischi: in quanto “connessi” e digitalizzati, i sistemi sono potenzialmente esposti ad attacchi e incidenti informatici. Hackeraggi, furto di dati, ricatti ransomware e DDoS (Distributed Denial-of-Service) sono alcune delle possibilità e in questi anni in prima pagina non sono mancati casi eclatanti di disservizi e blocchi, conseguenti sia ad attività di cybercrimine a scopo di lucro sia ad azioni di cyberguerrilla politicamente connotate.

tatore per cambiare il modello di business e andare a intercettare fonti di fatturato che altrimenti non sarebbero alla portata. In pratica le aiutiamo a t rasformarsi, un’attività che è nel Dna di Miraitek. Se proprio vogliamo trovare un’altra chiave di lettura, Miraitek è nata perché ci siamo accorti che nel processo di trasformazione d igitale mancavano i dati”. Mirai4Machine, in particolare, è una soluzione software IoT che si rivolge alle aziende manifatturiere e ai costruttori di macchinari industriali e che permette di monitorare in tempo reale e da remoto le pre-

stazioni produttive dei sistemi, dei reparti e degli stabilimenti, inclusi guasti, allarmi e fermi macchina. La piattaforma consente inoltre di analizzare i dati storici per ottenere gli indici di funzionamento e migliorare i processi di produzione.

Ad oggi la società annovera 180 installazioni in 14 Paesi del mondo (tra cui una in Australia, dove le operazioni sono state condotte sempre da remoto), più di 130 impianti industriali connessi, 500 stazioni e 55.000 data point. “Di fatto oggi la piattaforma è un piccolo Mes”, conclude Taisch (l’acronimo sta per Manufacturing

Execution System), “anche perché stiamo allargando le caratteristiche tecnologiche del nostro prodotto. Tra poco brevetteremo un sistema di raccolta dati sull’edge, proseguendo quindi nello sviluppo del prodotto. Dal un punto di vista delle soluzioni, un altro tema importante è quello della sostenibilità, della circolarità e della riduzione dei consumi energetici: stiamo aiutando i nostri i clienti a diventare più sostenibili, sempre con un approccio data-centrico, cioè con il monitoraggio efficace di quello che succede nella fabbrica”.

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L’INDUSTRIA ITALIANA NELLA TRANSIZIONE BIFRONTE

Il 76% delle aziende manifatturiere italiane ha definito un programma di transizione ecologica, spesso associata a trasformazione digitale. Un’indagine di The Innovation Group.

La green revolution interessa oggi una gran parte delle realtà industriali del nostro Paese, che puntano a ridurre le proprie emissioni di gas serra e la produzione di altre sostanze inquinanti, promuovendo l’uso di fonti energetiche rinnovabili, migliorando l’efficienza energetica e favorendo la conservazione della biodiversità e delle risorse naturali. Secondo l’indagine “Smart Manufacturing Survey 2023. Percorsi di Trasformazione Digitale nel mondo industriale italiano” di The Innovation Group (svolta nel mese di gennaio 2023 su un campione di una sessantina di aziende industriali italiane, intercettando in particolare lineof-business e IT manager) il tema della sostenibilità ambientale è fortemente collegato a quello della trasformazione

in chiave digitale. Oggi sono già molte, il 76% del campione, le aziende manifatturiere che si stanno muovendo verso la creazione di un proprio programma di sostenibilità o lo hanno già realizzato. Rimane una piccola quota di aziende (il 14% dei rispondenti) non ancora intenzionate a sviluppare piani in questo senso. In aggiunta, il 44% delle aziende che ha intrapreso il cammino verso la riduzione dell’impronta ambientale sta già osservando benefici misurabili, e un ulteriore 19% si aspetta di ottenerli (seppure in misura inferiore rispetto alle previsioni iniziali).

Oltre, quindi, all’interesse delle aziende industriali verso le tematiche di sostenibilità ambientale, c’è grande attenzione per la trasformazione in chiave digitale: si realizza così quella che nel gergo degli

addetti ai lavori è chiamata twin transition, matrimonio di economia digitale e green. Promossa dal Pnrr, questa “transizione bifronte” punta alla modernizzazione del settore industriale e dei suoi processi produttivi, attraverso l’adozione di soluzioni innovative che aiuteranno tutti a diventare più sostenibili. Una “trasformazione gemella” che vuole le aziende più competitive perché più efficienti, veloci, flessibili, resilienti: valori che richiedono un profondo ripensamento del modello produttivo, un’innovazione in chiave digitale del modo di concepire l’impresa.

Tecnologie per il cambiamento

Qual è l’avanzamento dei progetti digitali nell’Industria italiana? Lo scenario economico, finanziario e geopolitico attuale vede imprenditori e manager del sistema manifatturiero impegnati nel traghettare la propria realtà, superando questo periodo di incertezza e puntando a ottenere nuovi vantaggi competitivi.

SMART MANUFACTURING 30 | MAGGIO 2023 Foto di jcomp da Freepik

Uno dei principali facilitatori di questo processo è senz’altro l’adozione di tecnologie digitali innovative. L’indagine di The Innovation Group osserva che il percorso è a buon punto: il 59% del campione riferisce di stare implementando la trasformazione digitale dei processi del business, mentre un 17% avrebbe già completato l’iter, trovandosi così in una fase molto matura di avanzamento. Le iniziative di trasformazione digitale che saranno prioritariamente realizzate nell’arco del 2023 si riferiscono all’automazione dei processi (19% delle risposte), ad accelerare l’agilità del business (14% delle risposte), alla revisione e ottimizzazione della supply chain (14%) e all’accrescimento di competenze digitali delle persone (11%). Invece, tra le tecnologie innovative più spesso adottate spiccano il cloud computing (che raccoglie il 46% dell’adozione di progetti innovativi effettuati nel 2022 per quanto riguarda le componenti IaaS e PaaS, e il 32% per la componente SaaS, entrambe con ulteriore previsione di crescita dell’adozione nel 2023), le tecnologie Big Data e quelle di analytics e Business Intelligence (attivate dal 24%

del campione nel 2022 e da altrettanti per il 2023), le soluzioni per l’automazione di processo (Rpa e Bpm, che passano da un 19% nel 2022 a un 38% nel 2023, registrando quindi la crescita più sostenuta per quanto riguarda i progetti innovativi digitali).

La corsa all’innovazione digitale nell’industria passa anche dall’adozione del cloud. La maggioranza delle aziende manifatturiere ascoltate (il 69%) fa oggi ancora un uso “selettivo” del cloud, adottandone i servizi in singoli ambiti molto specifici, a supporto di singoli progetti. Un 8% invece ne fa un uso “ampio”, ossia sta spostando in cloud un gran numero di applicazioni, ambienti di sviluppo, database e infrastrutture. Un ulteriore 4% ha inoltre ora un approccio “cloud-first”, ossia migra tutto ciò che può essere spostato e colloca nativamente nella “nuvola” ogni nuovo sviluppo. Infine, c’è chi tuttora riduce al minimo indispensabile il proprio utilizzo del cloud, e non è una quota irrisoria: il 19% dei rispondenti, infatti, per motivi normativi e di filosofia manageriale, ha ridotto al minimo indispensabile l’utilizzo del cloud.

La gestione della supply chain

Un tema che, come visto in precedenza, è inserito tra le priorità da affrontare nel corso del 2023 da molte aziende del settore è la revisione e l’ottimizzazione della gestione della supply chain. Spostare l’attenzione dal singolo individuo al sistema pare sempre più la strada da percorrere in futuro. La catena di fornitura in questo contesto può essere considerata un vero e proprio sistema interconnesso, all’interno del quale tutti gli attori coinvolti ottengono benefici e vantaggio competitivo. Innovare la supply chain significa dunque adottare tecnologie in grado di favorire la creazione di una filiera produttiva agile, efficiente e trasparente.

Per indagare questi temi, la ricerca di The Innovation Group approfondisce da un lato le attività volte a riprogettare e ottimizzare la supply chain nel mondo industriale, e dall’altro lato le opportunità legate al digitale. Come emerge dai risultati, nell’ultimo anno il ridisegno delle supply chain ha portato a diversificare i fornitori (48%) e a rafforzare il rappor to con quelli principali (44%), a porre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale (37%) e ad aumentare le scor te del magazzino (37%). La maggior parte delle aziende industriali ha adottato più soluzioni per ottimizzare la gestione della supply chain: al primo posto quelle per l’analisi delle performance della catena di fornitura (usate dal 50% del campione), cui seguono analytics (45%) e data governance (40%).

Ancora limitato, invece, il numero di chi ha avviato una collaborazione estesa con i fornitori tramite il cloud (20%), di chi ha un controllo end-to-end della cybersecurity (20%) o una integrazione per ottimizzare la supply chain (utilizzo di API o microservizi, 15% del campione d’indagine).

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Arianna Perri ed Elena Vaciago “Smart Manufacturing Survey 2023”, The Innovation Group, marzo 2023 Livelli di adozione del cloud
4% 8% 19% 69%
"A quale livello
si posiziona la sua azienda in termini di adozione del cloud computing per software, infrastrutture, servizi di piattaforma?"

CON IL "GEMELLO" LA FABBRICA È PIÙ SMART

Il

La tecnologia che fa riferimento al virtual twin non è nuova, con tagli e nomi diversi viene applicata da anni da molte aziende manifatturiere per accelerare, efficientare e rendere più sostenibili diversi processi: dalla progettazione alla manutenzione, dalla produzione al marketing. In estrema sintesi si tratta di creare un “gemello virtuale” di un prodotto, un macchinario, una fabbrica, per simularne il comportamento senza affrontare i costi dello sviluppo fisico del processo/oggetto. Technopolis ha intervistato Marco Oldani, Director Of Business Development, Consultant & Manufacturing Team di Dassault Systèmes, per capire meglio caratteristiche e prospettive dei virtual twin

Che cos’è esattamente un virtual twin?

È una copia virtuale di un asset reale sul quale è possibile mappare i dati che arrivano dal campo, e su cui si possono fare simulazioni di diversa natura, come performance e sostenibilità, per valutare diversi scenari alternativi e con i quali possiamo ad esempio disegnare scenari collaborativi.

Perché sostenete che il virtual twin sia un concetto, prima ancora che una tecnologia?

Perché porta vantaggi a prescindere dai risultati puntuali: il gemello virtuale introduce un vero cambiamento in azienda, abilitando la trasformazione di prodotti e processi.

In che senso “processi”?

Ad esempio la ridefinizione della supply chain: oggi le catene di fornitura sono

molto “volatili”, le aziende devono essere molto veloci e reattive per modificarle in tempi stretti. Il gemello virtuale può permettere di studiare diverse alternative, calcolando i Kpi di performance ma anche di sostenibilità (ad esempio quanta CO2 viene consumata lungo l’intero processo), prima di aprire un nuovo centro produttivo in una qualsiasi regione del mondo. Con i nuovi paradigmi globali-locali e con la logistica collaborativa, il gemello virtuale resta uno dei pochi strumenti in grado di direzionare le imprese verso le decisioni migliori. Un secondo esempio è l’ottimizzazione dei processi produttivi. Si è sempre cercato di renderli efficienti, ora i manager devono sapere anche quanto impattano. Fare un cambiamento nel mondo reale richiede tempo ed energie, nel mondo virtuale è possibile proporre varie alternative in poche ore o giorni.

Perché ha citato la collaborazione? Che cosa ha a che vedere con il gemello virtuale?

Se è vero, come è vero, che oggi è fondamentale la collaborazione tra diversi dipartimenti e ovviamente tra diverse persone, oggi che la produzione è delocalizzata e segmentata in diversi siti ci sono meno possibilità che tutti gli attori del processo possano vedere e toccare fisicamente le macchine e i manufatti. Questo porta a un minor coinvolgimento ma anche a errori e difetti nel prodotto finale. I gemelli virtuali, sui quali tutti possono interagire anche a distanza, possono aiutare a ritrovare quello spirito collaborativo che rischiava di venire meno. Chi lo ha provato, nei diversi reparti come progettazione, ingegneria, produzione, fino ad arrivare ai responsabili di stabilimento e al procurement (i virtual twin consentono di ottimizzare i codici e ottenere quindi prezzi e costi inferiori), non tornerebbe più indietro. Perfino nel marketing e nelle vendite, oggi soprattutto nei mercati del lusso, i gemelli virtuali vengono utilizzati con efficacia per indirizzare e collezionare i feedback dei clienti.

Come Dassult Systèmes può aiutare le aziende nel loro percorso?

Implementare il concetto di gemello virtuale richiede una trasformazione, perché è proprio un modo diverso di lavorare. Questa trasformazione deve essere abilitata dalla tecnologia. Dassault ha reso disponibile la piattaforma Experience, in cloud oppure on-premise, che consente a diverse aziende (dalla produzione di barche di lusso fino alle t-shirt) di implementare gemelli virtuali. La nostra piattaforma si differenzia da altre sul mercato perché abbraccia veramente tutti i processi e può aiutare tutte le industry. Ci sono poi in Dassault diverse figure professionali che supportano il cliente nell’affrontare il percorso di trasformazione: di solito il difficile è fare il primo passo, poi però molto presto si vedono i risultati e si procede spediti.

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TECHNOPOLIS PER DASSAULT SYSTÈMES
virtual twin permette di raggiungere più facilmente obiettivi di sostenibilità per la supply chain, per gli stabilimenti e per i prodotti. L’opinione di Marco Oldani di Dassault Systèmes.
Marco Oldani

UN MODELLO DI SERVITIZZAZIONE DISTINTIVO PER OGNI AZIENDA

Servitly offre ai manufacturer flessibilità, autonomia e modularità, e permette loro di creare nuovi servizi connessi, basati su IoT.

Macchine “parlanti” crescono in valore grazie ai servizi resi possibili dalla loro connessione Internet of Things (IoT). Un valore che Servitly, azienda produttrice dell’omonimo software, propone ai manufacturer di gestire in autonomia, attraverso una console di configurazione flessibile che attinge a un ricchissimo catalogo di moduli. “Un software standardizzato, ma estremamente flessibile, che svincola i produttori di macchinari dai lock-in delle customizzazioni spinte, potendo in autonomia, grazie a un approccio no-code, definire regole e interpretazioni dei dati forniti dagli apparecchi connessi”: è l’estrema sintesi fatta Stefano Butti, Ceo e co-founder di Servitly, nella descrizione del proprio software, rivolto ai produttori di macchinari destinati all’ambito industriale a quello professionale, fino al consumer. Un target variegato di utilizzatori, accomunati dal fatto di voler avere informazioni provenienti dalle macchine in uso (siano esse elettrodomestici, forni da panettiere o complesse catene di produzione industriale) per ottenere servizi di assistenza efficaci, manutenzione predittiva, ma anche semplicemente per trarne una maggiore efficienza o per aver la possibilità di controllare i consumi.

Cambia la domanda: da prodotti a risultati

“Il mercato sta cambiando la domanda e sta spingendo i produttori ad arricchire la propria offerta con elementi nuovi”, riprende Butti. “È un’evoluzione progressiva verso nuovi criteri di acquisto, che vede i consumatori (in ambito b2c) e le aziende (in ambito b2b) prestare attenzione non solo al prodotto ma anche ai servizi e alla cura che viene rivolta al funzionamento e all’efficienza della macchina stessa”. Un percorso che procede anche con l’evoluzione digitale delle stesse macchine, oggi composte da “ingredienti digitali” meno visibili rispetto alle tradizionali parti meccaniche, e che possono sfuggire alla capacità di utilizzo o manutentiva autonoma dell’utente finale.

Il risultato è che oggi i produttori, se vogliono rimanere competitivi, devono essere in grado di aggiungere qualcosa di più alla propria offerta rispetto alla concorrenza, di arricchirla con informazioni o servizi. Servizi che alcuni di loro stanno già integrando direttamente nei prodotti di nuova generazione, a giustificazione di una proposizione a maggior valore e costo.

L’IoT è, di base, la tecnologia abilitante che consente a un manufacturer di misurare ciò che al suo cliente finale interessa, monitorando il proprio prodotto e migliorandolo per poter generare nuovo valore. Servitly si propone quindi come il software che raccoglie dati e genera le informazioni che il

produttore intende trasferire, non solo al cliente, ma anche a tutta la propria catena di distribuzione, dalla vendita ai centri di assistenza attraverso diversi livelli di servizio.

Personalizzazione ad hoc

“Servitly”, commenta Butti, “nasce con l’idea di creare un prodotto software industriale, standardizzato pur nella sua grande flessibilità, il quale si discosta dai prodotti da ‘software boutique’, che rispondono con applicazioni customizzate alle particolari esigenze del cliente, vincolandone però così qualsiasi ulteriore evoluzione o variazione. Per questo motivo abbiamo preferito lasciare ai clienti il grado di personalizzazione da ottenere, grazie a un vastissimo catalogo di moduli che possono essere configurati e possono coprire qualsiasi esigenza di ogni ambito verticale. Un software che si compone di un motore capaci di collettare i dati trasmessi dai prodotti, di trasformarli in informazioni, interpretate secondo i criteri che vengono definiti dal produttore stesso attraverso una console e su eventuali valori discostanti di funzionamento, logiche di ottimizzazione, risparmio energetico o altro”. Servitly offre flessibilità, autonomia e modularità a portata di un maggior numero di manufacturer, che possono così sfruttare le tecnologie IoT presenti sui loro prodotti per definire una nuova offerta di servizi connessi e per creare nuove fonti di ricavi ricorrenti.

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TECHNOPOLIS PER SERVITLY
Stefano Butti

CHI HA PAURA DI CHATGPT (& CO.)?

Da Elon Musk al mondo dei ricercatori, serpeggiano preoccupazioni sulle nuove capacità dell’AI generativa.

Continuando a far progredire l’intelligenza artificiale, l’essere umano sta programmando la propria estinzione? La domanda è certamente estrema, ma intercetta alcune paure diffuse sulla Artificial Intelligence, i cui ultimi sviluppi – trainati dal successo di ChatGPT – continuano a stupire e allo stesso tempo a preoccupare. Se non l’estinzione di noi stessi, stiamo forse programmando almeno l’estinzione della nostra unicità, di quel valore aggiunto che finora ancora distingue le persone dalle macchine, un insieme di competenze, creatività, capacità artistiche, sensibilità e, perché no, sesto senso. I più complessi modelli di deep learning e di AI generativa non possono ancora sostituirci del tutto, ma hanno ormai raggiunto livelli di “ragionamento” e an-

che di creatività impensabili fino a solo qualche anno, o magari qualche mese fa. Il ritmo dell’innovazione è incalzante. E oggi si sentono incalzati, per non dire minacciati, anche coloro che svolgono professioni intellettuali o creative, dal giornalismo alla fotografia. Se inizialmente l’intelligenza artificiale è stata usata soprattutto per scopi di automazione (nel marketing e nel supporto clienti, per esempio), il suo impiego è stato poi esteso ad ambiti come le risorse umane e la finanza, dove è necessario processare, analizzare e scremare grandi quantità di dati. Nell’informatica l’AI è usata per disparati scopi, dalla gestione automatizzata e software-defined delle reti e dei data center alla scoperta di fake news e bot sulle piattaforme social come Facebook e Twitter. Ora però, nel mondo, decine

di milioni di professionisti rischiano di essere rapidamente sostituiti da un software che può svolgere il loro lavoro quasi altrettanto bene, più rapidamente e a costi molto inferiori.

Il vero salto evolutivo è stato compiuto dai modelli di deep learning che alimentano applicazioni come ChatGPT, chatbot che può non solo trovare informazioni ed elaborare ragionamenti in risposta a una query, ma sa anche confezionare testi fatti e finiti, come saggi o articoli giornalistici, su potenzialmente qualsiasi argomento. Microsoft, facendo leva sul proprio investimento miliardario in OpenAI, ha integrato questa tecnologia nel proprio motore di ricerca Bing, nella piattaforma di collaborazione Teams e in alcuni prodotti della suite Dynamics (Crm, Erp e altro). Inoltre sta testando nuovi utilizzi dentro alle applicazioni Microsoft 365 (già Office 365), come Word, PowerPoint ed Excel. Lo stesso sta facendo A lphabet con Bard, un large language

INTELLIGENZA ARTIFICIALE
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Foto di Vicki Hamilton da Pixabay

model sviluppato internamente, che permetterà a Google Search di dare risposte più pertinenti ed elaborate. “Raccoglieremo feedback dagli utenti e costruiremo su questa base”, ha dichiarato Zoubin Ghahramani, vicepresidente della ricerca di Google. “Siamo consapevoli di tutte le cose che potrebbero andare storte con i large language model ”. Intanto gli annunci e i progressi sono all’ordine del giorno. Mente Aws (la divisione cloud di Amazon) e Alibaba fanno a gara per introdurre nuovi strumenti e servizi per lo s viluppo di applicazioni di AI, è notizia recente il lancio da parte di Meta di un nuovo algoritmo di riconoscimento delle immagini chiamato Segment Anything Model, che sa identificare oggetti all’interno di fotografie o video anche se mai “ incontrati” precedentemente in fase di training. In futuro potrebbe essere usato per riconoscere quello che osserveremo attraverso visori di realtà aumentata, oppure potrebbe dare supporto in svariati c ampi, dall’agricoltura alla ricerca scientifica.

I confini tra vero e falso

La novità dell’AI generativa sbocciata negli ultimi mesi sta nell’evoluzione tecnologica ma anche nella facilità di accesso. Le grandi capacità di calcolo necessarie per allenare gli algoritmi e per eseguire le applicazioni sono ora disponibili tramite cloud, e tutti i principali fornitori di servizi di infrastruttura (IaaS), piattaforma (Paas) e software (SaaS) stanno lanciando nuove offerte. Amazon Web Services, Google Cloud, Microsoft Azure, Oracle Cloud Infrastructure sono solo alcuni dei grandi nomi impegnati in questo percorso, che è anche un percorso di continuo aggiornamento tecnologico. Grazie alle più recenti unità di calcolo grafico (Gpu) di Nvidia, aziende come Adobe, Getty Images e Shutterstock stanno sviluppando nuove capacità di creazione di immagini e video all’interno dei rispetti-

vi servizi: anziché cercare una fotografia o una grafica all’interno di un database, l’utente può impartire dei comandi testuali e ottenere, magari procedendo per tentativi, un risultato originale e unico. E questo ci porta su un altro punto critico: l’AI generativa può rappresentare una minaccia per la capacità di discernimento tra il vero e il falso? Citiamo a mo’ di esempio i deepfake (video o audio in cui l’immagine o la voce di una persona viene “clonata” a fini di disinformazione, diffamazione, scherno o truffa) e le già menzionate applicazioni di generazione di immagini. Applicazioni che sono del tutto legittime, ma che non impongono nessun obbligo di segnalare graficamente, in modo inequivocabile, le immagini artefatte. Un occhio attento sa ancora distinguerle da fotografie reali, ma recentemente grazie a un programma di text-to-image chiamato Midjourney il fondatore della piattaforma di giornalismo investigativo Bellingcat ha dato una forma visiva al (falso) arresto di Donald Trump, dichiarando solo successivamente che si trattava di uno scherzo. Da Midjourney è uscita anche l’imma-

gine, diventata virale sui social, di Papa Francesco vestito con un giaccone alla moda, mentre su YouTube si moltiplicano i video tutorial di fotografi e artisti che spiegano come sfruttare al meglio programmi di questo tipo. Un giovane fotografo cinese, Zhang Haijun, ha utilizzato Midjourney per creare ritratti della Cina tradizionale, e altri hanno seguito l’esempio per focalizzarsi su specifici periodi storici. Il livello di realismo è assai notevole e nessun dettaglio estetico e tecnico (taglio, sfocature, saturazione, eccetera) è tralasciato. È solo una nuova forma d’arte o si rischia di riscrivere la Storia?

Preoccupazioni per la privacy

Ha tenuto banco tra aprile e maggio il dibattito sul rapporto fra AI generativa e privacy. In seguito a un data breach subìto da OpenAI il 20 marzo, il Gpdp, l’autorità italiana Garante per la Protezione dei Dati Personali, si è interessata alla questione per arrivare a sollevare alcune obiezioni sui metodi di raccolta e trattamento dei dati portati avanti dall’azienda californiana. A detta del Garante,

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la raccolta e il trattamento dei dati per l’addestramento degli algoritmi fondativi sono stati fatti in “assenza di idonea base giuridica”. Ci sono poi altri due problemi: il trattamento dei dati personali “risulta inesatto in quanto le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale”, e inoltre non c’è un meccanismo di verifica dell’età degli utenti che accedono al servizio (teoricamente vietato a chi abbia meno di 13 anni). Per questo particolare difetto il Gpdp aveva criticato anche TikTok. In seguito a un incontro tra le parti, il Garante ha lasciato tempo a OpenAI fino al 30 di aprile per introdurre alcune modifiche nell’interfaccia dell’applicazione (richiesta del consenso al trattamento, age gap e altro). Altre autorità garanti nazionali, tra cui quella spagnola, stanno studiando i rapporti fra ChatGPT e privacy e nel frattempo il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (European Data Protection Board) ha predisposto la creazione di una task force dedicata alla questione. “I dati, a prescindere che siano personali o meno, sono il carburante necessario per lo sviluppo di meccanismi di AI come ChatGPT”, ha

commentato Massimiliano Masnada, partner dello studio legale Hogan Lovells. “Il loro uso deve avvenire in modo sicuro ed etico. Per fare ciò non bastano i divieti. Un primo passo, in tale senso, sarà la corretta implementazione delle regole sul riuso dei dati che sono alla base del Data Governace Act, di prossima entrata in vigore, e del successivo Data Act”.

L’A.I. ci ruba il lavoro?

Un recente studio di Goldman Sachs stima che a livello mondiale nel medio periodo circa 300 milioni di posti di lavoro (equivalente a tempo pieno) potrebbero sparire a causa dell’intelligenza artificiale generativa. Si tratta di circa il 18% degli occupati a livello mondiale. Secondo gli analisti, nelle professioni amministrative verrà automatizzato il 46% delle attività, in quelle di ambito legale il 44%, nell’architettura e nell’ingegneria il 37%. Già oggi in Europa e negli Stati Uniti circa un quarto dei posti di lavoro potrebbe essere trasformato da una parziale automazione basata su AI. Il cambiamento tecnologico, fanno notare gli autori dello studio, dal dopoguerra fino alla fine

degli anni Settanta ha creato nuove opportunità di lavoro allo stesso ritmo con cui le ha cancellate, mentre dagli anni Ottanta in poi l’impatto sull’occupazione è stato negativo. L’analisi di Goldman Sachs suggerisce che l’AI generativa avrà anch’essa almeno nel breve termine un impatto negativo sull’occupazione, non troppo diverso da quello di altre tecnologie informatiche che hanno segnato la storia contemporanea (pensiamo ai computer e a Internet). Se non altro, l’AI migliorerà la produttività, consentendo di fare di più in tempi più rapidi e a costi inferiori, ma soprattutto favorirà la domanda di nuove figure professionali.

Un compromesso tra uomini e A.I. Rifiutare questi sviluppi potrebbe essere anacronistico o addirittura reazionario. Ma è forse auspicabile che l’uso dell’AI generativa venga regolamentato in modo chiaro, anteponendo a tutto la tutela delle persone (cittadini, consumatori, utenti) anche a costo di rallentare l’innovazione. Negli Stati Uniti il Center for Artificial Intelligence and Digital Policy, un gruppo di interesse che si occupa di etica della tecnologia, ha chiesto alla Federal Trade Commission di impedire a OpenAI il rilascio commerciale di GPT4, la più recente versione del proprio modello di AI generativa. Una tecnologia che il gruppo definisce come “viziata dal pregiudizio, fallace”, e come “un rischio per la privacy e per la sicurezza pubblica”. Fa riflettere il fatto che tra i preoccupati ci sia anche Elon Musk, il miliardario che sull’intelligenza artificiale (quella del pilota automatico delle sue Tesla) ha costruito parte della propria fortuna. Musk è – insieme al cofondatore di Apple, Steve Wozniak, e ad altri mille tra dirigenti d’azienda, ricercatori e luminari universitari – tra i firmatari di una lettera aperta pubblicata dal Future of Life Institute, in cui si chiede ad aziende, ricercatori e sviluppatori di mettere in pausa almeno

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LE QUESTIONI ETICHE SULL'A.I. GENERATIVA

Modelli come GPT-3, il suo successore GPT-4 e programmi sviluppati da aziende concorrenti di OpenAI permettono di creare velocemente e a basso costo applicazioni di intelligenza artificiale come il più famoso tra i chatbot, ChatGPT. I benefici potenziali sono immensi, ma lo sono anche i rischi e gli aspetti controversi. La società di ricerca Gartner così riassume le principali questioni etiche dell’AI generativa:

• Sostenibilità. I modelli sottostanti (come GPT-4) devono essere allenati su migliaia di miliardi di parametri e richiedono un’enorme potenza computazionale. L’impatto ambientale è notevole.

• Concentrazione di potere. Finora i principali modelli sono nati da alcuni colossi tecnologici mondiali, come Alphabet, Microsoft (attraverso OpenAI), Alibaba, Baidu, che dispongono di grandi risorse da investire. C’è quindi uno squilibrio di partenza, premessa di plutocrazia.

• Potenziali usi malevoli: che si tratti di testi, immagini, video o audio, creare artefatti di AI diventa sempre più facile. I contenuti si prestano a essere usati per attacchi di phishing, diffamazione, disinformazione a più livelli. E potrebbero anche, secondo Gartner, fomentare conflitti politici.

• Opacità. Questi modelli funzionano come “scatole nere”, senza lasciar capire come o perché si arrivi a un certo risultato o a una certa risposta (è il noto problema della explainability dell’intelligenza artificiale).

• Proprietà intellettuale. I dati di partenza usati per il training dei modelli potrebbero appartenere a persone o entità, e non è chiaro a chi spetti la proprietà intellettuale dei contenuti generati dalle applicazioni.

per sei mesi il training di sistemi di AI più potenti di GPT-4, l’ultima versione del modello di OpenAI. Mentre si potrà continuare con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in altre sue forme, biso-

gna invece “fare un passo indietro nella pericolosa corsa verso modelli scatola nera ancora più ampi, non prevedibili”. L’umanità dovrebbe tutelarsi da questi rischi e porre un veto così come è stato fat-

to in campo medico-scientifico per l’eugenetica e la clonazione di esseri umani. L’interruzione delle attività dovrà essere “pubblica e verificabile”, e se necessario le istituzioni governative potranno intervenire istituendo una moratoria. I firmatari della lettera sottolineano che, solo perché possiamo automatizzare molte attività e creare programmi che superano le abilità umane in molti campi, ciò non significa sia giusto farlo. L’attività di ricerca e sviluppo sull’AI dovrebbe focalizzarsi sul rendere gli attuali sistemi “più accurati, sicuri, interpretabili, trasparenti, solidi, allineati, degni di fiducia e leali”, si legge nella lettera. Meravigliosi principi, che forse però non è facile concretizzare all’interno di un software ma soprattutto non è facile controllare. I firmatari della petizione propongono una collaborazione tra ricercatori e istituzioni politiche, tesa a creare nuove norme di legge, nuove autorità di controllo e sistemi di certificazione. Inoltre vengono invocati sostanziosi fondi pubblici da dedicare alla ricerca sulla sicurezza dell’AI. Certo, l’impegno è gravoso, ma per i firmatari servirà a evitare che l’AI sconvolga l’economia mondiale e, soprattutto, che sia una minaccia per la democrazia.

Un futuro ancora da scrivere Queste paure sono giustificate? Forse tra non molto l’intelligenza artificiale smetterà di fare notizia, semplicemente perché gli investimenti miliardari e il lancio di nuove applicazioni e funzionalità diventeranno la norma. Non esisterà software o servizio che non includa una qualche forma capacità di machine learning, automazione, ricerca di pattern, conversazione, creazione di contenuti.

Oppure l’AI finirà ancora in prima pagina per qualcosa di sensazionale, qualcosa che ci sorprende nel bene o nel male, qualcosa che oggi l’intelligenza umana non sa ancora immaginare.

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DEBOLEZZE E IMMATURITÀ AUMENTANO I RISCHI

Di fronte all'ascesa degli attacchi, la maggior parte delle aziende italiane non vanta una solida “postura” di cybersicurezza. Il fattore umano è l'elemento più critico.

Cliccare su un allegato di posta o su un link senza aver prima controllato il mittente, condividere un documento usando u n servizio di file sharing non previsto dalle policy aziendali, usare password poco sicure o “riciclate”, accedere al cloud da qualsiasi dispositivo (incuranti della presenza di software obsoleti) e talvolta anche da reti Wi-Fi pubbliche. Sono solo esempi di leggerezze e distrazioni, a cui si sommano le infinite vie del phishing (sempre più sofisticato e ingannevole, grazie a nuove tecniche di camuffamento, al social engineering e a i deepfake creati dall’intelligenza artificiale), la crescente proliferazione dei ransomware (ormai accessibili anche a malintenzionati inesperti di codice software, grazie al modello a s-a-service) e l’irrisolto problema delle vulnerabilità presenti in sistemi operativi e applicazioni (il patch management può essere complesso e l’eterogeneità degli ambienti IT crea dei “punti ciechi” in cui

possono nascondersi falle). Si tratta di problemi stratificati nel tempo e intrecciati tra loro, problemi che i vendor di sicurezza informatica affrontano sempre di più con un approccio cosiddetto Zero Trust, in cui si agisce per ridurre al minimo il rischio e prevenire gli incidenti. Per queste criticità non esiste una soluzione facile e veloce, tuttavia migliorare l’awareness sulle tematiche di sicurezza informatica sarebbe d’aiuto su tutti i fronti.

Un’indagine condotta da The Innovation Group e da Cyber Security

A ngels (Csa) su un campione di duecento imprese italiane ha evidenziato che anche nel nostro Paese il “fattore umano” è l’elemento più critico per la cybersicurezza delle aziende. Tra i principali elementi di pericolo per la propria a zienda nel 2022, l’82% degli intervistati ha indicato la scarsa consapevolezza e attenzione ai rischi informatici d a parte dei dipendenti: si tratta della risposta più citata, prima ancora delle

vulnerabilità degli applicativi (58%) e dei rischi legati alle terze parti (41%). A ulteriore conferma del fatto che il “tallone d’Achille” sono le persone, nel 55% delle realtà l’anno scorso c’è stato almeno un caso di furto o smarrimento di un dispositivo in uso ai dipendenti. Questa è stata la tipologia di incidente più diffusa, ancor prima delle infezioni da malware (47%), del furto di identità o credenziali (37%), degli accessi non autorizzati (29%) e dei data breach (18%).

“Possiamo scrivere regole di ogni genere per definire ogni processo, ma il fattore umano potrà sempre prevalere”, ha commentato Stefano Lusardi, IT security manager di Feltrinelli e referente per la Lombardia di Cyber Security Angels (Csa), in occasione del recente Cybersecurity Summit organizzato a Milano da The Innovation Group. “ La chiave è educare alla cybersicurezza”, ha proseguito Lusardi, “non con un corso di formazione fatto una volta l’anno

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UNO “SCUDO INFORMATICO” PER L’EUROPA

Uno “scudo informatico” che protegga l’Europa dai cyberattacchi più gravi e, quando il danno è fatto, procedure condivise per la gestione dell’emergenza. Sono le misure contenute nel Cyber Solidarity Act, una proposta di regolamento presentata lo scorso aprile dalla Commissione Europea con un previsto budget di 1,1 miliardi di euro. Si punta, innanzitutto, a creare uno “scudo europeo di cybersicurezza”, ovvero una rete di Security Operations Center (Soc), sia nazionali sia transfrontalieri, deputati al rilevamento delle minacce, alla condivisione di informazioni e intelligence e al coordinamento delle azioni di risposta. Si prevede entreranno in funzione nei primi mesi del 2024, e nel frattempo la Commissione ha già selezionato (nell ’ambito del programma Europa Digitale) tre consorzi di centri operativi di sicurezza transfrontalieri che riuniscono enti pubblici di 17 Stati membri e dell ’Islanda. Secondo punto all ’ordine del giorno: dovrà essere creato un meccanismo di emergenza informatica (Cyber Emergency Mechanism), attraverso azioni di preparazione di fronte a potenziali vulnerabilità, definite “sulla base di scenari e metodologie di rischio comuni” e prestando particolare attenzione ai settori più critici, come sanità, trasporti ed energia. All’interno del meccanismo di emergenza informatica sarà istituita la “riserva di cybersicurezza dell ’Ue”, che si baserà su servizi di risposta agli incidenti erogati da “fornitori di fiducia”, pronti a intervenire in caso di “incidente significativo o su larga scala”, su richiesta di uno Stato membro o di istituzioni, organismi e agenzie dell ’Ue. Il meccanismo prevede anche che uno Stato membro possa fornire sostegno finanziario a un altro Stato in caso di emergenza informatica. Un terzo elemento contenuto nel piano è un meccanismo di esame degli incidenti di cybersicurezza, che dovrà valutare gli attacchi significativi o su larga scala già avvenuti, per poi “trarre insegnamenti” e formulare raccomandazioni per migliorare la postura informatica dell’Unione Europea. L’investimento previsto di 1,1 miliardi di euro sarà finanziato per due terzi dall’Ue attraverso il programma Europa Digitale.

bensì spiegando le necessità della cybersicurezza all’utente, che si tratti di un impiegato o di un manager. Le regole vanno benissimo, ma l’educazione degli utenti è essenziale, e non bisogna pensare di essere tutti degli esperti di informatica solo perché si utilizzano determinati strumenti”. Ma su quali temi si dovrebbero focalizzare gli sforzi di formazione sulla cybersicurezza? Attraverso le riflessioni di rappresentanti di aziende vendor e utenti, dalle tavole rotonde del summit è emerso che oggi è ancora necessario far capire i rischi legati alla ormai famigerata “dissoluzione del perimetro” dell’IT aziendale. Un fenomeno iniziato da cir-

ca un decennio, prima con l’apertura all’uso dei dispositivi personali (il cosiddetto bring your own device, Byod) e proseguito poi con la crescente adozione del cloud e con i modelli di lavoro ibrido nati sull’onda della pandemia.

A ltri rischi spesso sottovalutati sono la posta elettronica (principale vettore di infezione, sia per i malware sia per i tentativi di phishing) e le interfacce API (Application Programming Interface). Oggi, in ambienti informatici sempre più eterogenei e geograficamente dispersi, per il personale IT mantenere il controllo e la visibilità è un’impresa ardua. Tutti i dipendenti di un’azienda, in ogni livello

dell’organigramma, dovrebbero contribuire a tenere le minacce fuori dalla porta. Un recente studio di Cisco (“Cybersecurity Readiness Index” condotto da una società di ricerca indipendente e basato su 6.700 questionari a responsabili di cybersicurezza aziendale di 27 Paesi) ha evidenziato che solo il 15% delle aziende può definirsi “maturo” dal punto di vista della cybersicurezza, mentre la maggioranza (46,9%) sta formando la propria preparazione, il 29,8% è in uno stadio di media maturità e l’8,3% è un principiante. Tendenzialmente, le aziende sono più mature (cioè hanno adottato in misura maggiore le tecnologie di sicurezza significative) nell’area della gestione delle identità e nella protezione dei dispositivi endpoint. Di contro, sono più immature sul fronte della sicurezza delle applicazioni e dei dati.

L’anno scorso le aziende italiane sono state colpite soprattutto da malware, phishing e attacchi di SQL injection Complessivamente, solo il 7% delle realtà tricolori può già dire di aver raggiunto la maturità nella cybersicurezza per i tutti e cinque i pilastri, cioè identità, dispositivi, reti, applicazioni e dati. Il 94% delle a ziende italiane sta pianificando investimenti di upgrade o ristrutturazione dell’infrastruttura IT per rispondere a sfide di sicurezza. L’87% (dato allineato con l’86% della media globale) pensa di aumentare di almeno il 10% il proprio budget destinato alla sicurezza informatica nel breve periodo (un anno). Per il 23% la carenza di competenze interne in cybersicurezza rappresenta un problema. Accanto ai mancati investimenti e alle lacune di competenze c’è poi un terzo problema, annoso e ben noto agli addetti ai lavori: i famigerati “silos”, in cui applicazioni e dati vivono segregati, senza comunicare tra loro. Dalla frammentazione derivano spesso problemi di mancata visibilità, dunque di vulnerabilità non rilevate.

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CISO SOTTO PRESSIONE

Un approccio umano-centrico per ridurre i problemi di usabilità, l’adozione del modello Zero Trust, cambiamenti di responsabilità e di ruolo. Sono alcune delle tendenze previste da Gartner per il biennio 2023-2024. Dinamiche che influenzano il lavoro dei Ciso, i chief information security officer. “Senza alcun dubbio, i Ciso e i loro team dovrebbero focalizzarsi al massimo sugli eventi del presente per garantire che le loro aziende siano il più possibile al sicuro”, ha dichiarato Richard Addiscott, senior director analyst di Gartner. “Ma devono anche trovare il tempo di sollevare lo sguardo dalle sfide quotidiane e guardare all’orizzonte per capire quali nuovi elementi impatteranno sui programmi di sicurezza nel prossimo biennio”.

• Sicurezza umano-centrica

A detta di Gartner, da qui al 2027 il 50% dei Ciso plasmerà i programmi di cybersicurezza aziendali su principi umano-centrici, per “minimizzare gli attriti operativi” e massimizzare l’adozione di strumenti e procedure. In parole povere, la cybersicurezza dovrà conciliarsi con l’usabilità meglio di quanto non faccia oggi. Una ricerca della stessa Gartner mostra che le cattive abitudini sono diffuse: tra coloro che hanno ammesso di aver compiuto “azioni non sicure” sul lavoro, il 90% era consapevole delle potenziali conseguenze ma non si è trattenuto dall’agire in quel modo. Servono, quindi, programmi di cybersicurezza modellati sulle persone e non sulle tecnologie disponibili.

• Privacy come vantaggio

Entro il 2024 i regolamenti sulla privacy imporranno restrizioni sulla maggior parte dei dati riguardanti i consumatori. Tuttavia una piccola percentuale di aziende, meno del 10%, avrà imparato a fare della privacy un vantaggio competitivo, un modo per distinguersi dalla concorrenza e per ottenere la fiducia di clienti, partner, investitori e autorità di controllo. Gartner, quindi, suggerisce ai Ciso di rafforzare, in azienda, gli standard di privacy allineati al Gdpr.

• Le difficoltà dello Zero Trust

L’adozione del modello Zero Trust (fiducia e privilegi minimi, controlli continui) è in crescita ma da qui ai prossimi anni, entro il 2026, solo il 10% delle grandi aziende avrà adottato dei programmi di cybersicurezza “completi, maturi e misurabili” basati su questo approccio. Sarà comunque un progresso rispetto all’attuale 1%. Gartner sottolinea che per un’adozione matura, ampia e ben strutturata dello Zero Trust è necessario integrare e configurare diverse componenti della cybersicurezza aziendale, e può non essere facile. Meglio quindi partire da un piccolo progetto e affrontare passo dopo passo le complessità che si presenteranno.

• Un cambiamento di ruolo

Già oggi il 41% dei dipendenti aziendali acquisisce, modifica o crea tecnologia all’insaputa dell’IT. Da qui al 2027 la percentuale salirà al 75%. Dunque i Ciso non potranno più essere considerati i responsabili dei rischi IT aziendali, ma semmai saranno dei “facilitatori di decisioni” che implicano il rischio. Dovranno, tra le altre cose, relazionarsi ai dipendenti per influenzare nel bene i loro comportamenti e renderli più consapevoli dei rischi dei loro comportamenti.

• Un lavoro stressante

Da qui al 2025 quasi la metà degli attuali responsabili di cybersicurezza avrà cambiato lavoro, migrando da un’azienda all’altra e (in metà dei casi) optando per un ruolo differente. Avverrà per molteplici fattori di stress, accentuati dalle conseguenze della pandemia (smart working, crescita delle minacce) e dall’attuale carenza di talenti nel settore della cybersicurezza. Per chi lavora in quest’ambito, sottolinea Gartner, lo stress può diventare insostenibile.

• Rappresentanza nel board

Entro il 2026, nel 70% delle aziende ci sarà all’interno del board un un esperto di cybersicurezza. Dunque i Ciso dovrebbero imparare a parlare la lingua del business ma anche a far comprendere ai membri del board attuali come la sicurezza informatica funzioni, perché è importante e come può aiutare a prendere decisioni migliori. Gartner si auspica una “relazione più stretta” tra dirigenti e Ciso, tesa a migliorare la fiducia e il supporto reciproci.

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MISURARE IL RISCHIO CYBER CON DATI OGGETTIVI

Oggi è sempre più importante una corretta valutazione del rischio cyber e della postura di sicurezza dell’azienda. In questa intervista Renato Bloise, chief operating officer di Cybersel, ci spiega il valore di una misurazione dei rischi basandosi su dati oggettivi.

Quali sono le attività più rilevanti nella gestione del rischio cyber?

Oggi il punto centrale nel controllo del rischio è la gestione delle performance della sicurezza, o security performance management. Per ottimizzare la gestione occorre però partire da una chiara valutazione del rischio cyber su tutto il perimetro digitale esposto avvalendosi di valutazioni oggettive. Ad oggi, il perimetro digitale non ha confini, arriva al cloud o a perimetri nascosti, sconosciuti alla stessa azienda. È fondamentale aiutare le aziende nel processo di governance e in tutte le procedure inerenti alla gestione del rischio cyber, al fine di guidare gli investimenti e garantire un adeguato ritorno su tutti i controlli di sicurezza implementati. Servono, quindi, meccanismi di controllo continuo e costante della performance, da mantenere nel tempo, ossia un security performance management del perimetro digitale. L’ideale sarebbe avere un indicatore giornaliero.

Qual è oggi la cultura delle aziende italiane su questo tema?

La cultura del rischio è sempre più matura. Molti studi hanno posizionato il rischio cyber per un’azienda come quello più elevato in assoluto, anche più di quello geopolitico. Controllarlo e gestirlo è quindi un’attività fondamentale. Per la security governance servono soprattutto buoni indicatori: non è possibile farla basandosi su sensazioni. Bisogna quindi disporre di strumenti e di una visione completa su tutti i controlli di sicurezza, per poter garantire un adeguato ritorno degli investimenti.

Come si affronta l’analisi del rischio cyber della supply chain?

Se una volta la supply chain era un tema a cui si interessavano solo i più preparati, oggi non è più così. Esiste una chiara compliance che impone di controllare il rischio cyber dei fornitori, ma per gestire correttamente la sicurezza delle terze parti è necessario mixare informazioni soggettive (quelle provenienti dai questionari) e anche oggettive. Se da un lato non posso fare a meno di chiedere alcune cose alla supply chain, dall’altro lato non posso limitarmi ai soli questionari, devo integrarli con dati oggettivi.

Questi sono recuperabili, ad esempio, dai security score rating: noi da anni siamo il principale fornitore europeo di BitSight, una tecnologia che misura il rischio cyber tuo e delle tue terze parti analizzando dati pubblici provenienti da fonti Osint (Open Source INTelligence, ndr). Questa soluzione analizza quindi i fattori di rischio delle terze parti indipendentemente dal coinvolgimento della mia terza parte. Ciò ha un’elevata rilevanza: se faccio il questionario chiedendo alla terza parte se negli ultimi mesi ha rilevato delle botnet, e la risposta è no, posso avere dati oggettivi che confutano tale informazione. Ciò impatta sulla qualità dei dati soggettivi raccolti con il questionario. Un secondo aspetto da considerare è che, in tema di sicurezza della supply chain, emerge il coinvolgimento di figure business, come le funzioni di rischio o procurement: il processo di gestione va quindi esteso all’interno dell’azienda. Bisogna tenere conto di tutti questi elementi, individuare i corretti processi aziendali, affrontare questo progetto gradualmente, sapendo che prima o poi saranno coinvolte più funzioni aziendali. E pensarlo da subito come un processo integrato nell’azienda.

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TECHNOPOLIS PER CYBERSEL
In un perimetro digitale senza più confini, la gestione della sicurezza informatica deve partire dalla corretta valutazione dei rischi.
Renato Bloise

LA SICUREZZA DIVENTA UN SERVIZIO GESTITO

Chi sono i Managed Security Service Provider presenti in Italia, che attività svolgono e perché sono sempre più richiesti dalle aziende grandi e piccole.

Offrire servizi è ormai l’alternativa alla complessità che le aziende devono affrontare per gestire una sicurezza in continua evoluzione, impegnata a tenere il passo con la crescita degli attacchi. Se i prodotti sono troppi, meglio rivolgersi ai servizi. E che siano tassativamente gestiti in outsourcing, da qualcuno molto esperto. I partner IT si stanno ritagliando proprio questo nuovo ruolo sul mercato, mettendo nel proprio curriculum il “titolo” di Mssp, vale a dire Managed Security Service Provider, evidenziando così di essere in grado di erogare servizi a corredo, o in completa sostituzione, della fornitura di prodotti per la sicurezza IT. Si punta a garantire l’utilizzo

corretto e sicuro di applicazioni e infrastrutture, svincolandoli, per il cliente finale, dalla logica delle licenze. Si tratta di un fenomeno che sta letteralmente esplodendo, soprattutto nella denominazione dell’offerta di molti vendor, e dietro il quale si cela un modo nuovo (o comunque in evoluzione) di gestire moltitudini di clienti in maniera centralizzata, semplificata o addirittura automatizzata. Secondo gli analisti di MarketsandMarkets, il giro d’affari mondiale degli Mssp crescerà dai 27,7 miliardi di dollari del 2022 ai circa 49,6 miliardi previsti per il 2027.

Un boom giustificato

In effetti, l’aumento della complessità delle infrastrutture aziendali (che vedono una crescente integrazione di strumenti e soluzioni per fare fronte alle nuove esigenze imposte dal mercato) richiede un’escalation nella quantità e nella qualità delle competenze interne. E sono poche, ormai, le aziende in grado di stare al passo. Nemmeno quelle di grandi dimensioni, che hanno a loro disposizione nutriti team dediti alla ge-

stione dei propri asset IT, vi riescono o – per meglio dire – non trovano conveniente farli gestire internamente perché questo comporterebbe un ampio impiego di risorse, poco sostenibile per i costi e l’efficienza.

L’alternativa che sempre più aziende stanno adottando è l’outsourcing di tutti i propri sistemi informativi o di parte di essi e delle applicazioni connesse. Si va quindi verso il ricorso agli Msp (Managed Service Provider), i quali erogano servizi di vario tipo a canone, prevalentemente orientati alla gestione dell’infrastruttura, di applicazioni, backup e via dicendo. Ma si arriva anche all’uso “as a service” dei dispositivi, per i quali vengono garantiti funzionamento, aggiornamenti, manutenzioni. In pratica, un Msp può prendersi carico di tutte le mansioni che solitamente verrebbero svolte da un team IT interno a un’azienda. Con il vantaggio di avere persone totalmente dedicate a queste problematiche, che utilizzano le corrette e più aggiornate tecnologie, con le dovute competenze e le certificazioni sui brand utilizzati.

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Cybersicurezza complessa

L’area tecnologia che maggiormente si è complicata negli ultimi anni è quella inerente alla cybersecurity. Una complicazione nella gestione delle numerose soluzioni a rimedio, che è figlia diretta dell’incredibile incremento degli attacchi a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. I cybercriminali hanno sfruttato i timori diffusi intorno alla pandemia di Covid, alla guerra in atto ai confini dell’Europa ma, soprattutto, hanno fatto leva sulle mutate tendenze nella gestione del lavoro (smart working e lavoro ibrido). Situazioni nuove che hanno di fatto cancellato la già labile linea dei perimetri aziendali, delegando al cloud l’infrastruttura di accesso alle applicazioni e interazioni aziendali, e aprendo nuovi fronti d’attacco a un cybercrimine che non aspettava altro. Il perimetro dell’IT, come si suol dire, è sempre più sfumato. Tante modalità d’attacco equivalgono a tante soluzioni e modalità di difesa. Una situazione davvero troppo complicata da gestire, con il rischio di non proteggere adeguatamente e in maniera veloce i dati e le informazioni essenziali per la sopravvivenza stessa del business. Serve quindi rivolgersi a chi queste pratiche le fa di mestiere. Nel caso della cybersecurity, un Mssp è proprio la figura che si prende l’incarico di gestire la sicurezza per conto di un cliente. Anzi, di molti clienti contemporaneamente. Lo fanno da remoto, attraverso console di gestione, acquisendo quantità di licenze a prezzi concorrenziali per monitorare e intervenire grazie a un pannello di controllo alle eventuali anomalie riscontrate presso i tanti clienti che aderiscono ai servizi che l’Mssp riesce a erogare. I servizi gestiti da terze parti consentono ai clienti di mantenere la propria rete, i propri endpoint e altro ancora, monitorati nella loro integrità; il controllo, invece,

LE PRINCIPALI ATTIVITÀ DEGLI MSSP

• Assessment iniziale per la mappatura e valutazione dei rischi

• Ricerca, implementazione e configurazione delle soluzioni

• Monitoraggio e risposta agli incidenti

• Security Operations Center (Soc) 24/7

• Threat intelligence

• Gestione degli accessi e/o delle policy

• Gestione degli endpoint

• Gestione delle soluzioni (antivirus, firewall, sistemi di prevenzione delle intrusioni, backup, Vpn e altro)

• Troubleshooting e gestione degli aggiornamenti

• Reporting, revisione e conformità

• Training del personale aziendale

viene delegato a chi su queste piattaforme, soluzioni specifiche, di nicchia o comunque con funzionalità di base o avanzate, ha sviluppato competenze solide. Competenze che, dicevamo, vengono messe a disposizione a un gran numero di clienti contemporaneamente, con una scala di costi che diventa in tal modo accessibile anche alle realtà di piccole e medie dimensioni, le quali altrimenti non avrebbero la possibilità di creare e mantenere professionisti in grado di garantire un controllo di tale efficacia.

In lotta contro un’industria Il cybercrime è ormai un’industria strutturata e in continua crescita. Il confronto, ormai da tempo, non è più con i cani sciolti che nell’hackeraggio traevano soddisfazioni personali fini a sé stesse, ma con soggetti che ambiscono al guadagno economico, strutturati in vere e proprie organizzazioni, le quali hanno capacità d’investimento enormi, proporzionate al giro d’affari del settore. Inoltre la crescente digitalizzazione delle imprese sta creando nuove occasioni per il cybercrimine. Intanto il “sempreverde” phishing continua a evolvere e alla “pesca a strascico” si

affiancano truffe mirate sulla singola azienda target. A ciò si aggiungono le azioni cyber legate all’attualità geopolitica, come gli attacchi che mettono fuori uso infrastrutture o servizi del Paese nemico.

Lavorare su due fronti Servono, quindi, armi affinate e che devono essere messe in mano a professionisti, i quali si trovano a loro volta a dovere trovare un equilibrio tra una situazione tecnologica e di mercato in velocissima evoluzione. Gli Mssp si interfacciano, da un lato, con clienti dalla scarsa propensione a interpretare la sicurezza come investimento, e dall’altro con aziende vendor che a volte non sorreggono in maniera adeguata gli sforzi necessari per veicolare un servizio (sforzi superiori alla semplice vendita di un prodotto). Da loro, direttamente, abbiamo ottenuto alcuni commenti riguardo quanto incontrano quotidianamente del loro lavoro. Difficoltà o opportunità, che abbiamo raccolto in una serie di quote che riportiamo nelle pagine seguenti e che sono segno di un’Italia che cresce digitalmente, anche se a ritmi diversi zona per zona.

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NUOVE ESIGENZE DA COLMARE

“Le aziende sono meno interessate che in passato al prodotto utilizzato, chiedendo, piuttosto, un servizio gestito per la loro sicurezza IT. I clienti possono così affidarsi a un servizio di protezione dei propri dati, sapendo che ci sarà qualcuno che si occupa, con le giuste tecnologie e le necessarie competenze, di garantirne la sicurezza. Certamente per fare ciò è necessario ottenere la piena fiducia da parte del cliente, in una logica di vera e propria partnership”.

“La flessibilità offerta dal lavoro da remoto rappresenta un’opportunità, ma dev’essere ben gestita per evitare problemi alla sicurezza. Bisogna concentrarsi sulla protezione del network aziendale in modo più esteso, oltre l’endpoint inteso come postazione di lavoro. Il cliente stesso ci chiede di essere seguito in maniera più completa, dando un valore al

fatto di poter disporre di competenze specializzate sulla tecnologia utilizzata. Quindi prodotti, servizi professionali specifici e formazione”.

Giulio Faita , sales director e co-founder di Akito (Perugia)

“Le aziende si stanno rendendo conto della crescita sproporzionata delle minacce e dell’impossibilità di farvi fronte con le risorse interne. Nasce così l’esigenza di appoggiarsi a chi, come noi, offre servizi gestiti per la security. Assicuriamo inoltre il contatto diretto con i reparti tecnici di alto livello dei vendor internazionali, spesso assenti a livello locale”.

Marco Bavazzano, Ceo di Axitea (Milano)

“Da sempre facciamo evangelizzazione in ambito business, ma rimangono ancora delle remore ad affrontare la security in maniera corretta. Un vero problema, soprattutto ora che le aziende devono affrontare la security legata allo smart working. Per questo motivo proponiamo Consys as a Service, che comprende anche l’educazione degli utenti, visto che oggi sempre più l’attacco esterno è diretto alla persona e non al data center”.

Luca Brignoli, sales manager di Consys (Milano)

“Il Gdpr, prima, e le attuali cronache di attacchi descritte dai mass media stanno insegnando alle aziende che cosa possa comportare il non essere protetti adeguatamente. E a noi consentono di

parlare di temi che non sono più sconosciuti. Ora poi, con il crescere del trend delle assicurazioni legate alla security, gli imprenditori iniziano a prestare maggiore attenzione al tema, chiedendo vulnerability assessment della rete per poter ottenere rating maggiori”.

Loris Collina , socio fondatore di Idealogica (Udine)

“La tempestività di risposta è uno dei punti principali nell’offerta verso i nostri clienti, grazie a un team di professionisti specializzati, in grado di offrire servizi di monitoraggio continuo dei loro sistemi. Un’operazione da noi realizzata grazie alla consulenza che forniamo, aiutando le aziende a scegliere le tecnologie più adatte all’ottenimento dei loro obiettivi di sicurezza IT. Consulenza che fa rima con fidelizzazione, grazie alla conoscenza del business dei clienti e delle dinamiche dei settori ove operano”.

Stefano Cecchetti, socio fondatore di Informatica95 (Perugia)

“Lo smart working consente di poter accedere a risorse, applicazioni, dati e informazioni aziendali in ogni momento, indipendentemente da dove essi siano fisicamente. Un tema che evidenzia carenze nella protezione di quelle aziende che si sono repentinamente orientate al cloud, sia per affrontare il periodo emergenziale del lockdown sia nel definire strategie future e flessibili per la gestione del lavoro. La posta in gioco è alta e bisogna definire insieme, noi con il cliente, una strategia di protezione”.

Francesco Gargiulo, cofondatore di ITLab360 (Roma)

“I clienti non hanno percezione dei rischi legati a un non corretto approccio ai temi della sicurezza, nella convinzione di essere eternamente ‘graziati’ dal cybercrime, senza valutare quanto perderebbero nel caso di un attacco: soldi o

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LA RISPOSTA DI WATCHGUARD AL FENOMENO MSSP

WatchGuard Technologies è stata tra le aziende pioniere nella creazione di programmi e tecnologie dedicate ai partner Mssp. Il suo programma di canale WatchGuardONE per Mssp è stato pensato per premiare la competenza dei partner: non sono previsti target di vendita, ma vengono incentivate le certificazioni sui prodotti. Più si investe in conoscenza sulle tecnologie WatchGuard e più si ha diritto a scontistiche e a passaggi di livello. La gestione di software o hardware si basa su punti prepagati: l’operatore Mssp può acquistare

addirittura la fine dell’attività. Un prodotto non basta, e il problema è quanto è poco spesso i clienti diano valore ai servizi che noi aggiungiamo alla vendita: manutenzione, supporto, intervento, che purtroppo danno per scontato”.

Loreto Iacovella, direttore vendite di Mondovision (Frosinone)

“Il mondo dei servizi gestiti è ormai preso d’assalto da tutti, vendor compresi, ma ha un costo alto in termini di personale competente. Alcune multinazionali inoltre allettano i nostri professionisti proponendo loro stipendi fuori dalla nostra portata e dal contesto locale in cui operiamo. Per questo ai vendor chiediamo di valorizzare gli sforzi che poniamo nell’approccio e risoluzione dei problemi dei clienti, che non si risolvono con la vendita di un software”.

“La sicurezza dovrebbe diventare un nuovo modo di impostare il lavoro. Dobbiamo tutti, noi e i clienti, essere più rigorosi nel definire e rispettare le

i punti mensili necessari a gestire il cliente, con la massima flessibilità. Il cliente può comprare pacchetti di servizi con un canone mensile, e ciò solleva le aziende da investimenti su hardware e tecnologie e consente quindi di passare da investimenti capex ad opex, aspetto rilevante nel mercato italiano. Il partner che scelga WatchGuard può contare su un ecosistema di prodotti molto semplici da installare, configurare e gestire, che fa leva sul concetto di Unified Security Platform: una serie di soluzioni che permettono di proteggere reti,

regole soprattutto in una complessità tecnologica come quella attuale, che va ovviamente a incidere anche sui costi, che aumentano, di gestione. I clienti devono però imparare a valorizzare il maggiore impegno che un servizio di sicurezza implica rispetto alla semplice vendita di un prodotto”.

Francesco Ziviani, owner e sales manager di Surftech (Verona)

“Prima del covid il tema della sicurezza era scarsamente considerato dal management delle aziende e gli investimenti erano pressoché inesistenti. Oggi il tema fa parte della realtà quotidiana, se ne sente parlare anche dai media, il che inizia a generare un po’ di cultura sulla necessità di proteggersi. O, almeno, dei danni che potrebbero derivare da una mancanza di protezione. E qui possiamo intervenire con un’attività di tipo consulenziale”.

Domenico Baldasso, Ceo di Trevigroup (Treviso)

“La sicurezza ormai è entrata nella stanza del board aziendale, tocca i processi

endpoint, Wi-Fi e di offrire l’autenticazione multi-fattore, il tutto gestito con un’unica piattaforma centralizzata in cloud. I servizi possono essere attivati solo al bisogno e si possono sospendere in ogni momento. Inoltre, viene fornito supporto in lingua italiana, sia telefonicamente sia tramite i classici ticket via web. WatchGuardONE per Mssp e i prodotti WatchGuard offrono la massima flessibilità e il supporto necessario per un flusso di entrate prevedibile, redditizio e ricorrente.

Ivan De Tomasi, country manager, Italy & Malta di Watchguard

e deve essere decisa come strategia di business dal top management. Se prima il nostro unico interlocutore era il Cio, oggi ci confrontiamo anche con la parte legale e con il procurement, che a volte sono in contrasto tra di loro. Un impegno nettamente maggiore rispetto al passato, che allunga tempi e complessità della trattativa e che dovrebbe essere riconosciuto dai vendor in qualche modo”.

Duccio Manganelli, board of directors e sales manager di Uno Informatica (Arezzo)

“La nostra fidelizzazione del cliente parte dalla proposizione di un gestionale, che poi sosteniamo costruendovi intorno un’infrastruttura IT che porti a trasformazione digitale. Un percorso che definiamo direttamente con i titolari delle aziende da noi seguite, i quali non hanno preclusioni o indicazioni sui brand da utilizzare, affidandosi interamente a noi sulla base degli obiettivi da raggiungere e riconoscendoci un ruolo da consulenti per il business”.

Ivan Gobetti, responsabile strategia e sviluppo business di Vecomp (Verona)

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IN CORSA PER LA

DIGITALIZZAZIONE

DELLA SUPPLY CHAIN

L’azienda simbolo del motociclismo sta trasformando i processi legati alla gestione degli approvvigionamenti e della logistica operativa.

Da qualche tempo, Ducati Motor Holding ha avviato un piano di innovazione digitale che ha coinvolto soprattutto l’ecosistema dei trasporti, per rendere i processi di approvvigionamento e logistici più efficienti e moderni. La fase iniziale del progetto si è concentrata sulla pubblicazione dei piani di consegna ai fornitori diretti, oggi circa 300, e sulla gestione degli avvisi di spedizione. In seguito è stato lanciato un progetto pilota basato sull’utilizzo di tecnologie Rfid (identificazione a radiofrequenza) e IoT (Internet of Things) per consentire il monitoraggio di 2.500 mezzi della flotta di proprietà e il tracciamento in tempo reale delle moto. Ciò permette significativi benefici in termini di automazione del processo di controllo

LA SOLUZIONE

Nei processi descritti, l’azienda motoristica si è avvalsa delle tecnologie di Tesisquare, azienda cuneese (45 milioni di euro di fatturato nel 2022) specializzata in soluzioni per la supply chain e presente in 40 Paesi. In particolare, sono stati adottati i moduli Inbound Management e Tracking & Costing della Tesisquare Platform.

delle operazioni, dalla pianificazione degli ingressi e delle uscite alla gestione di eventuali anomalie e ritardi tramite alert proattivi.

Nel corso del 2021 Ducati ha poi lavorato all’ottimizzazione del processo di collaborazione con tutti i fornitori della filiera (circa 700) per la richiesta e la condivisione dei certificati di origine merce tramite workflow strutturati e automatizzati, che hanno consentito di snellire le attività operative di controllo dei documenti, garantendo la gestione proattiva delle scadenze e una riduzione dei solleciti verso i fornitori. L’azienda ha lavorato anche sul processo di qualificazione dei fornitori, sulla raccolta dei documenti e per i processi di bid management (gestione delle offerte) tramite workflow approvativi interni e alert automatici. Nell’iter di trasformazione sono stati coinvolti anche la gestione dei ricambi, le procedure e i tempi di carico e scarico presso tutti i magazzini Ducati, con la gestione delle prenotazioni e le relazioni con i dealer a livello globale e con i principali corrieri espresso. L’obiettivo è stato di dare al cliente finale visibilità sullo stato di avanzamento del proprio ordine. “Abbiamo integrato in un unico portale tutti i dati necessari per la gestione degli approvvigionamenti e della logistica operativa in generale”, racconta Filippo Roncoroni, logistics director di Ducati Motor Holding. “Seguiamo i nostri componenti dal fornitore fino all’arrivo e al caricamento presso il nostro magazzino. Con gli ultimi sviluppi ci siamo proiettati verso i nostri clienti tracciando anche il nostro magazzino, il prodotto finito e la parte delle spedizioni outbound”. Quest’anno la casa motociclistica prevede di ampliare la digitalizzazione anche verso le spedizioni dei prodotti finiti, con l’obiettivo di estendere la visibilità e favorire il controllo dei costi di trasporto. In previsione c’è anche l’adozione di nuove funzionalità per la gestione del tracking inbound e per la pubblicazione dei disegni e degli ordini chiusi, che vedranno l’onboarding anche dei fornitori indiretti e di Ducati Corse.

ECCELLENZE.IT | Sit voluptate 46 | MAGGIO 2023
Ducati Motor Holding

CONTINUITÀ E RESILIENZA PER LA SETTIMA ARTE

La società di servizi di post-produzione audio e video per il settore cinematografico ha potenziato backup, disaster recovery e prestazioni grazie a QNAP.

La crescita continua dei dati è una sfida per tutte le aziende, ma soprattutto per quelle che trattano con formati di dato particolarmente “pesanti”. Fondata nel 2001 a Roma, Laserfilm è una società di servizi di post-produzione audio e video per il settore cinematografico, come doppiaggio, sottotitolaggio, editing, effetti visivi, restauro audio/video e, non da ultimo, storage. Il suo data center ha una capacità di 2 petabyte su tecnologia San (Storage Area Network) e di 4 PB su Nas (Network Attached Storage), con velocità di trasferimento dati che arrivano a 10 gigabit per secondo su connessione Simmetrical Internet e a 200 Gb/s nel core network. “Alcuni dei Nas in utilizzo si avvicinavano al fine vita”, racconta Alessandro Gubbiotti, head of data management & IT security department di Laserfilm, “e avevamo la necessità di rinnovare una parte di macchine di fondamentale importanza per noi, in particolare quelle per lo storage del nostro cluster virtuale, basato su hypervisor Citrix”. Il cluster include circa 25 macchine virtuali su cui poggiano diversi servizi critici, come i controller di dominio (server impiegati per autenticare gli utenti sulla rete). La continuità di questi servizi è vitale per l’azienda, e dunque accanto alla volontà di svecchiare il parco macchine c’era quella di potenziare l’efficienza, la disponibilità e la resilienza del cluster. Prima del rinnovamento, Laserfilm si affidava a un unico Nas di QNAP che eseguiva la sincronizzazione tramite RTRR (Real-time Remote Replication) su un Nas diverso da quello di origine. “Il nostro

obiettivo”, prosegue Gubbiotti, “era quello di avere una macchina sempre attiva, con doppio controller per high-availability con tempi di inattività quasi pari a zero”. Per il progetto, completato entro il mese di febbraio di quest’anno, l’azienda si è affidata ad Allyn, distributore e system integrator romano specializzato in tecnologie per il settore Broadcast, Media & Entertainment. La scelta del sistema Nas da adottare è ricaduta su QNAP, e non solo

LA SOLUZIONE

Il Nas QNAP ES1686dc, basato su file system Zfs e su processori Intel Xeon D, garantisce a Laserfilm 125 TB di spazio disponibili (oggi non utilizzati interamente). Include funzionalità di snapshot quasi illimitati e SnapSync in tempo reale per la replica dei dati istantanea dal Nas di origine a quello di destinazione. Il sistema gestisce sia i backup completi sia quelli incrementali.

perché altre macchine di questo vendor erano già in uso. “Dopo ricerche e comparazioni, abbiamo selezionato QNAP in base al rapporto qualità/prezzo, alle prestazioni e ai servizi offerti”, specifica Gubbiotti. Il sistema adottato è QNAP ES1686dc, un Nas che supporta i software di virtualizzazione e garantisce continuità ai servizi critici, gestendo sia i backup completi (frequenti) sia quelli incrementali (quotidiani). Per non creare discontinuità durante la fase di transizione, è stato realizzato e reso operativo un nuovo cluster e qui sono stati migrati i servizi direttamente dall’online, tramite hypervisor. “In passato già potevamo contare su un’elevata disponibilità e su tempi di ripristino abbastanza veloci, ma con il nuovo Nas la sicurezza è aumentata e i tempi di ripartenza sono quasi pari a zero, e inoltre possiamo contare su due controller sempre attivi”, assicura Gubbiotti. “Anche la user experience di chi fruisce i nostri servizi è migliorata: per esempio i tempi di apertura e di accesso al database di DaVinci Resolve, un software di color e conforming per post produzione, si sono velocizzati”.

ECCELLENZE.IT | Laserfilm 47

IL PARMIGIANO REGGIANO È “4.0”

ANCHE GRAZIE ALLA RETE

Le

La trasformazione “4.0” ha raggiunto anche un’attività tradizionale come la produzione casearia, inclusa quella di alimenti simbolo del made in Italy quale il Parmigiano Reggiano. L’utilizzo di sensori, connettività Internet of Things e automazione è la strada scelta da Fienilnuovo 1644, un’azienda agricola di Palidano di Gonzaga (Mantova), che ha nel Parmigiano il proprio core business. L’intera filiera è in loco, dall’allevamento del bestiame (tremila capi che popolano 600 ettari di terreno) alla trasformazione del latte, e anche la produzione energetica è realizzata internamente grazie a un mix di biogas, fotovoltaico ed elettricità ricavata da fonti rinnovabili. Una costellazione di sensori, collegati in rete e installati nei vari locali di lavorazione, permette a Fienilnuovo di tenere sotto controllo i parametri di produzione del formaggio Dop, il cui monitoraggio è necessario per poter

LA SOLUZIONE

La rete dedicata del caseificio impiega 14 access point Wi-Fi Cambium CN Pilot E410, con interfaccia Gigabit Ethernet e doppia banda di frequenza (5 GHz e 2,4 GHz), e due switch Cambium da 24 porte, eventualmente espandibili in futuro.

rientrare nel Disciplinare di produzione. L’azienda casearia ha installato una serie di centraline che sovrintendono al funzionamento delle caldaie, mentre nelle sale adiacenti (dedicate al “riposo” delle forme e alla salatura) altre centraline controllano le altre fasi della produzione e immagazzinano i dati necessari per il monitoraggio degli standard e il rilevamento di eventuali difformità.

Esistevano, tuttavia, non meglio identificati problemi di rete che impedivano a tutte queste apparecchiature di funzionare correttamente. Fienilnuovo si quindi è rivolta a Uniontel, system integrator di Parma focalizzato sui servizi di telecomunicazione, informatica e cybersicurezza, che ha identificato la causa esatto: gli indirizzi disponibili per gli apparati erano finiti, ovvero non era sufficiente una sola subnet per gestire e interconnettere tutti i sistemi progressivamente aggiunti alla rete (rete che, fra le altre cose, era condivisa tra il caseificio condivideva la stessa rete con l’amministrazione). Bisognava, quindi, attivare una rete specifica per

ogni area di interesse, una per l’amministrazione, una per le stalle, una per il caseificio, una per la videosorveglianza, e così via. E poiché il sito al momento era raggiunto da semplice connettività Adsl, si è deciso di iniziare dal caseificio, cioè dall’area che presentava le necessità più urgenti. La struttura, caratterizzata da altezze notevoli e locali poco o per nulla agibili, ha reso l’opera non semplice. L’installazione ha coperto tutta la lunghezza della struttura, nel controsoffitto. La scelta tecnologica è ricaduta su Cambium Networks: sono stati installati 14 access point Wi-Fi e due switch espandibili. Sulla rete si appoggiano le centraline che sovrintendono alle caldere del latte e quelle che controllano ogni fase della produzione, compreso il trasporto automatizzato delle forme da una stanza all’altra attraverso ganci. “La soluzione implementata da Uniontel ha risolto brillantemente i problemi che avevamo riscontrato sulla rete, consentendoci di fare un passo importante verso automazione e controllo della produzione nel più rigoroso rispetto del Disciplinare”, ha commentato Giuseppe Di Salvo, referente tecnico di Fienilnuovo. Il progetto ha consentito di eliminare i conflitti di rete e di garantire, con un network dedicato, una copertura completa in tutto il caseificio. In generale le apparecchiature comunicano correttamente tra di loro e i tutti i processi sono fluidi e coordinati. I sensori, sempre connessi, permettono di monitorare il rispetto delle regole del Disciplinare e, in caso di necessità, di intervenire tempestivamente per minimizzare l’eventuale scarto. Le performance della rete dedicata al caseificio hanno permesso di ottenere anche il pieno controllo da remoto.

ECCELLENZE.IT | Sit voluptate 48 | MAGGIO 2023
tecnologie di Cambium Networks hanno risolto gli esistenti problemi di rete e supportano l’automazione della produzione casearia.
Fienilnuovo 1644

IL DIGITALE MIGLIORA IL LAVORO DI MEZZI E PERSONE

L’azienda specializzata in servizi ambientali ha trasformato i suoi processi operativi, dall’IoT di automezzi e macchinari alle mansioni dei collaboratori.

Sotto il nome DigiFran si raccoglie il progetto di trasformazione digitale di Franchini Servizi Ecologici, azienda specializzata nel settore dei servizi ambientali. La necessità di reingegnerizzare un software gestionale ormai datato è servita come punto di partenza per far evolvere tutti i principali processi operativi, andando a coinvolgere la componente Internet of Things (IoT) presente su automezzi e macchinari, oltre a integrare la nuova sede di Bolgare, in provincia di Bergamo. La valorizzazione delle risorse umane ha animato il processo di innovazione. “Siamo partiti dall’idea di aiutare l’esperienza giornaliera dei nostri dipendenti, ottimizzandola e abbassando l’indice di stress correlato delle persone”, spiega Andrea Franchini, owner e responsabile tecnico dell’omonima società. “Sui mezzi, ad esempio, fin da subito abbiamo inserito la navigazione automatica per ovviare alla difficoltà derivata dalla ricerca della via durante i vari spostamenti. In un processo di digitalizzazione spinta di attività industriali, come nel nostro caso, alla base ci deve essere un rapporto etico e professionale molto solido tra le parti coinvolte. Allo stesso tempo, ci siamo preoccupati di creare condizioni ambientali come ad esempio la riduzione del chilometraggio e delle emissioni di CO2, nonché maggiore qualità”. L’intervento di base ha riguardato la necessità di far evolvere un software gestionale che aveva quasi vent’anni e che governava

molti processi aziendali. “Parliamo di un prodotto basato sul vecchio linguaggio Asp, per cui c’era la necessità di introdurre tecnologie più moderne”, riprende Franchini. “Dovevamo sostituirlo con un’impronta legata alla interconnessione di macchine IoT e di metodologie smart. Da una parte volevamo che gli operatori sul campo potessero fruire tramite smartphone le informazioni necessarie a svolgere le loro mansioni; dall’altra, puntavano all’integrazione della Progressive Web App (Pwa) con gli impian-

LA SOLUZIONE

Il nuovo software di gestione dei processi aziendali, paragonabile si basa su pCode, un framework sviluppato da Project Informatica e integrato nativamente con Microsoft Azure, di cui utilizza una serie di servizi, tra cui IoT Hub per tutta la raccolta e la gestione dei dati. È costituito da un’interfaccia desktop e da una mobile tra loro interconnesse: la prima è quella utilizzata negli uffici, la seconda è impiegata dagli operatori sul campo.

ti come gli spurghi, le centrifughe e le macchine mobili per la disidratazione”.

Una delle prime difficoltà da superare è stata uniformare l’interfaccia Web dei pannelli Hmi (Human Machine Interface) o Plc (controllore logico programmabile) di diverse marche e modelli che usavano linguaggi differenti. E, in effetti, il linguaggio di programmazione ha rappresentato il primo scoglio da aggirare. Con il supporto di Project Informatica, l’azienda ha quindi provveduto a riprogrammare tutto in ambiente Microsoft .Net. L’opera ha coinvolto circa vent’anni di dati memorizzati e oltre mezzo milione di righe per tabella. Definite le opportune priorità, il processo è partito dal comparto spurghi, che presentava le criticità maggiori e il margine di miglioramento più immediato. In precedenza, il flusso di lavoro era gestito in modalità cartacea, mediante la compilazione da parte degli operatori di fogli il cui contenuto, una volta rientrati in sede, veniva inserito nel sistema. Un sistema che, fra l’altro, non era concepito per essere connesso ai dispositivi mobili. Su questo versante, è stato pertanto necessario realizzare un’interfaccia di front-end installabile su tutti i dispositivi in dotazione al personale come Progressive Web App.

ECCELLENZE.IT | Franchini Servizi Ecologici 49

NETCOMM FORUM

Quando: 18 maggio

Dove: Allianz MiCo, Milano

Perché partecipare: È il più importante appuntamento annuale dedicato all’e-commerce in Italia. All’interno dell’evento, organizzato da Digital Events, The Innovation Group vi invita a partecipare alla “Cloud conference”, in cui si parlerà del ruolo fondamentale del cloud per il commercio elettronico e gli ecosistemi digitali.

ICT ECOSYSTEM SUMMIT 2023

Quando: 6 giugno

Dove: Cefriel, Milano

Perché partecipare: È l’evento annuale di The Innovation Group che racconta alle aziende il lavoro degli operatori del canale Ict. Quest’anno focus sulla trasformazione verso il modello dei servizi gestiti.

BLUE & GREEN CONFERENCE

Quando: 15 giugno

Dove: Cefriel, Milano

Perché partecipare: Per capire come le aziende e la Pubblica Amministrazione italiane possono accelerare nella “doppia transizione”, ecologica e digitale, anche in una fase di crisi geopolitica ed economica.

CAMPANIA DIGITAL SUMMIT

Quando: 22 giugno

Dove: Centro Congressi Città della Scienza, Napoli

Perché partecipare: La tappa campana del ciclo di summit regionali di The Innovation Group sarà focalizzata su cinque temi: ecosistema dell’innovazione digitale; sanità digitale; cybersicurezza; economia “green”; infrastrutture, cloud e dati. In chiusura il “Cio Panel”, dedicato ai chief information officer.

RETAIL & FASHION SUMMIT 2023

Quando: 4 luglio

Dove: Hotel Meliá, Milano

Perché partecipare: Si parlerà delle nuove frontiere della customer experience, tra omnicanalità, intelligenza artificiale, pagamenti digitali e metaverso. Ma anche di supply chain sostenibile e di nuovi modelli di consumo.

50 | MAGGIO 2023 APPUNTAMENTI
RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION RETAIL & FASHION SUMMIT 2023 Smart Customer Smart Retail www.theinnovationgroup.it carlotta.difalco@theinnovationgroup.it The Innovation Group Innovating business and organizations through ICT INFO MAIL • Nuove frontiere della Customer Experience • Intelligenza Artificiale e Data Driven Retail • Sostenibilità e new product lifecycle • Realtà Aumentata e Metaverso: aspettative e primi casi di successo ALCUNI TREND TOPICS DEL SUMMIT: 3a edizione MILANO - 4 e 5 luglio 2023 Hotel Meliá, Milano

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