L’UNITA’ LABURISTA - 44
LA GESTIONE PUBBLICA DELLA COSA PRIVATA E NON VICEVERSA DI ROSANNA MARINA RUSSO
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on sono dedita solitamente all’ormai mitico “si faccia una domanda e si dia una risposta”, ma il tema è davvero complesso e stuzzicante. Come mangiare un piatto di cui non si riesce a riconoscere gli ingredienti, ma si vuole carpire il segreto. Perciò mi sembra utile, in questo caso, dedicarmi ad esercizi marzulliani. La prima domanda che mi faccio è: Chi è nato prima, il pubblico o il privato? Se crediamo in un Dio istituzione suprema, allora è nato prima il pubblico. E la cacciata dall’Eden è stata la nascita del privato di Adamo ed Eva.Se, invece, Dio rappresenta il padrone del Creato, allora il pubblico è una scelta gestionale di Adamo ed Eva. Ci scherzo, ovviamente.
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lo faccio perché mica è semplice stabilire con certezza quando si è sviluppata un’idea precisa della cosa pubblica rispetto a quella privata. Quest’ultima si è mossa in confini ben delineati da subito. Lo abbiamo studiato tutti: quando dal nomadismo si è passati alla stanzialità… a ognuno il proprio orticello, i propri animali, la propria tenda e la propria staccionata.
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l concetto di bene comune da custodire (tralasciamo per il momento i servizi essenziali), invece, non ha un anno zero e ha avuto nel tempo degli stop and go molto forti. Di sicuro ne parlò Tommaso d’Aquino, nella Summa, come di salute di una società che va salvaguardata da ciò che la inquina o la ferisce. E i periodi storici successivi hanno visto lievitare la diatriba filosofica attorno a un bene relativo a tutti, cioè a ogni individuo, o ai più, cioè alla maggioranza indistinta degli individui. L’una o l’altra posizione ha prevalso secondo il segno culturale del momento. Ma in questi mesi c’è una vera lotta sul punto e la discussione è, allo stesso tempo, filosofica e pragmatica. Parlo del vaccino anti Covid-19. Si discute fino allo sfinimento se abbia una valenza solo individuale o anche sociale, se cioè sia primaria
la sicurezza personale o quella collettiva. In un certo senso ci siamo avvitati tra i filosofi storici ed Hegel.
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a questo è solo un esempio di come privato e pubblico, nel senso di personale e interpersonale, continuano a contrapporsi. Di sicuro sappiamo che mentre tutto ciò che è relativo al soddisfacimento dei bisogni del singolo non ha necessità di grandi esegesi storiche e antropologiche, tutto quello che si configura come realizzazione compiuta del bene collettivo spesso è un’idea mal digerita, perché intacca qualche scelta individuale. Il suo significato è, dunque, lontano da essere univoco. E, forse, è giusto che sia così. Magari il dubbio che tutto sia ancora in costruzione ci aiuta a staccarci dall’idea di esasperata perfezione antropocentrica di cui spesso siamo colpevoli.
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a seconda domanda è posta in maniera più seria: come mai l’uso di beni e servizi, che dovrebbero appartenere a tutti in maniera egualitaria per poter riconoscere il benessere di una società, spessissimo è specchio di antiche e incancrenite disuguaglianze? Pare semplicistico pensare che il male discenda tutto dalla proprietà privata che ha indotto a curare il proprio e a non preoccuparsi dell’altrui e che, come imprimatur atavico, ci porta a mettere su un piano privilegiato ciò che ci appartiene in maniera esclusiva, rispetto al resto. Ma, in realtà, questo è possibile, non tanto per la presenza della proprietà privata tout court, quanto dal ritardo della presenza del diritto pubblico. Da un punto di vista giuridico il diritto privato ha preceduto di parecchio quello pubblico, perché quest’ultimo ha avuto bisogno del caposaldo costituzionale per esprimersi nelle varie branche. Quindi si sono regolamentati prima di tutto gli affari e le convenienze private, anzi inizialmente solo i rapporti commerciali tra gli individui, inducendo una sorta di sbilanciamento. E nel tempo, questo vuoto giuridico ha sostanzialmente permesso un uso strumentale delle proprietà privata I latifondisti,
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