Artribune #72

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N. 72 L MAGGIO –GIUGNO 2023 L ANNO XIII centro/00826/06.2015 18.06.2015 ISSN 2280-8817 L’arte al tempo delle AI: rivoluzione o minaccia? + Non solo suk e riad: il contemporaneo a Marrakech + Come abiteremo il futuro? La Biennale di Architettura 2023

BB (Fabrizio Ballabio, Alessandro Bava)

+ Lydia Ourahmane Moriah Evans A S A D R A Z A

feat.
25 MAR 3 SEP 23 Museion Bolzano Bozen Institutional Partners Design: Studio Mut In collaboration with Opening 24 MAR I Absorption 25 MAR II 20 × 10 × 5 26 MAY III Out of and Into: Plot 27 & 28 JUL IV Reabsorption 22 AUG Epilogue 08 SEP Institutional Partners Design: Studio Mut In collaboration with

6

Giovanni Attili e Matteo Capone

Giro d’Italia: Civita di Bagnoregio

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Saverio Verini

Studio visit: Daniele Di Girolamo NEWS

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IED – Istituto Europeo di Design La copertina “1 su 600.000.000”

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Ferruccio Giromini Il rosa John Wesley

24

Edoardo Pelligra (a cura di) Libri: Lo stato dell'arte / Rizomi

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Valentina Silvestrini

Ode alla Milano degli Anni Sessanta a Casa Baglioni

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Cristina Masturzo Top 10 lots.

Sotheby’s Milano Edition

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Roberta Vanali Dinamismo e sintesi nelle illustrazioni di Chiara Lanzieri

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Livia Montagnoli

La Genova che riconquista il mare

32

Marta Atzeni

Taller Capital, una risposta alla crisi idrica di Città del Messico

33

Claudia Giraud

Songs of stone: poesie in musica

34

Giulia Pezzoli

L’avidità degli umili

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Simona Caraceni

3 strumenti per aggirare il blocco a ChatGPT

36

Valentina Tanni (a cura di)

Cose: Uno sbaglio dipinto di blu

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Dario Moalli

Caterina Angelucci. La residenza come zona franca

STORIES

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Valentina Tanni

DIALOGHI ARTISTICI CON LA MACCHINA L’intelligenza artificiale è in grado di fare arte? Ripercorriamo la storia delle AI e scopriamo come gli artisti contemporanei le stanno incorporando nel loro lavoro

58

Giorgia Zerboni

MAGICA MARRAKECH

Tra suk e riad, la città marocchina sta assumendo sempre di più il ruolo di capitale dell’arte contemporanea africana, grazie a fiere internazionali e importanti musei

68

Valentina Silvestrini

IL LABORATORIO DEL FUTURO. LA BIENNALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA 2023

Decolonizzazione e decarbonizzazione protagoniste della kermesse lagunare. Ma anche un Padiglione Italia diffuso in tutto lo Stivale e il ritorno del Vaticano

MAGGIO

Iris Biasio Short novel: Era una grande casa vuota

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Massimiliano Tonelli Diamo ai musei la possibilità di premiare (o licenziare) i dipendenti

96

Irene Sanesi La cultura scommetta sulla meraviglia

97

Massimiliano Zane Cultura e PNRR: perché l'Italia rischia di fallire su tutta la linea

98

Desirée Madia (a cura di) Creare un Liceo del Made in Italy? Potenzialità e criticità

100

Renato Barilli L'invenzione: l'ultimo baluardo dell'umanità +

Fabio Severino Sulla presunta creatività delle macchine

101

Marcello Faletra La Francia e le città ribelli

102

Marco Senaldi

Thought-Forms: (ri)forme di pensiero

GRANDI MOSTRE #34

76

Marta Santacatterina Arturo Martini genio irregolare

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Stefano Castelli (a cura di) Le sculture di Davide Rivalta al Castello di Brescia

80

Angela Madesani Ugo Mulas l’artista della fotografia

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Fabrizio Federici Le vertigini barocche di Luca Giordano

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Nicola Davide Angerame A Barcellona va in scena il Marchese de Sade

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Giulia Giaume

Fantasmi e altre storie dal Giappone a Bologna

87

Claudia Zanfi

I Giardini della Riviera Ligure +

Cristina Masturzo

Vilhelm Hammershøi

Cecily Brown

OPENING
artribunetv
L
www.artribune.com artribune ENDING
GIUGNO 2023
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#72

GIRO D'ITALIA: CIVITA DI BAGNOREGIO

GIOVANNI ATTILI [testo] & MATTEO CAPONE [fotografie]

Il destino di morte di Civita di Bagnoregio è l’anello di delimitazione della sua stessa vita. Non è una catastrofe che sopraggiunge inattesa, ma il sigillo impresso sin dagli albori della sua genesi. Civita nasce con la sua morte, perché sorge su uno scoglio di tufo che si muove e si sgretola costantemente. È la particolare conformazione geomorfologica di questa terra, infatti, a trasformare la morte in una promessa regolarmente e invariabilmente mantenuta. Civita si offre, dunque, come luogo dove telos e archè si incontrano, dove la fine e il principio si richiamano costantemente. Civita vive della sua morte e muore di ciò che le ha dato vita.

Ed è proprio questa mortalità così intimamente intrecciata alla vita a rendere questo piccolo paesino dell’alta Tuscia, una creatura invasa dal canto della sua finitudine. Non è un caso che Bonaventura Tecchi le abbia donato l’appellativo de “ il paese che muore”. Siamo negli Anni Sessanta e il germanista bagnorese vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sul destino di disfacimento di questa fragile terra. Ma la storia conosce capriole inattese, salti, accelerazioni ed eterogenesi dei fini difficilmente prefigurabili. Oggi quello stesso appellativo si è trasformato in un violentissimo strumento di marketing territoriale. Un dispositivo di cattura turistica che

incornicia il presente di un paese travolto da un processo di mercificazione senza precedenti. Ciò che doveva salvare, contribuisce alla sua distruzione. In questa cornice rinnovata, anche la morte si svuota di senso. Quella morte, sacra e ritualizzata, che rappresentava l’archetipo più profondo dell’esistenza civitonica, si trasforma in una vacanza da vivere all’interno di un clima di banalizzazione e neo-folclorizzazione. Spogliata della sua imperscrutabilità, defraudata della sua aura, la morte diventa un feticcio che incipria di esotico il borgo. La sua immagine incarna l’altrove assoluto, attrattore fondamentale della fruizione

turistica. Una fruizione prettamente estetica che espelle il carattere stesso dell’esperienza. Della morte, infatti, il turista non fa esperienza. Piuttosto, la colleziona come una delle tante mirabilia da riporre all’interno di moderne Wunderkammer viaggianti. I turisti accorrono sedotti dal branding spettacolare del “paese che muore”. Cercano rovine e abbandono: frammenti di una morte miniaturizzata e accessibile. Vorrebbero respirare un’apocalisse tascabile da immortalare nel proprio cellulare. Loro malgrado trovano un paese abitato e ricostruito. Un paese completamente trasformato dall’industria turistica e dai suoi tentacoli mercificanti.

Alcune cifre: nell’anno che ha preceduto la forzata chiusura pandemica, Civita poteva contare su un nucleo di residenti stabili di 12 persone e su un flusso di turisti stimato dal Comune di Bagnoregio in circa un milione di unità. Sono numeri che raccontano di un fenomeno che ha finito col fagocitare l’intero paese, trasformandolo in un museo a cielo aperto a cui si può accedere solo pagando un biglietto di ingresso. Gli spazi pubblici vengono invasi dai tavolini di sempre nuovi esercizi commerciali, diventando di fatto spazi privatizzati. L’unico immobile di proprietà comunale ancora utilizzabile per progettualità collettive viene trasformato in una residenza turistica e inserito nella piattaforma di Airbnb (il sindaco, prima volta al mondo, diventa host di

questo immobile). I cortei funebri pedonali vengono vietati perché entrerebbero in conflitto con il flusso di turisti. La vita è stata sepolta da un cumulo di flash. Tutto ciò che un tempo era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione, in un’immagine devitalizzata. La vera minaccia con cui deve confrontarsi oggi Civita non viene più esclusivamente dal sottosuolo. Il rischio più grande è quello di trasformarsi in una cartolina: simulacro ed effige spettacolarizzata che, magnificandone le dimensioni pittoresche e folcloriche, finisce col mettere in vendita una intera città.

Matteo Capone, PCCB , 2022, Courtesy l’autore

This summer discover Florence

The Social Hub Florence thesocialhub.florence Viale Spartaco Lavagnini, 70-72, Florence
01.04 18.09.2023
Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it Edmondo Bacci Avvenimento #247, 1956 (particolare). Tempera grassa e sabbia su tela, 140,2 x 140 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © Archivio Edmondo Bacci, Venezia La mostra è resa possibile da I programmi collaterali sono resi possibili da Grazie a Con il sostegno di

STUDIO VISIT

DANIELE DI GIROLAMO

Dare un corpo a fenomeni effimeri e impalpabili: la pioggia che scende, il volo degli insetti attorno a un fiore durante l’impollinazione, il suono trasfigurato di antiche campane. Sono alcune delle tracce passeggere che Daniele Di Girolamo capta e utilizza per realizzare installazioni in cui la componente scultorea diventa l’ideale prolungamento del suono. È questa la cifra che, più d’ogni altra, mi sembra caratterizzare la pratica dell’artista: l’audio si propaga attraverso elementi disseminati nello spazio; cilindri rotanti, recipienti, tubi metallici si trasformano in inaspettati amplificatori, come se Di Girolamo immaginasse di attribuire al suono una plasticità. L’opera diventa così la pelle che riveste i fenomeni acustici, trasmettendone una memoria incerta e contribuendo a creare ambienti instabili e sospesi.

Il suono, per Di Girolamo, è costantemente associato all’atto di ricordare, con tutte le sue lacune, alterazioni, sfocature.

Mi piace pensare alle tue opere come a una vecchia canzone, capace di evocare memorie lontane che, attraverso l’ascolto, tornano a farsi vivide, presenti. Da dove nasce quest’ossessione per la componente sonora?

Ho sempre avuto un interesse per la musica, già da piccolo suonavo diversi strumenti. La parte visiva e quella sonora sono cresciute parallelamente finché, durante gli anni dell’accademia, mi sono sforzato di trovare un modo per unirli nel mio lavoro. Per far questo, ho dovuto prima capire cosa mi interessasse del suono, e ho realizzato che non lo si può considerare separatamente dalla sua componente materiale. Del suono mi piace molto anche l’ambiguità, la sua capacità di suggerire una serie di relazioni in corso, senza imporre un’immagine fissa.

È in questo margine di indeterminatezza che entra in gioco la memoria, perché il suono implica l’ascolto, e l’ascolto implica un riverbero: ciò che si ascolta è anche il riverbero che quel materiale ha in noi, in grado di innescare emozioni, associazioni, significati, ricordi.

La parte visiva rimane comunque centrale nella tua ricerca, al di là del suono. Sono curioso di sapere come procedi nella realizzazione delle tue opere: pensi prima alla componente audio o a quella “plastica”?

È molto variabile! Di solito ho una sensazione, un’atmosfera a cui vorrei avvicinarmi. Nelle opere dove uso gli speaker, la parte visiva arriva un attimo dopo il suono e cerca di esserne un corpo di risonanza, una naturale estensione. Il tentativo è quello di raggiungere una specie di inscindibilità tra le due componenti, come l’acqua che reagisce al

suono in Sky Above, Sea Below o la plastica che diventa una cassa risonante in Voci discrete di vecchie canzoni. Nei lavori dove il suono è innescato da materiali in movimento, invece, la componente più materiale si evolve di pari passo con i suoni. Per esempio, in Sending a letter for sanding words il tipo di plastica dei tubi rotanti, la loro forma, le dimensioni e la velocità di rotazione influenzano il modo in cui la graniglia si muove e collide, determinando volumi e tonalità. Il materiale all’interno dei tubi, in questo caso la sabbia, ho cercato di esplorarlo sotto l’aspetto acustico, per esempio raccogliendo una grana più spessa invece che sottile. Insomma, è un processo in cui sono le proprietà degli elementi a guidarmi, sia sonore che materiali: l’interazione tra le due definisce l’opera nella sua totalità.

C’è una lunga tradizione di artisti che hanno realizzato opere in cui suono e forma si incontrano, trovando un punto di equilibrio. Il primo che mi viene in mente è Robert Morris con Box with the Sound of Its Own Making (1961): quali sono gli artisti che ti piace guardare e ascoltare?

Zimoun è stato uno di primi a colpirmi, insieme alla serie Disintegration Loops di William Basinski. Poi ci sono le installazioni cinetiche di Rie Nakajima e, uscendo dall’ambito sonoro, mi ha molto influenzato il modo in cui Luca Vanello pensa e “processa” i materiali. Mi piace molto guardare le atmosfere di Ettore Spalletti, la libertà spaziale di Giovanni Anselmo e anche le creazioni dello chef Niko Romito: il modo in cui entra nell’ingrediente e lo stratifica mi fa pensare a un modo di approcciarsi quasi scultoreo.

bioNonostante tu non abbia ancora trent’anni, hai già diverse esperienze espositive con le gallerie commerciali. Ho tuttavia l’impressione che la tua pratica non sia così “immediata” per il mercato: che riscontri hanno le tue opere da questo punto di vista?

Daniele Di Girolamo è nato a Pescara nel 1995. Si è formato presso il Liceo Artistico di Pescara, poi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Attualmente sta concludendo un Master in arti visive presso la Malmö Art Academy, in Svezia. Le sue installazioni coinvolgono suoni e forme ambigue, motori cinetici, materiali industriali e organici, oggetti trovati, video, fotografia e scultura. Tra le esposizioni più recenti: Portfolio, Fondazione La Quadriennale di Roma, Palazzo Braschi (2022); Correct Ways to Misunderstand, Traffic Gallery, Bergamo (2022); straperetana - The New Abnormal, Pereto (2021); Sky Above, Sea Below (in collaborazione con Manrico Pacenti), Gallleriapiù, Bologna (2019); Bells breathe wildly, Guilmi Art Project, Guilmi (2019).

Posso confermare che la ricezione non è immediata, ma ho notato che i miei lavori un po’ più grandi e complessi aiutano a entrare con facilità nella mia pratica, accompagnando i collezionisti più volentieri verso lavori meno “complicati” da collezionare. È una sfida capire come alcune atmosfere complesse delle mie opere possano essere evocate anche da una singola stampa, penso per esempio a How to be weather. Si tratta di un’operazione di sintesi complicata e stimolante, come se fossi costretto ad andare dritto al punto. Per i lavori più ambientali, invece, mi hanno detto spesso che hanno un respiro museale: sarebbe bello, in futuro, trovare casa ad alcuni di essi!

Del suono mi piace molto anche l’ambiguità, la sua capacità di suggerire una serie di relazioni in corso, senza imporre un’immagine fissa.
STUDIO VISIT
a cura di SAVERIO VERINI 72 15
Daniele Di Girolamo, How to Be Weather , 2023, stampa a getto d’inchiostro su carta, cornice di legno bianca, 120 x 90 cm. Courtesy l'artista e Traffic Gallery. Photo Nicola Morittu Daniele Di Girolamo, Sending a Letter for Sanding Words , 2022, sabbia di mare, alluminio sabbiato e modellato, pelle in plastica, plastica modellata, frammento essiccato di pianta, motori, cavi, dimensioni ambiente. Courtesy l’artista e Fondazione La Quadriennale di Roma. Photo Carlo Romano Daniele Di Girolamo, Manrico Pacenti, Sky Above, Sea Below (dettaglio), 2019, vasca in PVC, speaker, acqua, 25 x 25 x 7 cm. Courtesy l’artista e Gallleriapiù. Photo Stefano Maniero

NEI NUMERI PRECEDENTI

#58 Mattia Pajè

#59 Stefania Carlotti

#61 Lucia Cantò

#62 Giovanni de Cataldo

#63 Giulia Poppi

#64 Leonardo Pellicanò #65 Ambra Castagnetti

#67 Marco Vitale

#68 Paolo Bufalini

#69 Giuliana Rosso

#70 Alessandro Manfrin

#71 Carmela De Falco

Qual è la condizione di un artista emergente in Italia, oggi?

Avendo fatto diverse esperienze all’estero, posso dire che in paesi come Svezia o Danimarca c’è un sistema di fondi (tra finanziamenti a progetto, borse di studio, stipendi d’artista e via dicendo) che aiuta tantissimo a poter dedicare più tempo al lavoro d’artista. In Italia ci sono sicuramente meno possibilità sotto il punto di vista finanziario e di servizi (quasi tutti conosciamo purtroppo le condizioni difficili in cui versano le accademie di belle arti in Italia). Questo porta spesso ad arrangiarsi. Per un artista emergente può essere sicuramente una risorsa preziosa, perché ti porta a scoprire soluzioni incredibili con pochi mezzi. Questa è un’abilità fondamentale, capace di fare la differenza. Ma a quale prezzo? I frutti sono spesso schizofrenici, tra situazioni di grande energia collettiva (penso a gruppi di artisti come SenzaBagno a Pescara o Zolforosso di Vene-

zia, per citare i primi che mi vengono in mente), ma anche guerre tra poveri, dove l’ansia di emergere – anche se nessuno sa poi bene cosa voglia dire – prevale sulla qualità del lavoro, riducendoci a piccoli feudi senza dialogo. Forse, un sistema di base che fornisca più supporto contribuirebbe a un clima più rilassato.

A cosa stai lavorando in questo momento?

Sto lavorando alla produzione di alcune sculture in collaborazione con Pattern group nel contesto della residenza MADE IN promossa da Artissima. Nel frattempo, sto ultimando anche i lavori per una personale – incentrata sulle nostre relazioni, passate e attuali, e su come esse ci strutturano – che si terrà a giugno a conclusione del Master in arti visive che sto seguendo in Svezia. Il titolo sarà Beautiful things fading away.

STUDIO VISIT
Daniele Di Girolamo, Correct ways to misunderstand , 2022. Veduta della mostra alla Traffic Gallery, Bergamo. Courtesy l'artista e Traffic Gallery
I frutti sono spesso schizofrenici, fra situazioni di grande energia collettiva ma anche guerre tra poveri.
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ACCADEMIA

DI BELLE ARTI

ALDO GALLI COMO

Triennali

Bienni Master

Quinquennio

Corso Triennale in Pittura e Linguaggi Visivi

Biennio Specialistico in Painting and Digital Art

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LA COPERTINA

Un becco, a metà tra lo scheletro e la carne, ci scruta. Non ha occhi, ma sappiamo che la sua attenzione è totalmente concentrata su di noi, riusciamo a percepire tutto il suo astio e il suo dolore. È un becco di gallina, anche se stentiamo a riconoscerlo in questa forma: lui non ha subito la mutilazione che riserviamo ai suoi fratelli. Se ne sta lì, in equilibrio su un filo dorato, sottile, fragile, ma anche potente e minaccioso.

L’opera costringe l’osservatore a confrontarsi con il “fantasma” di una gallina e a riflettere sull’impatto dell’uomo sulle vite di questi animali da allevamento, i più consumati in Italia (e nel mondo). La nostra legge autorizza molte pratiche di mutilazione che, presentate come leggi a tutela del benessere animale, hanno il solo scopo di aumentare la produttività e ridurre spese e spazi. In particolare, l’opera riflette sul taglio del becco delle galline: una mutilazione standard negli allevamenti di carne e di uova, praticata sui pulcini di pochi giorni di vita. La necessità di smussare il becco delle galline nasce dal fatto che esse, costrette in spazi e con-

dizioni di vita non adatti a quelli propri alla razza (o a quella di qualunque essere vivente), sviluppano aggressività e tendenza all’autolesionismo. Il taglio del becco limita le loro capacità offensive. La scultura rappresenta un becco di un esemplare adulto di gallina che è riuscito, non si sa come, a sfuggire alla pratica del taglio e, liberato dalla morte, ci guarda e ci giudica. Un esemplare sui seicento milioni che vengono uccisi ogni anno solo in Italia. Scopri i dettagli del progetto seguendo il QR qui a fianco.

IED x ARTRIBUNE

Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. I progetti dei corsi della scuola di Arti Visive di IED danno vita a un percorso in cui il lettore potrà approfondire gli aspetti artistici, tecnici e relazionali alla base di ogni immagine scelta per la copertina che, realizzata in esclusiva per Artribune, sarà quindi il simbolo della soglia da attraversare per immergersi nella profondità e nella poliedricità di ogni progetto. La fragile superficie da rompere per potersi avventurare nell’immaginazione iperconnessa dei designer. Gli studenti del corso di Pittura e Linguaggi visivi dell’Accademia di Belle Arti Aldo Galli – Como, dopo un workshop di tre settimane sui temi dell’ultima Biennale di Venezia, hanno realizzato 10 progetti, tra cui la nuova copertina di Artribune, selezionata dalla redazione.

Due casi di rigenerazione urbana a Firenze e Milano. Factory di Manifattura Tabacchi e BiM

GLORIA VERGANI L Il Victoria and Albert Museum di Londra apre il nuovo Photography Centre, che comprende sette gallerie interamente dedicate alla sua raccolta fotografica (oltre 800mila opere), per la prima volta interamente visitabile. “Volevamo mostrare la fotografia in tutti i modi in cui essa esiste, dalla pagina di un libro al negativo su vetro, dalla stampa su parete a quella digitale”, racconta Martin Barnes, senior curator del dipartimento di fotografia. Il nuovo Photography Centre si trova nell’ala nord-est del museo; il progetto iniziale prevedeva tre gallerie, a cui poi se ne sono aggiunte altre quattro, ideate dagli studi d’architettura Purcell e Gibson Thornley, per oltre mille metri quadrati di spazio espositivo. Per questo nuovo progetto, il museo ha scelto di restaurare le sale 95, 96, 97 e 98, un tempo adibite a depositi e aule studenti. Il restauro ha svelato ampi soffitti a volta e archi con pannelli in legno originali rivestiti in tela di iuta che sono stati conservati e rivalorizzati.

VALENTINA SILVESTRINI L Con la recente apertura della Factory, procede a Firenze il percorso di riattivazione multifunzionale della Manifattura Tabacchi. Il progetto architettonico, opera dello studio fiorentino q-bic (insieme al paesaggista Antonio Perazzi, cui si deve il giardino pensile pubblico denominato Officina Botanica), ha interessato oltre 21.000 mq dello storico complesso. Di questi più di 5000 mq sono stati destinati a commercio e ristorazione, mentre 11.220 mq ospitano spazi direzionali. Significativa la quota riservata alla funzione espositiva, con le aree per il Toast Project Space e l'Associazione Arte Continua e, soprattutto, con la zona attualmente sede della personale di Katja Novitskova (fino al 18 giugno), promossa nell’ambito del Fuorimostra di Palazzo Strozzi per la mostra Reaching for the Stars. Responsabile dell’operazione è MTDM Manifattura Tabacchi Development Management Srl, società di project management del gruppo Aermont attiva in parallelo in un analogo processo al via a Milano. Entro il 2026 due immobili inclusi nel vasto piano messo a punto da Vittorio Gregotti a metà degli anni Ottanta nel quartiere di Milano Bicocca, sul sito della ex fabbrica Pirelli, accoglieranno una pluralità di funzioni. L’impianto di BiM – Bicocca incontra Milano porta la firma dello studio milanese Piuarch, che ha lavorato con il paesaggista Perazzi per concepire un intervento di riqualificazione per una comunità ampia ed eterogenea. In attesa del completamento di lavori, ispirati alla logica del “retrofitting”, come già sperimentato a Firenze, una porzione del complesso è entrata in attività con un programma di iniziative culturali temporanee. Una modalità, chiarisce Michelangelo Giombini, Head of Product Development & CEO di MTDM, che “suggerisce e anticipa gli utilizzi futuri degli spazi fornendo un esempio concreto di come le aree in via di riqualificazione possano essere una risorsa fondamentale”.

NEWS
Factory, photo
Il Victoria and Albert di Londra apre la collezione fotografica più antica del mondo
72 21 a cura di DESIRÉE MAIDA

DIRETTORE

Massimiliano Tonelli

DIREZIONE

Santa Nastro [caporedattrice]

Arianna Testino [Grandi Mostre]

COORDINAMENTO MAGAZINE

Alberto Villa

REDAZIONE

Irene Fanizza | Giulia Giaume

Claudia Giraud | Desirée Maida

Livia Montagnoli | Valentina Muzi

Roberta Pisa | Valentina Silvestrini

Alex Urso | Gloria Vergani

PROGETTI SPECIALI

Margherita Cuccia

PROGETTO GRAFICO

Alessandro Naldi

PUBBLICITÀ

Cristiana Margiacchi | 393 6586637 Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com

EXTRASETTORE

download Pubblicità s.r.l. via Boscovich 17 — Milano via Sardegna 69 — Roma 02 71091866 | 06 42011918 info@downloadadv.it

COPERTINA ARTRIBUNE

Fabiola Porchi 1 su 600.000.000, 2021, porcellana paperclay e ottone, 3 x 6 x 2 cm Progettazione del corso in Pittura e Linguaggi Visivi - Accademia Aldo Galli, Como Courtesy IED - Istituto Europeo di Design

COPERTINA GRANDI MOSTRE

Arturo Martini, La sposa felice, 1930, gesso, collezione privata. Foto Davide Degano

STAMPA

CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Cuccia

EDITORE & REDAZIONE

Artribune s.r.l.

Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com

Registrazione presso il Tribunale di Roma

n. 184/2011 del 17 giugno 2011

Chiuso in redazione il 10 maggio 2023

RiciclatoPEFC

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NUOVI SPAZI

GALLERIA FUOCHERELLO Volvera (TO)

Negli spazi della Fonderia de Carli di Volvera ha da poco inaugurato la galleria Fuocherello, con un focus particolare sulla scultura. Ce ne parla la co-fondatrice e direttrice artistica Miral Rivalta

Come nasce questa nuova galleria?

A marzo 2022, insieme ai tre proprietari di Fonderia de Carli e all’imprenditore Philippe Jacopin, decidiamo di intraprendere un percorso lavorativo insieme. Miscellanea, personale di Emanuele Becheri (inaugurata a maggio 2022), è stata la prima mostra organizzata con la reale consapevolezza delle nostre intenzioni.

Sì, assolutamente. Per me è importante lasciare agli artisti la scelta del curatore, così che possano avere al loro fianco, oltre a noi, una figura teorica con cui confrontarsi, che già conosce il loro lavoro o con cui desiderano collaborare. Abbiamo già lavorato con Davide Ferri e Gabriele Tosi, entrambi curatori che stimo e che continueranno a far parte della programmazione di Fuocherello.

Che rapporto avete con il territorio e la città?

La fonderia artistica è aperta da una trentina di anni, per questo è già molto inserita nel territorio. Moltissime delle fusioni realizzate in Fonderia de Carli sono destinate a importanti gallerie, fondazioni e musei piemontesi e nazionali. Inoltre abbiamo una rete ampia di produttori e artigiani con cui collaboriamo frequentemente.

Un cenno ai vostri spazi espositivi. Lo spazio espositivo centrale di Fuocherello si trova a circa 20 minuti da Torino. La superficie è di 60 mq circa con ampie vetrate e pareti bianche, con una piacevole vista sulle Alpi e sulla campagna circostante.

Cosa proporrete dopo la mostra inaugurale?

Descrivi in poche righe il vostro nuovo progetto.

Fuocherello vuole essere una galleria policentrica la cui programmazione è incentrata sulla sperimentazione. In galleria gli artisti possono modificare e sviluppare gli allestimenti e le opere durante l’intera durata della mostra, permettendo così agli spettatori di vedere la pratica e l’approccio di un artista al proprio lavoro, compresi i ripensamenti e lo scenario che lo forgiano, lati altrimenti nascosti.

Chi siete?

Oltre a me ci sono Giulia Gotta, assistente di galleria, i proprietari della fonderia e Philippe Jacopin, che sono gli altri fondatori di Fuocherello, e gli artisti che sono parte integrante dell’ideazione e programmazione di Fuocherello: Emanuele Becheri, Andrea di Lorenzo, Davide Rivalta, Lorena Bucur e Bekhbaatar Enkhtur. Infine, tutti gli operai della Fonderia de Carli, che spesso forniscono supporto tecnico e logistico.

In programma per quest’estate c’è la residenza di Andrea di Lorenzo, Lorena Bucur, Francesco Bendini e Bekhbaatar Enkhtur. D’estate la fonderia chiude e gli artisti saranno soli, con tutto lo spazio e i materiali a disposizione. A settembre presenteremo le opere che scaturiranno da questa esperienza. A novembre ci sarà una personale di Victor Fotso Nyie, che affronterà per la prima volta la fusione.

PEFC/18-31-992

Vi avvarrete della collaborazione di curatori esterni?

Volvera (TO) Via 25 aprile 37 366 3969562 contact@fuocherello.com fuocherello.com

TORINO Moncalieri Rivoli Volvera

NUOVE NOMINE NEI MUSEI: SANTA MARIA DELLA SCALA, SPOLETO, TATE MODERN, BIENNALE ARTE ARABIA SAUDITA

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CHIARA VALDAMBRINI

A SANTA MARIA DELLA SCALA, SIENA

L’archeologa toscana, già direttrice del Museo d’Archeologia e dell’Arte di Maremma a Grosseto, è stata scelta per assumere la direzione della Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala, funzione vacante dal 2019. Classe 1978, laureata all’Università di Siena in Archeologia, a lei spetterà il compito di alimentare un ambizioso progetto culturale di rilancio dell’istituzione museale senese.

SAVERIO VERINI ALLA GUIDA

DEL SISTEMA MUSEALE DI SPOLETO

Curatore dell’ambiente romano, ma nato a Città di Castello, Saverio Verini dirigerà il nascituro polo comunale di Spoleto, pensato per inglobare in una fondazione tutte le strutture culturali del territorio, da Palazzo Collicola al Museo delle miniere, fino alla Chiesa di Santi Giovanni e Paolo. L’incarico si protrarrà per un triennio, con un budget di 25mila euro annui.

KARIN HINDSBO ALLA TATE MODERN

Dal 2017, Karin Hindsbo ha guidato il processo di realizzazione del National Museum di Oslo, oggi il più grande polo museale scandinavo. Da settembre 2023, la storica dell’arte danese raccoglierà il testimone di Frances Morris alla guida della Tate Modern di Londra.

UTE META BAUER ALLA BIENNALE D’ARTE IN ARABIA SAUDITA

La Fondazione Diriyah Biennale ha nominato la curatrice tedesca Ute Meta Bauer alla guida della seconda edizione della Diriyah Contemporary Art Biennale, che si terrà a Riyadh nel gennaio 2024. Bauer, già curatrice del Padiglione di Singapore all’ultima Biennale d’Arte di Venezia, succede a Phil Tinari.

Al Magazzino Italian Art di New York apre il Germano Celant Research Center

GIULIA GIAUME L Un centro dove onorare la carriera e la vita del celebre critico e storico dell’arte Germano Celant apre negli Stati Uniti. Il primo Germano Celant Research Center è stato inaugurato all’interno del museo Magazzino Italian Art a Cold Spring, nello stato di New York, in occasione del terzo anniversario della morte di Celant, avvenuta il 29 aprile 2020. La grande istituzione, dedicata allo studio dell’arte italiana dagli anni Cinquanta al contemporaneo, ha considerato il tributo un gesto dovuto, oltre che di stima, considerato il ruolo di Celant come personaggio tra i più influenti al mondo per l’arte del Dopoguerra. Il nuovo Germano Celant Research Center dispone di una biblioteca di oltre 5mila pubblicazioni (tra cui 330 libri rari, materiale d’archivio, fotografie e poster) e un archivio di pubblicazioni prevalentemente dedicate all’arte italiana ma anche a design, architettura, ceramica, gioiello d’artista contemporaneo e vetro di Murano. Con un focus sul movimento dell’Arte Povera, su cui sono qui raccolti quasi mille volumi, il Centro di Ricerca offrirà l’opportunità di consultare le più importanti pubblicazioni su questo argomento – definito nel 1967 proprio dal critico con la celebre mostra alla Galleria La Bertesca di Genova – e di comprendere al meglio le opere esposte nel museo e l’arte italiana in generale.

OPERA SEXY

IL ROSA JOHN WESLEY

Oggi sembra caduto in un temporaneo dimenticatoio, ma non se lo merita. Ebbe un fugace italico momento di gloria nel 2009, quando addirittura l’incontestabile divo Germano Celant ne curò una succosa antologica retrospettiva, dagli Anni Sessanta in poi, per la Fondazione Prada negli spazi della Fondazione Cini a Venezia.

Allora John Wesley, nato nel 1928 a Los Angeles, era ormai più che ottantenne; se n’è andato l’anno scorso, ultranovantenne. Ma (almeno di tanto in tanto) va ricordato, e dunque facciamolo, perché la sua produzione artistica presenta caratteristiche tutt’altro che banali.

Di solito lo si posiziona a metà strada tra la Pop Art e il Minimalismo, e in effetti elementi di entrambi i generi sono presenti nei suoi acrilici su tela. Qualcuno parla anche di Surrealismo.

Prima, però, fermiamoci un attimo a considerare con che cosa si è costruito. Da ragazzo si deliziava con i fumetti di Popeye, Blondie e poi Dennis the Menace; da giovane lavorò in un ufficio postale tra timbri, francobolli e marchi; la sua seconda moglie fu la pittrice minimalista Jo Baer, e poi frequentò gente riservata come Dan Flavin, Sol LeWitt, Donald Judd; le sue passioni estetiche storiche includevano l’Art Nouveau, gli ukiyo-e di Utamaro, l’evoluzione delle carte da parati. Ora, sapendo che maturò all’ombra di altri tipi influenti quali Lichtenstein, Warhol, Rosenquist, il quadro comincia a delinearsi. A proposito di linee: la sua è precisa e pulita come quella dei fumetti. E la sua impaginazione grafica è ora ritmica e geometrica, come nelle tappezzerie, e ora asettica e funzionale, come quella dei francobolli e dei distintivi, tanto da mantenere molto spesso anche una regolare cornice dipinta di bianco tutt’intorno. Pop? Un momento: i suoi soggetti non sono mai oggetti inanimati, ma volentieri corpi nudi, di preferenza femminili, caratterizzati da un pervasivo, delicato color rosa e poi altre tiepide tinte pastello. Minimalista? Ma la sua narrativa è decisamente erotica, sovente misteriosa, volentieri irriverente. E dove si è mai visto un minimalista pop tanto caldo, così oltraggioso e insieme beneducato? Rivalutiamolo, orsù: è un originale e magnifico birichino, altro che...

FERRUCCIO GIROMINI

NEWS
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John Wesley, Getting off the Subway at St. Tropez , 1979

LO STATO DELL’ARTE

LE MEMORIE DI AI WEIWEI

Tra gli anni ’80 e ’90 Ai Weiwei trascorse dodici anni negli Stati Uniti, vivacchiando tra lavoretti, corsi d’arte e incontri importanti. Per sbarcare il lunario a New York, finì persino a fare la comparsa nella monumentale Turandot di Zeffirelli al Met. La stessa opera lirica a cui avrebbe lavorato da regista molti anni dopo, durante la primavera del 2022. Aneddoti come questi costellano il bel memoir di Weiwei, che si sofferma meno su questioni legate all’arte e più sulle vicende umane che hanno preceduto la sua ascesa come artista internazionale. Ai Qing, celebre poeta e intellettuale cinese, nonché padre di Weiwei, è spesso al centro della narrazione: disumanizzato dal regime, costretto all’esilio nei posti più inospitali. Come nella “Piccola Siberia”, come veniva ribattezzata la landa desertica e ai confini del mondo in cui trascorse cinque anni insieme alla famiglia. Ai Qing veniva fatto sfilare per le strade con un berretto da somaro. Ma le sue umiliazioni pubbliche erano costanti, in quanto apparteneva a una delle cosiddette “Cinque categorie nere”, che in termini non-propagandistici significava contraddire o criticare il regime. Il ritratto del padre, che abbraccia le parti più ispirate del libro, si snoda anche attraverso gli stralci poetici di Ai Qing, bellissimi o folgoranti, che Weiwei spesso cita e commenta. Mille anni di gioie e dolori è anche un grande affresco sulla storia della Cina dagli anni ’50 a oggi: dall’entusiasmo iniziale per il nascente stato comunista al senso di amara liberazione quando gli altoparlanti annunciano la morte di Mao per le vie di Pechino.

Ai Weiwei

Mille anni di gioie e dolori

Pagg. 368, € 28 Feltrinelli

Un viaggio attraverso i primi vent’anni della parabola creativa di Marinella Senatore: dal decimo anniversario della SOND, la scuola nomade e gratuita di “narrative dance”, all’imponente carte blanche al Palais de Tokyo. Bernardi firma una monografia dettagliata per immergersi nell’universo dell’artista italiana, tra le luminarie ispirate al Meridione e le parate di migliaia di “corpi” alla ricerca di nuove configurazioni di comunità e forme di condivisione.

Ilaria Bernardi (ed.)

Marinella Senatore

Pagg. 305, € 39

SilvanaEditoriale

Europa, anni ‘50: di fronte alle crescenti tensioni tra USA e Unione Sovietica, John Berger mette da parte la pittura per dedicarsi alla scrittura.

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Ne viene fuori il suo primo libro, una monografia su Guttuso: per il giovane Berger siamo di fronte al grande erede dell’umanesimo europeo. Disperso per decenni, il manoscritto inglese del libro è stato ritrovato fortuitamente in una cantina e tradotto in italiano per la prima volta.

John Berger

Guttuso

Pagg. 232, € 14

Sellerio

Idolatrato negli anni Trenta e quasi dimenticato nel Dopoguerra, l’eclettismo esuberante di Portaluppi sta vivendo una fase di grande riscoperta. Una nuova monografia, impreziosita dalle foto inedite di Ciro Frank Schiappa, ripercorre i progetti del grande architetto lombardo, restituendone anche un ritratto più intimo: quello di un uomo scanzonato con vezzi e manie (era un grande collezionista e si dilettava come vignettista ed enigmista).

Piero Maranghi (ed.)

Piero Portaluppi

Pagg. 400, € 90

Skira

L’autobiografia di Tarantino è innanzitutto una ricostruzione dettagliata, spesso ossessiva e ironica, della passione smisurata per il cinema del piccolo Quentin. Ma è anche una storia del cinema, personalissima sì, ma molto acuta, che fotografa il tramonto della Vecchia Hollywood e la rottura segnata da una nuova generazione di cineasti come Scorsese, De Palma, Altman. Vale la lettura anche solo per il capitolo dedicato a Un tranquillo weekend di paura

Quentin Tarantino

CinemaSpeculation

Pagg. 464, € 20

La nave di Teseo

DONNE FUORI DAL CORO NEL MEDIOEVO

Una rassegna di donne influenti e carismatiche del Medioevo, silenziate o cancellate dai documenti storici, inaugura questo spazio dedicato ai libri, che abbiamo intitolato “Rizomi”. L’immaginazione va agli scritti di Deleuze e Guattari e all’idea che tra saperi e significati non vi siano frontiere nette, ma connessioni che proliferano come radici sotterranee. Rizomi, appunto, che spesso producono configurazioni di senso inedite e inaspettate. Come Femina di Janina Ramirez, storica dell’arte e voce della BBC, che, spaziando dall’archeologia all’arte, dalla teologia alla letteratura, ci racconta un’altra faccia del Medioevo. Non un’epoca oscura, fatta solo di crociate, pestilenze, scismi, e superstizioni: bensì un periodo mutevole, durante il quale l’Europa fu anche cosmopolita, multiculturale e “più accomodante di quanto pensiamo”. Un’epoca in cui alcune donne ebbero enorme influenza e potere, prima di essere marginalizzate o spazzate via dalle narrazioni ufficiali per essere state troppo libere o sovversive. Come la feroce guerriera di Birka, al cui scheletro gli archeologi attribuirono erroneamente il sesso maschile per anni. O Margery Kempe, che al quattordicesimo figlio abbandonò il marito e un’esistenza agiata per intraprendere una nuova vita come mistica errante. A lei si deve forse la prima autobiografia scritta da una donna e una delle prime autobiografie in assoluto. O, ancora, Jadwiga, l’unica “re” donna in Europa. Tutte figure che potremmo definire “queer” nell’accezione più ampia del termine: perché hanno ribaltato le dinamiche di genere e resistito ai rigidi confini di sole mogli, madri, sante o monache.

Janina Ramirez

Femina

Pagg. 552, € 35

Il Saggiatore

“Kum!”, dice Dio a Giona, “svegliati!”. Un’onomatopea antica da cui prende il nome il festival che Massimo Recalcati dedica al senso della ripartenza. Questo libello raccoglie due interventi dell’edizione 2021: quello di Isabella Guanzini, che indaga il potenziale anarchico della rinascita nelle Sacre Scritture. E quello di Giovanna Melandri, che auspica una “rivoluzione dell’impatto”, capace di riformare le nostre esistenze, reinventandole.

Isabella Guanzini & Giovanna Melandri

Come ripartire

Pagg. 81, € 7

Il melangolo / KUM!

Approcciarsi alle società indigene significa provare a capirle senza ricorrere alle categorie del pensiero occidentale. Partendo, piuttosto, dalle loro specificità, che possono apparire indecifrabili ai nostri occhi, spesso abituati a ricondurre il reale a una serie di opposizioni (natura/cultura, biologico/sociologico, umano/non-umano). È il problema del prospettivismo, che Viveiros de Castro ripercorre qui attraverso dialoghi e interviste.

Eduardo Viveiros de Castro

Lo sguardo del giaguaro

Pagg. 234, € 18

Meltemi

LIBRI a cura di EDOARDO PELLIGRA
RIZOMI
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CONCIERGE

ODE ALLA MILANO DEGLI ANNI SESSANTA A CASA BAGLIONI

Acavallo fra 2019 e 2020, Palazzo Morando ha ospitato Milano anni ’60. Storia di un decennio irripetibile. Conclusasi proprio a ridosso dell’inizio della pandemia, la mostra illustrava le ragioni dell’attrattività del capoluogo lombardo nell’arco di quel fenomenale decennio, tra fermento artistico, musicale e architettonico, ascesa dei maestri del design e sviluppo di aziende destinate a diventare riferimenti globali. Drammaticamente arrestata dalla Strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969, quella stagione (e il quartiere di Brera) più di recente sono divenuti i punti di partenza del percorso di trasformazione del palazzo Liberty su via dei Giardini in Casa Baglioni. Affidato allo studio Spagnulo & Partners, specializzato nella progettazione di alberghi di alta gamma, lo stabile risalente al 1913 accoglie oggi le trenta camere e suite del nuovo indirizzo milanese del gruppo Baglioni Hotels & Resorts. Varcarne la soglia equivale a intraprendere un simbolico viaggio a ritroso nel tempo, dove tutto concorre a evocare l’atmosfera degli Anni Sessanta, ma senza intenti nostalgici, slanci vintage e incerti tentativi di imitazione. Pur essendo il fil rouge che lega tutti i dettagli e le soluzioni di interior design – dai tappeti ai soffitti a losanghe, dalle lampade ai materiali, dagli arredi con morbide curvature fino alle texture geometriche – quella fase storica è stata oggetto di

Agrigento è Capitale Italiana della Cultura 2025

DESIRÉE MAIDA L La città siciliana è stata selezionata da una rosa di 10 città finaliste composta da Aosta, Assisi (Perugia), Asti, Bagnoregio (Viterbo), Monte Sant’Angelo (Foggia), Orvieto (Terni), Pescina (L’Aquila), Roccasecca (Frosinone) e Spoleto (Perugia). “Agrigento assume come centro del proprio dossier di candidatura la relazione tra l’individuo, il prossimo e la Natura, coinvolgendo l’isola di Lampedusa e i comuni della provincia e ponendo come fulcro il tema dell’accoglienza a della mobilità”, è la motivazione che ha spinto la Giuria presieduta da Davide Maria Desario che ha valutato i dossier di candidatura delle città finaliste a insignire Agrigento del titolo di Capitale Italiana della Cultura 2025.

All’asta da Sotheby’s la collezione di Freddie Mercury

DESIRÉE MAIDA L Si terrà il 6 settembre 2023 a Londra Freddie Mercury: A World of His Own, asta che Sotheby’s dedica a Freddie Mercury, leggendario frontman dei Queen e raffinato collezionista d’arte. I lotti messi all’asta sono 1.500, e provengono dalla casa di Mercury di Garden Lodge a Kensington, nella zona di Londra Ovest. Sotheby’s ha ricevuto l’incarico della vendita da Mary Austin, tra le amiche più fidate dell’artista, che in questi anni ne ha preservato la dimora privata. Freddie Mercury: A World of His Own prevede sei aste, precedute da una mostra a Londra che si terrà dal 4 agosto al 5 settembre, giorno del 77esimo compleanno di Mercury. Tra i cimeli battuti all’asta, gli iconici corona e mantello indossati da Mercury durante l’esecuzione di God Save The Queen durante l’ultimo live dei Queen del 1986, i testi scritti a mano di We Are The Champions e Killer Queen, opere d’antiquario, giapponesi e del periodo vittoriano, libri e stampe, argenti e porcellane.

un’autoriale rilettura da parte dei progettisti. Tale impostazione si rileva in tutti i sei piani della struttura, incluso il ristorante del celebre chef Claudio Sadler, destinato a un massimo di quaranta ospiti. Fiore all’occhiello di Casa Baglioni è la sua collezione d’arte, anch’essa coerente con il medesimo orizzonte temporale. Si va dalla serie di fotografie della Milano a cavallo fra gli Anni Sessanta e Settanta, esposte al quarto piano e scelte da Spagnulo & Partners all’interno dell’archivio ALIDEM, alla selezione di opere condotta per l’hotel da Stefano Cecchi Trust Collection–Fondo per l’Arte, della quale fanno parte lavori di Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Carla Accardi, Hans Hartung, Christo e le “cromie domestiche” della designer contemporanea Gala Rotelli.

baglionihotels.com

VALENTINA SILVESTRINI

Bologna manda i vigili urbani a lezione di storia dell’arte

LIVIA MONTAGNOLI L Già nel 2015, ai vigili urbani di Bologna era stato fornito un manuale per accogliere al meglio i turisti, con l’obiettivo di recuperare il ruolo originale dell’operatore di Polizia locale. Ora l’amministrazione cittadina guidata da Matteo Lepore ha fatto di più, inviando i suoi vigili a lezione di storia dell’arte. Il percorso di apprendimento, avviato dal Comando del Corpo di Polizia Locale con la collaborazione dei Musei civici, ha coinvolto i neoassunti che, in fase di inserimento, oltre a formarsi sulle consuete materie orientate all’identità professionale e al ruolo, hanno appreso l’importanza di possedere solide conoscenze sugli aspetti legislativi, urbanistici, storici e artistici legati ai beni culturali e all’edilizia di base e monumentale, privata e pubblica. Nel ruolo di novelli ciceroni, i vigili garantiranno il binomio sicurezza e accoglienza, raccontando all’occorrenza aneddoti su Bologna.

Courtesy Casa Baglioni. Photo Diego De Pol Valle dei Templi, Agrigento. Photo Michal Osmenda fonte Wikipedia

TOP 10 LOTS SOTHEBY’S MILANO EDITION

Contemporary Auction, 20 aprile 2022

PATRICIA LOW Venezia

Dalle montagne alla Laguna: abbiamo chiesto a Patricia Low di raccontarci la nuova sede della sua galleria svizzera, inaugurata ad aprile nel sestiere di Dorsoduro.

Come è nata l’idea di aprire questa nuova sede?

Ho viaggiato regolarmente a Venezia per tutta la mia vita ed è sempre stato un sogno avere un giorno una base qui. Entrare a far parte del tessuto di questa città sembra un privilegio.

stra programmazione a Venezia. Inoltre, Venezia attrae una folla internazionale amante dell’arte ed è sempre stata un’ispirazione per gli artisti. Ho scelto Amy Bessone come artista inaugurale perché la città ha esercitato su di lei un enorme fascino, influenzando effettivamente il suo lavoro. La mostra Our Secret Garden è una lettera d’amore a Venezia, sua e mia insieme.

Un cenno ai vostri spazi espositivi.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese, 1965-66 € 2,589,000

Giorgio Morandi, Natura Morta, 1948 € 1,318,500

Giorgio Morandi, Fiori, 1952

€ 635,000

Alighiero Boetti, Senza Titolo (Nero su bianco e bianco su nero,..), 1988

€ 635,000

Giorgio Morandi, Natura morta, 1942 € 609,600

Giorgio de Chirico, Tempio in una stanza, 1926 € 596,900

Enrico Castellani, Superficie bianca, Tokyo n. 7, 1967 € 533,400

Manolo Valdés, Retrato con medio rostro azul, 1999 € 533,400

Alighiero Boetti, Aerei, 1979

€ 393,700

Carla Accardi, Labirinto Barrato (A settori), 1957 € 355,600

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1957

€ 342,900

Piero Dorazio, Spiel in bildform, 1962 € 330,200

Afro, Lost and found, 1958

€ 330,200

Tutti i prezzi indicati includono Buyer’s Premium e Overhead Premium.

CAMPIONE DI ANALISI

Sotheby’s, Contemporary Auction, Milano, 20 aprile 2023

Chi siete?

Fondata a Gstaad nel 2005, con mostre di artisti in momenti cruciali della loro carriera, da Maurizio Cattelan a Jonathan Meese e, più recentemente, Gilbert & George, la galleria ha avuto un ruolo determinante nel mettere Gstaad nella mappa globale dell’arte contemporanea. All’apertura della nuova sede di Venezia ha collaborato lo storico team della galleria, ma abbiamo anche assunto un giovane team locale.

Su quale tipologia di pubblico e di clientela puntate? E su quale rapporto con il territorio e la città?

La galleria si trova a Palazzo Contarini Michiel, un edificio rinascimentale proprio sul Canal Grande. Si trova nel cuore di Dorsoduro, nel Museum Mile di Venezia, adiacente a Ca’ Rezzonico e a due passi da Le Gallerie dell’Accademia, dalla Collezione Peggy Guggenheim e da Punta della Dogana. Le ultime due istituzioni aprono le loro mostre annuali nello stesso fine settimana in cui lo facciamo noi.

Ora qualche anticipazione sulla stagione.

Il mio caro amico Philip Colbert ha lavorato a una serie veneziana, alcune opere della quale sono state esposte in The Lobster Empire ai Musei di San Salvatore in Lauro a Roma questo inverno. Prossimamente mostreremo le sue opere ispirate a Venezia nella nuova galleria: l’aragosta sta nuotando verso la Laguna!

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese , 1965-66. Courtesy of Sotheby’s

La galleria ha una comunità fedele e unita di collezionisti, che sono felici di seguire la no-

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NELLE ILLUSTRAZIONI DI CHIARA LANZIERI

Sperimentatrice nata, Chiara Lanzieri (Roma, 1990) vive nella Capitale. Ama cimentarsi in varie tecniche artistiche tra cui pittura, collage e fotografia. Dinamismo e sintesi, con un’inclinazione al decorativismo geometrico, sono alla base della sua ricerca espressiva che indaga il controverso rapporto tra l’uomo e la realtà circostante. Con una forte attitudine per l’introspezione psicologica attraverso il ritratto e un notevole senso cromatico.

NEI NUMERI PRECEDENTI

#46 Filippo Vannoni

#47 Andrea Casciu

#48 Monica Alletto

#49 Giulia Masia

#50 Elisabetta Bianchi

#51 Sara Paglia

#52 Kiki Skipi

#53 Sabeth

#54 Walter Larteri

#56 Shut Up Claudia

#57 Viola Gesmundo

#58 Daniela Spoto

#59 Federica Emili

#61 Maria Francesca Melis

#63 Mariuska

#64 Chiara Zarmati

#65 Marjani

#67 Vito Ansaldi

#68 Matilde Chizzola

#69 Susanna Gentili

#70 Giovanni Gastaldi

#71 Luca Soncini

Parlaci della tua formazione e dei tuoi illustratori di riferimento.

Mi sono diplomata in graphic design allo IED di Roma. Dopo alcuni anni nel campo della grafica ho cominciato a occuparmi di illustrazione, riuscendo a trasformare questa passione in un lavoro.

Gli autori che mi hanno influenzato sin dal principio sono stati Kveta Pacovska (illustratrice), Olle Eksell (designer), Giovanni Pintori (designer) e Lora Lamm (illustratrice e grafica).

Quali tecniche prediligi?

La pittura acrilica e il collage sono le tecniche che prediligo. Tuttavia per una questione di tempo, quando lavoro per editoriali, disegno principalmente in digitale.

Traduci il tuo lavoro in tre aggettivi. Vivace, immediato, semplice.

Definisci il processo creativo delle tue illustrazioni.

Dopo aver ricevuto una commissione editoriale, sottolineo le parole principali all’interno del brief. Successivamente faccio una ricerca fotografica di immagini che in qualche modo possono essere suggestive.

Poi schizzo su un foglio delle bozze molto sintetiche per comprendere bene lo spazio che verrà occupato dall’illustrazione. Infine mi sposto sulla tavoletta grafica per elaborare una bozza più dettagliata con l’aggiunta dei colori fino ad arrivare a quella che sarà la tavola definitiva.

Cosa sogni di illustrare?

Di sogni ne ho tanti… mi piacerebbe lavorare per qualche grande campagna pubblicitaria magari nel campo della moda e poi sicuramente sarebbe bellissimo poter disegnare una cover per il periodico The New Yorker

Cosa attira maggiormente la tua attenzione della realtà che ti circonda?

Come le persone si relazionano al mondo, i loro volti e i loro gusti per i dettagli.

Qual è il tuo concetto di bellezza? La semplicità.

Ultimo libro letto e ultimo film visto. Ti seguo di Sheena Patel e The Square di Ruben Östlund.

A cosa lavori attualmente e quali sono i progetti per il futuro?

In questo momento sto lavorando con un’agenzia tedesca per un’illustrazione commerciale in uscita questa estate.

DINAMISMO E SINTESI
LABORATORIO ILLUSTRATORI a cura di ROBERTA VANALI © Chiara Lanzieri per Artribune Magazine 72 29

La Genova che riconquista il mare

Ci auguriamo sia la città sorpresa del 2023”, dicevamo di Genova nel Best of del 2022 stilato appena qualche mese fa. E Genova sta studiando per diventarlo: eletta Capitale Italiana del Libro 2023, alla fine di giugno ospiterà il suo primo festival di street art (Santa Sangre). Intanto procede il cantiere al Waterfront, intorno al quale articoliamo il nostro tour.

IL WATERFRONT DI LEVANTE

Dopo l’open day dello scorso marzo, procedono i lavori per il Waterfront disegnato da Renzo Piano, cantiere di rigenerazione urbana tra i più ambiziosi d’Italia. Obiettivo? Riconquistare il mare, con aree residenziali e spazi di lavoro moderni, trasformando il volto dell’area dell’ex Fiera. E, in piazzale Kennedy, un parco da 350 alberi, con boulevard fiorito centrale, pronto entro il 2025.

waterfrontdilevante.com

IL GENOVESE

È onesta nell’evocare la cucina ligure l’insegna del ristorante Il Genovese, attività di lungo corso (nasce nel 1912) avviata come sciamadda popolare, per la vendita di farinata da asporto. Da oltre vent’anni qui si mangia solo al tavolo, ma il menu – concertato dallo chef patron Roberto Panizza – ricalca le origini, tra torte salate, frisceu, gnocchi al pesto, minestrone, trippe in umido con le patate.

via galata 35R ilgenovese.com

VILLA CROCE

Anni di difficoltà hanno fiaccato l’azione del Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce, che tuttavia sopravvive e ambisce al rilancio, con l’auspicio che possa diventare centro di studio e archivio, per capitalizzare un patrimonio architettonico – l’edificio ottocentesco immerso nel verde e affacciato sul mare – tra i più belli della città. La collezione vanta oltre 4mila opere, dagli Anni Trenta in avanti.

via jacopo ruffini 3 museidigenova.it

ROSSI 1947

Come il ristorante Il Genovese, la bottega fa parte del circuito gastronomico avviato dalla famiglia Rossi, anzi è all’origine dell’impresa di famiglia specializzata nella valorizzazione dei prodotti locali e non. La storica confetteria di via Galata espone caramelle classiche e rare, cioccolati, biscotti e pandolci. Ma non può mancare il celeberrimo pesto della casa, reputato il migliore d’Italia.

via galata 30R rossi1947.it

ABC-ARTE

Fresca di recente raddoppio a Milano, nella città della Lanterna ABC-ARTE è una galleria storica, impegnata da anni nella promozione e nella diffusione del contemporaneo. Accanto all’approfondimento dei maestri del Novecento, con focus sull’astrazione gestuale, si valorizzano quindi gli artisti giovani ed emergenti. E ogni progetto è corredato della pubblicazione di un volume nella collana della casa.

via XX settembre 11A abc-arte.com

MEI

Le ultime due tappe ci allontanano dal circuito alle spalle del Waterfront, per rilevare la progettualità culturale della Genova in progress. Alla Commenda di San Giovanni di Prè, da circa un anno, si visita il Museo dell’Emigrazione Italiana, che ripercorre la storia delle migrazioni italiane all’ombra del porto della Lanterna, in passato punto di partenza per tanti viaggi della speranza.

piazza della commenda museidigenova.it

MOG MERCATO ORIENTALE

Al piano rialzato dello storico Mercato Orientale, il MOG ha inaugurato nel 2019 non solo per aggiornare il volto gastronomico del plateatico più importante della città, ma con l’obiettivo di diventare polo d’attrazione turistica e centro di produzione culturale. Traguardo raggiunto, per la qualità dell’offerta – tra gastronomie artigiane e la tavola solida dell’Ostaia de Zena – e la ricchezza del palinsesto di eventi.

via XX settembre 75R moggenova.it

MAIIIM

Ultimo arrivato ad ampliare l’offerta museale cittadina, il Media Art III Millennium nasce nel quartiere di San Teodoro, fronte porto. Lo spazio è dedicato alla Time Based Media Art, cioè a opere d’arte contemporanea che includono video, film, diapositive, audio o tecnologie informatiche. Tra sezioni espositive e laboratori per artisti, spazi per convegni, conferenze, scambi culturali, residenze.

piazza dinegro 6 maiiim.it

DISTRETTI a cura di LIVIA MONTAGNOLI
Porto Antico di Genova Acquario di Genova Arena del Mare ViaXXSettembre Sopraelevata Aldo Moro ViaNizzaViaTrento ViaTrento Corso Torino Via Brigate Partigiane Corso Sardegna SopraelevataAldoMoro SopraelevataAldoMoro ViaAntonioCantore Via Venezia ViaXXSettembre Via Maragliano Via Colombo ViaS.Vincenzo Piazza Colombo Via Galata Via Galata ViaPalmaria 7 4 5 8 6 3 2 1 72 31

NECROLOGY

PIERO SARTOGO (6 aprile 1934 – 11 marzo 2023)

L PHYLLIDA BARLOW (4 aprile 1944 – 12 marzo 2023)

L CRISTIANO REA (1962 - 12 marzo 2023)

L CITTO MASELLI (9 dicembre 1930 – 21 marzo 2023)

L LUCA BERGIA (11 settembre 1968 – 23 marzo 2023)

L ANTONIO BISACCIA (25 marzo 1964 – 23 marzo 2023)

L GIANNI MINÀ (17 maggio 1938 – 27 marzo 2023)

L RYUICHI SAKAMOTO (17 gennaio 1952 – 28 marzo 2023)

L LUIGI PAGLIARINI (10 agosto 1963 – 30 marzo 2023)

L ADA D’ADAMO (1° settembre 1967 – 1° aprile 2023)

L ENZO DI MARTINO (12 dicembre 1938 – 8 aprile 2023)

L TOMMASO LISANTI (1956 - 12 aprile 2023)

L IRMA BLANCK (24 agosto 1934 – 14 aprile 2023)

L ANTONIO TUCCI RUSSO (1944 – 21 aprile 2023)

L HARRY BELAFONTE (1° marzo 1927 – 25 aprile 2023)

L MATTEO BERRA (6 ottobre 1977 - 26 aprile 2023)

L ALESSANDRO D'ALATRI (24 febbraio 1955 - 2 maggio 2023)

L PIETRO BARUCCI (9 novembre 1922 - 6 maggio 2023)

Taller Capital, Parque en el Represo Colosio, Nogales, Messico. Photo © Rafael Gamo

Il Pergamon Musuem di Berlino chiude per ristrutturazione: si riapre tra 14 anni

GIULIA GIAUME L Dal prossimo ottobre il celebre Pergamon Museum di Berlino, famoso nel mondo per ospitare il colossale altare di Pergamo scoperto nel 1886 nell’odierna Turchia, chiuderà completamente per tre anni e mezzo per un progetto di ristrutturazione a lungo termine, e ci metterà 14 anni a riaprire del tutto. I lavori, già in corso nella parte settentrionale e centrale del museo, non permetteranno di visitare il capolavoro architettonico greco (già inaccessibile) fino al 2027, mentre l’ala meridionale non riaprirà prima del 2037, quando dovrebbe essere presentata al pubblico la nuova ala che collegherà il museo alle altre istituzioni della Museumsinsel. Non sorprende che il costo totale dell’operazione sia lievitato a un miliardo e mezzo di euro, e questo non è che l’ultimo tassello di un’ondata di restauri che sta interessando l’Europa, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte al Centre Pompidou di Parigi.

TALLER CAPITAL, UNA RISPOSTA ALLA CRISI IDRICA DI CITTÀ DEL MESSICO

Fondata nel 1325, Tenochtitlán era una città verdeggiante al centro del lago Texcoco, attraversata da canali e collegata alla terraferma da ponti mobili. Fonte di vita e prosperità, il rapporto simbiotico con l’acqua della capitale dei Méxica fu drammaticamente alterato dai conquistatori spagnoli, che prosciugarono il bacino lacustre e svilupparono nella sua conca argillosa l’attuale Città del Messico. Una pesante eredità, che condanna la megalopoli al costante deficit idrico, a devastanti alluvioni nella stagione delle piogge, nonché a un annuale sprofondamento di 20 cm. È studiando questo complesso sistema ecologico che Taller Capital elabora dal 2010 soluzioni che integrano infrastrutture idrauliche a spazi pubblici nei trascurati insediamenti messicani. Un lavoro di ricucitura tecnica e sociale, che trova nello stesso territorio in cui opera la sua fonte strategica: “I nostri interventi”, spiegano ad Artribune i fondatori José Pablo Ambrosi e Loreta Castro Reguera, “sono il risultato della lettura delle problematiche urbane, ambientali, sociali e culturali del contesto in cui si trovano. Iniziamo formulando una domanda che sintetizza una condizione esistente e che diventa la linea guida a cui rispondere attraverso il progetto”. Seguendo la sua topografia, un’area abbandonata sulla collina di Ecatepec è stata trasformata in un parco a gradoni, i cui terrazzamenti, riempiti con roccia locale, filtrano l’acqua piovana. Nella vicina Tecámac, uno spartitraffico ricoperto di materiali di scarto è ora un parco lineare di 2,6 km con skate park e campi sportivi, dotato di impianti per il trattamento delle acque reflue. E nella città di confine di Nogales, muri in gabbioni contengono la diga esistente, mentre un sistema di piattaforme allagabili compensa, nella stagione piovosa, la sua capienza inadeguata; al di sopra della diga, un grande portico in metallo si apre su una piazza, nuovo landmark dell’area.

Interventi di “agopuntura idrourbana” in grado di donare alle comunità servizi e senso di appartenenza, che sono valsi a Taller Capital numerosi riconoscimenti: ultimo, in ordine cronologico, l’MCHAP for Emerging Architecture, tra i maggiori premi di architettura del continente americano. Oggi lo studio è al lavoro “su un progetto per alloggi autocostruiti e sulla costruzione di residenze multifamiliari in giro per il Messico. Stiamo anche elaborando concept per giardini d’acqua e spazi pubblici infrastrutturali”, racconta il duo. “Vogliamo continuare ad approfondire l’uso della progettazione architettonica, urbana e paesaggistica come strumento per mitigare problemi urbani e ambientali più ampi, come la gestione dell’acqua, dei rifiuti, la vulnerabilità geologica: dopo aver testato questo approccio in Messico, siamo convinti del suo potenziale in altre parti del mondo”.

tallercapital.mx

MARTA ATZENI

ARCHUNTER

ART MUSIC

SONGS OF STONE: POESIE IN MUSICA

Ho affidato questi miei versi a Malcolm McDowell che li ha letti in modo violento, tragico, cinico. È stato un onore collaborare con lui. Massimo ha raccolto questi materiali dando loro nuovo respiro”. Con queste parole, Gabriele Tinti introduce il suo nuovo progetto di reading poetico, questa volta trasformato dal fondatore della band romana di rock strumentale sperimentale Zu, Massimo Pupillo, in un album dal titolo Songs of stone, edito da Subsound Records. È da anni, infatti, che Tinti porta le sue poesie in giro per i musei di tutto il mondo, facendole leggere ad attori di fama di fronte alle opere che li hanno ispirati. Questa volta il progetto prende le mosse dal suo ultimo libro Sanguinamenti – Incipit Tragoedia che raccoglie 140 epigrammi funebri greci e latini, realizzati nel 2020 a partire dalle suggestioni verbovisive provenienti dalle collezioni epigrafiche in pietra del Museo Nazionale Romano, dei Musei Capitolini e del Museo Archeologico di Napoli. “Ho utilizzato il distico elegiaco che è il metro dell’elegia, delle iscrizioni funebri, la struttura che veniva scelta per esprimere le lamentazioni, i compianti per la condizione dell’uomo, lo sconforto individuale”, ci spiega Tinti. “La poesia nasce da un accumulo. A partire da Omero, è sempre stato un lavoro su del materiale preesistente. In ogni poeta si troveranno delle reinvenzioni di alcuni versi, prestiti di parole, metafore, immagini, persino delle parafrasi di poeti precedenti. È sempre stato così: chi viene dopo deve fare i conti con chi c’è stato prima. Debito naturale che si esprime però in un’opera riconoscibile, differente”. Da queste riflessioni nasce un disco che, in realtà, doveva essere un’installazione sonora. “L’idea originaria era quella di far entrare il pubblico nei grandi ambienti delle Terme di Diocleziano chiamandolo alla sosta e all’ascolto, grazie alla voce e alla musica che sarebbero emerse nello spazio dirigendo la visione”, ci racconta Pupillo. “Il Covid ha rallentato l’entusiasmo iniziale. Abbiamo quindi pensato di realizzare il progetto nella forma di un album vero e proprio, destinato ad un ascolto più intimo Lavorando con un timbro vocale così eloquente, ho cercato di costruire un teatro immaginario, uno sfondo e quinte fatte di suono”. Il risultato? Un flusso sonoro sospeso tra il sogno e l’incubo, interrotto di tanto in tanto dalla voce processata dell’attore di Arancia Meccanica, la cui gravità fa calare in pieno nel dramma delle “canzoni di pietra”.

subsoundrecords.it/epk/SSR122PMTS/

CLAUDIA

GIRAUD

Debutto in Australia per l’architetto giapponese Tadao Ando

VALENTINA SILVESTRINI L Maestro dell’architettura contemporanea, Tadao Ando firma quest’anno la sua prima opera in Australia: è lui ad aver disegnato il decimo MPavilion, l’annuale padiglione installato per cinque mesi nei Queen Victoria Gardens di Melbourne e poi donato alla comunità locale. Nell’iniziativa, promossa dalla Naomi Milgrom Foundation con il sostegno dalla città di Melbourne e dello stato del Victoria, sono stati nel tempo coinvolti progettisti internazionali, come Rem Koolhaas e David Gianotten di OMA. Svelata a breve e accessibile dal 16 novembre 2023, l’opera sarà “eterna, non nel materiale o nella struttura, ma nella memoria di un paesaggio che continuerà a vivere nel cuore delle persone”, ha anticipato Ando.

La Campania approva legge per valorizzare la Street Art

LIVIA MONTAGNOLI L Dopo Puglia e Lazio, che già si erano attivate nel 2020, anche la Campania ha approvato la proposta di legge recante “Disposizioni per la valorizzazione, promozione e diffusione della Street Art”, con l’obiettivo di dare alla Street Art dignità di fenomeno culturale e forma d’arte di rilevanza sociale. Il provvedimento è stato promosso da Massimiliano Manfredi (Pd) insieme a Francesco Emilio Borrelli (Alleanza Verdi-Sinistra), ricevendo il plauso delle associazioni per la creatività urbana della Campania, riunite da Inward – Osservatorio Nazionale sulla Creatività Urbana. La legge sarà finanziata con 200mila euro per il triennio 2023-2025, per premiare le opere migliori tra quelle realizzate dagli artisti di strada e i progetti di ricerca delle università. Proprio la Campania, nel 2019, aveva tenuto a battesimo il primo centro studi universitario italiano dedicato alla ricerca sulla creatività urbana, Inopinatum.

L’Intelligenza Artificiale scrive il comunicato stampa della mostra da Gagosian

DESIRÉE MAIDA L “Comunicato stampa generato da ChatGPT”. È questa la dicitura che apre il comunicato stampa della mostra che la sede romana della galleria Gagosian dedica all’artista multimediale statunitense Alex Israel, in programma dal 12 maggio al 28 luglio 2023. La comunicazione dell’esposizione è stata quindi affidata all’Intelligenza Artificiale, per mezzo di un servizio che attraverso l’“apprendimento automatico” elabora le informazioni, dando così vita a contenuti di vario tipo. “Utilizzando l’Intelligenza Artificiale per generare il comunicato stampa, sto commentando l’intersezione tra tecnologia, arte e media”, ha dichiarato l’artista, e la sua risposta è stata a sua volta frutto dell’utilizzo dell’AI.

NEWS
Silicon & Arum Italicum © ‘O sciore cchiù felice Parco dei Murales, Ponticelli, Napoli 2018.
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Photo Emanuele Romano

LOST IN DISTRIBUTION

L’AVIDITÀ DEGLI UMILI

Ambientato tra maggio 1942 e giugno 1943 nella Parigi occupata dai nazisti, Addio, Signor Haffmann narra la storia del gioielliere ebreo Joseph Haffmann il quale, dopo essere riuscito a fare fuggire la sua famiglia in zona franca, decide di cedere temporaneamente casa e attività al garzone di bottega François Mercier. Purtroppo, nelle poche ore necessarie a stipulare l’accordo di vendita, l’aumento dei controlli delle SS rende impossibile ogni fuga, costringendo l’uomo a chiedere aiuto al suo ex dipendente e alla giovane moglie. Superato un primo momento di spaesamento, la coppia decide di nascondere Joseph nel seminterrato del suo ex negozio.

NUOVI SPAZI

480 SITE SPECIFIC Napoli

Luca Piciocchi ci racconta i retroscena di questa home gallery partenopea che punta sull’arte emergente

Com’è nata l’idea di aprire questa nuova galleria?

Tra la fine degli Anni Novanta e inizi Duemila fummo tra i primi a Napoli a creare eventi e installazioni artistiche negli spazi del nostro appartamento di allora, coinvolgendo artisti come Luigi Battisti e Paolo Berardinelli. Da luglio 2021 ci siamo trasferiti in una bellissima casa che affaccia sul golfo di Napoli, una scelta condizionata anche dalla nostra voglia di continuare quella vecchia esperienza, per soddisfare la nostra esigenza di vivere l’arte e respirarla.

zione di curatori esterni?

Ci facciamo aiutare da amici, che partecipano con grande entusiasmo. Alla mostra inaugurale, Motivi di Luigi Battisti, sono venute circa 150 persone. La prossima mostra del 5 maggio, PetraFicta di Giorgio Milano, avrà un curatore esterno, Massimiliano Bastardo, che ci aiuterà anche come ufficio stampa.

Su quale tipologia di pubblico (e di clientela) puntate? E su quale rapporto con il territorio e la città?

Dopo Pour Elle e Mea Culpa, Fred Cavajé conferma la sua abilità nel narrare storie che indagano in profondità la psiche umana, mettendo in scena quei sottili meccanismi capaci di modificare, nel bene e nel male, la naturale evoluzione dei personaggi. Attraverso un cast eccezionale e una sceneggiatura essenziale, scritta a quattro mani con Sarah Kaminsky e tratta dalla pièce teatrale di Jean-Philippe Daguerre, il regista francese ci mette in guardia, mostrandoci come la corruzione dell’anima possa arrivare anche per coloro che sembrano avere già trovato equilibrio e serenità in esistenze umili ma felici. Malgrado la poliomielite lo abbia reso zoppo, il giovane Mercier può vantare una moglie devota, un lavoro che lo appassiona e, sebbene non abbia potuto servire il suo paese sui campi di battaglia, nutre con pazienza e modestia la speranza in un futuro migliore e in una bella famiglia. Ma quando, nel giro di poche ore, si ritrova proprietario di un appartamento lussuoso e di un’attività avviata, la sua mente vacilla. Avidità e rivalsa sociale prendono il sopravvento in una parabola discendente di arrivismo, crudeltà e arroganza. Perso nella disumana malvagità delle sue scelte, l’ex garzone di bottega si avvierà solo e confuso verso una deriva pericolosamente lontana da ciò che conta veramente.

GIULIA PEZZOLI

Adieu Monsieur Haffmann (Addio, Signor Haffmann)

Francia, 2021

REGIA: Fred Cavajé

SCENEGGIATURA: Sarah Kaminsky, Fred Cavajé

GENERE: drammatico

CAST: Daniel Auteuil, Gilles Lellouche, Sara Giraudeau, Nikolai Kinski, Anne Coesens

DURATA: 115 min

Il vostro progetto in poche righe. L’idea era quella di mettere in gioco gli ambienti della nostra abitazione, sostituendo i lavori permanenti con opere e installazioni ideate su misura. Gli artisti saranno invitati a creare progetti inediti, ispirandosi al vissuto dell’ambiente domestico e interagendo con la storia e gli spazi della casa.

Qual è la compagine che affronta questa avventura?

E cosa avete fatto prima?

I soci sono Gabriella Pascale, Lorenzo Piciocchi, Francesca Fogliano ed io. Negli Anni Ottanta ho curato alcune mostre e ho lavorato come critico con alcune riviste d’arte contemporanea. Gabriella Pascale, mia moglie, è una cantante. È stata la vocalist dei Walhalla, storica band new wave napoletana, per poi continuare come solista e cantante in un coro classico. Dai primi Anni Novanta seguiamo da vicino l’arte contemporanea, diventando negli anni anche collezionisti. Non acquistiamo le opere in base al loro valore, collezioniamo artisti con cui abbiamo condiviso importanti esperienze e di cui, per la maggior par te, siamo cari amici.

Avete collaboratori interni?

Vi avvarrete della collabora-

Il pubblico è costituito da amici, alcuni di loro collezionisti, artisti, galleristi, critici e curatori. Il nostro intento è creare un diverso flusso di interazione tra le persone che partecipano all’evento, in modo che non abbia nulla di convenzionale o formale, ma che sia vissuto con il calore e la bellezza dell’accoglienza e dell’arte.

Un cenno ai vostri spazi espositivi.

Ingresso, due grandi stanze direttamente sul golfo, un’ampia veranda e il terrazzo-giardino panoramico. Prima era un appartamento molto classico-borghese, dove la sala più grande era una sorta di galleria con quadri e mobili antichi. Ci interfacciamo con il territorio cercando di stabilire contatti e collaborazioni con tutti gli ambiti dell’arte contemporanea napoletana.

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Napoli Via Tasso 480 333 7246155 Vomero Quartieri Spagnoli Posillipo Piazza del Plebiscito Castel dell’Ovo

A New York apre il Richard Gilder Center, museo delle meraviglie scientifiche

LIVIA MONTAGNOLI L È costato un investimento da 465 milioni di dollari, e la cifra monstre rivela l’ambizione del progetto che dopo dieci anni di attesa ha portato alla realizzazione del Richard Gilder Center, un nuovo museo per New York sotto l’egida dell’American Museum of Natural History. L’edificio porta la firma dell’architetto Jean Gang e si ispira nelle forme sinuose all’ambiente naturale di grotte e canyon, finendo per evocare anche paesaggi lunari. L’obiettivo del Centro è quello di ribadire l’importanza della ricerca scientifica e il suo ruolo nella storia e per il futuro dell’uomo, tanto più in un momento storico in cui il negazionismo sembra rinsaldarsi supportato dalla diffusione di fake news.

Il Benin avrà il suo primo Padiglione alla Biennale d’Arte di Venezia 2024

GLORIA VERGANI L La Repubblica del Benin parteciperà per la prima volta alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2024. Il Paese Africano andrà aggiungendosi ad altre nazioni africane che da pochi anni hanno fatto ingresso alla Biennale: Ghana e Madagascar, che hanno fatto il loro debutto nel 2019, e Camerun e Namibia, che hanno svelato i rispettivi padiglioni inaugurali nel 2022. La presentazione del Benin a Venezia sarà curata da Azu Nwagbogu, nigeriano fondatore dell’African Artists’ Foundation (AAF) ed ex direttore dello Zeitz Museum of Contemporary Art di Città del Capo, il più grande museo d’arte contemporanea mai aperto in Africa.

A Londra aprirà un Museo tutto su Shakespeare. Nei resti di un antico teatro

GIULIA GIAUME L “Ciò che è passato è prologo”: nasce davvero nel solco dell’eredità di William Shakespeare il museo interamente dedicato al grande drammaturgo inglese, che sarà aperto al pubblico a Londra nella primavera del 2024. La nuova istituzione sorgerà a Shoreditch, intorno a un sito archeologico tre metri sotto il manto stradale: qui gli spettatori potranno ammirare dall’alto un palcoscenico che Shakespeare conosceva da vicino, la Curtain Playhouse. Il grande edificio rettangolare, con un palcoscenico lungo 14 metri, è il primo esempio nel suo genere conosciuto a Londra, con una capienza di 1.400 persone.

APP.ROPOSITO

3 STRUMENTI NEL CASO TORNI IL BLOCCO DI CHATGPT

BING E GPT-4

È arrivato quel giorno che, in tutta sincerità, ci saremmo aspettati di vedere più avanti: la fine della supremazia di Google come motore di ricerca. A batterlo è Microsoft, da sempre fra i grandi players dell’informatica. Che si tratti di antiche battaglie di browsers o di sistemi operativi, Microsoft si riprende, per ora, lo spazio che sentiva appartenergli da sempre: quello dell’unico punto di accesso ai servizi Internet di ultima generazione, in questo caso l’AI. Nella sua versione base, Bing ha già integrato il temutissimo GTP-4, quarta generazione del rivoluzionario Large Language Model (LLM) che consente ai dispositivi di comprendere il linguaggio naturale; uno strumento ancora più avanzato di ChatGTP per come lo conoscevamo noi. In una sezione della pagina iniziale di Bing, in alto a destra, dopo aver creato un account ed in cambio di tutti i nostri dati personali sensibili, avremo sotto le nostre dita il motore di ricerca con intelligenza artificiale integrata.

bing.com

MUSE.AI DI FIGMA

È successo. Ci siam tanto persi nelle meraviglie che può fare l’intelligenza artificiale applicata alla creatività che – questo mese senza ChatGPT l'ha più che dimostrato – ci è diventato difficile anche creare un banale titolo. Muse è uno strumento di copywriting assistito dall’intelligenza artificiale che, per ora, si può utilizzare in Italia senza restrizioni. Fa parte della suite dei prodotti Figma, che propone una serie di tool per la creatività (completamente gratuiti ed accessibili dal web) che a volte vanno anche a correggere noiosi workaround dei programmi di Adobe, o altri strumenti per la progettazione e la creatività. Muse, messo a punto su migliaia di esempi di ottimo copywriting, prenderà qualsiasi contenuto di testo e suggerirà alternative più chiare, più concise e più utili. Figma propone sei strumenti basati su intelligenza artificiale per gli scrittori, in grado di generare titoli, testi, immagini, facce; insomma, parte di quello che ci sentivamo liberi e sicuri di poter fare fino a ieri. Ma si potrebbe approfittare dell’occasione per riallenare il cervello…

figma.com/community/plugin/1190067223006709410/Muse.ai

PIZZAGPT

Sono tanti gli strumenti che si sono rivelati utili per aggirare il blocco a ChatGPT in Italia. Ma, nel caso di un nuovo stop, la domanda che scaturisce è: saremo in grado di recuperare dai nostri vecchi account i dati salvati? E le precedenti conversazioni? Ai posteri l’ardua sentenza. Se proprio non ce la facciamo a stare senza, ci si può avvalere di PizzaGTP, che, al modico costo di una pizza, risponderà alle nostre domande utilizzando una VPN, un tunnel informatico grazie a cui la nostra richiesta sembrerà provenire non dall’Italia, bensì da un’altra parte del mondo. È presente anche una sezione di servizi aggiuntivi che ci permette di conservare le nostre conversazioni e di accedere a tutte le funzionalità dei vecchi account di ChatGTP. Il modo più elegante di aggirare il blocco del Garante della Privacy? Collegarci con i nostri vecchi account tramite il browser Opera, che ha una VPN integrata: avremo a portata di mano da subito tutto il pregresso.

pizzagpt.it

NEWS
SIMONA CARACENI
Render di The Stage © Cain International
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The Gilder Center at Dusk. Photo Iwan Baan

UNO SBAGLIO DIPINTO DI BLU

Un prodotto innovativo che nasce da un errore. È Blue 600 Film - Reclaimed Edition, una pellicola speciale per macchine fotografiche Polaroid che, una volta sviluppata, crea eleganti immagini nella gamma del blu. Il responsabile della nascita di questa singolare edizione di pellicole è Brian Slaghuis, un brillante chimico che lavora a Enschede, nei Paesi Bassi, dove ha sede l’ultima fabbrica Polaroid rimasta al mondo. Mentre sperimentava nuove composizioni chimiche per migliorare il processo di sviluppo istantaneo delle immagini, soprattutto per quanto riguarda la qualità cromatica, Slaghuis si è casualmente imbattuto in una nuova reazione chimica che permette di far apparire le fotografie senza l’utilizzo di coloranti. Grazie all’utilizzo di una sostanza che si chiama TBHQ (butilidrochinone terziario), è infatti possibile ottenere scatti avvolti in un’affascinate atmosfera bluastra che ricorda l’estetica della cianotipia, antico metodo di stampa fotografica caratterizzata dal tipico colore Blu di Prussia. Un altro aspetto interessante consiste nel riutilizzo di materiali di scarto all’interno del processo: i tecnici sono infatti riusciti, grazie a questa scoperta, a trovare il modo di riciclare alcune componenti che sarebbero altrimenti finite in discarica.

“Il nostro team di ricerca e sviluppo ha il compito di migliorare la chimica delle pellicole”, ha commentato Oskar Smolokowski, presidente di Polaroid, “quando osservate una foto Polaroid mentre si sviluppa, avete tra le mani uno dei processi chimicamente più complessi mai creati. È questa miscela di arte e scienza che rende la fotografia Polaroid meravigliosamente imperfetta”.

$ 16.99 polaroid.com

CASSE GERMOGLIANTI

Una collezione di altoparlanti con un design unico. La serie A for Ara ripensa le casse audio e le trasforma in un oggetto di arredamento che diventa protagonista di qualsiasi stanza. Frutto della collaborazione tra Rob Kalin, fondatore di Etsy, e William Cowan, ex ingegnere della NASA.

a partire da 5.000 $ aforara.com

GRATTA E VIAGGI

L’accessorio perfetto per viaggiatori incalliti. Il mappamondo di Suck Uk permette di grattare via la superficie dorata dalla sagoma dei Paesi già visitati. Un modo divertente di sfoggiare i propri viaggi esibendoli con nonchalance in salotto sopra un elegante globo colorato.

$ 50 suck.uk.com

NASO ROSSO D’EMERGENZA

Il Red Nose Day è una campagna annuale di raccolta fondi creata dall’associazione britannica Comic Relief per sensibilizzare sul problema della povertà infantile. Per la giornata 2023 Jony Ive (ex chief designer Apple), insieme al team di LoveFrom, ha creato un naso rosso portatile in carta.

£ 2,50

LA TASTIERA SULLA PELLE

Un’idea strana e divertente che attirerà i nerd di tutto il mondo. Il brand Limi nalwork, che ha aperto da po chissimo il proprio shop online, propone questa giacca imbottita di pelle che ricalca la forma di una tastiera del computer.

$ 159.99 liminalwork.shop

DILLO CON UNA MAGLIETTA

A volte mandare a quel paese qualcosa o qualcuno può essere un atto liberatorio, se non addirittura terapeutico. È questa l’idea alla base della collezione di magliette Fuck Tshirts. Ci sono modelli per tutti i gusti, dagli odiatori dell’ignoranza a quelli del caffè decaffeinato.

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ARRAMPICATA DA FRIGO

Il regalo ideale per ogni appassionato di scalate. Il kit MicroSend contiene una serie di magneti ispirati alle pareti per arrampicata da interni. Possono essere usati per progettare un percorso futuro oppure semplicemente per attaccare foto e fogli sul frigorifero.

$ 19.99

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COMPAGNI DI BUCATO

Siete stanchi di lottare con i peli degli animali domestici e i pelucchi vari che si accumulano sui vestiti? I Laundry Buddies sono la soluzione. Basta gettare queste simpatiche palline nella lavatrice o nell’asciugatrice per liberarsi di tutti i residui indesiderati.

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BALOON DOG ANTI-AFA

Per tutti gli amanti dei cani-palloncino (oppure di Jeff Koons) questo è l’accessorio must have dell’estate 2023. Un ballon-dog gonfiabile altro un metro e ottanta che spruzza acqua dal muso e dalla coda. Per rinfrescanti party in giardino.

$ 132 thirddrawerdown.com

OCCHIONI RILASSANTI

Dalla mente vulcanica dei designer di Fred & Friends, un accessorio di bellezza che fa sorridere. Sono dei cuscinetti in gel che vanno messi in freezer e poi posizionati sugli occhi per sgonfiarli dopo una lunga giornata.

$ 8 genuinefred.com

COSE a cura di VALENTINA TANNI
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LA RESIDENZA COME ZONA FRANCA

Il mio percorso è andato delineandosi attraverso esperienze differenti. Dopo essermi laureata in Lettere Moderne ho proseguito gli studi in Archeologia e Storia dell’Arte, specializzandomi però in arte contemporanea con una tesi di ricerca sulle residenze d’artista. A settembre 2021 ho preso parte al progetto Endless Residency, assegnatario del grant Italian Council X edizione: si tratta di un osservatorio sulla mobilità artistica e piattaforma di scambio tra artisti e art workers avviato da Giulio Verago e Silvia Conta. Nella seconda metà del 2023, gli esiti di entrambe le ricerche troveranno voce in un’unica pubblicazione.

Il tema della mobilità e conseguente dislocazione della pratica è stato, negli ultimi anni, il centro della mia ricerca. Lo studio teorico, infatti, si è accompagnato a quello pratico, come organizzatrice e curatrice della residenza Lido La Fortuna, promossa dall’associazione Lido Contemporaneo in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e Beni Culturali del Comune di Fano (Marche, PU), quest’anno alla sua terza edizione. Le residenze d’artista sono momenti essenziali nella crescita professionale e umana di un artista, ma anche di un curatore, perché costituiscono “zone franche” di sperimentazione, occasioni libere di scambio, incontri e confronti che incoraggiano all’assunzione di rischi, fuori dalle mode politiche e sociali appartenenti ai grandi centri dell’industria creativa. In questo modo la pratica artistica si mette a servizio di una visione più ampia, non solo culturale: legandosi alla comunità ospitante, si realizza un tipo di comunicazione alternativa, che può durare anche oltre il periodo di permanenza in un determinato luogo.

Idealmente ci sono due direttrici che vanno intersecandosi, una che coinvolge gli addetti al settore e l’altra il territorio ospitante; nel punto del loro incontro si realizzano le condizioni ideali per una residenza.

Grazie a questa attività di ricerca ho avuto modo di conoscere e seguire il lavoro di Andrea Martinucci (Roma, 1991), in residenza nella seconda edizione di Lido La Fortuna, e Ludovico Orombelli (Como, 1996), con cui vorrei presto lavorare. Due artisti molto differenti ma con un medesimo approccio “viscerale” nei confronti della pratica pittorica, vissuta attraverso processi di creazione tradizionali, come la tecnica rinascimentale dello spolvero nell’opera Dispersione (Panoramica) per Orombelli; l’utilizzo di oggetti quo-

NEI NUMERI PRECEDENTI

#46 Marta Cereda

#47 Vasco Forconi

#49 Greta Scarpa

#50 Federico Montagna

#52 Pierre Dupont

#54 Giovanni Paolin

#58 Arianna Desideri

#61 Marta Orsola Sironi

#63 Caterina Avataneo

#65 Giuliana Benassi

#68 Erinni

#71 Collettivo Amigdala

tidiani, come i soggetti di Martinucci (che vengono lacerati, frammentati e ricomposti in nuove forme), tra storia personale e storie collettive in Mille e mille volti; e, infine, la collocazione in ambientazioni sospese e generate dal subconscio in Martinucci (Mezzanotte) e illusionistiche e rarefatte in Orombelli (Ribaltamento, cielo), tra installazione e intervento site-specific. Il primo volto a materializzare, attraverso le pieghe sulla tela e le stratificazioni di colore, la soggettività e la parzialità dei ricordi; l’altro, in bilico tra una dimensione poetica e un approccio più mentale e linguistico, teso a indagare il rapporto tra l’osservatore e l’oggetto osservato.

Curatrice indipendente, laureata in Archeologia e Storia dell’arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Da settembre 2021 fa parte del team di ricerca di Endless Residency e cura e organizza la residenza per artisti

Lido La Fortuna (Associazione Lido Contemporaneo, Fano, PU). Dal 2018 si occupa per ArtsLife di contenuti e approfondimenti per la sezione Arte e sviluppo marketing

CATERINA ANGELUCCI
La curatela di una residenza d’artista si rivela sempre un’occasione per crescere e assumersi rischi. Ce lo racconta Caterina Angelucci, ricercatrice e curatrice per Endless Residency e Lido La Fortuna.
bio
OSSERVATORIO CURATORI Andrea Martinucci, Mille e mille volti , 2022, acrilico e grafite su tela di cotone, 90 cm x 168 cm x 2 cm. Courtesy l’artista. ©Andrea Martinucci a cura di DARIO MOALLI 72 39
Orombelli,
Ludovico
Ribaltamento (Cielo) , 2022, 48 m 2 , fresco, Tagli, ArtNoble Gallery, Milan, Italy.
Photo Emanuele Sosio
OSSERVATORIO CURATORI
in alto: Andrea Martinucci, Mezzanotte , 2022, acrilico e grafite su tela di cotone, 59 cm x41 cm x 6 cm (circa).
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Photo Paolo Semprucci. Courtesy l'artista. ©Andrea Martinucci in basso: Ludovico Orombelli, Dispersione (Panoramica) , 2023, spolvero a parete, 318 cm x 1400 cm x 370 cm. Photo Michael James Daniele © Chiara Lanzieri per Artribune Magazine
STORIES ARTISTI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE DIALOGHI ARTISTICI CON LA MACCHINA a cura di VALENTINA TANNI 72 45

VALENTINA TANNI

Nel 1953, l’artista, psicologo e ingegnere inglese Gordon Pask progettò una macchina chiamata Musicolour. Si trattava di un sistema computerizzato in grado di produrre uno spettacolo luminoso in risposta a degli stimoli sonori. Sul palco, il Musicolour poteva entrare in dialogo con un pianista, ad esempio, reagendo in tempo reale alla melodia suonata. Molti lodarono l’aspetto multimediale dello spettacolo, ma l’attenzione di Pask era diretta altrove: “...l’aspetto interessante di Musicolour non era la sinestesia,” scriverà qualche anno più tardi, “ma la capacità di apprendimento della macchina. Con un design adeguato e una scelta felice del vocabolario visivo, l’esecutore (influenzato dalla visualizzazione) poteva essere coinvolto in una stretta interazione con il sistema. Egli addestrava la macchina e questa giocava con lui. In questo senso, il sistema agiva come un’estensione dell’esecutore, con il quale poteva cooperare per ottenere effetti che non avrebbe potuto ottenere da solo”. Negli Anni Cinquanta del XX secolo, dunque, il computer già veniva percepito come un possibile partner creativo, una forma di vita artificiale con cui stabilire un dialogo volto a produrre effetti altrimenti impossibili. Un approccio, questo, che verrà adottato anche da molti altri autori nei decenni successivi, primo fra tutti Harold Cohen, pioniere assoluto dell’uso artistico dell’intelligenza artificiale, che, a proposito del suo rapporto con Aaron, suo alter-ego digitale dagli Anni Settanta del Novecento agli Anni Dieci del nostro secolo, scriveva: “la creatività non risiede né nel programmatore né nel programma, ma nel dialogo tra programma e programmatore”.

IL CHATBOT ELIZA

Joseph Weizenbaum, informatico del MIT (Massachusetts Institute of Technology), sviluppa il chatbot Eliza, uno dei primi esempi di software per la conversazione artificiale. Il sistema era progettato per imitare il dialogo di un terapeuta psicoanalitico.

IL COMPUTER PITTORE DI HAROLD COHEN

LA CONFERENZA DI DARMOUTH

TURING E IL GIOCO DELL’IMITAZIONE

ALAN

In un articolo uscito sulla rivista scientifica Mind, il matematico britannico Alan Turing (1912 –1954) inventa il “Turing Test”, ossia un criterio per determinare se una macchina sia in grado di esibire un comportamento intelligente.

Con il Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence (1956) nasce ufficialmente l’intelligenza artificiale come campo di ricerca. Al workshop parteciparono ricercatori come Claude Shannon, Marvin Minsky e John McCarthy.

Nel 1973 l’artista americano Harold Cohen (1928 – 2016) sviluppa un algoritmo per computer che rende la macchina in grado di produrre immagini con l’irregolarità del disegno a mano libera. Il “computer pittore”, a cui Cohen lavorerà per decenni, si chiamava Aaron.

LA SCIENZA POETICA DI ADA LOVELACE

Ada Lovelace (1815-1852), pioniera dell’informatica, ipotizza la nascita di una “scienza poetica” e immagina la possibilità di usare i computer anche per scopi che vanno aldilà del calcolo, come ad esempio comporre della musica.

LE MACCHINE REATTIVE DI GORDON PASK

Lo studioso di cibernetica e artista

Gordon Pask (1928 – 1996) inventa il Musicolour, una macchina in grado di rispondere in tempo reale a un input sonoro con uno spettacolo di luci sempre diverso.

LA MOSTRA CYBERNETIC SERENDIPITY

All’ICA (Institute of Contemporary Art) di Londra inaugura Cybernetic Serendipity, la prima grande mostra dedicate all’utilizzo del computer nell’arte. Curata da Jasia Reichardt, includeva numerose opere interattive e semi-autonome.

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Da quando applicazioni come DALL·E e ChatGPT sono state rese pubbliche, nella seconda metà del 2022, la discussione su intelligenza artificiale e creatività è letteralmente esplosa. Nel mondo dell’arte, tuttavia, si ragiona sul rapporto tra uomo e macchina sin dagli Anni Cinquanta del secolo scorso
ARTE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE: 15 DATE DA RICORDARE

LE DINAMICHE TRA UMANITÀ E MACCHINE

Quest’idea di collaborazione con la macchina, un tema che gli artisti indagano da più di settant’anni, sarebbe tuttavia passata presto in secondo piano, soppiantata da una sempre più diffusa retorica della “sostituzione”. Nei decenni successivi, infatti, quando le prestazioni dei computer si faranno più efficaci e sorprendenti, le macchine verranno percepite sempre più spesso come entità rivali: da un lato vogliamo modellarle a nostra immagine e somiglianza, dall’altro siamo terrorizzati dall’idea di riuscirci, creando forme di intelligenza in grado di surclassarci e minacciare la nostra stessa esistenza. È attorno a questa strana dicotomia – una

NASCE SIRI

NON DOVREMMO DIMENTICARE, TUTTAVIA, CHE NESSUNO DI QUESTI SISTEMI, PER QUANTO “AUTONOMO”, È IN GRADO DI PORRE UNA QUESTIONE DAVVERO NUOVA AGLI ARTISTI

L’assistente vocale più famoso del mondo, Siri di Apple, viene inserito per la prima volta come funzione integrata nell’iPhone 4S nell’ottobre 2011. La sua diffusione spianerà la strada a tutti i software successivi, come Alexa e Google Assistant.

NASCE L’ARTIFICIAL LIFE ART

Nel 1992, l’artista americano

William Latham presenta l’opera Mutations al Siggraph, evento internazionale dedicato alla grafica computerizzata. Gli algoritmi del progetto, sviluppati in collaborazione con Stephen Todd, sono ispirati ai processi naturali e ai sistemi organici.

DEEP DREAM: LE ALLUCINAZIONI DI GOOGLE Google lancia Deep Dream, un programma di elaborazione delle immagini che utilizza una rete neurale convoluzionale per trovare e potenziare degli schemi all’interno di immagini tramite una pareidolia algoritmica, creando effetti allucinogeni e psichedelici.

continua oscillazione tra fascinazione e terrore – che si articola ancora oggi il dibattito sull’intelligenza artificiale. Un dibattito che si è fatto sempre più intenso nell’ultimo anno, sospinto dalla comparsa di una serie di applicazioni accessibili al pubblico e facili da utilizzare: software TTI (text-toimage) come DALL·E, Midjourney e Stable Diffusion e chatbot come ChatGPT e Google Bard. La capacità che questi sistemi hanno di produrre contenuti di buona qualità in maniera automatica e con un input umano minimale (non senza errori e approssimazioni), ha riacceso l’eterna discussione sul ruolo dell’autore e sulla funzione dell’opera d’arte nella società. Non dovremmo dimenticare, tuttavia, che al netto delle questioni legali ed economiche che giustamente preoccupano molte categorie di lavoratori del settore creativo, nessuno di questi sistemi, per quanto “autonomo”, è in grado di porre una questione davvero nuova agli artisti. Da oltre un secolo, infatti, l’arte si è svincolata da ogni dogma: ha rivendicato la sua libertà di ignorare la tecnica, sottovalutare la manualità, superare il genio individuale, persino abbandonare completamente il mondo della materia. Gli artisti hanno lavo-

La casa d’aste Christie’s vende per la prima volta un’opera interamente realizzata con sistemi di machine learning. La firma un collettivo francese chiamato Obvious e viene battuta per 432.500 dollari.

DEEPBLUE VINCE A SCACCHI

Il 2 febbraio 1996, Garry Kasparov diventa il primo campione mondiale di scacchi a essere battuto da una macchina. È Deep Blue, un supercomputer creato appositamente dalla IBM per svolgere questo compito.

ARRIVANO LE

GAN

L’ingegnere informatico Ian Goodfellow (1985) inventa le reti generative avversarie (in inglese GAN). Si tratta di un rivoluzionario metodo di apprendimento automatico in cui due reti neurali vengono addestrate in maniera competitiva.

OpenAI presenta la prima versione di DALL·E, un algoritmo di intelligenza artificiale capace di generare immagini a partire da descrizioni testuali. La seconda release, aperta al pubblico l’anno successivo, avrebbe dato il via al boom dei programmi Text To Image.

Il 3 novembre 2022

Open AI mette online una versione di ChatGPT utilizzabile da tutti. Si tratta di un chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico specializzato nella conversazione con un utente umano.

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L’AI ART ARRIVA DA CHRISTIE’S NASCE LA PRIMA VERSIONE DI DALL·E VA ONLINE CHATGPT 3
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LE BATTAGLIE LEGALI SONO IN CORSO

In materia di AI, il 2023 è senz’altro l’anno delle cause. Se non altro, il primo. Dopo mesi di proteste più o meno pubbliche nel 2022 contro l’utilizzo di immagini protette da copyright per l’allenamento delle intelligenze artificiali, artisti e piattaforme si sono mossi in campo legale. Ad aprire la strada è stata una coalizione di tre artiste (inclusa la popolare fumettista Sarah Anderson), che ha intentato causa alle compagnie statunitensi Stability AI, Midjourney e DeviantArt. Poi si è mossa nella sua scia la colossale media company angloamericana Getty Images. Al centro delle due dispute c’è un grosso vuoto legislativo: non è infatti normato come legale né illegale l’atto di scavalcare il copyright di un’opera d’arte per addestrare un’intelligenza artificiale. Da un lato, gli autori e i possessori delle opere non giustificano l’utilizzo per l’allenamento “senza permesso o compenso” come coperto dal “fair use”, ma lo interpretano come furto e concorrenza sleale; dall’altro le compagnie che sviluppano questi generatori sostengono che le opere fatte dall’AI, spesso creabili gratuitamente online, sono tecnicamente “nuove” in quanto rielaborate al punto da non poter essere più riconducibili a delle immagini specifiche, e per questo non accusabili di plagio più di un artista che si ispiri a un altro. Certo, un cervello umano non è in grado di spappolare l’immagine nelle sue più piccole parti e ricordarle nel loro preciso ordine per metterle poi a disposizione di un input testuale generato da utenti terzi. Non resta che aspettare l’esito delle cause, e vedere se altre ne seguiranno. C’è chi dice che, per entrare seriamente nel vivo, manchi la comparsa sulla scena della Disney, da sempre sostenitrice delle severissime leggi sul copyright negli Stati Uniti. La pervasività del tema, che tocca anche ChatGPT e le professioni creative in ambito letterario, comunicativo e informativo, lascia intuire di essere solo all’inizio di una nuova epoca legislativa in campo creativo e di diritto d’autore a livello globale.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLE ARTI VISIVE

rato in maniera anonima, hanno creato esperienze effimere, hanno esplorato il silenzio e il vuoto, hanno seguito istruzioni, si sono abbandonati al caso. Hanno persino smesso di fare arte, in nome dell’arte. In un tale contesto, ne consegue, nessuna tecnologia può sperare di assumere un carattere rivoluzionario: in quanto modalità espressiva e comunicativa umana, l’arte continuerà ad evolversi secondo modalità impreviste e organiche (inglobando anche la tecnologia, quando necessario). Non dobbiamo pensare, tuttavia, che la diffusione di massa dei sistemi di intelligenza artificiale non avrà conseguenze a livello culturale ed estetico: come scriveva lo storico americano Melvin Kranzberg negli Anni Ottanta, “la tecnologia non è buona né cattiva; ma non è neanche neutrale”. Questo significa che, al di là delle scelte individuali, l’influenza delle innovazioni tecnologiche è di carattere sistemico: la sola esistenza di determinati strumenti cambia la percezione del mondo, estende il senso della possibilità, influisce sulle strutture sociali ed economiche, modifica il senso estetico e il senso comune. Tutti questi cambiamenti, nel loro complesso, si rifletteranno senza dubbio nell’arte delle generazioni a venire, secondo modalità che sono ancora difficili da prevedere.

TUTTI QUESTI CAMBIAMENTI, NEL LORO COMPLESSO, SI RIFLETTERANNO SENZA DUBBIO NELL’ARTE DELLE GENERAZIONI A VENIRE, SECONDO MODALITÀ

CHE SONO ANCORA DIFFICILI DA PREVEDERE

Guardando ai progetti artistici di oggi, vediamo che gli approcci al machine learning da parte degli artisti, inizialmente molto simili soprattutto se osserviamo il periodo 2017-2020, dominato dall’uso delle reti GAN (Generative Adversarial Networks) e incentrato su un’estetica simil-surrealista, si stanno diversificando. Molti autori svolgono una ricerca, quanto mai necessaria, che scava dietro le quinte di questa tecnologia, mettendo a nudo i meccanismi nascosti e le implicazioni politiche e sociali. Pensiamo ad esempio al lavoro di artisti come Trevor Paglen, che evidenzia i profondi bias contenuti nei dataset utilizzati per addestrare le reti neurali; ma anche all’opera di Hito Steyerl, che pone continuamente in discussione la presunta intelligenza di questi sistemi attraverso una narrazione in bilico tra cronaca e fantascienza. Sempre sul versante critico, ci sono anche artisti che concentrano la propria attenzione non sulla tecnologia in sé quanto piuttosto sull’aspetto umano: come accogliamo questi strumenti, come li utilizziamo nella vita quotidiana e in che modo ci cambiano? È quello che fa ad esempio Lauren Lee McCarthy con progetti come Lauren, in cui un essere umano si sostituisce allo smart speaker casalingo fingendo di essere un’AI, oppure in installazioni come Unlearning Language. In quest’opera, realizzata in collaborazione con Kyle McDonald e presentata di recente in Giappone allo Yamaguchi Center for Arts and Media, gli artisti utilizzano un sistema di intelligenza artificiale per spingere i partecipanti a “nascondersi” dalle macchine, cercando modalità di comunicazione interpersonale non comprensibili dai sistemi di sorveglianza digitale.

ARTE E AI: TRA SUONI E ALLUCINAZIONI

In ambito sonoro, vale la pena di citare la ricerca pluriennale di Holly Herndon che, dopo aver usato le reti neurali per produrre voci aliene da usare nei dischi, ha usato l’AI per creare un deepfake vocale personalizzato: attraverso il progetto Holly+ la voce (e l’identità) dell’artista diventano una risorsa open-source, gestita da una DAO, nel contesto di un esperimento estremo di disseminazione identitaria. “I deepfake vocali sono destinati a rimanere”, spiega Herndon, “è necessario trovare un equilibrio tra proteggere gli artisti e incoraggiare le persone a sperimentare con una tecnologia nuova ed entusiasmante. La voce è intrinsecamente comunitaria, viene appresa attraverso la mimesi e il linguaggio, e interpretata da individui”.

Le infinite possibilità combinatorie che l’AI introduce, infine, rappresentano un terreno di sperimentazione ideale per gli artisti interessati a esplorare i territori del sogno, della visione e dell’immaginazione. Roberto Fassone, ad esempio, ha addestrato un modello linguistico con centinaia di trip report, ossia resoconti di esperienze con sostanze psichedeliche. Nella sua opera, che si compone di vari capitoli, le allucinazioni umane si fondono (e confondono) con quelle della macchina, dando vita a mondi possibili e dimensioni parallele.

Signore e signori della commissione, buongiorno. Mi chiamo “***” (virgolette incluse), ho 37 anni e sono un artista. Sono qui per esprimere creativamente la mia irriducibile soggettività. Come da regolamento, devo illustrarvi quale strumento ho scelto come veicolo per la mia impresa artistica, la quale prende le mosse dall’intersezione tra la visualità, la performatività, la responsabilità sociale, la documentalità, il racconto del sé, l’interaction design e la (autocritica della) metafisica. Devo ammettere con imbarazzo che non ho ancora preso una decisione finale. Dopo una accorata disamina, mi restano ancora tre opzioni. Fino a ieri erano cinque, ma ne ho scartate due proprio stamattina mentre finivo di limare il mio intervento: l’opzione “una buona vecchia penna a sfera”; e l’opzione “il mio sangue” (per intendersi: più alla Andres Serrano del 1990 che alla Gina Pane del 1974). Mezzi entrambi molto economici ma poco versatili, perciò poco adatti a questi tempi di inflazione interdisciplinare.

GREGORIO MAGINI

(Firenze, 1980) è uno scrittore. Ha fondato e coordinato il progetto Scrittura Industriale Collettiva, da cui è nato il progetto In territorio nemico (minimum fax, 2013). I suoi racconti sono apparsi sulle maggiori riviste letterarie italiane e su numerose antologie. Il suo ultimo romanzo è Cometa (Neo edizioni, 2018).

Resto dunque indeciso tra: [1] una I.A. prodotta dalle selvagge e prive di scrupoli megacorporazioni americane; [2] una I.A. prodotta dal complesso tecno-universitario dell’UE; [3] perché no, (anche solo per provare) un agente cognitivo totalitario della Repubblica Popolare Cinese. Sento mormorii scandalizzati. Vogliate ascoltarmi. Sono in ogni caso convinto che, qualsiasi sarà la mia scelta, la mia irriducibile soggettività troverà il modo di esprimersi libera e persino incontaminata. Certo, preferirei un mondo in cui la tecnologia non fosse in mano al Grande Capitale, ma, siccome la tecnologia è in mano al Grande Capitale, preferisco, paradossalmente, un mondo in cui la tecnologia è in mano al Grande Capitale. A dire il vero, preferirei un mondo in cui la tecnologia proprio non esistesse, un mondo in cui mi bastasse pensare qualcosa per realizzare tutti i miei desideri. Ma, siccome la tecnologia esiste da che mondo è mondo, mi accontento di preferire, rispetto a un mondo che non esiste, un mondo in cui esiste la tecnologia. Dirò di più: non essendo uno a cui piace accontentarsi, non mi accontento di usare la tecnologia come tutti gli altri, ma prima la rivendico e poi la trascendo La mia irriducibile soggettività travalica la tecnologia, in questo modo: quando penso a qualcosa, sono proprio io che lo penso, e nessun altro. Non un burocrate di Bruxelles; non un oligarca californiano; non un povero neijuan che l’ultima cosa che farà prima di gettarsi dalla finestra sarà censurare il mio prompt. Io. Non è mai esistito né mai esisterà un pensiero uguale al mio. A rigor di logica, non avrei nemmeno bisogno di concretizzarlo, il mio pensiero, ma non credo nell’arte puramente concettuale, che soffre di un persistente bias “elitarista”: tutti dovrebbero avere la possibilità economica e culturale di sapere cosa mi passa per la testa. Credo fermamente nell’unicità di ogni singola copia e che tutte le cose sono in realtà la stessa cosa. Cioè io. Ma attenzione: quando uso il pronome “io”, è una pura convenzione grammaticale. Infatti, ho accuratamente annientato dentro di me qualsiasi illusione del sé. Per citare l’Avataṃsakasūtra, a.k.a. Il Grande sutra dell’ornamento fiorito dei Buddha, nel mio mondo fenomenico vige “piena realizzazione, ovvero immortalità, ovvero altruismo, ovvero assenza di una natura intrinseca, ovvero la fine delle differenziazioni, ovvero la dimora della pace e della felicità, ovvero l’infinitudine, ovvero la cessazione delle trasmigrazioni, ovvero la cessazione dell’attività mentale compulsiva, ovvero la nondualità”. Di conseguenza, quando penso qualcosa, è come se lo pensassero tutti e nessuno, o il mondo intero. Ciò mi rende un candidato particolarmente adatto al ruolo di artista in questo secolo [inserire qualcosa sul cambiamento climatico].

Mi rendo conto che, rispetto a quanto detto, la mia candidatura possa apparire quantomeno provocatoria. Eppure, signore e signori della commissione, vi assicuro che, nonostante “io” sia pienamente vuoto e privo di inclinazioni, valorizzo in primo luogo nell’arte l’espressione dell’umano. Lo spirito soggettivo deve apportare quel novum genuinum che l’I.A. – su sua stessa ammissione – non è in grado di definire. Dobbiamo avere fede, confidando che la scintilla della coscienza non sarà mai e poi mai spenta nei recessi oscuri della macchina. Dice il Vangelo: “Si porta forse la lampada per metterla sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, e nulla di segreto che non debba essere portato alla luce”.

Sto concludendo. Qui confesso che finora vi ho tenuta nascosta un’ultima opzione. Un’opzione, per così dire, di riserva, nel caso che l’uso delle I.A. in questo contesto vi possa apparire blasfemo. Come ultima opzione vi chiedo, anzi v’imploro: fatemi a pezzi. Inseritemi fisicamente in un dataset! Solo così, tutto macinato, sarò in grado di trasmettere ai posteri la mia unica e inimitabile visione dell’Uomo!

[Trascritto da una prova orale del primo concorso pubblico di ammissione alla Gilda degli Autori Umani, in data mercoledì 1° aprile 2026. Il candidato è stato bocciato.]

GREGORIO MAGINI

STORIES ARTISTI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
“***”
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ARTE E DEEP LEARNING: OLTRE LA FASCINAZIONE

DANIELA COTIMBO

(Taranto, 1987; vive a Roma) è storica dell’arte e curatrice indipendente. Ha fondato il Re: Humanism Art Prize, dedicato al rapporto tra arte e intelligenza artificiale, ed è presidente dell’associazione culturale omonima.

Anno Domini 2023: è di poche settimane fa la notizia che il Garante della Privacy ha intimato a OpenAI, azienda californiana produttrice di ChatGPT (a oggi il più avanzato modello linguistico basato su intelligenza artificiale) di sospendere il servizio in Italia e di rispondere in merito al trattamento dei dati degli utilizzatori presenti sul territorio nazionale. Solo di pochi giorni prima è una lettera firmata da diverse celebrità nell’ambito Big Tech, tra cui l’imprenditore Elon Musk, in cui si chiede alle autorità competenti di interrompere la ricerca su applicativi di questo tipo per almeno sei mesi. Sei mesi per cercare di comprendere un cambiamento di portata epocale che, tuttavia, non è iniziato oggi e che già da diverso tempo impone riflessioni di natura etica, politica, sociale e filosofica.

Curiosamente, il mondo dell’arte negli ultimi anni sembra essere al centro di questi grandi cambiamenti tecnologici: le blockchain promettono una rivoluzione nell’ambito della fruizione e della vendita di opere d’arte digitali (e non solo), mentre i sistemi basati sul deep learning mostrano risultati strabilianti nell’ambito della creazione di contenuti, presentando

un’accuratezza finora mai raggiunta, tale da trarre in inganno anche l’osservatore più attento. Se da un lato ChatGPT ci consente di avere un’esperienza estremamente realistica di conversazione testuale con un’intelligenza artificiale, i programmi TTI (text-to-image) come DALL·E 2, Midjourney e Stable Diffusion, permettono di trasformare testi di diversa natura in immagini fotorealistiche e illustrazioni, anche simulando stili appartenenti ad artisti già noti. Secondo alcuni, siamo entrati nell’epoca del “promptism”. Tralasciando volutamente la discussione sulla capacità di questi sistemi di tradursi in forme di creatività autonome che – come ci ricorda il filosofo eticista Luciano Floridi – mancherebbero comunque di alcune delle caratteristiche fondanti dell’esperienza estetica umana, tra cui una storia e un contesto dal quale scaturisce la stessa esigenza espressiva, molti artisti si stanno cimentando nel loro utilizzo. La sfida non è banale dal momento che questi applicativi implicano sempre una dimensione di imprevedibilità che se da un lato affascina, dall’altro spesso sfocia in stilemi ricorrenti, immagini didascaliche ed errori eclatanti. Tra gli esempi più interessanti di applicazione artistica delle tecnologie TTI possiamo citare l’artista canadese Jon Rafman, che da molti anni utilizza l’AI per la creazione dei suoi lavori e che ultimamente sta sperimentando un immaginario estetico fortemente incentrato sull’utilizzo delle reti neurali. In Counterfeit Poasts (2022), esposto nella grande collettiva What a Wonderful World al MAXXI di Roma, Rafman utilizza

Jon Rafman, Counterfeit Poasts , 2022. Veduta dell'installazione in What a Wonderful World, MAXXI, Roma, 2022. Courtesy Fondazione MAXXI. Photo M3Studio

immagini generate con un software open source per comporre un video dall’andamento onirico, in cui un susseguirsi di creature mutanti mettono in scena il complesso sistema di nevrosi relazionali che caratterizzano la società contemporanea.

Di matrice speculativa sono invece gli interventi di artisti come Entangled Others, Joey Holder e Katja Novitskova, per cui il deep learning diventa l’occasione per esplorare nuove forme di esistenza e di relazione con le altre specie viventi e con tutto l’universo non-umano.

Sul filone della riscrittura di miti e rituali si situano le esperienze di artisti come Juan Covelli, Sahej Rahal, Marianna Simnett e Petros Moris, che sfruttano il potenziale generativo dell’algoritmo per rileggere la cultura dominante del progresso attraverso la lente della decolonialità. Particolarmente interessante, in virtù della capacità di miscelare l’estetica delle reti neurali con una più ampia riflessione sulla dimensione dell’immaginario nell’epoca della post-verità, è l’opera dell’artista e musicista Lorem, che coniuga sistemi di generazioni di immagini, testi e suoni per realizzare installazioni immersive e multisensoriali.

QUESTI APPLICATIVI IMPLICANO

SEMPRE UNA DIMENSIONE DI IMPREVEDIBILITÀ CHE

SPESSO SFOCIA IN STILEMI RICORRENTI, IMMAGINI DIDASCALICHE ED ERRORI ECLATANTI

C’è poi un interessante filone di opere che utilizzano software per la generazione di testi come canovacci narrativi a supporto di progettualità artistiche più complesse. Dal collettivo e centro di ricerca Numero Cromatico, che sfrutta il potere evocativo dei testi AI-generated per ideare dispositivi neuroestetici in grado di stimolare il sistema percettivo del pubblico, ad artisti come Riccardo Giacconi e Carola Bonfili, che recentemente hanno utilizzato l’AI come supporto narrativo per mettere in scena opere teatrali o cortometraggi in realtà virtuale. Molto interessanti anche gli esperimenti di scrittura “a quattro mani” dell’artista e teorico K Allado-McDowell, in cui l’inconscio dell’autore dialoga con quello della macchina generando quella che l’artista stesso definisce una “deepfake autofiction”.

E se recentemente il MoMA ha dedicato una personale a Refik Anadol, celebrando i suoi spettacolari – forse anche troppo – flussi di immagini generati a partire dall’utilizzo di reti unsupervised in grado di leggere e interpretare i dati relativi alla collezione del museo, artisti come Trevor Paglen e Eryk Salvaggio non mancano di metterci in guardia sul fatto che, dietro la magia degli algoritmi generativi si situa un elaborato sistema di categorizzazione dei dati che spesso non è rappresentativo della realtà nella sua organicità.

Quale sarà il futuro di questo filone artistico? Nella mia recente esperienza con Re:humanism, progetto nato nel 2018 con l’obiettivo di indagare le forme molteplici di relazione tra arte e AI, ho assistito a diversi cambiamenti che viaggiano di pari passo con l’evoluzione rapidissima dei mezzi in questione. Non si tratta esclusivamente di indagare uno strumento espressivo, quanto piuttosto di immaginare traiettorie capaci guidare il nostro sguardo attraverso questo cambiamento epocale.

I SOFTWARE DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE PIÙ VICINI A CREATIVITÀ E ARTI VISIVE

Una piccola guida per orientarsi fra i principali tool utilizzati dagli artisti che lavorano con le intelligenze artificiali

PROGRAMMI TTI

I tool di intelligenza artificiale della categoria TTI (Text To Image) permettono agli utenti di generare immagini adeguandosi a diversi stili (dalla pixel art al fotorealismo) a partire da descrizioni testuali dell’immagine ricercata (“prompt”). I principali sono:

DALL·E, lanciato ufficialmente da OpenAI nel gennaio 2021, sfrutta un algoritmo di intelligenza artificiale per generare immagini adeguandosi a vari stili, a partire da descrizioni testuali (prompt) o da altre immagini openai.com /product/dall-e-2

Midjourney, si appoggia alla piattaforma Discord ed è prodotta dall’omonimo laboratorio di ricerca indipendente fondato da David Holz midjourney.com

Stable Diffusion, sviluppato da Stability

AI, LMU Munich, Runway e CompVis group, è stato lanciato nell’agosto 2022 stablediffusionweb.com

BlueWillow è un'altra valida (e gratuita) alternativa, dall'interfaccia user friendly join.bluewillow.ai

CHATBOT

I chatbot sono strumenti in grado di generare testi coerenti e di intrattenere una conversazione scritta con l’utente, elaborando in pochi secondi risposte basate su dati reperibili online o in database proprietari. Inoltre, sfruttano il machine learning (apprendimento automatico) per aumentare la propria efficienza e precisione. I principali sono:

ChatGPT, sviluppato da OpenAI e lanciato ufficialmente nel novembre 2022, è senza dubbio la star del momento. In Italia il suo utilizzo è stato bloccato dal Garante della Privacy openai.com/blog/chatgpt

Google Bard è il sistema chatbot di intelligenza artificiale sviluppato da Google in collaborazione con LaMDA. Si propone di “aiutare le persone ad aumentare la loro produttività, accelerare le loro idee” e utilizza risorse aggiornate estratte dalla rete, a differenza di ChatGPT che usa un database proprietario (e quindi non aggiornato in tempo reale). Google Bard, per ora lanciata solo in USA e UK, sarà progressivamente utilizzabile in tutto il mondo bard.google.com/?hl=en

STORIES ARTISTI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
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PER UN’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IPERREALISTA.

INTERVISTA A CAROLA BONFILI

Nel video The Flute Singing (2021) hai usato l’intelligenza artificiale per reinterpretare le Metamorfosi di Ovidio. Cosa ti ha spinto a scegliere questo strumento?

CAROLA BONFILI

(Roma, 1981) è un’artista italiana conosciuta a livello internazionale. Durante la sua carriera ha utilizzato tanti media diversi: dalla fotografia al video, dalla stampa manuale alla scrittura, fino a tecnologie digitali come la computer grafica e la realtà virtuale. Negli ultimi anni si è confrontata anche con l’intelligenza artificiale, integrandola nella sua pratica per la produzione di video e installazioni. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.

Il mio interesse è nato alcuni anni fa, quando mi sono imbattuta in un progetto del MIT chiamato Genesis (2011), un sistema computazionale in grado di comprendere le diverse componenti della narrazione e proseguire la storia basandosi sugli elementi già inseriti. In quel periodo stavo lavorando a un progetto su un potenziale finale del Castello di Franz Kafka, e avevo sviluppato un interesse quasi morboso nella possibilità che fosse il software a completare il libro. Purtroppo non è mai accaduto, ma la possibilità di interagire a livello di scrittura con una macchina mi è rimasta in testa, fino a quando ho trovato dei sistemi più accessibili per farlo.

In che modo il sistema ha interagito con il testo storico?

In The Flute Singing volevo creare un personaggio astratto ma in qualche modo malinconico e solitario, perso nel suo oblio. Inoltre, ero molto incuriosita dalla restituzione del testo da parte dell’applicazione che stavo utilizzando, in particolare una app usata per i giochi di ruolo: stavo inserendo un testo incredi-

bilmente stratificato e la sua interpretazione sembrava essere quella di qualcuno che in una conversazione prova a stare al passo, ma tende a semplificare leggermente i passaggi, quasi come fosse un bambino che cerca di capire le regole.

Infine, c’è anche una ragione legata a un aspetto prettamente “materico”. Nelle Metamorfosi c’è la descrizione dettagliata di molte trasformazioni, soprattutto di materiali che cambiano consistenza, e volevo vedere come l’IA avrebbe reinterpretato questi aspetti più fisici legati alle cose, ossia la rielaborazione di elementi organici da parte di un sistema digitale.

Da molti anni ti confronti con la tecnologia digitale nella tua ricerca, usando diversi tool, come la grafica 3D e la realtà virtuale. Pensi che l’IA sia uno strumento molto diverso rispetto agli altri software?

Rispetto all'utilizzo che ne faccio direi di sì, e mi riferisco in particolare al controllo dello strumento; malgrado il dettaglio del prompt, per quanto mi riguarda l’IA rimane sempre un lancio di dadi. Con altri software, ad esempio con la computer grafica, hai il controllo completo su ogni millimetro di ciò che vedi. Il software può solamente migliorare e diventare più realistico, ma l’elemento sorpresa non esiste. Se chiedi a un software TTI di generare “un barboncino fatto di muffin” potrebbe non uscire il barboncino dei tuoi sogni, mentre se lo modelli con un software CGI il barboncino avrà esattamente le sembianze che vuoi, realizzate scegliendo tra un vasto catalogo di materiali dettagliatissimi che lo faranno sembrare incredibilmente reale.

Carola Bonfili, The Flute-Singing , 2021. Courtesy l'artista

Ora alcuni software di grafica digitale stanno integrando la parte di editor testuale proprio con ChatGPT. In questo senso l’IA può essere utile in quanto fornisce i codici, co-pilotando il programmatore. Quando questa interfaccia sarà più accessibile si potranno saltare una serie di passaggi, velocizzando e semplificando il lavoro. A quel punto, però, immagino che l’elemento surreale partorito dalla probabilità sparirà. Forse nel futuro si potrà addirittura riprodurre esattamente cosa hai in mente a partire dalle attività cerebrali.

Tu preferisci avere più o meno controllo?

Lo strumento che scegli e l’utilizzo che ne fai sono importanti. Spesso queste componenti ti “suggeriscono” il lavoro. A me piace avere più controllo possibile; sono interessata ai procedimenti casuali solo nel momento in cui l’elemento digitale smette di funzionare come dovrebbe, magari per difetti o errori, e produce spontaneamente delle immagini fallate. L’elemento “casuale ma programmato” mi interessa un po’ meno. Ho la sensazione di trovarlo stimolante solo nel momento in cui lo genero per via di una rea-

zione endorfinica molto veloce, che si esaurisce con la generazione dell’immagine successiva.

Spesso le applicazioni che si servono di sistemi di intelligenza artificiale vengono utilizzate dagli artisti per costruire sogni, visioni e contesti inaspettati, sfruttando il processo stocastico che questi software introducono. Interessa anche a te questo aspetto “surrealista” dell’AI oppure sei orientata verso indagini di altro genere?

Forse mi interessa di più un aspetto "iperrealista" legato a quegli elementi che sono simili agli interstizi della natura umana: gli impliciti, la perdita della concentrazione, l’oblio e le zone d’ombra. A volte le AI sembrano entità educatissime che recitano una sceneggiatura, poi magari le cogli in flagrante perché ti sembra di averne scorto davvero un carattere umano e loro ti rimettono subito in riga, ricordandoti che sono solo macchine. Credo che questo sia un sentimento abbastanza diffuso.

Mi è capitato di utilizzare software TTI per visualizzare degli elementi da inserire nei lavori: da una parte semplifica il processo, dall’altra però lo modifica. Perché manca l’elemento aleatorio, in questo caso non della macchina, ma della realtà. Il caso e la coincidenza hanno una funzione. Non solo nella scienza – basti pensare a tutte le importanti scoperte scientifiche nate dalla formazione di muffe casuali – ma anche nella produzione progetti di altra natura.

Da quando l’AI è diventato il tema del giorno, il dibattito sull’autorialità, anche in relazione al diritto d’autore, è molto acceso. Quali sono le tue posizioni?

La questione è complessa. Sarebbe difficile, e forse anche sbagliato controllare e regolamentare in modo severo questo meccanismo, con o senza diritti, e poi banalmente si troverebbe lo stesso un modo per aggirare il problema. Il discorso cambia quando lo si fa per generare importanti profitti, e ancora una volta l’arte diventa solo una valuta di scambio. Credo che almeno le grandi piattaforme che pubblicano i lavori di artisti viventi dovrebbero, come già sta succedendo su ArtStation, dare la possibilità di scegliere il divieto di utilizzo dei loro lavori nei modelli di addestramento delle IA.

Hai intenzione di continuare a sperimentare con queste tecnologie?

Sì, vorrei continuare a farlo. Al momento sto lavorando a un progetto sulla costruzione di un videogioco e sto producendo un video VR ispirato a una teoria medica sull’ipnosi.

STORIES ARTISTI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Carola Bonfili, 3412 Kafka , 2017. Courtesy l'artista
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Carola Bonfili, Destabilizing a young ground , 2019. Courtesy l'artista

UNO SGUARDO INTERTESTUALE. INTERVISTA A LOREM

Come e quando ti sei avvicinato per la prima volta ai sistemi di intelligenza artificiale? Da artista, cosa ti interessa di questi strumenti?

LOREM

è l'identità multidisciplinare diretta dal musicista e artista Francesco D'Abbraccio. Nei suoi progetti, Lorem esplora stati di coscienza e dataset emotivi progettando esperienze audiovisive viscerali, caratterizzate da una forte componente narrativa.

Mi sono avvicinato all’AI tra la fine del 2016 e i primi mesi del 2017. Ho trovato online un notebook sulla piattaforma Github che si chiamava LSTMetallica, un sistema pensato per generare riff di batteria (di genere trash metal) con delle reti neurali che si chiamano Long Short Term Memory. Rimpiazzando il modello pre-addestrato, registravo delle sequenze con il campionatore e la rete mi restituiva nuove sequenze, simili alle mie ma mai uguali a loro stesse. Era molto diverso da tutti i sistemi generativi che stavo usando in quel momento. Successivamente, Nicola Cattabiani, un amico che studiava per diventare data scientist, mi ha aiutato a evolvere il progetto preparando un modello simile a LSTMetallica pensato per il mio modo di lavorare e di formattare i dati. Da lì in poi ho cominciato a sperimentare con l’AI e i file MIDI.

È inoltre fondatore e (co)direttore creativo della piattaforma editoriale Krisis Publishing.

ARTISTI E INTELLIGENZA

ARTIFICIALE: tutti i nomi citati in queste pagine

K Allado-McDowell

Refik Anadol

Memo Akten

Carola Bonfili

Quando hai iniziato a sperimentare con le immagini, invece?

Qualche mese dopo ho visto i primi video fatti con le reti GAN (Generative Adversarial Networks), pubblicati da Tero Karras. Mi pare fossero delle sedie che si “scioglievano” l’una nell’altra. Era una cosa stranissima: le immagini non sembravano finte come nei normali programmi di computer grafica. Sembravano immagini catturate da una fotocamera, per quanto si comportassero in modo alieno. Ho iniziato a fare ricerca e ho scoperto il lavoro di artisti come Memo Akten, Anna Ridler, Damien Henry, e soprattutto Mario Klingemann. In quel periodo ho capito che volevo davvero approfondire. Ho quindi iniziato a studiare da autodidatta, seguendo corsi online di Parag Mital, Derrick Schultz, e della Goldsmith Online.

Rispetto all’utilizzo di normali software, ti sembra che usando l’AI il rapporto essere umano-macchina si configuri in maniera diversa?

Credo che questo sia un terreno scivoloso, e che a livello macroscopico le differenze tra software “classico” e AI siano piuttosto sfocate sotto molti punti di vista. Dopotutto le reti neurali moderne non sono altro che strumenti iper-evoluti di analisi statistica. Lavorare con le reti significa estrarre pattern a partire grandi quantità di dati.

Qual è la tua sensazione personale?

Ho sempre interpretato il mio rapporto con la macchina come un’occasione per osservare il soggetto della relazione attraverso la lente dello sguardo macchinico. La macchina ci spinge a comportarci

Harold Cohen

Juan Covelli

Entangled Others

Roberto Fassone

Riccardo Giacconi

Holly Herndon

Joey Holder

Mario Klingemann

William Latham

Lauren Lee McCarthy

Lorem

Kyle McDonald

Petros Moris

Katja Novitsoka

Numero Cromatico

Obvious

Trevor Paglen

Jon Rafman

Sahej Rahal

Anna Ridler

Eryk Salvaggio

Marianna Simnett

Hito Steyerl

in modi particolari, a immaginare le cose in un modo per noi inedito. Lavorare con le reti neurali in ambito artistico spinge l’utente a fondare i propri progetti a partire dalla costruzione di archivi digitali, che poi vengono interpretati e analizzati per realizzare nuovi output. In questo contesto, io sono creativo nella misura in cui seleziono frammenti di rappresentazioni, li metto in relazione tra loro, li “metabolizzo” attraverso una serie di strati neurali, e genero nuovi frammenti. Fin qui non ci trovo nulla di nuovo: non è questo forse il modo in cui da sempre funziona la nostra intelligenza?

Quindi non c’è davvero nessuna differenza?

Si. Questi strumenti statistici offrono la possibilità di visualizzare questi processi con modalità inedite. Le reti neurali, ad esempio, ci permettono di scoprire cosa c’è nel mezzo, cosa si nasconde tra le cose presenti nel dataset in modi che sfuggono alla nostra immaginazione. Possiamo interpolare oggetti distinti per vedere come la macchina visualizza immagini fuori dalla nostra portata. Cosa c’è tra l’immagine di una persona e quella di una pianta? Come posso immaginarmi qualcosa che sia al 70% una pianta e al 30% una persona? Oppure, se preferisci, cosa c’è tra una poesia di Shakespeare e una canzone di Gué Pequeno? In questo senso, mi sembra che l’AI offra la possibilità di osservare le cose con uno sguardo intertestuale.

Qual è la tua posizione rispetto alle discussioni sull’autorialità delle opere prodotte con l’intelligenza artificiale?

Sin da ragazzino uno dei miei riferimenti principali è stato il lavoro di artisti come Luther Blisset, Stewart Home, Eva e Franco Mattes. Era quella generazione, giusto prima della mia, che a cavallo tra anni Novanta e Duemila usava fake news e nomi

multipli per attaccare con ferocia il dibattito su copyright, autorialità e identità. Nello stesso periodo, musicisti come Dj Shadow e Matmos radicalizzavano il discorso intorno al tema del sampling come libera riappropriazione culturale. Quando abbiamo lavorato alla prima pubblicazione della casa editrice che ho co-fondato, Krisis, ci siamo tolti lo sfizio di intervistare un nostro nume tutelare, Stewart Home, che ci ha parlato così della sua idea di autorialità: “In letteratura, alcuni scrittori sono celebrati come incredibilmente creativi, come se avessero inventato qualcosa di nuovo, quando è ovvio che stanno utilizzando un linguaggio che non ha mai smesso di evolversi, e che deve molto più alla grande massa dei suoi parlanti che non a qualunque singolo scrittore”. Mi riconosco in queste parole. Io stesso fatico a inquadrare Lorem come progetto individuale, perché molto più spesso parla come un coro di voci diverse.

Come si inserisce l’intelligenza artificiale all’interno di questo pensiero?

Penso che tutto questo dibattito intorno all’AI abbia il grande merito di rimettere in discussione l’idea stessa di autorialità, facendo luce sui limiti della nostra idea di creatività e di diritto d’autore. Non sono sicuro che questo porterà davvero a nuove narrazioni, più ecologiche: purtroppo il diritto d’autore è molto legato a questioni economiche e, quando gli interessi del capitale sono così rilevanti, spesso le cose prendono una piega oscura e reazionaria. Le recenti derive dei LLM (Large Language Models) mi sembrano un buon esempio di questa tendenza.

Oltre a portare avanti la tua ricerca artistica, hai anche una casa editrice, Krisis Publishing, che ha in catalogo molti titoli importanti per l’indagine sul rapporto tra tecnologia, società e arte. Quali sono i tuoi riferimenti più importanti a livello teorico?

Porto avanti Krisis insieme ad Andrea Facchetti da diversi anni ormai. Entrambi abbiamo studiato filosofia e design, ed entrambi siamo interessati alle intersezioni tra politica, estetica contemporanea e cultura dei media. Sicuramente alcune delle mie influenze teoriche più importanti vengono proprio dai docenti che ho incontrato durante il mio percorso in università: Franco Volpi, Franco Rella, e soprattutto Wolfgang Scheppe (per il suo approccio) e Giorgio Agamben hanno influenzato in modo molto diretto la mia formazione.

Stai lavorando a nuovi progetti che includono l’uso di AI? Puoi anticiparci qualcosa?

Da alcuni mesi sto lavorando a un nuovo disco che è sostanzialmente basato sulla sintesi di voci umane realizzate con sistemi AI. Ho provato ad approcciare la sintesi vocale in modi sempre diversi, per produrre di volta in volta tracce rap, spoken poetry e racconti, glitch, e vere e proprie canzoni. Il disco, poi, è collegato a una performance audiovisiva, Tesh, dalla forte impronta narrativa. Mentre ti scrivo sto andando in Inghilterra per presentarlo. Si tratta dell’espansione dell’universo narrativo di un’opera precedente, Distrust Everything

STORIES ARTISTI E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
in alto: Lorem, Distrust Everything , still. Courtesy l'artista
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a sinistra: Lorem live at Lunchmeat, Prague. Photo by Jakub Dolezal

Presenta

RADIALS 18.05.2023
MAP - Musée des Arts de la Parure, Marrakech

MAGICA MARRAKECH

GIORGIA ZERBONI

Come disse Churchill al Presidente americano Roosevelt, “Marrakech è semplicemente il posto più bello della Terra per trascorrere un pomeriggio”. Festosa e cosmopolita, la città ha nel tempo affascinato artisti e viaggiatori. Da sempre luogo di sosta per commercianti, mercanti ed esploratori, fu fondata come città nel 1062 dai governanti berberi, per poi divenire la capitale di un impero che si estendeva fino alla Spagna. In quel periodo, utilizzando il fango locale, furono costruite le mura rosse della Medina, che conferiscono alla città il suo colore unico.

Fino all’Ottocento gli europei non potevano entrare in città. Poi, dall’inizio del XX secolo, i coloni francesi presero il controllo del Paese, determinando la predominanza dell’influenza occidentale. Dagli Anni Trenta in poi la svolta: Marrakech divenne un luogo per bon vivant, curiosi e intellettuali.

L’ATMOSFERA MAGNETICA DI MARRAKECH

Oggi, tra gallerie d’arte, boutique di stilisti, ristoranti colorati e giardini del paradiso, la città è divisa in quartieri corrispondenti alle diverse fasi della sua storia: la Medina circondata da bastioni, il Guéliz, una nuova città voluta dal maresciallo Lyautey, e l’Hivernage, un quartiere verde con lussuose ville e hotel. Circondata dalle montagne innevate dell’Atlante e singolare per i suoi edifici rosso-rosa in stile ispano-moresco e richiami andalusi, Marrakech ha ispirato e fatto innamorare molte grandi personalità, alcune delle quali non l’hanno più lasciata. C’è qualcosa di mistico, di pacifico, come se il tempo fosse sospeso. È confortante nella sua bellezza, nel suo ritmo e stile di vita e nella sua luce. Quella luce è in ogni descrizione, pittura e testo, nei cuori e nelle menti di coloro che sono venuti e se ne sono andati, ed è l’eterno motivo del ritorno. Non c’è da stupirsi che tanto splendore abbia ispirato una moltitudine di grandi pittori del Settecento e dell’Ottocento, segnati dalla bellezza e dalla sensualità alla Mille e una notte; e poi l’imponenza degli ambienti, dei colori, delle persone; e ancora la cultura islamica mescolata con quella spagnola e quella moresca. Da Delacroix a Matisse, Marrakech ha alimentato le fantasie orientaliste di molti artisti occidentali. Per molti è

STORIES MARRAKECH
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È una città incantevole da sempre e da sempre catalizza l’attenzione e coinvolge appassionati e jet set. Nell’ultimo decennio però Marrakech sta lavorando per diventare definitivamente una capitale culturale

proprio questo esotismo a cristallizzarne il fascino. L’amore per questa città ha portato molti stranieri ad investire in progetti che spaziano dall’arte alla ricreazione, dalla ristorazione alla formazione.

MARRAKECH: TRA RISTORANTI E SUK

Marrakech è una città che vive di contrasti: da un lato c’è la tradizione, che non è soltanto la sua architettura e la struttura della città antica; dall’altro si sta sviluppando una Marrakech che rappresenta la relazione con la contemporaneità divenendo una metropoli internazionale che si distingue per le sue attrattive. Non mancano i progetti incentrati sulla sostenibilità Tanti piccoli brand di abbigliamento usano le tecniche tradizionali e i tessuti di agave (sabra) tipica del Marocco. Si possono anche incontrare cucine a km zero come il Plus 61 e il nuovo Blue Ribbon, o ristoranti vegetariani come La Famille, il Mandala e il Nomad. Nei suk labirintici, poi, più di 40.000 venditori espongono le loro merci. Mentre ogni bancarella sembra imitare l’altra, alcuni artigiani trovano la loro oasi nei cortili più nascosti, creando showroom degni di capitali della moda come Parigi o Milano. Una di queste è la designer francese algerina Norya Nemiche, che ha aperto la sua prima boutique, Norya Ayron, sopra Le Jardin, un ex riad trasformato in ristorante, un’oasi nella Medina.

UN POLO DELL’ARTE AFRICANA

Marrakech è diventata innegabilmente uno dei principali centri dell’effervescente scena artistica africana. Immersa nella storia attraverso i tortuosi sentieri della sua Medina, la città batte anche al ritmo di un presente dinamico e forte di gallerie all’avanguardia, musei innovativi e prestigiosi eventi culturali. Tra patrimonio artigianale, impronta orientalista e visione contemporanea della sua cultura, la “città d’ocra” è la culla di un paesaggio artistico eclettico e affascinante.

LE PRINCIPALI MANIFESTAZIONI D’ARTE CONTEMPORANEA DI MARRAKECH

BIENNALE DI MARRAKECH

Fondata nel 2004 da Vanessa Branson e Abel Damoussi, la prima edizione della Biennale di Marrakech (gestita da un’associazione non profit) si è tenuta nel 2005. La sesta e ultima edizione è stata quella del 2016, con la direzione artistica di Reem Fadda, all’epoca curatrice del Guggenheim Abu Dhabi. Sebbene oggi non sia più attiva, la Biennale di Marrakech ha avuto un ruolo centrale per il Marocco: infatti, è stata la prima grande manifestazione nordafricana trilingue (arabo, francese, inglese) e ha aperto la strada alla fervente scena artistica non solo berbera, ma anche mediterranea e medio-orientale. Nelle diverse edizioni, la Biennale si è focalizzata principalmente sulle arti visive, la letteratura e il cinema, organizzando mostre, eventi, incontri, dibattiti e proiezioni. Tra i maggiori artisti coinvolti nel corso degli anni si annoverano Tracey Emin, Antony Gormley e Julian Schnabel.

LA FIERA 1-54

Ogni anno a Marrakech si tiene 1-54, la prima e unica fiera internazionale dedicata all’arte contemporanea africana. Fondata nel 2013 da Touria El Glaoui, 1-54 trova il suo punto di forza proprio nel suo carattere globale: oltre a Marrakech (che ha inaugurato per la prima volta nel 2018), gli appuntamenti annuali della fiera sono Londra e New York, permettendo al discorso sulla diaspora africana e sulla risultante produzione artistica di espandersi e diffondersi. Il nome 1-54, inoltre, fa riferimento ai cinquantaquattro Paesi che compongono l’Africa, testimoniando la volontà di solidarietà e dialogo all’interno del continente. L’ultima edizione della fiera a Marrakech si è tenuta a febbraio 2023 all’hotel La Mamounia e ha coinvolto i maggiori musei cittadini in un articolato programma di eventi e incontri all’insegna dell’arte moderna e contemporanea africana.

C’È QUALCOSA DI MISTICO, DI PACIFICO, COME SE IL TEMPO FOSSE SOSPESO.

Dai rinomati spazi culturali del quartiere Guéliz alle gallerie e agli studi di Sidi Ghanem - la zona industriale della città - Marrakech è costantemente arricchita da un’abbondante creatività. L’interesse dei professionisti dell’arte occidentale ha accelerato la creazione di due importanti istituzioni private, che hanno aperto a due anni di distanza l’una dall’altra: il Museo di Arte Contemporanea Africana Al Maaden (MACAAL) e il Musée Yves Saint Laurent Marrakech.

Il MACAAL, fondato nel 2016 dall’imprenditore marocchino Othman Lazraq, ospita la collezione privata di arte contemporanea della sua famiglia, tracciando connessioni transnazionali con l’intero continente.

Le sei edizioni della Biennale di Marrakech, fondata nel 2004 da Vanessa Branson e Abel Damoussi e oggi in stallo, hanno posizionato Marrakech come destinazione artistica internazionale, così come la 1-54 Contemporary African Art Fair di Touria El Glaoui, lanciata in città nel febbraio 2018 e giunta alla quinta esplosiva edizione lo scorso febbraio al Mamounia Hotel, che ha festeggiato il 26 aprile scorso il suo centesimo compleanno.

a destra: Mahjouba di Eric Van Hove. Presentazione a El Fenn durante la fiera 1-54 a febbraio 2023. Photo Giorgia Zerboni

nella pagina a fianco: Laila Hida, direttrice di LE 18, Marrakech

GALLERIA, LABORATORIO, SPAZIO PER RESIDENZE LAILA HIDA RACCONTA “LE 18”

Nella vecchia Medina di Marrakech, LE 18, uno spazio culturale e di residenza multidisciplinare, propone un programma rigoroso che include mostre, conversazioni, workshop e pubblicazioni. Fondato da Laila Hida, lo spazio-galleria è incentrato sull’apprendimento collettivo e si basa su una rete fluida di collaboratori.

Come si è evoluta la scena artistica di Marrakech negli ultimi 10 anni?

Esattamente 10 anni fa la scena artistica conobbe un ribollire iniziato qualche anno prima con la Biennale di Marrakech. C’era una rilevante attività turistica, nonché l’inizio di un forte interesse per le scene sudafricane. La Biennale è stata, per certi versi, un catalizzatore delle energie di questa svolta. Da allora, Marrakech ha attirato parecchi artisti marocchini di altre regioni, ma anche artisti internazionali. Sono nate nuove gallerie con progetti più impegnati e infine la fiera 1:54, che si è insediata nello spazio lasciato dalla Biennale creando ogni anno una boccata d’aria fresca per Marrakech.

Però...?

Però la maggior parte delle manifestazioni rimangono eventi temporanei e, anche se portano molta visibilità, sono ancora troppo pochi i programmi di ricerca e supporto alla creazione a lungo termine.

Puoi parlarci del tuo lavoro sul territorio e dei tuoi artisti?

Siamo una sorta di laboratorio tanto sul piano della creazione quanto della curatela. Stiamo lavorando su molti fronti a livello prettamente locale e su piccola

scala. Sviluppiamo assi che ci guidano (i beni comuni, l’immagine e la rappresentazione, l’oralità, le pratiche vernacolari, tra gli altri) e da cui possiamo innescare riflessioni critiche sulla produzione artistica e su questioni sociali. Lo facciamo attraverso residenze di artisti, programmi di scambio con strutture marocchine e internazionali per condividere i nostri valori o preoccupazioni. Cerchiamo di supportare gli artisti all’inizio della loro carriera, coinvolgendoli nei nostri progetti o integrandoli in una comunità più ampia. Non rappresentiamo gli artisti come fa una tradizionale galleria, li consideriamo piuttosto come collaboratori.

LE 18 funge spesso da luogo e contenitore di conversazioni e scambi sui processi e le problematiche del Paese; ci puoi parlare del ruolo di LE 18 nella scena artistica di Marrakech?

Lavoriamo per la nostra sopravvivenza in un ecosistema governato dallo scambio economico e capitalista. La nostra sopravvivenza significa quella di spazi sperimentali, di forme di solidarietà, di impegni individuali e collettivi, di spazi di libertà, di confronto, di scambio, di incontro. Oggi, lo vediamo nelle strutture sia private che statali qui o in Occidente, c’è una forte ripresa delle pratiche sociali, delle questioni collettive, delle istanze sociali, ma nulla è cambiato in fondo.

Le strutture funzionano allo stesso modo e riproducono le stesse disuguaglianze, lo stesso sistema egemonico.

STORIES MARRAKECH
le18marrakech.com 72 61

5 INVESTIMENTI CULTURALI DAL MONDO VERSO MARRAKECH

A novembre 2022 Marlene e Paolo Gallone hanno inaugurato Le MAP Marrakech - Monde des Arts de la Parure. Si tratta di un riad situato nel cuore della Kasbah, rinnovato dagli architetti Joseph Ashkar e Michel Charrière per contenere la straordinaria collezione di ornamenti, gioielli e abiti che la coppia ha raccolto in quarant’anni di viaggi, cercando di mettere in risalto la diversità e la singolarità di più di cinquanta paesi. Uno spazio in cui i tradizionali materiali di costruzione sono stati essenzializzati per ridefinire gli ambienti ed enfatizzare la relazione con questi oggetti dal segno primordiale. Infine, la terrazza che si affaccia sulla moschea Moulay El Yazid è un giardino di piante odorose progettato dal paesaggista francese Marius Boulesteix. mapmarrakech.com

Riad Alena nasce dal desiderio di Louis Devereux di creare nel cuore della Medina una residenza che ospita, due volte l’anno, un artista africano e un artista internazionale. I due, al termine della residenza, presenteranno le opere realizzate durante la permanenza, per poi devolvere parte del ricavato della vendita al Centre Fiere et Forts, un orfanotrofio di Tamesloht dove Louis insegna skateboard ai ragazzi. riadalenamarrakech.com

La fattoria Farasha (farfalla in arabo), situata sulla rue de Fes, è il neonato progetto del duo franco irlandese Fred e Rosena Charmoy, ideatori ed organizzatori di eventi a Marrakech che da sempre collaborano con artisti per realizzare le loro iniziative. Sostenitori e promotori di giovani designer marocchini, hanno voluto creare un luogo ideale per uno scambio tra le arti. Attraverso il recupero della struttura originale, realizzata con la tipica pasta di terra e paglia, questo spazio poliedrico inaugura a maggio 2023, comprendendo una residenza di artista, un orto biologico che serve la cucina e una doppia vista mozzafiato sulle montagne, a sud l’Atlante e a nord le colline di Casablanca.

Pikala Bikes nasce dalla visione di una giovane olandese che ha ideato un progetto economico-sociale i cui obiettivi sono la sostenibilità, la riduzione dell’inquinamento e la creazione di posti di lavoro professionalizzanti per i ragazzi della Medina. Importando biciclette dall’Olanda ha creato un atelier, una scuola ed un Cafè pikalabikes.com

Quando, nel 2018, Giulio Kirchmayr si trasferisce a Marrakech con la famiglia, sceglie di insediarsi a Zawya, un quartiere lontano dal suk e dai turisti che lo affollano. È vivendolo che si rende conto della difficoltà che hanno i giovani. Il progetto Zawya, sviluppato dalla ONG Afrika-Maroc, è un programma per lo sviluppo sociale, economico e professionale di un gruppo di ragazzi del quartiere di Zawya, nel nord della Medina di Marrakech. Attraverso workshop artigianali e residenze artistiche, i giovani di età compresa tra 15 e 26 anni apprendono i mestieri dell’arte lavorando a fianco di artisti, designer, stilisti e professionisti della comunicazione. L’obiettivo del programma triennale è accompagnare 30 ragazzi fuori dalla povertà. I migliori allievi parteciperanno al programma di scambio culturale e professionale con giovani e creativi italiani attraverso borse di studio e stages lavorativi in Italia.

I LUOGHI DA NON MANCARE A MARRAKECH E DINTORNI

CREATIVITÀ, ARTIGIANATO E TRADIZIONE.

FONDAZIONE MONTRESSO

1 Sulla strada per Fez, si incontra un Eden artistico, un vero punto di riferimento dell’avanguardia artistica di Marrakech. La Fondazione Montresso sostiene gli artisti nel loro processo creativo, ospitandoli in residenza al Jardin Rouge. Tra street art e sculture, questo spazio è un vero e proprio labirinto artistico che si snoda in mezzo agli ulivi, con le vette dell’Atlante sullo sfondo. montresso.com

FENDUQ

2 Fenduq, laboratorio dell’artista belga Eric van Hove (fresco di acquisizione da parte del MoMA) a Marrakech, è la spina dorsale della visione dell’artista e del suo team, votata ad un approccio collettivo e multidisciplinare, dai chiari obiettivi: ringiovanire l’artigianato africano e ibridarlo con arte, design e produzione industriale, riflettendo sull’eredità e sul futuro.

fenduq.com/atelier/

AL MAQAM

3 A 35 km da Marrakech, ai piedi dell’Atlante, sorge Al Maqam, una colonia di artisti con tanto di galleria, biblioteca, hotel, ristorante e caffè letterario. Al Maqam, che significa “Il Posto” in arabo, è opera di Mohamed Mourabiti, protagonista della pittura marocchina contemporanea.

MADRASA DI BEN YOUSSEF

4 La Madrasa di Ben Youssef, la famosa scuola coranica della città, ha riaperto le sue porte al pubblico dopo quasi quattro anni di lavori di restauro e valorizzazione. Un gioiello architettonico emblematico, che illustra in modo eloquente la magnificenza dell’antica civiltà del Regno. madrasabenyoussef.com

MAISON DE LA PHOTOGRAPHIE

5 Poco più in là, due collezionisti d’arte hanno trasformato un antico riad in un museo della fotografia marocchina. Nei tre piani di spazio espositivo, un’ampia collezione di foto ritrae il Marocco del primo Novecento. maisondelaphotographie.ma

PALAZZO EL BAHIA

6 Sempre nella Medina, è una delle opere architettoniche più importanti di Marrakech. Fu costruito alla fine del XIX secolo con l’intenzione di innalzare il palazzo più impressionante di tutti i tempi. bahia-palace.com

ANIMA GARDEN

7 Creato dal famoso artista austriaco André Heller, questo insolito giardino/museo di oltre tre ettari stupisce con la sua esuberanza. Le sue sculture monumentali – firmate, tra gli altri, da Picasso, Haring, Calder e Rodin – troneggiano fra centinaia di tipi di piante e alberi, dal bambù alle palme e ai cactus. anima-garden.com

E TRADIZIONE

superficie 230 km²

abitanti 1.049.690

Fonte: World Population Review tasso di crescita della popolazione

1,61% Fonte: World Population Review

densità 4563,87 ab/km²

Marrakech

DOVE MANGIARE E SEDERSI PER UN CAFFÈ

8 A Gueliz, le Grand Cafè de la Poste, è una tappa obbligata, nonché un sito del patrimonio marocchino costruito nel XX secolo. Nel 2005, Helena Paraboschi e Pierre Pirajean scoprono l’edificio, rianimandolo dopo dodici anni di chiusura. en.grandcafedelaposte.restaurant

9 La terrazza sul tetto del ristorante L’Mida (progettato dallo studio di architettura Noon Interiors Studio) offre una vista mozzafiato sulla Medina. In cucina, la chef Nargisse Benkabbou mescola influenze da tutto il mondo. lmidamarrakech.com

10 Situato nel cuore dell’elegante quartiere francese e interamente gestito da donne, il ristorante Sahbi Sahbi offre un nuovo sguardo sulla cucina marocchina, mantenendo diligentemente i suoi sapori e le sue tecniche. sahbisahbi.com

11 Il Café des Epices, nell’omonima piazza della Medina, è stato il pioniere della nuova scena gastronomica di Marrakech, offrendo cibo a qualsiasi ora. cafedesepices.ma

12 All’interno di Dar el Bacha, uno dei palazzi più belli di Marrakech, il Bacha Coffee House è la meta ideale, in pieno stile coloniale, per gli intenditori di caffè e gli appassionati di interior design. darbacha.com | bachacoffee.com

DOVE DORMIRE NELLA MEDINA, IN CAMPAGNA E NEL DESERTO

13 Nel cuore della Medina, il Riad K accoglie i suoi ospiti in cinque esclusive suite che uniscono il fascino magrebino e atmosfera contemporanea, una delle quali offre un suggestivo panorama sui tetti di Marrakech

www.riadk.com

14 Funky, vivace e variopinto, Riad Due offre molti posti in cui trascorrere il tempo lontano dal trambusto cittadino, nella piscina della corte interna o nella biblioteca ricca di pubblicazioni sul design e la storia del Marocco riaddue.com

15 Un deserto di pietra, una kasbah di terra, Berber Lodge è un indirizzo che si vorrebbe custodire gelosamente, lontano dalla città – ma non troppo – e dagli alberghi mainstream. berberlodge.net

16 La Pause è una bolla di dolcezza nel cuore del deserto di Agafay. Il posto perfetto per alloggiare in tende berbere e assaggiare le specialità marocchine ammirando il tramonto.

lapause-marrakech.com

STORIES MARRAKECH 1 2 3 7 4 8 9 5 6 10 11 12 13 14 15 16 MACAAL
127 Gallery
La
La
Moschea
Palazzo
Tombe
Yves Saint Laurent Museum Dar El Bacha
Douiria La Mamounia
Famille Nomad Beldi Country
Club
Mandala Society
di Koutoubia
El Badi
Saadiane
Le MAP Marrakech - Monde des Arts de la Parure Le 18 Marrakech Norya Ayron MCC Gallery
500 m MARRAKECH MARRAKECH
Giardini Majorelle
ARSET SIDI YOUSSEF
CAFÉ E RISTORANTI DOVE DORMIRE BOUTIQUE KASBAH 10 Km
Place de la Jenuesse
CREATIVITÀ, ARTIGIANATO
MAROCCO ALGERIA SAHARA
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MAURITANIA

IL PUNTO DI VISTA DI TRE ITALIANI SU MARRAKECH

ANGELO BELLOBONO

È un artista che spesso ha lavorato in contesti montani e lo ha fatto anche sull’Atlante col progetto Atla(s) now, di cui trovate tante informazioni su Artribune online

Esiste sempre un sud più a sud ed un nord più a nord. Poi, esistono luoghi che li racchiudono entrambi, e che ribaltano gli stereotipi, allenando lo sguardo e i sensi a contrasti ravvicinati e inaspettati. Arrivando a Marrakech tra dicembre ed aprile può accadere di vedere all’orizzonte una lunga catena di montagne innevate, si tratta dell’Alto Atlante, che dista circa 65 km dalla “Città Rossa” e raggiunge i 4.162 metri di altezza con il Toubkal, la vetta più alta del Nord Africa. Montagne importanti, che conservano numerosi villaggi Amazigh e offrono infinite possibilità agli amanti della montagna, del trekking e dello sci. Spiazzante per chi immagina un Marocco di solo caldo e deserto e vi ritrova invece anche ghiaccio e neve. Questo territorio, posto tra Imlil, Asni ed Oukaimeden, per

ben otto anni ha rappresentato il campo base del progetto interdisciplinare tra arte, natura e sport in montagna chiamato Atla(s)now. Un progetto che, attraverso due edizioni della Biennale di Marrakech e la collaborazione con l’ESAV (École Supérieure des Arts Visuels), ha rappresentato un ponte tra città e montagne. Molti gli studenti coinvolti negli anni, spesso determinanti nell’interpretare al meglio i luoghi e le genti che li abitano, contribuendo a costruire un dialogo importante. La scuola merita una visita, così come l’Alto Atlante, magari insieme alle guide dell’Asociation Oukaimeden formatasi con il supporto ed il training di Atla(s)now.

ROCCO ORLACCHIO

Nasce come collezionista, a Napoli, poi ha aperto oltre dieci anni fa una galleria d’arte proprio a Marrakech: Voice gallery.

Al mio arrivo a Marrakech, nell’ormai lontano 2011, anno di fondazione della Voice gallery, la mia paura era quella di ritrovarmi in un luogo senza gli stimoli culturali ai quali ero abituato.

Lara e Romeo Gigli apriranno a giugno 2023 la guest house Romeo nella Medina di Marrakech. Romeo Gigli, uno dei più importanti designer italiani degli Anni Ottanta e Novanta, da sempre innamorato del Marocco, si è trasferito a Marrakech, insieme a sua moglie Lara e alla figlia Diletta, quattro anni fa.

Perché scegliere di vivere a Marrakech?

Casualità: nel 2019 siamo venuti per trascorrere una lunga vacanza ed è diventata, grazie alla pandemia, il luogo dove fermarci per un po’.

A giugno inaugurerà un vostro progetto nella Medina: cosa ci potete raccontare in anteprima del nuovo riad Romeo?

Lara: Romeo ha viaggiato in Marocco sin da ragazzo e ci ha fatto conoscere le sue meraviglie, trasferendoci la sua passione per questo paese.

Romeo: Con l’eredità di suo padre, Lara decise, anni fa, di acquistare un riad tra il quartiere di Mellah e la piazza Jemaa el Fna, immaginandolo come nostro luogo di vacanza. Con la pandemia abbiamo deciso di riprogettarlo completamente, per poterne fare una maison d’hôtes.

Lara: Vi si respira tutta la visione artistica di Romeo, che da sempre ama far dialogare elementi diversi tra loro, per epoca e segno, per colore e forma, creando un ambiente in cui l’armonia e l’equi-

Attraverso la frequentazione di diversi operatori culturali attivi in città (ex direttori dell’Istituto di cultura francese, direttore e professori dell’ESAV, scuola di cinema ed arti grafiche, artisti padri del modernismo in Marocco, su tutti Farid Belkahia), ho potuto apprezzare come in una situazione come questa possano esserci dei vantaggi.

In una scena artistico/culturale molto più ristretta di quella europea c’è uno scambio maggiore che spinge verso una commistione tra discipline che ne amplifica l’interesse.

Ho scoperto il legame tra artisti e filosofi che ha permesso uno sviluppo cosciente dell’arte contemporanea, fino all’estrema posizione di quello che è forse il più interessante artista marocchino, Khalil El Ghrib, il quale rifiuta di vendere le sue opere e ha rifiutato la sua partecipazione alla Biennale di Venezia, seppur invitato da Harald Szeemann.

Queste modalità di confronto mi hanno permesso di essere attore di varie edizioni della Biennale di Marrakech, collaborando con i curatori e presentando progetti paralleli, spesso in spazi pubblici, e della creazione dell’edizione di

librio rendono il luogo unico. La struttura architettonica è razionalista e l’elemento dell’arco rimbalza in ogni prospettiva. La fontana è l’elemento centrale: i suoi tre archi sembrano riprodurre gli occhi e le labbra di un viso, da cui zampilla l’acqua. Il colore della sabbia colpisce l’immaginario, trasformando il riad in un castello marocchino che cattura la luce del deserto.

Vostra figlia Diletta, appassionata di cavalli e attenta ai problemi del pianeta, ha fondato a Marrakech il suo brand Green Age Equestrian (GAE). A cosa vi siete dedicati in questi anni, oltre al riad che sta per nascere?

Romeo: Amo progettare tappeti e il Marocco è il paese ideale per realizzarli, grazie alla grande tradizione berbera. Anche le ceramiche, che in Marocco vengono manipolate con grande abilità, mi affascinano. Inoltre, ho realizzato un progetto di mobili per Maison Nicole, azienda di Marrakech di proprietà di Marie Aubourion, disegnando forme al di fuori del tempo e utilizzando metallo martellato colorato con lacche opache, legno dipinto e vetro colato.

Lara: Io creo gioielli. Le mie creazioni nascono dall’osservazione della natura che invade questo paese: la forma delle foglie, il movimento del vento, le dimensioni fuori scala. Utilizzo ottone, argento, vermeil, vetro e pietre fossili che si trovano in Marocco.

LARA E ROMEO GIGLI RACCONTANO LA LORO NUOVA GUEST HOUSE A MARRAKECH

a fianco: Koutoubia Moschea, Place Jemaa el-Fnaa. Photo Elena Masera

in basso: Café des Epices et Place des Epices

Marrakech della fiera 1:54, in precedenza solo a Londra e New York.

Peccato che a livello pubblico gli investimenti culturali siano praticamente assenti; la prima che ne ha fatto la spese è la Biennale, che non mai trovato supporto economico. Questo non aiuta lo sviluppo di un corretto sistema dell’arte contemporanea.

FRANCESCO CASCINO

È un Art Consultant di taglio curatoriale e attivista culturale che riesce spesso a coinvolgere delle community in viaggi ad alta densità culturale. Qualche mese fa ne ha organizzato uno a Marrakech

Prima di passare da Marrakech siamo passati da Fes e la differenza, tra una città dalle radici antichissime e una che ha ceduto al turismo di massa, si vede. Non a caso Fes è l’università più antica del mondo e questo ha influito profondamente sulle modalità “artistiche” di costruire le case. I paragoni aiutano sempre a comprendere meglio cosa sia

l’Art Thinking: Marrakech vive del suo Suk e ormai gli somiglia. Nonostante ciò, a Marrakech ci sono alcuni interessanti segnali di presenza e di tensione contemporanea, sia dell’arte, sia delle arti in genere. A parte la Fondazione Farid Belkahia, creata dopo la morte dell’ar-

tista che è stato il maggior artefice della Scuola di Casablanca, l’inizio delle avanguardie in Marocco, ho visitato il Centro culturale MLHN, un nuovo spazio creato in collaborazione tra artisti e curatori dove ho visto l’interessante mostra d’apertura; un quadro abbastanza sfaccettato della nuova produzione artistica marocchina con intrusioni di artisti che negli ultimi anni hanno visitato Marrakech come luogo d’ispirazione e produzione. Interessante anche l’ESAV, scuola di cinema e di arti grafiche dalle architetture metafisiche. Molti gli allievi provenienti da questa scuola che negli anni sono stati insigniti di premi internazionali. All’interno della scuola era allestita una riuscitissima mostra di Sybille Baltzer, a dimostrazione del fatto che le radici comuni tra education e arte sono da riscoprire urgentemente.

STORIES MARRAKECH
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Sponsor tecnici Sponsor tecnici Si ringrazia Sponsor tecnici Si ringrazia
20/May ARSENALE, VENICE 26/Nov Biennale Architettura 2023
Pabalate Architect Curator Curator Assistant Curator Assistant Curator
AlBara Saimaldahr Noura Bouzo Basma Bouzo Cyril Zammit Joharah Lou

IL LABORATORIO DEL FUTURO

LA BIENNALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA 2023

Dialogo con la curatrice della 18ª Mostra Internazionale di Architettura. Giunta all’edizione della maturità, la kermesse lagunare rivoluziona il punto di vista sulla disciplina. Punta sull’Africa e si pone in ascolto di realtà interdisciplinari ed emergenti. Con la forma di una “bottega artigiana”.

VALENTINA SILVESTRINI

Cominciamo con un passo indietro. Nel 2022, durante un’intervista per il format Design Emergency curato da Paola Antonelli e Alice Rawsthorn, ha affermato che “il cambiamento procede lentamente, ma quando inizia ad acquisire velocità, diventa inarrestabile”. Pensa (o almeno auspica) che la sua Biennale venga ricordata come il punto d’avvio di un processo di cambiamento che, almeno in architettura, non può più essere rinviato?

Ritengo che il cambiamento sia iniziato molto prima della mia nomina per questa Biennale. Considero quanto sta avvenendo come la prosecuzione di un processo che ha già avuto inizio. Data la natura di evento pubblico della Biennale, la sua importanza, l’audience globale, ritengo che ora acquisirà un po’ di velocità. Ma non considero la mostra come il primo passo.

Dopo la presentazione della mostra, molti media anche in Italia hanno adottato espressioni come “cambio di paradigma” per sintetizzare l’orizzonte della sua Biennale. Provando a osservare l’appuntamento dal punto di vista della comunità africana, con un concreto cambio di prospettiva, quale immagina potrà essere l’impatto e l’eredità culturale di The Laboratory of Future? Lei viene considerata una sorta di “ponte” fra Africa ed Europa… Innanzitutto credo che inaugurare in questa edizione il Biennale College Architettura sarà un momento significativo. Controllando le candidature, è emerso che il 64% degli aspiranti partecipanti provengono dal sud del mondo: è abbastanza inusuale in questo genere di eventi.

Più in generale interpreto la Biennale come una sorta di piattaforma, non per iniziare da zero il cambiamento, come accennavo, ma per amplificare e focalizzare l’attenzione su quello che sta crescendo e maturando da tempo. Penso che per molti dei partecipanti, sia africani che del sud del mondo, in generale sia si-

gnificativa la concentrazione di attenzione, non tanto il fatto in sé di essere stati selezionati: sono sempre stati lì. Ma partecipare a un evento come questo, nel nord del globo, accende uno specifico faro su di loro. Li potenzierà ed è anche un’assunzione di responsabilità per loro. Una cosa è dire “Datemi il mio posto sul tavolo! Datemi la mia opportunità di esprimermi!”: devi poi saper mostrare cosa hai da dire ed essere pronto e preparato su quello che vuoi comunicare, per divenire parte attiva del processo. In definitiva credo sarà, nello stesso tempo, un’opportunità e una responsabilità.

Avverte il rischio che temi come la decolonizzazione e la decarbonizzazione possano essere percepiti dal vasto pubblico della Biennale, composto non solo dagli addetti del settore, come eccessivamente specialistici? Oppure i tempi sono maturi per associare questo appuntamento a questioni di tale urgenza?

Sono un’architetta e per molto tempo ho scritto e pubblicato libri. Una delle cose che ho imparato, lavorando ai romanzi, è che per raccontare la complessità o i concetti profondi devi saper dimostrare che non sono complicati. Perché solitamente si genera confusione aggiungendo complicazioni a qualcosa che è già complesso. Gli autori di narrativa devono essere chiari: non semplici, ma chiari. Penso che gli architetti possiedano un linguaggio davvero specialistico: io stessa, pur essendo architetta, confesso di non riuscire sempre a capire tutte le pubblicazioni di settore. Di conseguenza, fra i criteri di partecipazione a questa Biennale rientra la richiesta di chiarezza. La mia speranza è che mettendo insieme 89 partecipanti che hanno una comprensione completamente diversa di questi due termini molto chiari – decolonizzazione e decarbonizzazione –, il pubblico sarà in grado di capire quanto sia visionario, ricco e interessante questo argomento. Perché non riguarda una singola domanda e non si presta a una singola risposta, non è connesso alle risorse che possiedi, all’area da cui provieni: riguarda tutti noi.

Accennava alla sua carriera di scrittrice. Quale sarà il peso della componente narrativa nella sua mostra, intendo proprio nell’allestimento?

Lo storytelling è il cuore di ciò che faccio, che sia attraverso la scrittura o l’architettura: le percepisco come la stessa cosa, usano solo medium diversi. Dato che la storia che cercheremo di raccontare è complessa, è molto importante che la parte narrativa sia chiara. Ci sarà quindi un’articolazione diversa dalla canonica successione di un progetto dopo l’altro, con un vero e proprio percorso narrativo.

A cominciare dal titolo, la sua Biennale dichiara di volerci parlare di futuro. E dunque come immagina gli architetti del futuro? Cosa va fatto da subito per formare la prossima generazione? Sappiamo che per il prossimo anno è previsto l’inizio dell’attività didattica dell’African Futures Institute, la scuola post-laurea di architettura che ha fondato ad Accra, in Ghana.

Salvo poche eccezioni, il modo in cui l’architettura viene insegnata è rimasto lo stesso da 300 anni. Eppure il mondo è estremamente cambiato. Nei miei trenta anni di insegnamento universitario, ho capito che l’università è spesso l’ultimo posto in cui poter attuare il cambiamento. È come nell’esercito: ha un

CHI È LA CURATRICE LESLEY LOKKO

“Una personalità internazionale, capace di interpretare con diversi ruoli la propria posizione nel dibattito contemporaneo su architettura e città, che parte dalla sua esperienza immersa in un continente che sempre più sta diventando un laboratorio di esperienze e proposte per tutto il mondo contemporaneo”: queste le parole con cui, nel dicembre 2021, il Presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto, indicava Lesley Lokko come curatrice della 18ª Mostra Internazionale di Architettura. Architetta, scrittrice bestseller, docente di architettura con all’attivo esperienze nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Europa, Australia e Africa, Lokko (Ghana/Scotland) ha un PhD in Architecture alla University of London e un BSc (Arch) and MArch alla Bartlett School of Architecture, UCL (University College London). Pluripremiata, nell’arco di un trentennio di lavoro tanto nell’architettura che in letteratura si è dedicata alla relazione tra “razza”, cultura e spazio. Nel 2019 è stata nominata Preside della Bernard and Anne Spitzer School of Architecture di New York, ruolo che ha ricoperto fino al 2020, anno in cui ha fondato l’African Futures Institute: scuola di specializzazione in architettura e piattaforma di eventi pubblici, ha sede ad Accra, in Ghana, e dovrebbe avviare l’attività didattica il prossimo anno. Per il 2024 è inoltre attesa la pubblicazione del suo nuovo romanzo The Lonely Hour, per Pan Macmillan editore. In occasione della 17ª Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia ha fatto parte della Giuria Internazionale.

INTERPRETO LA BIENNALE COME

UNA SORTA DI PIATTAFORMA, NON PER INIZIARE DA ZERO

IL CAMBIAMENTO, MA PER AMPLIFICARE E FOCALIZZARE L’ATTENZIONE SU QUELLO CHE STA CRESCENDO E MATURANDO DA TEMPO.

sistema di protocolli, tradizioni… Essere capace di adattarsi a qualcosa che cambia molto rapidamente e recepire quanto avviene è molto difficile per quel tipo di struttura. Penso che in futuro la formazione in architettura si distanzierà da quella accademica tradizionale. In Africa vediamo già gli effetti di molti di quei paradigmi di cui il nord del mondo inizia solo ora a preoccuparsi, come la giustizia razziale, il cambiamento climatico, i riflessi delle proteste sociali, la democrazia e la governance. Mi è sembrato logico sperimentare lì nuove forme educative in architettura: è il luogo chiave per un laboratorio in cui testare il tipo di formazione necessario a creare l’architetto del XXII secolo. In Occidente si continua a percepire l’architetto come la figura che costruisce edifici: ma gli architetti fanno molto di più. Costruiscono società, competenze, conoscenza.

STORIES BIENNALE DI ARCHITETTURA
Lesley Lokko, courtesy of La Biennale di Venezia.
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Photo Jacopo Salvi

IL PADIGLIONE ITALIA ALLA BIENNALE ARCHITETTURA

Nel ricevere l’investitura per la progettazione del Padiglione Italia alla Biennale Architettura guidata da Lesley Lokko, il collettivo Fosbury Architecture aveva anticipato un cambio di passo nell’intenzione di concepire l’architettura come progetto corale, pratica di ricerca partecipata e diffusa, confermando il proposito con l’attivazione dei nove interventi site-specific di Spaziale presenta, per estendere l’esperienza del Padiglione Italia oltre la dimensione spaziale e fisica di un unico luogo, Venezia, e al di là dei limiti temporali propri della manifestazione. Accomunate dalla volontà di pensare l’architettura al di là della costruzione di manufatti – preferibilmente mezzo, anziché fine ultimo – proprio queste attivazioni diffuse sul territorio nazionale costituiscono il fulcro del Padiglione Italia, che offre, per l’appunto, tre elementi di novità essenziali per veicolare l’idea che il collettivo Fosbury intende promuovere: la curatela condivisa, la valorizzazione di una nuova generazione di progettisti under 40 (nove gruppi di progettisti e altrettanti advisor, professionisti provenienti da diversi campi delle industrie creative), la messa a terra di un processo destinato ad attivarsi (e attivare relazioni, connessioni, rigenerazioni) nel tempo. A proposito della modalità partecipativa, il gruppo di giovani architetti ha le idee chiare: “La dimensione del collettivo è una controproposta alle strutture verticali, piramidali, che spesso riproducono delle dinamiche paternalistiche e distorte. L’orizzontalità è un metodo più etico ed empatico di lavorare, necessario a nostro avviso. Non diventerà maggioritario, ma è un’alternativa. Già ci riconosciamo in tantissime altre esperienze a livello europeo, anche se sono sempre troppo poche”.

IL PADIGLIONE ITALIA DI FOSBURY ARCHITECTURE

Il Padiglione Italia racconta e sintetizza un processo avviato a gennaio 2023 – quando i primi progetti di Spaziale presenta hanno preso avvio – che continuerà a produrre effetti anche al termine della Biennale. E si concentra sulla spazialità, nel modo di intendere lo spazio non come ambiente costruito, ma come rete di rapporti che permette di insediarsi nella realtà presente, attraverso la relazione con molteplici discipline. La scommessa non è più rappresentata dal segno individuale e dall’autorialità, ma dalla condivisione progettuale e dall’invito a partecipare, perché “ognuno appartiene a tutti gli altri”, come esplicita il tema ideato da Fosbury Architecture. Questo approccio alla pratica architettonica scaturisce dalla necessità di confrontarsi con un contesto di instabilità permanente, generazionale: “Gli architetti possono dare forma a nuove politiche pubbliche e a nuovi modi di abitare” spiega il collettivo “e la spazialità è l’unico campo in cui ha senso operare. Esiste una generazione di progettisti italiani che ha già accettato questa sfida: useremo in molte occasioni il termine spazialisti, in relazione a un’architettura che si preoccupa di progettare lo spazio, come luogo fisico e simbolico”.

I 9 EVENTI COLLATERALI DELLA BIENNALE ARCHITETTURA 2023

A Fragile Correspondence

Scotland + Venice

Docks Cantieri Cucchini, San Pietro di Castello 40

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: Scotland + Venice

Climate Wunderkammer

IUAV Palazzo Badoer piano terra

Calle de la Laca, San Polo 2468

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: RWTH Aachen University

Catalonia in Venice_ Following the Fish

Docks Cantieri Cucchini, San Pietro di Castello 40

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: Institut Ramon Llull

Diachronic Apparatuses of Taiwan. Architecture as on-going details within landscape

Palazzo delle Prigioni, Castello 4209

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: National Taiwan Museum of Fine Arts

Radical yet possible future space solutions

IUAV Ca’ Tron, Santa Croce 1957

25 maggio 2023

IUAV aula magna Tolentini, Santa Croce 191

26 maggio 2023

Istituzione organizzatrice: New European Bauhaus, Joint Research Centre of the European Commission

Transformative Hong Kong

Campo della Tana, Castello 2126 20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: Hong Kong Arts Development Council + The Hong Kong Institute of Architects Biennale Foundation

EUmies Awards. Young Talent 2023. The Laboratory of Education Palazzo Mora, Cannaregio 3659

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: Fundació Mies van der Rohe

Students as Researchers: Creative Practice and University Education

Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena, Dorsoduro 1602

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: New York Institute of Technology

Tracé Bleu Que faire en ce lieu, à moins que l’on y songe?

Campiello Santa Maria Nova 6024

20 maggio – 26 novembre 2023

Istituzione organizzatrice: CA’ ASI

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L’ALLESTIMENTO DEL PADIGLIONE ITALIA

Per la prima volta, quindi, il Padiglione Italia – allestito come un laboratorio di pratiche e idee – è stato utilizzato come occasione di progetto, per restituire la fotografia di una generazione che sta ridefinendo i confini dell’architettura: in quanto curatori, i Fosbury sono diventati facilitatori e promotori di un insieme di intelligenze, chiamate a operare in situazioni di fragilità territoriali, ambientali, sociali. Il lavoro di ciascun gruppo risponde infatti a una serie di temi urgenti per il contesto italiano: la convivenza con il disastro (Taranto), la riconciliazione con l’ambiente (Baia di Ieranto), la coesistenza multiculturale (Trieste), il recupero delle opere pubbliche incompiute (Ripa Teatina), l’inclusione sociale (terraferma veneziana), la transizione alimentare (Montiferru), la rigenerazione delle periferie (Librino, popolosa periferia di Catania), il superamento del divario digitale (Belmonte Calabro), la tutela del paesaggio (Piana di Firenze, Prato e Pistoia).

LA DIMENSIONE DEL COLLETTIVO È UNA CONTROPROPOSTA ALLE STRUTTURE VERTICALI, PIRAMIDALI, CHE SPESSO RIPRODUCONO DELLE DINAMICHE PATERNALISTICHE E DISTORTE.

Dalla fase di attivazione dei 9 progetti locali, il Padiglione Italia discende come sintesi formale e teorica dei processi innescati, affiancando anche un public program ospitato presso il Teatrino di Palazzo Grassi (una serie di cinque incontri). All’interno del Padiglione si potrà entrare in contatto con i 9 progetti, attraverso porzioni materialmente trasferite a Venezia (che poi rientreranno sul loro territorio), modelli, documentazione video e fotografica di quanto successo negli ultimi mesi.

Concretamente, all’espansione del progetto al di fuori dell’Arsenale è corrisposta una riduzione dell’allestimento del Padiglione alle Tese delle Vergini, per lasciare spazio alla rappresentazione dei processi diffusi. L’intenzione di scardinare una dinamica espositiva autoreferenziale è così funzionale non solo a trasmettere il pensiero dei curatori, ma anche a far respirare i diversi progetti: “I progetti sono potentissimi, prendervi parte anche solo attraverso la documentazione sarà forte per tutti. Ci aspettiamo anche critiche, certo, è una questione di alfabetizzazione dell’occhio a riconoscere che questa è architettura, intesa come il più potente strumento per rigenerare il territorio. Noi non neghiamo l’architettura del manufatto, semplicemente invitiamo a espandere gli orizzonti In Europa le realtà come quelle che portiamo in mostra sono più riconosciute, anche storicizzate, e validate dalle istituzioni. Invece è la prima volta che pratiche architettoniche del genere raggiungono un palcoscenico istituzionale italiano”.

TUTTI I NUMERI DELLA BIENNALE ARCHITETTURA 2023

MOSTRA THE LABORATORY OF THE FUTURE

sezioni principali partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana

43anni

l’età media dei partecipanti

24anni

l’età del più giovane partecipante

i practitioner di colore emergenti esposti nella sezione Guests from the Future

dei partecipanti considera la formazione come una vera e propria attività professionale

delle opere esposte è stato progettato da studi gestiti da un singolo o da un team molto ristretto

6 89 22 46% 70% 986

4settimane la durata di Biennale College Architettura 25 giugno - 22 luglio 2023

6mesi di apertura al pubblico 20 maggio - 26 novembre 2023

PARTECIPAZIONI NAZIONALI

partecipazioni nazionali organizzeranno le proprie mostre

presenze nazionali all’Arsenale

14

27

presenze nazionali nei Padiglioni ai Giardini

presenze nazionali nel centro storico di Venezia

1ªvolta alla Biennale Architettura per il Niger

PARTECIPAZIONI SPECIALI, TUTTE ALL’ARSENALE

Amos Gitai regista

James Morris fotografo

le candidature per la prima edizione di Biennale College Architettura (per 50 posti a disposizione) 63 22 3

Rhael ‘LionHeart’ Cape Hon FRIBA, il primo poeta laureato in architettura

FOSBURY ARCHITECTURE, IL COLLETTIVO DEL PADIGLIONE ITALIA 2023

Fondato nel 2013 a Milano da Giacomo Ardesio (1987), Alessandro Bonizzoni (1988), Nicola Campri (1989), Claudia Mainardi (1987) e Veronica Caprino (1988), il collettivo Fosbury Architecture (F.A.) è un’agenzia spaziale che interpreta l’architettura “come strumento in grado di mediare tra istanze collettive e individuali; aspettative e risorse; sostenibilità e pragmatismo; ambiente e esseri umani”. Centrale nell’attività del gruppo è l’azione di ricerca per espandere i confini della disciplina, in un parallelo ripensamento del ruolo dell’architetto. Fra i progetti più noti del primo decennio di F.A. rientra la pubblicazione Incompiuto, La Nascita di uno Stile (2018), insieme ad Alterazioni Video che ha ricevuto la menzione d’onore del premio Compasso d’Oro 2020. Con all’attivo varie partecipazioni alle principali biennali di settore, al Centro Pecci il collettivo ha curato l’Urban Center di Prato e ha progettato l’allestimento della mostra Verde Prato, ricevendo la menzione al Premio TYoung 2021. Ha preso parte a mostre collettive fra cui Take Your Seat (ADI Design Museum di Milano); The State of the Art of Architecture (Triennale Milano); Re-Constructivist Architecture (RIBA Gallery di Londra); Adhocracy presso l’Onassis Center di Atene; Mean Home presso la British School di Roma.

STORIES BIENNALE DI ARCHITETTURA
LIVIA MONTAGNOLI
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LE 9 ATTIVAZIONI DI “SPAZIALE PRESENTA”

BELVEDERE RN-M-G-M/GCLT UNI EN 13163:2013

In Toscana, nella piana che include Firenze, Prato e Pistoia si può identificare una zona produttiva scandita da piante ornamentali e costruzioni in stile. Intesa nella forma di “foresta totale”, rappresenta un’area strategica per l’assorbimento di anidride carbonica e ha ispirato l’idea di un “osservatorio fisico e digitale” che opera attraverso una “infrastruttura multimediale fatta di immagini, video e manufatti tridimensionali”.

Progettisti: (ab)Normal e Captcha

Architecture

Advisor: Emilio Vavarella

Incubatore: Centro per l’arte

Luigi Pecci di Prato.

LA BAIA DELLE SIRENE

Nel luogo esatto in cui, secondo Plinio il Vecchio, avvenne il fatidico incontro fra Ulisse e le sirene narrato nell’Odissea, l’atelier di progettazione BB (Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio) e il team del festival musicale Terraforma hanno concepito un “dispositivo significante” per rivelare lo stato ambientale del fondo marino. Un intervento dal quale, secondo Fosbury Architecture, “emerge la necessità di riconfermare il contratto spaziale tra uomo e natura, nella prospettiva dei futuri cambiamenti climatici”.

Progettisti: BB (Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio)

Advisor: Terraforma

Incubatore: FAI – Fondo per l’Ambiente italiano Baia di Ieranto (Massa Lubrense, Napoli)

LA CASA TAPPETO

È nel quartiere catanese di Librino che lo studio di progettazione Studio

Ossidiana ha realizzato La Casa Tappeto, un padiglione mobile e temporaneo capace di rispondere a esigenze basiche, diffuse e ricorrenti all’interno della comunità residente: ombra, protezione e leggerezza. “Siamo convinti che esistano modi gentili di combinare il benessere termico/climatico a quello sociale e di accogliere una comunità prendendosene cura”, chiarisce Fosbury Architecture.

Progettista: Studio Ossidiana

Advisor: Adelita Husni-Bey

Incubatori: Associazione Talità Kum e Ordine degli Architetti di Catania

Supporto tecnico: Ortigia Sound System

Librino (Catania), Sicilia

UCCELLACCIO

“Crediamo che nella decostruzione e nello smontaggio selettivo si possa coltivare un futuro, anche economico, di rigenerazione sostenibile”, osservano i curatori. Nell’entroterra abruzzese, con il progetto del collettivo di architettura HPO, è stato promosso il processo di riattivazione partecipata di un “ecomostro” sorto a partire dal 1973. Come in innumerevoli altri casi in Italia, non è stato mai ultimato e neppure mai demolito.

Progettista: HPO

Advisor: Claudia Durastanti

Incubatori: MAXXI L’Aquila e Comune di Ripa Teatina Ripa Teatina (Chieti), Abruzzo

POST DISASTER ROOFTOPS EP04

Già attiva dal 2018, Post Disaster Rooftops è una pratica spaziale, critica e curatoriale di lungo termine che eleva i tetti della Città Vecchia di Taranto allo status di “piattaforma” da cui analizzare le crisi del nostro tempo, in primis quella ambientale. Perché, come ricordano i curatori Fosbury Architecture: “Convivere con il disastro è un tema a cui architetti e progettisti non possono più sottrarsi, per immaginare progetti che tentino di confrontarcisi concretamente”.

Progettisti: Post Disaster

Advisor: Silvia Calderoni e Ilenia Caleo Taranto, Puglia

CONCRETE JUNGLE

“Il design può essere un potente strumento per scardinare le discriminazioni latenti di attività che spesso si dimostrano più divisive che ricreative”, sostengono dal collettivo Fosbury Architecture, che con la quinta attivazione si avvicina al contesto della città lagunare, seppur in maniera inusuale. Centrale è la sfida fisica dell’arrampicata: un invito a riflettere sulla relazione uomo-natura, in una condizione in cui la “giungla di cemento” resta in antitesi con la dimensione paesaggistica incontaminata.

Progettista: Parasite 2.0

Advisor: Elia Fornari (Brain Dead)

Incubatore: Museo M9

Terraferma veneziana

Prato - Pistoia, Toscana 1 1 2 3 4 5 3 2 4 5 6 6 7 8 9
contemporanea
Il Padiglione Italia curato da Fosbury Architecture oltrepassa i confini della Laguna e si diffonde in tutto il territorio italiano con nove progetti"

BELMONDO TRACKS

A Belmonte Calabro, il gruppo La Rivoluzione delle Seppie ha concepito un'esperienza che intende riattivare il giardino in disuso dell’antico castello. All’insegna dell’autocostruzione e della sperimentazione di nuove tecnologie. “Da anni si discute di diritto di accesso alla rete e di rigenerazione delle aree spopolate, perché non vederle come due facce della stessa medaglia?”, è la domanda aperta posta da Fosbury Architecture.

Progettista: Orizzontale

Advisor: Bruno Zamborlin

Incubatori: La Rivoluzione delle Seppie e Comune di Belmonte Calabro Belmonte Calabro (Cosenza), Calabria

SOT GLAS

“Investigare il senso di appartenenza significa ridefinire che forma abbia il limite e di conseguenza dove inizi e finisca un Paese e la sua comunità”. Questa la premessa teorica di Fosbury Architecture alla base dell’installazione Sot Glas che, tra light design e folk locale, ha portato alla temporanea riattivazione di 500 metri di tunnel sotterraneo del rifugio antiaereo Kleine Berlin. Un limite fisico e doloroso attraverso il quale porsi in ascolto delle comunità che abitano i territori di confine.

Progettista: Giuditta Vendrame

Advisor: Ana Shametaj

Incubatore: Trieste Film Festival Trieste, Friuli-Venezia Giulia

SEA CHANGES:

TRASFORMAZIONI POSSIBILI L’impatto della produzione alimentare sull’ambiente non è irrilevante. Fosbury

Architecture identifica il cibo come “un complesso ecosistema fatto di processi energivori, estremamente inquinanti e segnati da profonde diseguaglianze nell’accesso alle risorse”. L’allestimento performativo concepito dalla piattaforma per pratiche spaziali e relazionali Lemonot (Sabrina Morreale, Lorenzo Perri) esamina alcune delle filiere produttive tipiche del territorio sardo, dalla bottarga al Fiore sardo dei Pastori.

Progettista: Lemonot

Advisor: Roberto Flore

Incubatore: Cabudanne De Sos Poetas Montiferru (Oristano), Sardegna

IL RITORNO DELLA SANTA SEDE NEL SEGNO DI ÁLVARO SIZA

In coincidenza con il X anniversario dell’elezione di Papa Francesco, la Santa Sede torna alla Biennale Architettura con il progetto “Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino” nell’Abbazia di San Giorgio Maggiore.

Presentata negli spazi espositivi e nel giardino del monastero benedettino dell’isola lagunare, la seconda partecipazione della Santa Sede alla Biennale Architettura invita i visitatori a “prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e a celebrare la cultura dell’incontro”. A raccontarlo è l’architetto Roberto Cremascoli, curatore del progetto e nel 2016 del Padiglione Portogallo (con Nuno Grande). Proprio lui ricorda che “la Santa Sede e Portogallo non possiedono una sede permanente alle biennali di Venezia, diversamente dai tantissimi paesi presenti. Credo che sia una risorsa in più, quella di andare alla ricerca di un luogo per organizzare il padiglione nazionale: perché ci mette in relazione con la città e il territorio lagunare consentendoci di essere in qualche modo utili al territorio stesso, ai residenti, alla Biennale”. Utili a tal punto che nel 2016 la sua scelta di ospitare il padiglione portoghese nel cantiere fermo da anni delle case popolari a Campo di Marte (1986) di Álvaro Siza rese possibile la ripresa dei lavori che, finalmente, sono in fase di conclusione. Sette anni più tardi, nell’abbazia di San Giorgio Maggiore con Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino si realizza la costruzione di un processo reale, la dimensione evocativa di un progetto che non è necessariamente pensato per definire uno spazio finito, bensì un modus operandi Per Mirko Zardini, responsabile del progetto scientifico, “si è preferito proporre alcune azioni modeste, avviare dei processi, presentare dei fatti concreti come coltivare un orto, riutilizzare dei materiali, creare un luogo per delle conversazioni. Non un proliferare di parole o attività, ma un luogo di pausa e di quiete, di silenzio, dove riflettere su come, e da dove, ricominciare”. La prima parte del percorso si sviluppa, infatti, all’interno delle sale espositive del monastero gestite dalla Benedicti Claustra Onlus, a cui si accede dalla Darsena Grande dell’Isola, di fronte al bacino di San Marco, al piano terra dell’edificio storico denominato Manica Lunga. Ad accogliere i visitatori il video racconto di Mattia Borgioli, che mostra il processo di realizzazione di tutte le installazioni presenti. Un incipit che, attraverso grafica, schizzi originali e fotografie di Marco Cremascoli, dà inizio a una narrazione che include l’installazione O Encontro di Álvaro Siza. Per l’Em.mo Card. José Tolentino de Mendonça l’architetto portoghese “all’età di novant’anni si presenta come una riserva di giovinezza per il mondo, scommette su un’architettura che non si fissa tra quattro mura, ma si disloca. È un’architettura viva, figurale, «in uscita»”. L’opera è costituita da una sequenza di figure – realizzate in legno massello – che dalla galleria principale si dispongono attraverso le sale fino al giardino. Queste dialogano con lo spazio incolume del convento e con i visitatori: la loro interazione crea un movimento incessante, dinamico, fatto di pause e di sorprese, che culmina con l’ultimo monolite, verso il ritrovato orto monastico e le strutture di accoglienza appositamente create. Qui, come primo atto, Studio Albori e il gruppo di artisti Michela Valerio, Agostino Vallonzer e Riccardo Bermani (Associazione culturale About) hanno fatto ordine nel giardino, integrando le essenze esistenti con le nuove piantumazioni e con varie sezioni di ortaggi (per consumo conventuale o esterno), erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli. La disposizione delle colture si identifica con un elemento della natura –sole, terra, aria, acqua –, associando la parte commestibile delle piante al proprio elemento e, dove è stato possibile, suddividendo l’orto in aree geografiche per raccontare l’origine delle essenze. Come secondo atto, invece, su disegno e costruzione di Studio Albori, sono stati realizzati – attraverso il riuso di legno tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, che vive qui una seconda vita – manufatti come il chiosco (limonaia), un parasole con sedute, il deposito dei semi con pergola, una serra, che rendono possibile la sosta, il riparo, l’incontro o semplicemente la contemplazione. Pensata come spazio a disposizione di tutti, la nuova conformazione degli spazi esterni permette di vivere uno scenario vicino alla vita quotidiana del monastero benedettino e alla sua Regola. Facendo incontrare architettura e natura, materiale e spirituale, semplicità e complessità.

STORIES BIENNALE DI ARCHITETTURA
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34 ARTURO MARTINI/TREVISO • UGO MULAS/VENEZIA LUCA GIORDANO/FIRENZE • SADE/BARCELLONA • YŌKAI/BOLOGNA

Arturo Martini genio irregolare

Marta Santacatterina

Il “caso” Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947) potrebbe essere riassunto con l’espressione “nemo propheta in patria”: il rapporto dell’artista con la sua città natale non fu sempre felice, nonostante non gli siano mancate opportunità di lavoro e il fatto che già durante l’età giovanile il museo locale abbia acquisito alcune sue opere. Certo non aiutò il carattere spavaldo,

fino al 30 luglio 2023 ARTURO MARTINI.

I CAPOLAVORI

a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa

Catalogo Antiga Edizioni

MUSEO LUIGI BAILO

Borgo Cavour 24 – Treviso museicivicitreviso.it

irruente, raramente accomodante dell’artista, unito alla “voglia di affrancarsi a sostenere l’ostinata determinazione che mise in campo per esprimere una scultura nuova e ‘grande’”, scrive Fabrizio Malachin in catalogo. E non aiutarono nemmeno le profonde novità introdotte in scultura da Martini, che alla fine della Prima Guerra Mondiale si avvicinò al “ritorno all’ordine” e a quell’attenzione al “mestiere” teorizzata dalla rivista Valori Plastici

La mostra che ora riunisce al Museo Luigi Bailo di Treviso ben 280 opere di Martini – di cui 150 patrimonio delle collezioni trevigiane e 130 prestate da musei, istituzioni e collezionisti privati – intende porsi come una sorta di risarcimento nei confronti di un artista originale, che seppe sempre mettersi alla prova, elaborando soluzioni inedite pur rimanendo aderente a uno stile figurativo ed eleggendo a suoi modelli la tradizione etrusca, romanica, del tardo Medioevo fino al primo Quattrocento, senza tuttavia escludere occasionali incursioni nelle scomposizioni delle avanguardie.

OPERE IN DIALOGO

L’allestimento, che necessariamente si è adeguato a spazi non semplici, raduna le opere per soggetti, gli stessi sui quali Martini tornò spesso, realizzando numerose versioni. L’androne del Museo Bailo accoglie i visitatori con alcune opere colossali “che pesano tonnellate ma sembrano leggere come piume”, parola del loro stesso autore. Ecco allora che da Acqui Terme è giunto, con tutta la sua maestosità, Il

figliuol prodigo della collezione di Arturo Ottolenghi e Herta von Wedekind – tra i maggiori sostenitori di Martini – e accanto si scorgono il gesso bidimensionale del 1913-14 e la terracotta della maturità, tutte interpretazioni della stessa parabola biblica. Nel medesimo spazio stanno i due Leoni di Monterosso, anch’essi scolpiti per la villa degli affezionati committenti.

Entrando nel vivo del percorso, una sezione è dedicata a Tobiolo che stringe nelle mani un pesce (1933-34), richiesta ancora una volta dalla coppia Ottolenghi-Wedekind: forse è la scultura che ha segnato la prima autentica consacrazione della carriera del trevigiano. Con la sua evidente classicità, l’opera può quasi dirsi fatta a quattro mani, dal momento che Martini prese come spunto iniziale un bozzetto elaborato dalla stessa Wedekind, anch’esso presente nella sala, e vicino sta il più tardo Tobiolo “Gianquinto”

Un altro focus è dedicato alla Donna che nuota sott’acqua: il marmo, esposto alla Biennale di Venezia del 1942, dimostra tutta la portata della ricerca di Martini sulle forme. Il corpo pare inafferrabile – lo stesso principio è sotteso, pur con diversa intensità, al bronzo Saffo e al Torso di lottatore –, è acefalo poiché sott’acqua si perdono i connotati, e non si sa proprio da dove guardarlo. Curiosità: nella saletta accanto, attorno al bozzetto in bronzo, scorrono le scene del film muto, all’epoca considerato erotico, White Shadows in the South Seas, girato nel 1928 da W. S. Van Dyke e citato esplicitamente da Martini.

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in alto: Arturo Martini, La Pisana, 1928-29, bronzo originale, 35x134x65 cm, firma incisa sulla base: Martini / 1930, Museo Civico Bailo, Treviso, dono di Maria Calzavara e Natale Mazzolà 1967
ARTURO MARTINI / TREVISO
a destra: Arturo Martini, La Nena 1930, terracotta refrattaria da stampo, esemplare con gli occhi cavi, ottenuto da Martini nel 1932 circa, 46x32x30 cm, Museo della Ceramica, Savona, comodato della Fondazione Agostino De Mari

I CAPOLAVORI E LA COLLEZIONE PERMANENTE

Lungo il percorso si possono ammirare tante altre opere monumentali, alcune assolutamente inedite: lo stranissimo Sacro Cuore, talmente nuovo nella sua iconografia da essere rifiutato dalla parrocchia di Vado Ligure; l’incredibile gesso La sposa felice; la Chimera; Leda e il cigno; il Legionario ferito; l’enigmatica e suggestiva terracotta di enormi dimensioni La veglia e le più piccole La moglie del marinaio e Donna alla finestra. Vi sono naturalmente La Pisana e la Venere dei porti, quest’ultima acquisita dal museo esattamente novant’anni fa e nella quale Martini esprime forse il suo più alto livello di liricità.

Ma ampia è anche la rassegna delle sculture di piccole dimensioni: le serie degli animali, alcune formelle con la Via Crucis, il ciclo di Blevio con i suoi soggetti tratti dall’antichità, altre maioliche. E poi la sezione permanente al primo piano del Bailo, con le opere giovanili, quelle acquisite grazie a generose donazioni, le originali cheramografie (termine inventato

11 AGOSTO 1889

MARTINI & TREVISO

Arturo Martini nasce a Treviso

1908 Prima commissione da parte del Bailo

Realizza il gesso del Ritratto di Antonio Scarpa, poi quello per il monumento a Garibaldi che non viene mai finalizzato

1933 IX Mostra Trevigiana d’Arte

Accetta di partecipare alla mostra. Il Comune acquista la Venere dei porti

22 MARZO

Muore a Milano

1947 Prima mostra postuma 123 sculture, 20 pitture, 57 disegni e incisioni e 12 illustrazioni nel Palazzo del Governo

1959 Prime donazioni

Generose donazioni di privati entrano nella collezione permanente del Museo Bailo, che riserva così uno spazio a Martini

1967 Mostra del ventennale della morte Nel complesso di Santa Caterina viene organizzata un’ambiziosa retrospettiva, a cura di Giuseppe Mazzotti

1968 Paolo Saglietto gira Arte senza pace, documentario proiettato anche nell’attuale mostra

1989 Per il centenario della nascita, l’esposizione al Museo Bailo indaga il periodo giovanile di Martini

1993 Grazie a una raccolta fondi, il Museo Bailo acquista l’Adamo ed Eva

Restaurata l’ala nord del Museo Bailo, si ampliano gli spazi della sezione permanente, compresi quelli dedicati a Martini

MARTINI E

A 48 anni, complice una convalescenza necessaria dopo le grandi fatiche richieste per la realizzazione di alcuni gruppi scultorei, Arturo Martini cominciò a dedicarsi alla pittura. Le sue tele sono un filo rosso che si sviluppa in tutte le sale, una mostra nella mostra, spiegano i curatori Fabrizio Malachin e Nico Stringa a proposito degli oltre quaranta dipinti esposti per la prima volta in maniera unitaria. L’artista definì la pittura una “spina nel cuore” e vi si dedicò con tenacia e ostinazione al fine di raggiungere i risultati che si era prefissato. Lungo il percorso si possono scorgere i legami tra dipinti e sculture, l’evoluzione nell’uso del colore e le forme che si discostano dal pensiero tridimensionale caratteristico della principale attività di Martini, che si rivela così come un artista a tutto tondo.

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LA PITTURA
1947 2022

Le sculture di Davide Rivalta al Castello di Brescia

intervista a cura di Stefano Castelli

Continua il progetto di rinnovamento e valorizzazione del Castello di Brescia: dal 26 maggio 2023 al 7 gennaio 2024 si instaura un confronto en plein air tra la scultura contemporanea di Davide Rivalta (Bologna, 1974) e il monumento storico. Abbiamo dialogato su ragioni e propositi dell’operazione con l’artista, il curatore Davide Ferri e il direttore della Fondazione Brescia Musei, Stefano Karadjov

Come riassumerebbe i cambiamenti del suo nuovo corso scultoreo, rispetto alle opere che hanno caratterizzato i suoi primi anni? Nella mostra bresciana si instaura anche un collegamento tra le diverse fasi del suo lavoro, tramite la presenza di “rifacimenti”.

Davide Rivalta: Il mio lavoro si è sempre dato nella relazione tra lo spettatore e l’animale, cioè tra l’io dello spettatore e l’alterità dall’animale ritratto. Ho sempre sentito la necessità di incontrare di persona gli animali: la mia opera è da sempre cominciata con una fotografia, in più oggi fotografo anche le sculture in mostra, in relazione all’ambiente in cui sono collocate, come se il processo fotografico si inscrivesse in un prima e un dopo e avesse un suo sviluppo parallelo a quello scultoreo. Inoltre ho imparato a inglobare maggiormente la casualità nel processo di realizzazione della scultura, affidandomi a gesti estemporanei come i lanci di creta, la cui energia continua a riverberarsi sulle superfici. La mostra di Brescia raccoglie tutti i primati che ho ritratto negli ultimi anni e i cambiamenti della mia scultura: la presenza di un nuovo gruppo di gorilla, molto più grandi e imponenti, ne è la prova.

dal 26 maggio 2023 al 7 gennaio 2024

DAVIDE RIVALTA.

SOGNI DI GLORIA

a cura di Davide Ferri

Catalogo Skira

CASTELLO DI BRESCIA

Via Castello 9 bresciamusei.com

Il luogo in cui vengono esposte influisce sulle sue sculture? C’è ancora differenza per uno scultore di oggi tra en plein air e indoor, galleria e spazi storici, idea di scultura e di “monumento”?

Davide Rivalta: Il luogo è talmente importante che di solito, mentre realizzo le sculture, le immagino in relazione allo spazio in cui saranno esposte per la prima volta, ma in

generale mi rendo conto che è come se ogni luogo in cui l’opera viene esposta la ridefinisse e reinventasse. I diversi tipi di spazi rappresentano potenzialità diverse non solo in termini formali (volumetria e luce, ad esempio) ma anche in termini di aspetti che ne definiscono il significato. Mi sono interrogato spesso sulla questione del monumento, sul fatto che le mie sculture, collocate frequentemente all’aperto e

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a destra: Davide Rivalta, Orango, 2023, bronzo, courtesy di Fuocherello e AP foto di Edoardo Garis nella pagina a fianco: Castello di Brescia © Fondazione Brescia Musei

in luoghi simbolici delle città, siano da considerare o meno dei monumenti. E direi che dal mio punto di vista non dovrebbero essere considerate come tali. Io associo sempre un’idea di stabilità al monumento, mentre le mie sculture mi sembra abbiano a che fare con la rappresentazione del momento, con un movimento eccentrico e transitorio nello spazio.

Come si inserisce la ricerca di Rivalta all’interno delle odierne pratiche scultoree? Si colloca in opposizione, in posizione del tutto autonoma oppure è partecipe di tendenze diffuse?

Davide Ferri: Il lavoro di Davide Rivalta mi è sembrato, per molti anni, in apparente controtendenza rispetto al panorama della scultura contemporanea, che andava sviluppandosi lungo fili conduttori che hanno a che fare con la leggerezza e l’anti-monumentalità, autonomia questa che ha reso il suo lavoro sempre affascinante ai miei occhi. Se ci penso bene, però, è come se negli ultimi anni questa distanza si fosse ridotta, soprattutto quando è stato recuperato da molti artisti il valore della manualità, di un sapere della mano che molte pratiche novecentesche sembravano aver messo in secondo piano. Il lavoro di Rivalta e le sue superfici vibrano di una specie di tattilità diffusa, che funziona da richiamo per lo spettatore, da spinta ad avvicinarsi alla scultura dopo la sorpresa dell’incontro con l’animale.

Come si struttura il percorso della mostra?

L’allestimento sarà marcatamente site specific, incentrato sulla storia del luogo?

Davide Ferri: Sogni di gloria, la mostra al Castello di Brescia, è pensata per tenere insieme tutte le serie di primati a cui Rivalta ha lavorato negli ultimi anni, un soggetto che nel tempo ha declinato in modi diversi e con materiali differenti. Ogni mostra di Rivalta è site specific, ma questa lo è, in qualche modo, ancora di più: il Castello di Brescia rappresenta per gli animali che le sculture ritraggono la vertigine del dominio e dell’altezza, un luogo che, attraverso i diversi spazi esterni, disegna idealmente una partitura di ipotetici movimenti e desideri di conquista di ogni gruppo di animali a scapito degli altri. In termini scultorei significa articolare una riflessione sull’opera e sul suo campo energetico, sul suo spazio di pertinenza.

Cosa vi ha portato a scegliere Rivalta per questa esposizione? Quale tipo di dialogo si aspetta tra le sue opere e gli spazi storici del Castello?

Stefano Karadjov: La scelta di Davide Rivalta parte prima di tutto dalla straordinaria forza evocativa delle sue creazioni animali. È noto, soprattutto ai bresciani, che fino agli Anni Ottanta del Novecento il Castello ospitava lo zoo cittadino. Su queste basi è nata l’idea di proporre una simbolica colonizzazione da parte dei primati del luogo un tempo sito della prigionia degli animali. Luogo che ora viene

IL CASTELLO DI BRESCIA FALCONE D’ITALIA

Arroccato sul colle Cidneo, il Castello di Brescia costituisce uno dei più affascinanti complessi fortificati d’Italia, e il secondo più grande d’Europa, nel quale si possono leggere ancora oggi i segni delle diverse dominazioni. Tra le sue mura, il Castello accoglie anche due musei, il Museo delle Armi Luigi Marzoli e il Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia: quest’ultimo rappresenta un obiettivo strategico per la programmazione di Fondazione Brescia Musei ed è stato scelto come luogo votato nei prossimi anni a un importante sviluppo di natura archeologica e artistica

recuperato e riconquistato dalle forze primigenie della natura, simboleggiate dagli enormi gorilla orango e dai tanti scimpanzè e scimmie che si distribuiranno tra le pendici e la vetta del nostro Falcone d’Italia.

Questo percorso dedicato alla scultura si lega anche al nostro grande palinsesto di valorizzazione della Vittoria Alata, uno dei più importanti bronzi dell’antichità, simbolo della nostra città e del nostro sistema museale, allestita dall’architetto Juan Navarro Baldeweg nel Capitolium di Brescia, in un ideale di continuità scultorea tra l’età romana e il contemporaneo.

Si può già tracciare un primo bilancio, dal vostro punto di vista, delle iniziative legate a Brescia e Bergamo Capitali della Cultura?

Stefano Karadjov: Siamo molto contenti

contemporanea attraverso la lingua della scultura. Sono infatti in corso di realizzazione le passeggiate di scultura dedicate a Bruno Romeda e Robert Curtright, due artisti a cui la Fondazione da alcuni anni sta dedicando attenzione e risorse in virtù della loro emblematicità per il territorio bresciano. In un percorso di avvicinamento a questa realizzazione, Brescia Musei ha deciso di ingaggiare il dialogo con due grandi scultori contemporanei attivi e prolifici per altrettanti progetti espositivi sul 2023 e sul 2024, di cui il primo è proprio Davide Rivalta.

di come sono andati i primi tre mesi dal lancio della Capitale della Cultura, il 22 gennaio, che per noi ha coinciso con le inaugurazioni di due nuovi musei: quello del Risorgimento, proprio all’interno del Castello, e l’importante sezione rinnovata dell’età romana, presso il Museo di Santa Giulia.

In questi tre mesi abbiamo più che raddoppiato il numero dei visitatori dei nostri siti museali, senza tenere in considerazione i visitatori delle mostre temporanee, che stanno andando molto bene e che stanno soprattutto accreditando profondamente la nostra Fondazione per il valore scientifico e culturale delle stesse. Su tutte, la mostra dedicata a Giacomo Ceruti, che andrà anche al Getty Center di Los Angeles, e la mostra Luce della montagna, aperte rispettivamente fino a metà e fine giugno.

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Ugo Mulas l’artista della fotografia

La mostra allestita nelle nuove Stanze della Fotografia di Venezia pone lo sguardo su alcuni dei capitoli più significativi della produzione e della ricerca di Ugo Mulas (Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973).

Abbiamo chiesto ad Alberto Salvadori – direttore dell’Archivio dedicato al fotografo e curatore della mostra insieme a Denis Curti – di commentare alcune scelte fatte.

“Mulas è uno dei rari casi di artista che possedeva anche il dono dell’esegesi del proprio lavoro. I suoi scritti, le sue riflessioni e pensieri sono tuttora e credo rimarranno per sempre insuperabili. Sono fondamentali sia per il lettore

fino al 6 agosto 2023

UGO MULAS.

L’OPERAZIONE FOTOGRAFICA

a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori Catalogo Marsilio Arte

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA

Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia lestanzedellafotografia.it

sia per chi si appassiona al suo lavoro, ma anche per chi, in termini teorici e critici, intenda affrontarlo. Grazie alle sue parole diventa facile capire, entrare e anche uscire dalla fotografia. Ha reso il medium un elemento concettuale e reale allo stesso tempo”. Nella mostra

veneziana uno spazio importante è dedicato alle Verifiche, un’opera determinante per chi ha fatto fotografia dopo di lui. “Già da Spoleto nel 1962 aveva iniziato la sua riflessione non tanto sulla creazione ma sul processo, parola e concetto chiave nel mondo dell’arte dalla fine degli Anni Sessanta, e anche sul contesto, sull’ambiente, su quello che si definiva ‘environment’ creato dall’opera. Il suo è stato un percorso concettuale fin dall’inizio, ha lavorato sulla fotografia non esclusivamente come mezzo, ma come forma di pensiero. Nel 1965 l’amicizia con Duchamp lo porta ancora di più verso questa dimensione teoretica e le ‘Verifiche’ ne sono la summa, un lavoro concettuale e teorico a tutti gli effetti, un lavoro metafotografico”.

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Angela Madesani
UGO MULAS / VENEZIA

ARTE E FOTOGIORNALISMO

La rassegna presenta parte della produzione fotogiornalistica di Mulas: “La stampa gli dava la possibilità di viaggiare, anche nella sua città d’adozione, Milano, e fin dall’inizio ha fotografato altro che non fosse quello che gli veniva richiesto. Nascono subito le immagini di Milano notturna con i netturbini, la Milano della ricostruzione dal sapore neorealista, il Jamaica, i reportage sulla Germania, Danimarca, Russia, Svezia, realizzati in parallelo alle commissioni arrivate dall’industria. Determinante fin da subito è stato il mondo dell’arte, la frequentazione con gli artisti visivi ma anche imprescindibile il suo amore per la poesia e la profonda amicizia con poeti e letterati”, prosegue Salvadori. I suoi ritratti a Ungaretti e a Montale sono entrati nell’immaginario di tutti noi.

MULAS E LA F OTOGRAFIA

Mulas, con grande anticipo sui tempi, è riuscito a superare il genere in fotografia. “Penso che abbia usato e interpretato la fotografia come strumento semantico e non come una possibilità di riproduzione del reale. È andato oltre la mimesis. Si è concentrato fin dall’inizio sulla possibilità di fotografare essendo coerente al suo concetto di verità; mi ricorda molto la pratica di uno scrittore, di un musicista, di tutti gli artisti che non dipendono da cosa fanno ma sono ed esistono attraverso quello che fanno. Poi, se vogliamo fermarci alla fotografia, studiando il suo lavoro, subito mi sono accorto che in venti anni Mulas è stato tanti fotografi insieme, ha superato il concetto di genere fotografico e dentro di me si è creato un parallelismo immediato: Mulas è per la fotografia quello che Kubrick è stato per il cinema”.

CHI ERA UGO MULAS

Mulas rifiutava l’idea di scoop, il suo era un atto di non intervento e le immagini scelte per la mostra sono molto chiare in tal senso. “Fotografare era per lui una forma di pensiero, una modalità per pensare. Il non fare di Duchamp. Aborriva la frenesia dell’attimo irripetibile alla Cartier-Bresson, ripudiava la fotografia come costruzione dell’immagine speciale. Ha scritto molto bene come tutto questo fosse per lui da evitare e come questa modalità avrebbe portato a una omologazione del reale e a una situazione artefatta dello stesso, facendo diminuire la libertà di pensare e di vedere per molti di noi. In effetti viviamo in un’era dove tutto ciò è diventato realtà”.

Nel suo testo presente in catalogo Denis Curti ha ceduto la parola ad alcuni personaggi che hanno conosciuto Mulas, mentre Salvadori ha impostato il proprio in chiave musicale: “L’intero suo lavoro, eseguito tra il 1952 e il 1972, è una lunga e intera partitura per una grande sinfonia. Non ha fotografato due volte lo stesso soggetto, non è mai ritornato su un tema già affrontato, il destino e la sua volontà hanno deciso questo. La mostra di Venezia è appunto una grande partitura, un’opera unica suddivisa in tanti spartiti che suonano benissimo anche da soli. Le grandi opere sinfoniche si ascoltano in tutte le loro componenti, poi chi ha la conoscenza e le doti per farlo può soffermarsi e avere il piacere e godere del singolo strumento, ma la grandiosità sta nell’insieme delle parti e il suo lavoro ha queste specifiche caratteristiche”. Come già affermato, una grande, straordinaria opera totale.

LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA

Stanze della Fotografia è il titolo del progetto pluriennale, inaugurato a Venezia nelle Sale del Convitto di San Giorgio Maggiore, sull’isola omonima, che vede come promotrici la Fondazione Giorgio Cini e Marsilio Arte. È il seguito di quanto è avvenuto, a partire dal 2012, alla Casa dei Tre Oci. Gli spazi sono stati predisposti dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la partecipazione del Teatro La Fenice. Si tratta di un luogo dedicato all’approfondimento della ricerca e dello studio della fotografia nello specifico e dell’immagine in una chiave più generale. Gli spazi, infatti, non saranno dedicati alla sola fotografia ma a laboratori, incontri, workshop, seminari con fotografi nazionali e internazionali, in collaborazione con istituzioni italiane e straniere. Il progetto è inaugurato, oltre che dalla mostra su Ugo Mulas, anche da Venezia alter mundus: 60 scatti di Alessandra Chemollo, esito di una profonda riflessione su una delle città più fotografate al mondo.

La strada di Ugo Mulas inizia alla fine degli Anni Quaranta con immagini di fotoreportage ambientate a Milano al bar Jamaica, alla Stazione Centrale. In seguito si dedica alla documentazione artistica dando vita a un nuovo modo di documentare la contemporaneità, per poi spaziare in ambiti fra i più diversi: dalla moda al settore commerciale, dal teatro alla ricerca personale con le Verifiche, al termine della sua breve vita. Partito da un territorio che potremmo definire neorealistico, con le sue ultime immagini Mulas assume l’identità di un artista concettuale

Lo studio che apre con la moglie Nini alla fine degli Anni Cinquanta diviene un punto di riferimento per i giovani fotografi che volevano allontanarsi da un modello di fotografia ormai superato. A partire da questi anni collabora con molte riviste fra le quali Domus e L’Illustrazione Italiana Nel 1964 realizza uno dei suoi lavori più significativi, L’Attesa, una serie di immagini sul taglio di Lucio Fontana: “Di tutte le fotografie, soltanto una serie praticamente fatta nel giro di una mezz’ora ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande, con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire che l’operazione mentale di Fontana, che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela, era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte”. Nello stesso periodo è determinante il viaggio negli Stati Uniti dove, oltre agli artisti della Pop Art, conosce Marcel Duchamp, che considera, insieme a Man Ray, uno spartiacque per l’arte del XX secolo. Nel 1970 si ammala gravemente. Già due anni prima aveva iniziato a lavorare alle Verifiche, una serie nella quale convivono scrittura e fotografia. Un’opera divenuta fondamentale.

a sinistra: Ugo Mulas, Il laboratorio. Una mano sviluppa, l’altra fissa. A Sir John Frederick William Herschel, 19701972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

in alto: Ugo Mulas, L’operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

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UGO MULAS / VENEZIA

Le vertigini barocche di Luca Giordano

La mostra di Palazzo Medici Riccardi rappresenta un esempio di mostra

“come si deve”. Si concentra l’attenzione su un preciso aspetto della produzione di un grande artista (l’attività di Luca Giordano per committenti fiorentini e soprattutto gli anni in cui il pittore fu presente e operoso nella città toscana) e lo si illustra adeguatamente sia mediante opere da cavalletto che con le pitture che l’artista napoletano eseguì sulla volta dell’ambiente principale del palazzo che ospita la rassegna (la quale, pertanto, non potrebbe essere allestita altrove: una mostra site specific, per dirla con il linguaggio dell’arte contemporanea).

Si radunano molti dei dipinti di Luca Giordano (Napoli, 1634-1705) ancora presenti in città, integrandoli con una serie di prestiti da altri centri italiani e stranieri; in molti casi si tratta di opere di collezione privata, di notevole pregio e di non facile accessibilità (siamo quindi lontanissimi dal malcostume di portare in mostra opere di privati di qualità non eccelsa, al solo scopo di nobilitarle e aumentarne le quotazioni). Al piano superiore, si allestisce nella galleria affrescata da Giordano quella che è la sezione più affascinante della rassegna, in cui una serie di tele della National Gallery di Londra, in evidente rapporto con le pitture della volta, dialoga con le figure che volteggiano sopra le teste dei visitatori. Finalmente un allestimento temporaneo in uno spazio storico che ha senso:

fino al 5 settembre 2023

LUCA GIORDANO.

MAESTRO BAROCCO A FIRENZE

a cura di Riccardo Lattuada, Giuseppe Scavizzi e Valentina Zucchi

Catalogo Officina Libraria

PALAZZO MEDICI RICCARDI

Via Cavour 3 – Firenze palazzomediciriccardi.it

#34 82 LUCA GIORDANO / FIRENZE
Fabrizio Federici in alto: Luca Giordano, Enea curato da Venere, 1685 circa. Olio su tela, Collezione Banco BPM, Firenze. Photo Archivio fotografico Banco BPM a destra: Luca Giordano. Maestro barocco a Firenze, allestimento della mostra a Palazzo Medici Riccardi, Galleria degli specchi, Firenze 2023. Photo Nicola Neri

non opere che non c’entrano nulla con il contesto, e che lo umiliano e ne pregiudicano la fruizione – vengono in mente tante mostre allestite negli ultimi dieci, quindici anni nelle ricche e delicatissime sale di Villa Borghese e dei Musei Capitolini –, ma pezzi intimamente legati all’ambiente in cui sono esposti (si tratta probabilmente dei bozzetti preparatorî degli affreschi).

L’allestimento, per forza di cose, incide sulla fruizione e sulla visione d’insieme della galleria, ma cerca di farlo nella maniera più discreta possibile: indicativo di questo è il fatto che la struttura in cui sono inserite le tele londinesi è suddivisa in due parti, leggermente sfalsate tra di loro, in modo tale che la “pausa” tra i due supporti consenta di abbracciare in un solo sguardo l’intero sistema decorativo della vasta sala. Quanto finora ricapitolato è presentato in un percorso chiaro, illustrato al visitatore in maniera semplice eppure esaustiva, mediante pannelli e didascalie ben scritti. Insomma, in un certo senso nulla di straordinario, semplicemente una mostra che, come si diceva in apertura, è fatta come andrebbero fatte le mostre: ma in un’epoca di insulsi “dialoghi” tra antico e contemporaneo, di spazi storici temporaneamente deturpati da rassegne di dubbia convenienza, di Caravaggio trasferiti a Vinitaly e di Bernini in aeroporto, una buona mostra diventa qualcosa di straordinario.

LUCA GIORDANO A FIRENZE

Il percorso espositivo si apre ponendo l’attenzione sui primi contatti di Giordano con i committenti e i collezionisti fiorentini. Si ha così modo di apprezzare due opere importanti della prima maniera del pittore, quella in cui si avverte fortissima l’influenza di Jusepe de Ribera: il San Sebastiano di Lucca e il truculento Apollo e Marsia del Museo Bardini, dipinti entrambi databili intorno al 1665. La tavolozza tenebrosa di queste scene si schiarisce via via negli anni successivi, e cambia l’artista che Giordano prende a modello: il pittore – che non è solo un grande artefice, dotato di una tecnica impeccabile e di quella proverbiale rapidità d’esecuzione che gli valse il soprannome di “Luca fa presto”, ma anche un gran “furbacchione”, capace di fiutare i mutamenti del mercato e di assorbire, reinterpretare e quasi contraffare gli stili dei maestri della generazione precedente –sempre di più guarda a Pietro da Cortona, cui si ispira negli olî su tela e soprattutto nelle grandi decorazioni murali. Al punto che la produzione del napoletano può considerarsi la maggiore testimonianza del cortonismo nella seconda metà del Seicento, accanto all’operato, ancora più fedele ai dettami del maestro, di Ciro Ferri. Opportunamente in mostra, a visualizzare il forte influsso di Pietro su Luca, si espongono due bei disegni del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, in cui il pittore napoletano, all’incirca ventenne, ha riprodotto due dettagli della Volta Barberini.

Nelle sale successive si ripercorre il lavoro di Giordano per le famiglie fiorentine più in vista, e in particolare per i Corsini: sono esposti anche i bozzetti per la decorazione della cupola della cappella di famiglia nella chiesa del Carmine, affrescata dall’artista nel 1682. Non guasterebbero alcune foto o magari un video che mostri al visitatore il risultato finale e il modo in cui gli affreschi di Giordano dialogano con i rutilanti altorilievi marmorei di Giovan Battista Foggini,

PALAZZO MEDICI RICCARDI

La galleria con la volta “sfondata” dal pennello di Luca Giordano non è l’unico tesoro inestimabile di Palazzo Medici Riccardi, né quello più celebre. Vi è un ambiente molto più raccolto, a pochi passi dalla galleria, che è noto in tutto il mondo per essere una delle più perfette e preservate espressioni dell’arte del Rinascimento. Il riferimento è naturalmente alla Cappella dei Magi completamente affrescata, nel 1459, da Benozzo Gozzoli. Il palazzo ha così la peculiarità di ospitare al suo interno due ambienti altamente rappresentativi di due periodi diversi della storia dell’arte.

L’edificio fu costruito alla metà del Quattrocento da Michelozzo per Cosimo il Vecchio: dell’originaria facies del palazzo reca testimonianza anche il cortile, in cui un tempo troneggiava il David di Donatello, ora al Bargello, e dove ora si erge la bella statua di Orfeo di Baccio Bandinelli. Nel 1659 la residenza passò ai Riccardi, che fecero affrescare a Giordano non solo la galleria, ma anche l’adiacente, sontuosa biblioteca.

in questo sacello che è uno dei vertici del Barocco fiorentino. Seguono alcune sale in cui prevale piuttosto un criterio tematico: il pubblico ha modo di gustare la grande abilità del pittore nell’orchestrare splendide scene di storia sacra, così come episodi tratti dalla mitologia e dalla storia antica.

LA GALLERIA DEGLI SPECCHI

Al piano superiore, come si diceva, troviamo il cuore della rassegna: nella Galleria degli Specchi affrescata da Giordano tra il 1682 e il 1685 sono esposte tredici tele che sono in stretto rapporto con gli affreschi. Un rapporto sul quale la critica, in verità, non è concorde: l’ipotesi più probabile è però quella che si tratti di bozzetti, anzi di modelli di presentazione, realizzati poco prima dell’esecuzione degli affreschi, e questo spiegherebbe le frequenti differenze che si riscontrano tra le tele e le pitture finali (nel catalogo purtroppo non si approfondisce più di tanto la questione, mentre questa poteva essere l’occasione per chiarire finalmente la natura di tale rapporto). Dieci dei dipinti provengono dalla National Gallery, e sono appartenuti al grande storico dell’arte Sir Denis Mahon. Passeggiare nella galleria e gustare somiglianze e differenze tra i bozzetti e le scene affrescate è un vero godimento. Differenze in molti casi non di poco conto: nella scena centrale della volta, ad esempio, raffigurante l’Apoteosi della famiglia Medici, un ruolo di primo piano è occupato, nel bozzetto, da Cosimo I, che nella versione finale è relegato ai margini, e lascia il posto d’onore al regnante granduca Cosimo III. Sì, perché i committenti e proprietari del palazzo, i Riccardi, vollero glorificare non la loro stirpe, ma, in un notevole sfoggio di cortigianeria, quelli che erano i signori della Toscana e che erano stati i primi proprietari del palazzo.

83 #34 LUCA GIORDANO / FIRENZE

A Barcellona va in scena il Marchese de Sade

Il CCCB, il Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, dedica una mostra alla figura e al pensiero del Marchese Donatien-Alphonse-François de Sade (Parigi, 1740 – Charenton-le-Pont, 1814), ma soprattutto indaga la ricezione e le conseguenze della sua opera sulle arti visive e non solo, dal Surrealismo ai nostri giorni. “La mostra segue in larga misura la lettura di Sade data da Pier Paolo Pasolini”, dice uno dei due curatori: Alyce Mahon, che insegna arte moderna e contemporanea a Cambridge ed è un’esperta d’arte surrealista, erotica e femminista, e Antonio Monegal, professore di letteratura comparata e autore, tra gli altri libri, di una grande monografia su Luis Buñuel. Ne abbiamo parlato con loro.

Una mostra, due curatori. Come avete lavorato insieme?

Alyce Mahon: Con un approccio interdisciplinare e un lavoro di squadra, avvenuto con riunioni zoom a causa della pandemia. Volevamo entrare nella mentalità di Sade per metterla in scena con le sue idee filosofiche e quattro passioni fondamentali, che la sua scrittura ha tramandato alla cultura moderna e contemporanea: passioni trasgressive, perverse, criminali e politiche.

Sade è un riferimento estremo della cultura occidentale, ha scritto le sue opere in prigione ed è morto pazzo in manicomio. Come comprenderlo?

Antonio Monegal : È una figura contraddittoria e polemica, la mostra non vuole capire chi fosse, ma cosa può dirci e le domande che ci pone. Non stiamo cercando di difenderlo o condannarlo. Ci costringe al confronto con gli aspetti problematici della condizione umana, cose che spesso preferiremmo non guardare perché ci mettono a disagio, come gli angoli più oscuri del desiderio umano o la presenza della violenza intorno a noi. Sade è anche il grande apostolo della libertà individuale, mentre era imprigionato, perseguitato, censurato, proibito.

Alyce, nel 2020 lei ha scritto Il Marchese de Sade e l’avanguardia. Cosa rappresentava Sade per i surrealisti come Buñuel, Breton e Dalí?

Alyce Mahon: Rappresentava il desiderio in extremis e l’immaginazione radicale, usata per sfuggire dalla prigione dove ha trascorso gran

fino al 15 ottobre 2023 SADE. FREEDOM OR EVIL a cura di Alyce Mahon e Antonio Monegal Catalogo CCCB i el Gabinet de premsa i comunicació de la Diputació de Barcelona CCCB

Montalegre 5 – Barcellona cccb.org

parte della sua vita. Nel primo manifesto surrealista del 1924, Breton cita Sade come “surrealista nel sadismo” e dice che la sua arte ha inizio nel mondo reale ma poi la psiche prende il sopravvento senza più alcuna inibizione morale o sociale. I surrealisti hanno saccheggiato gli scritti di Sade. Dalí, ad esempio, era ossessionato dai “tre grandi simulacri”: escrementi, sangue e putrefazione, ma quando collaborò con Luis Buñuel crearono una dimensione più apertamente blasfema e politica. Anche le donne surrealiste ne furono affascinate. Leonor Fini illustra la Juliette nel 1944 celebrandola come una libertina che rifiuta la virtù, il pudore e la maternità. Offriva un modello alternativo per le donne dell’epoca. Nel 1944 il sadismo ovviamente risuonava potentemente nell’Europa dilaniata dalla guerra.

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Susan Meiselas, Mistresses Solitaire and Delilah II, The Dressing Room. Dalla serie Pandora’s Box, New York, 1995. Fotografia, 42x62 cm. Courtesy Susan Meiselas / Magnum Photos, Parigi

Sade ha anche anticipato Freud e la sua teoria delle pulsioni, dopo i surrealisti è stato riscoperto in Francia negli Anni Cinquanta e Sessanta da filosofi e letterati come Derrida, Klossowski, Bataille: quale ruolo ha oggi nella cultura letteraria contemporanea?

Antonio Monegal: Sade è stato assimilato nella nostra cultura a tal punto da essere allo stesso tempo ovunque e invisibile. È un classico della letteratura francese, pubblicato nella prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade, e, come dice Bernard Noël nella sua commedia Le Retour de Sade, ciò significa che non sia necessariamente letto. Sade è parte dell’atmosfera culturale del nostro tempo, il suo impatto può essere avvertito in ambienti più tolleranti per la rappresentazione di sessualità non normative, sebbene ciò possa cambiare in alcuni luoghi. C’è anche un’eredità diretta negli scritti trasgressivi di autori in diverse lingue, non solo francesi: Lydia Lunch, Virginie Despentes, Chuck Palahniuk, Angélica Liddell o Juan Francisco Ferré, tra gli altri. Ma ovviamente quell’eco si estende al mercato mainstream in best-seller come Cinquanta sfumature di grigio

LA MOSTRA IN BREVE

LA FILOSOFIA DI SADE

Joan Fontcuberta, Paul Chan, Pier Paolo Pasolini

PASSIONI TRASGRESSIVE

Salvador Dalí, Otto Dix, Luis Buñuel, Alberto Giacometti, Roberto Matta, Leonor Fini, Toyen, André Masson Hans Bellmer

PASSIONI PERVERSE

Pierre Molinier, Susan Meiselas, Robert Mapplethorpe, Miguel Ángel Martín, Jan Švankmajer, Nobuyoshi Araki, Quimera Rosa, Joan Morey, Carles Santos

PASSIONI CRIMINALI

Sira-Zoé Schmid, Paul McCarthy, Laia Abril, Domestic Data Streamers, Stanley Kubrick, Michael Haneke

PASSIONI POLITICHE

Joan Fontcuberta, Teresa Margolles, Marcelo Brodsky, Kara Walker, Blalla Hallmann

METTERE IN SCENA LA RIVOLUZIONE

Bernard Noël, Albert Serra, Candela Capitán, Angélica Liddell, Shu Lea Cheang

La pornografia è fenomeno sociale normalizzato e nel dark web si mercifica la violenza. Qual è il significato di “sadismo” nell’immaginario collettivo contemporaneo?

Alyce Mahon: Non credo esista un unico immaginario collettivo contemporaneo. Le nostre idee di sadismo, male e libertà, come tutto ciò che una società ritiene ammissibile e un’altra no, vengono costantemente messe alla prova. Mentre da una parte la censura persiste, assistiamo al sadismo diffuso sul dark web e intanto l’Oversight Board controlla i

capezzoli su Instagram e Facebook. Ci auguriamo che il pubblico esplori l’idea del sadismo come latente in tutti noi.

Pensa che sia possibile oggi “usare” Sade per meglio comprendere le evoluzioni o involuzioni sociali e politiche che stanno accadendo (autoritarismi, autarchie vs. democrazie, diritti LGBT, guerra in Ucraina)?

Antonio Monegal: Questo è proprio ciò che lo rende rilevante oggi. Sono molte le femministe e le pensatrici queer, le attiviste, le artiste e le scrittrici che invocano Sade come riferimento o interlocutore. Mostriamo una varietà di questi punti di vista con le collaborazioni di Shu Lea Cheang, Quimera Rosa e Joan Morey, tra gli altri. Ma includiamo anche riferimenti alla violenza di genere, alla tortura, alla schiavitù, al colonialismo e alla gratificazione vicaria del desiderio di sesso e violenza nella società dei consumi, argomenti raramente discussi nelle mostre su Sade.

Sade è stato lettore di Rousseau e di Voltaire ed è, a suo modo, un teorico della libertà. Come si riflette tutto ciò nelle arti visive?

Alyce Mahon: Sade fu testimone di tre momenti politici: i regimi di Luigi XVI, la Rivoluzione francese e l’Impero di Napoleone Bonaparte. I suoi romanzi erotici e gli opuscoli pornografici erano critica politica popolare. La mostra parte dal XX secolo, esploriamo la dinamica tra il corpo rappresentato, pornografico, e il corpo politico nel panorama delle due guerre mondiali, di quella in Vietnam e di quella contro il Terrore. Nel film Saló, Pier Paolo Pasolini metteva in guardia sull’ascesa del neofascismo negli Anni Settanta. L’arte insomma si fa veicolo per l’attivismo socio-politico.

L’IDENTIKIT DEL MARCHESE DE SADE

“Voleva che le sue strutture immaginarie fossero specchi del mondo o di quell’orrore da cui, per lui, non c’era scampo” sosteneva la scrittrice Kathy Acker, ora in apertura del catalogo della mostra Sade. Freedom or Evil. Ma chi è Sade? La sua figura controversa è decisiva per comprendere la modernità con i suoi intrecci di libertà d’azione, d’espressione e mercificazione di violenza e sessualità.

Di natali aristocratici ma radicalmente illuminista, questo scrittore “intollerabile”, incontenibile seguace delle proprie pulsioni, diagnosticato borderline ma anche chiaroveggente in un’epoca di assolutismi e rivoluzioni (per tre anni è anche membro della Convenzione nazionale), Sade ha per primo affrontato, con uno stile crudo e una poetica crudele, alcuni temi attuali decisivi. La profondità della sua scrittura, una grafomania instancabile, il destino tragico strutturano l’enigma Sade come una chiave a più combinazioni per accedere a una comprensione di noi stessi completa, inclusiva, oltre che della ragione e della morale, anche di pulsioni, passioni e perversioni (non soltanto erotiche) non coercibili o educabili.

Autore di romanzi divenuti leggendari, come Le 120 giornate di Sodoma (1785), Justine (1788), La filosofia nel boudoir (1795) e Storia di Juliette (1801), il “divin marchese” offre uno squarcio d’anima che apre l’opportunità di una superiore razionalizzazione (questa mostra sul suo pensiero ne è un’ulteriore prova), evitando di ridurre il lato oscuro dell’anima a una raccolta di tabù. Divenuto un’icona culturale nella misura in cui artisti e scrittori continuano a tornare sul suo pensiero, Sade va oltre la semplice pornografia sadomasochista. Nel suo testamento scrisse: “Mi auguro che il ricordo di me si cancelli dalla memoria degli uomini”. Così non è stato.

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Fantasmi e altre storie dal Giappone a Bologna

La prima supereroina con poteri di ragno, potenti squadre di eroi che combattono il male viaggiando nell’universo conosciuto, gatti che si trasformano e combattimenti epici con maledizioni e incantesimi. Se anche fosse universalmente noto che le pergamene giapponesi del periodo Edo sono le antesignane di manga e anime, non sarebbe comunque possibile comprendere, senza averlo visto da vicino, quanto la loro straordinaria rivoluzione sia stata anticipata dalle stampe dell’orrore prodotte tra il Settecento e l’Ottocento nell’arcipelago nipponico. Glitter per dare l’idea della trasformazione, come poi nelle transizioni di Sailor Moon; brigate di cinque samurai che lottano per il bene, come quella dei Cavalieri dello Zodiaco; creature che si evolvono e stanno compresse in una zucca vuota per essere evocate al bisogno, come i Pokémon. Il radicale portato creativo della tradizione popolare giapponese, la sua rifondazione del genere horror e suspense, e la bellezza delle sue riproduzioni sono ora al Palazzo Pallavicini di Bologna, dove è allestita fino al 23 luglio la mostra Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi, curata dal direttore del Museo di Arte Orientale – Collezione Mazzocchi di Coccaglio, Paolo Linetti.

CHI SONO GLI YŌKAI

Muovendosi attraverso più di duecento opere del XVIII e XIX secolo provenienti da ben diciassette collezioni private (tra cui xilografie, libri rari, armature e fermagli-sculture in avorio), i visitatori scopriranno cosa siano gli yōkai, creature (non sempre malvagie) con poteri straordinari e un aspetto mostruoso, e un periodo, quello della Grande Pace, in cui i grotteschi racconti tradizionali giapponesi hanno cominciato a essere trascritti permettendo la sopravvivenza di storie dal grande potere narrativo: la figlia del generale che impara la magia per combattere i traditori, eroi che scacciano infide donne-ragno (che irretiscono gli ubriachi) e mostri di fiume (che annegano i bambini), la volpe divina che sposa l’uomo che la salvò da un cacciatore, ma anche la donna-ciliegio che combatte il male e il gatto mutaforma che vendica la sua padrona.

LA MOSTRA A BOLOGNA

Queste le storie in mostra, raccolte in un prezioso catalogo e spesso incentrate su donne eroiche e magiche (tema familiare a chi

ama Hayao Miyazaki), tra cui spiccano L’Uccisione del vecchio Tanuki da parte di Naoyuki nel palazzo di Fukujima del maestro Ukiyo-e Tsukiyoka Yoshitoshi, il meraviglioso trittico

fino al 23 luglio 2023

YŌKAI. LE ANTICHE STAMPE

DEI MOSTRI GIAPPONESI

a cura di Paolo Linetti

Catalogo Skira

PALAZZO PALLAVICINI

Via San Felice 24 – Bologna mostrigiapponesi.it

de La principessa strega Takiyasha e lo scheletro [del padre] di Kuniyoshi Utagawa, le opere di Chikanobu Yoshu, Kyōsai Kawanabe, Kunisada e Hokusai, del quale vengono proposti i famosi quaderni manga, e quelle dei maestri che hanno realizzato le Cinquantatré stazioni parallele del Tokaido. Un percorso da guardare, ma anche da ascoltare: in quasi tutte le stanze – inclusa quella, oscura, del “Rituale delle 100 candele” – la voce di un samurai narra questi racconti.

Ideata e prodotta da Vertigo Syndrome, che già la presentò in forma simile alla Villa Reale di Monza, l’esposizione è un compendio divertente e variopinto ma anche ben ricercato, che – soprattutto grazie al curatore, di cui consigliamo le visite guidate – immerge adulti e bambini in un mondo terrificante ed eroico, modernizzato dall’illustratrice Marga “Blackbanshee” Biazzi e da approfondimenti pop, un cooking show e uno spettacolo di performing art, oltre a un percorso pensato per rendere i più piccoli dei “cacciatori di mostri”.

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YŌKAI/BOLOGNA
Kuniyoshi Utagawa, La principessa strega Takiyasha e lo scheletro del padre (part.), da Storia di Utö Yasutaka, 1844 circa, xilografia policroma su carta da gelso, 370x750 mm

ARTE E PAESAGGIO

Si narra che Claude Monet fosse solito passeggiare lungo la Riviera tra Ventimiglia e Imperia, traendo spunto da queste luci e da questi paesaggi. Spesso si fermava nella quiete dei giardini di Bordighera. Infatti in questa cittadina, detta “città delle palme”, molto diffusa è la tradizione dei giardini d’arte.

Il Giardino di Irene si trova nel borgo di Sasso, caratteristica frazione di Bordighera, ed è stato voluto da Irene Brin (pseudonimo di Maria Vittoria Rossi), giornalista di moda e collezionista d’arte, fondatrice della galleria d’arte romana L’Obelisco. Si tratta di un giardino di tipo paesaggistico, cioè un ambiente naturale “disegnato all’inglese”. Si apre su una terrazza di cipressi centenari, euforbie e magnolie, che accompagna verso un percorso tipicamente ligure di coltivazioni a gradoni. Questo giardino ricco di alberi e specie botaniche rare è soprattutto un museo a cielo aperto, con opere d’arte e installazioni disseminate lungo i vialetti. Qui espongono o hanno esposto molti artisti, tra cui: Dompè, Pomodoro, Perez, Porfidia e recentemente Emmanuele De Ruvo, ultimo vincitore del "Premio Arte nel Giardino di Irene Brin".

IL GIARDINO DI LUDWIG WINTER

Il Giardino Esotico Pallanca è una delle meraviglie di Bordighera. Si tratta di un rigoglioso orto botanico di piante grasse, senza dubbio il giardino botanico più importante d’Italia e uno tra i primi cinque in Europa per quanto riguarda questa particolare tipologia vegetale. Fu fondato dalla famiglia Pallanca nella metà dell’Ottocento, sulle tracce di una vecchia coltivazione di uliveti a terrazza. Il disegno del giardino è realizzato dall'architetto del paesaggio Ludwig Winter. Nella seconda metà del Novecento la famiglia decide di aprire al pubblico questo museo vegetale, creando un orto botanico di cactacee e succulente unico in Italia. All’interno della proprietà di oltre 10mila metri quadrati, la collezione di piante si estende su un terreno soleggiato a picco sul mare. Qui sono raccolti oltre tremila esemplari di piante, patrimonio botanico suddiviso per aree tematiche e zone di provenienza.

BICKNELL E IL SUO GIARDINO

Il Museo e Giardino di Clarence Bicknell fu istituito nel 1888, nel centro di Bordighera, su disegno dell’architetto inglese Clarence Tait. Costituisce una tranquilla oasi di raccoglimento e di studio, oltre che di intrattenimento culturale. Qui l’illuminato inglese svolse la sua appassionata attività di filantropismo e ricerca scientifica. Il Giardino è mantenuto “secondo natura”: non sono contemplate potature inutili e non si somministrano pesticidi. Si rispettano le  farfalle, gli impollinatori e si conservano nidi per piccola avifauna. All’ombra di due esemplari di Ficus macrophylla monumentali si apre un importante museo di tavole e dipinti botanici rari, oltre a una biblioteca naturalistica e a una collezione di fotografie, mappe e taccuini di viaggi

ASTE E MERCATO

Il Metropolitan Museum accomuna due artisti, Vilhelm Hammershøi (Copenhagen, 1864-1916) e Cecily Brown (Londra, 1969), che stanno sperimentando una significativa e nuova fortuna sul mercato internazionale e che saranno tra i protagonisti delle aste di New York di maggio.

I RECORD DI VILHELM HAMMERSHØI

Il primo è già nella collezione del museo newyorkese con uno dei suoi suggestivi interni, Moonlight, Strandgade 30 (1900-06) e nelle più recenti acquisizioni con Self-Portrait at Spurveskjul, dopo essere stato esposto, fino allo scorso 16 aprile, nella mostra dedicata dal Met all’arte danese del XIX secolo, Beyond the Light: Identity and Place in Nineteenth-Century Danish Art. Lungo tutto il 2022 il suo mercato si è di molto rafforzato, con un turnover di vendite di quasi 10 milioni di dollari, incluso il nuovo record del maggio scorso: l’aggiudicazione di Stue (Interior with an Oval Mirror) (1900) da Christie’s dalla Collezione Bass per 6,3 milioni di dollari, poco più su del precedente, registrato nel 2017, di 6,2 milioni. Restando su arene di mercato, Sotheby’s si è ora assicurata il consignment di un altro importante dipinto di Hammershøi, Interior. The Music Room, Strandgade 30 (1907), e lo offrirà alla Modern Evening Auction del 16 maggio nella Grande Mela con una stima di 3-5 milioni di dollari, la più alta di sempre per l’artista. L’opera ritrae la stanza della musica nella casa del pittore a Copenhagen, dove è stata tra l’altro custodita per oltre 75 anni.

CECILY BROWN DA CAPOGIRO

A far da controcanto Cecily Brown, protagonista al Metropolitan con Death and the Maid, la prima retrospettiva nella città in cui l’artista vive da trent’anni. La mostra ripercorre, con cinquanta opere, venticinque anni di carriera dell’artista londinese che ha sempre scommesso sulla pittura. Ed è proprio lei l’altra protagonista della sessione di aste in arrivo a maggio nella Grande Mela. A cominciare dal catalogo della collezione single-owner di Mo Ostin, leggendario discografico della Warner Bros Records, da cui arriva a Sotheby’s Free Games for May del 2015, con una stima di 3-5 milioni di dollari. Mentre Christie’s ha annunciato la presenza di Untitled (The Beautiful and Damned) del 2013 alla 21st Century Evening Sale del 15 maggio, con una stima di 5-7 milioni di dollari. Ma più in generale il lavoro di Cecily Brown è al centro di una tempesta di mercato perfetta. Il ritmo delle sue aggiudicazioni in asta per questa prima parte del 2023 è già arrivato quasi a 18 milioni di dollari, più della metà delle vendite annuali degli ultimi due anni, come segnalato da Artelligence. Paradossalmente favorito dall’interruzione nel 2015 della collaborazione con Gagosian e da alcune mostre museali, a cominciare da quella al Louisiana Museum in Danimarca nel 2018 e finendo, ora, con quella al Metropolitan di New York.

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Claudia Zanfi I GIARDINI DELLA RIVIERA LIGURE VILHELM HAMMERSHØI CECILY BROWN Cecily Brown, Untitled (The Beautiful and Damned), 2013. Courtesy of Christie’s Images Ltd. 2023 Giardino Pallanca. Photo Claudia Zanfi
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DIAMO AI MUSEI LA POSSIBILITË DI PREMIARE (O LICENZIARE) I DIPENDENTI

Gentili direttori, ho riscontrato come molti di voi, tranne qualche lodevole eccezione, fossero in ferie lunedì 24 aprile...”. Inizia così la missiva che il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha indirizzato ai dirigenti del suo stesso Ministero. Invitandoli poi – per completare una lettera utile più alla comunicazione e al posizionamento politico che ad un reale confronto operativo – ad un “pranzo di lavoro” per il prossimo 15 agosto alle ore 13. Il tutto succedeva qualche settimana fa, durante il “ponte” del Venticinque Aprile.

Secondo Sangiuliano, le specifiche caratteristiche del Ministero della Cultura prevederebbero una puntuale presenza dei dirigenti proprio nei giorni in cui tutti i cittadini fanno festa e se ne vanno in giro a vedere i musei. L’osservazione del Ministro, ancorché enfatica e volutamente ostentata, è tutt’altro che peregrina. Ma chi è causa del suo mal dovrebbe piangere se stesso: se il Governo – nel cui Consiglio dei Ministri Sangiuliano siede – ritiene che i pubblici dipendenti si comportino in maniera lavativa (e talvolta è difficile negarlo) perché non appronta e approva una seria riforma del pubblico impiego che permetta, ad esempio, di licenziare chi non merita il posto pubblico?

I MUSEI AUTONOMI NAZIONALI

PIEMONTE

Musei Reali

LOMBARDIA

Palazzo Ducale di Mantova

Pinacoteca di Brera

FRIULI VENEZIA GIULIA

Museo Storico e Parco del Castello di Miramare

VENETO

Gallerie dell’Accademia di Venezia

LIGURIA

Palazzo Reale di Genova

EMILIA ROMAGNA

Complesso Monumentale della Pilotta

Gallerie Estensi

Pinacoteca Nazionale di Bologna

TOSCANA

Galleria dell’Accademia di Firenze

Gallerie degli Uffizi

Museo del Bargello

UMBRIA

Galleria Nazionale dell’Umbria

ABRUZZO

Museo Nazionale d’Abruzzo

MARCHE

Galleria Nazionale delle Marche

Se il Governo ritiene che i pubblici dipendenti si comportino in maniera lavativa, perché non approva una seria riforma del pubblico che permetta di licenziare chi non merita il posto pubblico?

E la cosa non riguarda solo i ministeri, anzi. Per quanto concerne proprio l’ambito sotto la giurisdizione del Ministro Sangiuliano, la cosa riguarda – e parecchio – i musei. Difficilmente lo ammettono a microfoni accesi, ma c’è una quota significativa di direttori e superdirettori di musei italiani piuttosto disperati per il comportamento dei propri dipendenti e collaboratori: peccato però che la riforma Franceschini, che ha dato autonomie significative ai musei a partire appunto dalla nomina dei direttori stessi, non ha previsto di fatto alcun potere sulle risorse umane. I direttori non possono licenziare, spostare, chiedere, trasferire, riorganizzare. Mani legate. Di più: non possono neppure seriamente premiare i più meritevoli. Ogni tentativo di incrinare questa muraglia vetero-sindacale viene osteggiato e represso. Per quieto vivere, dunque, chi dovrebbe completare la riforma non lo fa. E così i direttori dei musei statali sono costretti a provare invidia per le fondazioni pubbliche ma di diritto privato, come quella del MAXXI o del Museo Egizio, che possono gestirsi per conto loro i rapporti con lavoratori, collaboratori e personale. Se il Ministro pensa autenticamente – e non solo per secondi fini promozionali e comunicativi – che si debba incrementare la produttività e l’impegno di chi lavora per la cultura, allora perché non dà seguito al completamento della Riforma Franceschini trasformando i grandi musei italiani in organismi davvero autonomi? In organismi, insomma, in grado di rendere giustizia ai dipendenti che si impegnano e di mettere alla porta quelli che non danno un contributo o che addirittura si rivelano una zavorra, ostacolando l’operatività?

MASSIMILIANO TONELLI

LAZIO

Galleria Borghese

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Gallerie Nazionali di Arte Antica

Museo delle Civiltà

Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

Museo Nazionale Romano

Parco Archeologico del Colosseo

Parco Archeologico dell’Appia Antica

Parco Archeologico di Ostia Antica

Villa Adriana e Villa d’Este

Vittoriano e Palazzo Venezia

SARDEGNA

Museo Archeologico Nazionale di Cagliari

CAMPANIA

Biblioteca del Complesso Monumentale dei Girolami

Museo Archeologico Nazionale

Museo e Real Bosco di Capodimonte

Palazzo Reale di Napoli

Parco Archeologico dei Campi Flegrei

Parco Archeologico di Ercolano

Parco Archeologico di Paestum e Velia

Parco Archeologico di Pompei

Reggia di Caserta

PUGLIA

Museo Archeologico Nazionale di Taranto

BASILICATA

Museo Nazionale di Matera

CALABRIA

Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Parco Archeologico di Sibari

EDITORIALI
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LA CULTURA SCOMMETTA SULLA MERAVIGLIA

Non è una provocazione, anche se ha tutta l’aria di esserlo. In prima battuta si potrebbe pensare: ma non è ancora finita l’era delle mostre blockbuster? In seconda: ancora nostalgici ritorni alle arie di Modugno (per i più giovani, dei Negramaro)? E infine: siamo l’Italia! Non siamo già sufficientemente meravigliosi? Convintamente ribadisco il titolo: la cultura scommetta sulla meraviglia. Ovvero, le istituzioni culturali puntino sulla meraviglia. Che poi vuol dire puntare sulla ricerca, perché ciò che desta stupore si lega indissolubilmente agli inediti, alle scoperte, all’innovazione di produzione culturale e di processo, all’ingegnosità collettiva. E non vi può essere inedito, innovazione, invenzione, senza ricerca.

In questo arte e scienza si assomigliano: nel lavoro costante, robusto, indefesso, l’attraversamento della conoscenza, che aiuta il caso, togliendo il velo, come al microscopio.  Per la cultura si tratta del lavoro sugli archivi e dentro gli archivi, lo studio delle collezioni e dei fondi, il ritorno alle fonti (perché siamo italiani e, dunque, eredi di una delle più mirabili scuole di pensiero e di ricerca legata alle fonti).

Soltanto nella consapevolezza dello studio come strumento di scoperta e di svelamento, la cultura – nei suoi multiformi linguaggi – potrà continuare a rivestire il ruolo contemporaneo di influencer, suscitando stupore, emulazione, attivismo. Solo in questo modo continuerà a ispirare (per traspirazione), suscitare (per traduzione), far godere (e il godimento è ben più auspicabile della fruizione). Così perdurerà nel parlare a uno, nessuno, centomila: i suoi pubblici, necessariamente plurali. Uno, come l’unto, il prescelto, l’unico capace di comprenderla per la sua volontaria pervicacia nell’essere per pochi eletti. Nessuno, come

segno di eccessiva altitudine e distinzione del messaggio culturale, volutamente indecifrabile. Centomila, come la moltitudine (non la massa) a cui le arti si rivolgono con il loro linguaggio universale. D’altronde, le piattaforme (Google in primis) sono pronte a catturare il sentiment. Ed è interessante scoprire come le attese e le aspettative (anche quelle inespresse e celate) emergano ai fini delle future scelte di destinazione, sempre più selettive sotto il profilo della scoperta.

Come da quei bauli segreti e inaccessibili, dimenticati nelle soffitte, a cui i più fortunati hanno nella loro infanzia attinto, diventando i personaggi immaginari di storie fantasiose, così sapremo, nel nostro girovagare per lo Stivale, novelli “grandtourist”, se quella mostra, quell’allestimento teatrale, quel percorso archeologico (e molto altro) avrà intimi, profondi legami con la storia, l’animus e il genius di quel luogo. Difficile essere ingannati, anche in tempi di entertainment culturale e di effetti speciali: il

pubblico, i pubblici – ancorché non sempre eruditi – saranno sempre dei giudici spietati (leggi “obiettivi”), misurando l’impatto con la meraviglia. “È vero, credetemi, è accaduto”.

P.S.: L’articolo è stato consegnato alla redazione alcuni giorni prima dell’uscita della campagna nazionale di promozione turistica che vede la Venere di Botticelli nuova influencer, con lo slogan “Open to Meraviglia”. Quando si dice tempismo perfetto, ma cum grano salis

IRENE SANESI

I pubblici saranno sempre dei giudici spietati, misurando l'impatto con la meraviglia
Turisti a Venezia. Photo Irene Fanizza

CULTURA E PNRR: PERCHƒ L'ITALIA RISCHIA DI FALLIRE SU TUTTA LA LINEA

AMilano si perdono 12 milioni di euro di fondi PNRR green per la piantumazione di alberi; tra Venezia e Firenze se ne perdono 400 milioni per progetti PNRR di riqualificazione (di cui 96 del MiC) riguardanti palazzetti e stadi che vengono bloccati dalla Commissione (che ha contestato la stessa ammissibilità degli interventi). In questo quadro, a oggi, l’Italia ha davanti a sé mesi di verifiche in più e l’intera terza tranche PNRR mentre scriviamo ancora congelata (19 miliardi di euro). Senza contare che, dei fondi europei di coesione da rendicontare a fine 2023, fino a oggi l’Italia ha speso solo il 34% (rischiando di perdere oltre 86 miliardi di euro). Che l’Italia abbia da sempre avuto un rapporto difficile con la progettazione europea si sa, ma la partita del Next Generation EU non prevede supplementari: avere 209 miliardi di euro a disposizione dall’Europa non significa averli ottenuti, ma solo aver accesso a un importo “potenzialmente disponibile” per l’Italia: quei fondi sono ancora tutti da “conquistare” di volta in volta, e i meccanismi per accedervi non contemplano “zone grigie”. Se non si rispettano alla lettera le regole del gioco (ad esempio comprendendo la differenza tra “aver già i fondi” e “poterli avere”), si rischia di non poter partecipare al gioco stesso.

ALCUNE CRITICITÀ DELLA CULTURA ITALIANA, IN NUMERI

30%

la popolazione italiana sopra i 6 anni che non ha mai fruito di alcun servizio culturale o creativo negli ultimi 12 mesi (ISTAT)

2,7%

100 mila

la percentuale di lavoratori italiani occupati nel settore della cultura, posizionando l’Italia 20° in Europa (ISTAT)

i nuovi lavoratori necessari per il settore della cultura e dello spettacolo entro il 2026 (Unioncamere-Anpal)

428

64 miliardi

È questa la sintesi della situazione in cui oggi il nostro Paese si trova nei confronti delle istituzioni europee, situazione che vive un rimpallo continuo di responsabilità tra organi dello stato, ministeri, regioni e comuni. Eppure, a essere fondamentale per l’accesso alle risorse europee è innanzitutto il livello di dettaglio e di precisione qualitativa e quantitativa richiesta dall’UE nella stesura dei Piani stessi e delle responsabilità di attuazione, con particolare attenzione al legame indissolubile tra riforme e investimenti (non spese), e alla capacità gestionale dei singoli decisori. Questo per determinare impatti

i teatri chiusi e talvolta abbandonati (teatro.it, Report)

l’impatto economico in euro generato dai 5 milioni di volontari e dagli 800mila dipendenti non profit in Italia (ISTAT)

di investimento non solo quantitativi ma anche qualitativi.

Non è che in Italia siano mancate le idee su cosa fare, è che manca il come farle, il chi e il quando; le modalità di realizzazione, i tempi e i risultati attesi, le forme di monitoraggio. Una “completezza progettuale” che deve (dovrebbe) passare da una capillarità di progettazione attraverso una partecipazione attiva degli enti locali, regionali, a partire dai territori e dalle comunità e realtà che li compongono, ma che ancora risulta latente. Per comprendere il perché di tutto questo, occorre guardare i bilanci e i budget destinati alla cultura negli anni passati (tanto delle Amministrazioni locali quanto nazionali): le disponibilità sono progressivamente e costantemente

scese nella spesa corrente. Questo cosa ci dice? Che in “passato” la considerazione degli interventi culturali e il relativo impatto in termini di “importanza” nei piani di sviluppo, sia nazionali che locali, non sono stati valorizzati adeguatamente. A meno fondi corrispondono meno progetti, quindi meno capacità e duttilità d’interventi complessi. Invece oggi il PNRR richiede rapidità ed efficienza decisamente superiori, soprattutto nella richiesta di risorse interne per spendere molti più soldi, in meno tempo e con una struttura e una governance nuova. E questo è un nodo fondamentale da sciogliere, perché da qui nascono gli intoppi e le conseguenze di cui sopra.

EDITORIALI
MASSIMILIANO ZANE
Non è che in Italia siano mancate le idee su cosa fare, è che manca il come farle, il chi e il quando.
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DEL MADE IN ITALY? POTENZIALITÀ E CRITICITÀ

Il

Disegno

di Legge

presentato punta alla creazione del

“Liceo

del Made in Italy”, con un indirizzo di studi finalizzato alla valorizzazione dei settori dell’economia italiana legati all’identità del Paese, con il supporto delle imprese. Per valorizzare il Made in Italy è necessaria una scuola ad hoc? Lo abbiamo chiesto a nove protagonisti del mondo dell’arte.

ALESSANDRA MAMMÌ GIORNALISTA, STORICA DELL’ARTE E CURATRICE

Ma quale Liceo del Made in Italy! Sarà semmai il Liceo del Fatto in Italia dal momento che le indicazioni del governo ci dicono di evitare parole inglesi in nome dell’Italianità, che poi di questo liceo sarebbe la mission. Dunque: cosa si farà nel Liceo del Fatto in Italia? Le stesse cose di un istituto tecnico solo che gli studenti sapranno di farle per portare alta la bandiera della patria nel mondo. Inoltre il Liceo del Fatto in Italia è istituzione che vedremo soprattutto al Nord come si evince da un articolo di Artribune, dove troviamo i Distretti del Made in Italy (pardon del Fatto in Italia) che potranno aiutare la formazione (Come? Sfruttando gli studenti trasformandoli in stagisti?), mentre agli studenti del profondo Sud non resterà che pascolare in istituti tecnici, a meno di prevedere un pellegrinaggio verso il nuovo avvenire del Fatto in Italia. Infine: quale capitolo di spesa finanzierà tutto ciò? Quindi non mi resta constatare che siamo di fronte all’ennesimo improbabile slogan di propaganda di un governo che non ha ancora capito di non essere più all’opposizione.

La nascita di un nuovo corso di studi è, in linea di massima, sempre una buona notizia. Significa principalmente che un Paese pensa al proprio futuro e investe sullo sviluppo delle conoscenze, fondamentali per la crescita intellettuale e poi professionale di ogni individuo. L’istituzione di una nuova scuola superiore secondaria indirizzata allo studio del Made in Italy mi sembra quindi una buona idea. Il nostro Paese si è distinto nel mondo e non solo negli ultimi anni, per un know how che si riscontra solo nel cosiddetto Bel Paese. Di queste capacità, però, spesso non siamo consapevoli, a vantaggio invece di altri Paesi che non si fanno molti scrupoli a copiare le nostre eccellenze. Non a caso le nostre Accademie di Belle Arti sono letteralmente prese d’assalto da almeno una quindicina d’anni da migliaia di studenti cinesi che vengono in Italia per studiare in particolare la moda e il design, due dei segmenti più importanti del Made in Italy. Sono d’accordo sul fatto, come da altri sottolineato, che dal punto di vista “tecnico” per la tipologia dell’insegnamento proposto, più che Liceo avrebbe dovuto chiamarsi Istituto Tecnico.

FRANCESCO ANNARUMMA GALLERISTA

Il Liceo del Made in Italy avrebbe nei suoi programmi lo studio di una serie di materie che secondo la mia opinione dovrebbero essere studiate sempre e comunque. Vedi la storia dell’arte e la filosofia ad esempio. Cosa penso della proposta del governo Meloni? Sarò breve: è inutile e dannosa. Sono convinto, infatti, che nessuno di quelli che si diplomerà in questo fantomatico liceo troverebbe lavoro, perché è finalizzato a creare figure professionali per un mercato che non esiste. È un’operazione di facciata che non poggia su una politica del governo finalizzata al sostegno del Made in Italy. Sostenere il Made in Italy significa prima di tutto sostenere la cultura italiana. Non solo il governo Meloni ma ogni governo italiano degli ultimi 50 anni ha del tutto dimenticato il sostegno alla cultura. Invece di istituire nuovi licei, si sostenga con convinzione la cultura nel nostro Paese, il resto verrà da sé.

Mi viene da ironizzare rispondendo che se questo liceo punta a creare la nuova classe professionale, specializzata in mercati e promozione turistica del nostro paese, e ha come matrice la campagna dal titolo Open to meraviglia, probabilmente sarebbe meglio evitare l’apertura di un nuovo indirizzo scolastico. Se poi quest’ultimo basa le proprie fondamenta su un programma dedicato alle materie economiche e turistiche a discapito della cultura umanistica, penso possa essere un totale fallimento. Il nostro sistema scolastico prevede già un liceo che ha la capacità di formare una coscienza storica e uno sguardo critico sul mondo e sulla cultura italiana, ed è la maturità classica. Questo strumento, a mio avviso, dovrebbe essere la base sulla quale costruire poi, in un secondo momento, le ambite specializzazioni turistiche e promozionali.

CREARE
UN LICEO
ALBERTO DAMBRUOSO STORICO DELL’ARTE, CRITICO E CURATORE LUCREZIA LONGOBARDI CRITICA D’ARTE E CURATRICE

ADELAIDE CORBETTA COMUNICATRICE

Temo di non capire il problema. Questa volta perché non riesco a immaginare qualcosa che sia “un liceo del Made in Italy” più dei licei italiani in cui gli studenti studiano Virgilio, Cimabue, Dante, Isabella d’Este, Galileo, Artemisia, Volta, Canova, Foscolo, fino a Giuseppe Verdi, Anita Garibaldi, Fontana, Rita Levi Montalcini, Nilde Iotti, Alda Merini, Falcone e Borsellino. Per dirne alcuni. Convinta, come sono, che la cultura sia sempre contemporanea. Che differenza c’è? Non sono forse, anche loro o forse soprattutto loro, il Made in Italy? Non hanno forse determinato loro, prima di altri, il Made in Italy? Non ci impegniamo noi, tutti i giorni, a confermare, rinnovare, innovare una storia lunga secoli? Dico questo con nessun sentimento di rimpianto ma solo gratitudine, orgoglio e slancio per quanto abbiamo avuto e per quanto abbiamo e potremmo avere. Forse la proposta di un maggior sentimento di consapevolezza culturale dovrebbe essere condivisa in tutte le scuole, credo si dica di ogni ordine e grado, non una nuova scuola ma più consapevolezza per tutti.

MASSIMILIANO ZANE

PROGETTISTA CULTURALE

E poi si decide di rilanciare il Made in Italy “partendo dai banchi di scuola”. Un liceo che nella migliore delle ipotesi assomiglierà

più a un istituto tecnico professionale che a un liceo propriamente detto. Una visione che richiama a sé una interpretazione formativa di minimo 30 anni fa, quella delle mitiche 3 i: internet, inglese, impresa. Quindi niente di nuovo sotto il sole della scuola italiana, se non la volontà di far qualche passo indietro rispetto al resto del mondo. L’idea di istituire un Liceo del Made in Italy, annunciata per “colmare le lacune del sistema scolastico e valorizzare le eccellenze italiane”, sa più di trita propaganda di superficie, che di una vera riforma sostanziale nel “merito” dei livelli qualitativi nell’offerta formativa del sistema Paese. Perché le parole contano, e quelle spese per questo progetto danno l’esempio tangibile di quanta poca conoscenza ci sia proprio del tanto sbandierato Made in Italy. Un vuoto di contezza, soprattutto laddove si esercita il potere decisionale, quello sì da colmare (un esempio in questo senso lo abbiamo visto con la campagna promozionale per il turismo a firma Testa).

GIACINTO DI PIETRANTONIO STORICO DELL’ARTE E CURATORE

Credo che una scuola, la chiamino liceo o come vogliono, che recuperi specialità tecniche della tradizione italiana sia necessaria.

Ciò è dimostrato dal fatto che ci sono molti artisti, designer, architetti, stilisti, ecc. che necessitano di queste professionalità che si sono notevolmente ridotte a causa di una incompleta e incompresa idea di modernizzazione. D’altra parte l’Italia è fatta di così tante maestranze creative che da sempre la caratterizzano.

Ne ho parlato più volte con Ugo La Pietra, un artista, architetto, designer da sempre impegnato a lavorare sui distretti della creatività materiale italiana.

Posso dire subito che trovo sbagliato creare un Liceo del Made in Italy, soprattutto per un motivo che nasce dalla mia esperienza di docente, curatrice e storica, in un certo senso, proprio del Made in Italy. Le Arti Applicate di cui mi occupo riguardano la moda, il design e altre forme che si possono vantare della nostra creatività, del nostro stile considerato unico al mondo. Il motivo che mi crea perplessità e delusione sta nella constatazione che siamo i primi a non credere in queste capacità; è la dimostrazione di non essere fieri del nostro saper fare, di aver paura di parlare di mestieri come fanno i francesi, di aver bisogno di chiamare “liceo” un luogo di formazione che già esiste nei nostri Istituti Tecnici. È un’idea che esterna un complesso, lo stesso complesso che ci ha impedito di nobilitare il lavoro di artigiani o tecnici, di non saper trasformare tanti mestieri in opportunità, conferendo loro un aspetto più accattivante con la comunicazione, come è avvenuto per il food ad esempio.

L’idea di legarlo ai distretti poi è già in essere, ci sono scuole in ogni distretto calzaturiero o tessile; è un sistema che esiste quindi e che andrebbe potenziato ed evidenziato con film, comunicazione, per renderlo più appetibile ai ragazzi eliminando questa dimensione di scuola di seconda categoria.

SERENA FINESCHI ARTISTA

Necessario sottolineare il periodo che stiamo vivendo. Il nostro Paese vive un momento in cui alcuni valori entrano in tensione con le scelte governative, si insiste sulla sacralità di alcuni atteggiamenti, si raddoppia l’enfasi sulla dimensione etnica dell’essere italiani e questo, porta una parte dell’opinione pubblica alla legittimazione della rimozione dell’altro. L’altro, inteso come diverso da noi, qualcuno da cui rifuggire, demonizzare. Autocrazia che semplifica e radicalizza. In questo contesto, non è difficile immaginare la proposta della creazione di un Liceo del Made in Italy. Per quanto mi riguarda, la trovo un’idea obsoleta. Le Accademie di Belle Arti pubbliche e private, i nostri Licei Artistici, le Scuole Alberghiere, gli Istituti Tecnici, la Scuola delle Arti e dei Mestieri della Fabbrica di San Pietro che riapre dopo 250 anni, le scuole di restauro, gli istituti di moda, marketing, grafica e design hanno già tutte le caratteristiche che servono per formare studenti consapevoli alla bellezza. Abbiamo bisogno di un nuovo liceo? No, abbiamo bisogno di tornare a educare il nostro sguardo. Una visione tutta italiana – e non per questo migliore di altri occhi –pronta allo stupore. Armonia visibile, appunto.

TALK SHOW a cura di DESIRÉE MAIDA
CLARA
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L'INVENZIONE: L'ULTIMO BALUARDO DELL'UMANITË

Quando questo mio scritto uscirà su Artribune, in forma elettronica o in cartaceo, ci sarà già stato il primo convegno della rinata AICA (Associazione Internazionale Critici d’Arte), sezione italiana, e io avrò già tenuto la mia relazione in tale occasione. L’associazione è guidata da Gabriele Romeo, docente dell’Accademia Albertina di Torino, che giustamente ha voluto che l’incontro si tenesse nella sua sede, il 5 e 6 maggio 2023.

La robotica è analitica, cioè ripete, in forme senza dubbio efficaci, quanto già esiste, non ha il dono sintetico dell'invenzione

In altri tempi avrei inveito contro la categoria dei “curatori”, che in passato avevano preteso di darsi un ampio spazio, fino a mettere nell’angolo i critici e gli storici dell’arte. Ma negli ultimi tempi, complici la pandemia, i divieti del ministro Franceschini e le casse vuote degli enti locali, il numero delle mostre è calato. Oggi faccio fatica a trovare argomenti di attualità per il mio blog, mentre siamo in presenza di una enorme produzione di narrativa; forse costa meno pubblicare un libro che fare una mostra, e poi sui romanzi cartacei c’è l’enorme pressione dei prodotti televisivi, che suscitano un istinto di emulazione. Ora me la devo prendere con i tentativi di accreditare la robotica, investita di capacità inventive fino a sostituire gli autori di opere visive. Per carità, nessuno può negare i vantaggi di Google e affini nell’offrirci un’ampia messe di opere: non c’è artista o mostra che non siano accompagnati da un apparato di immagini, e dunque anche una persona come me, ormai impedita nella deambulazione, si può informare adeguatamente. Per non parlare dell’introduzione dei neon e dei video nella creazione corrente, altra cosa di cui non si può fare a meno. Ma la creatività no, la robotica è analitica, cioè ripete, in forme senza dubbio efficaci, quanto già esiste, non ha il dono sintetico dell’invenzione, che dunque resta appannaggio unico dei componenti del genere umano.

RENATO BARILLI

LA STORIA

DELL'ASSOCIAZIONE

INTERNAZIONALE CRITICI D'ARTE IN 6 TAPPE

SULLA PRESUNTA CREATIVITË DELLE MACCHINE U

1948-1949

Critici, storici dell’arte, educatori e curatori si riuniscono in due congressi all’UNESCO: viene piantato il primo seme di AICA

n po’ mi sento antico. Il dibattito sulle nuove tecnologie non mi appassiona mai più di tanto. Ritengo che le tecnologie siano strumentali all’efficienza e all’efficacia del benessere sociale. Salvo che non ve ne sia coinvolti in quanto sviluppatori, da meri utenti mi sembra superfluo impegnarsi in grandi speculazioni intellettuali. Invece, rilevo l’abituale bla bla sulla qualunque (e senza alcun presupposto, se non pretestuoso naturalmente).

1950 Fondazione dell’associazione

1951 AICA viene ammessa al rango di ONG

1963-1966

Giulio Carlo Argan è presidente di AICA Italia

2003

L’associazione ridefinisce i suoi obiettivi, allineandoli a un approccio globale e interdisciplinare

2021

Gabriele Romeo viene eletto presidente di AICA Italia; Renato Barilli è presidente onorario

L’AI è una calcolatrice, potentissima, ma mette insieme ciò che già c’è.

Questo dovrebbe essere il “creare”?

Adesso si parla tanto dell’intelligenza artificiale. Quel che fa e che non fa, quel che sarà o che non sarà. Io credo che vada vissuto il presente, che come sempre costruisce il futuro. Non sarà niente che non dovrà essere e sarà tutto ciò che dovrà essere. Non è fatalismo, ma hic et nunc. Basti ricordare a titolo di esempio recente quante chiacchiere inutili siano state fatte sul cloud, sullo streaming, per non parlare di ciò che si diceva dei contenuti online, dei social, se non addirittura sul web e sul cellulare. Strumenti oggi centrali nella nostra vita, lo sono diventati non perché si sia indirizzato il loro corso in una qualche direzione, ma perché la società si è sviluppata con essi e così il loro uso.

C’è una riflessione, invece, che giudico interessante inerente all’AI, perché propedeutica al paradigma: quella sull’autorialità. Molti dei polemizzatori sono coevi a letteratura e cinema che davano all’AI un’anima e la rendevano ribelle all’uomo che l’aveva creata. Guerre, stragi e “chi me lo ha fatto fare”. Non mi addentro adesso in questa possibilità, la reputo un’ansia inutile. Interessante invece è definire l’input. Ovvero, si dibatte molto sull’intelligenza artificiale online che risponde a qualsiasi quesito. Così come risponde a domande di ricerca frutto di un database enciclopedico (che la macchina può consultare o imparare a costruire in base alle istruzioni fornitele da un umano), altresì crea: un’immagine, un testo… Ma crea veramente? E crea veramente da sola? Chi è l’autore?

Intanto “creare”, da vocabolario, significa “produrre dal nulla”. L’AI è una calcolatrice, potentissima, ma mette insieme ciò che già c’è. Lo fa in una combinazione nuova? Questo dovrebbe essere il “creare”? Ma la combinazione che fa è un calcolo, non è definibile come qualcosa di nuovo, che non c’è, perché un calcolo è un qualcosa di predeterminato (da chi? Dall’uomo). Si dice che auto-apprende, si migliora, ma sempre calcoli su formule sono. Si potrebbe obiettare che anche l’uomo crea come frutto di una combinazione inedita (neanche sempre a dire il vero…), che sempre di un calcolo si tratta. Ma l’uomo ha un’elaborazione del “dato” che è sulla sua esperienza: personale, vissuta, spesso indecifrabile, non esprimibile né condivisibile se non con altri linguaggi come la creazione artistica. E quella non è “precaricata” da un terzo. Quindi io credo che qualsiasi cosa tiri fuori l’AI, ovvero una macchina, l’output altro non sia che il frutto di un calcolo, predeterminato da una formula scritta da un umano e su dati caricati da un umano, o che un umano ha detto alla macchina come e dove trovare.

FABIO SEVERINO

LA FRANCIA E LE CITTË RIBELLI

Ribellarsi è giusto”, è la risposta che Jean-Paul Sartre diede a Pierre Victor e Philippe Gavi in una lunga conversazione risalente al 1974. Dopo quasi mezzo secolo queste parole, oggi dissonanti, tornano di grande attualità. Le proteste in Francia contro la riforma delle pensioni aprono una breccia sul rapporto storicamente conflittuale tra città e rivolte urbane. Tutta la modernità (fino ad oggi) è stata segnata da conflitti dove il dogma dell’adattamento alle condizioni di sfruttamento è visto come un essere supremo. In questo scenario, la città appare come un capitale simbolico collettivo di fronte al quale il capitale, immateriale o reale che sia, mostra la sua onnivora volontà di predazione di ciò che è comune. La posizione di Macron in merito è chiara: obbedienza all’autorità del capitalismo dei disastri. Cioè, obbedienza alla “shock economy” (Naomi Klein) con le vesti della parola magica “riforma”. Chi parla in gergo, cioè chi parla usando cliché come “riforma”, “crescita”, “sviluppo”, “città sostenibile” “resilienza”, eccetera, non ha

tro. Si tratta di chiedersi: a chi appartiene la città? Per chi è pensata?

È sufficiente guardare le metamorfosi urbane di metropoli come Barcellona, Milano, Istanbul, Parigi, Londra, Rio de Janeiro (e molte altre) per comprendere i processi di espropriazione dello spazio pubblico in funzione dell’industria del turismo, per limitarci solo a questo esempio. In queste metamorfosi delle città si è trattato di incrementare il quoziente di capitale simbolico (il marchio esclusivo di una città), vale a dire incrementare la rendita di monopolio, che vede la disponibilità di grossi istituti finanziari internazionali.

bisogno di giustificare ciò che pensa, gli è sufficiente delegare l’uso di questo gergo a “tecnici competenti”. Per Serge Latouche, la lotta contro questo sistema implica anche una decolonizzazione di tale gergo, rovesciandone le prospettive dal basso. La trascendenza di questi cliché rispetto al dato reale –nuove schiavitù, massiccia privatizzazione dello spazio pubblico, depressione collettiva di fronte ad un capitalismo diventato sempre più “aggressivo e distruttivo” (Franco Berardi), praticamente un capitalismo votato all’entropia, o “autofago”, secondo l’espressione di Anselm Jappe – è data come un fatto inevitabile. D’altra parte, nel corso dei secoli, l’urbanizzazione è stata sinonimo di esclusione, che ha trasformato gli emarginati in potenziali ribelli.

Città e rivolta sono un binomio storico-dialettico: non c’è l’uno senza l’al-

La rivolta dei francesi si staglia in uno scenario storico di progressiva espropriazione del diritto ad una vita dignitosa nell’ambito di uno spazio sociale condiviso e non imposto, dove tra l’ingiustizia e il disordine è preferibile il disordine. La riforma delle pensioni è stata la goccia che ha fatto esplodere le proteste. Le città francesi, da settimane, si sono trasformate in “città ribelli” secondo l’efficace espressione di David Harvey, risvegliando forme di lotta e di solidarietà collettive represse. La posta in gioco in queste rivolte – oltre alla controriforma delle pensioni – è lo scenario urbano sempre più isotopo: tutto è ottimizzato e deve funzionare a misura dello spazio politico istituzionale e degli obiettivi commerciali. È la città che trasmette ordini, prescrive spazi in funzione del consumo, dà direttive di mobilità, a cui segue, secondo Bauman, “un’architettura della paura e dell’intimidazione” con aree strettamente sorvegliate che si trasformano in un muro di fronte ai conflitti che covano in essa. Queste rivolte aprono una breccia nelle isotopie urbane. Sono rivolte che rilanciano le città come “eterotopia” (nell’accezione di Henri Lefebvre), ovvero aprono spazi che sfuggono al controllo e all’uniformazione. Le città francesi sono oggi città-Riot, punteggiate da insurrezioni che sciamano al di là dell’organizzazione controllata dello sciopero. E,

come le opere di Warhol, sono repliche di rivolta liberate da un originale assente: il partito, il sindacato, eccetera. D’altra parte, la museificazione delle città in funzione del loro sfruttamento commerciale – città feticcio –prescrive una memoria ripulita di ogni emergenza spontanea. Che tipo di memoria collettiva si pratica nella gentrificazione che sta segnando le metropoli del pianeta? Quale estetica è calata dall’alto? La lotta, in questi casi, è contro l’accumulazione dei segni (anche estetici) del capitale simbolico collettivo posto sotto assedio, in un mondo dove la competizione e la mercificazione dell’età pensionabile sono gli unici obiettivi delle politiche classiste di austerità. Questo modello di città, per chi lo vive e lo subisce, esiste dall’esterno e diventa una potenza a sé stante: un luogo nel quale si nasce, si vive e si consuma. Certo, la lotta è dura, e come osservò realisticamente Marx: “tra uguali diritti a decidere è la forza”. Le rivolte in Francia sono l’ennesimo tentativo del capitalismo dei disastri di trasformare la politica in atto di forza, a cui risponde la forza delle proteste di chi sta subendo la paranoica propensione al profitto ad ogni costo, che si scontra con il bulldozer dell’innalzamento dell’età della pensione. Siamo nella “psico-sfera” di cui parla Bifo, che, come un film di fantascienza, ci avverte dell’imminente passaggio dall’immaginario al reale. Ribellarsi, allora, non è solo “giusto” come diceva Sartre. È anche un dovere.

EDITORIALI
La competizione e la mercificazione dell'età pensionabile sono gli unici obiettivi delle politiche classiste di austerità.
MARCELLO FALETRA PARIGI LILLE
MARSIGLIA TOLOSA
BORDEAUX 72 101 LIONE

THOUGHT-FORMS: (RI)FORME DI PENSIERO

redo che pochi, o forse pochissimi, conoscano questo libretto teosofico, intitolato Thought-Forms, intraducibile dittico che potremmo rendere con Forme-Pensiero, se l’italiano non facesse pensare a un intellettualismo qui del tutto assente.

Invece, dovrebbe essere meglio studiato, e preso in seria considerazione, forse non tanto in ragione dell’autrice, la teosofa Annie Besant, quanto delle illustrazioni, realizzate da un certo C.W. Leadbeater, e della data, il 1905. Già, perché se la teoria delle forme come prodotto del pensiero e l’idea dei colori come catalizzatori di energia era piuttosto comune negli ambienti teosofici e spiritualisti di fine Ottocento e inizio Novecento, le figure che illustrano il libro hanno un valore straordinario, in quanto rappresentano forme mentali del tutto astratte. Questo dato, come si può ben capire, è strategico: se le figure, come quella che ho ripreso e tante altre, anticipano l’astrattismo artistico “classico” (da Kandinskij, naturalmente, fino a Rothko) è anche inevitabile retrodatare la nascita di quest’ultimo (solitamente ammessa al 1910), almeno all’altezza di questo testo.

Un'illustrazione di C.W. Leadbeater all'interno del libro Thought-Forms di Annie Besant, 1905

Ma queste sono disquisizioni su cui gli storici dell’arte già da tempo si stanno confrontando, e che in fondo spostano la questione solo da un punto di vista cronologico. Ben diversamente stanno le cose se entriamo nel merito del libro e del suo messaggio. Ciò che la Besant sostiene, infatti, è che gli stati emotivi, e in genere gli eventi – in un senso più lato – spirituali, possono essere visualizzati tramite l’impiego di particolari elementi formali, i cui colori hanno ognuno un preciso significato psicologico. Anche se questa tesi era già alla sua epoca ampiamente risaputa, meno prevedibile è il suo inverso: se ogni stato emotivo si esprime in una thought-form, allora alcune forme, e colori, sono in grado di generare determinati stati emotivi. Se accettiamo fino in fondo questo assunto, ne consegue che alcune opere d’arte (visiva, ma anche musicale, o di altro genere) avrebbero vere e proprie capacità taumaturgiche, cosa che del resto lo spiritualismo e lo sciamanesimo (intesi in ogni accezione possibile) ben sapevano, esprimendosi appunto in particolari suoni, forme, accostamenti cromatici, e in esperienze di visione del tutto particolari.

Se si osserva l’avventura artistica da questa angolazione, succedono cose strane. Vien quasi da pensare che, anche solo considerando l’arte moderna, lo spi-

ritualismo, invece di costituire un episodio marginale, sarebbe la chiave, preziosa e smarrita, che ne apre le porte. Se l’interesse spirituale era al centro della riflessione di Kandinskij (Lo spirituale nell’arte è del 1912), come non pensare all’automatismo surrealista, o all’esoterismo che spesso riemerge in movimenti quali il Dadaismo e lo stesso Futurismo? Per tacere degli interessi spiritualisti di un František Kupka, amico dei fratelli Duchamp, rappresentante supremo di quello che Apollinaire battezzò col neologismo di “cubismo orfico”. Chi si immagina che questa dimensione si sia esaurita a inizio secolo si sbaglia di molto. Come non mettere nella stessa linea anche l’interesse verso l’immateriale di Yves Klein, le citazioni di Jung del suo sodale e rivale Piero Manzoni, fino all’aperta ripresa dello sciamanesimo da parte di Joseph Beuys, alle liturgie auree delle perfomance di James Lee Byars, per arrivare alle simbologie misteriosofiche di Matthew Barney e della sua ex-consorte Biörk? Anche all’ultima Design Week milanese molte installazioni e opere ammiccavano a questo fenomeno, al quale è dedicata anche una mostra esperienziale che ho avuto la fortuna di curare (trovate i dettagli qui: www.artribune.com/mostre-evento-arte/ the-prism-project-revelation/ ). Però, più che un ritorno dello “spirituale”, si tratta di un vero e proprio riconoscimento di un altro modo di intendere l’arte – non più come un’espressione individuale, ma come dono divino.

È possibile recuperare il testo integrale di Thought-Forms (in inglese) al sito web: anandgholap.net/Thought_ Forms-AB_CWL.htm o inquadrando il QR a fianco.

IN FONDO IN FONDO
SENALDI
MARCO
C
Vien quasi da pensare che, anche solo considerando l’arte moderna, lo spiritualismo sarebbe la chiave, preziosa e smarrita, che ne apre le porte
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www.fondationvalmont.com Fondation Valmont Palazzo Bonvicini Calle Agnello, 2161/A 22.04.23-25.02.24 Contemporary art exhibition

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THOUGHT-FORMS: (RI)FORME DI PENSIERO

2min
pages 102-103

LA FRANCIA E LE CITTË RIBELLI

3min
page 101

DELL'ASSOCIAZIONE

2min
page 100

DEL MADE IN ITALY? POTENZIALITÀ E CRITICITÀ

8min
pages 98-100

CULTURA E PNRR: PERCHƒ L'ITALIA RISCHIA DI FALLIRE SU TUTTA LA LINEA

2min
page 97

LA CULTURA SCOMMETTA SULLA MERAVIGLIA

2min
page 96

DIAMO AI MUSEI LA POSSIBILITË DI PREMIARE (O LICENZIARE) I DIPENDENTI

2min
page 95

ASTE E MERCATO

1min
pages 87-93

ARTE E PAESAGGIO

1min
page 87

Fantasmi e altre storie dal Giappone a Bologna

2min
page 86

A Barcellona va in scena il Marchese de Sade

5min
pages 84-85

Le vertigini barocche di Luca Giordano

5min
pages 82-83

Ugo Mulas l’artista della fotografia

5min
pages 80-81

Le sculture di Davide Rivalta al Castello di Brescia

5min
pages 78-79

Arturo Martini genio irregolare

4min
pages 76-77

LE 9 ATTIVAZIONI DI “SPAZIALE PRESENTA”

6min
pages 72-75

IL PADIGLIONE ITALIA ALLA BIENNALE ARCHITETTURA

6min
pages 70-71

IL LABORATORIO DEL FUTURO

5min
pages 68-69

IL PUNTO DI VISTA DI TRE ITALIANI SU MARRAKECH

5min
pages 64-66

5 INVESTIMENTI CULTURALI DAL MONDO VERSO MARRAKECH

5min
pages 62-63

GALLERIA, LABORATORIO, SPAZIO PER RESIDENZE LAILA HIDA RACCONTA “LE 18”

1min
page 61

MAGICA MARRAKECH

4min
pages 59-60

UNO SGUARDO INTERTESTUALE. INTERVISTA A LOREM

5min
pages 54-56

PER UN’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IPERREALISTA.

4min
pages 52-53

ARTE E DEEP LEARNING: OLTRE LA FASCINAZIONE

4min
pages 50-51

LA RESIDENZA COME ZONA FRANCA

14min
pages 38-49

LOST IN DISTRIBUTION L’AVIDITÀ DEGLI UMILI

9min
pages 34-37

ART MUSIC

3min
page 33

La Genova che riconquista il mare

5min
pages 31-32

NELLE ILLUSTRAZIONI DI CHIARA LANZIERI

1min
pages 28-29

CONCIERGE

5min
pages 26-27

LO STATO DELL’ARTE

4min
pages 24-25

LA COPERTINA

9min
pages 21-23

STUDIO VISIT

5min
pages 14-20

GIRO D'ITALIA: CIVITA DI BAGNOREGIO

2min
pages 6-13
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