Valsugana News n. 4/2021 Maggio

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Il personaggio di Veronica Gianello

Contemporaneo tra fatti e parole: l’esperienza teatrale di Carmelo Bene

A

darci l’immagine più appropriata e veritiera di Carmelo Bene è forse il titolo di uno speciale del Maurizio Costanzo Show: uno contro tutti. In questo speciale c’è un solo ospite che viene messo a processo da una platea di critici e giornalisti. Questo format venne inaugurato nel 1994, proprio con Carmelo Bene. Uno contro tutti è la sintesi perfetta dell’uomo e dell’artista che ancora oggi porta un carico d’eredità pesantissimo che trascende l’ambito teatrale e artistico. Eppure, forse, lo stesso Bene correggerebbe questa definizione in qualcosa come ‘Uno contro tutti, compreso me stesso’ oppure ‘Uno contro tutti, ma tanto quell’uno non esiste, come non esistete voi’. Bene è definito avanguardista, neo-avanguardista, padre del nuovo teatro italiano, tuttavia il tratto principale della sua persona, prima ancora che della sua produzione, è quello di staccarsi di dosso senza remore ogni etichetta o convenzione. La forza della sua visione e del suo dubitare ogni cosa per credere solo alla bellezza dell’attimo che non può tornare, lo porta ad essere ancora oggi una delle figure più controverse del secolo scorso. È difficile ripercorrere la sua prolifica carriera in poche righe, come non è facile concentrarsi su un solo aspetto del suo lavoro. Da sempre disprezzato da molti per il suo essere così viscerale, e definito, al contrario, geniale e inarrivabile da una buona fetta di critica. Al di là dell’opinione pubblica sull’uomo e sull’artista, una delle più grandi lezioni che ci ha lasciato, è la capacità

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di maneggiare con maestria materiale artistico e letterario appartenente al passato per inserirlo in maniera coerente all’interno della contemporaneità.. Riadattare, riscrivere, rifare: verbi e azioni che dovrebbero definire con coraggio ciò che l’arte contemporanea dovrebbe fare. Tuttavia, troppo spesso, l’arte contemporanea diventa la cosa più lontana possibile dal tempo in cui viviamo perché basata su astrazioni ed ermetismi unilaterali che si poggiano sul nulla. Per definirsi artisti contemporanei bisogna prima di tutto rendersi permeabili. Chiudersi e proclamarsi fuori dal proprio tempo, se non addirittura superiori, sbarra le porte ad ogni possibilità di creazione nel senso più stretto della parola. Carmelo Bene fu sperimentatore instancabile, e ogni sperimentazione partiva sempre da uno studio approfondito sul testo—e su tutto ciò che ad esso si collega e rimanda—che in molti casi si è trasformato in un innamoramento… o forse in un ossessione. Il suo amore per eccellenza è stato certamente Shakespeare e in particolare l’Amleto. Un amore durato più di trent’anni che iniziò con il debutto teatrale del 1961 a Roma, fortemente influenzato dalla lettura del testo

Carmelo Bene (da Wikipedia)

di Jules Laforgue, Amleto, ovvero le conseguenze della pietà filiale di fine Ottocento. Fu questo l’impulso che indirizzò lo stile e l’idea di teatro, assolutamente personale, di Bene. La capacità e la necessità di essere sia regista che attore non cozza mai con la coerenza dell’azione, anzi. A guardarlo superficialmente, dell’Amleto shakespeariano sembra esserci ben poco. L’opera di Bene si basa infatti sull’intertestualità, su una riscrittura radicale che porta alla perdita della fonte, e ad una versione critica dell’opera originale. Tuttavia nasce e si forma da una conoscenza talmente approfondita delle fonti stesse da


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