Storie di casa nostra di Francesco Zadra
La leggenda dell’impiccato a Castello Tesino
Una condanna a morte, un furto e una gallina
C
osa unisce il caldo ritmo del flamenco alle miti alture trentine? Esiste davvero un fil rouge tra le terre iberiche e la piccola valle del Tesino? Apparentemente no. Nada. Eppure i 1643 km che separano il comune di Castello Tesino dal pueblo di Santo Domingo de la Calzada vengono quasi azzerati entrando nella chiesa di Sant’Ippolito. Situata sull’omonimo colle in località S.Polo, riporta sulle sue mura (datate 1436) la “telecronaca” di un presunto delitto avvenuto nella Spagna medievale, quando quelle lande sconfinate ricadevano sotto la corona di Navarra. Un efferato spargimento di sangue la cui fama ha attraversato l’Europa, varcando Alpi e Pirenei, per giungere sino a noi. Oggigiorno, epoca di videochat e cronaca nera in prima serata, un tale passaparola sembra scontato. Quasi banale. Ma per il XV⁰ secolo non lo era affatto. Imbiancato nel ‘600 per ordine del vescovo di Feltre e rinve-
nuto nel 1927 grazie alla fortuita scoperta di Ermete Sordo, l’affresco narra una vicenda che pare uscita dalle più intricate trame poliziesche: una pia famigliola di pellegrini, un’accusa di furto e un innocente condannato a morte. Un giallo degno di Sherlock. Padre, madre e figlio giungono alla locanda, una delle tante che costellano il Cammino di Santiago. Stremati, dopo ore di viaggio sotto il sole cocente, sperano di trovare ristoro e qualcosa da addentare. Ma quello che sembrava un normale pellegrinaggio in famiglia si tramuterà presto in tragedia… La figlia del locandiere, addetta alla tavola calda, adocchia il giovane. Lo fissa a lungo, comincia a girarci attorno. Vuole farsi notare. Ma lui, nonostante le ripetute avances, sembra interessato solo al tagliere di salumi sotto al suo naso. Questo la fece andare su tutte le furie. “Non posso avere ciò che voglio? Gliela farò pagare...” La vendetta della locandiera non tardò a palesarsi: un prezioso calice era scomparso dalla mensola, il colpevole? Ovviamente LUI! Poco importa che non si fosse mai schiodato dal tavolo e avesse infranto tutt’al più, gozzovigliando e tracannando vino, il divieto di bere alcolici in minore età. Alibi di ferro che non salverà lo sventurato giovane dal patibolo.
Scossa e affranta per la perdita dell’unico figlio, la coppia decise di incamminarsi comunque verso Santiago, per venerare la tomba dell’apostolo Giacomo. Al ritorno la risposta alle loro preghiere: il figlio, vivo e vegeto, li attendeva nello stesso luogo in cui era stato giustiziato. La voce si sparse fino ad arrivare sul tavolo del giudice che aveva ordinato l’esecuzione. Inizialmente il magistrato la bollò a fake news: il ragazzo - diceva - era vivo quanto le cosce di pollo che stava addentando. Tra lo stupore generale, le chiocce arrostite per pranzo resuscitarono prendendo a razzolare tra pietanze e calici di vino. Da qui il proverbio: “Santo Domingo de la Calzada donde cantó la gallina después de asada (cotta)”. Tutt’ora nel villaggio iberico, a memoria del prodigio, troviamo un pollaio in cattedrale completo di gallo e gallina. Vivi. Evidente brutta copia dell’orso di San Romedio. E la locandiera? Non si può parlare di altrettanto “happy ending”. Di lì a poco l’accusatrice sarebbe stata a sua volta impiccata. Iux damnatur ubi nocens absolvitur, dicevano i latini. “Si è ribaltata la situazione”, concluderebbe Giovanni Storti. Un sentito ringraziamento ad Aurora Dellamaria e Riccardo Sordo per la cortese disponibilità e l’encomiabile servizio fotografico. Non di meno alla parrocchia e l’amministrazione comunale di Castello Tesino per aver aperto le porte del luogo di culto ai nostri inviati.
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