AUGUSTO ANCILLOTTI Le Tavole Eugubine? Un monumento alla tangibilità del libro Le fusioni nel bronzo, come quella delle sette Tavole Iguvine, che conferivano ai testi il requisito della “tangibilità del libro” rispetto ai tipi tradizionali su materiale degradabili, erano riservate ai testi più “nobili”. Così potremmo presumere che il libro stampato sia destinato ai testi “più prestigiosi”, lasciando alla forma elettronica i testi di impiego “più ordinario”.
Al tempo in cui furono fusi nel bronzo, i testi che le sette Tavole di Gubbio contengono erano già antichissimi: gli studi degli ultimi cento anni hanno rivelato che non solo erano già stati tramandati per secoli in forma orale, ma che erano già stati da tempo fissati in forma scritta, e che il riversamento su bronzo altro non fu che la copia definitiva di testi scritti su materiale più deperibile. Le diverse informazioni che oggi possediamo sulla tradizione scritta nell’Italia preromana permettono di ricostruire la ricca gamma di materiali di supporto usati per la scrittura di testi e le diverse forme che potevano assumere i “libri” del tempo. Tito Livio, Ab urbe condita, 4,20,8, informa dell’esistenza di libri lintei, cioè libri redatti su teli di lino e conservati nel tempio della dea Moneta sul Campidoglio: riportavano degli elenchi di magistrati romani e furono utilizzati dall’annalista Licinio Macro e pubblicati da Elio Tuberone. Anche dalla Historia Augusta sappiamo dell’uso pratico di teli come supporto per la scrittura. Dall’immagine in terracotta sul cofano di un sarcofago etrusco (fig. 1) possiamo avere un’idea visiva di come dei teli di lino usati come supporto scrittorio dovevano essere impeciati e ripiegati “a fisarmonica” sotto un peso: 12
Fig. 1. Particolare di un sarcofago etrusco (foto dell’autore).
Tra gli altri materiali deperibili su cui tradizionalmente si scriveva nell’Italia preromana (e romana) va ovviamente citato il lĭbĕr, cioè la pellicola sottile che si trova sotto la corteccia dell’albero e che veniva trattata per trarne strisce. La stessa voce latina lĭber rimanda ad un’originaria base indeuropea *lŭbhero- che significa ‘scorticatura, corteccia’, da cui discendono anche l’inglese leaf ‘sfoglia’, il ted. Laube ‘tavoletta’, il lettone luba ‘scandola, tegola di legno’, l’albanese labë ‘corteccia’, ecc. E va aggiunto che, come supporto alla scrittura di testi, si sono affermate anche altre parole che hanno una storia simile, come il ted. Buch ‘libro’, che è lo stesso tema del ted. Buche ‘faggio’, e il lat. codex, che in origine era caudex e valeva ‘tavola di legno’. Le tavolette di legno, come si sa, furono perfezionate per l’uso scrittorio con un leggero strato superficiale di cera, divenendo così la base più comoda, economica