Atti umbri per il futuro del libro

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PIER GIORGIO OLIVETI Dal libro alla città, dalla città al libro: alla ricerca delle qualità urbane Della serie, prima che anche le città vadano (definitivamente) in cloud, salviamo e innoviamo il libro tradizionale o digitale come “cart(in)a al tornasole” di una storia e di una comunità.

1. Ab origine Scrittura e città viaggiano assieme fin dalle origini. Come ci insegnano a partire dal IV millennio avanti Cristo le antiche civilizzazioni, Sumeri, Egizi e poi Cinesi e Valle dell’Indo, urbanizzazione e scrittura erano inscindibili, costitutive dell’idea stessa di città. Realtà fisica ed istituzionale hanno necessitato fin dagli albori di un testo scritto convenzionale, compreso e riconosciuto dal gruppo clanico polis-poietico. Le città sono per definizione solide, si fondano con l’aratro e si edificano di norma con la pietra, il legno o il mattone, cui oggi aggiungiamo cemento, vetro e acciaio; sono anche città ideali, progetti metaspaziali e metatemporali che si nutrono dell’immaginario umano e sciamanico fin dalle origini… Il libro fino a ieri, manoscritto o a stampa che fosse, rappresentava e informava l’essere città, era testimone della communitas, del territorio ad essa sotteso, delle sue istituzioni, dell’esercizio del potere, dei riti sociali e delle regole, del rapporto col mito e la religione. Oggi la digitalizzazione planetaria ci pone nuovi quesiti, sfide e altrettante opportunità. Parliamo qui di questo “eterno” scambio biunivoco tra la città e il testo: in forma di libro solido o di “ottetti binari” alias byte, il pensiero scritto porta sempre il suo contenuto oggettivo o soggettivo, 54

sentimentale o razionale, la “de-scrizione” di fatti cose uomini e donne, monumenti o paesaggi, leggi, prescrizioni, tecniche. Ovvio che il “racconto” sia per sua natura cangiante a seconda dello spirito dei tempi e delle diverse sensibilità culturali e personali degli autori. Ma nella storia alcuni punti fondamentali ritornano e si rinnovano: ad esempio nei testi letterari dei cosiddetti elogi cittadini, le laudes civitatum, i testi encomiastici medievali che descrivevano nascita gloria e fasti di una specifica città. Essi affondano la loro ragion d’essere nell’antichità ma poi si sanno rinnovare nel Duecento e poi di nuovo nel tardo medioevo italiano. È evidente che almeno nella penisola italiana l’imprinting genetico dei classici e dell’antica Roma abbia alimentato per molti secoli la cultura letteraria (e artistica) e lasci un segno indelebile nell’identità delle città. Proprio le laudes tracciano un filo rosso che lega attraverso l’affermazione della singola “città”, Roma, Palermo, Padova, Milano, Firenze, Pavia e molte altre… Le lodi al di là del valore letterario e documentario di un’epoca e di una cultura, sono spesso uno strumento politico, giuridico e psico-sociale di auto-rappresentazione per rendere coesa una comunità che intende riaffermarsi come communitas-civitas-città… Cito tra molti Bonvensin da La Riva, autore del De magnalibus Mediolani/Le


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