ENZO SANTESE Civitas e liber. Per una valorizzazione dei testi stampati su carta Oggi in Italia non esiste quanto necessario per opporsi al rifiuto generalizzato e praticato a tutti i livelli dei libri del passato, carenza che ogni anno ne determina la distruzione di centinaia di migliaia.
Nella riflessione è sempre bene partire da qualche punto fermo e, allora, conviene precisare che nessuno può additare l’e-book come unico responsabile per la crisi del libro. In ogni caso quello stampato ha un valido complemento in quello virtuale che, in tal modo, si afferma come una risorsa culturale e formativa aggiuntiva. Detto da me è ancor più credibile perché amo il libro di carta e non ho alcun timore di generare il minimo sospetto di tensione “feticistica” se tengo in mano un libro stampato e spesso, oltre al primario desiderio di leggerlo, colgo il senso della sua fisicità nella ricezione sinestetica della sua struttura: in un rapporto tattile con copertina e carta, nella connessione visiva, ovviamente, per la lettura, financo nella ricerca di un’identità olfattiva. Anche se le statistiche danno talora l’idea di essere addomesticate ad usum delphini, pare di poter assumere come vero, pur con il beneficio d’approssimazione, che della miriade di titoli sfornati ogni anno 6 su 10 non vendono praticamente alcuna copia, gli altri quattro si dividono la fetta esigua dei potenziali fruitori con il risultato che le vendite languono e lo sforzo pubblicitario degli editori non è compensato da una risposta adeguata. Questo è già uno dei problemi che tengono lontani e demotivano i potenziali fruitori, frastornati dal cumulo delle proposte, per la maggior parte di qualità per lo 74
meno discutibile. A ciò si aggiunge la questione dei librai che, lungi dall’essere dei venditori da mercato, dovrebbero essere dei “tecnici” competenti dei vari aspetti inerenti al prodotto editoriale; pertanto dovrebbero arrivare al loro mestiere conoscendo profondamente le interne dinamiche del rapporto autori-editori-fruitori e considerare il loro luogo di lavoro non soltanto di commercializzazione di titoli, ma anche un vero e proprio polo di servizio culturale, svolto magari nella duplice dimensione del fisico e del virtuale. Questo serve soprattutto nei centri di alto profilo artistico come Orvieto che hanno una storia scritta anche nella loro logica urbanistica, nella scansione architettonica degli spazi cittadini, nei patrimoni d’arte oltre che nelle dotazioni naturali del luogo. Respirare la città significa anche affidarsi al flusso dei suggerimenti e all’ausilio delle suggestioni che provengono dalla sua storia consegnata alle immagini e ai testi e passata nel confronto con la cronaca attuale. Lavorando con i libri immateriali per questioni di praticità imposta dal calendario degli impegni, avverto spesso la nostalgia della carta, maneggiando la quale risulta più completa e vicina alle mie abitudini la liturgia della lettura. E proprio i libri di arte (intesa nella loro estensione significante massima: pittura, scultura, architettura e, perché no, urbanistica),