L'Interior visto dal Design | Stefano Follesa

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l’abitare percepito •

Photo by James Kemp on Unsplash.

A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco. Erri De Luca

L’abitare è fatto di muri che separano le vite delle persone e di onde che oltrepassano tali muri. Ci sono espressioni dell’abitare che non possono essere relegate nei confini di un recinto fisico in quanto attinenti ad elementi percettivi che oltrepassano la dimensione dell’involucro abitativo. Sono gli aspetti legati agli odori, alle musiche, ai suoni, alle luci, che accompagnano e definiscono il nostro abitare al pari degli aspetti funzionali ed estetici ma sono meno indagati dalla letteratura scientifica in quanto fugaci nella loro partecipazione al processo progettuale. L’ intangibilità di tali percezioni le rende estranee ad una comunicazione del progetto quasi unicamente indirizzata alla percezione visiva. E tuttavia la nostra esperienza in uno spazio si compone di rimandi, di connessioni che ci riconducono ai rituali della nostra esperienza abitativa e nei quali le percezioni assumono un ruolo preminente; l’odore del cucinato quando percorriamo una strada, la luce alternata di un televisore la sera, il suono di un pianoforte che ci connette all’intimità di un vicino da cui siamo divisi da un sottile diaframma di cemento. “Ricordo il periodo della mia vita in cui vivevo l’architettura in modo spensierato. Mi sembra ancora di sentire nella mano la maniglia della porta, quella porzione di metallo configurata come il dorso di un cucchiaio. La stringevo quando entravo nel giardino di mia zia. Ancora oggi quella maniglia mi appare come un segno distintivo dell’accesso a un mondo di sensazioni e odori molteplici. Mi ricordo del rumore della ghiaia sotto i miei piedi, della lucentezza moderata del legno di quercia lucidato delle scale; sento lo scatto della serratura al rinserrarsi della pesante porta di casa alle mie spalle; mi vedo avanzare lungo l’oscuro corridoio e raggiungere la cucina, l’unico spazio propriamente rischiarato della casa. Era l’unico spazio - mi sembra oggi - il cui soffitto non scompariva nella penombra; e le piccole piastrelle esagonali, rosso scuro, con i giunti ben saturati, rispondevano ai miei passi con inflessibile durezza, e la credenza emanava un singolare odore di colore a olio. Tutto, in quella cucina, era così come è in ogni vecchia cucina tradizionale. Nulla di particolare la distingueva.


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