gli spazi conviviali •
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Nei banchi di classe avevo dietro di me Colombo che era figlio di un carabiniere palermitano, ancora dietro i penultimi erano i due gemelli Mancini, grassi obesi per condizione di appartenenza a un sottoproletariato che stava urbanizzando Firenze e che nell’improvvisa abbondanza si sovralimentava, poi all’ultimo banco c’era giustappunto un sardo, Contu, figlio del carbonaio, silenziosissimo come un coltello a serramanico chiuso… e poi c’era quell’antipatico di Agostini, primo della classe, che era al primo banco. Fu lui ad arrivare col primo sandwich col prosciutto cotto e il filo di burro (a quell’epoca non c’era ancora la caccia alle streghe intorno al burro). Era odioso Agostini, ed era odioso il suo sandwich anche perché suscitava in noi salivazione, acquolina in bocca con quel suo essere appetibile. Però avevamo ancora gli antidoti. Da una parte ognuno di noi aveva gli antidoti formati in ambito familiare. Quando Contu apriva quel suo panino pieno di carbonata, le molecole degli odori si sprigionavano e gli antidoti di altre famiglie si sovrapponevano ai nostri e avevamo ben chiaro che quel sandwich poca cosa era e sarebbe stato poi definitivamente sconfitto dalla schiacciata ripiena di salsicce che mia madre mi faceva portare in classe, raccomandandosi di metterla sul termosifone al mio arrivo per cui verso le dieci e un quarto quando la campanella suonava, ormai la schiacciata aveva raggiunto la temperatura giusta per sprigionare tutta la sua potenza organolettica. Si Agostini aveva il suo sandwich che era per noi appetibile, in quanto nuovo, in quanto oggetto strano, in quanto oggetto lucido, e poco contava che sapesse di niente che non sprigionasse profumo. Eravamo inconsciamente partecipi della fondazione di memoria complesse quali quelle che il cibo sempre esercita. Da un dialogo con Fabio Picchi1
Una linea di ricerca sul rapporto tra cibo e Design nasce come ambito di approfondimento della macrotematica dell’identità. Il cibo è una delle espressioni più rappresentative della nostra identità e rappresenta l’unica roccaforte identitaria che ha saputo resistere agli attacchi ripetuti sferrati dalla modernità. Per quanto tutto attorno a noi si sia modificato e continui a modificarsi con ritmi esponenziali, continuiamo a mangiare gli stessi cibi che mangiavano i nostri antenati e ciò avviene più o meno a tutte le latitudini del pianeta. Cibo e luogo sono i mattoni della costruzione identitaria di ognuno, ciò che ci portiamo dentro e che riemerge nelle trasformazioni che la nostra vita continuamente subisce. La cultura del cibo è sempre in Follesa S., A tempo e a Luogo: conoscenze, pratiche, direzioni per un design identitario. Tesi dottorale. Università degli Studi di Firenze Dottorato di Ricerca XXV Ciclo. 1