Valsugana News 3/2022 Aprile

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ANNO 8 - NR. 3 - APRILE 2022

Periodico gratuito d’informazione e cultura

IL BEATO CARLO ACUTIS NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA ALLA MAMMA A BORGO VALSUGANA

UNA NUOVA SCUOLA PER IL FUTURO DEI GIOVANI

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Punto a Capo di Waimer Perinelli

La DEMOCRAZIA l’ARMA CHE VINCE la FOLLIA al POTERE

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tiamo combattendo due guerre, una contro il Covid, l’altra contro la disumanità della guerra. La battaglia è mediatica e l’informazione gioca un ruolo fondamentale. La “stampa” in tutte le sue espressioni carta, televisione, radio blog,web..è cambiata. Nella sua capacità di raggiungere un pubblico sempre più vasto, come dimostra una dichiarazione ironica del presidente ucraino Zelensky che in piena guerra ha detto” Abbiamo vinto su Tik Tok” . Cambiata nella programmazione. Nell’informazione sulle due guerre vengono largamente impiegati gli “esperti”, persone informate sui fatti, principalmente sulle cause e sui mezzi in campo per combatterle. Più tardi, se i conflitti avranno fine, interverranno gli storici per spiegarci cosa è accaduto e perché abbiamo sbagliato. Gli esperti sono i protagonisti dei nostri media, un po’ perché abbiamo bisogno di credere che qualcuno abbia capito qualcosa e soprattutto perché alleggeriscono il lavoro del giornalista, diventato soprattutto intervistatore, ruolo un tempo non del tutto apprezzato da tanti direttori, ricordo fra tutti Guglielmo Zucconi, il quale mi disse che ogni intervista è tempo sottratto all’informazione. Dobbiamo ammettere che intervistare non è facile e implica spesso l’obbligo di tacere lasciando parlare l’intervistato. Anche quando non è d’accordo con quanto pensa l’intervistatore. Gli esperti sono graditi agli editori, pubblici e privati, perché alleggeri-

Volodymyr Zelensky

scono il palinsesto e le impaginazioni, evitando investimenti in servizi, rubriche e programmi d’ intrattenimento. Le due guerre hanno in comune i morti, ammazzati dalla pandemia da Covid 19 e dalle armi di quella che sciaguratamente potrebbe diventare la terza guerra mondiale combattuta con armi nucleari: l’ultima come ha detto Einstein perché la quarta i sopravvissuti la dovrebbero combattere con le pietre. Hanno in comune, come detto gli esperti, con la differenza che sono o sono stati numerosi e polemici nella pandemia e pochi sul piano militare dove prevalgono gli inviati giornalisti. In attesa di una soluzione pacifica delle due guerre già si esprimono alcuni storici indifferenti alla regola che la scrittura della storia richiede una doverosa distanza di tempo ed

emotiva dai fatti. Sui media gli storici ci spiegano l’evoluzione socio-economica degli eventi attribuendo di volta in volta ai diversi protagonisti colpe e meriti. La guerra fredda, il muro di Berlino, il dominio dell’economia capitalistica, di stato o privata. In questo si rischia di cadere nella trappola della colpa di tutti, della Società”, come si fece in Italia nella non piccola ma locale guerra dei terrorismi, nero e rosso. Allora qualcuno come il sociologo Franco Demarchi ci richiamò alla “responsabilità” individuale. se lo ascoltassimo scopriremmo l’incapacità e la follia di alcuni leader. La nostra difesa sarà sempre la democrazia, sia pure imperfetta, capace di frenare la follia al potere. La storia ci dirà se la democrazia, fatta spesso di compromessi, è riuscita a sopravvivere. A questo Punto ci riesce difficile andare a Capo.

Vladimir Putin

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SOMMARIO ANNO 8 - APRILE 2022 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini - Katia Cont Alessandro Caldera - Massimo Dalledonne Emanuele Paccher - Francesca Gottardi - Maurizio Cristini Silvana Poli - Laura Mansini - Alice Rovati Francesco Zadra - Erica Vicentini Eleonora Mezzanotte - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover Nicola Maschio - Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D'Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D'Onghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

Punto a capo: la Democrazia vince 3 Sommario 5 IL BEATO CARLO ACUTIS 7 I giovani sono cari a Dio 10 Testimonianza di fede: parla Mons. Lauro Tisi 12 La politica e l’informazione 14 Una nuova Regione Autonoma e libera 16 Beatles o Rolling Stone 18 Il concorso fotografico Cerbaro 19 Lo “Zar Bomba” va alla guerra 20 Dare all’Italia concretezza e coraggio 22 L’illusione è finita: sveglia Europa 23 Conosciamo il passato: Reti e Veneti 24 Le interviste impossibili: Giulio Cesare 26 Società oggi: la giornata dell’autismo 29 Arte in nature,quando l’arte ritorna alla natura 32 La ripresa economica delle aziende in Trentino 34 UNIVERSITÀ POPOLARE TRENTINA 35 A Borgo Valsugana una nuova scuola per i giovani 36 Giovani, scuola e lavoro: parla Marco Segatta 38 Giovani, scuola e lavoro: parla Marco Fontanari 39 Società, sport e tempo libero: il Nordic Walking 40 Pericolo per le minoranze del mondo 42 Tullia Fontana espone a Castello Tesino 46 Parità di genere: a che punto siamo nel 2022 48 Fabio Depaoli, un trentino di serie A 50 Storia di casa nostra: Siccone Polentone e la Catinia 52 Nasce la Valsugana Ride 53 Domenico Biondi, insegnare con Arte 54 In ricordo di un amico: Umberto Trintinaglia 57 Lewis Hamilton, il “re nero” della Formula 1 58 La pellagra in Trentino 60 Il personaggio di ieri: Gerolamo Bortondello 62 Marzia Bortolameotti e le “Donne di montagna” 64 Tra Storia, Poesia e Letteratura: Luigi Pirandello 66 Il personaggio: Robert Musil 68 Roberto Paccher in visita alle aziende 69 Storie di guerra: gli Unterstand (casematte e ripari) 70 Don Giuseppe Grazioli 72 Il Gruppo Romano Medica: le analisi di laboratorio 74 Salute & Benessere: ridurre lo stress visivo 75 Medicina & Salute: conosciamo le dipendenze 76 Salute & Benessere: conosciamo la Radioestesia 78 Ieri avvenne: la guerra rustica in Valsugana 79 Lo sbarramento di Tenna 80 Che tempo che fa 81 RICERCA PERSONALE 82 Conosciamo le leggi: il reato di diffamazione 83 La natura in controluce: il bostrico, parassita dannoso 84 I consigli di SAV: i fogli cerei negli alveari 86

LA CIMINIERA

IL BEATO

CARLO ACUTIS Pagina 7

A BORGO VALSUGANA

UNA NUOVA SCUOLA PER IL FUTURO DEI GIOVANI Pagina 35

STORIE DI GUERRA

GLI UNTERSTAND Pagina 70

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Beati e Santi del nostro tempo di Armando Munao' e Waimer Perinelli

Carlo Acutis, "l'innamorato di Dio", ha vissuto questa forte presenza del divino nella sua vita terrena e ha cercato in tutti i modi di trasmetterla generosamente anche agli altri e tuttora, continua a intercedere affinché tutti possano mettere Dio al primo posto nella propria vita e dire come Carlo: "Non io ma Dio"; "Non l'amor proprio ma la gloria di Dio"; "La tristezza è lo sguardo rivolto verso se stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio".

IL BEATO CARLO ACUTIS Il 24 novembre 2016, con l’intervento dell’allora Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, si è chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione di Carlo Acutis iniziato il 15 febbraio 2013. Il 5 luglio 2018 viene dichiarato venerabile da Papa Francesco. Con questo titolo la Chiesa riconosce che Carlo Acutis "ha vissuto in grado eroico le virtù cristiane". Nel novembre 2019 la Consulta Medica ha espresso parere positivo sul presunto miracolo attribuito alla sua intercessione. Il 21 febbraio 2020 Papa Francesco ha riconosciuto il miracolo. La celebrazione della beatificazione è avvenuta ad Assisi il 10 ottobre 2020 ed è stata presieduta dal cardinale Agostino Vallini, in rappresentanza del Papa. Nostra intervista esclusiva ad Antonia Salzano, mamma del Beato Carlo.

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arlo Acutis aveva 15 anni quando morì il 12 ottobre del 2006 stroncato da una leucemia fulminante, tanto rapida quanto inattesa. Da tutti ma non da lui che alla madre e al medico curante, qualche anno prima, aveva predetto la propria morte: Morirò, aveva detto, per un’emoraggia cerebrale quando peserò 70 chilogrammi. La sua vita era stata fino ad allora molto normale. Un’esistenza apparentemente tranquilla per un giovane destinato però a diventare Santo, il primo Santo Millenial. Il 10 ottobre del 2020, infatti, la Chiesa lo ha riconosciuto Beato accogliendo il parere della Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, che ha accertato come veritiero il miracolo avvenuto, per intercessione, a un bambino brasiliano di sei anni afflitto da una gravissima malattia al pancreas e guarito completamente dopo

che la nonna aveva pregato Carlo Acutis e il ragazzino aveva toccato con mano una reliquia, un pezzo di pigiamino macchiato di sangue. Una beatificazione straordinariamente rapida se pensiamo che per Papa Giovanni Paolo Primo, il bellunese Albino Luciani, la beatificazione avverrà nel settembre di quest’anno, a 40 anni dalla morte. Carlo era nato a Londra, dove il padre Andrea lavorava, il 3 maggio del 1991, primo figlio di Antonia Salzano. La famiglia si era trasferita a Milano e Carlo era stato allievo per le scuole elementari e medie dalle suore Marcelline e i pochi anni del liceo presso i padri Gesuiti. Come detto la vita apparentemente normale anche se tanti piccoli segni indicavano in lui una predestinazione.

Il Beato Carlo Acutis

Ci dice la madre Antonia, un ragazzino vispo allegro, ma con alcune particolarità. Carlo ci ha colpiti perchè sin dalla tenera età ha mostrato aspetti e segni veramente particolari. A tre mesi ha detto la sua prima parola, a

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Beati e Santi del nostro tempo

Carlo con mamma Antonia

5 mesi ha incominciato a parlare e poi tutto ciò che faceva dimostrava di essere molto avanti rispetto ai suoi coetanei. E già a tre anni e mezzo ha mostrato una particolare predisposizione per la religione, la fede e i principi della bontà e carita’, evidenziando il desiderio di voler conoscere la Bibbia, i santi e avvicinarsi maggiormente a Dio. Ed era veramente attratto dalle chiese. Entrava in Santa Maria Segreta a Milano, la chiesa della sua Parrocchia, sostava presso l'altare e il crocifisso, baciava le immagini sacre e s'inginocchiava a dire le preghierine e non voleva andare via nonostante io lo

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sollecitassi a uscire. Spesso ripeteva che "quando ci si mette di fronte al sole ci si abbronza, ma quando ci si mette dinnanzi a Gesù Eucaristia, si diventa santi perché l'Eucarestia è la sola strada per il Cielo". A sette anni, con tre anni di anticipo, fu ammesso alla Prima Comunione, ricevuta con un permesso speciale. E in quella occasione scrisse su un foglietto "Io ora appartengo per sempre a Gesu ed essere sempre unito "Lui" è il mio programma di vita”. E tutti i giorni, o prima o dopo la messa, faceva l’adorazione eucaristica. Fin da piccolo, ci dice la madre Antonia, ha vissuto la fede in ogni aspetto della sua vita. E la stessa fede lo ha supportato nel momento della sua morte quando, alla sofferenza della malattia, ha sostituito la certezza di vivere la pace, la serenità e la gioia nella vicinanza di Cristo. Osservando Carlo nella sua quotidianità, continua la madre, sembrava essere già programmato e scelto per essere una voce profetica e per raggiungere un qualcosa che a noi era incomprensibile. E siamo stati colpiti quando una volta, in giovanissima eta’ e dialogando con lui ci disse che la "conversione" altro non era che spostare lo sguardo dal basso verso l’alto con un semplice movimento degli occhi. E si poteva ammirare la magnificenza del creato. Nell’omelia della messa di beatificazione, il cardinale Agostino Vallini, legato

Carlo a 5 mesi

pontificio per le basiliche di San Francesco e Santa Maria degli Angeli ad Assisi, ha parlato di “Un ragazzo spontaneo, simpatico che amava gli animali, giocava a calcio...” “E’ vero, dice la madre, ma era anche molto attento alla gente, soprattutto ai poveri. Quando davamo del denaro per acquistare la merenda, lo donava ai poveri. Tutti i giorni recitava il Rosario e girava la città alla ricerca di poveri e senza tetto che aiutava. Il suo amore per Dio lo ha avvicinato a queste persone bisognose. Prestava servizio di volontariato alle mense dei poveri delle suore di Madre Teresa di Calcutta e dei Cappuccini. “ Sembra la storia romantica di un giovane del lontano passato ma in realtà

Carlo al Santuario della Verna in un ritiro


Beati e Santi del nostro tempo Carlo appartiene al suo tempo. “Si, dice Antonia, Carlo era attivissimo sui Social dove diceva che si può fare del bene e testimoniava la propria Fede. Oggi in rete ci sono oltre duecento blog dedicati a lui, in tutte le lingue. Attraverso la comunicazione multimediale molte persone hanno testimoniato, sui siti, di essersi convertite alla Chiesa Cattolica seguendo il suo esempio. Io stessa che in gioventù non ero particolarmente devota ho compreso l’importanza della fede e della preghiera”. Carlo si era avvicinato all’informatica da autodidatta proprio per parlare di Dio e del suo rapporto con la religione e con l’Onnipotente. Un rapporto particolare da predestinato.

Santino del Beato Carlo

Il libro su Carlo Acutis scritto dalla mamma Antonia

“Un rapporto singolare, sottolinea la madre, iniziato già da ragazzino quando in collaborazione con l’Istituto San Clemente primo Papa e Martire, aveva organizzato la mostra sui Miracoli eucaristici nel mondo allestita poi in cinque Continenti. Una mostra ospitata nei santuari di Lourdes e della Madonna di Fatima oltre che in numerose parrocchie: ben diecimila negli Stati Uniti”. Per questa sua capacità comunicativa Carlo viene chiamato Santo Millenial capace di comunicare il Vangelo con l’uso dei mezzi multimediali. La madre ricorda: Carlo ha scritto la frase "tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie.”

Un messaggio, un invito a non sprecare i doni, gli evangelici denari, e Carlo non li ha gettati facendoli fruttare. Vicino alla morte chiese di essere sepolto ad Assisi, la città di Francesco, dove il suo corpo è stato traslato nel Santuario della Spogliazione, il 6 aprile del 2019, dove i fedeli possono venerarlo. “Ora, ricorda Antonia Salzano, all’attenzione della Congregazione ci sono altri miracoli attribuiti a Carlo e al primo che verrà riconosciuto come veritiero il giovane potrà essere consacrato Santo”.

Il drappo - Carlo Acutis è Beato (da Santuario della Spogliazione di Assisie)

Un particolare ringraziamento alla Dott.ssa Maria Isabel Reyes per la gentile collaborazione. Associazione Amici di Carlo Acutis Via Eremo delle Carceri 30, 06081 Assisi Perugia Dott. Maria Isabel Reyes Tel. + 39.3474094968 Signor Flavio Bergamo Tel. + 39.3396340122 Tel. + 39.0756218045 (solo segreteria telefonica) info@carloacutis.com

Ad Assisi le celebrazioni un anno dopo la beatificazione (da Assisi News)

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Giovani, Santi e Beati di Waimer Perinelli

I GIOVANI SONO CARI A DIO almeno sei, con età comha mai riconosciuto come veritiera presa fra i 10 e 16 anni. quest'apparizione ma da tutto il belAnche il Trentino ha alcune lunese iniziarono i pellegrinaggi verso apparizioni mariane. La il luogo che sarebbe stato chiamato più celebre e importante “il “Sas de la Madona”. Ancora oggi sull’Altipiano di Pinè, dove persone provenienti anche dall’ein località Comparsa la Mastero, si ritrovano presso il Sas per donna sarebbe apparsa alla pregare. contadina Domenica Targa, Fra i giovani testimoni della Fede nella leggenda appena morti drammaticamente per afquattordicenne, in realtà di fermarla, ci sono Giovanna D’Arco, almeno 30 anni. appena ventenne e Maria Goretti. A Bosentino, ai piedi Giovanna D’Arco (1412-1431), iniziò della Vigolana, nel 1620 la ad avere le visioni mistiche a 13 anni, Madonna sarebbe apparsa disse ai suoi familiari di parlare con a Janesel, un pastorello Dio e morì a soli vent’anni. Oggi è dodicenne, raccomandanil simbolo di coraggio e generosità, dogli l’edificazione di una avendo disse, per “mandato divino cappella a Lei dedicata. Il Salvato la Francia”. successivo santuario è detSanta Maria Goretti (1890-1902) all’ito della Madonna del Feles Santa Maria Goretti (da Romananews - lasupervisione24.com) nizio del 900 resistette ad un tentatipoiché sorge in una zona vo di stupro e non ancora dodicenne, uore giovane chi è ricca di felci. venne barbaramente uccisa. Oggi è il caro agli dei” questo A Ospedaletto, in Valsugana, la Masimbolo della castità e della virtù. dicevano gli antichi donna, sarebbe apparsa nel 1640, ad Carlo Acutis è fra noi un esempio e noi spesso, troppo spesso, lo ripeun giovane pastorello sordomuto. La della possibilità di usare i mezzi tiamo per consolarci. Ma Dio ha cari chiesa del Santuario della Madonna multimediali a fin di bene perché, i giovani anche da vivi. Non a caso della Rocchetta (piccolo fuso) fu edificome ricorda la madre “ Sui Social ci nella storia della Chiesa e dei santuari cata nella seconda metà del Seicento sono tante cose brutte ma si possono i ragazzi sono protagonisti, testimoni sul luogo dove fin dal 1625 c’era una inviare messaggi evangelici, si può fare di eventi miracolosi. cappella. del bene come testimoniano le molte A Fatima, in Portogallo, nel 1917 la Nel giugno del 2018 è morta a Lonlettere che ancor oggi comunicano Madonna apparve a tre pastorelli e dra, all’età di 93 anni, Anna Agnolet conversioni ed esempi di solidarietà”. nacque così il Santuario di Nostra l’ultima veggente delle apSignora di Fatima. parizioni mariane a Voltago A Lourdes in Francia nel dipartimento nell’Agordino. Il 5 luglio del degli Alti Pirenei, la Madonna apparve 1937 a lei, appena undicennel 1878 alla contadinella quattordine, e ad altri sette adolescencenne Bernardette Soubirous. Nacti, la Madonna raccomandò que così il Santuario di Nostra Signora di pregare. di Lourdes. I giovani furono interrogati A Medjugorje in Bosnia Erzegovidall’Arcidiacono di Agordo na, nel 1981, la Madonna sarebbe e dal suo cappellano don apparsa, uso il condizionale perché Albino Luciani diventato l’inchiesta non è conclusa e i dubbi quarant’anni dopo Papa Giosono molti, ad un gruppo di ragazzi, Santuario della Madonna della Rocchetta (Ospedaletto) vanni Paolo I. La Chiesa non

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Testimonianza di fede di Franco Zadra

Parla Mons. Lauro Tisi, Vescovo di Trento

«Affliggere i consolati»... perché consolino gli afflitti La domanda «Come possiamo realizzare oggi il mandato di Gesù a portare il vangelo a tutte le nazioni?» posta all’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, da un gruppo di laici nel corso di un incontro nel contesto della formazione offerta alle parrocchie da qualche anno ormai, chiamata “passi di vangelo”, ha permesso al presule, del quale abbiamo imparato ad amare la franchezza e la vitalità con la quale cerca di richiamare le comunità a una esperienza evangelica autentica, a esprimersi di riflesso, ma senza equivoci, anche sul percorso intrapreso dalla Chiesa universale chiamata da papa Francesco a raccogliere le voci di quanti più possibile, in vista del sinodo dei vescovi che metterà a fuoco proprio la sinodalità come stile ecclesiale.

«T

u non puoi annunciare il vangelo – ha detto l’arcivescovo rispondendo alla domanda - senza esserti chiesto se quel vangelo, prima di tutto, interpella te. Allora la provocazione è proprio questa, siamo sicuri che il vangelo ci colpisca, sia il fuoco della nostra vita, o forse non è che un elemento marginale? Guardate che questa è una operazione che la Chiesa fa pochissimo, quella di chiedersi se lei ci crede ancora. A volte, nelle strategie dell’annuncio, pensa alle

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L'Arcivescovo Lauro Tisi

tecniche per annunciare il vangelo, ma non si è chiesta se il vangelo lo ha ancora dentro. Questo è il passaggio più importante e, se lo devo dire, l’ho detto di recente anche ai sacerdoti, è la lacuna più grande della Chiesa,

perché quando noi ci convochiamo, ci convochiamo per organizzare le cose per gli altri, e non ci chiediamo se quel vangelo ci ferisce ancora, ci colpisce, oppure non è diventato un soprammobile.


Testimonianza di fede Il rischio che sia una realtà sullo sfondo e che, alla fine, ti restano solo le tecniche, è altissimo. Questa è la realtà in cui spesso ci troviamo, annunciamo quello che non crediamo più, e allora l’annuncio è stanco, rassegnato, ormai ai titoli di coda. Chiediamocelo, fino in fondo! Credo che la prima operazione sinodale la Chiesa debba farla a sè stessa, domandandosi «ma tu, credi ancora?». Gesù dice in un suo passaggio «ci sarà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8), e noi la liquidiamo con un po’ di esegesi questa affermazione. La provocazione è fortissima, perché Gesù sa che c’è il rischio di una Chiesa senza fede, senza Dio, senza speranza. Ancora, dovremmo chiederci: «quando dico la parola vangelo, penso a un volto o penso a delle idee, a una serie di riflessioni sul vivere umano?». Il vangelo spesso per noi non è un volto, una storia, una concretezza, un umano, ma è una vision del mondo, un quadro etico, una interpretazione generica della vita, immaginata sulla scorta del dover essere solidali e del voler bene. Chiediamoci «chi è il vangelo?», perché molto spesso per noi è solo “un che cosa”, un’idea, una vision, un’etica, non è un volto personale. Come Chiesa abbiamo per tanti anni venduto etica, tralasciando l’incandescente volto scandaloso e incredibile di Gesù di Nazareth. Perché, uno con un grembiule in mano, uno che muore abbracciando il nemico, questo è vangelo! Uno che racconta storie dove l’ultimo diventa centrale, uno che nel suo vivere ha i poveri come interlocutori, questo non è un appello generico a voler bene, questo è un sistema di vita scandaloso, ingombrante, e davvero spiazzante. Ma questo è Gesù di Nazareth, il resto sono liofilizzati della Chiesa che l’ha emendato perché ne ha paura, ha paura del suo Signore, e come Pietro gli diciamo «non raccontarci la tua che ti racconto la mia, ti do io l’indiriz-

zo di movimento». La via è quella di un vissuto esistenziale che dimostri che tu sei del tutto preso da un volto, se no non annunci niente, è un po’ di filosofia che lascia il tempo che trova come spesso sono i pensieri filosofici che si possono trattare in salotto. Con Gesù di Nazareth il salotto te lo scordi, perché, come dice don Tonino Bello, il suo compito è affliggere i consolati, è portare l’uomo a essere altro rispetto a uno spartito che è quello tragico che vediamo in queste ore terribili della guerra in Ucraina. Ma chi sono i mandati a evangelizzare? All’inizio l’annuncio aveva il volto dell’uomo qualunque, poi è divenuto una specialità di genere maschile, esclusiva partita del ministero sacerdotale. Questa è una deriva malata. Lo ripeto: questa è patologia. Occorre smontare un sistema secolare per il quale ancora incontro qualcuno di voi che mi dice: «preghi lei che è più vicino a Dio», e non sa che i vescovi sono i più lontani da Dio. C’è sotto l’idea che il ruolo, il ministero, diventa gioco forza un terreno dove tu hai la vicinanza con Dio perché la vicinanza è data da quello che fai, invece che da quanto Gesù di Nazareth è penetrato nel tuo umano, dalla configurazione a Gesù di Nazareth che vuol dire: quanto tratto del tuo umano ha i tratti di Gesù di Nazareth? Quanto perdono hai? Quanto abbassarsi hai? Quanta frequentazione del povero hai?… Dobbiamo ripartire da lì. Lo dico sottovoce, ma vedo con grande preoccupazione il fatto che intere chiese, anche nazionali, pensino la riforma della Chiesa, partendo dalla riorganizzazione dei ministeri.

Non è così! Prima di tutto bisogna che ci intendiamo sul fuoco. Il fuoco è per tutti ed è di tutti. Non si tratta solo di riorganizzare un sistema, si tratta di chiedersi se c’è ancora un po’ di entusiasmo per questo Volto. I ministeri sono da ripensare in chiave evangelica, destrutturati, e portati a essere servizi a una comunità che evangelizza, questa è la chiave di volta, una testimonianza che deve essere comunitaria. Siamo chiamati a percepirci come “noi”. Il soggetto evangelizzante è il noi, non un io che si muove facendo il supereroe della carità. La testimonianza richiede una declinazione comunitaria e questa è la conversione che ci interpella tutti».

Mons. Tisi alla Casa di riposo di Borgo Valsugana

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La politica e l’informazione di Emanuele Paccher

Libera manifestazione del pensiero: diritto o privilegio per pochi?

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a gestione dell’informazione e della propaganda in guerra è tutto. Raccontare i fatti in una sola versione è essenziale per gestire l’opinione pubblica e mantenere il controllo della popolazione. Se ci si pensa bene, tutti i regimi totalitari del novecento hanno soppresso immediatamente il pensiero critico, o per meglio dire la manifestazione del dissenso. Il mondo si era illuso che il sancire su carta alcuni diritti fondamentali, come la libera manifestazione del pensiero e la libertà di informazione, fosse sufficiente per evitare gli abomini del passato. I fatti in Russia ci raccontano però un’opposta realtà. Lo sanno bene, tra i tanti, Alexey Pivovarov e Marina Ovsyannikova. Il primo costretto da anni a rivolgersi ad una piattaforma come YouTube, poiché i canali di informazione russi lo avevano censurato. Ora pure questo canale traballa, con la possibilità che la censura si estenda a numerosi social. Marina, invece, nei primi giorni di marzo ha innalzato un cartello contro la guerra durante una diretta di un’importante emittente russa. Poco dopo è stata prelevata dagli studi. Di lei si sono perse le tracce finché non è ricomparsa in tribunale. Insomma, la Russia non è certamente un Paese per giornalisti. Vista la situazione geopolitica era doveroso partire da tale Paese. Ma la situazione non migliora se ci si rivolge alla Cina, alla Corea del Nord, all’Eritrea, al Turkmenistan. Tutti Stati

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Sophie Sholl (da Mondo Internazionale)

che si collocano nelle ultimissime posizioni nel calcolo dell’indice della libertà di stampa. È giusto ricordare Chen Qiushi, cittadino cinese, ex avvocato e poi giornalista, il quale nei primissimi giorni di pandemia decise di narrare la situazione di Wuhan, portando testimonianza della rapida diffusione della malattia e della sua mortalità. Non andava bene al regime in quel momento. Di lui non si sa più nulla. E qui la memoria torna alla “Rosa Bianca”, gruppo di resistenza tedesco contro la dittatura del nazismo. Questi giovani ragazzi e ragazze frequentanti l’Università non fecero altro che

lanciare degli opuscoli in cui prendevano posizione contro Hitler e il suo regime. Il 18 febbraio 1943 una di loro, Sophie Sholl, lanciò dei volantini dalla cima di una scalinata di una scuola. Venne vista da un bidello nazista che la inseguì e la placcò. Venne consegnata alla Gestapo. L’esercizio del diritto di informazione e di critica, forse il più importante diritto costituzionalmente garantito oggi, portò quella giovane ragazza alle decapitazione. Di Sophie oggi ci ricordiamo il suo coraggio. Le abbiamo reso onore dedicandole qualche scuola. Ma il mondo dal suo gesto non ha poi imparato così tanto. Cristicchi direbbe: “Ma che ci insegna la storia?”. Tali storie veramente non si sarebbero più dovute pensare come ripetibili. Dopo secoli e secoli di atrocità si sperava che la libera manifestazione del pensiero fosse considerata per quello che è, ossia una manifestazione dell’uomo nella società, espressione della bellezza della diversità di idee. Non è così. Fortunatamente non in tutto il pianeta la situazione è così drammatica. Il mondo occidentale sembra aver imparato qualcosa. Il sopra citato indice della libertà di stampa ci dice che l’America del Nord, l’Europa e l’Australia non sono poi messe così male. Anche l’Italia è, tutto sommato, un Paese virtuoso. Ma nel complesso possiamo certamente dire che il diritto di manifestare liberamente le proprie idee è un privilegio per pochi.


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Autonomia e democrazia di Marco Nicolò Perinelli

Una NUOVA REGIONE AUTONOMA e LIBERA

A settantaquattro anni dalla firma dell’accordo di Parigi, la nostra Autonomia è qualcosa che diamo per scontata, ma spesso non sappiamo noi stessi cosa significhi davvero e quali siano le opportunità che ci offre rispetto alle Regioni a Statuto ordinario.

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ivere in una Regione autonoma è un diritto che ci è stato tramandato dalla storia. Questo è un motto che spesso sentiamo, ma talvolta dimentichiamo quale opportunità la nostra Autonomia Speciale sia per il nostro territorio e diamo per scontato che sia qualcosa di inalienabile. Eppure quella che stiamo vivendo è una stagione difficile. Facciamo un passo indietro. Se da una parte esiste una ragione storica, legata alla particolare attitudine all’autogoverno delle nostre comunità all’interno di un contesto storico, culturale e geografico che si può far risalire alle prime Carte di Regola dei comuni trentini e ai Weisthümer delle comunità tirolesi, nati già nell’XII secolo, lo status particolare di cui godiamo oggi ha una radice giuridica molto particolare: il 5 settembre 1946 i ministri degli Esteri di Italia ed Austria, Alcide Degasperi e Karl Gruber, hanno firmato, a Parigi, un accordo per la tutela della popolazione di lingua tedesca in Alto Adige all’interno di un Trattato internazionale di Pace in cui l’Italia risultava tra i paesi sconfitti. Un accordo, tutt’altro che scontato, che fu l’esito di uno straordinario lavoro di diplomazia volto a garantire, attraverso la creazione di una Regione quando ancora le Regioni in Italia non esistevano, che permetteva un governo locale finalizzato a gestire la

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Accordo De Gasperi-Gruber

particolare situazione di convivenza tra popolazioni di lingua diversa in un medesimo contesto geografico. Se pensiamo alla situazione di allora, con una minoranza di lingua tedesca che aveva dovuto sottostare durante il periodo fascista a leggi che ne volevano cancellarne l’identità , fino alle “Opzioni” o Südtiroler Umsiedlung, ovvero la scelta tra rimanere nella propria casa natìa o trasferirsi in Austria, si può comprendere quale fossero i timori da entrambe le parti. Una situazione ancora oggi di straordinaria attualità, se pensiamo a quanto sta accadendo in territori in pieno conflitto come l’Ucraina, dove il casus belli è legato proprio all’identità delle popolazioni lì residenti. Eppure anche qui vi furono tensioni e scontri che portarono, senza voler ripercorrere tutta la storia ma ricor-

dando solo il periodo segnato prima al “Los von Trient” e poi alla Notte dei Fuochi del 1961, alla creazione di un secondo Statuto d’Autonomia che ha dato maggior potere alle due Province in un’ottica di collaborazione “diversi nell’unità”. Tuttavia questa separazione, se da una parte risulta certamente funzionale dal punto di vista amministrativo, nel corso degli anni ha causato un progressivo allontanamento tra Trento e Bolzano e a uno svuotamento nei fatti della Regione, spesso non a caso definita “bancomat” e la cui competenze primaria è rimasta quella della gestione degli Enti locali, insieme a parte della tutela delle Minoranze linguistiche, riconosciute anche in Trentino nelle lingue Cimbra, Ladina e Mochena. Esiste oggi una forte volontà della popolazione sudtirolese, manifestata


Autonomia e democrazia nei fatti e talvolta anche nelle parole, di separare definitivamente le due Province, attuata attraverso un progressivo depauperamento delle competenze. Ma perché difendere la Regione? Perché essa rappresenta un luogo di incontro, di confronto, di scambio di buone pratiche e, soprattutto, la voce più autorevole che abbiamo per dialogare con Roma e l’Europa. Nel passato recente, la Regione e il suo Consiglio sono state protagoniste di un dibattito politico capace di portare a risultati importanti. Penso a quando insieme all’allora Presidente Chiara Avanzo, insieme alle altre Speciali e al sottosegretario Bressa, mi trovai ad Aosta per un dibattito in merito alla Riforma del Titolo V, portando a casa una salvaguardia del particolare status giuridico. O ancora quando il nostro territorio venne

Palazzo della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (Trento)

preso a esempio, con il Presidente Widmann, a Vienna, per il valore della sussidiarietà orizzontale e verticale. In questi ultimi anni tutto questo è però venuto meno e il ruolo di questi organi è divenuto sempre meno centrale. Anche il percorso di costruzione del terzo Statuto, un passaggio auspicato, in questa legislatura provinciale è completamente scomparso. Ecco perché occorre dunque superare questa fase di apatia della

Regione e del Consiglio regionale, praticamente scomparse dal dibattito politico se non quando si parla delle indennità di chi vi siede, e iniziare nuovamente quel percorso di riforma capace di dare a questi organi l’autorità che compete loro. La Regione va certamente ripensata, ma deve sopravvivere e superare se stessa, perché in essa affondano le radici di quel bene prezioso che non possiamo perdere: la nostra Autonomia.

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Musica intramontabile di Gabriele Biancardi

Beatles o Rolling Stone?

U

no dei dubbi amletici di almeno tre generazioni: quelli un pochino più "sporchi", ovviamente erano per le pietre, gli altri invece per i quattro di Liverpool. Indubbiamente i Rolling sono stati e forse lo sono ancora, gli alfieri del Rock. Su questa parola si sono scritti fiumi di parole. Per rock non s'intende solo un genere musicale, ma uno stile di vita. Negli anni 70, esistevano solo quelli che mangiavano rock, parlavano di rock, insomma, tutto il resto non contava. Non vorrei usare questo spazio per fare una disamina sulle correnti musicali, mi piacerebbe invece, fare un piccolo percorso sulla rotta che ancora oggi è seguita da milioni di persone. Bisogna fare un distinguo importante. Ci solo quelli che sono nati negli anni 60/70, che credono che dopo il 1979, il rock sia bello che sepolto. Ancora oggi rifiutano l’ascolto delle ultime tre decadi di produzioni e si crogiolano con brani che hanno sentito e risentito migliaia di volte. Il mantra è "il rock è morto". Io credo che invece stia benissimo e che lotti con noi. Tecnicamente parlando, il genere non esce da canoni straconosciuti di base ritmica di 4/4 con cassa che spinge e chitarre distorte. Ma allora, perché non

Beatles

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si vuole dare spazio alle nuove generazioni? Facciamo un esempio piuttosto eclatante che ha diviso le opinioni. Måneskin. Gruppo giovanissimo! Nessuno di loro arriva a 25 anni, hanno davvero oltrepassato tutte le frontiere, su spotify mondiale, sono ai primi posti. Milioni di seguaci che pendono dalle loro labbra di rosso colorate. Eppure..già, una folta schiera di puristi sono insorti nei loro confronti. Dalle critiche più pacate agli insulti più beceri. Ma perché? Cosa hanno fatto di male sti ragazzi partiti letteralmente dalla strada dove li potevi trovare fino a cinque anni fa. Musica brutta? Può non piacere certo, sono strafottenti? Pure, ma il rock è costellato da personaggi che di simpatico non avevano nemmeno il cane. E quindi? Io credo semplicemente che chi critica, solitamente nati qualche lustro prima, si sentano minacciati. Si, le proprie sicurezze musicali sono messe in discussione. "ah ma i Led Zeppelin erano la vera musica", no, sono soltanto arrivati prima. Poi, sono il primo ad inchinarmi di fronte a Stairway to heaven che credo sia uno dei brani più belli del mondo o come scrisse melody maker, "qui Page nel suo assolo ha parlato con Dio" Ecco, senza entrare nel profano, io credo che il rock oggi non sia solo un retaggio del passato. Tutto quello che vediamo, anche i lati più trasgressivi, sono già stati visti. Coloro che gridano allo scandalo per le

Rolling Stone

"mise" dei ragazzi romani, forse dimenticano il momento del glam rock, dove lustrini e paillettes erano obbligatori anche sul portachiavi. Ho preso i Maneskin ad esempio perché sono ora lì, in cima. Ma sono tanti che portano avanti con onestà il genere rock. Tante band che caricano il furgone di strumenti e partono per improbabili locali dove "ci fate Vasco" ad un certo punto esce sempre. Sono loro i miei eroi, coloro che ci credono fino in fondo, che vogliono davvero vivere rock, non solo suonarlo. Invito i miei coetanei duri e puri, ha cercare, ora la rete ci permette di scovare musicisti in tutto il mondo. Si possono trovare realtà straordinarie. L’unico nostro limite è la mancanza di curiosità. C’è un bellissimo libro uscito nei primi anni degli 80: "Rock’n roll babylon". Ci sono le storie di vita dei colossi del rock mondiale. L’autodistruzione, il cercare di vivere sempre borderline erano la normalità. Anche i fighettini Beatles hanno avuto a che fare con droghe di ogni tipo. Aerei distrutti, hotel devastati. Oggi se lo facesse qualcuno verrebbe incriminato dai tribunali social, dove esiste un’abbondanza di giudici mica da ridere! E comunque, l’avvallo alle nuove generazioni c’è già stato da parte dei "dinosauri" del rock. Indovinate chi hanno chiamato o Rolling Stones ad aprire i concerti negli Usa come gruppo spalla..si avete indovinato...


Il Circolo Fotografico Luigi Cerbaro in collaborazione con Valsugana News in occasione del 55esimo anniversario del Circolo

ORGANIZZA

il CONCORSO FOTOGRAFICO LE QUATTRO STAGIONI IN VALSUGANA Il concorso inizia il 3 novembre 2021 e terminerà il 21 settembre 2022. Il concorso, che è aperto a tutti, è suddiviso in 4 categorie:

Autunno, Inverno, Primavera, Estate. E ognuna terminerà con lo scadere delle varie stagioni. Le classifiche - per stagione e quella finale - saranno stabilite in base ai like ricevuti su Facebook. Al termine di ogni stagione sarà stilata la classifica temporale e quindi annunciati i vincitori. Regolamento su Facebook gruppo e pagina Circolo Fotografico Cerbaro - Borgo Valsugana. Per ulteriori informazioni: circolofotograficocerbaro@gmail.com In caso di utilizzo improprio e illegale o per appropriazione indebita delle foto pubblicate su Facebook del Circolo fotografico Luigi Cerbaro, quest’ultimo declina qualsiasi responsabilità civile, penale ed economica. Per la pubblicazione delle foto aventi come soggetto dei minori è obbligatoria la liberatoria sottoscritta da entrambi i genitori.

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Italia, Nato, Russia e Ucraina di Franco Zadra

L’invasione dell’Ucraina vista dal professor Piero Sinatti, studioso ed esperto di Russia

Lo «Zar Bomba» va alla guerra I

ncontriamo il professor Piero Sinatti, 85 anni, livornese, nello studio del suo appartamento a Levico Terme. Nella stanza contornata di libri fino al soffitto pulsa la passione di un conoscitore della storia della Russia, prima, durante e dopo l’URSS. Per 25 anni, dal 1983 al 2008, Sinatti ne ha scritto sull’autorevole quotidiano milanese “Il Sole24 Ore”. Da una parete ci guarda, tratteggiato a matita, un volto severo e scarno. Pierpaolo Pasolini? «No! – ci corregge il professore – È il ritratto di Varlam Šalamov, il celebre autore dei “Racconti della Kolyma”, arrestato la prima volta nel ‘29 e dopo, nel Terribile 1937 per attività antisovietica sconta circa 20 anni di lager di cui 17 in quel “crematorio bianco”, la Kolyma appunto, la regione più fredda della Russia, nell’estremo nordest». Sinatti, ventitré anni prima della pubblicazione dell’opera completa di questo grande narratore presso Einaudi (1999), di sua iniziativa curò e tradusse dal russo (presso l’editore di estrema sinistra “Savelli”), primo in Italia, quei terribili, bellissimi racconti, una trentina, reperiti in poco diffuse riviste dell’emigrazione russa (“Grani”, “Novyj Zhurnal”). Nelle stesse ore dell’intervista, arrivano dalla TV le immagini delle celebrazioni dell’ottavo anniversario della prima aggressione russa all’Ucraina, che consentì “la riunificazione della

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Piero Sinatti

Crimea con la Russia”, strappandola all’Ucraina e violandone i confini, riconosciuti dai Trattati Internazionali. Così ne scrisse quasi subito l’agenzia russa Interfax: «Oltre 203 mila persone, secondo la polizia di Mosca, partecipano ai festeggiamenti allo stadio moscovita di Luzhniki, dentro e fuori di esso». «Uno spettacolo agghiacciante – prorompe Sinatti – un sostegno a un despota massacratore che chiamerei “lo Zar Bomba”, Vladimir Vladimirovich Putin. Una vergogna indelebile per la Russia è quell’adunata in cui si inneggia a un criminale di guerra. È un’adunata di stampo nazista, dove campeggia uno slogan, “Per la Russia,

per la pace, contro il nazismo”, che è il rovescio della realtà che tutti possiamo vedere, da Kharkiv a Mariupol, da Sumy a Odessa, a Kiev, dove crudelmente si bombardano, si distruggono abitazioni e strutture civili, ospedali, scuole, mercati, fabbriche. I veri nazisti sono i russi che combattono la libera Ucraina e inneggiano al loro capo, “Putler”, come lo hanno ribattezzato gli oppositori russi». Ma cosa è oggi la Russia? «Un altro mondo, – esclama Sinatti – ormai isolato dal concerto delle nazioni civili e all’ONU, è quello della Russia, appoggiata solo da Corea del Nord, Bielorussia, Eritrea e Siria! Pare di essere ricaduti nell’Europa del


Italia, Nato, Russia e Ucraina

Vladimir Putin

1939-1945, nell’orrore della guerra (che ho vissuto da piccolo), della morte di migliaia e migliaia di nostri simili innocenti, la gente ucraina, vittima di un’aggressione sconsiderata e criminale». È chiaro che la Russia vuole prendersi l’Ucraina, ma si fermerà lì? «È difficile dirlo – risponde Sinatti –, dal secondo dopoguerra in Europa non vi è stata mai una crisi di questa dimensione. È aperta a tanti sbocchi, a tutte le imprevedibilità, comprese purtroppo anche quelle estreme, di un conflitto nucleare. Questo “criminale” e “assassino”, come lo ha definito il presidente Biden, (il Santo Padre ha definito addirittura “sacrilego” l’atto d’aggressione compiuta dalla Russia), non aveva in programma una guerra lunga, ma un blitz-krieg di tre o quattro giorni con l’esercito russo accolto come liberatore, con la classica offerta del pane e del sale. Invece, si è trovato di fronte a una vera Resistenza di Popolo, forte, consapevole, accanita, di persone che non vogliono essere soggiogate, conquistate, assimilate a quella che è oggi la Russia, ma che

vogliono essere libere, europee, in un paese indipendente e sovrano come gli accordi internazionali indicano e prescrivono. Violando quegli accordi, Putin ha compiuto un crimine di guerra da portare di fronte al Tribunale internazionale dell’Aja. Qui dovrebbe sedere con i suoi complici alla sbarra degli imputati, compresi i cosiddetti “propagandony” anti-ucraini per professione, giornalisti delle TV di stato, tipo quel ripugnante Vladimir Solov’ev cui la nostra Guardia di Finanza ha sequestrato ben due ville in quel di Como. Allo stadio Luzhniki è stato celebrato come un grande leader il rovinoso Putin, vestito di un giovanile piumino di gran marca italiana. Qui costui ha parlato di “operazione militare speciale”, l’aggressione all’Ucraina. Dal 24 febbraio, inizio dell’aggressione, la parola “vojna”, guerra, è proibita, si rischia il carcere se la si usa». Il professore ci parla anche del Palazzo sul Mar Nero che lo “zar” Putin si è fatto costruire da un architetto, pare bresciano, Luciano Cirillo, del costo di oltre un miliardo di dollari, in un paese con più del 20% della popolazione sotto la soglia della povertà; con il 25% delle abitazioni senza l’allacciamento del gas; con i pensionati che prendono attorno ai 12-15 mila rubli al mese (ora poco più di 100 euro). Tra le altre cose, ci dice dell’orologio di gran marca dal costo di molte migliaia di euro che Putin ha regalato al Patriarca di Mosca Kirill, che ha benedetto l’”operazione speciale” che “avrebbe evitato a Kiev l’oltraggio del gay pride”. Dono documentato

in filmati di giornalisti russi, specie gli oppositori legati ad Aleksej Navalnyj, che nei canali Youtube Sinatti vede quasi ogni giorno, e in particolare quelli che denunciano l’inverosimile quasi grottesca corruzione del gruppo dirigente russo. Kirill ostenta al polso quell’orologio, durante le solenni liturgie celebrate in presenza del Despota. Come si possono perdonare le parole indegne del Patriarca sulla giustezza di questa guerra? Ma quando finirà? «Una data, fatidica, indicata da molti – conclude Sinatti – potrebbe essere il prossimo il 9 maggio, quando si festeggia il Den’ Pobedy, il Giorno della Vittoria sovietica nella Grande Guerra Patriottica contro Hitler. Entro quella data Putin-Putler vorrebbe presentarsi da “vincitore”. Oppure prima, non si può sapere. Oppure dopo. Comunque vada, le terribili conseguenze di questa guerra ci accompagneranno a lungo nei prossimi decenni almeno».

Volodymyr Zelensky

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A parer mio di Cesare Scotoni

DARE all’ITALIA CONCRETEZZA e CORAGGIO Il fallimento dell’antipolitica

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uello che il Paese sta vivendo è un momento di estrema complessità. Il Presidente del Consiglio in carica incarna la continuità con quella seconda metà degli anni Novanta in cui, la scelta della Russia di “smontare” l’Unione Sovietica e quel progetto di Economia Marxista e la mancata percezione della Rivoluzione Digitale ormai dietro l’angolo e con quello della capacità cinese di coniugare l’idea di Partito Unico e divieto della Proprietà Privata con elementi propri di un Capitalismo Colonialista, avevano fatto percepire una vittoria del Capitalismo Consumista che invece è tutto fuorché conseguita. L’Europa e la sua moneta avrebbero rappresentato il modo attraverso cui gli Stati Uniti e le sue Alleanze Militari ed Economiche potevano integrare i mercati e le filiere produttive attingendo dalle enormi risorse energetiche e minerarie fino allora controllate dall’Unione Sovietica. Poi il Diavolo ci mise la coda. Le forze mobilitate ai confini dell’Impero del Male, ampiamente sostenute in base alla dottrina Brzezinski vollero il loro, la rivoluzione digitale stravolse le collaudate strutture della catena del valore, l’Unione Europea fece l’Euro malgrado gli scontri che l’attraversavano e che si concretizzarono nella ex Jugoslavia, la Costituzione Europea si arenò e, con la vicenda Lehman Brothers, quella solidarietà costruita tra coloro che si apprestavano a dividere una torta più grande, vide la Germania ripercorrere ancora una volta la via tracciata da Karl Haushofer con l’Unione incapace di sviluppare un Dibattito Politico deg-

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no di proporre una visione geopolitica alternativa e perdere di Senso. Certo la vicenda di Piazza Maidan è stata un segnale netto che male, anzi malissimo, si è fatto ad ignorare, permettendo che il Regno Unito cristallizzasse quella divisione nella propria uscita da quell’Unione nel frattempo incapace di andare oltre gli errori di Frau Merkel. E l’Italia ripartì da quel Draghi che aveva sancito l’egemonia tedesca nei Balcani senza saper fermare le ambizioni di quel Paese verso Est e la Cina. Spendere parole sul disastro Economico, Sociale e Geopolitico rappresentato dalla pretesa di utilizzare l’antipolitica per far collassare quel Sistema di Relazioni che imbriglia il Paese Italia da almeno 3 decenni, sarebbe un inutile esercizio stilistico, certo è che il nostro Paese è ormai prossimo “allo schianto” e le ricette in campo sono quelle che trenta anni fa significavano, forse, Modernizzazione ed ora appaiono come costruzioni ideologiche già datate. Esaurito a fine marzo l’Effetto Nebbia regalatoci dal PEPP, colto da tutti come l’Emergenza divenuta Prassi non offre altri Spazi per Mobilitare le Energie in campo, indebolita la Costituzione ed il Paese con essa, con lo Spread sui tassi e l’Inflazione ormai in rapida cabrata e la triste conferma di Mattarella a siglare definitivamente l’incapacità dell’antipolitica a farsi Progetto, non si può più sperare nell’eterno transitorio come rifugio in un momento in cui la sconfitta dell’Unione Europea in Europa è anche sul campo. La scelta del PNRR, voluta da pochi nell’illusione che un vincolo esterno

Mario Draghi, Presidente del Consiglio

potesse ancora obbligare un Paese il cui tessuto in questi decenni ha voluto e saputo resistere ad infinite forzature, finirà nell’offrire più delusioni che gioie ad una classe dirigente sempre meno attrezzata alla rivoluzione che si preannuncia nell’accesso alle risorse e nella necessità di progettare un nuovo welfare anche prima della catena del valore che dovrebbe sostenerlo. Appare chiaro che la distanza dell’Accademia dalla Produzione e dalle forze lavoro, nella complicità che l’ha allargata, ha privato il Paese del Contributo degli Intellettuali che delle spinte di un Paese debbono saper essere l’espressione. Solo dalla Consapevolezza che l’investire in Conoscenza deve riverberarsi in una diversa organizzazione dello Stato e che quello non può privarsi di quel Patto Sociale la cui fragilità ha sorpreso tutti di fronte alle pretese di un esecutivo che mai ha saputo anticipare i temi possiamo sperare in una Ripartenza. La capacità di riscoprire e produrre Idee ed Ideologia e di darvi Concretezza con Coraggio resta l’ultima speranza per un Paese che sta pagando scelte orfane di un qualsiasi processo democratico a sostenerle. Troppe volte in 30 anni, con il plauso di tutte le forze sociali, l’operazione è riuscita, ma sfortunatamente il paziente è morto.


Attualità di Patrizia Rapposelli

L’illusione è finita SVEGLIA EUROPA

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lla fine del secolo scorso ci siamo illusi che la globalizzazione e l’avanzare della tecnologia sancissero la fine della Storia, ipotizzando possibili solo democrazie liberali a governare gli uomini. Dobbiamo ricrederci. Prima la pandemia ha catapultato il mondo ai tempi della peste. Ora la guerra. Oggi la Storia corre e la stanno scrivendo a due passi da noi. Siamo in un momento fatidico, epocale per la storia moderna. È inevitabile chiedersi come apparirà l’ordine mondiale. Russia e Stati Uniti sono tornati ai ferri corti come ai tempi della cortina di ferro e della guerra fredda. L’Ucraina sarà spezzata in due? Oppure si combatterà fino alla resa, all’annessione o alla sconfitta di Putin? E la Cina cosa farà? La domanda è diventata di refrain da quando l’invasione si è intensificata e la pressione americana su Pechino – affinché venga presa una posizione chiara- ha installato il dubbio che la Cina possa sostenere economicamente e militarmente la Russia. Dal punto di vista occidentale è terra di contraddizioni. Da una parte offre assistenza umanitaria all’Ucraina, ma dall’altra «la partnership strategica» con la Russia non la fa rientrare nella mischia. Al momento non c’è promessa di mediazione da parte di Pechino, resta l’ambiguità strategica. Le certezze latitano. La verità è che, tra le “cicale di lusso”, i politici e gli intellettuali impegnati a chiacchiere, la situazione reale è critica. L’Unione europea non è stata in grado di mostrare una strategia, finendo

a pagare prezzi elevatissimi per le sanzioni comminate a Mosca. L’Ue è compatta, ma fragile e inconsistente politicamente. Bruxelles non riesce a fare voce grossa riguardo un conflitto che interessa territori e interessi di Paesi del vecchio continente. È scarso il peso politico e la subalternità politica agli Usa. Oggi l’Europa dipende dalla Russia per il 40 per cento del suo fabbisogno di gas. Il prezzo è schizzato alle stelle. Questa guerra ha dato la sveglia. Infatti, la dipendenza energetica è un incubo geopolitico. Nel corso del tempo Nato e Ue hanno snobbato il conflitto tra Russia – Ucraina coltivato negli anni. Di fatti la risposta appare tardiva e asimmetrica. È dal 24 febbraio 2022 (inizio invasione) che media e politici ripetono la guerra poteva essere evitata. Gli attori in causa hanno tutti una responsabilità. Le previsioni di Thomas Lauren Friedman, nel libro sulla globalizzazione “Il mondo è piatto”, oggi possiamo dire essere mancate. La globalizzazione per l’autore permetteva di livellare il divario esistente tra Paesi autocratici, industrializzati ed emergenti, utopia e illusione per lo stesso Occidente, ma ad oggi l’appiattimento del mondo non ha condotto a democrazia universale. Le recriminazioni sono inutili e si sa che le guerre hanno sempre un prezzo per quasi tutti. L’intera impalcatura della sicurezza occidentale è stata costruita sul confinamento in un recinto irreale di termini quali autarchia, razionamento, economia di guerra. Oggi quelle stesse parole rischiano di entrare forzata-

mente a far parte della quotidianità. Gli occidentali pensavano di essere vaccinati alle guerre, ma in sostanza non lo sono. Questa migrazione, da parole rimosse di un immaginario apocalittico a termini concreti di cronaca, è il punto di partenza di un cambiamento inevitabile. Le nostre generazioni non hanno mai visto la gente che muore ammazzata. Scava trincee e scappa per le strade asserragliate dai colpi di mortaio. Le città hanno fame e gli assedi diventano strategia d’attacco. Si tratta e si combatte. La realtà di oggi è una guerra che colpisce civili. E i bombardamenti si sono spinti a pochi kilometri dal confine con la Polonia. È la più grave crisi internazionale dal Dopoguerra. Gli Ucraini difendono la libertà, ma la Nato non può intervenire. L’articolo 5 del patto di Alleanza Atlantica prevede che “le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o in America Settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti.” L’Ucraina non fa parte della Nato e perciò non è prevista l’attivazione dell’articolo 5. Intervenire equivarrebbe al rischio di una Terza guerra mondiale. La democrazia non può portare il mondo intero ad una minaccia nucleare. Il punto è che la Storia ha ripreso a correre e l’Occidente deve rendersi conto che corre all’impazzata a due passi da casa nostra.

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Conosciamo il passato di Marco Nicolò Perinelli

RETI e VENETI: culture antiche che vivono in noi Un salto nel passato comune di un territorio che, allora come oggi, è stato un ponte tra le culture mediterranee e quelle mitteleuropee

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rima che i Romani iniziassero ad estendere la propria influenza sul territorio ai piedi delle Alpi, i territori del Veneto e del Trentino erano abitati da popolazioni che avevano sviluppato una propria cultura, con usi e costumi che si erano sviluppati in secoli di storia. I loro nomi, dato che loro stessi non ci hanno lasciato documenti scritti, ci sono stati tramandati dagli storici antichi romani e greci, che raccontarono di come queste terre fossero abitate da popoli indigeni dalle origini diverse. Il nome “Veneti”, chiamati talvolta da alcuni studiosi “Paleoveneti” o “Venetici”, sembra derivi da una radice molto antica, derivata da quella antichissima lingua indoeuropea che ha dato vita a greco e al latino, che significava “amichevoli”. La fase più antica documentata risale all’età del ferro e prende il nome di “atestina”, dalla città di Este, nei pressi di Padova, dove sono state ritrovate molte testimonianze e rimanda a rapporti con l’area villanoviana ed etrusca (centro italica), ma anche con l’Illiria, con la Grecia e l’Oriente. Un legame con il Mediterraneo che già nel mito romano viene spiegato come legato alla provenienza degli stessi Veneti dall’Asia Minore: secondo Catone e Gaio Plinio Secondo, erano discendenti di un popolo alleato dei Troiani contro i Greci, gli Heneti, e furono costretti alla fuga dopo la capitolazione della città, mentre per Virgilio la stessa città di Padova fu fondata dal troiano Antenore, mentre

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all’eroe Diomede sono associate la fondazione di Spina e di Adria. Per Strabone invece, i Veneti sono apparentati con i celti e in particolare con la Bretagna, dove esisteva un popolo con lo stesso nome. Certo è che in epica più recente, attorno al V secolo a.C. e fino alla assimilazione romana, i Veneti iniziarono un proficuo scambio con i popoli celtici e il nord delle Alpi.

Elmo pileato

Museo Retico - Ex voto in bronzo da Sanzeno V (IV sec. a.C. - Foto di Elena Munerati)

Situla di Bologna

E proprio a nord del territorio degli antichi veneti, nell’attuale Trentino, vi era una popolazione dalla caratteristiche peculiari, i Reti: nel territorio specifico del Trentino, archeologicamente si parla di cultura di Fritzens-Sanzeno, due località, la prima nella Valle dell’Inn, in Austria, la seconda in Val di Non, dove sono stati trovati i reperti materiali che sono caratteristici di questa cultura: tazze e boccali in ceramica, strumenti da lavoro in ferro come zappe, asce, oggetti d’ornamento in bronzo di produzione squisitamente locale. La loro origine pare altrettanto misteriosa dal punto di vista storiografico: per gli storici romani, infatti, e in particolare Livio, i Reti erano discendenti degli Etruschi e il nome deriverebbe da un condottiero di nome, appunto, Reto. Le testimonianze archeologiche moderne, tuttavia, escludono completamente la possibile origine etrusca, anche se indubbiamente vi furono contatti tra le due civiltà. La curiosità legata alla storiografia è che la prima volta che si citano i Reti è in


Conosciamo il passato riferimento al vino di cui erano abili produttori: è ancora una volta Catone che ci parla di questa produzione e Svetonio dice addirittura che l’Imperatore Augusto era solito bere il vino retico. Sia nel caso dei Veneti, sia in quello dei Reti, non vi fu una vera e propria conquista romana del territorio: a partire dal terzo secolo avanti Cristo, queste popolazioni abituate da secoli al commercio, avevano iniziato una graduale assimilazione degli usi e costumi dell’emergente popolo di Roma. Certamente Veneti e Reti entrarono in contatto e in un mondo estremamente dinamico, come quello antico, la loro vicinanza fu fondamentale per un commercio che univa il Mediterraneo e l’Europa. L’annessione finale avvenne con le conquiste territoriali di Druso, figlio adottivo di Augusto, che spinse le

legioni a nord delle Alpi nel territorio del Norico, l’odierna Austria orientale. Di questi popoli antichi oggi abbiamo le testimonianze della cultura

materiale, ma certamente la loro indole è rimasta viva negli abitanti di oggi, che in queste culture possono trovare le proprie radici.

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Interviste impossibili di Waimer Perinelli

GIULIO CESARE

LO SPIETATO IMPERIALISTA

È

una bella giornata di marzo. A Roma è noto che la natura si sveglia presto dall’inverno che non è mai troppo rigido e i colli sono di un bel colore verde punteggiato di cespugli di biancospino. Siamo alle Idi, il giorno 15 del mese. Gaio Giulio Cesare indossa la tunica per recarsi in Senato dove l’attendono incontri con postulanti e clienti. Una giornata ordinaria. Sono nell’atrium della domus in compagnia di Calpurnia, la terza moglie, ed il console Decimo Giunio Bruto Albino. Io sono Spurinna, un auspice che gode di buona stampa. Calpurnia mi ha chiamato. “Ho fatto un brutto sogno, dice. Nel sonno la casa mi è crollata addosso e io tenevo tra le braccia Cesare, morente” Calpurnia ha fama di donna tutt’altro che superstiziosa ma sembra terrorizzata. Lei non è superstiziosa ma la superstizione è il mio lavoro: sventro animali per trarre auspici. Gaio Giulio Cesare non è superstizioso ma quando ha forti dubbi mi consulta e io cerco sempre la risposta che gli fa comodo. Proprio ieri Artemidoro di Cnido gli ha predetto la morte alle Idi di Marzo. Ci sono a Roma dei rumors, dei pettegolezzi, un po’ di invidia ed astio perché Cesare è ormai dittatore a vita e qualcuno dice, a mezza voce, che voglia farsi proclamare re. Per tre Volte Marco Antonio gli ha offerto la corona e per tre volte Cesare ha rifiutato. Ma.....le chiacchere portano in molti casi a fatti tragici e Calpurnia ed io, sappiamo che Cesare è in pericolo. Pochi giorni fa, all’inizio di marzo,

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Quanto vale l’ambizione? Tutta una vita. Se hai un sogno gli sacrifichi tutto. A proposito di sogni Calpurnia ne ha fatto uno terribile. Anch’io ho sognato: mi libravo nell’etere e volando sopra le nuvole, ho dato la mano a Giove. Non solo sogni ma anche predizioni. Artemidoro di Chino, l’indovino, ti ha detto che morirai alle Idi di Marzo, e questo è il giorno. Ogni giorno è buono per morire. Proprio ieri sera, tu lo sai perché c’eri, al banchetto mi hanno chiesto che morte avrei voluto avere e ho risposto, qualsiasi purché sia diversa dall’agonia della vecchiaia. Gaio Giulio Cesare (da Museo Vaticano)

c’erano stati cattivi presagi. Il più impressionante fu opera dello stesso Cesare che mentre compiva un sacrificio non riuscì a trovare il cuore della vittima. Uscendo dallo studio diretto al Senato mi si fermò accanto: “Tu credi alle paure delle donne? mi disse. “Io credo a quello che vedo” E cosa vedi? Nulla che non possa vedere anche tu. Oggi diventerai re, ma i nemici sono tanti. Ne ho uccisi più di un milione, in Gallia, al di qua e al di là del Reno, in Britannia, in Grecia ed Egitto. Volevi essere re? No, volevo Roma libera, sicura e grande. Questa la mia ambizione.

Quale morte ti ha maggiormente colpito? I morti sono tutti uguali. Quando ero sulle palizzate di Alesia ho visto morire di fame e sete centinaia di donne a bambini che Vercingetorige, il condottiero dei Galli, aveva fatto uscire dal suo forte assediato e io non avevo fatto entrare nel mio. Lui aveva finito i viveri e voleva liberarsi delle bocche inutili, io avevo cibo solo per i soldati. Io stesso ero assediato, e poi, erano solo barbari. Fra i romani quale morte ti ha impressionato? Sicuramente Gneo Pompeo, un vero grande condottiero, l’unico che a Roma poteva fermarmi. Siamo stati parenti, amici e poi l’ambizione sua e di molti senatori ne fece un avver-


Interviste impossibili sario. Ero veramente furioso quando gli assassini al servizio di Tolomeo, mi consegnarono la sua testa. Non meritava di essere ucciso a tradimento da romani che considerava amici e invece erano al soldo del faraone. Il tradimento: questo io odio. I tuoi nemici temono la fine per la Repubblica di Roma. I nemici della Repubblica sono loro che non capiscono che essa è già morta, che il Senato non ha più un vero scopo se non quello di garantire loro una poltrona con vantaggi e onori. Gente che senza scranno non saprebbe di

che vivere. Non ti seccava essere deriso dai legionari che ai tuoi trionfi cantano: Cesare ha sottomesso il Mondo, Mitridate di Bitinia ha messo sotto Cesare. I legionari sono uomini duri. Achille amava Patroclo io ho amo solo Roma. Calpurnia si era avvicinata e pregava, ancora una volta, Cesare di non andare in Senato. Cesare era quasi convinto perché aveva un leggero malessere, ma Bruto Albino lo spronò ed egli si s’avviò. Giunto in prossimità del Foro di Pompeo, Cesare vide Artimidoro. Vedi caro amico, gli dice, sono le Idi di

Marzo ed io sono ancora qui. E’ vero , risponde il filosofo, ma il giorno è solo all’inizio, e gli consegna un messaggio che Cesare, nella calca, non legge. Contiene i termini di una congiura e i nomi dei congiurati.Cesare entra e si avvicina alla statua di Pompeo. Lì sotto colui che fu ucciso da traditori, Cesare viene pugnalato a morte. Ho cercato di proteggerlo ma sono stato subito ferito. Cadendo accanto a lui l’ ho sentito chiaramente esclamare in greco Kai su teknòn (Anche tu figlio). L’ultimo respiro per il figlio,il più amato dei traditori. Gli storici Appiano, Svetonio e Plutarco non ci sono più: io si!

L'assassinio di Giulio Cesare (da Associazione Culturale Calipso)

Inizia con questo numero la collaborazione della dott.ssa Eleonora Mezzanotte. Dopo la Laurea triennale in Beni Culturali, ha conseguito anche quella magistrale in Arte, sempre presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Trento. Attualmente coordina e presenta il programma “Tapis roulant”, su RAI3 Trentino e un programma radiofonico su RAI Trentino. Alla dott.ssa Mezzanotte, che curerà alcune specifiche rubriche su arte e cultura, i nostri migliori auguri di buono lavoro.

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Società oggi di Nicola Maschio

La GIORNATA dell’AUTISMO: il 2 aprile un’occasione per comprendere

L’

autismo passa spesso inosservato, forse perché nella maggior parte dei casi non presenta “sintomi” evidenti nell’aspetto fisico ma si riflette, soprattutto, negli atteggiamenti e nei comportamenti delle persone che ne sono affette. Eppure, la problematica esiste e ne sono testimonianza tutti coloro che, quotidianamente, la affrontano. Il 2 aprile è internazionalmente riconosciuto come la Giornata Mondiale per la consapevolezza sull’autismo: un momento importante per capire quali siano gli aspetti più o meno indagati di questa particolare condizione di vita. Istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU, la ricorrenza richiama l’attenzione di tutti sui diritti delle persone autistiche, con l’obiettivo innanzitutto di spiegare a cosa si riferisca la stessa parola “autismo”. Su questo aspetto è intervenuto il Ministero della Salute, che ha spiegato come “in questo modo vengono identificati i disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorders, ASD), ovvero un insieme diverso di complicazioni inerenti il neurosviluppo, caratterizzate da una compromissione qualitativa nelle aree dell’interazione sociale e della comunicazione”. In sintesi, chi è affetto da una qualche patologia autistica, ha problemi nel relazionarsi con gli altri e nel comunicare la propria condizione. “Inoltre – ha aggiunto il Ministero, - sono presenti anche modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento, interessi e attività. I sintomi e la loro severità possono manifestarsi in modo

differente da persona a persona, in relazione ai bisogni specifici e, per quanto riguarda le necessità di sostegno, queste ultime sono variabili e possono mutare nel tempo”. Il Ministero della Salute italiano ha inoltre fornito alcuni numeri rispetto alla presenza di soggetti autistici e alla loro “diffusione” nel mondo: “La prevalenza del disturbo è stimata essere attualmente di circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su 160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta pochi studi sono stati effettuati e segnalano una prevalenza di 1 su 100 in Inghilterra. In Italia si stima che 1 bambino su 77, nella fascia di età 7-9

anni, presenti un disturbo dello spettro autistico”. Ancora, l’Osservatorio Nazionale Italiano per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico (progetto finanziato nel 2016 dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute) ha aggiunto qualche dettaglio a quanto spiegato poche righe fa: “In Italia 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenta un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi, che sono colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Questi dati sottolineano la necessità di politiche sanitarie, educative e sociali atte a incrementare i servizi e migliorare l’organizzazione delle risorse a supporto delle famiglie”. Inoltre, è anche l’Associazione Nazionale Genitori persone con Autismo a completare il quadro: “In Italia, tenendo conto di questi dati e anche assumendo il valore minore, l’1% della popolazione (1 su 100 persone), si possono stimare, per una popolazione residente in Italia di oltre 60 milioni, almeno 600 mila le persone e quindi famiglie interessate direttamente dall’autismo. Sulla base degli stessi valori, rispetto a 435 mila nuovi nati in Italia nel 2020, i bambini che potrebbero trovarsi nello spettro autistico ogni anno sarebbero oltre i quattromila”. Insomma, anche quest’anno sarà importante onorare questa ricorrenza “con il blu addosso”, come spiegato dalla stessa ANGSA, ovvero il colore che rappresenta proprio l’autismo.

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L’arte contemporanea in controluce

di Eleonora Mezzanotte

ART in NATURE Quando l’arte ritorna alla natura

Drago Vaia, Marco Martalar (2021)

L

a notizia del maestoso Drago Vaia, opera lignea dell’artista veneto Marco Martalar, ha fatto il giro del web e non solo. Le immagini suggestive e splendide di questa creatura mitologica avvolta dalla nebbia, coperta da una candida coltre di neve o immersa nello spettacolare paesaggio soleggiato di Magrè hanno riscosso un interesse particolare e diffuso, attirando sull’Alpe Cimbra un gran numero di visitatori incuriositi. Un’opera che nasce dall’intento nobile del suo artefice di ridare vita al legno recuperato dagli arbusti abbattuti dalla furia della tempesta Vaia, che si scagliò disastrosamente sui boschi del Triveneto nell’ottobre del 2018. Duemila scarti di arbusti e tremila viti, due mesi di incessante lavoro tra ottobre e novembre dello scorso anno per creare il drago ligneo più grande d’Europa. Arte che nasce dalla natura, che nobilita un materiale tanto comune quanto prezioso come il legno, che sorge sulle ceneri di un disastro ambientale per dare forma e contenuto ad un gesto, ad un’intenzione artistica. Drago Vaia appartiene a quel filone

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dell’arte contemporanea che prende il nome di Art in Nature e che nasce sul finire degli anni Sessanta in Europa dagli impulsi della Land Art americana. Le opere d’arte che si riconoscono sotto quest’insegna sono, proprio come Drago Vaia, opere che instaurano con il luogo in cui sono inserite un dialogo simbiotico e armonico; prendono dal sito i materiali per la loro realizzazione e si accomodano con garbo e discrezione nello scenario naturale di cui sono come un prolungamento. La bellezza delle opere di Art in Nature non risiede soltanto nel valore estetico del risultato finale a cui pervengono, ma nello scopo non dichiarato di far tornare alla natura ciò che è nato grazie a lei. I lavori plasmati dal genio creativo e dalla manualità di questi artisti, infatti, non hanno ambizione di vita eterna, ma considerano il tempo, le condizioni atmosferiche e ambientali variabili strettamente connesse al modificarsi dell’opera. Gli artisti impiegano materiali recuperati dal luogo, entrano in contatto con i ritmi della natura, ne rispettano

gli equilibri, in uno scambio reciproco di azioni, movimenti, sguardi. La natura che fornisce l’idea, la materia prima e lo sfondo, l’artista che dona alla natura il frutto del suo lavoro, fatto di pazienza, concentrazione, rispetto. Con questi presupposti e sotto questi auspici è nata l’avventura di Arte Sella nel 1986, parco d’arte contemporanea tra i più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. L’idea di tre amici, Emanuele Montibeller, Enrico Ferrai e Charlotte Strobele fu foriera di fortunati risvolti nell’ambito dell’Art in Nature, non solo in Trentino ma anche in Italia e in Europa. L’approccio europeo alla natura, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso, ha risentito molto delle teorie ecologiste e della lotta ai cambiamenti climatici, tanto che pure l’arte diventa uno strumento attraverso il quale sublimare un rousseauiano ritorno alla natura. La Land Art americana, di cui si è accennato sopra, prevedeva opere immense di distruzione o parziale modificazione dell’ambiente originario, dove si legittimava l’uso di dinamite, bulldozer ed escavatori per


L’arte contemporanea in controluce realizzare interventi di dimensioni e costi spropositati. Tuttavia, i risultati raggiunti dagli esponenti della Land Art americana non trovarono in Europa il giusto terreno d’approdo per proseguire nei loro intenti. Per citare un esempio, si pensi alla celebre Spiral Jetty di Robert Smithson del 1970, per cui si trasportarono quasi settemila tonnellate di terra e basalto dalla spiaggia alla riva del Great Salt Lake nello Utah per creare l’iconica forma a spirale. Il vecchio continente conservava e conserva tutt’ora un rapporto diverso con la natura e con il paesaggio, inteso come territorio e manifestazione dell’incontro tra l’uomo e l’ambiente. È chiaro che per gli europei il paesaggio ha una valenza culturale molto più ampia; per secoli è stato luogo di incontro, terreno di battaglia, celebra-

Spiral Jetty, Robert Smithson (1970)

to e dissacrato, venerato e profanato. I presupposti della Land Art in Europa non si sarebbero potuti realizzare parimenti che dall’altra parte dell’Atlantico: estesi luoghi incontaminati e intatti, con i quali non vi era alcun legame storico che ne conferisse un’aura di spiritualità e intoccabilità,

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Il Trentino in cronaca di Nicola Maschio

La ripresa economica delle aziende in Trentino

L’

economia trentina continua a crescere in modo sostenuto, come testimoniato dal +19,5% di fatturato rispetto al 2020, ma diversi aspetti incerti del futuro costringono le imprese a restare vigili e attente. Su tutti, in ordine cronologico, il conflitto in terra ucraina, che dopo la pandemia di Covid ha reso traballante la ripresa economica. Tuttavia, come evidenziato, quest’ultima è stata importante soprattutto nel 2021, anno in cui si è quantomeno riusciti ad arginare (anche se non ancora a debellare completamente) il problema legato all’emergenza sanitaria. Come emerso infatti dall’indagine elaborata dall’Ufficio Studi e Ricerche della Camera di Commercio di Trento, la ripresa non ha solo portato ad un aumento del fatturato complessivo, ma anche dell’occupazione che, nel confronto tra l’ultimo trimestre del 2021 e lo stesso periodo del 2020, ha segnato un incoraggiante +3,4%. «Il quadro propizio sembra proiettare l’economia trentina verso livelli di ripresa più che auspicabili – ha spiegato il presidente della CCIAA Giovanni Bort. - Solo il comparto dei trasporti ha registrato, nel panorama dei numerosi aumenti, dati che non raggiungono la doppia cifra. Il 2021 è stato un anno assolutamente positivo per le nostre imprese, dobbiamo ribadirlo con forza». Accanto infatti all’aumento di fatturato e di posti di lavoro occupati, la Camera di Commercio ha evidenziato anche un incremento delle ore di lavoro nei mesi di ottobre (+2,1%), novembre (+5,7%) e dicembre (+11,3%), con una media nel trimestre pari al +6% rispetto allo stesso periodo del 2020 quando,

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hanno ricordato gli addetti ai lavori, la seconda ondata della pandemia aveva costretto a nuove restrizioni e chiusure, quest’anno scongiurate grazie alla bontà della campagna vaccinale anti-Covid. A crescere in modo netto sono stati anche gli ordinativi, con il +75,4% del commercio all’ingrosso a fare la parte del leone, seguito dal comparto manifatturiero (+45,4%) e da quello delle costruzioni, che nonostante il +11,9% si è rivelato in controtendenza rispetto al forte incremento registrato a metà 2021. In termini assoluti, se tra il 2019 ed il 2020 si è stimata una perdita di fatturato pari a 1,95 miliardi di euro (senza considerare i settori di turismo e ristorazione, altrimenti i miliardi sarebbero stati tre), nel 2021 la differenza è stata positiva di ben 2,43 miliardi di euro, con una differenza tra il 2019 e l’anno scorso pari a quasi 500 milioni di euro (al lordo dell’inflazione). Analizzando nello specifico alcuni settori, stando alle rilevazioni della Camera di Commercio, con 1.216 aziende rispon-

denti, sono quelli del manifatturiero e delle costruzioni a trainare la ripresa post-pandemica (comparti nei quali in realtà il processo era iniziato già nell’estate 2020), rispettivamente con un +30,1% e +16,9% di fatturato nel 2021 sul 2020. Seguono il commercio all’ingrosso (+16,6% di fatturato e +1,8% di occupazione) e quello al dettaglio (+11,4% e +2,4% di occupati), che superano il settore dei servizi alle imprese e del terziario avanzato, con la crescita che si è fermata a poco più dell’11%. Performance meno brillante quella del comparto trasporti, con un aumento netto dell’occupazione, schizzata al +11,5% in virtù della riapertura degli impianti sciistici (lo scorso anno chiusi completamente causa Covid) ma una leggera diminuzione del fatturato, fermo al +6,6%. Unico dato negativo di tutti i comparti analizzati, quello dell’occupazione nel settore dell’edilizia ed in particolare delle costruzioni: -3,7% infatti il dato nel quarto trimestre 2021 rispetto al medesimo periodo del 2020.


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in un mercato globale il LOGISTICO identifica quell’indispensabile profilo aziendale che segue le complesse fasi del trasporto delle merci, gestendo attività di prioritaria importanza. Una figura professionale destinataria di continue richieste da parte delle imprese locali e non solo. Per saperne di più abbiamo aperto un dialogo con il Direttore Generale di UPT, dott. Maurizio Cadonna. Direttore, cosa è la LOGISTICA? Siamo portati a identificare la LOGISTICA con il solo trasporto delle

merci. In realtà non è così. La logistica è un sistema molto articolato che gestisce l’intera rete distributiva esterna all’impresa, per assicurare che quanto spedito dall’azienda A, in un qualsiasi punto del mondo, arrivi nel rispetto di modalità e tempi stabiliti all’azienda B, nel luogo in cui si trova. Per ciascun trasporto significa dunque coordinare gli interscambi tra trasporto aereo, navale, su gomma e su rotaia; applicare le normative in vigore; adempiere agli atti amministrativi; monitorarne i costi; assicurare buoni standard ambientali e tanto altro


Giovani, scuola e lavoro formi ai regolamenti vigenti; tenere la contabilità per monitorare i costi del viaggio; organizzare entrare e uscite dal magazzino per supportare depositi e consegne; rispettare gli standard di qualità ambientale per facilitare tragitti sempre più green; governare le logiche dell’e-commerce per stare al passo con i tempi.

Dott. Maurizio Cadonna - Direttore Generale UPT

ancora. Come ad esempio organizzare il processo di approvvigionamento del magazzino e le successive fasi di consegna. Spesso è proprio dall’ottima funzionalità della logistica che dipende il successo di un’impresa. Ecco perché il LOGISTICO ricopre un ruolo centrale nei moderni contesti aziendali e la sua preparazione è sempre più specializzata. Allora esiste il lavoro del LOGISTICO? Certamente! Così come svolgiamo la professione del geometra, dell’informatico, dell’infermiera c’è quella di LOGISTICO. È quell’impiegato o impiegata che in ufficio con software avanzati coordina, organizza e supporta le attività di spedizione, ritiro, trasporto, approvvigionamento e consegna delle merci. Prodotti delle più svariate categorie merceologiche, per distribuirli ad imprese, società e privati nei modi e nei tempi concordati.

Quindi una figura professionale molto importante e ricercata? Centrale direi. Oggi qualsiasi tipologia di azienda ha bisogno di ordinare materie prime, semi-lavorati e beni oppure ha la necessità di spedire i propri prodotti ad una clientela sempre più vasta e lontana. Stiamo parlando del cuore pulsante dell’economia globale. In Italia ogni giorno vengono movimentati migliaia di container e nel nostro Trentino operano nel settore ben 1053 aziende. Quali competenze deve possedere il LOGISTICO per gestire un mondo “ in continuo viaggio?” Al LOGISTICO è chiesto di avere buone competenze informatiche e digitali per operare con i più moderni gestionali aziendali; applicare le normative di riferimento, affinché le operazioni di trasporto siano con-

Direttore, Lei ha delineato un profilo professionale solido, ambizioso. Ci sono possibilità concrete di carriera? Ci sono buone possibilità di carriera per i ragazzi e le ragazze che vorranno mettersi in gioco. Che desiderano costruirsi una professionalità spendibile in molti contesti aziendali locali e non solo. Pensiamo al management delle grandi aziende; alle realtà produttive e artigiane che intrattengono scambi a livello nazionale e con l’estero; alle compagnie di trasporto internazionale; alle ditte di import-export; allo sviluppo dell’interporto e dei grandi Hub logistici che offrono percorsi di specializzazione e la possibilità di viaggiare. Direttore, del nuovo percorso formativo cosa vogliamo dire? Lo presenteremo nel numero di maggio di Valsugana News! Ai giovani e alle loro famiglie abbiamo già dato molti stimoli. Grazie

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Università Popolare Trentina - Scuola di logistica di Armando Munao’

Giovani, scuola e lavoro

Parla MARCO SEGATTA Presidente Assoartigiani di Trento

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residente, avete avuto un ruolo chiave nel progettare con UPT il nuovo percorso formativo dedicato al settore della logistica. Per quali motivi? Il nostro rapporto con le scuole di formazione professionale e dell’UPT è molto continuo e intenso. Direi che ha subito una forte accelerata negli ultimi anni perché sempre di più il mondo che rappresento ha bisogno di figure preparate, infatti la richiesta di manodopera professionalizzata è altissima in diversi settori produttivi. Va da sé che abbiamo accolto con grande favore ed entusiasmo l’iniziativa dell’Upt di far partire il nuovo percorso dedicato alla logistica. In tal senso c’è stato uno scambio fitto e continuo per mettere a disposizione l’esperienza diretta dei nostri operatori del comparto in questione in modo tale da arricchire il quadro di competenze già a disposizione dell’istituto scolastico. C’è un altro aspetto che mi preme sottolineare: nel futuro prossimo il ramo della logistica sarà sempre più protagonista nell’ambito del trasporto inteso a 360 gradi. Velocità, organizzazione e puntualità la faranno assolutamente da padrone. La sinergia tra il mondo delle aziende che Lei rappresenta e la nuova scuola di UPT toccherà vari aspetti? Tirocini... borse di studio ...testimonianze di esperti, visite aziendali, messa a disposizione di gestionali,... La sinergia tra il mondo del lavoro e la scuola è un tema già ora centrale e dovrà esserlo sempre più. Per gli studenti avere la possibilità di tra-

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Marco Segatta

scorrere del tempo direttamente all’interno delle aziende credo sia importantissimo così come per gli imprenditori. L’alternanza tra le aule e il luogo dove fisicamente si opera ti fa capire se hai preso la strada giusta, quali difficoltà dovrai affrontare e che tipo di impegno serve, il datore di lavoro può invece conoscere direttamente le nuove leve, dare consigli preziosi e farli crescere ulteriormente. Sono moltissimi i casi in cui una volta terminato l’apprendistato si viene poi assunti, così cominciano ad essere diversi gli esempi di chi ha cominciato con l’alternanza ed ora è un imprenditore. Cosa vuole dire ad un ragazzo e a una ragazza che si appresta a concludere la scuola media e deve scegliere gli studi superiori? In primo luogo che non ha alcun senso continuare a credere esistano

scuole di serie A e di serie B. All’interno degli istituti professionali il corpo docente è assolutamente preparato così come l’offerta formativa è molto varia, semplicemente si tratta di attitudine. Senza poi considerare che scegliere una scuola professionale non significa precludersi la possibilità di frequentare l’università se lo si vorrà dato che esiste eventualmente il quinto anno così come in tutti gli altri istituti. Capire per cosa si è portati e cosa “piace” in particolare e poi scegliere, questo è fondamentale. Altro mito da sfatare riguarda la figura dell’artigiano: la tecnologia e l’innovazione sono ormai parte integrante delle nostre realtà, non bisogna più pensare a quello che era 30 o 40 anni fa. Per quanto riguarda gli sbocchi professionali che dire? Saranno l’ultimo dei problemi, come ho già detto la richiesta supera di gran lunga l’offerta.


Università Popolare Trentina - Scuola di logistica di Armando Munao’

Giovani, scuola e lavoro

Parla MARCO FONTANARI Vicepresidente Confcommercio Trentino

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l settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio necessita di continui approvvigionamenti. Quanto è importante il buon funzionamento della LOGISTICA nel successo di un’azienda commerciale? L’intero settore del terziario ha come elemento fondamentale la gestione delle logistica. Questo è sempre stato vero, tuttavia i rapidi cambiamenti ai quali assistiamo in questi anni rendono la logistica un vero e proprio asset all’interno dell’offerta commerciale, sia essa legata al commercio vero e proprio o anche ad altri servizi come la ristorazione. La logistica è un aspetto aziendale ancora più delicato se consideriamo i molti fattori esterni che possono condizionare gli approvvigionamenti delle imprese: limitazioni al traffico, costi di trasporto, disponibilità delle materie, ubicazione delle stesse imprese. Ritengo che oggi nessun imprenditore possa svolgere il proprio lavoro in modo consapevole ed efficiente senza considerare l’aspetto logistico tra quelli strategici. Ritengo lungimirante, dunque, un percorso formativo che affronti questi temi e prepari al mondo del lavoro figure professionali in grado di gestire la logistica in un’ottica di sistema in maniera ottimale ed efficiente. Tali competenze, infatti, saranno sempre più apprezzate dal mercato del lavoro. C’è poi un altro aspetto che riguarda la logistica: a fianco della logistica b2b, cioè tra aziende, occorre implementare anche un sistema cosiddetto b2c, ovvero business to consumer, cioè dall’impresa al cliente privato.

Sempre più imprese, infatti, stanno trovando nuovi stimoli di crescita dall’implementazione di sistemi di vendita online e consegna a domicilio. Un e-commerce territoriale che in futuro sarà una chiave di successo per molte realtà. Nella nostra provincia quali sono le prospettive di sviluppo del settore logistico? La nostra provincia ha una conformazione orografica particolare rispetto a territori come, ad esempio, quelli in pianura. Anche lì esistono naturalmente problemi di natura logistica, ma un territorio prevalentemente montuoso come il nostro ha certamente bisogno di valutazioni specifiche e progettualità dedicate. Tra le molte valutazioni che ciò implica, c’è indubbiamente quello dei costi: per questo ritengo che le prospettive future dovranno riuscire a mettere insieme sia le istanze di sostenibilità del trasporto ma anche quelle economiche: non possiamo permetterci, infatti, che iniziative pur lodevoli come quelle previste dalla cosiddetta transizione ecologica vadano a gravare maggiormente sulle nostre valli. Occorre un approccio che sappia mettere in relazione costi, benefici ed equità. Tanto più in una provincia dalla spiccata vocazione turistica come la nostra. Sul fronte dell’occupazione ci saranno a suo avviso segnali positivi? Quale bisogno di nuovo personale LOGISTICO Le vengono espressi? In questo periodo di forte incertezza

Marco Fontanari

ci sono anche molti segnali positivi. Indubbiamente il Pnrr rappresenta un’opportunità per il nostro Paese che deve saperlo valorizzare ed utilizzarlo per quello che è stato concepito: uno volano di crescita che trasformi l’Italia in un paese davvero moderno. In questo scenario lo sviluppo della logistica è uno degli aspetti più importanti, perché ci deve consentire di porre rimedio ad arretratezze croniche che ci portiamo dietro da molto tempo. E questo vale anche per il Trentino, dove il discorso della logistica va, ovviamente, ad intersecarsi con la questione delle infrastrutture. Non parliamo solo di strade, si badi bene, per quanto esse siano ancora fondamentali soprattutto per il cosiddetto “ultimo miglio”, ma anche di altre tipologie di infrastrutture. Inoltre, vi è un aspetto anche, per così dire, immateriale della logistica, cioè tutto quel complesso di conoscenze e innovazione legate ai software di gestione della movimentazione delle merci. Gli sviluppi in questo campo sono moltissimi e potenzialmente molto rilevanti sull’intero sistema della logistica.

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Società, sport e tempo libero di Francesco Zadra

NORDIC WALKING, lo sport ideale nel post-covid

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uanto spesso, lungo la ciclabile della Valsugana, ci siamo trovati il passaggio intralciato da qualche “ensemenì” armato di bastoncini? Si tratta di esemplari di nordic walkers: adepti di una curiosa disciplina scandinava che sta prendendo sempre più piede in Italia. Sono creature innocue (di solito) e si muovono preferibilmente in branco, capitanati da un leader che detta loro ritmi e stili di camminata. Che sia l’ennesima trovata di qualche dieto-star sulla cresta dell’onda? O una psicosi collettiva in seguito a due anni di pandemia? Vogliamo vederci chiaro assieme a Chiara Destefani e Luca Gislimberti, coppia residente a Pergine Valsugana e facente parte dell’associazione “Outdoor Lagorai Nordic Walking”.

Chiara e Luca, cos’è sto nordic-coso? Chiara: Il nordic walking, o camminata nordica, nasce negli anni ‘30 in Scandinavia come allenamento estivo per gli atleti dello sci di fondo. A poco a poco si è diffuso anche nel resto della popolazione che ha cominciato a vederlo come disciplina sportiva, anziché un mero allenamento. Luca: Per parlare di sport con tutti i crismi dobbiamo però aspettare il ‘97, quando il finlandese Marko Kantaneva, all’epoca laureando in scienze motorie, realizza uno studio sul campo in cui codifica i movimenti del “nordic” e ne studia i benefici. Ora è praticato in tutto il mondo ed esistono anche apposite scuole che ne insegnano la tecnica.

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Spesso viene confuso con il trekking, molto praticato sulle nostre montagne… Luca: Si tratta di due cose completamente differenti! Nel nordic walking i bastoncini vengono utilizzati come strumento di spinta, non di appoggio come nel trekking. Chiara: In sostanza ci permette di “diventare quadrupedi” e mette al lavoro circa il 90% dei nostri muscoli, compresa la parte superiore del corpo. Quali sono i benefici di questo sport? Chiara: Si pratica all’aria aperta, rafforza braccia e spalle, tonifica glutei ed addominali, come tutte le attività aerobiche stimola l’ossigenazione del corpo e migliora la circolazione sanguigna, in particolare con l’ “effetto pompa” che si crea con il movimento di apertura e chiusura della mano, (alla quale sono agganciati i bastonci-

ni) e con la rullata del piede. Luca: Aiuta anche notevolmente a migliorare coordinazione e postura. Nel mio caso ho sperimentato una “trasformazione” della parte superiore del corpo: ho raddrizzato la postura, aperto la gabbia toracica e disteso la muscolatura. Per non parlare delle benefiche ricadute su umore e socializzazione delle camminate all’aria aperta! Insomma: lo sport ideale nel post-covid! Chiara: Esatto, dopo 2 anni di confinamento e distanziamento sociale lo stare in mezzo alla natura e muoversi in compagnia è un toccasana per la psiche. Alcune ricerche universitarie evidenziano che la camminata in gruppo porta benefici alle persone depresse e stimola a cascata la produzione di endorfine, gli “ormoni della felicità”.


Società, sport e tempo libero Il nordic si rivolge a tutti? Chiara: È’ adatto a qualsiasi età ed esigenza sportiva. Si va dai bambini delle primarie fino agli anziani. Cambiano ovviamente modalità, scopi e intensità con cui viene praticato. Esistono pure il nordic walking ritmico, in cui ci si muove a ritmo di musica, e il nordic power, che prevede l’inserimento di pesi nel bastoncino e l’utilizzo di elastici in fase di sosta per esercizi di potenziamento. Cosa offre la vostra associazione? Luca: L’associazione “Outdoor Lagorai Nordic Walking”, che abbiamo fondato con un gruppo di amici nel 2017, prevede attività di insegnamento e promozione del nordic (rivolti a singoli e gruppi, scuole comprese) e uscite settimanali di allenamento con degli istruttori certificati dalla scuola Ways tramite l’Ente di Promozione

Gli istruttori

Sportiva ACSI. Abbiamo la sede sociale a S.Orsola Terme ma siamo attivi in tutta la Valsugana, con istruttori e gruppi di cammino anche a Trento, Primiero e Valle dei Laghi.

Chi volesse informazioni riguardo i corsi di avviamento al nordic walking e le altre proposte dell’associazione può contattare il numero di segreteria +393470110761 o scrivere una mail a outdoorlagorai@gmail.com

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Notizie dal mondo di Guido Tommasini

PERICOLO per le

MINORANZE del MONDO

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l mondo è passato attraverso diversi genocidi, ma sembra che questo non abbia insegnato niente, perché attualmente continuano a verificarsi ecatombi di minoranze religiose ed etniche. Per quanto riguarda i cristiani uno studio del 2017 da parte di una ONG protestante ha concluso che i cristiani oppressi nel mondo ammonterebbero a circa 215 milioni, dove le teste di serie di questa macabra classifica sono la Nigeria con gli islamici di Boko Haram assieme al Pakistan e fino ad ieri lo stato islamico Isis. Se si rimane nel continente africano i cristiani copti sono sempre in pericolo da qualunque parte si prenda la situazione( il famoso Patrick Zaki è anche copto). Più a sud il gruppo islamico somalo Al Chebab minaccia i cristiani sia in Somalia che in Kenia. I pericoli non vengono solo da paesi dove imperversa l’Islam Politico ma anche dall’India dove una donna di nome Sumara è stata bruciata viva dagli induisti del suo villaggio e poco lontano, nello stato isolano Sri Lanka i musulmani, stretti in una morsa fra i cingalesi buddisti ed i tamil induisti perseguitano un’altra minoranza, quella cristiana. Non per spirito d’equilibrismo, ma per obiettività storica bisogna ricordare che in Cina la minoranza musulmana Uiguri sarebbe attualmente oggetto di un vero e proprio genocidio culturale e se si guarda il passato all’inizio degli anni Sessanta anche a Zanzibar, un’ isola attualmente facente parte della Tanzania, la minoranza araba musulmana ivi radicata da secoli era stata

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annientata in un massacro che colpiva sempre le diversità religiose. Tornando ai giorni nostri, la previsione che prevale è quella per cui

sarebbe il cristianesimo orientale la prima minoranza importante destinata ad estinguersi o comunque confinata ad un’esistenza effimera. In


Notizie dal mondo

ogni caso, dopo le vicende totalitarie dovute allo Stato Islamico Isis tutte le minoranze del Levante sono state drasticamente penalizzate. Si tratta di un ventaglio che comprende oltre alle minoranze cristiane aramaiche, melchite, caldee alle quali il regime di Assad garantiva libertà di culto, anche di quelle shabacks, yhazide ed alauite. Ma non era solo l’ Isis ad agire, perché a Yabroud, una città siriana di 60.000 abitanti dove si parlava l’antico aramaico, la distruzione della presenza cristiana è stata eseguita dal gruppo jihadista di Al Nusra(ora Fatah al Cham). Sempre in Siria ci sono state

anche delle situazioni grigie come ad Hassake dove le comunità cristiane siriache, assire ed armene hanno dovuto sopravvivere fra gli scontri dei curdi dell’ YPG contro le truppe di Assad e quando qualcuno di loro provava a rifugiarsi passando la frontiera turca veniva abbattuto dai turchi stessi. A Khabur e Tall Shamiran, città che erano abitate da nuclei di cristiani assiri, risalenti ai primi insediamenti secolatri, l’ Isis rapiva le donne e le bambine per farle schiave e poi in alternativa, per la loro liberazione il vescovo Athniel doveva versare il prezzo dei riscatti. In ogni caso da quelle parti i cristiani nel migliore dei modi erano spinti ad un’emigrazione forzata. C’era proprio un noto slogan jlahdista che recitava così: gli alauiti al cimitero ed i cristiani in Libano. Secondo quanto calcolato dallo storico Pierre Vermeren qualche migliaio di cristiani viene ucciso annualmente nel mondo: si tratta di un’intensità variabile che va dai 7.100 nel 2016, ai 1200 nel 2017, ai 4. 305 del 2019. Un’altra minoranza, forse in proporzione la più oppressa è stata quella degli yhazidi nell’ Alta Mesopotamia con migliaia di donne ridotte in schiavitù sessuale dall’Isis, oltre a migliaia di uccisioni con i sopravvissuti costretti a conversioni forzate all’Islam, secondo la tecnica della Sharia. Si potrebbe continuare a lungo con

questa brutale carrellata, a cominciare dal pronunciamento di Bolsonaro di livellare l’Amazzonia con gravissime conseguenze per gli indios, ma ponendosi il problema in termini generali si nota a livello mondiale un incremento generale di questo accanimento bellicoso contro le minoranze. C’erano stati nel secolo scorso diversi pogrom e massacri contro popolazioni minoritarie, anche agghiaccianti come a Timor Est ed in Bangla Desh (musulmani contro cristiani e contro induisti)ma non su scala così geograficamente diffusa. Se si guarda bene è con la globalizzazione che questi fenomeni antisociali sono cresciuti in modo esponenziale. Sembra che fra i promotori del nuovo ordine mondiale e le repressioni delle minoranze( che in qualche modo all’interno di stati sovrani come l’ Irak godevano un tempo di certe garanzie) si sia instaurata una sorta di sinergia casuale. Qualcosa del genere era stata già prevista quasi un secolo fa dal politologo jugoslavo Milovan Gilas il quale aveva profetizzato nel suo libro – Conversazioni con Stalin - che qualora il mondo fosse diventato soggetto ad un’unica ideologia, che nel mondo attuale (se si esclude la Cina e qualche stato minore) corrisponde al progressismo neoliberale, allora le sette sanguinarie di ogni tipo si sarebbero diffuse come reazione corrispondente.

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Tullia Fontana-Lula espone a Castello Tesino

LA VITA NELL’ARTE

Tullia (Lula) Fontana

“S

i tratta di una sognatrice che affida al mondo nascosto della propria sensibilità l’elaborazione di un ‘senso’ dell’umano ,senso che sta e starà sempre più al di là della tangibilità consueta ,fuori di ogni oggettività: il rapporto che giunge ad una situazione intima e indecifrabile.” Rinaldo Sandri, indimenticabile critico del quotidiano L’Adige, morto all’inizio degli anni 90, tratteggiava così, il carattere umano ed artistico di Tullia Fontana (Lula) artista poliedrica originaria di Borgo Valsugana, capace di unire i colori della valle, i fiori, laghi, monti alla cultura internazionale di Venezia. Tullia Fontana, residente a Carzano, poco lontano da Borgo, spinta dalla forza che sola appartiene agli artisti e incoraggiata dagli insegnanti, si è dedicata al difficile percorso artistico diplomandosi all’Istituto d’Arte di

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Trento e perfezionandosi a del Torcello e di san Marco, con le Venezia, negli anni 60, con chiese cristiane copte, ortodosse. Nala frequenza dei quattro scono così le Icone rappresentazioni anni di corso dell’Accadesacre appartenenti all’arte bizantina mia, dove si è diplomata e di cui è ricca la storia dell’Oriente. con il massimo dei voti. Ma non si accontenta di raffigurare su E’ nella città lagunare, tavola le immagini di Maria, dei Santi, seguita dal maestro Giudi Cristo, e vi aggiunge alcuni tratti seppe Santomaso, artista personali che lo scrittore e critico che con Emilio Vedova d’arte Renzo Francescotti, chiama rappresenta l’astrattismo Contaminazioni. sia lirico che espressioni“Non amo dipingere all’aperto, dice sta, Tullia approfondisce Tullia Fontana, mi piace lavorare nel la tecnica e osserva con mio piccolo studio, che riproduce gli spirito critico il mondo ambienti dell’Accademia. La pittura è cogliendone la profondità un modo di vivere. La vita stessa.” spirituale. Il suo percorso artistico segue due strade: una fatta di tele, colori e disegno, di passione per Paul Klee, Chagall, Magritte, Picasso e Max Ernst; l’altra della ricerca di spiritualità attraverso la magia della Venezia bizantina. La prima parte della sua esperienza l’ha portata a partecipare ad importanti mostre, una assieme al fratello Nerio, fra l’altro apprezzato fotografo d’arte. Tullia Fontana non si ferma tuttavia alla materia ovvero la trascende attingendo energie fisiche e intellettuali dalle sue frequentazioORARIO: ni veneziane; i mosaici 10.00 -12.00 / 16.00 -19.00


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Parità di genere di Patrizia Rapposelli

A che punto siamo nel 2022?

È

lento il percorso verso la parità di genere. La Commissione europea nella comunicazione sulla strategia per la parità di genere 2020-2025 sottolinea divari persistenti e progressi lenti nel lavoro e a livello di retribuzioni, nelle posizioni dirigenziali e nella vita politica e istituzionale. Più donne concludono gli studi e hanno esperienza universitaria, ma il tasso di occupazione femminile resta basso. Gli ultimi dati Istat relativi al mese di gennaio indicano un tasso di occupazione pari al 50, 3 per cento (fascia 15-64 anni) contro il 68,1 per cento di quella maschile. Nonostante il tasso sia migliore rispetto ad altri periodi dimostra che una donna su due non ha un lavoro retribuito. La percentuale è inferiore alla media dell’Unione europea. A conferma, nei numeri del rapporto dell’Osservatorio 4Manager, dal titolo “Superare il gender gap: facciamo goal per ripartire” si legge un evidente rallentamento della convergenza lavorativa tra uomo e donna segnata dalla pandemia e dall’allargamento delle criticità strutturali italiane. Il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53,1 per cento contro il 67,4 per cento della media europea. Secondo quanto riportato dal Sole 24 ore “il divario di genere nel tasso di occupazione è pari a 19 punti percentuali; il tasso di inattività delle donne per responsabilità di assistenza è pari al 36 per cento contro il 32 per cento della media Ue; il tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, che tiene conto della maggiore incidenza dell’occupazione a tempo parziale tra le donne e della durata della vita lavorativa, colloca l’Italia all’ultimo posto della graduatoria europea.”

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La politica, negli ultimi tempi, ha posto l’attenzione sul fronte asimmetrie di genere, aspetto che depotenzia il Paese, puntando a correttivi e interventi incentivanti per una ripartenza chiara, equa e meritocratica del mercato del lavoro dopo la stasi causa pandemia. In generale è stato l’anno delle buone intenzioni, ma sorge la domanda: il Paese seguirà? Aziende, amministrazione pubblica, etc. adempiranno agli obblighi di legge o sposeranno effettivamente un cambiamento di vedute per quanto riguarda la posizione della donna nel mercato del lavoro. Sempre secondo quanto riportato dal Sole 24 ore nel mondo imprenditoriale le posizioni manageriali femminili rimangono ferme ai valori pre-pandemia con un 28 per cento del totale. 18 per cento se si calcola coloro regolamentate da contratto “da dirigente”. Su un campione di 17.000 aziende, l’83, 5 per cento è a conduzione maschile, il 12,2 per cento a conduzione femminile, il restante 4,3 per cento a conduzione paritaria.

Che, in molti campi, le donne sono numerose è vero, ma è altrettanto vero che le posizioni apicali sono prevalentemente occupate da uomini. Circolano appelli per correggere questa stortura, ma l’evidenza dei fatti rimane una sola. Il cambiamento non può arrivare dal PNRR o dalle risorse e dintorni. La politica stessa, portatrice di buoni propositi, ha manifestato una falla alle elezioni al Quirinale. Donne al potere, ma non troppo. Il sesso non è un primario valore di merito. Senza cadere in un sessismo al contrario, a prescindere dalla figura, al Colle ci si dovrebbe andare per merito. Però, è sorta qualche perplessità sulla discriminazione di genere. Da tempo si era dato agio ad un accorato appello di scommettere su una quota rosa, ma tra i paladini della parità uomo-donna non è stata avanzata nessuna candidatura specifica. I partiti sono caduti in una palese demagogia. Il percorso verso la parità di genere è lento ed è necessario un cambiamento di prospettiva.


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Sport e personaggi di Claudio Girardi

FABIO DEPAOLI UN TRENTINO DI SERIE A F

abio Depaoli, trentino di Riva del Garda, classe 1997, è, ad oggi, un giocatore dell’Hellas Verona. Difensore laterale, è solito prendere possesso della fascia destra, interpretando il suo ruolo con grande dinamismo. Dotato di una buona tecnica di base, è in grado di appoggiare l’azione della propria squadra e di ripiegare con analogo rendimento. Sicuramente oggi è il giocatore trentino meglio piazzato a livello di squadre di club di calcio nella serie A italiana. L’esterno di proprietà della Sampdoria è giunto in riva all’Adige, grazie al nulla osta concesso dai blucerchiati. L’accordo tra le due società ha previsto il trasferimento di Depaoli in prestito con diritto di riscatto fissato a tre milioni di euro. Per Fabio Depaoli si tratta di un ritorno a Verona, perché è infatti cresciuto nel settore giovanile del Chievo, completando il suo periodo di formazione con l’esordio in Serie A, avvenuto il 12

marzo del 2017, nel corso della gara vinta contro l’Empoli con il punteggio di 4-0. Nel triennio trascorso a Verona ha collezionato 58 gare, con un notevole rendimento, tanto da richiamare l’attenzione della Sampdoria, che ha deciso di portarlo sotto la Lanterna di Genova. Dopo una buona stagione coi doriani è stato quindi ceduto all’Atalanta, in prestito con diritto di riscatto. Un diritto mai esercitato dai bergamaschi, con il ritorno del giocatore a Genova e l’immediata ripartenza verso Benevento, con la stessa formula. Dopo aver giocato 15 gare coi sanniti, è ancora una volta tornato alla base, per poi trasferirsi all’inizio del corrente anno a Verona però sponda Hellas. Fabio ci racconti le tappe fondamentali della tua “carriera” nel mondo del calcio?

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La mia storia parte da lontano: il primo step importante l’ho fatto a soli nove anni, quando sono entrato nel Settore Giovanile del Chievo, che mi ha cresciuto fino al debutto in Prima Squadra, arrivato nella stagione 2016/17. Sono rimasto lì fino al 2019, quando mi sono trasferito a titolo definitivo alla Samp. Dopo un anno a Genova, ho trascorso la scorsa stagione a metà tra Atalanta e Benevento, prima di rientrare alla Samp e – da gennaio – trasferirmi al Verona. Hai ancora occasione di tornare in Trentino? Sì, anche da questo punto di vista Verona è perfetta per me: in meno di un’ora sono a casa e ci posso tornare ogni volta che abbiamo un giorno libero, quindi molto più spesso di prima. Mi fa ancor più piacere perché sono diventato da poco zio, e andare


Sport e personaggi a trovare il figlio di mia sorella è una cosa bellissima, per me. Cosa ti manca della tua regione? Prima di tutto gli amici, la compagnia, che ho mantenuto negli anni. E poi il cibo tipico trentino, in particolar modo la polenta di casa mia. Molti trentini tifano il Verona, cosa provi a giocare in questo Club? Mi dà tanta carica giocare per un pubblico così passionale, sempre presente. Sia a Roma che, contro il Venezia, ci hanno dato veramente una spinta in più. I calciatori trentini in Serie A non sono molti, hai qualche rapporto con loro? Sono rimasto amico di Andrea Pinamonti, che gioca nell’Empoli. Ci siamo conosciuti ai tempi del Chievo,

lui ha due anni meno di me, era in prestito dall’Inter e condividevamo la strada per tornare a casa, a Trento. Da lì, ho mantenuto un rapporto stretto. Depaoli non è solo calcio, quali sono le tue altre passioni? Da mio zio ho ereditato l’amore per la pesca, che ho praticato con lui fin da bambino nei laghi e nei fiumi del mio territorio. Sono anche un appassionato di sport in generale, mi piace seguire il tennis internazionale e il basket americano. Sogno nel cassetto? Già confermarmi a questi livelli, in Serie A, sarebbe una grande cosa per me: voglio continuare così, migliorando giorno dopo giorno. Il sogno, come per ogni ragazzo che gioca a calcio, è vestire un giorno la maglia della Nazionale maggiore.

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Storia di casa nostra di Waimer Perinelli

SICCONE POLENTON e la CATINIA

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iccone è figlio di un capitano di Ventura appartenente alla famiglia dei Rizzi che alla fine del 1200 si trasferì da Padova a Levico in Valsugana. Il padre, Bartolomeo, detto Polenton, figlio di Mancadente, aveva davanti una vita tranquilla, oggi diremmo borghese, con la carriera di notaio da più generazioni appartenente alla famiglia, quando decise di dedicarsi alle armi. Fu condottiero al servizio dei i Visconti, Veneziani, gli Scaligeri, gli imperiali e con tutti si distinse per coraggio e intelligenza tattica, tanto da acquisire il grado di capitano. Due documenti del 1363 e del 1368, appartenenti all’archivio storico di Borgo Valsugana, testimoniano che Bartolomeo fu in quegli anni al servizio di Siccone, signore di Castelnovo e di Caldonazzo, in onore del quale battezzò con lo stesso nome il diciannovesimo figlio avuto nel 1376 dalla moglie Iacopa. Fatto questo, decise di tornare in Veneto dove aveva combattuto, tra Feltre, Vicenza, Verona e Padova. Siccone, figlio di Bartolomeo, crebbe nella città del Santo affidato per gli studi a Conversino da Ravenna e dedicandosi alla filosofia e ai classici romani, affermandosi con molti studiosi e fra questi Vittorino da Feltre. A lui si deve anche un’ampia digressione sulle presunte ossa ritrovate dello storico padovano Tito Livio ( Patavium 59a.c-17 d.c.) autore fra l’altro

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dell’opera Ab Urbe Condita nella quale si racconta di Roma, dalla fondazione alla morte di Druso, figliastro di Ottaviano Augusto ucciso in uno scontro con i germani nel 9 d.c. In Veneto, come in Trentino, si distinse ricoprendo importanti incarichi oltre che per alcune opere retoriche quali “Argumenta super aliquot orationibus et invectivis Ciceronis” e altre di carattere religioso come De Confessione. Morì tra i il 1446 e il 1448 e fu sepolto nella chiesa di san Leonardo dove gli venne eretto un monumento dello

scultore Pietro Danieletti recante l’iscrizione “ Xiconi Riccio Polentono Tridentino... Philologo erudito qui primus post renatas litteras latinam comoediam restituit”. Ebbe anche la fortuna di essere fra i primi studiosi le cui opere furono pubblicate con i caratteri della nascente stampa. Fra queste la sua commedia in sette quadri “ Catinia” scritta in latino nel 1419 ed edita nel 1482. Catinia non è come subito pensate il nome di una donna, bensì il titolo dell’opera ispirata da un venditore di catini, non per caso chiamato Catinio, frequentatore ambulante delle fiere stagionali dove arrivava carico di merce. Sicco Polenton la dedicò al nobile Giacomo Peragino della famiglia veneziana Badoer erede da Pietro da Peraga, con il raffinato proposito di criticare quanti, poveri di spirito, pensano solo a mangiare, bere e divertirsi. Nobile intento spiritosamente raccolto dalla compagnia teatrale Club Armonia di Trento che rappresentò la commedia sia in Trentino che nel Veneto. La commedia ebbe una prima trasposizione dal latino al volgare nel 1482 e in dialetto trentino nel 1980 a cura di Silvio Castelli, drammaturgo e regista del Club Armonia, che la pubblicò in una sua collana e la portò in scena. Io ebbi la fortuna


Storia di casa nostra d’incontrare la Catinia, commedia in tre atti, al suo debutto, con attori e capocomico, proprio nel primo allestimento, presso il teatro dell’Oratorio del Duomo di Trento allora sede della storica compagnia, fondata nel 1924 da una costola del Club Mandolinistico. Silvio Castelli era attore e regista, intelligente ed accorto, che godette nell’allestimento di attori, caratteristi indimenticabili, come Lino Lucchi, Giuseppe Agostini, Gaetano Castelli, Maria Pedrolli, Franco Frisanco. La commedia inserita in un contesto chiamato “La pu bela de tute” vinse il primo premio alla rassegna Sipario d’Oro ideata da Paolo Manfrini. Sicco Rizzi Polenton l’aveva ambientata in un’osteria di Anguillara Veneta, sulle rive dell’Adige al confine fra i territori di Padova e Rovigo. I protagonisti intrecciano un dialogo composto dalle miserie quotidiane di un quattrocentesco villaggio dove la gente è tuttavia dotata di brio non privo di popolare filosofia. La commedia, a metà strada fra la commedia, la farsa e la filosofia, è cronologicamente la prima umanistico- rinascimentale. L’ambientazione è quella campagna pavana dove 500 anni dopo troverà vita il Ruzante personaggio popolare a volte volgare, Club Armonia a Trento - Piazza Dante (13 giugno 1913) ideato da Angelo Beolco. Catinia con sottotitolo (bevamo, manzamo, galdemo) tornerà in scena a Padova nel 1919, in occasione del seicentesimo anniversario dalla prima edizione, come produzione teatrale di Abracalam. Fu un successo.

LE NOVITÀ SPORTIVE IN VALSUGANA

Nasce la Valsugana Wild Ride La 3TBike cambia identità e nasce la Valsugana Wild Ride. Un cambio radicale. Non solo di nome. Per raccontare la Valsugana con il linguaggio universale dello sport. Una decisione, quella presa dagli organizzatori dell'ASD Gs Lagorai Bike, che non vuole scordare nulla dell'esperienza passata. "Puntiamo - si legge in un comunicato - a valorizzare le risorse presenti sul territorio e ricercare quelle sinergie fra operatori turistici, produttori locali, e amministrazioni, rimarcando lo slogan Territorio/Turismo/Sport che è al centro di tutte le iniziative". La prima edizione della Valsugana Wild Ride si svolgerà sabato 30 luglio, una nuova gara di mountain-bike che sarà proposta in tre format: marathon, classic e "Fun&Ride", pedalata non competitiva in mountain-bike. Confermata la partenza in piazza Maggiore a Telve. Il percorso Marathon di 62,3 chilometri e 2750 metri di dislivello presenta però sostanziali modifiche. "Nuove tracce in sterrati mozzafiato, fatte di sentieri, vecchie mulattiere e single track inediti - ricordano gli organizzatori - con l’eliminazione di tanti tratti asfaltati nel cuore della catena montuosa del Lagorai". Il percorso Classic, di 31,8 chilometri e 1240 metri di dislivello, ricalca il tracciato Marathon ma presenta una deviazione a metà percorso. Le gare "regine" verranno corse il sabato, la domenica sarà dedicata alle categorie giovani con la classica di mtb inserita nel circuito Trentino Kid nel “Bike Parck Zeiati” nel cuore del paese. Spazio anche alla e-bike. Domenica 24 luglio, accompagnati dai maestri di MTB del G.S. Lagorai Bike, è in programma una giornata su un tratto del tracciato della gara Classic per mostrare a tutti gli appassionati, le bellezze del territorio e degustando prodotti locali. Ancora gli organizzatori. "Un'altra grande novità è la cura riservata al pacco gara, dal valore commerciale pari a 120 euro, con uno smanicato tecnico per trekking, montagna e tempo libero e una fascia salvacollo, oltre ad un'immancabile rappresentazione di prodotti tipici locali". Per saperne di più sulla Valsugana Wild Ride www.valsuganawildride.it e la pagina Facebook dedicata @valsuganawildride. (M.D.)

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Persone e fatti di Laura Mansini

Domenico Biondi: insegnare con Arte

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ifficile intervistare Domenico Biondi, soprattutto per un’apparente timidezza che può essere scambiata per arroganza; invece è umanissimo, decisamente schivo, tuttavia quando parla della sua arte, della sua vita si rivela quanto mai interessante. Nato a Fornelli (Isernia) nel Molise nel 1946, vive a Caldonazzo dal 1971. Fin da giovane lavorava presso l’officina del padre, uomo piuttosto severo, dimostrando subito una bella manualità, tanto che a 13 anni insegnava a forgiare il ferro battuto ai ragazzi più grandi. La passione per i metalli è rimasta; infatti ha frequentato l’Istituto d’arte locale, sezione metalli, diplomandosi poi presso la facoltà di Magistero a Napoli, conseguendo l’abilitazione all’insegnamento del Disegno presso le Scuole medie e Superiori. Mentre era studente partecipò al concorso Nazionale su tema sporDomenico Biondi al museo Moma di New York

Domenico Biondi e Marcisce la mela

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tivo del Pantheon Club di Padova, con la scultura “Trofeo” dove ottenne la medaglia d’argento e la Borsa di Studio. Nel 1966 conseguì l’abilitazione all’Insegnamento e ricorda ancora con piacere e divertimento l’arrivo di una lettera gialla contenente l’avviso di un incarico triennale presso la scuola media di Cembra. “Perché proprio in Trentino?”, gli chiedo- “Ero con un amico con il quale si rifletteva su dove fare domanda di assunzione -risponde- visto che da noi in Molise non c’erano molti posti. Egli puntò il dito su Trento e così facemmo.” Il primo incarico come professore di Educazione Artistica lo ebbe dunque

a Cembra, dove rimase per due anni, poi giunse in Valsugana. E qui inizia la sua storia. Conobbe infatti Ivana Abbrescia che sposò nel 1972. La vita, il caso, guidano la nostra vita, infatti anch’io arrivai con la mia famiglia in vacanza nel 1986 a Caldonazzo e siamo rimasti nella nostra bella Valle fino ad ora. Biondi nel 1972 ha partecipato ad una mostra collettiva di Belluno, vincendo la medaglia d’oro per la grafica. Per trent’anni ha insegnato nell’Alta e nella Bassa Valsugana, coltivando contemporaneamente le sue passioni artistiche che lo hanno spinto ad


Persone e fatti impegnarsi in vari campi, spaziando dalla pittura alla scultura, alla grafica ed alla ceramica, è passato ai metalli dal ferro al rame, ha fatto murales e graffiti. Il suo curriculum non racconta tuttavia chi sia veramente Domenico, uomo, attento, disponibile. Incuriosita da questa poliedricità d’interessi, gli chiedo quale sia la sua arte. ”Io mi considero un artigiano-artista”, afferma tranquillo. “mi lascio ispirare dal momento, amo visitare le mostre, ho portato i miei allievi in varie gite scolastiche alla scoperta di siti artistici, ed anche di luoghi bellissimi. Ricordo che avevo accompagnato una classe di ragazzi in Val Camonica, nel Bresciano, per visitare le incisioni rupestri, che costituiscono una delle più grandi collezioni di petroglifi del mondo. Quando tornai iniziai a studiare quest’arte straordinaria che mi aveva conquistato infatti realizzai una serie di sbalzi su rame. Sono curioso e mi piace studiare antiche tecniche, magari portandole ai nostri giorni”. Ha fatto molte mostre personali a Levico, Caldonazzo, Borgo Cembra, Calceranica ed in altri centri della Valsugana. Ha realizzato un “Murales” su una parete del Caseificio di Centa San Nicolò e nel 2012 ha vinto il primo premio al concorso “Natal art” a Caldonazzo con scultura in acciaio inox “Trinità”

Domenico Biondi - Trinità (acciaio inox)

Il professor Luciano Coretti nella presentazione fatta per il Centro d’Arte La Fonte, scrive di lui: ”Partito com’è ovvio, dalla plasticità tridimensionale dei metalli, dalla duttilità del rame, dall’energia del ferro, ha scoperto la tela ed il mosaico...sotto le sue mani ferme ed abili , la forma, il colore eseguono quasi senza sforzo il disegno che la sua mente sente ed elabora. Nonostante la modernità del

Domenico Biondi - Volto di donna su lastra d'argento

Maschera Sole (ceramica)

tratto, il gusto per l’astratto, il cromatismo vivace, allegro, talvolta squillante, le sue opere sono sempre composte, armoniche”. Come composto ed armonico è il professor Biondi, elegante nel vestire, e nel tratto. Io ho avuto modo di conoscere lui e la sua bella famiglia, la moglie Ivana (1947-2019) e la figlia Cristiana, persone ed amiche deliziose, nel lontano 1995, in occasione della prima edizione di “R’Estate”

con noi, da me ideata mentre ero consigliere comunale di Caldonazzo. Chiesi la loro disponibilità ad organizzare corsi di tennis, per i bambini di Caldonazzo, Ivana mi propose un corso di ricamo, Domenico si prestò per un corso di pittura e Cristiana allora giovanissima, collaborò all’organizzazione di questa prima Edizione. Da qui è nata un’amicizia che dura nel tempo, partecipando con me alla vita sociale del paese. Prima di lasciarlo ho chiesto a Domenico se avesse qualche rimpianto. “Si, risponde, forse di non aver frequentato da giovane la facoltà di Architettura; ma non ho potuto o meglio voluto.” Una volta andato in pensione ha sostenuto ed organizzato corsi per docenti che dovevano affrontare l’esame di Abilitazione all’insegnamento delle materie disegno e musica. Da moltissimi anni, inoltre, aiuta concretamente il direttivo del Tennis Club Caldonazzo nella gestione del circolo. Un sorriso tranquillo. Così lo descrive Luciano Coretti: “Come tranquilla è l’audacia dell’inventiva tecnica e formale che, come tutto in Domenico scivola via come fosse normale. Ma normale non è, se non forse per un vero artista”.

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In ricordo di un amico di Massimo Dalledonne

UMBERTO TRINTINAGLIA Era cresciuto nel laboratorio di papà Tito. Come scrive Franco Gioppi nel volume dedicato ai 100 anni dell’attività di famiglia “tra macchine, cavalletti, fonti luminose e l’enigmatica camera oscura. Incuriosito dai misteri della fotografia e delle sue possibili applicazioni”. Sì, perché per Umberto Trintinaglia, la fotografia era la sua grande passione. Così come la musica. Umberto Trintinaglia, per tutti a Borgo “l’Umbertino”, se ne è andato, nelle scorse settimane, all’età di 84 anni. Quando si parla di arte fotografica, in Valsugana, si parla dei Trintinaglia. Una tradizione che Umberto aveva ereditato dal padre, Tito, anch’egli amante della buona musica. Nel 1922 il papà apre lo studio nella casa Apolloni a Borgo. Classe 1937, ultimo di tre figli, fin da giovane Umberto cresce con la macchina fotografica, quella in legno e pesantissima, sempre a portata di mano. Da Bassano a Trento, spesso in littorina, passando da un servizio all’altro. Negli anni lo studio dell’Arte Fotografica Tito Trintinaglia di Borgo, così si chiamava a quel tempo l’attività di famiglia, si sposta: inizialmente al primo piano di Casa Busana e, nel 1952, nella sede di Largo Dordi, di fronte a Casa Apolloni, dove è rimasta la sala di posa. Umberto diventa corrispondente per il Gazzettino e fotografo, per diversi anni, anche del quotidiano l’Adige. Soprattutto per la cronaca nera. Fotografo H24, spesso anche al servizio delle forze dell’ordine. Umberto, le sue foto che ancora oggi campeggiano sia in negozio che in diversi locali ed edifici pubblici della Valsugana. Le foto e la musica. Le sue passioni, entrambe ereditate da papà Tito. Ed il grande amore per la sua famiglia.

Nel 1962 sposa Luciana Gaiardo. Umberto Trintinaglia è stato tra i fondatori, nel 1966, del Complesso Arcangelo Corelli, ottimo flautista ed instancabile organizzatore di concerti e tour sia in Italia che in diverse parti del mondo. Del Corelli è stato per diversi decenni l’anima ed il presidente. Amante della musica classica e barocca, nell’immediato dopoguerra si è prodigato anche per la ri-costituzione in paese della Banda Civica. Una realtà che Umberto Trintinaglia ha guidato, come presidente, negli anni ’80. Quando in paese, così come in Valsugana, c’era un concerto lui era sempre presente. La musica, Umberto, ce l’aveva nel sangue contribuendo alla nascita della locale scuola di musica ed alla promozione della cultura musicale fin dalle prima classi delle elementari. Per molto tempo ha fatto parte, come corista e nella direzione, anche della grande famiglia del Coro Valsel-

la. Una passione per la musica a tutto tondo, passione che ha trasmesso ai figli Paolo, Chiara e Luca che oggi portano avanti l’attività di famiglia. Con l’avvento del digitale, dalla metà degli anni ’90, Umberto non lavora più nella camera oscura. Si passa ai mini-lab e i plotter. Nello studio in Largo Dordi ha conservato tantissimo materiale. Così tanto da poterci fare un vero e proprio museo. Dal bromografo costruito da Tito all’ingranditore della Manzotti degli anni ’30. Ci sono anche le prime macchine fotografiche di legno che riprendevano su lastra. Erano le «macchine da terrazza» che servivano per fare i ritratti, le foto di famiglia. Nel 2013 aveva organizzato una mostra a Borgo per raccontare i 100 anni di vita dell’attività fondata dal papà Tito. Il lavoro cambia ma, fino a quando ha potuto, ogni giorno si recava in negozio. C’era la moglie Luciana da accompagnare al lavoro, per una intera vita al suo fianco, gli amici da incontrare. Gli amici di lunga data. Di ieri e di oggi. Gli amici di sempre. A mio padre Troppo presto ci hai lasciato per darti quello che ti dovevo Oggi ricordo la faccia della tua morte onesta e serena come la tua vita Perdonami se poco pianto è sceso sulla tua tomba forse col pianto ti avrei dimenticato Ti saluto così come quando non ti salutavo per restare più vicino al tuo passato Umberto, Natale 1959

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Il personaggio delle “Quattroruote” di Alessandro Caldera

LEWIS HAMILTON Il “Re nero” della Formula 1

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onostante la nostra società continui a decantare questo incredibile progresso, possiamo dire che alcune situazioni appaiono immutate dall’era dei tempi. Una di queste problematiche, rappresentativa più dell’ignoranza e della malvagità dell’uomo che di una sua reale crescita, riguarda il fenomeno del razzismo. Una vera e propria piaga, che si è palesata con maggior vigore durante la “Seconda guerra mondiale”, ove si teorizzò la superiorità della razza ariana, e successivamente in Sudafrica con l’Apartheid, aberrante politica segregazionista che portò ad una condizione di vita atroce per le persone di colore, costantemente sottoposte al giogo dei “bianchi”. Queste situazioni, ad oggi, non esistono più in modo così esasperato ed estremizzato e ciò anche grazie a movimenti di condanna concreta e virtuale, come ad esempio “Black Lives Matter”. Proprio grazie a quest’ultimo si può introdurre il protagonista di oggi, grande sostenitore della causa e pilota più vittorioso di sempre, noto con l’epiteto di “Re nero” ma per tutti, più semplicemente, Lewis Hamilton. Il campione britannico vanta origini inglesi dal lato materno, mentre da quello paterno va ricordato come il nonno fosse originario di Grenada, nel mar dei Caraibi, e si fosse trasferito nel Regno Unito solamente nel 1954. La famiglia di Lewis non era particolarmente facoltosa, ragione per la quale il padre Anthony, successivamente manager di F1, dovette svolgere diversi lavori, anche contemporaneamente, per consentire al

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figlio di approcciarsi a questo sport tanto bello, quanto dispendioso a livello economico. Questi sforzi da parte di padre e figlio verranno ripagati nel ’97, quando Ron Dennis, storico team principal Mclaren, mise

sotto contratto il ragazzo, vedendo in lui il futuro dominatore della F1. Il dirigente britannico non si sbagliava affatto, Hamilton infatti ottenne diverse vittorie già nelle categorie minori, su tutte ricordiamo la conquista del campionato GP2, che gli consentirà il passaggio nella “classe regina”, ufficializzato il 24 novembre 2006. La stagione successiva vide quindi il talento anglo-caraibico alla guida della monoposto di Woking, in qualità di secondo pilota, affiancato dall’eterno Fernando Alonso, reduce ai tempi dalla conquista dei mondiali 2005 e 2006 con la Renault, con cui aveva recentemente divorziato in favore del progetto della casa inglese. Dal punto di vista della qualità di guida espressa e dei risultati ottenuti, la prima stagione di Lewis fu quasi perfetta. Quello che mancò, per poter conferire la lode, fu la conquista del titolo iridato, perso per un errore in Cina e per una gestione errata al via


Il personaggio delle “Quattroruote” della corsa nell’ultima tappa in Brasile, dove a trionfare per la gioia dei ferraristi fu Kimi Raikkonen, divenuto poi grazie a quel successo campione del mondo. Parlando in termini puramente aritmetici ciò che separò Hamilton dal titolo all’esordio (il trionfo lo avrebbe consacrato a pilota più precoce) fu un punto. La vendetta dell’inglese non tardò però ad arrivare, su quella stessa pista, la stagione successiva, il karma si accanì con la Ferrari “scippando” Felipe Massa, pilota del Cavallino, del titolo che andò a Lewis, uscito vincitore proprio con una lunghezza di margine. A rendere però numericamente immortale Hamilton, fu l’avvento della cosiddetta “Hybrid era” che comportò un abbandono del precedente V8 aspirato, in favore dell’innovativo V6 turbo-ibrido. Questo considerevole cambiamento a livello tecnico, che si manifestò nel 2014, fu di un anno successivo rispetto alla decisione del pilota britannico che, dopo tante lusinghe e un lauto stipendio, aveva ceduto al corteggiamento di Mercedes. I numeri con la casa di Brackley, dove ha sede il reparto corse, sono a dir poco impietosi con circa 80 successi in 160 Gp, statistica imbarazzante che dimostra la superiorità della casa tedesca rispetto ai rivali. Proprio questa mancanza reale di concorrenza ha contribuito negli ultimi anni ad allontanare parzialmente gli spettatori dalla F1 e a sminuire le gesta del pilota britannico, impostosi nel 2014 e 2015 e poi successivamente dal 2017 al 2020. Solamente la Red Bull e Verstappen hanno separato Hamilton dal raggiungimento dell’ottavo titolo, traguardo che gli avrebbe consentito di scalzare il “Kaiser”, Michael Schumacher, con cui si trova al momento ad ex-aequo per numero di titoli iridati. Comunque in attesa di quello che il rivoluzionario 2022 ci racconterà, Lewis ha dimostrato una velocità non indifferente sul giro secco, demolendo addirittura il proprio mito Ayrton Senna, e soprattutto una concretezza e una lucidità in gara che gli hanno permesso di sfondare il muro delle 100 vittorie in carriera. Hamilton è quindi un uomo cruciale nella storia di questo sport, colui che partendo dal nulla ha costruito “un impero”, dando voce e riscattando tanti anni di soprusi per le persone di colore.

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Ieri avvenne di Maurizio Panizza

LA PELLAGRA IN TRENTINO, LA MALATTIA DEI POVERI L’impegno del dott. de Probizer e la sua definitiva scomparsa ai primi del ‘900

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egnalata ancora agli inizi del 1700 in Spagna come “male della rosa”, la pellagra era una grave malattia che all’interno dell’Impero Austro-Ungarico colpiva verso la fine dell’Ottocento in particolare le popolazioni rurali del Tirolo meridionale, l’attuale Trentino. Le zone più colpite in assoluto erano le Valli di Terragnolo e di Vallarsa, ma anche la Valle di Gresta, Folgaria e la Valsugana. Le cause erano da ricondursi all’estrema miseria di alcune classi contadine costrette a una dieta poverissima basata essenzialmente solo su prodotti di farina di mais (polenta, mosa, pane giallo) senza apporti nutrizionali di altro genere. “Miseria e polenta fanno pellagra”, era

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il detto che girava agli inizi del Novecento, anche se per lungo tempo non fu possibile comprenderne la vera origine. In effetti, il problema di fondo era proprio la povertà favorita anche dai balzelli sui generi alimentari di prima necessità, come ad esempio la farina bianca, che ne riducevano sensibilmente l’acquisto e il consumo. Per molti anni fu dunque difficile individuarne le cause, al punto tale che la malattia non veniva riconosciuta dal Governo Austriaco, né inserita nei programmi di insegnamento medico universitario. In tal senso si arrivò addirittura al punto che i primi anni in cui si manifestò, molti funzionari sanitari consideravano le segnalazioni di questa misteriosa malattia come una “italienische Gaunerei”, cioè una truffa tutta italiana al fine di ottenere sovvenzioni economiche. Ma non era affatto così. Grazie all’impegno del medico roveretano Guido de Probizer, nel primo decennio del ‘900 si iniziò ad applicare allo studio scientifico della malattia pure l’indagine demografica sull’incidenza territoriale del fenomeno, coinvolgendo i comuni, i medici condotti, i parroci.

Il primo grande merito di de Probizer fu dunque quello di convincere le autorità pubbliche che si trattava di un problema serio su vasta scala, non solo sanitario ma anche sociale. Da quella statistica che interessava il Tirolo di lingua italiana uscì finalmente un quadro reale della diffusione della malattia. Il distretto politico di Borgo, ad esempio, nel 1904 contava ben 1516 ammalati, con un rapporto di 1:36 sul totale della popolazione. I sintomi della pellagra, molto variabili da caso a caso (difficoltà ulteriore per diagnosticare la malattia), facevano capo a tre distinte patologie: dermatite, diarrea, demenza. In genere per primi si manifestavano i disturbi alla pelle che si presentavano come una


Ieri avvenne dermatosi eritematosa con croste che in particolare andava a colpire le parti scoperte del corpo, cioè il viso, la nuca, il collo, il dorso delle mani e dei piedi. Seguivano i sintomi intestinali, caratterizzati da dolori addominali e da diarrea. Infine comparivano disturbi neuro-psichici, cioè paresi, tremori, convulsioni e perdita di memoria, stati confusionali e crisi maniacali. L’andamento era grave, cronico e irreversibile. Per dare un’idea del fenomeno, basti pensare che nel quinquennio fra il 1889 e il 1894 furono ricoverati nel manicomio di Pergine ben 214 pazzi pellagrosi, che da soli costituivano il 20% di tutti i ricoverati presso l’Istituto. Finalmente, grazie alla determinazione del dott. de Probizer sia in campo medico che in quello politico e amministrativo, nel 1904 quando erano quasi 5000 i pellagrosi del Trentino meridionale - si arrivò alla firma da parte dell’imperatore Francesco Giuseppe della legge contro la pellagra. Essa consisteva in numerosi provvedimenti fra cui l’erezione e il mantenimento di appositi ospedali (pellagrosari); l’avviamento delle cosiddette “cucine economiche” dove, a poco prezzo, veniva offerto del cibo sano e diversificato, da cui però erano esclusi polenta e vino; la costruzione di panifici comunali o circondariali per calmierare il prezzo del pane; l’istruzione della popolazione sulla malattia e sul modo di combatterla oltre a premi e incentivi per coloro che seminavano frumento al posto del mais o acquistavano una mucca da latte. Furono pure decisi sostanziosi interventi in favore dell’edilizia e dell’igiene scolastica, nonché per l’acqua potabile e le reti idriche. L’anno successivo, dopo lavori portati avanti in maniera rapidissima, fu inaugurato il primo ospedale dedicato in assoluto alla cura della pellagra. Come localizzazione fu scelta la città di Rovereto, distretto in cui la malattia, più che altrove, era presente in maniera preoccupante, e il luogo per costruire il pellagrosario fu un terreno agricolo di 35.000 metri quadri posto su di una collina in posizione soleggiata (l’attuale Viale dei Colli). Scriverà in proposito il giornale “L’eco del Baldo” del 3 giugno 1905: “Intervenne il Principe Vescovo Monsignor Celestino Endrici che impartì la solenne benedizione al nuovo superbo pellagrosario di Rovereto e consacrò la Cappella dell’Istituto dedicata a San Sebastiano”. Con la presa d’atto che la pellagra poteva essere debellata con una più sana alimentazione e con la scoperta di farmaci per contrastarla, nel corso degli anni successivi i nuovi casi si ridussero notevolmente e nell’arco di un decennio scomparvero quasi del tutto. Nel 1914 di quella “misteriosa” patologia rimaneva ormai solo un brutto ricordo e la guerra che di lì a poco avrebbe travolto il Sud Tirolo e tutta l’Europa avrebbe cancellato ben presto pure quello.

Estratto dal libro “Diario Familiare” di Maurizio Panizza, Curcu Genovese-Athesia Editore, Bolzano 2018.

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Il personaggio di ieri di Massimo Dalledonne

GERALAMO BORTONDELLO

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cienzato, scrittore e presbitero. La figura di Gerolamo Bertondello non può e non deve passare inosservata. Soprattutto per i suoi concittadini di Borgo e della terra dove ha trascorso la sua vita terrena. Quest’anno si ricordano i 330 anni dalla sua morte, avvenuta a Borgo il 21 giugno del 1692 all’età di 85 anni. Come scrive don Armando Costa nel suo volume “Cives Burgi Ausugum memoria digni” studia medicina e filosofia a Padova, laureandosi nel 1630 a Bologna e facendo pratica di medicina a Roma. Per qualche tempo esercitò a Castelfranco Veneto e, una volta rientrato in Valsugana, nel 1636 esercitando a Borgo si impegno nel circoscrivere il contagio della peste che era scoppiata nel vicino territorio di Levico. “Del Borgo – scrive don Costa – fu pure ottimo consigliere comunale per 40 anni e negli anni 1632, 1650 e 1665 coprì degnamente anche la carica di sindaco. Uomo stimato e insigne per profonda erudizione, solida pietà e impegnato nella vita pubblica ricoprì anche la carica di ambasciatore per Borgo presso il municipio di Mantova”. Gerolamo Bertondello fu sposate per ben 56 anni con Anna Maria Buffa dalla quale ebbe 14 figli e due figlie. Ancora don Costa. “Rimasto vedovo, nel 1687, sebbene ottuagenario, per concessione di Papa Innocenzo XI si fece sacerdote e benché prete, ebbe licenza di esercitare la professione di medico”. Scienziato e amministratore. Ma anche scrittore. Sei i libri che portano la sua firma con diverse tavole sulla storia universale, dalla fondazione di Roma al 1669. Scrisse, dedicandola all’allora vescovo Bartolomeo Gera, anche la storia della

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città di Feltre. Il vescovo era figlio della borghesana Elisabetta Ceschi di Santa Croce. “I feltrini, riconoscenti – riporta nel suo libro don Costa – il 9 marzo del 1675 li riconobbero il titolo di nobile cittadino e, alla sua morte, realizzarono una lapide in ricordo nella chiesa cittadina di Ognissanti”. Gerolamo Bertondello scrisse anche un volume sul romitaggio di San Silvestro a Marter ed uno dal titolo “Ristretto della Valsugana”. Porta la sua firma pure una relazione, stampata a Bassano, sulla traslazione dei resti di San Prospero a Borgo, lavoro dedicato all’allora giurisdicente di Telvana conte Carlo Vincenzo Giovannelli. Si occupò anche di tramandare notizie sull’ordine delle Clarisse, il monastero di S. Anna e sul

santuario di Madonna di Onea. Nel corso della sua vita divenne amico dell’arciduchessa Claudia de Mici (1604-1648) e del principe reggente Sigismondo Francesco (1630-1665) “promuovendo – ricorda ancora don Armando Costa – con sincera devozione e zelo i progetti religiosi della venerabile Giovanna Maria della Croce di Rovereto (1603-1673) in Vallagarina e nella comunità di Borgo. Con la sua operosità arrivò a cancellare dalla Valsugana gli ultimi resti striscianti del protestantesimo”. Gerolamo Bertondello morì a Borgo il 21 giugno del 1692 e, trovandosi senza eredi (tutti i suoi figli erano morti), lasciò tutto il suo patrimonio a Giovanni Paolo Hippoliti, sposo di una sua nipote. Impegnando, in questo modo, la famiglia Hippoliti a trasferirsi da Pergine a Borgo Valsugana. Ancora oggi il suo stemma è ben visibile sulla facciata del palazzo ex Hippoliti sul corso Ausugum ed il comune di Borgo Valsugana gli ha dedicato una via che si trova nei pressi dell’ex campo da calcio in viale Vicenza.


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Pianeta donna di Chiara Paoli

Intervista a Marzia Bortolameotti, fondatrice di “Donne di montagna”

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ome e quando nasce “Donne di montagna”? Donne di montagna nasce dal congresso Sat 2016 dal titolo “Montagna al femminile”, io ero stata contattata per stendere il programma, in cui si sono alternate diverse storie; ero rimasta colpita soprattutto da questa donna capocordata. Ho quindi pensato che sarebbe stato interessante dare un seguito a questo materiale a questa tematica della montagna al femminile. Ho chiamato la presidente della Sat di Zambana Adriana Moser e quella di Ravina, Caterina Mazzalai che mi avevano aiutato nell’organizzazione del congresso e insieme ad altre figure femminili che vi avevano preso parte, abbiamo aperto nel 2018 questo blog al femminile, per raccontare storie di donne e montagna. Il blog è cresciuto inizialmente su Facebook e poi su Instagram, dove ha avuto maggior successo; ho iniziato a crederci usando l’hashtag #Donnedimontagna per condividere contenuti. Questo hashtag ha permesso di trovare un racconto di montagna al femminile che in breve tempo è divenuto molto popolare; viene usato per riconoscersi e identificarsi e ad oggi possiamo contare 47.000 tra post e foto. In seguito, avete cominciato a proporre anche esperienze di vario tipo,

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quali? Le esperienze hanno avuto molto successo; nonostante ci sia stato di mezzo il Covid; l’intento è quello di rendere indipendenti le donne, affinché non stiano ad aspettare il marito, ma magari partano con un gruppo di amiche per essere autonoma e sicura di sé anche in montagna. Tra le varie attività organizzate anche “Mum & mountains” per avvicinare mamme e bambini al mondo della montagna e dei rifugi dove passare la notte per godere di un fine settimana in quota. Quest’anno abbiamo proposto molte attività legate al ghiaccio e all’ice-climbing dando avvio al primo meeting di arrampicata su ghiaccio in Piemonte a Cogne, ma è andato molto bene anche il corso di scialpinismo. Nel 2021 abbiamo organizzato


Pianeta donna

anche il terzo raduno delle donne guide alpine, una sorta di accademia per migliorare e approfondire le proprie conoscenze sulla montagna. Diciamo che siamo partite dal mondo virtuale ma ora proponiamo anche attività d’incontro e di scambio che rafforzano l’autostima e la propria indipendenza. Di cosa si occupa inoltre questo staff tutto al femminile? Questa rete al femminile si sta allargando per proporre varie attività, al suo interno abbiamo diverse figure professionali, dalla videomaker alla mediatrice scientifica, la guida alpina e quella di media montagna, chi si dedica alla grafica e chi ai contenuti. Ci occupiamo di video e contenuti promozionali legati al tema dell’outdoor, consulenze per la comunicazione digitale, progetti per narrare la montagna sui canali social, testi per il web e programmi TV. Cos’è che ti ha dato più soddisfa-

zione in questo progetto? Quello che mi ha dato maggior soddisfazione è stato veder crescere il progetto e riscontrare molto interesse anche a livello nazionale come avvenuto ad esempio per l’articolo comparso su Vanity Fair. Vi è poi l’appagamenti di avere il supporto di un’azienda come Montura e soprattutto la soddisfazione delle donne che partecipano alle nostre proposte. Lo vedo nel gruppo WhatsApp che creo una settimana prima dell’evento, dove vengono caricate le foto a fine attività e dove si moltiplicano i ringraziamenti e la soddisfazione delle persone che hanno preso parte al camp.

di 3 anni e mi sono licenziata per inseguire le mie aspirazioni e fare l’accompagnatrice di media montagna. Sto iniziando inoltre un percorso importante sul tema della leadership al femminile, sulla sicurezza in sé stesse e sulla costruzione di una donna forte, autonoma. Progetti per il futuro? Sicuramente per l’estate si punterà molto sui trekking, in giornata o di più giorni e anche al di fuori dei confini provinciali, alpinismo e ghiacciaio rimangono temi portanti; è prevista inoltre una collaborazione con Viaggi Giovani, un nuovo format per i canali web e una nuova trasmissione TV. Per rimanere aggiornati su tutte le attività visitate il sito: https://donnedimontagna.com/

Qualcosa che invece non riconosci o non vuoi all’interno di “Donne di montagna”? Partecipo solo agli eventi che mi piacciono come Superski Atomic, perché prova test tutta al femminile. In realtà ci sono molti eventi a cui mi chiamano, ma io non faccio la vita da influencer, non vado in alberghi o spa dove sono invitata; voglio che il canale sia libero da sponsor eccessivi. Sul nostro blog non si vende nulla e non si vuole lucrare sul prodotto, per me si tratta di un impegno civile, voglio essere un esempio, sono mamma di una bambina

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Tra Storia, Poesia e Letteratura di Silavana Poli

Luigi Pirandello l’autore che viaggia tra maschere e follia

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uigi Pirandello nasce ad Agrigento nel 1867 da famiglia benestante che vive di estrazione e commercio dello zolfo. In casa si respirano ideali risorgimentali: il nonno aveva partecipato alla rivoluzione siciliana del 1848 e il padre alla spedizione dei Mille. Si iscrive alla Facoltà di Lettere prima a Palermo, poi a Roma e si laurea a Bonn con una tesi sul dialetto agrigentino. Nel 1894 Pirandello sposa Antonietta Portulano. Il matrimonio, com’è consuetudine per l’epoca, è combinato dalle famiglie: i due padri sono soci e anche la ricca dote di Antonietta confluisce nella zolfara. A Roma, dove si stabiliscono, Pirandello insegna e Antonietta si prende cura della famiglia. Lei è una donna molto emotiva e spesso inquieta, tanto che Luigi vive, talvolta con fatica, le fragilità di lei; comunque la relazione tra i due funziona, dal matrimonio nascono tre figli, e la famiglia vive grazie ai proventi della cava di zolfo. Ma, nel 1903, un crollo nella zolfara provoca un allagamento rendendola inutilizzabile. È la tragedia: le entrate che garantivano a tutti una vita agiata, si interrompono e il capitale investito, tra cui la dote di Antonietta, è perso per sempre. La famiglia si trova quindi sul lastrico. Ma anche un altro dramma colpisce Pirandello. Sua moglie, infatti, rimane tanto scossa dall’incidente che il suo delicato equilibrio emotivo frana assieme alle strutture della miniera: Antonietta perde la lucidità, inizia a dare progressivi segni di instabilità mentale e mostra di avere una percezione

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Luigi Pirandello (1934)

alterata della realtà. Inizia così per Pirandello un periodo difficile, che si rivelerà però molto fecondo dal punto di vista professionale. Lo sguardo smarrito e disorientato

della moglie mostra a Pirandello un modo diverso di guardare il mondo: attraverso gli occhi di Antonietta la realtà si frantuma in mille prospettive diverse, in mille caleidoscopiche sfumature e, cambiando il punto di vista,


Tra Storia, Poesia e Letteratura si accorge che una stessa circostanza può essere raccontata in molti modi diversi, talmente lontani da risultare inconciliabili. Pirandello inizia così a raccontare, nei suoi scritti, situazioni in cui si perdono le certezze, contesti che mostrano verità contrapposte, vite che si nascondono abilmente dietro infinite maschere. Spinto dalla necessità, Pirandello lavora senza sosta e continua a pubblicare romanzi e novelle e testi teatrali. Già nel 1904 pubblica, a puntate, “Il fu Mattia Pascal” il suo capolavoro. Il romanzo racconta la vicenda di Mattia Pascal, che viene erroneamente dichiarato morto. In quel momento il protagonista decide che la vita gli sta offrendo un’altra opportunità: cambia pettinatura e taglio di barba, indossa nuovi abiti e nuovo nome e diventa Adriano Meis. Mattia sceglie quindi di togliersi la “maschera” di fallito, misero e infelice e, grazie alla congrua somma di denaro vinta al casinò, veste i panni del ricco Adriano che vive di rendita. Ma questo cambiamento si rivela, ben presto, più complicato del previsto. La sua nuova identità non gli permette di vivere pienamente perché, per lo stato italiano, Adriano Meis non

esiste. Gli tocca vivere nell’ombra, senza poter andare in albergo, dove gli chiederebbero i documenti, senza rivolgersi alla polizia quando viene derubato, e soprattutto senza poter sposare la fanciulla di cui è innamorato e che lo corrisponde. I protagonisti delle 246 novelle di Pirandello provengono quasi sempre dalla piccola o media borghesia cittadina; appartengono alla sua stessa classe sociale e ne portano i valori, le incongruenze e i paradossi. Ci sono personaggi che vivono schiacciati dalle maschere, dalle regole sociali che calpestano gli individui, che li stritolano, che li opprimono. Alcuni di loro scelgono di fuggire dalla società, per sottrarsi ai vincoli troppo stretti, ma poi si perdono nel mondo. Nelle sue opere Pirandello mostra le incongruenze dell’uomo di tutti i tempi. Tutti indossano maschere, che sono essenziali per stare nel mondo. Ma le maschere schiacciano il flusso vitale dell’individuo e lo opprimono al punto che, a volte, gli tolgono il fiato. E allora è utile guardare al di sotto di esse per riprendere contatto con la propria essenza vitale. Qualche volta, ma solo qualche volta, come insegnano i protagonisti de “La carriola” e “Il treno ha fischiato” si può provare a togliersi la maschera, per

Casa natale di Pirandello

respirare un po’, per divertirsi e fare magari anche qualche gesto che, al mondo, potrebbe apparire folle. Poi, dopo aver preso aria, è necessario indossarla di nuovo, perché, senza di essa, l’uomo si perde e rischia addirittura di impazzire. E, si sa, la follia è un privilegio da usare con moderazione. Qualche personaggio decide di indossare il berretto a sonagli della pazzia per poter “gridare in faccia a tutti la verità”. Già perché, spiega lo scrivano Ciampa nel testo teatrale “Il berretto a sonagli” “la verità non si può mai dire e solo chi è pazzo può permettersi di dire tutta la verità al mondo”. Molte sono le novelle in cui Pirandello ci presenta personaggi che sembrano impazziti. L’autore allora ci porta “dietro le quinte” di tante esistenze per scoprire il senso di quello che la società definisce semplicemente follia. Nella famosa novella “La patente”, si narrano le vicende di Rosario Chiàrchiaro considerato, dalla superstizione popolare, uno jettatore. Il pover’uomo non solo viene segnato a dito per strada e seguito da segni scaramantici, ma perde anche il lavoro. Come fare a mantenere la famiglia e a sopravvivere a questa sventura? Chiàrchiaro, decide di cavalcare l’onda: si lascia crescere la barba, indossa occhiali grossi e scuri, un abito lustro che gli conferisce l’aspetto di un barbagianni, e esce di casa per fare “la professione dello jettatore!” Impazzito? No, assolutamente lucido. Semplicemente decide che, da quel momento, la gente pagherà per far allontanare lo jettatore; e così almeno la sua famiglia avrà di che vivere. Incredibile è la mole di opere che Pirandello ha realizzato, tante novelle diventano drammi teatrali, molti dei quali troneggiano ancora oggi nei cartelloni delle stagioni teatrali; è così che la sua geniale produzione gli vale nel 1934 il premio Nobel per la letteratura.

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Il personaggio di Chiara Paoli

ROBERT MUSIL L’uomo senza qualità e senza Nobel O

ttant’anni fa, il 15 aprile 1942 moriva Robert Musil, noto a molti per essere l’autore del romanzo intitolato “L’uomo senza qualità”, ma anche perché inviato in Valsugana e valle dei Mòcheni durante la Prima guerra mondiale. Conosciamo meglio la sua storia personale; Robert nasce 6 novembre 1880 a Klagenfurt; il padre Albert è un ingegnere. La famiglia si trasferisce ben presto a Chomutov, in Boemia, frequenta il liceo scientifico e poi il collegio militare. Nel 1897 inizia l’addestramento per divenire ufficiale d’artiglieria all’accademia militare di Vienna, ma abbandona il corso per iscriversi a ingegneria meccanica al politecnico di Brno. È qui che si approccia alla letteratura fondando con altri compagni una specie di Cenacolo letterario per condividere letture e momenti a teatro. Nel 1901 supera l’esame da ingegnere e si offre per un anno di servizio militare volontario in fanteria, in questo periodo contrae la sifilide. Lavora come assistente all’istituto tecnico di Stoccarda fino al 1903, e per passare il tempo, inizia a scrivere il Törless; non pago decide di iscriversi all’Università di Berlino e nel 1908 si laurea in filosofia. Nel 1909 dà alle stampe la novella “La casa incantata” che compare sulle pagine della rivista “Hyperion”, non di sola scrittura vive l’uomo e Robert è costretto a svolgere vari lavori per vivere; fino al 1910 è editore della rivista di letteratura e arte “Pan”, in seguito è bibliotecario all’istituto tecnico di Vienna. Dopo il rifiuto di Herma a causa della contrarietà della famiglia di lei, nel 1911 sposa Martha Marcovaldi, nata

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«Un uomo senza qualità non dice di no alla vita, dice “non ancora!” e si risparmia.» (R. Musil, “L’uomo senza qualità”, cap. 97)

Heimann di origine ebraica. In quello stesso anno esce “Unioni” con le due novelle intitolate “Il compimento dell’amore” e “Veronika”, ma la critica non è benevola nei suoi confronti e Musil si rifugia nella scrittura di temi scientifici, collabora con varie riviste e diviene direttore di una di queste. Giunge il tempo di guerra e Musil viene inviato al fronte raggiungendo la Valsugana e quella che lui stesso definisce nei suoi diari “la valle incantata”; qui conosce Lene Maria Lenzi che sarà la protagonista della novella “Grigia”, pubblicata nel 1921. Nel suo diario riporta: “Guerra. Sulla vetta di una montagna. Valle pacifica come durante un’escursione estiva. Dietro lo sbarramento delle sentinelle si va come un turista.” In questo periodo Robert conosce anche il generale Maximilian Becher, che prende a

modello per il personaggio di Stumm von Bordwehr in “L’uomo senza qualità”. Soffre di stomatiti ulcerose e viene più volte ricoverato, dal 1916 è a Bolzano dove lavora come redattore per una rivista militare pubblicando articoli anonimi. L’anno seguente il padre e lui di riflesso, ottengono il titolo nobiliare di “Edler von” da Carlo I. Per qualche anno dopo il conflitto è consigliere per questioni militari, lavora anche come recensore di libri, si tratta di un periodo positivo in cui riesce ad acquistare una casa a Vienna, escono varie novelle e pubblicazioni e lavora come critico teatrale e saggista, ma fatica ad arrivare a fine mese. Nel 1925 riceve da Rowohlt un anticipo per la stesura di quello che sarà il suo capolavoro, ma il cui titolo era ancora incerto, tra le opzioni:


Il personaggio La spia o La sorella gemella o Il redentore. Nel 1930 vede la luce il primo volume della trilogia, l’anno dopo si sposta a Berlino, lavorando come critico di teatro per vari giornali, ma soltanto fino al 1933, quando salgono al potere i nazisti e temendo per le sorti della moglie, fa nuovamente ritorno a Vienna ed esce anche il secondo volume. Viene fondata la “Musil-Gesellschaft”, una società di amici che si offrono di aiutarlo economicamente, nel 1936 vengono pubblicate le “Pagine postume pubblicate in vita”. L’anno successivo, nonostante i problemi di salute, sostiene la famosa conferenza Sulla stupidità. Con l’annessione dell’Austria al Reich emigra con la moglie in Svizzera passando per l’Italia, inizialmente sono a Zurigo e poi a Gi-

nevra. Robert continua a lavorare alle bozze del terzo volume, senza riuscire a completarlo. Secondo le sue volontà, il suo corpo viene cremato e le ceneri disperse in un bosco. Se le sue qualità sono quelle del letterato moderno, alla sua persona non mancavano certo i difetti; Musil era un grande consumatore di caffè e tabacco, sempre elegante e con un’impostazione militaresca, risultava però spesso antipatico e maldestro nel gestire rapporti interpersonali. E forse in questa sua citazione c’è un pizzico di autocritica: “E poiché possedere delle qualità presuppone una certa soddisfazione di constatarle tali, è lecito prevedere come a uno cui manchi il senso della realtà anche nei confronti di sé stesso, possa un bel giorno capitare di scoprire in sé l’uomo senza qualità”.

Roberto Paccher visita alcuni insediamenti industriali e artigianali della Valsugana

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isita del vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Paccher in alcune realtà imprenditoriali della Valsugana. L’uomo politico è stato affiancato dall’assessore alle attività produttive della Provincia Achille Spinelli. La prima parte della mattinata è stata dedicata alla visita della Finstral di Scurelle con Luis Oberrauch, responsabile della Divisione Italia, a fare da guida d’eccezione, in compagnia del figlio Florian, alla delegazione arrivata da Trento. Finstral, azienda di proprietà proprio della famiglia Oberrauch è nata sull’altipiano del Renon ed in 50 anni di storia è cresciuta costantemente, diventando uno dei principali produttori europei di finestre, verande e porte d’ingresso: “E Finstral è profondamente legata alla Valsugana e alla sua gente, visto Da sinistra Luis e Florian Oberrauch, Roberto Paccher, Achille Spinelli che si è insediata da queste parti nel 1978. Ad oggi l’azienda ha oltre 400 dipendenti in valle, di cui circa un centinaio sono donne. Non solo. L’attaccamento di questa realtà con il territorio, e con i propri collaboratori, ha una cartina di tornasole nella fedeltà del rapporto di lavoro: ben 170 degli attuali dipendenti hanno superato i 20 anni di presenza in Finstral”. L’assessore Achille Spinelli ha osservato come Finstral, con un fatturato in costante aumento, abbia di converso “operato grandi investimenti sul nostro territorio. Lo ha fatto con attenzione alla qualità del lavoro, alla sicurezza e alla bontà del prodotto”. Paccher e Spinelli hanno poi visitato la “Schmid Termosanitari” di Calceranica, azienda che dal 1981 è specializzata nel settore idraulico e termoidraulico: “Si tratta di un’attività artigianale in espansione che rappresenta una delle eccellenze della Valsugana” ha osservato il vicepresidente del Consiglio regionale.

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Storie di guerra di Fiorenzo Malpaga

GLI UNTERSTAND (casematte - ripari)

Strutture realizzate durante la prima guerra mondiale, sulla collina di Tenna

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ulla collina di Tenna, nell’area vicino al forte austroungarico costruito negli anni 1880 – 1890 , sono state realizzate, nelle zone vicino alla fortificazione, sia verso il lago di Levico che verso il lago di Caldonazzo, dei fortini campali, i cosiddetti “Unterstand”, dei ripari, delle casematte, impiegati durante la guerra come postazioni della contraerea. Tali opere rientravano nel piano austro-ungarico di difesa della fortezza di Trento attuato negli anni successivi al 1882, con delle fortificazioni atti a garantire lo sbarramento dell’Alta Valsugana, nel caso di attacco proveniente dal sud-est da parte dell’esercito italiano. L’area più adatta per il nuovo sistema difensivo fu individuata sulla collina di Tenna, nei pressi del forte “Werk Tenna” sito che permetteva di controllare l’area di Levico, di Caldonazzo ed anche del perginese, in posizione centrale rispetto ai due laghi, il Menador, la strada della stanga la Vigolana, e i collegamenti con gli altopiani di Monterovere e Lavarone. I due laghi non erano guadabili e quindi lo sbarramento di Tenna denominato “Sperre Tenna” unitamente alle opere realizzate sul colle delle Benne, sopra il lago di Levico denominato “Werk Forte delle Benne”, costituivano una chiusura completa a difesa dell’eventuale avanzata verso Trento, da parte delle truppe italiane. Un vero e proprio campo trincerato, la cui realizzazione si era protratta per tutto il decennio 1880- 1890, tenen-

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do conto del particolare momento storico di quel periodo, posto che le opere in “muratura e terra” non erano in grado di resistere ai tiri delle nuove artiglierie e il calcestruzzo e la sistemazione delle artiglierie all’interno di “torri corazzate” rappresentavano la novità delle nuove fortificazioni belliche. Dopo l’ultimazione delle opere dello sbarramento di Tenna, nel 1890, iniziò la costruzione della ferrovia della Valsugana, pure dotata di opere di carattere militare, fra le quali un piano caricatore nei pressi dell’attuale ristorante Al Brenta di Levico, al servizio del forte di Tenna. Dopo il 1916, anno di avanzamento delle linee del fronte, il forte di Tenna fu utilizzato come alloggio alle truppe d’assalto; le batterie furono spostate su altri fronti,

integrando la riserva dell’artiglieria della Fortezza di Trento; sulla dorsale di Tenna rimasero postazioni della contraerea con grandi fortificazioni campali. Le fortificazioni campali, cioè le casematte, gli “Unterstand”, indicati in tedesco, realizzati nel contesto di tale sbarramento, sono stati documentati per la prima volta nella ricerca di Volher Jeschkeit tradotta nel libro “Le linee avanzate della fortezza di Trento” ed. Curcu e Genovese 2010. Queste fortificazioni rientravano nel sistema di difesa della Valsugana a protezione di Trento, costruite in calcestruzzo (si trattava di una tipologia costruttiva nuova per il tempo) e rafforzate all’interno con putrelle di ferro. Erano armate con mitragliatrice, con


Storie di guerra

direzione di tiro che copriva i passaggi dalla Valsugana o verso il Lago di Levico oppure nella direzione del lago di Caldonazzo. L’arma era posizionata in apposite aperture, strette sull’esterno per garantire la sicurezza dei soldati all’interno delle fortificazioni. Gli unterstand erano dei veri e propri

fortini, anche se di dimensione ridotta, a prova di bomba ed incursione sia aerea che terrestre; lo spessore dei muri perimetrali eccedeva il metro ed anche il tetto, armato in calcestruzzo e putrelle, superava il metro di spessore. Nella zona di Tenna sono presenti ancora sei fortini, di cui uno è stato distrutto negli anni sessanta per costruirvi sopra una casa, ed altri tre sono situati nei pressi del Mation, dopo la chiesetta di San Valentino, al servizio del caposaldo militare telefonico ivi operante durante la grande guerra. A distanza di oltre un secolo, tali manufatti si conservano ancora intatti; infatti la qualità architettonica e le tecnica di costruzione era ottima, nonostante siano stati spogliati nel tempo di tutte le putrelle di ferro presenti all’interno, di cui si notano

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i segni. Il tetto e le pareti sono a completa tenuta da infiltrazioni di acqua e questo garantisce la solidità del manufatto. Dal fronte meridionale italiano non erano visibili, perché il tetto era ricoperto da vegetazione e le aperture per le mitragliatrici erano orientate ai lati verso Levico o Caldonazzo. Alcune fotografie documentano l’esterno e l’interno di alcuni unterstand di Tenna: l’auspicio è che in futuro possano essere fatti conoscere e valorizzati, con interventi di pulizia, ovviamente previo accordo con i proprietari. Fonti consultate: *Tenna cenni storici a cura Associazione Amici della Storia Pergine ed. Publistampa 1993 *Le linee avanzate della fortezza di Trento di Volker Jeschkeit Curcu e Genovese 2010

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Il personaggio di Andrea Casna

Don Giuseppe Grazioli Un prete per il riscatto del Trentino

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ra i personaggi di spicco dell’Ottocento Trentino troviamo il sacerdote Don Giuseppe Graizoli, nato a Lavis nel 1808 e morto a Villa Agnedo, in Valsugana, nel 1891. Don Grazioli, sacerdote in Valsugana dal 1836, fu uno dei principali protagonisti della vita politica ed economica dell’Ottocento trentino. Nel 1848, l’anno della rivoluzione, fu incarcerato ad Innsbruck per le sue simpatie filo italiane. In Francia la rivoluzione divampò per ottenere la democrazia e nei paesi austro-tedeschi i popoli insorsero per avere una maggiore indipendenza. In Italia scoppiò la

Prima Guerra d’Indipendenza e in Trentino prese piede il movimento per l’autonomia amministrativa da Innsbruck. È in questo contesto che si inserisce l’arresto del Grazioli perché considerato dalle autorità del tempo «caldo e fanatico sostenitore della causa Italiana». Fu arrestato e incarcerato ad Innsbruck perché sospettato di aver appoggiato il movimento dei Crociati: militanti veneti che nel mese di aprile occuparono Vezzena, Luserna e Lavarone e sconfitti il 9 giugno ad Enego dagli austriaci. Il 20 agosto, dal carcere di Innsbruck, scrisse che terminata la bufera rivoluzionaria «i popoli si troveranno in po-

Lavis, Monumento a don Giuseppe Grazioli (da il Mulo.it)

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sizione di maggiormente svilupparsi, la sicurezza personale, l’eguaglianza in faccia alla legge ed altri beni saranno retaggio dell’umanità tutta anziché di una classe privilegiata; e così come il temporale agita, scuote la natura, schianta anche ed abbatte degli alti alberi, delle vecchie torri, con fracasso e rovina, pure cessato è purgata l’aria, il cielo ride più sereno, e la natura pare rinvigorita, così sarà della società riordinata dal presente civil temporale che tanto la scosse ed agitò; l’umanità avrà fatto un passo nel perfezionamento morale. Non vorrei per altro che queste fossero utopie d’un povero ottimista, il quale


Il personaggio

Don Grazioli (by Eugenio Prati)

in sicuro carcere, non si sa come possa parlare in questo modo». Fu liberato alla fine di agosto grazie all’amnistia. Nello stesso periodo molti sacerdoti furono accusati di aver benedetto le bandiere dei Corpi Franchi che nella primavera del 1848 avevano occupato la valle di Ledro, le Giudicarie e le valli di Non e di Sole. Altri ancora furono accusati per aver espresso, durante le funzioni religiose, l’importanza della separazione del Trentino dal Tirolo tedesco. L’intera vita del Grazioli fu proiettata al sostegno e alla tutela dell’italianità trentina. Un sentimento che si manifestò vivamente nella raccolta fondi, da lui

avviata, per l’erezione del monumento a Dante in Trento inaugurato nel 1896. Prima di assumere la cura d’anime ad Ivano Fracena, svolse un viaggio in Italia. Un’esperienza, questa, che lo spinse ad elevare la penisola come madre patria per la comunanza della cultura e della lingua. Le aspirazioni nazionali, inoltre, erano di famiglia perché Carlo Stenico, il suo fratellastro per via di madre, nel 1860 partecipò alla battaglia del Volturno nello squadrone di cavalleria «Diavoli Rossi del Vesuvio». Il suo operato è legato all’epidemia del baco da seta che danneggiò,

nella seconda metà dell’Ottocento, l’attività serica trentina. Fra il 1860 e il 1863, su richiesta del Comitato bachicoltori trentini, effettuò molti viaggi nei Balcani e in Asia Minore per cercare semi di bachi sani. Un tentativo che si rivelò inutile perché l’epidemia si era diffusa anche in quelle terre. Caparbio e tenace, il Grazioli effettuò cinque viaggi in estremo oriente, dove l’epidemia non era arrivata e la bachicoltura era ancora sana. Il sacerdote importò dalla città di Yokohama, (Giappone), ingenti quantità di cartoni di seme di bachi da seta riuscendo a risanare la bachicoltura e l’economia serica del Trentino. Eletto cittadino onorario a Lavis nel 1867 ed eletto deputato alla Dieta di Innsbruck, negli anni successivi dispose per l’istituzione di una Scuola Agraria a Trento, partecipò all’erezione del monumento a Dante e provvide per la costruzione nel suo paese natale di un campo sperimentale e per una serra innesti. Morì nel 1891. Qualche giorno prima della sua dipartita, l’Alto Adige scrisse che lo stato di salute «dell’egregio patriota è da qualche giorno aggravatissimo. L’illustre infermo è nella sua casa a Villa Agnedo. Speriamo ancora che egli possa superare il male ed essere conservato l’affetto di tutto il paese da lui tanto e sì fortemente amato». Sono parole che testimoniano l’attaccamento e l’affetto che l’opinione pubblica nutriva nei suoi confronti, non solo per le sue posizioni politiche, ma anche per aver salvato l’economia del baco da seta dalla prebina. Sempre l’Alto Adige, il 27 febbraio di quell’anno, dedicò al Grazioli un supplemento straordinario. Nelle prime battute si legge: «Don Giuseppe Grazioli non è più. Tutto il paese è dolorosamente commosso dalla scomparsa di codesto venerando vegliardo. Il Grazioli era la personificazione vivente di una grande idea - La devozione alla patria».

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Salute & Benessere di Rolando Zambelli, titolare dell’Ottica Valsugana, è Ottico Optometrista e Contattologo

PER RIDURRE LO STRESS VISIVO COGNITIVO

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elle semplici regole per una buona igiene visiva per i bambini È fondamentale già in età scolare fare una buona prevenzione. Questo prevede l’attenzione da parte dei genitori ad insegnare al bambino una corretta postura di studio, poiché un’efficace igiene visiva facilita l’apprendimento e il rendimento. Di seguito una serie di semplici accorgimenti per ridurre lo stress visivo cognitivo, che rappresenta spesso la causa di mal di testa, affaticamento visivo, bruciore agli occhi e lacrimazione, tutti segnali di un sistema visivo che ha bisogno di aiuto. Alzare lo sguardo: a intervalli regolari, durante un prolungato lavoro da vicino (es. lettura di un libro) è necessario distogliere lo sguardo e guardare lontano per alcuni minuti per rilassare il sistema visivo e mantenerne la flessibilità. Corretta distanza di lavoro: la giusta distanza per poter leggere o scrivere si ottiene appoggiando il mento sulla mano chiusa a pugno con il gomito appoggiato sul banco. Evitare le posizioni distese: quando si legge o si guarda la tv ci si deve sede-

re correttamente evitando posizioni sdraiate o piegate in avanti o di lato. È difficile mantenere distanza e visione equilibrata stando sdraiati sul letto o sul divano. Impugnatura nella scrittura: una scorretta impugnatura della penna o della matita può portare il bambino ad assumere una postura non idonea, che potrebbe causare problemi muscolo-scheletrici o di visione binoculare. È quindi opportuno tenere la penna o la matita a 2 cm

dalla punta, in modo tale da poter vedere la punta senza inclinare di lato la testa o il busto. Si consiglia di utilizzare matite triangolari o pencil grip per ottimizzare l’impugnatura. Piano di lavoro: per mantenere una corretta postura è utile e consigliabile utilizzare un piano di lavoro inclinato di circa 20°/30°. Illuminazione: non leggere o scrivere mai con un’ unica lampada accesa, ma utilizzare una luce che viene dall’alto e una lampada posizionata dal lato opposto della mano con cui si scrive. Televisione: per quando riguarda la tv, si consiglia di guardarla ad una distanza pari a 7 volte la diagonale dello schermo (almeno 3 metri) in un ambiente illuminato. Poiché l’utilizzo della TV, dei videogames e di tutti i dispositivi elettronici in generale sviluppa pochissime capacità visive, pertanto si consiglia vivamente di incentivare il bambino a svolgere attività all’aperto. Con queste semplici regole è possibile ridurre molti problemi visuo-posturali che rappresentano un’importante fonte di stress visivo cognitivo nel bambino.

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Medicina & Salute di Erica Zanghellini *

CONOSCIAMO LE DIPENDENZE

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el tempo il tema delle dipendenze ha assunto forme sempre più diverse. Non si può più infatti, pensare alle dipendenze come legate all’uso solamente di sostanze, al mondo d’oggi di fatto, ci sono le più disparate tipologie da quelle legate alla tecnologia, al gioco d’azzardo, allo shopping compulsivo, alle dipendenze alimentari, solo per fare alcuni esempi. In aggiunta nominerei anche un altro tipo di difficoltà di questo genere, di cui si parla poco ma, che può avere importanti ripercussioni sulla vita della persona che ne soffre ed è la dipendenza affettiva. Quest’ultima è una caso particolare, è un disturbo comportamentale ed emotivo che condivide aspetti caratteristici con le altre dipendenze, ma allo stesso tempo presenta peculiarità che emergono a livello della relazione. Ma cosa si intende per dipenden-

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za? Per dipendenza si intende una modifica del comportamento della persona, che non si limita ad una semplice abitudine ma, ad una ricerca spasmodica ed esagerata della ricerca del piacere attraverso attività che sfociano nella patologia. Sono due le principali caratteristiche che si riscontrano in questi casi: – dipendenza psichica: c’è un coinvolgimento a livello psicologico/ emotivo. C’è la necessità di avere o assumere quel determinato oggetto o sostanza. La persona non riesce a farne a meno e investe molto tempo e risorse nella sua ricerca; – e dipendenza fisica: in questo caso è proprio l’organismo del soggetto a sentire l’astinenza e il bisogno continuo di aumentare l’assunzione o la ripetizione dei comportamenti disfunzionali per ottenere gli effetti desiderati.

L’origine di questo tipo di difficoltà va ricercata dalla combinazione di più elementi: – fattori sociali, ovvero legati alla situazione sociale ed economica della famiglia in cui la persona nasce e cresce; – fattori biologici, cioè legati ad un’alterazione delle sostanze che il nostro cervello produce. Il circuito delle ricompense che si trova nel nostro cervello è altamente sollecitato e rilascia dei neutrotrasmettitori endogeni che ci fanno stare bene, nel breve periodo. Questa sensazione di benessere è quella per cui poi la persona cercherà faticosamente e a qualsiasi costo di riprodurre; – ed infine, possono essere implicati anche dei processi di apprendimento, che influenzano e poi mantengono questo tipo di difficoltà. Le principali dipendenze, di solito


Medicina & Salute colpiscono la popolazione giovane, o almeno con una frequenza maggiore rispetto altre fasce d’età e le più diffuse sono tendenzialmente queste: – da sostanze: come ben sappiamo rientrano in questa categoria, alcool, droghe (sia leggere che pesanti). Sono quelle più conosciute anche se non per forza quelle che maggiormente inficiano la vita delle persone; – dipendenza tecnologiche: in questa categoria rientrano internet e social media. I più esposti sono i ragazzi, visto l’uso quotidiano e massivo di questo tipo di strumenti. Porrei però anche l’attenzione e chiederei uno sforzo ai genitori nei confronti dei più piccoli, ci sono di fatto dati sempre più allarmanti anche sul coinvolgimento sempre di più dei bambini, cerchiamo di correre ai ripari prima che sia trop-

po tardi. – dipendenze alimentari: in questa tipologia ritroviamo, alterazione del comportamento dell’ alimentazione. Il cibo assume non più il ruolo di nutrizione, ma diventa un mezzo per gestire emozioni e vuoti. Si cerca di raggiungere piacere, felicità, sedazione delle emozioni e soddisfazione attraverso le pietanze. Di solito c’è una selezione dei cibi che vengono ricercati nei momenti di crisi. Tendenzialmente sono quelli ricchi di zucchero e grassi che a livello fisiologico scatenano la liberazione di sostanze che stimolano il buon umore. – dipendenza da gioco: la base di questo tipo di dipendenza è un comportamento compulsivo, che diventa una vera e proprio ossessione. Normalmente lascia conseguenze importanti, nella vita ma,

anche a livello patrimoniale. – ed infine le dipendenze sessuali: la più diffusa in questo ambito è la dipendenza da video porno, e a cascata influenza/modifica diversi piani della vita della persona da quelli più privati ma, in alcuni casi anche a livello lavorativo. In questi casi la prevenzione è una delle principali azioni per ridurre il rischio che si sviluppino questi tipi di difficoltà, per cui parlatene apertamente con i vostri figli e se avete il dubbio di essere caduti in questo tipo di problematicità non minimizzate ma, cercate aiuto. Uscirne si può.

* Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 388 4828675

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Salute & Benessere di Armando Munao’

CONOSCIAMO LA RADIOESTESIA E IL PENDOLO EBRAICO

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a radioestesia, come evidenzia la Società Italiana di Radionica e Radioestesia, non è una cosa misteriosa, complicata o esoterica, è invece la capacità che ogni essere umano ha di ascoltare se stesso e di interagire con l’ambiente in cui vive. Quindi, quando si parla di radioestesia, ci si riferisce a quel particolare procedimento o tecnica, grazie alla quale si cerca di localizzare informazioni sconosciute, mediante captazione dell’irradiazione che ogni corpo emette e quindi ci può aiutare a capire qual è il punto del nostro corpo dove perdiamo energia o dove si può bloccare una determinata emozione o un’azione vitale. Per praticare la radioestesia si usano particolari oggetti: cilindri di legno con una base liscia e l’altra con due scanalature oppure un particolare pendolo radioestesico atto a rilevare la specifica vibrazione di una persona. Stiamo parlando del “pendolo ebraico” che è costituito da un cilindro di legno (ancorato a una cordicella)

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Placida Maria Baca

su cui si applicano delle etichette scritte in ebraico e che funziona, come dicono gli esperti, per mezzo dell’emissione energetica delle “Onde di Forma” delle lettere e delle parole in lingua ebraica. Secondo gli esperti del settore è considerato un eccellente strumento di armonizzazione, di equilibrio e a volte anche di guarigione olistica, perchè lavora sul campo bioenergetico della persona. Quando qualcosa interferisce o interrompe l’armonia e il ritmo vibratorio, significa che in qualche punto del corpo si è concretizzata una certa debolezza o una non funzionalità che può essere poi armonizzata. Per la cronaca un pendolo ebraico o simile fu scoperto in un sarcofago della Valle dei Re, ed è quindi la prova certa che gli egiziani dei tempi dei faraoni conoscevano e praticavano la radioestesia. Una pratica che oggi può essere applicata a tutte le persone di qualsiasi età. A tal proposito, e per saperne di più, abbiamo interpellato la Sig.ra Placida Maria Baca (e originaria del Peru’ ma abita a Novaledo) che da anni pratica

la radioestesia e l’uso del pendolo ebraico. “E’ vero, ci dice la Signora Placida, questo particolare strumento, usando l’emissione energetica delle lettere ebraiche, non solo può veramente risolvere alcune particolari situazioni di vita quali lo stress, l’insonnia e altre problematiche emozionali, ma è anche atto a pulire il corpo dall’energia del campo magnetico, rendendo la persona più vitale e attiva. Mi preme, però, sottolineare che la radioestesia e l’uso del pendolo ebraico non sostituiscono e non devono mai sostituire, in nessun modo, le medicine e le varie cure mediche e che la pratica dello strumento non interferisce con esse. Per avere ulteriori informazioni sulla radioestesia e sulla terapia con il pendolo ebraico, i nostri lettori possono contattare la Sig.ra Placida Maria Baca al numero: 327 11 94 791 email: pergina84@gmail.com


Ieri avvenne di Massimo Dalledonne

LA GUERRA RUSTICA

IN VALSUGANA Q

uando si parla di “comunanza dei beni”, delle ribellioni che, all’inizio del 1500, con le dottrine del Mùnzen accesero le prime ribellioni in Germania, quanto di noi hanno subito legato questi fatti alle Guerre Rustiche che interessarono la Valsugana? Una guerra che, i fedeli degli Asburgo, a suo tempo hanno ribattezzato come la “Guerra dei Carnèr”, una chiara allusione al misero sacco di vettovaglie che ciascun combattente portava con sé. Il popolo basso o popolino, come veniva chiamato, che si era stufato dei sopprusi dei feudatari, delle angherie dei capitani dei castelli e dei loro scagnozzi. Così come delle decime ecclesiastiche e dell’eccessiva fiscalità dei tributi civili. Non mancarono i bagni di sangue e le varie Diete, famose quelle di Merano e Innsbruck, per restare vicino a noi a cui parteciparono anche rappresentanti valsuganotti. I loro nomi? Da Levico “el Chemel et Agnol caliaro”, Franiscus de Caldonazzo, Gerardinus Brutus de Madrano e Tommasus di Costasavina di Pergine. Richieste sottoposte all’allora conte del Tirolo duca Ferdinando, messe nere su bianco anche da Franciscus Pilonus detto Clauser di Pergine, il notaro J. Dominicus Valerianus e ser Guglielmus Chimelli di Levico. Diete che, come ricorda Antonio Zanetel, non portarono a nessun risultato per i delegati del popolo. Da qui la decisione si passare dalle parole ai fatti. Siamo nell’agosto del 1525 quando anche in Valsugana la situazione precipita. Dopo una riunione a Pergine, il 25 dello stesso, mese “gli Strignati e i Bienati – come ricorda Zanetel nel Di-

zionario Biografico di uomini del Trentino Sud-Orientale - dopo aver dato l’assalto al Castel Telvana, attesero sul ponte del Chieppena il capitano Giorgio Pueler. Si aprì una disputa chiusa da una schioppettata tirata da Simone de Gentilibus de Strigno che ferì mortalmente il Pueler. Giacomo Snaider, pure di Strigno, finì il malcapitato tagliandoli con una spada le gambe. Il Pueler fu sepolto a Pergine dove, nella parrocchiale, una lapide lo, ricorda ancora”. I suoi resti, come si legge ancora, furono portati in piazza e ogni capo famiglia del contado aveva dato uno schiaffo sul volto del cadavere. Uno solo si rifiutò, un certo “Nicoletti di Ospedaletto” la cui famiglia fu investita, per qualche secolo, del diritto di pesca e di caccia. Ancora Zanetel. “I rivoltosi mossero verso Castel Telvana dove furono respinti dai Welsberg. Una volta unitosi ai rivoltosi di Borgo, condotti da Sebastiano della Sbetta, marciarono verso Cirè d Pergine per unirsi ai rivoltosi di Caldonazzo, Levico, Civezzano, Miola, Vigolo Vattaro e Povo. In 4 mila scesero su Trento, armati come la loro povertà poteva permettere”. Vennero accolti dalle cannonate delle guardie del castello e respinti. Iniziò, poi, l’arresto dei maggiori responsabili con una taglia di 50 ragnesi a chiunque avesse condotto uno di loro alle autorità e l’assoluzione di ogni condanna a chi ne avesse ucciso almeno uno. In tanti fuggirono. Ecco i loro nomi: Vettor de Piero Grande, sindaco di Levico, Vettor de Libardo,

Castel Telvana Borgo

Gasparo de Bontura e Antonio Rosso, Guglielmo del Chimello, Mathio Trentinello, Domenico Valeriano, Matthia de Libardo e Bernardo Barezza. Il 2 ottobre in cinque vennero decapitati a Trento: tra loro Cristello da Pinè e Bartolomeo Salvadori di Caldonazzo. Nello stesso giorno a Pietro Cola di Caldonazzo venne mozzata la lingua, stessa sorte per il pittore Francesco Corradi e suo nipote Gaudenzio di Borgo il 23 dicembre dello stesso anno. Al tagliapietra Filippo di Como, di stanza in Valsugana, furono cavati gli occhi. Il 16 ottobre venne decapitato anche Giacomo Corradi di Borgo. E non è finita. Come scrive ancora Antonio Zanetel “Il 14 aprile del 1526 venne tagliata la testa a Nicolò Federici di Roncogno ed il 15 luglio a Simone de Gentili di Strigno, l’uccisore del Puele. La guerra rustica non fu un episodio staccato ma la compartecipazione della gente anche della Valsugana ad un movimento più vasto che vide protagonista anche Michael Gaismayr, fomentatore della rivolta nel Tirolo. Che, fuggito in quel di Padova, venne raggiunto da emissari prezzolati ed ucciso con quarantadue colpi di spada”.

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Le guerre in Valsugana di Andrea Casna

Lo SBARRAMENTO di TENNA VISTO dall'’ESERCITO ITALIANO Fra il 1914 e il 1915 vi fu l’intensificarsi, da parte dell’esercito austroungarico, dei cantieri finalizzati alla realizzazione di una serie sbarramenti militari a difesa della Valsugana, in modo particolare del settore compreso fra Caldonazzo, Levico e Busa Granda.

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urono lavori che impegnarono i comandi austroungarici dal 1914. Terminati i forti dell’Altopiano di Folgaria, Lavarone e Luserna, si proseguì con la costruzione di nuove trincee e postazioni per mitragliatrice e artiglieria. Spie e informatori tenevano costantemente sotto controllo l’attività del futuro nemico. La Guardia di Finanza di Asiago, per esempio, telegrafava, in data 21 agosto 1914, (come si legge in Basilio di Martino, Spie italiane contro Forti Austriaci. Lo studio della linea fortificata austriaca sugli altopiani trentini, Gino Rossaro Editore): «mattino 19 corrente 20 soldati austriaci diretti da due ufficiali incominciarono a costruire a 200 metri da Malga Lastebasse, a circa chilometro confine vicinanze fortezze Cima Verle e Luserna incominciarono lavori trincea e reticolato impiegando ragazzi oltre 14 anni e molte donne, questi operai appartenenti comune Pedescala». I lavori di militarizzazione, quasi sul confine con il Regno d’Italia, interessarono ovviamente tutto il Trentino: si parla di quasi 15mila lavoratori volontari nel Tirolo Meridionale; uomini delle classi più anziane non abili alla leva, donne, ragazzi o bambini. In Valsugana i principali punti di controllo erano i forti Verena, Campomolon e la postazione di Cima Mandriolo. A giocare un ruolo fondamentale

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nella fase precedente alla dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, furono anche gli informatori. Nel febbraio del 1915 alcuni fuoriusciti trentini fornirono informazioni relative agli interventi di disboscamento attorno a forte Tenna e della costruzione di trincee a forma di greca che dal forte delle Benne salivano verso il Particolare dello Sbarrameto di Tenna in una mappa dell'Esercito Italiano Selvot. In queste brevi Con la dichiarazione di guerra, nel relazioni si fa menzione maggio del 1915, grazie alle foto dei primi cantieri per il Monte Somaeree gli uomini del Servizio Inmo. Antonio Stefenelli affermò, come formazioni poterono ricostruire le si legge nel rapporto del 15 aprile postazioni austriache avanzate in 1915 che «fu levata parte dell’artiValsugana (e Vallagarina), riuscendo a glieria dal forte di Tenna e Colle delle dare una certa completezza alla linea Benne [...] e relative torri corazzate e di sbarramento di Tenna: una linea si collocheranno sul Selvot (nord di trincerata che da Caldonazzo saliva a Levico) e sulla Busa Granda nord della Tenna, forte delle Benne, Busa Granda Panarotta. Alla Busa Granda si lavora e Panarotta. da 6 mesi in piattaforme, casematte e baracche». Nel rapporto relativo Il disarmo dei forti di Tenna e delall’interrogatorio di un fuoriuscito, le Benne. Al maggio 1915 gli italiani Enrico Paor si legge, datata 17 aprile si trovarono ad affrontare un territorio 1915, che «nel forte di Tenna, (Valrelativamente piccolo che aveva alle sugana) furono portati via 4 quattro spalle quasi mezzo secolo d’intervenpezzi grossi colle relative cupole ti. Nelle ultime fasi, quelle precedenti furono asportati dal forte Col delle al maggio del 1915, i due forti dello Benne». In poche parole l’Italia stava sbarramento di Tenna (Forte delle raccogliendo il numero maggiore di Benne e Forte Tenna) furono disarmainformazioni.


Le guerre in Valsugana nazzo saliva sino alla Panarotta: il famoso sbarramento di Tenna.

Sbarramento di Tenna nella mappa austriaca del 1915

ti perché obsoleti. La fase di disarmo, fra ordini e messa in opera avvenne fra febbraio e maggio del 1915, con l’intensificarsi delle ordinanze fra l’aprile e maggio 1915. L’armamento dei due forti fu utilizzato per rinforzare la nuova linea trincerata che da Caldo-

Lo sbarramento di Tenna al 1916. Con l’estate del 1916, grazie alle dichiarazioni dei prigionieri di guerra, disertori e con l’evoluzione della tecnica fotografica ed aerea, il Servizio Informazioni migliorò il proprio sistema di raccolta dati. La monografia stampata nel giugno del 1916, «I monti da Valsugana al bacino d'Adige, parte II, le linee di difesa austriaca», frutto del lavoro di Cesare Battisti e Antonio Piscel, descrive la linea dello sbarramento che si sviluppava sul seguente tracciato: Busa Verle, Pizzo di Levico, Monte Carbonile, Monte Persico, Caldonazzo, Tenna, Benne, Busa Granda e Panarotta. Una linea che al 1916 si

appoggiava alle postazioni avanzate, come si vede nella mappa austriaca, sui monti Persico e Carbonile, Novaledo, Marter e S. Osvaldo. Per la difesa di Levico interessanti erano erano le postazioni sul Monte Persico e Monte Carbonile che l’esercito austriaco costruì, a partire dalla primavera del 1915, per impedire l’avanzata nemica dalla Val di Sella. Ancora oggi, infatti, l’intero perimetro del Monte Persico è percorso da quello che rimane delle antiche trincee collegate fra loro da camminamenti interni di collegamento. In questa zona gli italiani annotarono la presenza di 4 piazzole per artiglieria e una batteria da campagna a 786 m sempre sul medesimo monte. Oggi di questo antico e complicato sistema rimane qualche traccia sul Sommo, sul Persico e attorno ai forti di Tenna, Benne e Busa Granda.

CHE TEMPO CHE FA

Inverno 2021/2022: mite e “siccitoso” Un anno fa avevo scritto un articolo sulle nevicate che avevano interessato Levico Terme nei mesi di dicembre 2020 e gennaio 2021. Alla fine dell’inverno 2020/2021 a Levico erano caduti 124 cm di neve, nell’inverno appena concluso (ricordo che l’inverno meteorologico inizia il 01/12 e termina il 28/02) i cm caduti sono stati solamente 47. I giorni nevosi (giorno in cui cade almeno 1 cm di neve) nel 2020/2021 erano stati 12, nel 2021/2022 appena 3. Nell’inverno 2020/2021 lo spessore massimo della neve al suolo a Levico Terme aveva raggiunto i 64 cm il giorno 02/01/21, mentre nell’inverno appena concluso è stato di 24 cm il giorno 15/02/22. L’inverno 2020/2021 non era stato uno dei più nevosi, basta tornare all’inverno 2012/2013 per trovare nevicate più abbondanti quando caddero in totale 226 cm in ben 26 giorni nevosi. Che sia stato un inverno secco viene evidenziato anche dal report di Meteotrentino pubblicato il 3 marzo, dal quale si evince che a Trento ci sono stati solo tre giorni piovosi (giorno in cui cade almeno 1 mm di pioggia o neve sciolta), uno per ogni mese (08/12, 05/01 e 15/02). Dato eloquente è quello delle precipitazioni dell’intera stagione invernale, a Castello Tesino questo inverno sono caduti 85 mm quando nell’inverno precedente erano stati 564,8, la media storica è pari a 205,6 mm, con minimo storico nel 2012 con 29,4 mm e massimo storico nel 2014 con 828,8 mm. Come dicevo in apertura anche le temperature sono state piuttosto miti questo inverno, a Castello Tesino la temperatura media è stata di +2,0°C, rispetto a una media di +0,7°C, anno più freddo fu il 1963 con -3,1°C e più caldo il 2007 con +3,5°C. Situazione analoga a Trento, la stazione Laste ha registrato una media di +4,8°C a fronte di un valore medio storico di +2,5°C, minimo storico il 1929 con -1,3°C e massimo storico il 2007 con +5,4°C. (Giampaolo Rizzonellli)

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Conosciamo le leggi di Erica Vicentini*

Il REATO di DIFFAMAZIONE e l’uso dei SOCIAL NETWORK

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rmai l’uso di Internet e dei social network nella vita quotidiana è un elemento costante, che caratterizza pressoché ogni decisione e comportamento delle nostre giornate, tanto che si parla ormai da tempo di realtà virtuale, domicilio digitale e social-life. Ne è derivato che, con il dilagare dell’uso dei social network quali piattaforme attraverso cui l’utente può interagire con terzi soggetti comunicando pensieri, immagini o video è diventato sempre più frequente l’accertamento nelle aule dei tribunali di condotte penalmente rilevanti perpetrate attraverso un uso improprio e illecito degli stessi. Dato che, ovviamente, Internet e i social-network come Facebook non possono essere considerati zona franca, ove tutto è concesso, va in primo luogo evidenziato come ormai è assodata la considerazione di Facebook, Instagram o TikTok come veri e propri luoghi pubblici, seppur virtuali, di interazione sociale. Con ciò determinando il fatto che, l’uso improprio di tali strumenti può portare alla sussistenza dei presupposti del reato di cui all’art. 595 c.p. vale a dire della diffamazione, peraltro in forma aggravata dall’utilizzo del mezzo di comunicazione assimilabile alla stampa. Trattasi di un reato moderatamente grave, di competenza del Tribunale Ordinario e non del Giudice di Pace, che nella forma aggravata prevede una sanzione da sei mesi a tre anni di reclusione o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Il delitto di diffamazione è posto a tutela dell’onore, della reputazione e prestigio individuale, che possono essere minati dalla comunicazione con terzi di offese o fatti denigratori inerenti

un determinato soggetto. L’onore, infatti, in senso lato rappresenta un bene individuale, protetto dalla legge per consentire all’individuo l’esplicazione della propria personalità morale: esso si identifica, da un lato, con il sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale e designa quella somma di valori morali che l’individuo attribuisce a se stesso; dall’altro, rappresenta anche la stima o l’opinione che gli altri hanno di noi stessi, dunque il patrimonio morale che deriva dall’altrui considerazione. Trattandosi di un reato in cui la norma non prevede una specifica forma di condotta, esso si consuma ogni volta che viene proferita offesa alla reputazione di una determinata persona, in assenza del soggetto passivo, con qualsiasi mezzo idoneo comunicando con più persone. Dall’analisi del reato emergono tre requisiti costitutivi dell’elemento oggettivo della diffamazione:

– offesa all’altrui reputazione; – assenza dell’offeso; – comunicazione a più persone. È evidente come siano elementi facili da mettere insieme e quindi che non sia poi così difficile incappare in questo reato. La giurisprudenza di legittimità ha poi più volte confermato che la comunicazione di contenuti diffamatori attraverso la bacheca Facebook di un utente, visualizzabile da tutti coloro che hanno accesso al profilo, costituisce diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3 c.p. e ciò comporta un rischio di sanzione elevato. In una nuova sentenza, la Cassazione è tornata a parlare di diffamazione allargando ancora l’interpretazione dei presupposti. Per integrare il reato di diffamazione aggravata a mezzo Facebook non occorre, come precisa la sentenza n. 10762/2022, che nel post si faccia nome e cognome della persona a cui sono rivolte le offese. Si è ritenuto sufficiente fare riferimento alla professione della persona offesa e a elementi qualificanti della persona che la rendano univocamente individuabile da parte di consentire ad amici, collaboratori, o vicini a diverso titolo. Oltre al rischio di condanna penale, poi, permane l’obbligo al risarcimento del danno alla persona offesa, con rischio di ulteriore (cospicuo) esborso. * Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84)

Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore@valsugananews.com

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La natura in controluce di Giampaolo Rizzonelli

IL BOSTRICO: un parassita dannoso L

a tempesta Vaia dell’ottobre 2018, oltre a provocare ingenti danni per la caduta degli alberi sradicati dal vento, ha creato le condizioni per la diffusione del bostrico, un coleottero presente naturalmente nei boschi di abete rosso del Trentino e del Veneto. Gli alberi a terra hanno creato l’ambiente adatto per la proliferazione del parassita. L’Ips thypographus, meglio noto come bostrico tipografo, è un piccolo insetto del gruppo degli Scolitidi, di forma cilindrica e di colore bruno-nerastro con sfumature giallastre o aranciate per la presenza di peli che possono essere concentrati in alcune parti del corpo, lungo circa 4-5 mm. Il bostrico compie da 1 a 3 generazioni in un anno, a seconda dell’altitudine dei boschi che infesta, più alta è la quota minore è il numero delle generazioni. L’inverno è superato dagli adulti all’interno di gallerie dette

Focolaio iniziale o di tipo endemico

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di maturazione che vengono scavate in autunno, alla base del tronco. I tipografi adulti fuoriescono dai nidi in primavera, non appena le temperature superano in modo stabile i 15°C e c’è un numero sufficiente di ore di luce (> alle 14). I maschi iniziano a forare la corteccia e da qui scavano una camera d’accoppiamento, vengono poi raggiunti dalle femmine (in genere 2 o 3), una volta fecondata, la femmina lascia la camera di accoppiamento e scava una galleria longitudinale, detta materna, questa è lunga circa 15 cm e al suo interno depone poche uova, poi ritorna dal maschio per una nuova fecondazione, in totale depone fino a 100 uova. Le larve (bianche, senza zampe e con il capo scuro), nutrendosi, scavano gallerie di 5-6 cm sotto la corteccia e al termine dello sviluppo

Bostrico adulto

si trasformano in adulti, dando vita a una nuova generazione che potrà attaccare altre piante. Le gallerie scavate dalle larve a partire da quelle materne creano delle “figure” particolari per le quali appunto è stato dato il nome di “tipografo”. La velocità di sviluppo dei singoli stadi è fortemente dipendente dalla temperatura. L’intero ciclo da uova a adulti, dura da 6 a 8 settimane, i neo adulti necessitano, di una fase di alimentazione, sempre sotto corteccia, per diventare individui maturi, tale fase richiede in genere 1-2 settimane. Le piante colpite mostrano evidenti segni di ingiallimento sugli aghi e vanno incontro a un veloce deperimento e infine muoiono. Le gallerie interrompono il flusso della linfa e gli zuccheri prodotti dalla chioma non raggiungono più le radici. Altri segni dell’attacco del bostrico sono la corteccia sollevata e divisa in placche, la quale tende a separarsi dal legno. Un altro sintomo è la perdita di resina


La natura in controluce

Gallerie scavate dalle femmine e dalle larve

prodotta dalla pianta nel tentativo di difendersi dall’attacco, che può colare lungo il tronco. Gli adulti che penetrano nei tronchi trasportano anche funghi patogeni, che intasano i vasi di conduzione dell’acqua nell’albero. Infine, ai piedi delle piante colpite, si può osservare la presenza di una polvere giallo-rossiccia, in pratica legno rosicchiato espulso dalle gallerie. Quando la chioma assume un colore rosso intenso, gli insetti si sono in genere già involati, alla fine le piante presentano una colorazione grigia per la perdita completa degli aghi. I cambiamenti climatici non aiutano a sconfiggere il bostrico, infatti le uova e le larve muoiono a temperature inferiori a -10, -15°C persistenti per diversi giorni, invece le larve mature

e le pupe presentano una maggior resistenza al freddo. Per quanto riguarda il temine dell’attività di diffusione in autunno, vale il contrario di quanto citato in merito alla primavera (quando le temperature scendono sotto i 15°C e calano le ore di luce). La presenza di alberi schiantati e umidità (vedi il post Vaia) favorisce la proliferazione del bostrico, portandolo dallo stato endemico a quello epidemico, condizione in cui esso attacca anche piante sane in piedi. Per quanto riguarda la durata di una pullulazione le esperienze dei paesi europei, dove ci sono stati gravi eventi di schianto di alberi hanno dimostrato che durano in media 5-6 anni, con la massima infestazione nel 2° e 3° anno e una riduzione in quelli successivi, ma bisogna ovviamente tener conto dell’andamento climatico, inverni freddi favoriscono la morte del bostrico così come estati fresche e piovose rendono le piante più robuste, mentre periodi di siccità aumentano la possibilità delle piante di essere attaccate. Quali sono le difese contro il bostri-

co? Le piante se c’è sufficiente acqua riescono a difendersi da sole attraverso la resina che uccide i coleotteri, altre difese sono attuate dagli antagonisti naturali quali altri coleotteri, il picchio, vespe e funghi. Come ci si sta difendendo dal bostrico? Il metodo migliore è, una volta individuati gli alberi infestati, il loro immediato abbattimento, seguito da esbosco o scortecciatura, ma solo se avviene prima che gli adulti abbiano abbandonato le piante, quando ancora non sono visibili gli arrossamenti che indicano l’avvenuto sfarfallamento. Qualora invece le chiome siano già arrossate o grigie può essere conveniente lasciare le piante in bosco a protezione di quelle ancora sane (fungono da schermo per la radiazione solare e contengono gli antagonisti naturali del parassita). Si deve poi agire sulla prevenzione con il recupero degli schianti in tempi veloci, entro un anno, ovviamente nel caso di Vaia vista l’area colpita non è stato facile intervenire così rapidamente. Ulteriore prevenzione è anche quella di creare dei boschi misti e con piante di classi di età diverse. Questo tipo di bosco infatti è più capace di resistere alle pullulazioni ed è in grado di ricostituirsi prima. Fonti: in parte da Servizio Foreste e Fauna Provincia di Trento

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I consigli di

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I FOGLI CEREI NEGLI ALVEARI A

prile è il primo vero mese di primavera e le nostre api sono già in volo, pronte a svolgere l’importantissimo ruolo di impollinatrici ed a regalarci emozioni che solo un apicoltore può provare. Regalarci non è esattamente il termine corretto, visto che bisogna prestarci molte cure e attenzioni. Oggi andremo quindi a consigliarvi una pratica fondamentale per assicurarci un’ottima salute e produttività dei nostri alveari: la sostituzione periodica dei favi. I favi sono una componente fondamentale dell’alveare, in quanto svolgono diverse funzioni: sostegno, assorbimento di sostanze estranee e mezzo di comunicazione. Infatti attraverso di essi le api “parlano” con vibrazioni e ormoni. La costruzione del favo in cera è un processo che le nostre api possono svolgere autonomamente, ma noi vi consigliamo di seguire una via più produttiva e meno dispendiosa a livello di tempo ed energie: il foglio cereo. Esso è una stampa in cera con un’impronta di cellette esagonali, una sorta di linea guida per le nostre api che, seguendone il disegno, possono costruire un favo in maniera ordinata e senza sprechi. Partire da un foglio cereo comporta anche un risparmio in termini economici in quanto uno di essi pesa, in media, 110

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In primavera la sostituzione periodica dei favi assicura la salute e la produttività delle nostre api grammi. Le api, per produrre questo quantitativo di cera, impiegano tra i 700 e i 1500 grammi di miele. Facendo due conti veloci, ci si rende conto

che è estremamente conveniente! È bene ricordare che non è sufficiente compiere quest’operazione solo una volta nella vita: i favi invecchiano. La loro funzione di filtro li porta ad accumulare corpi estranei e sporcizia che possono rivelarsi fattori scatenanti di patologie. Inoltre ad ogni ciclo produttivo le cellette si riempiono di spoglie larvali, intasandole e rendendole di dimensioni ridotte. Per questo motivo le api future tenderanno a nascere sempre più piccole e deboli, portando l’alveare ad un costante calo di produttivo. È quindi buona regola sostituire in ogni alveare tre/ quattro favi l’anno, in modo da completarne il ciclo di sostituzione nel giro di tre anni. Questa pratica permette di avere alveari forti, in salute e produttivi, e vi diremo di più! La cera dei favi vecchi può essere recuperata con l’utilizzo di una sceratrice, in modo da non sprecare quello che le api hanno prodotto con tanta fatica! Non ne avete una a disposizione? Non riuscite a produrre abbastanza cera per avviare una vostra lavorazione? Vi servono fogli cerei nuovi? In tutti i punti vendita SAV potrete trovare la sceratrice adatta alle vostre esigenze, cambiare la vostra cera grezza con fogli cerei sterilizzati nuovi di zecca, oppure provare l’eccellente qualità dei fogli cerei africani a bassa residualità! Vi aspettiamo!


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