Parità di genere di Patrizia Rapposelli
A che punto siamo nel 2022?
È
lento il percorso verso la parità di genere. La Commissione europea nella comunicazione sulla strategia per la parità di genere 2020-2025 sottolinea divari persistenti e progressi lenti nel lavoro e a livello di retribuzioni, nelle posizioni dirigenziali e nella vita politica e istituzionale. Più donne concludono gli studi e hanno esperienza universitaria, ma il tasso di occupazione femminile resta basso. Gli ultimi dati Istat relativi al mese di gennaio indicano un tasso di occupazione pari al 50, 3 per cento (fascia 15-64 anni) contro il 68,1 per cento di quella maschile. Nonostante il tasso sia migliore rispetto ad altri periodi dimostra che una donna su due non ha un lavoro retribuito. La percentuale è inferiore alla media dell’Unione europea. A conferma, nei numeri del rapporto dell’Osservatorio 4Manager, dal titolo “Superare il gender gap: facciamo goal per ripartire” si legge un evidente rallentamento della convergenza lavorativa tra uomo e donna segnata dalla pandemia e dall’allargamento delle criticità strutturali italiane. Il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53,1 per cento contro il 67,4 per cento della media europea. Secondo quanto riportato dal Sole 24 ore “il divario di genere nel tasso di occupazione è pari a 19 punti percentuali; il tasso di inattività delle donne per responsabilità di assistenza è pari al 36 per cento contro il 32 per cento della media Ue; il tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, che tiene conto della maggiore incidenza dell’occupazione a tempo parziale tra le donne e della durata della vita lavorativa, colloca l’Italia all’ultimo posto della graduatoria europea.”
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La politica, negli ultimi tempi, ha posto l’attenzione sul fronte asimmetrie di genere, aspetto che depotenzia il Paese, puntando a correttivi e interventi incentivanti per una ripartenza chiara, equa e meritocratica del mercato del lavoro dopo la stasi causa pandemia. In generale è stato l’anno delle buone intenzioni, ma sorge la domanda: il Paese seguirà? Aziende, amministrazione pubblica, etc. adempiranno agli obblighi di legge o sposeranno effettivamente un cambiamento di vedute per quanto riguarda la posizione della donna nel mercato del lavoro. Sempre secondo quanto riportato dal Sole 24 ore nel mondo imprenditoriale le posizioni manageriali femminili rimangono ferme ai valori pre-pandemia con un 28 per cento del totale. 18 per cento se si calcola coloro regolamentate da contratto “da dirigente”. Su un campione di 17.000 aziende, l’83, 5 per cento è a conduzione maschile, il 12,2 per cento a conduzione femminile, il restante 4,3 per cento a conduzione paritaria.
Che, in molti campi, le donne sono numerose è vero, ma è altrettanto vero che le posizioni apicali sono prevalentemente occupate da uomini. Circolano appelli per correggere questa stortura, ma l’evidenza dei fatti rimane una sola. Il cambiamento non può arrivare dal PNRR o dalle risorse e dintorni. La politica stessa, portatrice di buoni propositi, ha manifestato una falla alle elezioni al Quirinale. Donne al potere, ma non troppo. Il sesso non è un primario valore di merito. Senza cadere in un sessismo al contrario, a prescindere dalla figura, al Colle ci si dovrebbe andare per merito. Però, è sorta qualche perplessità sulla discriminazione di genere. Da tempo si era dato agio ad un accorato appello di scommettere su una quota rosa, ma tra i paladini della parità uomo-donna non è stata avanzata nessuna candidatura specifica. I partiti sono caduti in una palese demagogia. Il percorso verso la parità di genere è lento ed è necessario un cambiamento di prospettiva.