Elezioni USA di Francesco Zadra
Terzi incomodi a stelle e strisce Nelle ultime settimane l’attenzione dei notiziari di tutto il mondo è stata ossessivamente rivolta a due uomini: Donald J. Trump e Joseph R. Biden. Dei 2 candidati Repubblicani e Democratici i solerti cronisti hanno scandagliato ogni zona d’ombra e dissezionato accuratamente la vita privata, ai limiti dello stalking, per raccontarci i voti scolastici di zio Donald e di quanto “sleepy Joe” ami il vitello tonnato. Tutte informazioni di vitale importanza per capire l’assetto geopolitico dei prossimi quattro anni, intendiamoci, ma cosa sappiamo degli altri candidati? Certo, perché oltre ai “due gondolieri” con cui i professionisti dell’informazione ci hanno fracassato i cabbasisi a reti unificate, il panorama politico americano presenta anche altre forme di vita (più o meno) intelligenti. Vediamole insieme. Dopo aver perso l’occasione d’oro nel 2016 con Gary Johnson, balzato all’onore delle cronache per l’infelice gaffe “What is Aleppo?” (“che cos’è Aleppo?” n.d.A.) in risposta ad un quesito sulla crisi siriana, il Libertarian Party ci riprova con Jo Jorgensen. Le loro parole d’ordine? Libertà, libertà e ancora libertà. Si caratterizzano infatti per essere estremamente liberisti in campo economico e liberali “ad nauseam” in quello etico-valoriale. La crisi pandemica sembra però aver rubato parecchi consensi a questa formazione politica, la loro proposta era infatti di impedire qualsiasi intervento statale anche in campo sanitario per dare massima libertà a individui e imprese, affidandosi nella lotta al covid alla distribuzione di vaccini a domici-
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lio per mano di Amazon e FedEX. È l’America, bellezza! Non è certo sfuggita ai più arguti la presenza di un partito d’ispirazione marxista-leninista, il PSL, cosa che fino a qualche decennio fa, in pieno Maccartismo, sarebbe stata pura utopia. Loro malgrado vengono snobbati proprio dalle minoranze che pretendono di rappresentare: i latinos, cubani in primis, esuli dal regime castrista, si guardano ben dal votare partiti socialisteggianti, preferendo candidati moderati o “The Donald”. I Verdi, che contavano su un possibile “effetto Greta”, si sono visti travasare migliaia di voti in favore dei Dem, complice anche la crescita dell’ala “sinistra” del partito di Biden, rappresentata da Sanders, Harris e Ocasio-Cortez, che ha fatto del “Green New Deal” il proprio leitmotiv elettorale. Niente da fare quindi per il candidato presidente ecologista Howie Hawkins. Degno di nota è sicuramente il Solidarity Party, che all’Elefante repubblicano e all’Asino democratico contrappone il Pellicano Solidarista, arricchendo così il bestiario politico d’oltreoceano. Di ispirazione centrista, i solidaristi di Brian Carroll rimandano alla CDU tedesca e DC tricolore, proponendo un programma spostato a (centro)sinistra per quanto riguarda la “giustizia sociale”, il razzismo e l’annoso affaire della sanità pubblica. Ma con un occhio a (centro)destra in merito ai “valori non negoziabili”: difesa della Vita in ogni fase del suo sviluppo (“dal concepimento al suo naturale tramonto” direbbe Bergoglio), sostegno a famiglia e natalità e,
per terminare la mise en place: libertà educativa. Cioè maggiore possibilità (tramite sussidi et similia) per le famiglie di scegliere quali scuole, statali e private, far frequentare ai propri pargoli. La ricetta economica di Carroll, seppur di confessione protestante, sembra ricalcare i principi contenuti nella Rerum Novarum di papa Leone XIII, nella dottrina sociale cattolica e nelle teorie espresse da G.K.Chesterton, geniale e poliedrico scrittore anglosassone, nel suo “Distributismo”. Ma che fine ha fatto la tanto sbandierata candidatura del rapper Kanye West, con il suo Birthday Party? Beh sembra che l’ex Trumpiano di ferro tentando da indipendente la corsa alla White House si sia reso conto di avere più followers che elettori. A chiudere questa carrellata di aspiranti POTUS (president of the US) in miniatura, troviamo il Proibitionist Party, retaggio della crociata antietilica degli anni ‘20, e il Costitution Party che si erge a baluardo di una interpretazione il più possibile “originalista” e fedele della Costituzione statunitense. Nessuno tocchi, quindi, il “diritto alle armi”. Tuttavia il sistema elettorale americano, che proclama vincitore chi riesce a comporre un fortunato puzzle di “stati chiave”, sembra continuare a sorridere al caro vecchio bipolarismo “GOP vs Dem”. Insomma, anche stavolta negli States “tertium non datur”.