Il Personaggio di Katia Cont
Un uomo ruvido, simpatico e straordinario
Mario Monicelli: il suo cinema e quell’Italia Tragicomica «Quando mi domandano quale regista mi sarebbe piaciuto essere, rispondo sempre Buñuel in “La commedia umana”. Il mio cinema è di sinistra, o se si vuole è democratico, nel senso che sta dalla parte dei più deboli mettendo in luce le ingiustizie. Certo non è assertivo e ancora meno ideologico, non mostra mai direttamente il dramma, sono nemico delle “scene madri”, e ho una vera predilezione per le “scene figlie”. Dunque amo raccontare la vita attraverso i suoi riflessi che la alleggeriscono con il comico». Queste alcune delle frasi più significative rilasciate da Mario Monicelli durante una delle sue ultime interviste, che ben riassumono l’anima e lo spirito di un uomo di cultura molto discusso, amato e odiato allo stesso tempo. Personaggio scomodo ma essenziale per una società che ha avuto il bisogno di guardarsi allo specchio e ci è riuscita grazie ai suoi film. Mario Monicelli nacque a Roma, nel quartiere Prati, il 16 maggio 1915, sette giorni prima dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Dell’intero secolo che attraversò, Monicelli fu testimone attento, sagace e ironico senza mai nascondere un fondo di pessimismo e malinconia che ha aleggiato, in modo più o meno evidente, in tutta la sua vita e la sua opera. Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Pisa, è ricordato oggi come un cineasta straordinario con oltre cinquant’anni di carriera. Autore di
una sessantina di film tra cui tanti capolavori assoluti; chi non ricorda i componenti della “Banda del buco” de “I soliti ignoti”, o gli allegri compagni di “Amici miei”, oppure Vittorio Gassman-Brancaleone da Norcia in “L’armata Brancaleone”, tutte figure entrate con prepotenza nell’immaginario collettivo. Le sue opere sono patrimonio cinematografico nazionale ed è doveroso ricordare oltre ai già citati, anche: “Guardie e ladri”, “Un borghese piccolo piccolo”, ma anche “Il medico e lo stregone”, “La grande Guerra”, “Romanzo popolare” e “Il Marchese del Grillo”. La firma stilistica della regia monicelliana rappresenta il migliore compromesso tra cinema d’autore e film da botteghini, una peculiarità che gli ha permesso di guadagnare la stima e l’affetto non solo della critica ma anche del pubblico. Precursore di un filone amaramente comico ed aggressivo, ha dato visibilità alle storie dei poveracci condannati a rimanere tali, e all’arte dell’arrangiarsi. In un Italia che lui stesso definiva “Tragicomica”. Ha sempre parlato dell’Italia e dell’italiano con un velo di amarezza: «Gli italiani vogliono sempre qualcuno che pensi per loro». Nei suoi film, i caratteri comuni sono gli stessi dell’Italia che vedeva lui: l’ambientazione crudele, i personaggi malleabili, deboli, codardi, sballottati da grandi travagli interiori, incapaci di prendere decisioni importanti. E il giu-
dizio che Monicelli ne dà è fortemente critico, così come dalle sue interviste si evince sempre un certo rammarico, un amore/odio per un popolo che lo ha apprezzato e ha riso dei suoi film, senza mai fermarsi davvero a riflettere su ciò che volessero dire realmente. Anche nell’ultima sua intervista rilasciata a L’Espresso in occasione del suo 94mo compleanno, ha dichiarato: «Non ho nostalgia di nulla. Ma che rabbia l’Italia di oggi». Per lui, il cinema e la vita erano un po’ la stessa cosa, e li ha diretti entrambi con maestria. Mario Monicelli ha preferito dirigere anche la sua fine; ormai malato terminale, si è lasciato cadere dal quinto piano dell’Ospedale San Giovanni di Roma, la sera del 29 novembre 2010. Pandemia permettendo, la Casa del Cinema di Roma e Centro Sperimentale di Cinematografia, ha in programmazione dal 15 febbraio la mostra fotografica “Mario Monicelli”. La mostra è allestita nelle sale della Casa del Cinema intitolate a due grandi sceneggiatori del cinema italiano come Sergio Amidei e Cesare Zavattini. Si tratta di una spettacolare galleria di immagini provenienti dall’archivio fotografico della Cineteca Nazionale, che ripercorrono passo passo tutta la storia artistica di Mario Monicelli, dagli esordi in coppia con Steno alla fine degli anni ‘40 (“Totò cerca casa”) fino al film del suo commiato, “Le rose del deserto” (2006).
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