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“Amoglianimali”
Bellezza
Da leggere (o rileggere)
Da vedere/ascoltare
Di tutto e niente
Il desco dei Gourmet
Il personaggio
Il tempo della Grande Mela
Comandacolore
Incursioni
In forma
In movimento
Lavori in corso
Primo piano
Salute
Scienza
Sessualità
Stile Over
Volontariato & Associazioni
Minnie Luongo
Marco Rossi
Alessandro Littara
Antonino Di Pietro
Mauro Cervia
Andrea Tomasini
Paola Emilia Cicerone
Flavia Caroppo
Marco Vittorio Ranzoni
Giovanni Paolo Magistri
Maria Teresa Ruta
Attilio Ortolani
Sito web: https://generazioneover60.com/ Email: generazioneover60@gmail.com
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Classe 1951, laureata in Lettere moderne e giornalista scientifica, mi sono sempre occupata di medicina e salute preferibilmente coniugate col mondo del sociale. Collaboratrice ininterrotta del Corriere della Sera dal 1986 fino al 2016, ho introdotto sulle pagine del Corsera il Terzo settore, facendo conoscere le principali Associazioni di pazienti.Ho pubblicato più libri: il primo- “Pronto Help! Le pagine gialle della salute”- nel 1996 (FrancoAngeli ed.) con la prefazione di Rita Levi Montalcini e Fernando Aiuti. A questo ne sono seguiti diversi come coautrice tra cui “Vivere con il glaucoma”; “Sesso Sos, per amare informati”; “Intervista col disabile” (presentazione di Candido Cannavò e illustrazioni di Emilio Giannelli).
Autrice e conduttrice su RadioUno di un programma incentrato sul non profit a 360 gradi e titolare per 12 anni su Rtl.102.5 di “Spazio Volontariato”, sono stata Segretario generale di Unamsi (Unione Nazionale Medico-Scientifica di Informazione) e Direttore responsabile testata e sito “Buone Notizie”.
Fondatore e presidente di Creeds, Comunicatori Redattori ed Esperti del Sociale, dal 2018 sono direttore del magazine online Generazioneover60.
Quanto sopra dal punto di vista professionale. Personalmente, porto il nome della Fanciulla del West di Puccini (opera lirica incredibilmente a lieto fine), ma non mi spiace mi si associ alla storica fidanzata di Topolino, perché come Walt Disney penso “se puoi sognarlo puoi farlo”. Nel prossimo detesto la tirchieria in tutte le forme, la malafede e l’arroganza, mentre non potrei mai fare a meno di contornarmi di persone ironiche e autoironiche. Sono permalosa, umorale e cocciuta, ma anche leale e splendidamente composita. Da sempre e per sempre al primo posto pongo l’amicizia; amo i cani, il mare, il cinema, i libri, le serie Tv, i Beatles e tutto ciò che fa palpitare. E ridere. Anche e soprattutto a 60 anni suonati.
DOTTOR MARCO ROSSI SESSUOLOGO E PSICHIATRA
è presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale e responsabile della Sezione di Sessuologia della S.I.M.P. Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e come esperto di sessuologia a numerosi programmi radiofonici. Per la carta stampata collabora a varie riviste.
DOTTOR ALESSANDRO LITTARA ANDROLOGO E CHIRURGO
è un’autorità nella chirurgia estetica genitale maschile grazie al suo lavoro pionieristico nella falloplastica, una tecnica che ha praticato fin dagli anni ‘90 e che ha continuamente modificato, migliorato e perfezionato durante la sua esperienza personale di migliaia di casi provenienti da tutto il mondo
PROFESSOR ANTONINO DI PIETRO DERMATOLOGO PLASTICO presidente Fondatore dell’I.S.P.L.A.D. (International Society of PlasticRegenerative and Oncologic Dermatology), Fondatore e Direttore dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis, è anche direttore editoriale della rivista Journal of Plastic and Pathology Dermatology e direttore scientifico del mensile “Ok Salute e Benessere” e del sito www.ok-salute.it, nonché Professore a contratto in Dermatologia Plastica all’Università di Pavia (Facoltà di Medicina e Chirurgia).
DOTTOR MAURO CERVIA MEDICO VETERINARIO
è sicuramente il più conosciuto tra i medici veterinari italiani, autore di manuali di successo. Ha cominciato la professione sulle orme di suo padre e, diventato veterinario, ha “imparato a conoscere e ad amare gli animali e, soprattutto, ad amare di curare gli animali”. E’ fondatore e presidente della Onlus Amoglianimali, per aiutare quelli più sfortunati ospiti di canili e per sterilizzare gratis i randagi dove ce n’è più bisogno.
giornalista scientifico, dopo aver girovagato per il mondo inseguendo storie di virus e di persone, oscilla tra Roma e Spoleto, collaborando con quelle biblioteche e quei musei che gli permettono di realizzare qualche sogno. Lettore quasi onnivoro, sommelier, ama cucinare. Colleziona corrispondenze-carteggi che nel corso del tempo realizzano un dialogo a distanza, diluendo nella Storia le storie, in quanto “è molto curioso degli altri”.
classe 1957, medico mancato per pigrizia e giornalista per curiosità, ha scoperto che adora ascoltare e raccontare storie. Nel tempo libero, quando non guarda serie mediche su una vecchia televisione a tubo catodico, pratica Tai Chi Chuan e meditazione.
Per Generazione Over 60, ha scelto di collezionare ricordi e riflessioni in Stile Over.
Barese per nascita, milanese per professione e NewYorkese per adozione. Ha lavorato in TV (Studio Aperto, Italia 1), sulla carta stampata (Newton e Wired) e in radio (Numbers e Radio24). Ambasciatrice della cultura gastronomica italiana a New York, ha creato Dinner@Zia Flavia: cene gourmet, ricordi familiari, cultura e lezioni di vera cucina italiana. Tra i suoi ospiti ha avuto i cantanti Sting, Bruce Springsteen e Blondie
MARCO VITTORIO RANZONI GIORNALISTA
Milanese DOC, classe 1957, una laurea in Agraria nel cassetto. Per 35 anni nell’industria farmaceutica: vendite, marketing e infine comunicazione e ufficio stampa. Giornalista pubblicista, fumatore di Toscano e motociclista della domenica e -da quando è in pensione- anche del lunedì. Guidava una Citroen 2CV gialla molto prima di James Bond.
COMANDACOLORE è uno Studio di Progettazione Architettonica e Interior Design nato dalla passione per il colore e la luce ad opera delle fondatrici Antonella Catarsini e Roberta D’Amico. Il concept di COMANDACOLORE è incentrato sul tema dell’abitare contemporaneo che richiede forme e linguaggi mirati a nuove e più versatili possibilità di uso degli spazi, tenendo sempre in considerazione la caratteristica sia funzionale che emozionale degli stessi.
MONICA SANSONE VIDEOMAKER
operatrice di ripresa e montatrice video, specializzata nel settore medico scientifico e molto attiva in ambito sociale.
-10Generazione F
Salute: ma non è che pretendiamo troppo noi Over? Editoriale di Minnie Luongo
-12Foto d’autore Uno scatto emblematico di Francesco Bellesia
-14Il tempo della Grande Mela Negli States, se vuoi curarti, meglio assicurarti! Di Flavia Caroppo
-17Di tutto e niente Nuove routine Di Andrea Tomasini
-21Stile Over Iniezioni di Paola Emilia Cicerone
-25Da leggere (o rileggere) Come stai?
Di Amelia Belloni Sonzogni
-32Per approfondire
“Jolly & Jolly Blue – C’era una volta la sala giochi” Di Danilo Ruggeri
-36Benessere
Tatuaggi e sole: come prendersene cura con l’arrivo dell’estate dalla Redazione
-38Il desco dei Gourmet
La dispensa del turista goloso dalla Redazione
Neanche a farlo apposta, mentre mi stavo dedicando a questo numero incentrato sulla Salute, ho dovuto sottopormi a una visita medica, il cui resoconto illustra esattamente come non deve mai essere fatta una visita da parte di un medico.
Inutile dire a quale specializzazione appartenga il prof da cui sono andata. L’esempio di come un medico non deve comportarsi vale per ogni camice bianco, di qualsiasi patologia si occupi. Ecco il riassunto della mia esperienza.
Sotto un sole cocente (com’è giusto sia a fine giugno) mi avvio alla struttura ospedaliera in cui il rinomato prof (intervistato di recente per telefono, dove aveva egregiamente fatto sfoggio delle peculiarità della malattia di cui è esperto) ha avuto la grande disponibilità di ricevermi. Questo penso mentre mi avvicino al suo studio, quasi emozionata e comunque certa che, nonostante il dottor Gregory House sia solo lo splendido protagonista di una serie televisiva, l’esimio specialista che mi attende sarà in grado di ipotizzare una diagnosi che risponda finalmente al mio problema.
Con la mia cartellina sotto il braccio, ricolma di tutti gli ultimi esami del sangue, le ecografie, ricette e prescrizioni effettuate negli ultimi due mesi, lo incontro sull’uscio del suo studio, mi presento con il mio sorriso più sincero e mentre entriamo (già avevo intuito che non aveva realizzato chi fossi… del resto come mi avrebbe fatto notare nei minuti seguenti “ Non ci sei mica solo tu; sai quanta gente vedo ?), lui mi chiede a bruciapelo: “Quanti anni hai detto che hai? E che pretendi alla tua età?”. Testuale.
Entro e cerco di dirgli che non voglio fare la fighetta supersana, ma gli ricordo che anche la genetica ha la sua importanza: mio padre ancora a 74 anni giocava quattro ore consecutive a tennis, stracciando rivali quarantenni e, inoltre, portava occhiali con lenti fasulle, ovvero semplici pezzi di vetro, perchè…si vergognava con i suoi coetanei di dire che aveva 11/10 di vista e non aveva mai avuto bisogno di occhiali, né per leggere né per altro, così come- all’opposto dei suoi amici- prendeva pillole per alzare, invece che per abbassare, la pressione. Al di là di questo, mi siedo speranzosa davanti a lui mentre gli sento dire che probabilmente il laboratorio dove ho (sempre) fatto esami del sangue deve aver sbagliato qualcosa. Lo interrompo per esporgli il problema di sua competenza per cui sono lì, e a questo punto ecco la seconda chicca: “ Ma io non ho mica la bacchetta magica!”
Certo che no, ma magari una visita potrebbe farmela? A malincuore mi concede di spogliarmi esenza toccarmi in alcun punto (“Che volgarità”, commenterebbe Fiorello, come ai tempi della sua esilarante imitazione di Madame Carla Bruni- mi guarda e mi prescrive… un antidolorifico. Stizzita
raccolgo le mie carte, non dopo aver appreso che di una scoperta importante di cui non bisogna essere per forza giornalisti scientifici per conoscerla, averla letta sulle maggiori riviste italiane e straniere, ma soprattutto sapere che è diventata realtà terapeutica rivoluzionaria approvata nel nostro Paese già da due anni da Aifa (Agenzia italiana del farmaco) lui è completamente all’oscuro: “Ho già da seguire tutto ciò che avviene nel mio campo ” mi dice spudoratamente.
Ottengo l’impegnativa per fare una lastra (che stupida a non aver pensato che il mio medico poteva prescrivermela online, senza neppure uscire da casa!) e, ancora, il consiglio di prendere un antidolorifico. E poi c’è ancora qualche medico che si riempie la bocca parlando della necessità di interdisciplinarietà, di empatia con il paziente, della necessità di ascoltarlo? Ma mi faccia il piacere, esclamerebbe Totò.
A mai più rivederla Prof! Essere ritenuti dei grandi luminari, lo dico ad Over e no, non vuol dire aver voglia di esercitare il proprio mestiere, né esserne all’altezza. E poi, dai, ma alla mia età che pretendo?
Augusto Murri (1841- 1932), uno dei più grandi clinici del suo tempo.
Prima introvabile, poi amata, poi considerata fastidiosa, poi ancora ricercata. Ritenuta utile, o all’opposto inutile se non addirittura anticostituzionale. Obbligatoria ovunque nei primi tempi, quindi solo in alcuni luoghi o affidata al proprio buon senso…
Comunque sia, basta la foto di una mascherina chirurgica per riportarci a un periodo ben preciso, quello di un’epidemia che ci ha colto impreparati e ha sconvolto la nostra vita quotidiana. (m.l.)
Sono nato ad Asti il 19 febbraio del 1950 ma da sempre vivo e lavoro a Milano. Dopo gli studi presso il liceo Artistico Beato Angelico ho iniziato a lavorare presso lo studio di mio padre Bruno, pubblicitario e pittore. Dopo qualche anno ho cominciato ad interessarmi di fotografia, che da quel momento è diventata la professione e la passione della mia vita.
Ho lavorato per la pubblicità e l’editoria ma contemporaneamente la mia attenzione si è concentrata sulla fotografia di ricerca, libera da vincoli e condizionamenti, quel genere di espressione artistica che oggi ha trovato la sua collocazione naturale nella fotografia denominata FineArt.
Un percorso parallelo che mi ha consentito di crescere e di sviluppare il mio lavoro, una sorta di vasi comunicanti che si sono alimentati tra di loro. Molte sono state le mostre allestite in questi anni e molte le manifestazioni alle quali ho partecipato con premi e riconoscimenti.
Continuo il mio percorso sempre con entusiasmo e determinazione… lascio comunque parlare le immagini presenti sul mio sito.
Salute, malattia, assicurazioni, analisi, interventi chirurgici, e tutto quell’insieme di cose che riguardano la salute al di là dell’Oceano.
Di Flavia Caroppo – giornalista, corrispondente da New York
Oggi vi parlo della differenza tra la sanità negli Stati Uniti e in Italia . Preparatevi perché è un viaggio folle tra costi alti e spese pazze Vi racconterò le differenze tra il sistema pubblico e privato per garantire la salute del cittadino, ma vi svelerò anche alcuni aneddoti personali Partiamo !
Negli States, se vuoi curarti, meglio assicurarti! È un po’ come se la salute fosse una festa privata a cui puoi partecipare solo se hai il biglietto d’ingresso, ovvero un’assicurazione sanitaria privata Senza di essa, rischi di vederti tirare la porta in faccia e rifiutare le cure . Non è uno scherzo ! Sei senza assicurazione? Preparati a combattere da solo contro germi e malattie !
Negli Stati Uniti l’assicurazione è obbligatoria per tutti, e i costi variano dalle centinaia di dollari al mese sino a zero, o poco più. Si tratta di Medicaid, un sistema di assicurazione per i meno abbienti introdotta da Obama con il nome di Affordable Care Act. Una vera manna dal cielo per chi, come me quando mi sono trasferita in America, faceva parte della categoria dei poveri!
L’Obamacare mi ha salvato la vita . Ad un certo punto, durante il mio periodo di “sanità pubblica”, ho avuto bisogno di alcuni accertamenti specifici che, con un’assicurazione del libero mercato di livello medio, mi sarebbero costati oltre 40mila dollari. Ma non ho sborsato nemmeno un centesimo!
Nel 2017 il Senatore Bernie Sanders presentò il Medicare for All Act, un progetto di legge che garantiva l’accesso a una sanità di buon livello per tutti i cittadini, assicurati e non. (Cortesia di: Public Citizen via Flickr, Creative Commons)
Passano alcuni anni e sottoscrivo un’assicurazione sanitaria privata abbastanza costosa, che però era coperta in parte dal mio datore di lavoro . E qui arriva il bello! Ad un certo punto devo sottopormi ad un’operazione chirurgica. La prima domanda che faccio è: “Ma la mia assicurazione la copre?”. I rischi dell’intervento e tutti gli altri dettagli legati al salvare la pellaccia erano magicamente passati al secondo posto… Benvenuto processo di americanizzazione! Comunque la storia adesso si fa interessante.
L’assicurazione copre l’intervento, mi viene assicurato (le parole sono importanti) e serena vado sotto i ferri. Circa un mese dopo mi arriva una fattura dall’ospedale per oltre 4mila dollari! E sapete perché? L’intervento in sé era coperto dall’assicurazione, ma l’anestesia non era compresa nel pacchetto . Non ci posso credere nemmeno io, ho persino scherzato col medico dicendo che la prossima volta (che speriamo non ci sia) avrei cercato le sostanze per l’anestesia in maniera “illegale”. Ridere fa bene, ma c’era un fondo di verità in quella battuta!
Un altro episodio che mi ha fatto rimanere a bocca aperta è stato quando sono andata dall’oculista. Premessa: lenti correttive e visite oculistiche, così come le cure dentarie, non sono coperte dall’assicurazione di base, mi tocca aggiungere circa 50 dollari al mese alle centinaia che già pago . Dicevamo, sono dall’oculista, pago i miei 75 dollari di “ticket” (che qui si chiama copay), e ricevo una visita accurata, niente da dire. In realtà,
però, io avevo solo bisogno di una nuova prescrizione per gli occhiali! E quando, nel lasciare lo studio, ho chiesto alla segretaria la prescrizione delle lenti, mi ha risposto che se volevo una copia stampata da portare al negozio di occhiali, dovevo sborsare altri 75 dollari? Sì, avete capito bene! Potevo vedere bene, ma per avere quella dannata prescrizione dovevo pagare di nuovo!
La dottoressa Patricia Era Bath, oftalmologa, pioniere della chirurgia laser della cataratta e fondatrice dell’Istituto Americano per la prevenzione della cecità, un’organizzazione non-profit con sede a Washington, D.C.
Spero che questa piccola incursione nella mia esperienza personale vi abbia dato uno spaccato delle differenze tra i due sistemi. Non sto dicendo che uno sia perfetto e l’altro un disastro, sicuramente ci sono lezioni da imparare da entrambi, ma è chiaro che la salute non dovrebbe dipendere dal saldo del tuo conto corrente.
l’Italia con il suo sistema sanitario pubblico offre un’opportunità di accesso universale alle cure mediche, senza dover vendere un rene per farlo. Negli Stati Uniti, invece, bisogna fare i conti con l’assicurazione privata, le spese aggiuntive e le sorprese sulle coperture.
Speriamo che in futuro si possano trovare soluzioni migliori per garantire a tutti una salute di ferro, senza troppi grattacapi e senza dover fare acrobazie finanziarie. Fino ad allora, tengo la tessera della mia assicurazione sanitaria a portata di mano e spero che non mi si presenti l’urgenza di un trapianto di portafoglio.
Due sbalzi di pressione. Del primo me ne sono accorto perché la persona con cui stavo parlando mi ha detto di muovere l’occhio verso sinistra e poi “Ti sei visto?” . Mi sono andato a vedere e una vena era scoppiata. Per cui ho introdotto l’attenzione alla colonnina di mercurio l’inizio del giorno. “Misuri sempre alla stessa ora la pressione per una decina di giorni, se la segni e se è sempre alta si tratterà in cronico, dopo elettrocardiogramma e visita cardiologica”.
Ho iniziato dagli esami del sangue Prescritti in visita di esordio con il nuovo medico di base. Quello precedente era davvero approssimativo e algido e svagato . Ho avuto modo di discuterci un paio di volte. La sua ultima mail mi suggeriva a trovare un medico in cui io avessi fiducia. Il suo comportamento è stato da manuale, da filmare per dire come è sbagliato un rapporto medico-paziente impostato come quello che lui sa costruire. La fiducia si costruisce e si guadagna.
Sono molto soddisfatto della mia nuova dottoressa e del primo colloquio avuto con lei. Gli stati generali della mia salute, racconto di vita e di corpo – nel dettaglio . Ero munito anche della mia serie storica di misurazioni mattutine, tutte alla stessa ora
“Intanto iniziamo con una pasticchetta, che così sguarnito non la posso lasciare. Le do la stessa che prende sua mamma, che così ce l’ha . In ogni caso avrei comunque iniziato con un sartano. Poi vediamo. Lei continua a prendere la misura al mattino e mi dice. Comunque ci vorrà qualche giorno… Appena ha le analisi me le spedisce”.
La mattina ora anche io prendo il farmaco. Alle 8 – con un’oscillazione di cortesia di 15 minuti. E’ la prima volta che prendo un farmaco “cronicamente”. Vedremo se s’aumenterà dose e frequenza e cosa altro sarà necessario, farmacologicamente .
Quando sono andato a fare le analisi – che è molto che non le facevo- mi sono reso conto che comunque, alla fine, una delle più solide ragioni che mi hanno protetto dal contrarre dipendenza da droghe pesanti per via iniettiva è stato il fastidio dell’ago nella vena
Siccome era tanto che non le facevo ho atteso l’emersione del mio io biochimico con apprensione – raccontandomi in dettaglio e catastroficamente, con in un penoso atto di dolore, tutte le mie trascuratezze che mi hanno reso un sessantenne potenzialmente iperteso e sovrappeso . Se so come si fa, perché non l’ho fatto non lo so. Sottile il dubbio s’insinua: siamo certi che poi lo farò?
Mi sono accorto dopo tanto che nella parte posteriore del blister del farmaco che somministro da mesi a mamma, e da pochi giorni a me, ci sono scritti, in coincidenza di ciascuna compressa, i giorni della settimana .
Che per me – dovendo recuperare il senso e la sequenza cronologica- inizia ormai di venerdì. Credo non sia casuale questa sfasatura ulteriore – che fa combaciare biografia e biologia in una differente e artificiale coincidenza dettata da quanto scritto sul blister, verificata quotidianamente aprendolo alle 8. È il mio introibo.
Tre quarti d’ora dopo mi misuro la pressione e me l’appunto. Sui fogli riporto data completa –giorno, mese anno- la massima, la minima, i battiti. Sono annotazioni esili, simili a quelle che ho ancora da qualche parte quando smisi di fumare, credo una quindicina di anni fa, dove avevo iniziato a segnare i giorni per quantificare il tempo che trascorreva libero da tabacco, usando l’evidenza della consistenza dell’elenco che emergeva dal colpo d’occhio osservando i fogli come leva per liberarmi dalla dipendenza Ora che ci
penso, ho fatto lo stesso con il peso anni fa . Avevo appeso dietro la porta dei cartoncini su cui per mesi ho appuntato la data – in quel caso solo giorno e mese- e il mio peso, impegnandomi in una dieta e in una pesa molto consapevole e quotidiana. Anche qui il colpo d’occhio mi ha funzionato da ancoraggio e misura del cambiamento che man mano stavo ottenendo.
In entrambi gli ultimi due casi gli esiti dipendevano dal mio comportamento, dall’impegno e dalla volontà Un po’ diverso il diario della pressione quotidiana. Ho la sensazione che in quota parte vi sia qualcosa che dipenda anche dall’età e dal pregresso, che non è modificabile . “Secondo me – mi aveva detto la dottoressa- se cala di peso, almeno 15 punti di mercurio li perdiamo”. Serve che vada da un nutrizionista, un dietologo? “Questo me lo deve dire lei”. L’espressione del viso stava significando che questo dovrebbe poter dipendere davvero dal mio impegno. Ad ogni buon conto mi ha scritto su un post-it il numero di un “nutrizionista bravo” e lo ha appiccicato sul primo dei fogli su cui sono riportati i numeri della mia pressione quotidiana. La prima data appuntata è il 16 gennaio.
Nei giorni successivi, fino a ieri, ho dissimulato le mie buone intenzioni. Erano vivaci ma nascoste dietro nuvole grigie che il vento prima o poi avrebbe spazzato palesandole come necessità – a prescindere che fossero o meno intenzioni. Il necessario va fatto. Lo dico rimproverandola all’anziana genitrice che assisto –non posso sottrarmi io a me stesso.
Ieri ho ritirato le analisi. Con il referto in mano intanto mi prenoterò elettrocardiogramma e visita cardiologica.
Nel pomeriggio tardi le ho inviate via mail alla dottoressa, che ancora non mi ha risposto con un commento – ma oggi è sabato. Ho letto con attenzione il mio referto: “Prestazione sottolineata: valore fuori norma”.
Quando si ha in mano i fogli del referto ho sempre la sensazione di agire in maniera analoga di chi compra un settimanale di enigmistica che ha nelle ultime pagine dedicate alle soluzioni di cruciverba, enigmi sciarade e giochi simili Se c’è scritta la risposta, in genere finisce che la vai vedere non solo quando proprio non la sai, ma molto spesso solo anche quando esiti nell’ipotizzare la soluzione.
Sono davvero poche le sottolineature nei tre fogli pieni di numeri che mi riguardano. Le ho inviate a un caro amico, eccellente clinico, con allegato il messaggio “ecco il mio io biochimico”.
“Sono le analisi di un ragazzino”, mi ha risposto. Sollecitandomi a comprare una tuta e ad andare a camminare, ma “vedi di farlo sul serio”. Verso l’ora di cena mi ha telefonato ridendo – mi sfotte con affetto, perché poi mi ha chiesto cosa avessi cucinato per cena.
Quotidianamente testo la mia nuova routine, che però io dovendo far spazio alla pasticchetta, alla misurazione della pressione e al resto devo necessariamente modificare. Devo metterci anche la camminata a passo veloce . “Almeno due chilometri, ogni giorno”, mi ha prescritto l’amico .
La tuta, cercata e ritrovata, l’avevo in fondo all’armadio. Oggi l’ho tirata fuori e messa in lavatrice. Lunedì sarà lavata, asciutta e profumata, ché si inizia.
Si chiama sfigmomanometro l’apparecchiatura biomedicale usata per la misura della pressione arteriosa, inventata alla fine dell’Ottocento. Oggi è possibile misusarsela anche da soli, con apparecchi da braccio o onche da polso.
Deve essere ancora in casa da qualche parte, la scatolina in metallo con dentro ago e siringa che si usava per le iniezioni quando ero bambina. Mi bastava vederla comparire, a bollire sul gas per sterilizzare il tutto, per precipitare nel panico più assoluto .
E probabilmente non ero la sola, tanto che il mio pediatra, per evitare che i piccoli pazienti associassero la sua presenza alle temute “punture”, aveva escogitato uno stratagemma destinando a questa incombenza un giovane assistente. Un dottorino di carattere mite, palesemente dispiaciuto di far paura ai bambini cui teneva molto. Con me andò malissimo perché da bambina mi ammalavo facilmente, e spesso in forma grave.
Fu dopo la più seria di queste malattie che calcolai di aver fatto in tre mesi circa 150 iniezioni tra intramuscolari, endovenose e ahimè punture lombari, senza dimenticare una fleboclisi durata giorni. Fu allora che giurai che di iniezioni non ne avrei fatte più, a costo di ingurgitare compresse gigantesche o disgustose . E in realtà sono andata avanti così per un bel po’ di anni, glissando sulla necessità di esami del sangue e contando su una dentatura invidiabile, con poche eccezioni tra cui una vaccinazione anti epatite. Poi, le cose sarebbero cambiate ma non di molto, ma ho continuato a chiedermi perché i progressi della ricerca non ci abbiano ancora assicurato un metodo più civile per assumere farmaci.
In effetti, l’idea di bucare gli esseri umani per infilarci dentro un medicamento è antica anche se le iniezioni come intendiamo oggi nascono intorno alla metà del diciannovesimo secolo, grazie soprattutto a un medico francese, Charles Pravaz , che perfezionando uno strumento messo a punto dal collega Dominique Anel aveva realizzato una siringa di tipo moderno che usava per cercare di curare gli aneurismi con farmaci coagulanti.
Negli stessi anni un medico scozzese, Alexander Wood, cominciava a utilizzare una siringa per curare le nevralgie iniettando farmaci in prossimità dei nervi malati, e dopo una decina di anni le siringhe, prima in metallo e poi in vetro sono entrate in uso anche in Italia. Anche se l’idea di usare aghi e siringhe per introdurre qualcosa nell’organismo è assai più antica : nel Rinascimento le iniezioni – di cui anche Leonardo da Vinci era maestro – servivano nella dissezione anatomica per mettere in rilievo i vasi arteriosi e venosi e nella pratica dell’imbalsamazione . Ma non sono mancati tentativi di uso medico di queste procedure, durante il Medioevo e poi di nuovo nel diciassettesimo secolo, con conseguenze spesso disastrose Paradossalmente, è più antica la storia delle endovenose che proprio nel diciassettesimo secolo cominciano a essere utilizzate su animali soprattutto da Christopher Wren – che non era un medico ma un architetto, astronomo e matematico – e da altri, anche se poi entreranno diffusamente in uso solo nel diciannovesimo secolo grazie al medico italiano Guido Baccelli.
Inutile dire che tutto ciò, nonostante la mia passione per la storia della medicina, non mi confortava per niente; anzi, mi sono resa conto che in televisione sopportavo tranquillamente le immagini di interventi chirurgici anche cruenti, ma era meglio che chiudessi gli occhi se era inquadrato un ago (pare che si chiami belonefobia ). Mi è successo anche al cinema, quando dopo aver superato indenne le sequenze più impressionanti del Dracula di Bram Stoker ho rischiato di svenire di fronte alla celebre scena della trasfusione Ovviamente non sono mai riuscita a donare il sangue e qualunque incontro con i temuti aghi, si trattasse di prelievi per analisi o di anestesia dal dentista, mi ha sempre terrorizzata . A cambiare almeno parzialmente la situazione è stata, nei primi giorni del nuovo millennio, una storta alla caviglia particolarmente perfida, e soprattutto una di quelle magie per cui una cosa sgradevole assume un carattere diverso se proposta in un’altra lingua. Quando il gentile medico marocchino che mi stava visitando mi disse con voce sicura “il faut faire une piqûre” , mi sono resa conto che l’esotica piqûre non si portava dietro le ansie della mia infanzia, e tutto sommato sembrava assai meno temibile della vecchia iniezione. Senza contare che, come scoprii in quell’occasione, nel frattempo le siringhe monouso realizzate grazie ai progressi della tecnologia garantivano effettivamente punture quasi indolori
Mi piacerebbe dire che da quel giorno tutto si è risolto. In realtà non è proprio così, ma nonostante le mie ansie sono riuscita a fare senza eccessivi traumi qualche seduta dal dentista e le vaccinazioni anti Covid. E perfino a fare un prelievo di sangue per le analisi in laboratorio (per il precedente, più di dieci anni prima, era venuto il medico a casa). Insomma, la situazione è migliorata. Ho detto migliorata, non risolta… e confesso che la ricerca delle immagini per questo Stile Over mi ha messo a dura prova.
Di Amelia Belloni Sonzogni – scrittrice
Chissà Nella come sta. Non la sento da parecchio.
Certo, potrebbe chiamarmi lei qualche volta… Non importa, le telefono io.
Ma il suo numero? Pensare che me lo ricordavo a memoria; anzi, me lo ricordo: 230117, ma è il numero della vecchia casa, quando abitava qui vicino. Quello nuovo?
Ah, la memoria… comincio ad avere dei buchi e, quando parlo, a volte mi manca la parola: la sento che spinge ma non esce, neanche avessi un cerotto sulla bocca.
Nella, invece, si ricorda sempre tutto. Eppure, è più vecchia di me.
Di quanti anni non lo so, non me lo ha mai detto. Ogni volta che provo a chiederglielo, cambia discorso, fa finta di niente. Avrà stretto un patto con il diavolo? Oppure è solo vanitosa? Che senso ha, dopo i sessanta, nascondere gli anni? Quando si va in pensione, l’età è palese.
Ma dove avrò messo la rubrica telefonica?! Eccola, sotto il telefono: logico.
Mi metto in poltrona. Quando il telefono era in anticamera, appeso al muro, il più delle volte stavo in piedi, poi, dato che sono una chiacchierona, ho iniziato a portarmi una sedia dal tinello. Se non altro, adesso è più comodo, poggiato sulla credenza.
Allora, cerchiamo: enne, Nella, 6880698. Ormai ha traslocato da qualche anno e non sono mai stata a casa sua. Certo è incredibile, però non posso autoinvitarmi e con la scusa che ci vediamo sempre d’estate, al mare, va a finire che non mi inviterà, scommettiamo?
Suona libero…
— Pronto?
— Ciao Nella! Sono Piera, come stai?
— Piera! Pensavo di chiamarti, poi, con tutto quello che ho sempre da fare… Come stai?
— Bene, a parte i malanni. Ma non siamo mica
inglesi: how do you do, how do you do all’infinito. Stai bene?
— Eh? Ho studiato francese, a scuola. Di quali malanni parli?
— A quali eri rimasta, nell’ultima telefonata?
Ti ricordi? Io no.
Telefono nero di bachelite (foto da Pixabay)
— Mi pare alla menopausa…
— Ah, sì, quella! Non ti dico le caldane: una via l’altra, ogni mezz’ora e grondo sudore, gocce di pioggia su di me . Sai la canzone? No, eh. Era per sdrammatizzare.
Tu le hai?
— No, ne ho avuta solo qualcuna i primi tempi.
— Che fortuna! Ormai soffro da anni! Ma, senti, a proposito: tu quanti anni hai? Sai che non me lo hai mai detto? Ci siamo conosciute quando le nostre figlie erano in carrozzina, nate a due mesi di distanza prima la tua e poi la mia; perciò, dovremmo essere più o meno coetanee. O no?
— Eh, più o meno… cosa dicevi, delle caldane?
— Non so più come fare. Mi sento orribile e, quando devo uscire, non ho un vestito che mi stia bene tanto sono appesantita. Tu come fai?
— Esco pochissimo.
— Male! Vieni da me un pomeriggio, così poi ricambio la visita. Che ne dici?
— Verrei volentieri, ma tra pochi giorni, pagate le tasse, mia figlia ci accompagna al mare; devo preparare ancora tutto. Venite anche voi, vero?
— Sì, come sempre in agosto; sai che a luglio andiamo al lago. Mi farebbe piacere salutarti prima, di persona.
— Se trovo un po’ di tempo per mettermi in ordine…
— Ma come?! Non è sano trascurarsi. Io vado dal parrucchiere una volta a settimana, non si discute!
— Io, invece, ci vado due volte l’anno: taglio estivo, taglio invernale. Non mi tingo più.
— Davvero?
— Molto più pratico, soprattutto al mare, mi vedrai.
— Oh, certo! Con il peso come va? Io quasi non mi riconosco più. Porto la 56, e tu?
— Non saprei dirtelo, non so da quanto non mi compro vestiti. Indosso quelli che ho, quelli che mi vanno bene.
— Mi avevi detto di avere iniziato dei trattamenti di bellezza; ti mettevano sotto una specie di catafalco per sudare. Sei dimagrita?
— Sai che non mi ricordo?
— Cosa?
— Di essere andata sotto un catafalco per dimagrire e neanche di avertelo detto.
— Ti assicuro che me l’hai detto.
— Sarà…
— Ti ricordi Lorenza?
— Mi pare, sì. Era la tua vicina di casa quando abitavi in via… aspetta, che via era?
— Via… quella che passa dietro la stazione… possibile non mi ricordi dove ho abitato?
— Via Rombon!
— Brava, lo sapevo che tu ti ricordi tutto. Dicevo? Ah, sì, Lorenza.
— Mi raccontavi quello che combinava: gli schiamazzi erano la cosa più gradevole.
— Sai cosa le è capitato?
— No, cosa?
— Pare sia diventata muta.
— Ma dai?! Una bella legge del contrappasso, per una capace solo di sbraitare e dar fastidio. Una malattia?
— Stanno indagando: esami, controlli, persino uno psichiatra! Ma lei non parla; non si capisce cosa l’abbia provocata. I vicini, quelli rimasti là, dicono che si è alzata una mattina, muta. Pensavano fosse morta. Di solito svegliava tutti, a urla e strilli; da quel giorno è muta!
— Chissà che pace! Ha preso un colpo in testa, forse?
— Dai, non farmi ridere! Certo è strano il corpo umano… da un giorno all’altro, senza avvisaglie, può acca -
dere di tutto. E ti sentivi benissimo fino a un attimo prima.
— Un tempo si diceva “gli è preso un colpo”. È quello che capiterà a me.
— Ma cosa dici!?! Sei sana come un pesce! Quando ti vedo al mare, nera come un tizzone, sei il ritratto della salute: sempre in acqua a nuotare!
Anziana signora in mare (dall’archivio fotografico dell’autrice)
— Dovresti venire anche tu!
— Lo sai che ho paura.
Non vado dove non tocco e, anche dove tocco, mi devo attaccare a qualcosa.
— Puoi aspettare un momento? Ho una cosa sul fuoco…
— Certo, vai pure.
…
— Eccomi. Avevo messo a bollire le siringhe.
— Usi ancora quelle di vetro?!
— Sì, perché?
— Ci sono quelle sterili, usa e getta.
— Mi trovo bene con quelle, anche se sono bacucche. Le usavo per le iniezioni di
B12 a mia figlia che, appena le vedeva, provava a nascondersi ovunque, persino dietro la poltrona verde ereditata da mia suocera. Capirai che nascondiglio…
— Ma adesso, fai iniezioni a chi? Per cosa?
— A me per un attacco violento di sciatica che ho avuto circa due settimane fa. Non riuscivo ad alzarmi dal letto; devo terminare la cura. Dici ancora che sono il ritratto della salute?
— Lo dico sì! Quante pillole prendi al mattino?
— Una, per la pressione.
— Lo vedi? Io, invece, una manciata e non ti sto a elencare per cosa le prendo perché non me lo ricordo. Però se sbaglio è un disastro! Mia figlia mi sgrida.
— Tua figlia si preoccupa, come la mia, che scappa ancora quando mi vede con la siringa in mano, anche se non è per lei.
— Ma c’è qualcuno che te le fa, queste iniezioni?
— No, uso una macchinetta.
— Te le fai da sola?! Sei un fenomeno. Quante volte sei stata operata?
— Per ora nessuna, facendo i debiti scongiuri.
— E in ospedale, ricoverata? Quante volte?
— Devo pensarci, aspetta… quando ho partorito.
— Ecco, vedi? Io invece non le conto neanche più… e ho una visita prenotata da un gastroenterologo perché ho spesso una sensazione di nausea, neanche fossi incinta.
— Non mi capita mai. Mio marito dice che digerisco anche i sassi.
— Lo so, lo so, sei una buona forchetta.
— Ho appetito…
— Sono preoccupata. Avrò qualche brutto male?
— Non potrebbe essere solo un problema di alimentazione?
— In che senso?
— Alla nostra età, bisognerebbe magari fare più attenzione…
— Alla nostra età, tu quanti anni hai?
— … bisognerebbe mangiare meglio.
— Sono in ansia, la notte non dormo o dormo poco e male. Sveglio mio marito, che mi ascolta. Gli racconto i miei incubi: stanotte, ad esempio, ho sognato di diventare un mostro.
— Addirittura!
— Sì! Una vecchia bruttissima, enorme e tutta storta! Saranno i reumatismi?
L’artrite deformante? E se divento incontinente? Ma ci pensi?
— No, per il momento non ho sintomi di questo tipo.
— Beata te! A me capita, quando starnutisco forte.
— A me capitava, invece, che mio marito mi svegliasse in piena notte perché pensava di avere la febbre. Ora non più, ma abbiamo vissuto per anni con il termometro sul comodino, se la misurava e non si calmava se non lo leggevo anch’io: 36,5 al massimo 37, che non è febbre, ma lui si allarmava: «Ecco, vedi, un rialzo». Un tormento, piuttosto!
Vecchio termometro al mercurio, immagine di OpenClipart-Vectors da Pixabay)
— C’era un motivo, però.
— Sì, temeva ancora le conseguenze di quanto aveva patito in prigionia, ma dopo decenni era diventata una forma di ipocondria, secondo me.
— Vuoi dire che io sono ipocondriaca?!
— Ma no! Fai bene a tenerti controllata. Come si dice, quando c’è la salute, c’è tutto.
— È così; banale ma vero. Stare bene è anche non aver pensieri brutti. La malinconia è un pensiero brutto persistente, e io ne soffro. Sarà depressione?
— Non dirmelo, anch’io ne soffro, con l’aggravante del rimpianto; dico sempre «se solo…» e mio marito me lo rimprovera, sempre. Brontolo per ciò che non è stato, per ciò che non ho fatto: ho rimandato, e rimandato, e rimandato.
— Allora è tua la responsabilità.
— Dici?
— Dico!
— Senti, Piera, ora ti devo proprio lasciare. Ci risentiamo presto.
— Speravo di sentirti dire: ci vediamo presto…
— Al mare, di sicuro. Ciao, Piera.
— Ciao, Nella.
Mia la responsabilità, dice Piera? No, mio il sacrificio! Per mio marito, mia figlia, la casa, il lavoro, il risparmio. Come sto, mi chiedono; come sto? E chi lo sa? L’aspetto è florido, non sono mai stata cagionevole di salute, quando mi prende un raro malanno, guarisco ancora alla svelta. E la salute dell’anima? Di quella non abbiamo parlato. Sarà per la prossima telefonata. Intanto, ho un sacco di cose da fare.
Un libro sulla storia di videogames e sale giochi. Raccontata da Alessandro Paola Schiavi, erede di terza generazione del locale di Voghera che fu una delle prime sale giochi in Lombardia
«La vita è un gioco e l’unica certezza che abbiamo è che non dobbiamo mai smettere di giocare, qualsiasi direzione prenda il nostro cammino» . E’ la riflessione che il trentenne Alessandro Paola Schiavi – giornalista oltre che direttore artistico al Teatro Cagnoni di Godiasco Salice Terme (Pv) – vuole condividere con i lettori nelle pagine conclusive del suo libro “Jolly & Jolly Blue – C’era una volta la sala giochi”, un amarcord dedicato alla storia di questi locali di ritrovo per cimentarsi con i videogame e in particolare all’apertura a fine anni ’70, precisamente a Voghera, da parte della famiglia Schiavi di una delle prime sale giochi in Lombardia, battezzata con il nome di Jolly, a cui ha fatto seguito l’apertura poco tempo dopo a Pavia di un’altra sala giochi, la Jolly Blue da parte della famiglia Fraccaroli, soci della famiglia Schiavi. Sul territorio nazionale sono state aperte negli anni oltre 100 attività che hanno portato uno di questi due nomi.
La notorietà di questo nome fuori provincia arriverà grazie al cantante pavese Max Pezzali, che con i suoi ricordi raccontati attraverso la musica spiegherà meglio di tutti che cosa ha significato per lui, e non solo, quel mondo.
Patrocinato dal Comune di Voghera, in collaborazione con Agenzia CreativaMente Editore, la copertina del libro, opera dell’artista caricaturista ufficiale del Festival di Sanremo dal 2007 Andrea Tagliaferri, è un omaggio alla sala giochi di Voghera di cui l’autore è erede di terza generazione e ne ha ritrovato alcuni reperti unici come le prime licenze commerciali, i regolamenti imposto all’epoca per il numero di videogiochi e tante immagini inedite territoriali ritrovate dall’autore nelle ricerche storiche, alcune inedite e mai pubblicate Nel libro sono inoltre presenti contributi di storici e appassionati Arcade quali Marco Marabelli, ideatore del gruppo Facebook “L’alba dei videogiochi”, Andrea Ragni, appassionato storico pavese e il fondatore della pagina “Aracede Story” Antonio Nati, cultore dei cabinati Arcade e l’unico in Italia ad organizzare fiere dedicate ad hoc, nonché scelto da Amadeus per il Festival di Sanremo 2021 per esporre i suoi
cabinati presso il Casinó del teatro Ariston. La prefazione del libro è a cura di Ondina Torti, membro Rotary Club Valle Staffora e figlia del centroavanti di serie A Mario Torti, che negli anni ’60 si ritrovò “adottata” da una Voghera pre-sale giochi, vivendo così il boom pop culturale in prima persona.
Entrando nello specifico dell’opera, l’autore ci riporta a rivivere il cambiamento epocale nel mondo dei giochi iniziato a partire dalla fine degli anni ’70 e perdurato fino alla fine agli anni ’90 con il boom dei cosiddetti Arcade, cioè i videogiochi cabinati in cui lo schermo e i comandi erano inseriti in mobili dalle più fantasiose decorazioni e funzionavano solo dopo avere introdotto gettoni o monete. Dai primi modelli caratterizzati da giochi elementari, come quelli in cui si doveva sparare a ripetizione da una navicella spaziale grossolanamente stilizzata contro dei meteoriti o il gioco del ping-pong in cui si doveva colpire la pallina muovendo solo verticalmente una barretta mobile, si è passati nel corso degli anni a macchine e software più sofisticati che ci hanno fatto giocare con personaggi come Pacman, Donkey Kong e Super Mario fino ai simulatori di guida sempre più realistici
Il libro di Alessandro Paola Schiavi è tuttavia caratterizzato da piani di lettura mirabilmente embricati tra loro: la meticolosa ricostruzione storica dell’evoluzione tecnologica del video-gaming si aggancia, infatti, alla narrazione di come, grazie all’intuizione della famiglia dell’autore, sia nata non solo una tra le prime sale giochi nella regione Lombardia, ma anche un fenomeno sociologico tra i più rilevanti relativamente alle abitudini dei giovani in un periodo storico e culturale così particolare come quello degli anni ’80 e ‘90. Un libro che ci aiuta a capire meglio anche la nostra società.
Le sale giochi erano e sono state un momento di ritrovo, di gioco, di gioia, di amicizia, di risate e perché no, anche di rabbia quando si perdevano le partite. Ed era proprio questo l’obiettivo di chi le frequentava:
vincere una partita. Eppure, anche nell’epoca descritta nel libro non erano poche le persone tra genitori, critici, psicologi e media che consideravano le sale giochi come un luogo da cui stare lontani. Ma chi di noi non si è mai cimentato in una partita a un videogame? E oggi potremmo dire che quelle sale giochi erano davvero luoghi di perdizione?
Siamo lontani anni luce dal concetto della sala giochi odierna, caratterizza da slot-machine, VLT, videoscommesse, cioè un luogo in cui l’obiettivo è arricchirsi con il gioco, un approccio che spesso sfocia in situazioni patologiche come la ludopatia, causa di non pochi drammi. «In un decennio di videogiochi per console costose nonché violenti per davvero, direi che un esamino di coscienza quelli che giudicarono le care vecchie sale giochi come luoghi negativi dovrebbero farselo» , sottolinea l’autore nella premessa
Le vecchie sale giochi, in cui il divertimento era proprio il gioco fine a se stesso, hanno rappresentato un nuovo modo di socializzare tra ragazzi, e dovremmo piuttosto chiederci se non fosse meglio quel modello rispetto a quanto avviene oggi , in cui giovani e meno giovani preferiscono interagire attraverso lo schermo di uno smartphone.
La presentazione del giovane autore, direttore artistico al Teatro Cagnoni di Godiasco Salice Terme
A cura della Redazione
La protezione della pelle tatuata è fondamentale per mantenerne la bellezza. I consigli della dottoressa Ines Mordente Medico Chirurgo, Specialista in Dermatologia e Venereologia (Medicina estetica e rigenerativa).
Estate, tempo di vacanze! In tutte le occasioni in cui ci si espone al sole è fondamentale portare con sé le creme solari: un’accortezza base che tutti dovrebbero seguire per proteggere la salute della propria pelle. Nel caso della pelle tatuata è però utile qualche attenzione in più. Forse, infatti, non tutti sanno che le radiazioni solari possono portare, nel tempo, alla perdita di brillantezza e definizione delle opere d’arte impresse sulla nostra pelle
Come proteggere, quindi, i tatuaggi quando ci esponiamo al sole?
“Il sole emana due tipi di radiazioni ultraviolette (UV) significative per la pelle, dette UVA e UVB. I raggi UVA tendono a penetrare nella pelle più in profondità rispetto ai raggi UVB, causando danni più duraturi e un invecchiamento prematuro della pelle, con aree di disidratazione intensa (detta xerosi) e rughe. I raggi UVB, invece, agiscono prevalentemente sugli strati superficiali della pelle e possono rovinare i tatuaggi, soprattutto quelli realizzati più di recente. Per questo i consigli più importanti sono: evitare l’esposizione al sole per il primo mese dalla realizzazione del tatuaggio e successivamente applicare sempre una crema solare specifica”
La protezione dal sole rappresenta, quindi, un primo momento importante della beauty routine del tatuaggio , a cui si aggiungono detersione e idratazione, tre step che aiutano a preservare la bellezza dei nostri tattoo non solo in vacanza ma per tutto l’anno:
DETERSIONE : per rimuovere delicatamente le impurità senza indebolire la naturale barriera protettiva della pelle;
IDRATAZIONE: per aiutare la pelle a rigenerarsi dall’interno e a stabilizzare la naturale funzione di barriera cutanea;
PROTEZIONE : durante l’esposizione ai raggi solari, necessaria per preservare la bellezza del tatuaggio.
Le principali raccomandazioni?
“Quando si decide di fare un tattoo, i miei consigli da dermatologa sono prevalentemente due: la prima cosa da fare, ancor prima di disegnarlo, è recarsi dal dermatologo per un patch test che possa scongiurare eventuali allergie; una volta fatto il tattoo, invece, è importante una skincare routine morning e night. utilizzando un detergente specifico mattino e sera, e subito dopo utilizzare una pasta trattamento intensivo che, idratando la pelle, ne migliora l’elasticità cutanea favorendone la rigenerazione. Infine, ogni volta che ci si espone al sole non dimenticarsi di utilizzare una protezione solare specifica con un indice di protezione alto SPF 50+, applicandola con regolarità ogni 2 ore”.
Una beauty routine che tre rinomati tattoo artist – Vinnie Stefano La Rosa , Samuela Maggi e Vale Lovette – hanno interpretato unendo i propri stili in “The Tattoo Wall” opera d’arte collettiva promossa da Bepanthenol Tattoo per sensibilizzare e raccontare l‘importanza di questi temi. È nato così il più grande tattoo-murales mai realizzato su pelle sintetica, unione di arte del tatuaggio e spettacolarità della street art, lo scorso mese di maggio in mostra a Milano, per cittadini e turisti.
La linea Bayer Bepanthenol Tattoo si prende cura della pelle tatuata con tre prodotti specificatamente formulati per le tre fasi: il Detergente Delicato per la detersione, la Pasta Trattamento Intensivo per l’idratazione e la Crema Solare Protettiva SPF 50+ per la protezione dai raggi solari. Tutti con Pantenolo e dermatologicamente testati su pelle tatuata. Utili da portare sempre con sè in vacanza – e non solo – per prendersi cura delle opere d’arte più importanti: quelle sulla nostra pelle.
http://www.Bayer.it
LA DISPENSA DEL TURISTA GOLOSO
Informazione
Sì, parliamo ancora una volta della Linea Slim, ovvero di quei prodotti cotti e pastorizzati, apprezzati per il connubio di qualità e praticità , che si trovano solo presso il locale di via Cesare Battisti a Milano. Infatti, è sufficiente qualche minuto in acqua bollente e il piatto è pronto da servire in tavola.
In agosto la “dispensa” si rivela preziosa soprattutto in due casi: primo, per accontentare il turista che si reca in vacanza in un B&B (i bed and breakfast in tutta Italia sono sempre più numerosi) e “decide di portarsi dietro le nostre comode buste di ottimi piatti pronti”, spiegano Giuseppe Zoppi e Carlo Gallotti; in secondo luogo in un’altra circostanza, più che mai importante, ossia “ per venire incontro a chi deve seguire una dieta particolare e non è certo di trovare nell’albergo che ha prenotato gli alimenti che può mangiare”. Ma c’è anche una terza situazione in cui le buste della Linea Slim sono ricercatissime: per tutti coloro che vanno a riposarsi in campeggio e non desiderano stare a sfacchinare tra forni e fornelletti : in una busta ci sono due porzioni di tutto ciò che si desidera . Un recipiente per far scaldare l’acqua e il pranzo (o la cena) è pronto all’istante, assicurandosi gusto e qualità migliori della maggioranza dei ristoranti .
Zoppi e Gallotti
Via privata Cesare Battisti 2, Milano Tel. 02/5512898.
Per ordini e richiesta di preventivi potete scrivere una e-mail a: info@zoppiegallotti.com
Sito Internet: http://www.zoppiegallotti.com
Ricordate che potete prenotare per mail o, ancora meglio, per watsapp al numero 328 4394691 .
Telefonate subito e… buone vacanze a tutti i clienti!!!
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