Film n. 23 luglio - settembre 2022

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CENTRO STUDI CINEMATOGRAFICI
Anno XXVIII (nuova serie)Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento postale 70%DCBRoma

Anno XXVIII n. 23 luglio-settembre 2022 Trimestrale di cultura multimediale

Edito

dal Centro Studi Cinematografici 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605

Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: info@cscinema.org Aut. Tribunale di Roma n. 271/93

Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici

Si collabora solo dietro invito della redazione

Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Segreteria: Cesare Frioni

Redazione: Silvio Grasselli Giancarlo Zappoli

Hanno collaborato a questo numero: Elena Bartoni Claudia Bersani Jleana Cervai Alessio D’Angelo Giallorenzo Di Matteo Ginevra Gennari Fabrizio Moresco Carola Patini Giancarlo Zappoli

SOMMARIO

FILM

Siccità 1 Lamb 2

C’è un soffio di vita soltanto 3 Cyrano 5

Ennio 6

Dio è in pausa pranzo 8 Beautiful Minds 9

Il discorso perfetto 10 Il filo invisibile 12

Flee 13

Il signore delle formiche 15 L’immensità 16

Hatching - La forma del male 17

La vita è una danza 19

Io sono l’abisso 21 Maigret 22

Per niente al mondo 24 Sempre più bello 25 La donna per me 26 Brado 28

Il colibrì 29

The King’s Man - Le origini 31 Sulle nuvole 33

Una femmina 34 Un altro mondo 36 Maria e l’amore 37 Tra due mondi 39

Pubblicazione realizzata con il contributo e il patrocinio della Direzione Generale Cinema Ministero della Cultura

Stampa: Joelle s.r.l. Via Biturgense, n. 104 Città di Castello (PG)

SERIAL

In copertina

Full Time al cento per cento 41 Me contro te - Persi nel tempo 43

Bangla la serie 45

Il santone - Le più belle frasi di Osho 52 Esterno notte 64

In alto Siccità di Paolo Virzì, Italia 2021. Al centro Il santone - Le più belle frasi di Osho (serial) di Laura Muscardin, Italia 2022. In basso Lamb di Valdimar Jóhannsson, Polonia, Islanda, Svezia 2021.

Progetto grafico copertina a cura di Jessica Benucci (www.gramma.it)

di Paolo Virzì

SICCITÀ

NNon c’è acqua a Roma perché non piove da tre anni. La siccità, oltre rendere il letto del Tevere un canale sabbioso che regala carcasse e rottami di ogni genere, trasforma e abbrutisce la vita degli abitanti. La fila ai distributori d’acqua è impressionante; la gente si guarda torva, pronta a digrignare i denti per un bicchiere in più o in meno.

Le blatte, che affiorano ormai in tutte le case sono individuate presto come portatrici di un morbo che contagia e uccide in poco tempo gli esseri umani.

In questo panorama apocalittico si muove una serie di personaggi vittime e carnefici di una unica disperazione.

Loris, ex autista di un importante uomo politico, ora morto, tira avanti scarrozzando turisti nella sua auto sporca e coperta di terra mentre comincia ad avvertire i primi sintomi del nuovo morbo misterioso. Unico intermezzo della sua giornata noiosa è la conversazione che ha con i suoi genitori morti e con il suo ex capo (o forse conversazione che ha da solo con se stesso).

Un ergastolano si trova fuori di Rebibbia per caso e cerca sua figlia, non più la bambina di un tempo ma ormai una donna che non ha dimenticato che il padre le ha ucciso la madre.

Una coppia, Giulia e Valerio aspettano un figlio ma mentre lei è colma di dolcezza e speranza per il loro futuro, lui è un poco di buono che non esita a rubare un prezioso orologio in casa del suo benefattore e a uccidere la figlia del ricco proprietario di un albergo termale (lavora nella sua security) che lo ha scoperto.

Poi una dottoressa che lavora in ospedale si trova alla fine della

sua relazione con uno sciupafemmine; un’altra donna trascurata dal marito, ex attore che cazzeggia sui social, cassiera in un supermercato fantastica sul telefonino intorno a un flirt con un ex compagno di liceo.

Tutti i personaggi paiono in qualche modo sfidarsi e minacciare le loro vite in una corsa verso la distruzione fino a quando inizia, miracolosamente, una pioggia battente che potrebbe, forse, riportare tutti a rassomigliare agli esseri umani che erano un tempo.

NNon si è mai parlato così tanto di apocalisse come in questi ultimi anni.

Virzì, chiuso in casa anche lui per la pandemia, ha colto l’occasione per occuparsi, a suo modo, della fine del mondo, facendola rappresentare dai suoi personaggi (è inutile nominare questo o quell’attore, tutti straordinari) che tratta, in fin dei conti con indulgenza, con una generosità un po’ triste ma affettuosa.

Il contenitore, l’alveo di questa umanità allo sbando è il padre Tevere, fin dall’antichità nume tutelare d’iniziative guerresche e progressi civili, ora teatro di una dissoluzione epocale.

Gli individui si aggirano in questa strada di aridità gialla e polverosa che trasforma tutti in anime senza pace, sudate, sporche, terrose; solo i ricchi, ben dissetati, continuano a sfoggiare opulenze, automobili, amanti e potere e a comportarsi quasi indifferenti in mezzo a una umanità morente ma sempre più rancorosa.

La violenza non è cambiata, anzi, immiserita; così le truffe i furti, gli assassinii appartengono a questa umanità senz’acqua come un tempo erano prerogative

Origine: Italia, 2021

Produzione: Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa per Wildside, Vision Distribution in collaborazione con Sky, Prime Vide

Regia: Paolo Virzì

Soggetto: Paolo Giordano, Paolo Virzì

Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Paolo Giordano, Francesco Piccolo, Paolo Virzì

Interpreti: Silvio Orlando (Antonio), Valerio Mastandrea (Loris), Elena Lietti (Mila), Tommaso Ragno (Alfredo), Claudia Pandolfi (Sara), Vinicio Marchioni (Luca), Monica Bellucci (Valentina), Diego Ribon (Il professor Del Vecchio), Max Tortora (Jacolucci), Emanuela Fanelli (Raffaella), Gabriel Montesi (Valerio), Sara Serraiocco (Giulia), Emma Fasano (Martina), Paola Tiziana Cruciani (La madre di Loris), Gianni Di Gregorio (Il padre di Loris)

Durata: 124’

Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 29 settembre 2022

di gente dissetata ma egualmente senza freni né pudore. Odio e incomprensione, sotto un cielo plumbeo di paura e di un senso cinico di sopravvivenza.

Naturalmente Virzì colora i suoi personaggi di quella infelicità, vanità, solitudine, inadeguatezza (sono le sue stesse parole nell’ambito di una delle tante interviste rilasciate) che hanno contraddistin-

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to il nostro Paese nel lungo periodo della pandemia.

Ne escono così delle maschere da commedia dell’arte, ognuna con il suo pezzo di egoismo, indifferenza, insensibilità che ha contribuito a sgretolare la nostra civiltà su di una strada sabbiosa.

Citiamo un pezzo su tutti tra i tanti che compongono la panoramica esistenziale raccontata da Virzì, il culmine di un tocco ironico, amaro, spietato, davvero un colpo d’artiglio della nostra gran-

di Valdimar Jóhannsson

Origine: Polonia, Islanda, Svezia, 2021

Produzione: Hönn Kristinsdòttir, Sara Nassim, Piodor Gustafsson, Erik Rydel, Mieja-Rostworowska, Jan Naszewski per Go To Sheep, Black Spark Film & Tv, Madants

Regia: Valdimar Jóhannsson

Soggetto e Sceneggiatura: Valdimar Jóhannsson, Sjón Sigurdsson

Interpreti: Noomi Rapace (María), Hilmir Snær Guðnason (Ingvar), Björn Hlynur Haraldsson (Pétur), Ingvar Eggert Sigurðsson (Uomo alla televisione)

Durata: 106’

Distribuzione: Wanted Cinema

Uscita: 31 marzo 2022

IIn un luogo imprecisato dell’Islanda, una mandria di cavalli viene spaventata da un’entità sconosciuta che si introduce in un fienile. Successivamente, la contadina María e suo marito Ingvar restano scioccati nell’apprendere che una delle loro pecore ha dato alla luce un bizzarro ibrido di sesso femmi-

de “Commedia”: la metamorfosi di un colto e ricercato professore di idrologia che sbriciola la sua grandezza accademica lungo la strada minata della comunicazione televisiva nell’accettare l’invito seducente di una stella del cinema a immergersi con lei nella sua lussuosa vasca da bagno.

Virzì, però, ci ha voluto regalare due momenti capaci di smorzare l’aridità devastante per nutrire un’ipotesi di futuro: il personaggio dell’ergastolano in uscita sem-

bra incontrare nel suo girovagare sabbioso Giuseppe, Maria e relativo asinello! Forse l’unica salvezza dell’umanità è ripartire da quell’anno zero in cui tutto è cominciato?

Alla fine un forte acquazzone, uguale a quello che poneva fine alla peste nel romanzo manzoniano si abbatte su Roma per spingere, forse, tutti a ricominciare a vivere.

LAMB

nile con testa e braccio destro da agnello e corpo da essere umano. María e Ingvar prendono l’ibrido e iniziano ad accudirlo e ad amarlo in sostituzione della loro figlia nata morta, dandogli lo stesso nome, ovvero Ada. La pecora che ha concepito Ada continua a cercare di avvicinare la figlia, aggirandosi fuori dalla casa della coppia; un giorno Ada scompare e viene ritrovata accanto alla pecora, pertanto María spara alla testa dell’animale e seppellisce il suo corpo. Pétur, il fratello di Ingvar, arriva alla fattoria poco prima dell’omicidio e assiste all’avvenimento prima di andare a dormire nel fienile.

Pétur, che in passato ha avuto una relazione con María e cerca di flirtare con lei in diverse occasioni, rimane turbato da Ada considerandola un animale, nonostante Ingvar affermi che lui e la moglie ora sono felici. Sempre più disturbato dall’inquietante situazione famigliare, una mattina Pétur conduce Ada fuori casa mentre tutti dormono con l’intenzione di spararle. Cambia però idea e successivamente comincia a trattare affettuosamente l’ibrido come se fosse sua nipote.

Durante una serata in cui María, Pétur e Ingvar si ubriaca-

no, Ada entra in contatto con l’entità misteriosa vicino al fienile. L’entità uccide il cane di famiglia e ruba un fucile. Dopo che Ingvar va a letto, Pétur molesta María; quando María lo allontana, l’uomo le rivela di aver assistito all’omicidio della pecora madre di Ada, minacciando di dirlo all’ibrido se María non avrà con lui un rapporto sessuale.

María finge di cedere al ricatto di Pétur, poi lo chiude in una stanza adibita a ripostiglio e la mattina seguente lo accompagna alla fermata dell’autobus per mandarlo via, affermando che è impegnata ad avviare un nuovo inizio con la sua famiglia. Nel frattempo, Ingvar si sveglia e porta Ada con sé a riparare il trattore. Mentre tornano a casa, l’entità, che si scopre essere un ibrido uomo-ariete padre biologico di Ada, spara a Ingvar al collo con un fucile, poi prende per mano Ada e va via portandola con se.

María torna a casa e scopre che Ingvar e Ada sono scomparsi. Trova Ingvar e lo assiste nei suoi ultimi istanti di vita, poi cerca inutilmente Ada disperandosi per la perdita della sua famiglia.

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Il cinema horror degli ultimi anni, anche grazie all’affermazione di nuove personalità autoriali - basti pensare ai vari Eggers, Peele e Aster per citarne qualcuno - è riuscito non solo a discostarsi a mera opera di “paura” (adatta ad un pubblico giovanile e meno impegnato) ma ad ergersi verso dinamiche più profonde e “cervellotiche” che ne hanno riscritto le regole del genere fintanto da essere definito dalla stessa critica come “Elevated Horror”. Non a caso, ciò che colpisce, è il modo di affrontare in maniera intelligente storie all’apparenza terrificanti al cui interno nascondono suggestioni e tematiche universali che affliggono la società odierna.

Questa new wave horror è riuscita ad attecchire anche nella fredda Islanda, luogo magico e onirico per antonomasia, che con Lamb (titolo originale “Dýrið” che significa letteralmente “l’animale”) diviene teatro di un insolito punto d’incontro tra surreale e dramma familiare con le connotazioni di una favola mitologica norrena. E in effetti, il film di Valdimar Johannsson, qui al suo esordio alla regia, è un’esperienza visiva sconvolgente, con una for-

C’È UN

SOFFIO

za d’impatto scenico dirompente e uno stile bifronte capace di essere diafano e inquietante anche grazie all’utilizzo del perturbante freudiano in maniera arguta ed efficace. Ma Lamb non è il classico horror, e nemmeno vuole esserlo. La sua struttura, più simile ad una tragedia greca in tre atti, si dipana attraverso un ritmo volutamente lento e dilatato, dove a farne da padrone sono gli elementi naturali e paesaggistici che - mescolati da un accorto utilizzo degli elementi sonori e una colonna sonora ansiogena - creano un effetto straniante e fuori tempo.

Era inevitabile che un racconto weird e atipico come quello di Lamb contenesse diverse e più stratificate chiavi di lettura: dalla protagonista di nome Maria al richiamo dell’Agnello di Dio, per poi passare al tema della maternità, all’elaborazione del lutto fino allo scontro tra Uomo e Natura che, messe tutte insieme sono riconducibili ad un unico nucleo centrale: il diverso, o meglio l’ibrido. Il film è sia formalmente che spiritualmente diviso da due estremità diverse, come Ada (nome a sua volta palindromo), metà bebè, metà agnello. Di umano ha il corpo, le gambe e un braccio, mentre la testa e l’altro arto sono come quel-

DI VITA SOLTANTO

LLucy, 96 anni, ha appena ricevuto una lettera da Dachau. Nonostante l’età, è ancora autonoma: esce, guida, va dal medico e poi torna a casa. Una casa che avrebbe di certo bisogno di una ristrutturazione. Durante le sue giornate, la donna ha sempre qualcuno intorno. Quando un suo amico omosessuale va a trovarla, scopriamo il suo passato: Luciano Salani è il suo vero nome, è una transessuale ed è stata deportata a Dachau.

A pranzo insieme ad Ambra e Simone si parla del più e del meno. Poi, insieme, leggono la lettera da Dachau. Si tratta di un invito alle celebrazioni per il 75º anniversario della liberazione del campo. Alla domanda: “te la senti?”, Lucy dimostra tutta la sua determinazione. Trasmettere la memoria è il suo scopo. Appena può inizia a raccontarsi e si commuove: il suo ruolo al campo era quello di raccogliere i cadaveri e portarli nei forni. Alla fine si scusa, sa che non è bello ascoltare certe storie.

le dei bovidi. Questo essere diviene, paradossalmente, un personaggio salvifico ma anche malefico di una situazione familiare gravata da un trauma latente, un peso emotivo che incombe al di là dalla scena e finisce gradualmente per minare la stessa umanità di María e Ingvar. Mentre la natura, accortasi dell’accaduto, cercherà di riprendersi quello che gli è stato strappato per ricondurlo verso altri luoghi, forse più clementi e lontani dalla malvagità terrena. Quello che resta dopo l’assurdo finale è un mistero sospeso e irrisoluto di una paura ancestrale senza ritorno…

Presentato in anteprima mondiale il 13 luglio 2021 alla 74ª edizione del Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e insignito del premio speciale come migliore opera originale, Lamb è stato accolto positivamente dalla critica ottenendo inoltre un passaggio al BFI London Film Festival e al Trieste Science+Fiction Festival. Il film è una co-produzione islandese, svedese e polacca e distribuito nelle sale cinematografiche italiane da Wanted il 31 marzo 2022.

di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini

Origine: Italia,2021

Produzione:Blue Mirror, Bielle Re, Kimerafilm, Tama Film Produktion

Regia: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini

Soggetto e Sceneggiatura: Matteo Botrugno, Daniele Coluccini

Durata: 95’

Distribuzione: Kimerafilm

Uscita: 10 gennaio 2022

È mattino, Luciana va in bagno, si lava, si aggiusta come se dovesse uscire, ma è una giornata come le altre. A trovarla, oggi, è la badante che vorrebbe farle il bagno

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I

ma non se ne parla, fa da sola. Come sempre, si ritorna alla vita nel campo e ogni volta si scoprono nuovi dettagli: nonostante la sua sessualità, Lucy era internata con gli uomini.

A 19 anni, Luciano riceve la chiamata alle armi. Dopo l’armistizio la situazione è confusa, tutti scappano ma molti vengono bloccati dai tedeschi e costretti a operare per il loro esercito. L’uomo riesce a fuggire e torna a Bologna a prostituirsi con gli amici. Qui viene riconosciuto e processato come disertore. Ecco come Lucy è arrivata a Dachau.

Dopo il lavoro, Said, il nipote acquisito della donna, torna a casa. I due si vogliono bene e si completano a vicenda: lei prepara da mangiare e l’uomo fa le commissioni. Ridono, scherzano e litigano come una famiglia. A farle compagnia durante il giorno c’è anche l’amica Maria, 88 anni, in cerca di un fidanzato e capace di spogliarsi di fronte a un uomo sposato molto più giovane di lei. Entrambe, nonostante gli anni, non temono la loro sessualità e ne parlano senza problemi.

Lucy è un po’ tesa. Si aggiusta i capelli e va al parco a passeggiare. Da piccola è stata più volte abusata da un prete, da qui la sua difficoltà nel credere nell’esistenza di Dio. Quando ripensa a quelle scene i brividi l’assalgono: è da allora che ha iniziato a prostituirsi. Piccoli regalini in cambio di piccoli servizi al parroco.

Le celebrazioni a Dachau vengono cancellate a causa della pandemia, ma Ambra, dopo l’estate, vuole comunque organizzare un

viaggio a Monaco. Periodicamente, Luciana legge i tarocchi a sé stessa. Non lo fa mai per gli altri e ad Ambra spiega il motivo: a ogni lettura che faceva alla figlia adottiva, la carta della morte era sempre presente. Anche prima dell’intervento a cui doveva sottoporsi, la morte c’era. Il giorno seguente è deceduta: aveva solo 58 anni.

Ciò che Lucy ha visto a Dachau non riuscirà mai a dimenticarlo. Proprio per questo, però, desidera tornarci. A Monaco, con uno scooter elettrico visita tutti i luoghi della sua memoria: le baracche, la chiesa, ma non i forni, non ci riesce. Se esistesse un Dio, pensa, tutto ciò non sarebbe successo. Ora non le resta che andare via da questo pianeta in direzione di mondi migliori.

SSu quella pagina di storia se ne sono dette tante; il cinema ha riprodotto, esplorato e analizzato il Novecento e i campi di concentramento in ogni sua forma. Qualcuno potrebbe pensare: “Basta non ne possiamo più, sappiamo già tutto”. Eppure, come dice la badante a Lucy in un giorno qualsiasi, a ogni racconto viene fuori qualcosa di nuovo. Un dettaglio che sfugge ma che, come il resto, è importante da ricordare e che, quando emerge, ravviva la memoria. Una memoria che via via scompare insieme ai testimoni oculari, che ormai sfiorano il secolo d’età. Ma quella di C’è un soffio di vita soltanto non è la storia di una deportazione (per quanto, questo, sia un tema); è la storia di una serie di vite racchiuse in un corpo, quello di Luciano (Lucy) Salani.

I due registi, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, entrano per circa un anno in quella casa che cade a pezzi e cercano di rendersi quanto più invisibili possibile, per quanto sappiamo che, nel cinema, la sola presenza di una

macchina da presa modifica irrimediabilmente la realtà. In montaggio, ogni intrusione viene quindi nascosta, restituendoci un testo che vuol dare l’impressione di essere uno stralcio oggettivo di vita quotidiana. Quest’impressione è confermata anche dal tipo di immagini prodotte: non c’è ricerca visiva/visuale (solo nelle riprese, ormai standardizzate, del campo di concentramento, simmetriche e pulite a richiamare quella macabra estetica), la cinepresa è al completo servizio della sua protagonista ed è proprio questo il punto forte del film. È Lucy il punto forte del film, le sue parole.

In realtà, qualche intrusione da parte dei registi c’è e viene inserita in post-produzione quasi a scandire il ritmo e il racconto: a mo’ di cartelli, appaiono immagini d’archivio scientifiche per via della passione per il cosmo di Lucy. Il documentario si apre con un’eclissi di sole che è anche un’eclissi della storia, un momento buio; seguono immagini dallo spazio, nebuolose, pianeti e satelliti intorno, poi eruzioni vulcaniche, una specie di ritorno a un ordine indefinito che, per quanto ne sappiamo, può essere compromesso da un momento all’altro; in chiusura, riproduzione cellulare e la formazione di un feto. È la rinascita, una nuova vita, quella che la stessa Lucy auspica: questo pianeta è ormai corrotto, non resta che trovare felicità altrove. Mondi diversi, come quelli fantascientifici che ama guardare in televisione.

Un soffio di vita il suo, condizionato dagli abusi di un prete, dal suo essere un “intruglio” (così si definisce per via della sua identità di genere), dalla deportazione, dalla prostituzione, dalla morte precoce di una figlia illegale. Sempre dalle parole della badante: una vita così sembra proprio esser stata prescelta.

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CYRANO

LLa bella e desiderata Rossana si prepara per andare a teatro con il potente conte De Guiche. Prima che lo spettacolo venga interrotto da Cyrano a colpi di spada (uccide Valvert, un fedele del conte) e dialettica, il colpo di fulmine: la donna si innamora di uno squattrinato cadetto.

Dopo l’evento, Cyrano si confida con Le Bret: è innamorato della sua vecchia amica Rossana, ma il suo aspetto (è affetto da nanismo) non gli permette di dichiararsi. Nel mezzo di questi pensieri, giunge però un messaggio dall’amata: vuole incontrarlo il mattino seguente, in privato. Sull’onda dell’entusiasmo il guascone prende la strada di casa, ma viene assalito da dieci uomini. Pochi rispetto alla sua abilità con la spada.

Mentre aspetta Rossana in una stanza appartata, Cyrano scrive una lettera in cui dichiara i suoi sentimenti. Lettera che non verrà consegnata perché l’amore non è ricambiato: la donna desidera Cristiano, il cadetto, e vuole che il suo vecchio amico lo protegga.

Come da tradizione, il primo giorno in caserma, per i nuovi, si apre con una rissa. Cyrano preleva e salva Cristiano, poi rivela i sentimenti di Rossana: la donna si aspetta, però, una lettera d’amore. Il giovane non è bravo con le parole e Cyrano si offre di scrivere per lui in modo che le sue parole non si perdano: la lettera scritta poco prima viene finalmente consegnata, ma con la firma di Cristiano.

Gli scambi poetici funzionano e Rossana non desidera altro che incontrare il suo prediletto. Nel frattempo la donna riesce a evitare il fronte per i due soldati, ammaliando, con l’inganno, il conte

De Guiche, ormai a capo dei reggimenti militari.

Cristiano si convince che è il momento di parlare faccia a faccia con la sua amata ma non vuole ascoltare i consigli del suo mentore, così l’incontro finisce per non soddisfare le richieste dialettiche della donna che lo scarica.

Per recuperare, il coraggioso cadetto si presenta sotto la finestra di Rossana e recita le parole che il suo guascone di fiducia sussurra da dietro un muro. Il giovane però è impacciato e costringe Cyrano a parlare al suo posto; per l’uomo il dialogo si fa intenso ma, alla fine, è Cristiano a ricevere un bacio.

In quel momento un prete giunge per consegnare una lettera a Rossana da parte di De Guiche: vuole sposarla quella notte. Di lì a poco, un matrimonio viene celebrato, ma è quello tra la donna e Cristiano. Messo di fronte alla realtà, per vendicare il torto appena subito (il mancato matrimonio), il conte manda in guerra il reggimento del fresco marito.

Nonostante le difficoltà della trincea, Cyrano recapita ogni giorno lettere a Rossana da parte di Cristiano. Intanto, il conte De Guiche firma un ordine: l’attacco frontale sarà effettuato dai cadetti. Prima di cadere nell’assalto, Cristiano realizza che il suo matrimonio è un’illusione: sua moglie non è innamorata di lui ma delle parole poetiche che riceve. Parole che trasudano un sentimento reale.

Tre anni dopo, Rossana vive in un convento mentre Cyrano è caduto nella miseria e nella malattia. Le lettere, mai inviate, che scrive tutt’ora alla donna sono ciò che gli rimane. Pochi attimi prima che l’uomo muoia, Rossana scopre che la penna dietro le parole di Cristiano era, in realtà, di Cyrano e che tutto l’amore che ha provato

di Joe Wright

Origine: Gran Bretagna,Canada,Stati Uniti, Italia, 2021

Produzione: Tim Bevan, Eric Fellner, Guy Heeley per MGM, Working Title Films

Regia: Joe Wright

Soggetto: dall’opera teatrale di Edmond Rostand

Sceneggiatura: Erica Schmidt

Interpreti: Peter Dinklage (Cyrano de Bergerac), Haley Bennett (Roxanne), Kelvin Harrison Jr. (Christian), Ben Mendelsohn (De Guiche), Bashir Salahuddin (Le Bret)

Durata: 124’

Distribuzione: Eagle Pictures

Uscita: 3 marzo 2022

era, quindi, rivolto a lui. Ma ormai il tempo, sufficiente solo per un bacio, è scaduto.

QQuanto ad adattamenti di classici letterali e teatrali, Joe Wright è uno dei massimi interpreti del nostro tempo (per un figlio di teatranti come lui è, non poteva essere altrimenti). Ieri Orgoglio e pregiudizio (2005), Anna Karenina (2012), Espiazione (2007). Oggi Cyrano (2021).

Presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma, il nuovo film del regista britannico, come auto-evidente, trae ispirazione dall’omonima tragedia-commedia del drammaturgo Edmond Rostand (1897). Trae ispirazione, perché si tratta di un

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adattamento indiretto. Ciò che la pellicola trasporta sul grande schermo non è infatti l’opera originale, bensì il musical, a teatro dal 2018, diretto da Erica Schmidt (che qui figura come sceneggiatrice).

Dall’opera di origine, Wright non riprende solo i temi e lo stile, ma anche i comprimari: Peter Dinklage, marito della regista teatrale, e Haley Bennet, compagna del regista cinematografico. Questa specie di impresa familiare, invero abbastanza singolare, potrebbe essere a tutti gli effetti il motivo per cui, alla visione, si percepisce sin da subito un’aria di fiducia, di feeling tra gli attori (e quindi anche tra chi li dirige). Attori che, grazie a un’ottima gestione, sono davvero uno dei punti di forza di questo film (notevole la prova di Dinklage, ma anche quella di Kelvin Harrison Jr.).

di Giuseppe Tornatore

Origine: Italia, 2021

Produzione: Gianni Russo e Gabriele Costa per B Produzioni SRL, in Coproduzione con Potemkino, Terras, Gaga, Blossom Island

Regia: Giuseppe Tornatore Soggetto e Sceneggiatura: Giuseppe Tornatore

Durata: 150’

Distribuzione: Lucky Red Uscita: 17 febbraio 2022

EEnnio Morricone è stato un genio, un innovatore. A dirlo sono coloro che, nel tempo, hanno avuto modo di lavorare con lui. Da piccolo voleva fare il medico ma fu il padre ad avvicinarlo alla musica. Dopo la tromba studia composizione nella classe di Goffredo Petrassi: a un inizio non dei migliori (veniva anche discriminato), seguì un’ascesa. Durante gli studi, Ennio lavorava negli spettacoli e si

D’altronde la scelta, qui come a teatro, dell’ex Tyrion Lannister de Il Trono di Spade è realmente significativa: Cyrano non è più un freak per via del suo naso, bensì a causa del suo nanismo. Ogni scena in cui appare, ogni scena in cui il tema del diverso viene sviscerato, ci sembra reale, veritiera. Non è Cyrano che parla attraverso Dinklage, ma Dinklage che parla attraverso e grazie a Cyrano. E il pubblico lo percepisce (anche perché, e i social ce lo di mostrano, la paura di mostrarsi è un tema di grande attualità).

Le canzoni, croce e delizia dei musical, sono qui ben collocate e ben assortite: poche le volte in cui il passaggio tra recitazione e canto è traumatico. Un motivo è che sono accompagnate da sequenze coreografate significative sia per il proseguo del film che per puro piacere estetico. Un altro, semplice ma non

banale, è che le canzoni in questione sono, effettivamente, belle.

Leitmotiv dell’intera opera è, quindi, l’arte. O meglio le arti. A dimostrarcelo sono i minuti iniziali, ma anche quelli finali. Il film si apre col teatro, un play within the play di Shakespeariana memoria, e si chiude con un meraviglioso tableaux vivant (complice la fotografia di Seamus McGarvey) che ritrae Rossana e Cyrano nei loro ultimi, ma a tutti gli effetti primi, attimi insieme.

Purtroppo, seppur il film duri più di due ore, sembra sacrificare molto l’analisi dei rapporti tra i personaggi (troppo abbozzati e quasi mai chiari), in favore di un semi-anonimo scorrimento della trama (semi perché si affida all’eternità del testo di Rostand che, bene o male, è conosciuto dai più).

ENNIO

avvicinò al cinema suonando nelle orchestre. Dopo il conservatorio, la moglie Maria lo raccomandò alla Rai ma gli dissero che non avrebbe fatto carriera.

Seguendo l’esperienza di John Cage crea il Gruppo Improvvisazioni Nuove Consonanze in cui Morricone poteva saziare la sua fame di innovazione, rottura. Da un po’ aveva anche iniziato a fare gli arrangiamenti per il Quartetto Cetra e per altri artisti, stando attendo a non far apparire il proprio nome. Poi arriva l’RCA che lo chiama per risollevarsi da una crisi di vendite. Ennio sforna successi dopo successi: prima le canzoni venivano solamente accompagnate, lui invece le colorava, le personalizzava rendendole immediatamente riconoscibili. Tutti gli artisti lo volevano perché, nella

maggior parte dei casi, le sue trovate erano geniali.

Il Federale fu il primo film, un western, fatto a suo nome, prima preferiva apparire sotto pseudonimo per evitare di essere etichettato come compositore di serie b. Da qui arriva la chiamata di Sergio Leone (un suo ex compagno di scuola): la composizione di Per un pugno di dollari crea un precedente, nessuno aveva mai osato così tanto (a lui, però, il risultato finale non piaceva).

Morricone inizia a lavorare per tantissimi film ogni anno. Per lui si trattava di musica a tutti gli effetti, in contrasto con l’idea arcaica e discriminatoria dei suoi colleghi e del suo maestro. Quasi a conferma di ciò, arrivò Pasolini con Uccellaci e Uccellini: l’autore

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bolognese aveva usato solo musiche di Bach fino a quel momento. Negli anni Sessanta il compositore diventò una garanzia per produttori e registi, anche quelli più esigenti.

Ennio rimase sempre uno sperimentatore e, tema dopo tema, riusciva a osare sempre di più. I thriller si prestavano a un utilizzo di musica dissonante improvvisata, ad esempio; i registi si fidavano ciecamente, Morricone aveva una capacità di comprenderli fuori dal normale. Ciononostante, non mancavano gli avvertimenti da parte dei produttori

L’impatto più grande lo ha avuto probabilmente con Sergio Leone. L’uno non sarebbe stato quello che è stato senza l’altro. Col tema di C’era una volta in America , Ennio ottenne il riconoscimento anche dai musicisti accademici: alcuni, dopo quelle composizioni, arrivarono addirittura a scusarsi. In quella fase della propria carriera, Morricone aveva deciso di smettere con il cinema, ma non ci riuscì mai. Con Mission , tutti erano certi dell’Oscar, ma l’Academy non fu dello stesso parere. Poi Nuovo Cinema Paradiso , Gli Intoccabili (altra nomination), La leggenda del pianista sull’oceano e tanti altri.

Nel 2007 Hollywood si scusa, metaforicamente, con un Oscar alla carriera. Nonostante l’età Ennio continua a lavorare e accetta l’incarico The Hateful Eight con Tarantino: ed ecco il suo primo Oscar alla miglior colonna sonora.

Morricone è un’icona. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui sono sicuri che sarà ricordato nel tempo, forse anche a livello dei grandi compositori della storia. La sua influenza sulla musica contemporanea è potente: senza di lui molti musicisti d’oggi non esisterebbero o non sarebbero come sono.

FForte di un’amicizia durata più di trent’anni, Giuseppe Tornatore riesce nell’impresa di girare un film su Ennio Morricone (dopo l’esperienza di qualche anno prima del libro Ennio: Un maestro ). Un’impresa sì, perché non dev’essere stato facile costringere entro i limiti dei tempi cinematografici (anche se si sfiorano quasi le tre ore) un pezzo di storia della musica e del cinema, fatto di un numero di arrangiamenti, colonne sonore, temi che difficilmente può essere quantificato.

Presentato fuori concorso alla 78ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Ennio , che assume la veste del più classico dei documentari fatto di interviste e immagini d’archivio, catapulta gli spettatori in un excursus rigoroso e cronologico sulla vita di un uomo che, forse inconsapevolmente, ha segnato il Novecento. Il personaggio è estremamente cinematografico (complice l’ottimo taglia e cuci in fase di montaggio) e segue un ritmo narrativo, tra le varie fasi della sua vita, che sembra frutto di un’arbitraria fantasia: un’infanzia difficile, una carriera intrapresa per volontà del padre (non sua), le discriminazioni e il riconoscimento in età avanzata. Eppure questa è stata la vita di Ennio Morricone, un continuo conflitto interiore tra un’identità personale (che apprezzava e non temeva il cinema) e un’identità sociale costretta (quella dei musicisti accademici che svilivano il suo lavoro).

Nella costruzione della pellicola la scelta di Tornatore è stata quella agire secondo leggi che rispondono non tanto al linguaggio cinematografico, quanto a quello della musica: c’è una traccia principale, la lunga intervista a Morricone (un girato che

dura oltre 40 ore), e ci sono dei contrappunti, quali gli interventi degli ospiti, le scene musicate (e ri-musicate); in uno stile che, nella composizione, era tanto caro a Ennio.

Con la volontà di rimanere fedele a quest’idea, il regista sceglie di fare un piccolo passo indietro ed eclissarsi, diventando ospite (nel mucchio di nomi altisonanti che hanno partecipato) del suo stesso prodotto: non si tratta di un “film di” o di un “film su”, si tratta di un “film per”, al completo servizio di un uomo che ha sempre fatto fatica a raccontarsi. Da questo punto di vista, Tornatore si merita un grande applauso, non solo per il risultato finale, ma per essere riuscito a creare un ambiente confidenziale in cui Ennio si sentisse libero di esprimere sé stesso.

C’è un’immagine nel film (anche un po’ autoreferenziale) che riassume il rapporto del compositore con la settima arte. Il cinema rincorreva Morricone e, per questo, Morricone, come Danny Boodman de La leggenda del pianista sull’oceano , nonostante le critiche, non avrebbe mai abbandonato quella nave, era semplicemente la sua vita.

Ennio è l’omaggio che il più importante compositore del nostro tempo meritava; purtroppo avrebbe meritato anche la possibilità di vedere la folla commossa acclamarlo all’uscita dalle sale.

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g iallorenzo D i M atteo

di Michele Coppini

Origine: Italia, 2021

Produzione: Officine Papavero Aps

Regia: Michele Coppini

Soggetto: Michele Coppini

Sceneggiatura: Michele Coppini, Alessio Venturini

Interpreti: Michele Coppini (Ubaldo Lumacon), Alessio Venturini (Complottisti), Francesca Cellini (Rita), Athina Cenci (Ministro Carruezzo), Francesco Ciampi (Presidente del Consiglio), Ettore Bianchi (Bambino), Patrizia Ferretti (Mamma di Ubaldo), Sergio Forconi (Papà di Ubaldo), Aldo Pellegrini (Roberto), Rachele Risaliti (Patty), Stefano Martinelli (Zombie)

Durata: 124’

Distribuzione: Eagle Pictures

Uscita: 3 marzo 2022

LL’Italia è nel pieno della seconda ondata di Covid-19; Ubaldo, un quarantenne ipocondriaco, ha deciso di isolarsi in una stanza e limitare i contatti con chiunque per non trasformarsi in zombie. Le sue teorie complottiste sono alimentate da video di personaggi strambi che girano online. Personaggi a cui lui crede più dei suoi genitori che cercano di convincerlo a uscire e a prendere le medicine.

Di giorno Ubaldo si “informa” e poi dalla finestra, con la maschera antigas, prova a convertire i passanti con le sue teorie; di notte il suo sonno è spesso disturbato da incubi: una volta i genitori si sono trasformati in zombie; in un’altra, tutta la famiglia viene assalita da zombie; zombie in casa, eccetera.

La mattina seguente, mentre i genitori discutono dei disturbi psi-

cotici del figlio, Ubaldo esce dalla stanza: vuole ricominciare a vivere e per questo impone delle regole. Solo lui, ora, può avere contatti con il mondo esterno. Quella sera la madre lo convince a prendere la pasticca e a ricominciare la terapia che aveva interrotto.

Dopo aver fatto la spesa, Ubaldo torna a casa. Per prendersi gioco di lui, dei ragazzini di quartiere fingono di essersi trasformati in zombie. L’uomo, con l’aiuto dei genitori, li minaccia con una mazza da baseball.

Il giorno successivo la casa è stranamente vuota. Mentre Ubaldo cerca i suoi genitori, qualcuno suona al campanello: è Roberto il medico, padre del ragazzino artefice dello scherzo, che, nella discussione, gli ricorda la morte dei suoi cari avvenuta tempo prima. Così, a un anno dall’ultimo, l’uomo prende appuntamento da Rita, la sua psicologa. Prova anche a spiegarle che è innamorato di lei, ma il tentativo non va a buon fine.

Tra i personaggi che segue online, Ubaldo vorrebbe raggiungere Genziano, un hippie che sta cercando di creare una specie di zona Covid-free in una villa abbandonata. Per farlo però ha bisogno di una certificazione per uscire: prova a richiederla a Roberto. Quest’ultimo si rifiuta di firmarla, ma decide di accompagnarlo. Arrivati a destinazione, Ubaldo capisce che quello che vede online non sempre corrisponde a realtà: si aspettava una comunità gremita invece nella villa non c’è nessuno.

Di nuovo a casa, l’uomo teme di aver contratto il virus: ha respirato senza maschera antigas. Comincia, quindi, un video-diario online in cui racconta quella che crede sia la sua trasformazione in zombie. Passano

DIO È IN PAUSA PRANZO

dei giorni ma non succede nulla e, anche nei video, inizia a dubitare delle sue teorie. Dopo averne visto uno, Rita gli telefona: sembra migliorato e dovrebbe continuare a lavorare su sé stesso.

Da lì in poi, Ubaldo cerca di rimettersi in sesto. Pulisce la casa, fa sport, prova l’ASMR e quando vede i genitori si ricorda di prendere le pasticche: da complottista credulone quale era, sembra ora analizzare le situazioni con maggior senso critico.

L’arrivo del vaccino non lo convince. Nonostante tutto, tramite una conoscenza di Rita, si mette in lista per il primo giorno. Un’ora dopo la vaccinazione, Ubaldo si sente bene e dice stop ai complottismi. Ma in quel momento giunge una notizia: il medicinale appena somministrato è stato sospeso in via precauzionale. Le paure che aveva quasi sconfitto tornano.

Fortunatamente, passati due giorni viene dato il falso allarme e, per festeggiare, Ubaldo invita Rita a casa per una cena. Mentre i due mangiano, un’edizione straordinaria del TG: stanno arrivando gli zombie. Poco dopo suonano al citofono e l’uomo viene morso. In quel momento si sveglia in preda all’ennesimo incubo. Poi le urla: la ferita sul braccio è reale.

EE se le teorie figlie del complottismo più becero riguardo la pandemia da Covid-19 fossero reali? E se davvero, a un certo punto, ci fossimo trasformati in zombie? Beh, durante quei mesi bui per la popolazione mondiale, avremmo fatto meglio a comportarci come Ubaldo Lumaconi, il protagonista di Dio è in pausa pranzo: l’incarnazione, iperbolica ma neanche troppo, di

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quella fetta delirante di popolazione italiana (e globale) capace di credere a qualsiasi falsa notizia letta online.

Di base, il film ride (e cerca di far ridere anche gli spettatori) di queste situazioni ma allo stesso tempo vuole andare oltre: chi ci prova (ma solo chi fa questo sforzo) può vedere nella figura di Ubaldo la sineddoche di un’intera categoria di persone. L’uomo è fragile, soffre di disturbi psichici, e la pandemia (e la reclusione, la paura dell’altro, la mancanza di fiducia che l’hanno accompagnata) non ha di certo aiutato. Poi è chiaro, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: non tutti i complottisti lo sono diventati causa di un ingigantimento dei propri problemi mentali, ma ciò che è importante è non lasciarsi trasportare da facili giudizi.

BEAUTIFUL MINDS

A livello di realizzazione il film rappresenta appieno quello che è: un indipendente a basso budget con mezzi limitati (si vede soprattutto all’arrivo degli zombie in città: è l’inizio di un’apocalisse ma i morti viventi che marciano sono solo quattro); punk e citazionista quanto basta, sporco (la macchina è a mano), interpretato da attori della scena “underground” toscana (che, in alcuni casi, impersonano più di un ruolo).

È però a livello di forma che l’opera osa di più. Un film “drammenziale”, così il regista e interprete principale della pellicola, Michele Coppini, definisce il suo Dio è in pausa pranzo. Un neologismo sincratico che vede la fusione delle parole e dei generi drammatico e de-

menziale (a cui si aggiungono anche scene pseudo-horror legate all’apocalisse zombie). Questa è stata la sfida accettata dal regista. Una sfida ardua e lodevole (le sperimentazioni sono sempre ben accette) ma che, nel risultato finale, avrebbe necessitato di una maggiore ricerca (che c’è, si vede, ma non sembra sufficiente); sono pochi (o addirittura nulli) i momenti in cui lo sketch comico alla Maccio Capatonda si sposa bene con momenti altamente drammatici. Il risultato, che è lo stesso motivo per cui secondo Coppini i due generi sono sempre rimasti separati, è un film frammentato in cui le due anime finiscono, purtroppo, per farsi lo sgambetto a vicenda.

di Bernard Campan, Alexandre Jollien

Origine: Francia,2021

LLosanna. Louis, è un uomo schivo e riservato che dirige un’impresa di pompe funebri. Scapolo incallito, ha dedicato la sua esistenza soltanto al suo lavoro. Un giorno, durante un tragitto in macchina, l’uomo si distrae investendo per sbaglio un poveretto e il suo triciclo mandandolo fuori strada. Quest’ultimo, è Igor, un disabile di quasi quarant’anni con una paralisi cerebrale, amante della filosofia che trascorre le sue giornate a consegnare a domicilio prodotti biologici, evitando qualsiasi forma di rapporto sociale. I suoi più grandi amici sono Socrate, Spinoza e Nietzsche. Non sa nulla dell’amicizia, del sesso e degli incontri reali anche a causa di una madre iperprotettiva. Il giorno dopo però Igor, incuriosito dal lavoro di Louis, si reca all’agenzia. Volendo provare un’esperienza mistica si sdraia all’interno del

suo carro funebre accanto ad una bara.

Nel frattempo, Louis accetta l’incarico di portare le salme di una madre e le ceneri del figlio a Montpellier ma, a metà del tragitto, scopre che all’interno dell’auto si nasconde Igor; sorpreso per l’inconveniente, l’uomo decide di portare con sé Igor e di accompagnarlo alla stazione dei treni così da poter ritornare a casa.

Ha inizio così una vera e propria avventura per i due. Durante il viaggio faranno conoscenza di Cathy, una giovane ragazza conosciuta in una stazione di servizio. Quest’ultima è stata lasciata dal proprio ragazzo per via di un diverbio; i due uomini si offrono di darle un passaggio fino a Montpellier.

Qui Igor, nonostante il suo handicap, si dimostra una persona molto intelligente e con una prospettiva positiva sulla vita. Ma non sarà il solo ad imparare cose nuove. Louis infatti proprio attraverso il confronto con Igor farà i

Produzione: Philippe Godeau

Regia: Bernard Campan, Alexandre Jollien

Soggetto e Sceneggiatura: Helene Gremillon, Bernard Campan, Alexandre Jollien

Interpreti: Bernard Campan (Louis), Alexandre Jollien (Igor), Tiphaine Daviot (Cathy), Julie-Anne Roth (Nicole), La Castou (la madre di Igor), Marilyne Canto (Judith), Marie Benati (la prostituta), Anne-Valérie Payet (Caroline). Sofiia Manousha (Natasha), Marie Petiot (Bérengère), Laëtitia Eïdo (Patricia)

Durata: 92’

Distribuzione: Notorious Pictures

Uscita: 10 febbraio 2022

conti con le proprie paure e i fantasmi del suo passato.

Infatti, arrivati al giorno del funerale, Louis decide di fare un elogio funebre prima della fine della cerimonia. Si scopre che Louis conosceva entrambi i defunti, uno dei quali, il giovane diciassettenne Cedric, è morto dopo aver fatto un giro con la sua auto. Il suo più grande rimorso è stato quello

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di non essere riuscito a fermarlo. Liberatosi da questo peso che aveva all’interno, chiede perdono alle rispettive famiglie.

Ormai liberi da qualsiasi problema interiore, i due amici si dirigono verso un pontile e, svestendosi dai propri abiti, si tuffano in mare.

NNel cinema, quando si affrontano tematiche così delicate come quello della disabilità, si rischia molto spesso di inciampare sui soliti pietismi e falsi sentimentalismi che, oltre a banalizzare la materia trattata, puntano a sedurre facilmente un pubblico meno esigente. Altri invece, per evitare tutto ciò, decidono di svincolarsi da tali convenzioni per adottare un approccio diverso, concentrandosi più sull’umanità di tali individui che sulle loro problematiche. Ed è interessante notare che a ideare e scrivere

di Laurent Tirard

un’opera così autentica come Beautiful minds sia proprio il filosofo e scrittore svizzero Alexandre Jollien (affetto da grave handicap cerebrale-motorio per un parziale strangolamento causatogli dal cordone ombelicale al momento del parto) che, in coppia con l’amico Bernard Campan, dirigono e interpretano i due protagonisti della vicenda, Louis e Igor. Il primo, uomo schivo e riservato che dirige un’impresa di pompe funebri.

Il secondo, un disabile di quasi quarant’anni affetto da una paralisi cerebrale, amante della filosofia, che trascorre le sue giornate a consegnare a domicilio prodotti biologici. Mentre Louis si dedica anima e corpo al suo lavoro, Igor è estraneo al mondo, infatti ignora la vita reale e ogni forma di rapporto sociale.

Sono proprio questi due personaggi, totalmente differenti l’uno dall’altro ad essere il motore trainante della pellicola che, attraverso l’espediente del road movie (spesso utilizzata in questa tipologia di trama) e una buona dose di ironia, intraprenderanno un viaggio attraverso il Sud della Francia che li porterà ad affrontare le proprie paure e a condividere un grande valore come l’amicizia: “Quello che conta è

il percorso del viaggio e non l’arrivo” (Thomas Stearns Eliot). Il viaggio infatti, diviene a sua volta come un atto purificatorio di due anime solitarie che finiranno per aiutarsi a vicenda: mentre Igor deve accettare la sua condizione per aprirsi con più fiducia al mondo, Louis cerca perdono per una disattenzione determinante per la sua vita.

Non a caso è molto evocativa la scena finale, quando i due amici, si dirigono lentamente verso un pontile e, svestendosi dei loro abiti, si tuffano in mare ritrovando finalmente la propria serenità.

Tra le note dolenti, il film pecca inevitabilmente di poca originalità a causa di una sceneggiatura fin troppo prevedibile che preferisce non osare più di tanto per puntare invece su situazioni e incastri fin troppo noti. Come se non bastasse, anche la trama di fondo sembra essere una variazione a tema di Quasi amici

Interessante infine, la scelta di girare il film in Svizzera, in particolare a Morges e zone limitrofe nel territorio del Canton Vaud.

Il film è una co-produzione franco-svizzera e distribuito nelle sale cinematografiche italiane da Notorious Pictures.

PERFETTO

Sarah Suco (Karine) Durata: 88’

Distribuzione: I Wonder Pictures

Uscita: 10 febbraio 2022

AAdrien è un trentacinquenne romantico, ipocondriaco e in piena crisi di mezza età. Un bel giorno però, ad aggravare ancor più la sua situazione, Sonia, la sua fidanzata, le annuncia improvvisamente che ha bisogno di mettere “in pausa” la loro relazione a data da destinarsi. L’uomo però, dopo aver attraversato un inevitabile crisi dell’abbandono (tra lacrime, dolore, rabbia) non abbandona l’idea di una possibile riconciliazione con l’amata Sonia.

Dopo trentotto giorni, Adrien non ce la fa più ad aspettare e decide di inviarle un SMS nella speranza di mettere fine a quella interminabile pausa fra loro, ma l’attesa di una sua risposta coincide proprio con la lunga cena familiare composta da: i suoi genitori, la sorella Sophie e il futuro cognato Ludo.

Adrien però è molto ansioso e sofferente nell’attesa interminabile di una risposta di Sonia al suo SMS. Nel corso della cena però, Ludo

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Francia, 2020 Produzione: Olivia
per Les Films Sur Mesure, Le Pacte, France 2
Scope Pictures Regia: Laurent
Soggetto: dal
di Fabrice Caro Sceneggiatura: Laurent
Interpreti:
Julia
IL DISCORSO
Origine:
Lagache
Cinéma,
Tirard
romanzo
Tirard
Benjamin Lavernhe (Adrien), Sara Giraudeau (Sonia), Kyan Khojandi (Ludo),
Piaton (Sophie), François Morel (Padre), Guilaine Londez (Madre), Sébastien Chassagne (Sébastien), Adeline d’Hermy (Solène),

chiede all’uomo il favore di tenere un discorso durante la cerimonia per il loro matrimonio. La proposta spiazza Adrien, che soffre al solo pensiero di tenere un discorso in pubblico senza incappare in spiacevoli conseguenze.

Adrien comincia a produrre un lungo discorso mentale, in cui immagina quel che potrebbe dire al giorno del matrimonio: uno brillante e intervallato da giochi di prestigio (che sa di essere perfettamente incapace di fare), mentre i seguenti si dimostreranno molto più disastrosi dell’altro.

Durante la cena, Adrien ricorda i traumi e i bei momenti passati, soffermandosi sulla sua famiglia, la sua relazione e se stesso. L’uomo infatti ha molti problemi a sopportare le piccole mancanze dei suoi familiari che durante la cena vengono sottolineate: Ludo che ostenta la sua conoscenza per ogni discussione; suo padre che si sofferma costantemente sugli stessi aneddoti passati; sua madre che non lo ascolta mai veramente quando chiede consiglio; e infine sua sorella che si ostina da anni a regalargli un’enciclopedia ad ogni suo compleanno senza conoscere davvero cosa piace al fratello.

Nell’angosciante attesa di una risposta al suo SMS, rievoca le fasi principali della sua relazione con Sonia, il loro casuale incontro, il loro primo appuntamento e chiedendosi come e quando il loro legame ha iniziato a deteriorarsi.

Al momento del dessert, sorpresa! Al posto della tradizionale torta allo yogurt di sua madre, viene servita una torta di pere e cioccolato preparata da sua sorella. Ludo però si lascia scappare una piccola critica che Sophie fa fatica ad accettare, e Adrien, che ha finalmente ricevuto un SMS sul suo cellulare, è entusiasta e per non rovinare la serata fa i complimenti alla sorella per il dolce ripristinando l’atmosfera. Può quindi constatare che il messaggio è davvero di Sonia.

Il film si conclude con una versione finale del discorso di Adrien al matrimonio di Sophie e Ludo; prende in giro i suoi genitori, sua sorella e suo cognato in modo amichevole, e lancia un’occhiata a Sonia che è presente tra gli invitati al matrimonio; quest’ultima le risponde con un ampio sorriso.

EEssere lasciati dopo una lunga relazione è forse una delle sensazioni più traumatiche che ogni innamorato possa mai provare. Sembra come se tutto il mondo ti crollasse addosso, fino ad essere risucchiati in un vortice di rabbia e dolore che nella peggiore delle ipotesi può tramutarsi anche in depressione. Questo è quello che accade ad Adrien, quando in un giorno come tanti, la sua ragazza ha deciso di mettere “in pausa” il loro rapporto perché qualcosa non ha funzionato. Di regola, durante il periodo di no-contact, entrambi gli ex devono prendersi un po’ di tempo da dedicare a se stessi per riflettere e capire se il loro sentimento amoroso può nuovamente riaccendersi. Purtroppo però il nostro protagonista, dal carattere nevrotico e in piena crisi esistenziale, attendere più di trenta giorni nella speranza che la propria ex possa nuovamente ricontattarlo non è affatto facile. Nemmeno quando, dopo averle inviato un SMS, l’attesa di una sua pronta risposta diventa interminabile.

Il discorso perfetto parte da questa semplice premessa per trasportarci all’interno di un lungo flusso mentale costituito da flashback, freeze frame, citazioni - splendido l’aneddoto su Darby Crash (cantante dei Germs) e il suo suicidio oscurato dalla morte di John Lennon avvenuta lo stesso giorno - attraverso cui il nostro personaggio, rompendo la quarta parete di alleniana memoria, ricostruisce i dettagli della sua vita con un linguaggio fresco, ironico e al passo coi tempi.

Il tutto viene confezionato dalla brillante regia di Laurent Tirardgià esperto in commedie irriverenti come Il piccolo Nicolas e i suoi genitori o Asterix e Obelix al servizio di sua maestà - che traendo spunto dall’omonimo romanzo del noto fumettista Fabrice Caro riesce nell’impresa di saper cogliere non solo il lato più comico del testo ma soprattutto quello più intimo e malinconico. Veniamo letteralmente inglobati all’interno dell’io narrante di Adrien, ossessionato sia da un rapporto logorato a causa della routine quotidiana che dalla paura incondizionata di non poter esprimere liberamente il proprio pensiero. Lo stesso “discorso” per il matrimonio della sorella diviene l’occasione di rivalsa per essere finalmente ascoltato da chi per tanti anni ha finto di capire quali erano le sue vere problematiche. Non a caso il regista ha dichiarato in un’intervista: “Il libro non è scritto in maniera lineare. La narrazione è caotica proprio perché corrisponde a ciò che accade nella testa di Adrien, Volevo che il film non si allontanasse troppo dal testo di partenza e ho quindi optato per una sceneggiatura che fosse altrettanto destrutturata ma cinematografica e non letteraria. […] Nel suo romanzo, Fabrice Caro parla in primo luogo dell’angoscia e fa molti riferimenti alla sua vita privata per descrivere le dinamiche familiari e le nevrosi che le caratterizzano. Il tema del resto è quasi universale: nelle riunioni di famiglia tendiamo tutti a parlare di banalità piuttosto che dirci semplicemente quanto ci vogliamo bene […]”

Il film però non è esente da difetti. Le cause sono riscontrabili a partire

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da un eccessiva verbosità di fondo e qualche ripetizione di troppo che ne provoca un graduale abbassamento di ritmo ed esplosività. Ma ciò non inficia affatto il risultato complessivo dell’opera che è apprezzabile dal punto di vista tecnico (montaggio e fotografia in primis) e la voglia del regista di riuscire a rappresentare con sarcasmo e cinismo tutte quelle dinamiche sociali e amorose che affrontiamo quotidianamente. Tra le scene più divertenti, è degna di nota la descrizione del trenino delle

di Marco Simon Puccioni

Origine: Italia, 2021

Produzione: Viola Prestieri, Valeria Golino per HT Film

Regia: Marco Simon Puccioni Soggetto e Sceneggiatura: Luca De Bei, Marco Simon Puccioni

Interpreti: Filippo Timi (Paolo Ferrari), Francesco Scianna (Simone Lavia), Francesco Gheghi (Leone Ferrari), Giulia Maenza (Anna Del Monte), Jodhi May (Tilly Nolan), Valentina Cervi (Monica Ferrari), Emanuele Maria Di Stefano (Jacopo Venosa), Matteo Oscar Giuggioli (Dario Del Monte), Mauro Conte (Riccardo Morselli), Alessia Giuliani (Elisa Del Monte), Gerald Tyler (Leroy Liotta) Durata: 103’

Distribuzione: Europictures

Uscita: 21 febbraio 2022

LLeone sta girando un documentario sulla sua famiglia da presentare in pubblico l’ultimo giorno di scuola. I suoi genitori, Simone e Paolo, hanno dovuto affrontare mille peripezie per vedersi riconoscere il diritto di essere padri di un figlio nato da Tilly, una madre surrogata. Alla fine riescono a farsi includere entrambi nel certificato di nascita. Certificato che potrebbe, però, essere revocato.

A scuola Leone si prende una cotta per Anna, la nuova arrivata, ma crede che stia insieme a un altro. Durante una festa, scopre che quello è suo fratello gemello, non il

feste di matrimonio, a cui si cerca di sfuggire in tutti i modi ma dal quale non si riesce mai ad evitare di esser trascinati via.

Capitolo a parte merita l’ottima prova di Benjamin Lavernhe, qui al suo primo ruolo da protagonista, che da solo riesce a reggere tutto il peso del film divenendo inoltre motore trainante di tutta la narrazione anche grazie al suo graffiante humour da stand up comedian che restituisce credibilità al suo personaggio senza mai annoiare.

Presentato in anteprima mondiale alla 73ª edizione del Festival di Cannes, Il discorso perfetto è stato un successo di pubblico e di critica ed è stato proiettato inoltre alla 15ª Festa del Cinema di Roma dal 15 al 25 Ottobre 2020. Il film è una produzione franco-belga e distribuito nelle sale cinematografiche italiane da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection

IL FILO INVISIBILE

fidanzato. Nel frattempo, Paolo scopre che Simone lo tradisce con un certo Riccardo. Leone riesce a scambiare due chiacchiere con Anna. Poi, mentre ballano, Jacopo mette delle pasticche di ecstasi nelle tasche dell’amico e si buttano in piscina.

Il giorno seguente si festeggiano i 20 anni di anniversario di Simone e Paolo. Leone invita anche Anna. Verso la fine della cena, Riccardo suona alla porta. Simone cerca di allontanarlo ma Paolo vede tutto dalla finestra. Tornati a tavola, i due coniugi iniziano a litigare davanti a tutti. Anche Tilly, che si presenta a sorpresa, si trova di fronte a tutto questo.

L’indomani, Leone e Anna si incontrano, anche Dario è con loro. Direzione Guadagnola. Paolo, dopo aver cacciato Simone, stravolge la casa e svuota la sua collezione di vini. Quando i tre ragazzi arrivano a destinazione, Dario trova una parete e inizia ad arrampicare. Leone non è bravo ma lo segue. In cima, succede l’impensabile: il fratello della ragazza che le piace lo bacia credendolo gay (vista la famiglia).

All’uscita di scuola Leone ignora Anna ma lei lo ferma per dichiararsi. I due vengono interrotti da Simone che prova a spiegare al figlio le

ragioni della separazione. Più tardi, l’avvocato convoca i due genitori: il certificato di nascita è stato revocato e potrebbe essere necessario sapere chi è il padre biologico per l’affidamento.

Leone, al parco, bacia Anna. Simone torna, quando non c’è nessuno, nella sua vecchia casa accompagnato da Riccardo per recuperare la sua collezione di vini, ma è sparita. Preso dalla collera distrugge i vestiti del suo ex marito. Mentre Leone vive le sue esperienze, i suoi genitori si comportano da bambini: il documentario non si può continuare.

Nell’escalation, Paolo mette in vendita il ristorante che aveva dato in gestione a Simone; poi i due dichiarano le proprie intenzioni: prendersi il figlio e toglierlo all’altro; l’arma è il test del DNA che entrambi hanno fatto.

Casa di Anna è libera, così Leone passa la notte insieme alla fidanzata. Al mattino, in bagno, Dario si scusa con lui e i due si abbracciano. In quel momento torna la madre e vede la scena: nonostante si tratti di un equivoco, Dario confessa la sua omosessualità e Leone la sua relazione con la figlia.

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alessio D’angelo

Il risultato del test è arrivato e Simone e Paolo si incontrano. Entrambi cercano di essere gentili perché credono che l’altro sia il padre biologico ma, quando scoprono che nessuno dei due lo è, la situazione torna quella di prima. Appena Leone scopre quello che hanno fatto i genitori alle sue spalle, s’infuria. Nella felpa trova l’ecstasi che gli aveva dato Jacopo; la prende, va al parco e, in preda al trip, si arrampica su una parete artificiale senza corda. Nonostante i materassi, finisce in ospedale. La famiglia lo raggiunge, anche Tilly. Leone sta bene ma bisogna chiarire la situazione: la donna ha sempre evitato i rapporti durante le inseminazioni, tranne una volta. Un ritorno di fiamma col suo ex marito Stephen. Non lo ha mai detto perché non avrebbe mai pensato a questo.

Leone presenta il documentario in pubblico a scuola. Tutti si sono perdonati ma la famiglia, come può capitare, non si è ricomposta.

MMarco Simon Puccioni fa un ulteriore passo in avanti per la sua filmografia: con il progetto My Journey to meet you, una serie di documentari inaugurata nel 2012, il regista inizia a scavare il tema delle famiglie omogenitoriali. Un tema che lo riguarda in prima persona in quanto padre di due figli insieme al produttore Giam-

FLEE

CCopenhagen, oggi. Amin decide di farsi intervistare da un amico e raccontare per la prima volta la sua storia. Per lui, che già da piccolo in Afghanistan sapeva di essere omosessuale, parlare di sé è sempre stato difficile (nemmeno il futuro marito, Kasper, conosce il suo passato); per questo ha racchiuso

pietro Preziosa. Questo film, Il filo invisibile, sembra essere la naturale prosecuzione di questo percorso.

Due genitori omosessuali si separano e, tra un dispetto e l’altro, iniziano la trafila legale, quantomai problematica in Italia, per l’affidamento del proprio figlio. Questo è lo sfondo del film. Sì, lo sfondo perché ne Il filo invisibile viene lasciato poco spazio al politico per fare posto alle questioni più umane e sentimentali. La cornice è la fiction (con toni dal melò familiare al teen drama), più adatta a veicolare emozioni grazie alla possibilità di esasperare concetti e semplificare passaggi. Una scelta, quella di semplificare un po’ le questioni, dettata dalla volontà di raggiungere un pubblico più indefinito, che non è altro che il pubblico di Netflix (la piattaforma sulla quale il film è distribuito).

Da queste premesse prende vita l’opera: la storia di una famiglia normale in un Paese che non la normalizza per colpa di una serie di pregiudizi (tipo l’omosessualità “ereditaria” ovvero l’idea che un figlio di una coppia gay cresca con lo stesso orientamento sessuale). Emerge con forza la volontà del regista di dissociarsi dalle rappresentazioni stereotipate e patinate: le coppie omosessuali sono identiche a quelle eterosessuali e si comportano allo stesso modo; possono fare errori, divorziare, rovinare la vita al proprio

figlio, proprio come quelle famiglie che invece riteniamo legittime. Non inganni un quadro così drammatico: il film utilizza tecniche da commedia degli equivoci che lo alleggeriscono e rendono piacevole (anche divertente in certi momenti).

Tutti questi passaggi permettono allo spettatore di capire quanto il legame biologico sia secondario rispetto al resto. Ciò che rende una famiglia sana è l’amore, il rispetto, la sincerità, quel filo invisibile che lega genitori e figli, non di certo il risultato di un test del DNA.

Spostandoci verso l’extra-filmico, degna di nota è la trovata transmediale per il lancio della pellicola: la HOMCollection. Una collezione fittizia di articoli per la casa pensati esclusivamente per famiglie LGBT+. Inutile stare a specificare che, in accordo col messaggio del film, si tratta di oggetti assolutamente identici a quelli classici. Una bella provocazione.

la sua vita, in lingua Dari, in un quaderno. Oramai non comprende più quella scrittura, però una cosa, leggendo, riesce a capirla: i Mujaheddin, dopo la presa del potere, hanno ucciso la sua famiglia.

Amin non ha mai conosciuto il padre. Tutto ciò che gli restava di lui, da piccolo, era un orologio, lasciato alla madre prima di essere arrestato con la caduta della monarchia.

Origine: Danimarca, 2021

Produzione: Final Cut For Real, Sun Creature Studio, Cinephil, Left Handed Films, Ryot Films, Vice Studios

Regia: Jonas Poher Rasmussen

Soggetto e Sceneggiatura: Jonas Poher Rasmussen, Amin Nawabi

Durata: 83’

Distribuzione: I Wonder Pictures

Uscita: 10 marzo 2022

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di Jonas Poher Rasmussen

Allo scoppio della guerra la vita a Kabul si complica e la famiglia è costretta a fuggire a Mosca, luogo che, dopo la caduta del comunismo, soffre la fame e la corruzione. Grazie ad Abbas, il figlio maggiore che vive in Svezia, riescono a trovare un appartamento ma non possono rimanere a lungo: la polizia è ostile verso i clandestini. L’obbiettivo è raggiungere Abbas (con i trafficanti perché più economico), ma i soldi non bastano per tutti. Alla prima occasione disponibile partono le due sorelle. Arrivano a destinazione ma in condizioni igieniche e psicologiche pessime.

Quando si racconta, Amin è spaventato. Si è aperto una sola volta prima di allora con un suo ex ragazzo che, in una litigata, ha minacciato di chiamare la polizia. Kasper intanto vorrebbe prendere casa assieme ma non trova nel compagno l’entusiasmo che si aspetta.

Il primo tentativo di fuga dalla Russia del resto della famiglia fallisce. Camminano ore e ore nei boschi, in mezzo alla neve. Poi, salgono su una piccola nave che poco dopo inizia a imbarcare acqua; nessuno sa nuotare. Una crociera norvegese li trova ma chiama le autorità: prima vengono portati in un campo profughi, poi rimandati in Russia.

Amin confessa a Kasper che sta per partire per gli Stati Uniti per un post dottorato della durata di qualche mese. Lui non la prende bene.

Accumulati abbastanza soldi, Amin riesce a partire dalla Russia. Nel cofano di un furgone, insieme a lui viaggia un ragazzo, la sua prima cotta reale. Le regole del trafficante sono chiare (passaporto falso da distruggere appena arrivati)

e anche il copione da ripetere per non farsi rispedire indietro: d’ora in poi i due non hanno più famiglia, tutti morti. Superati i controlli in aeroporto, Amin va a Copenhagen.

Arrivato in Danimarca, il ragazzo viene interrogato. Nonostante la storia che ripete sia inventata, non riesce a non piangere e, finiti i colloqui, trascrive tutto su un diario in lingua Dari. Poi, appena può, chiama Abbas per avvertirlo di stare bene.

Dopo qualche anno e con la paura costante di essere rimandato indietro, Amin riesce ad andare a trovare il fratello e le sorelle in Svezia. Nonostante il timore di non essere accettato, il ragazzo rivela a quella parte della famiglia la sua omosessualità. Alla notizia, Abbas lo porta fuori e in macchina lo accompagna in un locale gay per farlo divertire.

Al rientro dagli Stati Uniti, stanco di girare il mondo, Amin va finalmente a vivere con Kasper.

LLa prima inquadratura di Flee è esemplare: dinanzi alla telecamera, Amin Nawabi non riesce a trovare immediatamente il suo posto. Una volta si posiziona troppo in alto; una volta troppo in basso. Sembra un dettaglio superfluo o semplicemente una trovata come un’altra per cominciare un film. Solo dopo (forse) ci si accorge che in quel breve passaggio è racchiusa l’anima di tutta la pellicola: la difficoltà di trovare il proprio posto del mondo come nell’inquadratura. Gia dai primissimi minuti lo sappiamo, dobbiamo solo realizzarlo.

La storia che ci viene raccontata (in prima persona) è delle più delicate: si tratta della vita di un amico del regista Jonas Poher Rasmussen e il film non è altro che una chiacchierata (registrata) tra i due, durata circa quattro anni. Amin non si era mai raccontato a nessuno e non stupisce la sua scelta di utilizzare uno pseudonimo (per riserbo e per evitare potenziali problemi legali).

Una scelta abbracciata dal regista che, per gli stessi motivi, sceglie di percorrere la via dell’animazione: pseudonimo della ripresa dal vero e filtro conserva pudore che si veste da elemento significante (il tratto in alcune scene, specialmente quelle più traumatiche, diventa meno marcato, poco nitido come i ricordi da cui scaturisce). A questa si aggiungono due ulteriori livelli che riportano il film verso quell’effetto realtà classico del documentario (sì, anche di documentario si tratta): le voci, che sono quelle originali in presa diretta dei due interlocutori e le clip d’archivio, inserite per collocare nel tempo e nella storia quel flusso di ricordi.

Attraverso la sua vita, Amin ci dimostra gli orrori e gli abusi che, oggi come allora, un migrante è costretto a subire e che vanno aldilà della sfera puramente fisica e carnale. Infatti, è la psiche, le cui ferite difficilmente rimarginano, quella che viene messa a dura prova nel corso degli anni e delle varie fasi del movimento migratorio (che non si ferma superato il confine): l’allontanamento da quella che fino a poco prima era casa è solo il primo passo; seguono l’accettazione della propria condizione (Amin diceva di vergognarsi) e l’acquisizione della fiducia negli altri, sempre pronti a giudicare (dopo anni il protagonista non ci è ancora riuscito del tutto). Il cinema, in questa prospettiva, svolge un ruolo terapeutico e offre un luogo sicuro in cui confidarsi e liberarsi (la macchina da presa non spaventa quanto le persone).

Una vita intera passata a tacere per la propria incolumità. Tacere sulla propria omosessualità da piccolo (in un paese come l’Afghanistan che non possiede neanche un termine per dirlo) per non recare disonore alla famiglia. Tacere poi da adulto sul propio passato, per timore di essere fraintesi e rispediti indietro. Il silenzio, minimo comun denominatore tra passato è presente nella storia di Amin, diventa rumore fragoroso grazie al

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cinema documentario, un mezzo che da sempre dona voce a chi voce non ha o non può avere. Una voce che ha raggiunto anche gli Oscar:

tre candidature che confermano la natura ibrida della pellicola. Primo film nella storia nominato, allo stesso tempo, come miglior film in-

IL SIGNORE DELLE FORMICHE

EA Castell’Arquato nei primi anni ’60 il Prof Aldo Braibanti aveva fondato un centro culturale sfruttando gli ambienti straordinari de “La Torre”, uno dei vari casali in disuso della bassa piacentino/parmense. Aldo, poeta, scrittore, drammaturgo, filosofo e perfino mirmecologo, cioè studioso della vita delle formiche, accoglieva ragazzi e ragazze che spingeva ad approfondire le proprie inclinazioni artistiche circa le arti figurative, il teatro, la scrittura.

È un vero e proprio centro culturale questo di “La Torre”, sostenuto dall’entusiasmo, dalla voglia di cultura, dalla libertà di tutti e, naturalmente, dall’amore.

Perché è amore quello che nasce tra Aldo ed Ettore Tagliaferri che supera la gretta gelosia di suo fratello, il cattolicesimo bigotto e nefasto della madre per abbracciare senza tentennamenti il fascino della sua nuova vita. Cosicché Aldo ed Ettore abbandonano l’ambiente retrivo e famigliare della provincia piacentina per Roma e si sistemano in una piccola pensione.

Da qui un dramma senza precedenti.

La famiglia Tagliaferri non ci sta a subire questo “vergognoso sopruso” e affila le armi.

La madre di Ettore si presenta alla pensione insieme a quattro energumeni, scova a letto i due “traditori” e rapisce il ragazzo per riportarlo a casa e sottoporlo a una cura che possa “recuperarlo” e fargli abbandonare questa “passione demoniaca”.

L’ambiente famigliare parla anche di rivolgersi a Padre Pio che sembra abbia aiutato altri giovani dediti allo stesso male o, addirittu-

ra, a un esorcista. Ettore è così sottoposto a cure psichiatriche (fino a quaranta elettroshock) e farmacologiche d’insulina in dosi da cavallo mentre Aldo è denunciato e arrestato.

Il caso si presenta, inizialmente, come un problema giudiziario: non esisteva né esisterà mai il reato di omosessualità perché questa “devianza demoniaca” non era inquadrata ufficialmente e, quindi, non c’era una legge che la considerasse; i due protagonisti erano, poi, maggiorenni e non potevano rientrare in altri reati. Il tribunale scelse una strada ancora più infame, quella del reato di plagio, contemplato dall’art. 603 del codice penale ereditato dal famigerato codice Rocco.

I mesi trascorsi tra l’arresto del 5 Dicembre 1967 e la condanna del 14 Luglio 1968 espongono il nostro Paese a una delle pagine più retrive, buie e ignobili della sua storia giudiziaria.

La forza d’animo e la solidità di Aldo Braibanti è assalita, colpita dalle frasi più vergognose e sottilmente devastanti che possano essere usate nei confronti di un essere umano imputato di reato da un tribunale della Repubblica.

Il giovane Tagliaferri, provato dalla lunga e oppressiva detenzione ospedaliera è in tribunale a rendere la sua testimonianza di fragilità, sincerità e stupore che tutto questo che gli sta capitando possa davvero essere reale.

Solo un giornalista, Ennio, capisce cosa sta accadendo e si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica a sostegno di Braibanti e perché il suo giornale, l’Unità, si faccia promotore di un movimento d’idee ma con scarsi risultati su entrambi i fronti.

ternazionale, miglior film di animazione e miglior documentario.

giallorenzo Di Matteo

di Gianni Amelio

Origine: Italia, 2021

Produzione: Simone Gattoni Kavac Film, Beppe Caschetto per IBC Movie, Moreno Zani e Malcom Pagani per Tenderstories, con Rai Cinema

Regia: Gianni Amelio

Soggetto e Sceneggiatura: Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava

Interpreti: Luigi Lo Cascio (Aldo), Elio Germano (Ennio), Sara Serraiocco (Graziella), Leonardo Maltese (Ettore), Anna Caterina Antonacci (Maddalena), Rita Bosello (Susanna), Davide Vecchi (Riccardo), Maria Caleffi (Carla), Roberto Infurna (Manrico)

Durata: 130’

Distribuzione: Europictures

Uscita: 8 settembre 2022

Braibanti è condannato a nove anni (ne erano stati richiesti quattordici dal Pubblico Ministero, quasi per un omicidio) poi ridotti a quattro in appello. Questo grazie al suo passato di partigiano che lo farà uscire dopo due.

Aldo ed Ettore si rincontrano mentre il giovane sta dipingendo su un grande cartone una specie di scenografia (il territorio è forse lo stesso de La Torre). È un saluto in silenzio, denso di dolore e di una sconfinata certezza sulla verità di quello che è avvenuto e c’è tra di loro.

Non si rivedranno più.

AAmare. Amare un ragazzo. Questo stato dell’animo umano (che più umano non si può) per secoli nascosto, negato, rimosso dai poteri ecclesiali in accordo con quelli pubblici (di qualsiasi genere fossero) fu calpestato e straziato in pubblico ludibrio da un tribunale del nostro Paese negli anni ’60 del secolo scorso. Ricordiamo a proposito del già nominato art. 603 che questo

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attribuiva il delitto di plagio a: “… chiunque sottoponesse una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione”.

La Corte Costituzionale che con la sentenza del Giugno 1981 cancellò l’articolo dal nostro codice penale, evidenziò non solo l’impossibilità di accertare l’esistenza di questo tipo di reato ma anche l’intollerabile rischio di arbitrio dell’organo giudicante.

Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una storia di sesso tra maschi che nasconde, invece, dell’altro. È lo stesso Amelio a illuminarci quando dice “...viviamo in un Paese barbaro e il mio obiettivo è di dare coraggio a chi non può avere potere”.

Adesso è chiaro: stiamo parlando di potere, quindi di libertà e dei meccanismi che il potere è capace di mettere in atto per contrastare ad ogni costo chi si mette di mezzo alla sua strada, senza fare prigionieri. Nel film di Amelio troviamo che questo sia il nodo fondamentale anzi siamo sicuri che il regista abbia utilizzato

di Emanuele Crialese

Origine: Italia,Francia, 2021

Produzione: Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa, Dimitri Rassam per Wildside, Chapter 2, Warner Bros. Ent. Italia, Pathé, France 3 Cinema

Regia: Emanuele Crialese

Soggetto e Sceneggiatura: Emanuele Crialese, Francesca Manieri, Vittorio Moroni

Interpreti: Penélope Cruz (Clara), Vincenzo Amato (Felice Borghetti), Filippo Pucillo (Andrea), Aurora Quattrocchi (Madre di Clara), Rita de Donato (Marina), Alvia Reale (Nonna), Carlo Gallo (Alberto), Elena Arvigo (Patrizia), Laura Nardi (Serena)

Durata: 97’

Distribuzione: Warner Bros. Pictures Uscita: 15 settembre 2022

una storia dolorosa, di cui lui stesso avrebbe potuto essere lo sfortunato protagonista, per fare i conti con la capacità repressiva che può mettere in atto un sistema di potere.

È giusto sia stata raccontata questa storia ormai lontana e presto seppellita con il tacito accordo di tutti perché a tutti faceva comodo sopire, porre lontano un argomento così scabroso, addirittura una amore tra uomini che infastidiva i politici, la Chiesa e tutti coloro che volevano stare “tranquilli”. A cominciare dallo stesso giornale del Partito, troppo occupato a pensare alla classe operaia per occuparsi di una storia di invertiti, come si diceva allora.

Per spronarci a essere vigili senza abbassare la guardia, perché le idee e le rivendicazioni hanno fatto strada, certo, ma le leggi contro l’omofobia sono ancora bloccate in Parlamento e spesso, per fare prima, senza tribunali, si pestano e si uccidono i ragazzi per la strada, Amelio si avvale di tre splendidi attori.

Luigi Locascio conferisce al suo Braibanti una sensibilità ferma, severa, prima verso se stesso poi verso i suoi accusatori; contro di loro le sue parole non riescono a far breccia perché l’odio è troppo antico e calcificato nell’esercizio del potere ma ci regalano una figura straordinaria (che ricorda molto il Volontè di Giordano Bruno). Né eroe, né mar-

tire, Locascio compone la figura di un intellettuale socratico che pietra dopo pietra costruisce una solidità etica immensa che dovrebbe essere d’insegnamento oggi ai giovani che si affacciano alla vita e al cinema.

Elio Germano è l’intellettuale da coro greco che intuisce che oltre i sospetti e le censure ufficiali di questa storia così vilmente raccontata c’è ben altro e cerca di trascinare tutti a capire cosa significhi l’esercizio del potere e a dare finalmente un intimo significato alla parola civiltà.

E poi Leonardo Maltese, una vera rivelazione nel regalarci la sua sofferenza, la sua emotività e nello stesso tempo una sottile misura che coinvolge lo spettatore in ogni scena (l’ha subito voluto Bellocchio per il suo nuovo film).

Come si fa, poi, a non piangere di fronte alla scena finale?

Aldo ed Ettore si rivedono, lo sanno entrambi, per l’ultima volta.

Sanno solo guardarsi in maniera straziante; Aldo è in grado di distogliere quello sguardo che appartiene, unico, a Ettore, in uno splendido, ardente primo piano che ci dice tutto un mondo di sentimento, di rimpianto, di dolore, di domande che ancora non hanno risposta.

RRoma, anni ’70.

Una famiglia borghese, Clara, Felice e tre ragazzi, comincia a vivere una nuova vita nella bella casa in cui si sono trasferiti, una casa moderna nei pressi di una periferia non ancora sviluppata.

Il legame tra marito e moglie non c’è più, restano insieme per una scelta di appartenenza sociale e per un vago senso di solidità bella e finita e anche perché Clara è completamente dedita ai figli che riempie

d’amore e di tutta se stessa.

Un altro problema mina la vita famigliare: la prima figlia, Adriana, si sente un maschio irrealizzato e pretende di essere chiamata Andrea.

I tradimenti del marito e il dilemma identitario della figlia minano sempre di più l’equilibrio mentale di Clara nonostante cerchi di supplire con l’immaginazione e l’immedesimazione nelle canzoni e nelle coreografie che esplodono dalla tv.

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L’IMMENSITÀ

A questo aggiungiamo che la segretaria di Felice, incinta di lui, viene a confessarsi proprio da Clara che non può fare niente per lei ma rimane ugualmente spezzata in due.

La strada è ormai segnata quando Clara incendia il salotto di casa che per fortuna non procura danni a nessuno. Felice prende in mano la situazione, fa ricoverare la moglie in una casa di cura e gestisce in prima persona la vita della famiglia con l’aiuto della madre, in un’atmosfera che ha perso completamente la gioiosità delle musiche e dei balli a cui si abbandonavano madre e figli.

Il periodo di cura ha fine, Clara ritorna a casa, sembrerebbe più rasserenata.

L’ultima scena vede Adriana, definitivamente Andrea a cantare un successo d’epoca, appunto “L’immensità” in televisione.

CCrialese tocca, finalmente per lui, la sua storia intima undici anni dopo il suo ultimo film (“Terraferma”, 2011). Ha capito che il tempo aveva trascorso il suo periodo di decantazione e si è sentito libero e pronto ad affrontare una materia così personale e sovraccarica di emozioni.

Crialese è un cineasta e quindi si è affidato al suo mezzo di appartenenza per dare corpo a tutto ciò ed è stata una fortuna perché un altro metodo

come un libro, un quadro anche se artisticamente valido non sarebbe stato sufficientemente adatto a spiegare il concetto di trasformazione, fluidità, cambiamento e di modifica continua che anima questo film.

Il cinema è questo.

Inizia una storia, sembrerebbe bene equilibrata, poi grazie all’uso di ombre e luci al servizio di scelte registiche, la vediamo prendere un’altra strada, può modificarsi, può riflettere specchi e cristalli per ricomporsi in altre immagini, può trasformarsi. Oppure la storia può variare il realismo dei personaggi in una rielaborazione fantastica che tocca lo spiritualismo, il magico, qualcosa che non c’è, il changeling, secondo il folklore europeo.

Due personaggi centrali, la madre e la figlia, usano il loro percorso di fantasia, le musiche di Celentano e Dorelli, i balli di Raffaella Carrà e tutto il circo televisivo del sabato sera per proiettarsi in altre identità o, quantomeno, avere la forza di uscire dalla propria. La madre per non soccombere sotto le umiliazioni e i tradimenti di un marito duro e insensibile, la figlia per “migrare” in un universo che crede di poter sentire maggiormente suo.

Quindi entrambe sono sempre in una fase liquida, di transizione come è in transizione lo stesso ambiente in cui avviene tutto cioè una

HATCHING - LA FORMA DEL MALE

LLa dodicenne Tinja è costretta a praticare ginnastica dalla madre, una donna ossessionata dalla perfezione che gestisce un popolare blog incentrato sull’esistenza idilliaca della loro famiglia, composta anche dal padre e dal giovane figlio Matias.

Un giorno, un corvo fa irruzione nel salotto mettendo a soqquadro

la casa prima di essere catturato da Tinja, che lo consegna alla madre, la quale, con disinvoltura, gli spezza il collo e lo riconsegna alla figlia affinché lo getti nel bidone dell’umido. Quella notte, la ragazza avverte che il corvo è ancora vivo e si reca nel bosco dove lo uccide per porre fine alle sue sofferenze; lì vicino però, trova un uovo e decide di portarlo a casa per

Roma nuova ma non ancora determinata, una periferia che ancora c’è ma si sposta e si sposterà sempre più avanti.

L’azione, gli stati d’animo, i ricordi, i tormenti, i desideri sono sempre in un continuo sconfinare in un mondo parallelo dove poter entrare e uscire ma le due donne sperano di non dovere uscirne più.

La madre crolla, deve troncare la sua ricerca di un universo sostitutivo e rischia di spezzarsi; ritornerà a casa ma i suoi occhi non sono più pronti a ballare con la Carrà e Celentano.

La figlia lascia la cupa costrizione della propria infanzia per realizzare la propria natura come Andrea.

La Cruz un misto sempre più denso di dolcezza, umanità, amore.

In Luana Giuliani Crialese ha trovato quella luce speciale di angoscia, grinta, sincera irresolutezza a comporre il ruolo della sua vita.

di Hanna Bergholm

Origine: Svezia, 2022

Produzione: Mika e Nico Ritalahti per Silva Mysterium Oy, Nima Yousefi per Hobab

Regia: Hanna Bergholm

Soggetto e Sceneggiatura: Ilja Rautsi

Interpreti: Jani Volanen (Padre), Sophia Heikkilä (Madre), Saija Lentonen (Allenatrice), Reino Nordin (Tero), Stella Leppikorpi (Amica), Aada Punakivi (Amica), Siiri Solalinna (Tinja/Alli), Ida Määttänen (Reetta)

Durata: 86’

Distribuzione: Adler Entertainment

Uscita: 6 ottobre 2022

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prendersene cura e farlo schiudere. Ogni giorno che passa però, si scopre che l’uovo aumenta sempre più di dimensione.

Nel frattempo, Tinja fa sempre più fatica agli allenamenti e teme di non riuscire a partecipare alle imminenti gare di ginnastica artistica a cui tiene tanto la madre; in seguito, la ragazza scopre che quest’ultima ha una tresca con un altro uomo, di nome Tero, e decide di non divulgare nulla al resto della famiglia mantenendo il segreto.

Subito dopo, Tinja fa conoscenza con Reetta, una nuova vicina di casa, che si rivela a sua volta un grande talento per la ginnastica; ciò porta la madre a fare pressione su Tinja affinché si impegni maggiormente.

Poco tempo dopo, l’uovo improvvisamente si schiude e dal suo interno fuoriesce una strana creatura ibrida simile ad un uccello. Tinja, dopo la paura iniziale, decide di tenerla segretamente con sé e la chiama Alli. Nella notte, la ragazza viene infastidita dall’abbaiare del cane di Reeta e sogna di andare nella casa accanto. La mattina dopo, al risveglio, scopre che Alli le ha portato la testa decapitata del cane; vomita dal disgusto e Alli si nutre del suo vomito come fanno gli uccellini; Tinja nasconde così Alli nell’armadio e seppellisce la testa del cane nell’aiuola ma viene vista da Matias.

La sera successiva, la madre regala a Tinja una spazzola provocando l’invidia di Matias il quale, per ripicca, dissotterra la testa del cane incolpando la sorella. Dopodi-

ché, Matias entra nella stanza di Tinja con indosso una maschera per scoprire cosa la ragazza nasconda sotto il letto e Alli si spaventa nel vedere il bambino; in contemporanea, Tinja ha una sorta di crisi epilettica, dando prova di essere psichicamente legata alla creatura.

Il giorno seguente, la madre è delusa quando Reetta ottiene il posto per la gara di ginnastica al posto della figlia. Percependo l’infelicità di Tinja, Alli esce dall’armadio in cui è rinchiusa e aggredisce brutalmente Reetta, provocando un’altra crisi a Tinja. La creatura inizia una lenta metamorfosi: perde il becco e comincia ad assomigliare sempre di più a Tinja.

Tinja ottiene il posto nella gara di ginnastica al posto di Reetta, quindi la madre propone alla figlia di rimanere con lei a casa di Tero per alleviare lo stress pre-gara. Il padre le rivela di sapere da tempo che la moglie lo tradisce ma di rispettare la sua decisione, nonostante sembri infelice. A casa di Tero (vedovo con un neonato di nome Helmi), Tinja sta molto bene in quanto Tero non ha l’ossessione per il controllo di sua madre; tuttavia, dopo aver sorpreso Tinja mentre nutre Alli, quest’ultima attacca l’uomo ferendolo alla mano; Tero decide comunque di non dire nulla ai genitori di Tinja, rendendosi conto che la ragazza è costretta a competere e a fare ginnastica dalla madre.

Alla gara, Tinja si fa male volontariamente per impedire ad Alli di uccidere Helmi con un’ascia. Tero assiste all’attacco di Alli e caccia Tinja e sua madre di casa poiché è convinto che la ragazza ha seri problemi psichici.

Tinja confessa alla madre l’esistenza di Alli e iniziano a darle la caccia. La madre pugnala Alli a una gamba e così facendo ferisce anche la figlia; quest’ultima prova a difendere Alli sostenendo di essersi presa cura di lei e, quando la donna attacca comunque la creatura, si frappone tra loro, venen-

do pugnalata. Il suo sangue entra nella bocca della creatura, che completa la sua trasformazione in essere umano.

Il corvo è a tutti gli effetti uno di quegli animali che più di ogni altro è riuscito a guadagnarsi nell’immaginario collettivo un posto rilevante nel panorama horror, in quanto evoca messaggi oscuri e nefasti, densi di mistero e inquietudine, ma allo stesso tempo simboleggia forse il mistero dell’esistenza umana, ovvero il passaggio da uno stato all’altro: dall’ignoranza alla conoscenza, dal male al bene, dalla notte al giorno, e soprattutto tra la vita e la morte. Ed è proprio un corvo il MacGuffin o forse il Deus ex machina che si insinua prepotentemente all’interno del “nido” di una “perfetta” famiglia medio-borghese mostrandone gli orrori che si celano all’interno di essa… Hatching - La forma del male parte proprio da questi presupposti, stracciando il velo delle false apparenze per addentrarsi gradualmente all’interno dei mali della società moderna e affrontando tematiche universali come la maternità, la crudeltà dell’adolescenza e la ricerca di se stessi. Qui la giovane regista finlandese Hanna Bergholm, al suo esordio in un lungometraggio cinematografico, dimostra sin da subito il suo talento, realizzando un’opera audace e spietata come poche che - asservita da uno script originale scritto a quattro mani assieme a Llia Tautsi - riesce a incanalarsi su sentieri più horror e weird senza mai perdere la sua vena drammatica. La messa in scena, non a caso, ricorda il tagliente cinismo psicologico di Lanthimos e la poetica cronenberghiana della nuova carne (a cui la regista pare ispirarsi in modo diretto, facendo riferimenti al body horror).

Lo stesso titolo originale, “Pahanhautoja” (termine finlandese traducibile in italiano come “tombe

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malvagie”) racchiude forse il paradigma di tutto il film che - senza scomodare “Il corvo” di Edgar Allan Poe - dà il senso a qualcosa di ancestrale, nascosto, un male interiore “covato” dalla giovane protagonista che prederà corpo attraverso il suo doppelgänger fino ad esserne soggiogata. L’uovo, è appunto il punto focale della narrazione, in quanto rappresenta allegoricamente lo stato d’animo di Tinja (interpretata dalla giovanissima Siiri Solaninna) che viene inglobata dall’ingombrante presenza di una madre manipolatrice ossessionata per la carriera sportiva della figlia. Chiudendosi in se stessa, la giovane inizia a “covare” il proprio mostro interiore fino a renderlo reale. Il mostro, per cui inizialmente proviamo anche una sorta di pietà (è una sorta di diverso), instaura una relazione stretta con Tinja, tanto che sembrano essere in simbiosi.

LA VITA È UNA DANZA

Diviene non solo il suo doppio ma anche amica della giovane, ricevendo forse, tutto il calore affettivo che non ha mai ricevuto. Questa ambivalenza è evidente anche sul piano tecnico, attraverso l’ausilio di un’elegante impianto scenografico negli interni (carta da parati colorata e sontuosi arredi) che creano questo scontro antitetico tra la patinata perfezione del nucleo familiare e la natura macabra e intrinseca della storia.

Tra le note più interessanti del film infine, bisogna evidenziare l’ottimo reparto degli effetti speciali. Per l’aspetto iniziale della creatura (l’enorme corvo antropomorfo) è stata utilizzata una sorta di marionetta in animatronics creata dal designer Gustav Hoegen e dal suo team (celebri per aver lavorato ai dinosauri di Jurassic World, alle creature mitologiche di Scontro tra Titani, alla serie TV di Doctor

Who e alla saga di Star Wars). Man mano che il mostro si evolve e assume un aspetto più umano, la creatura viene interpretata da diversi stuntman. Il loro make-up è stato realizzato dal due volte candidato all’Oscar Conor O’Sullivan, noto per aver lavorato alla serie TV de Il Trono di Spade, così come per i film di X-Men: L’inizio e Prometheus

Presentato in anteprima mondiale il 23 gennaio 2022 alla 39ª edizione del Sundance Film Festival, Hatching ha vinto nello stesso anno il Grand Prix e il Prix du Jury Jeunes al Festival international du film fantastique de Gerardmer. Il film è una co-produzione scandinava (Finlandia e Svezia) e distribuito nelle sale cinematografiche italiane da Adler Entertainment il 6 ottobre 2022.

di Cédric Klapisch

Origine: Francia,Belgio, 2022

DDurante uno spettacolo, Élise, étoile della danza classica, poco prima di salire sul palcoscenico, scorge tra le quinte il tradimento del suo fidanzato anche lui ballerino. Entrata in scena, cade e si infortuna alla caviglia. La diagnosi è pesante: una grave frattura le impedirà di danzare per un lungo periodo, forse due anni nel caso di intervento chirurgico. La ragazza pensa che a ventisei anni non può permettersi uno stop così lungo. Ansiosa di recuperare, Élise continua ad allenarsi da sola e si fa seguire dall’amico fisioterapista Yann, anche lui scottato dal tradimento della fidanzata. Élise si reca insieme alle sue due sorelle a trovare il padre che vive fuori

Parigi. In occasione della visita, la giovane ricorda che la defunta mamma la aveva seguita fin da piccola nei suoi primi passi nella danza. In seguito il papà la aveva sempre accompagnata alle lezioni, pur non approvando la sua scelta di fare della danza una professione e indicando per la figlia gli studi di legge. Tornata a Parigi, la danzatrice inizia ad aprirsi ad altri tipi di danza, osservando in strada esibizioni di hip-hop e danza contemporanea in compagnia dell’amica Sabrina. Dopo qualche tempo, Élise decide di allontanarsi da Parigi seguendo Sabrina e il suo fidanzato chef Loïc a bordo del loro furgone di cucina itinerante.

I tre giungono in Bretagna in una residenza per artisti gestita dalla disincantata Josiane dove Sabri-

Produzione: Cédric Klapisch per Ce Qui Me Meut, Bruno Levy, Canal+, Ciné+, France Télévisions

Regia: Cédric Klapisch

Soggetto e Sceneggiatura: Cédric Klapisch, Santiago Amigorena

Interpreti: Marion Barbeau (Elise Gautier), Hofesh Shechter (Hofesh), Denis Podalydès (Henri Gautier), Muriel Robin (Josiane), Pio Marmaï (Loïc), François Civil (Yann), Souheila Yacoub (Sabrina), Mehdi Baki (Mehdi), Alexia Giordano (Anaïs), Marion Gautier De Charnacé (Adèle)

Durata: 177’

Distribuzione: Bim Distribuzione

Uscita: 6 ottobre 2022

na e Loîc preparano buon cibo accompagnato da ottimo vino. Nella tenuta arriva una compagnia di danza contemporanea capitanata dal coreografo Hofesh Shechter. Impegnata in cucina, Élise inizia a sbirciare le prove dei danzatori restando affascinata dalla libertà

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di movimento dello stile contemporaneo. Un giorno, la ragazza viene coinvolta da un ballerino che le chiede aiuto per provare una sequenza. I giorni seguenti Élise inizia a ballare con la compagnia. Tra la ragazza e il ballerino Mehdi nasce una simpatia che ben presto si tramuta in attrazione. Nel frattempo, Yann, tornato da un viaggio, la chiama dicendole che vuole raggiungerla in Bretagna. Durante una sessione di fisioterapia, il ragazzo nota come la ripresa dopo l’infortunio sia a buon punto. Élise confessa a Yann di aver incontrato Mehdi un collega con cui sta nascendo una relazione. Da sempre attratto dalla ragazza, il giovane sfoga la sua delusione. Poco dopo, il coreografo Hofesh le propone di esibirsi con la compagnia in scena a Parigi. Élise teme di non farcela a reggere l’intero spettacolo. Dopo la partenza del gruppo di danzatori, nella residenza arriva un coro. Il giorno seguente Élise torna a Parigi con Sabrina e Loïc. Dopo una visita di controllo, la dottoressa le conferma la guarigione. La ragazza rivede Mehdi, tra i due esplode la passione. Élise va a pranzo con il papà che è in città per lavoro e gli confessa di aver sofferto per la freddezza con cui l’ha sempre trattata. Nel pomeriggio, la ragazza porta il papà alle prove dello spettacolo.

Lo show va in scena, Élise danza ispirata. Dopo lo spettacolo, il papà le dice che è fiero di lei. La ragazza cammina per strada felice con i colleghi. Poi pensa a una lettera immaginaria da scrivere alla

mamma, confessando che quello è il primo giorno della sua nuova vita.

UUn corpo in movimento. Vita, morte e rinascita.

Una o più vite. Sipari che calano e che si alzano di nuovo su una scena completamente diversa.

Il significato autentico della storia raccontata da La vita è una danza, quattordicesimo lungometraggio del regista Cédric Klapisch, è nel suo titolo originale, En corps.

Dentro il corpo, fin dalle prime immagini. Un corpo si muove a ritmo di musica ma poi qualcosa si rompe: un tradimento, un orgoglio ferito a cui fa da immediata risposta un corpo spezzato. Un trauma del corpo e dell’anima.

La scena di apertura è rivelatrice e spiazzante: quindici minuti di assenza di dialoghi, solo la messa in scena di uno spettacolo, dietro le quinte e sul palcoscenico. Solo la danza. Sguardi, muscoli in tensione, movimento, musica: una sofferenza crescente, un disagio raccontato solo per immagini.

Un incipit perfetto e studiatissimo. Klapisch coglie nel segno mostrando l’essenza di un’arte e al contempo un misto di emozioni e stati d’animo girando una sequenza con uno stile a metà tra il documentario e i richiami alla storia dell’arte. È difficile non pensare alle ballerine di Degas colte dietro le quinte, nell’atto di scaldarsi alla sbarra o di allacciare una scarpetta, con prospettive tagliate in obliquo, tra luce e ombra.

La danza è stata una presenza costante fin dall’inizio della carriera di Klapisch, quando fin dai primi anni Novanta ha avuto occasione di dirigere video e cortometraggi in tema (e anche il protagonista di Parigi del 2008 è un ballerino costretto a cambiare radicalmente la sua vita), fino al documentario realizzato nel 2010 sull’addio alla danza di Aurélie Dupont. Poi nel 2018, con lo spettacolo teatra-

le “Four Contemporary Dancers” il regista si avvicina alla danza contemporanea conoscendo Hofesh Shechter (il coreografo israeliano che interpreta se stesso in questo film): è l’inizio di un’amicizia che fa maturare l’idea di realizzare un film di finzione sulla danza.

Una storia di morte e rinascita, di corpi, legami (e legamenti), ritmi.

Klapisch racchiude il suo film in un andamento perfettamente circolare: un balletto classico in apertura e un balletto contemporaneo in chiusura. Un’immagine speculare (lo specchio è uno dei temi cardine in un film sulla danza): La Bayadère al Théatre di Chatelet e la coreografia di Hofesh Schechter Political Mother: The Choreographer’s Cut alla Grande Halle de la Villette.

Dal classico al contemporaneo, dalle rigide regole all’abbandono del corpo, dai ritmi classici ai suoni elettrici e alle percussioni tribali, dalla salita sulle punte, all’abbandono a un ritmo più viscerale. Alto e basso, cielo e terra, volare in alto leggeri e ancorarsi al suolo e alle proprie radici. Nel passaggio dalla danza classica a quella contemporanea, la protagonista passa dal volo alla caduta, dal cielo alla disperazione. Il passaggio di Élise da un universo all’altro avviene anche attraverso il viaggio: dalle strade, i teatri e gli appartamenti parigini allo scenario rurale della campagna bretone.

Al centro della scena, l’étoile dell’Opera parigina Marion Barbeau, fisico esile e sguardo che incanta. Accanto a lei, veri ballerini che interpretano se stessi e due professionisti in due ruoli cruciali: Denis Podalydès nei panni del padre e Muriel Robin nel ruolo di Josiane, la proprietaria della residenza per artisti dove avviene la presa di coscienza della protagonista e la sua rinascita. Josiane è una donna piena di gentilezza e positività, ma sofferente, cammina con un bastone a causa di una lesione; lei e Élise in fondo si somigliano, ha sottolinea-

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to l’attrice: “entrambe vulnerabili, entrambe desiderano trovare un modo per guarire per poter ballare, amare, aiutare, vivere”.

Mostrando la danza da un punto di vista diverso, Klapisch sceglie di concentrarsi sul lato più leggero in cui una ballerina ritrova se stessa piuttosto che sul lato più oscuro delle rivalità tra danzatrici come nel caso di Darren Aronofsky ne Il cigno nero. Non a caso il regista sceglie veri ballerini piuttosto che attori che ballano o fingono di danzare (con l’ausilio di controfigure) come Natalie Portman nei film di Aronofsky.

La prova di Marion Barbeau è straordinaria: stesso talento nella danza classica e in quella contemporanea, un volto intenso capace di trasmettere emozioni contrastanti.

Coglie nel segno la scelta del regista di concentrarsi sulla passione

IO SONO L’ABISSO

SSul lago di Como, tra sponde addormentate e casette biancastre, immagini di un nitore inesistente e apericene di ricchi amanti dello champagne si annida il male che continua a vivere, padrone di un’altra dimensione.

Un operatore dell’azienda che ritira i rifiuti, raccoglie e conserva sacchi e sacchetti della popolazione perché secondo lui, la spazzatura non mente al contrario delle persone. L’uomo ha un passato problematico: vessato da una madre incosciente, mezza schizzata, mezza prostituta, operato al cervello per un tumore, porta con sé la derisione del mondo che lo obbliga a uccidere prostitute, tutte bionde, tutte in là con gli anni, pescate in un night della zona, il “Blu Dancing”.

Un’ex poliziotta che ha conosciuto l’abisso del dolore perché il figlio è in carcere per avere commesso

per un’arte piuttosto che sul mero sacrificio: un’idea di danza come piacere puro. Una storia di rinnovamento e rinascita, un “film sulla vita”, come lo ha definito lo stesso Klapisch. Di parabole di cadute e risalite è pieno il cinema, ma questa volta la prospettiva inedita è quella della frangibilità di un corpo traumatizzato e della capacità di apprendere un modo diverso di vivere e sentire il corpo.

Ed ecco ancora il corpo del titolo originale, il corpo inteso come veicolo di emozioni in un film che gli restituisce il suo profondo significato e che va oltre il classico dualismo anima e corpo. La nuova psichiatria ha dimostrato che ci possono essere due visioni: il corpo inteso come ‘organismo’ (il corpo ridotto a ‘cosa’ che la scienza studia) e, in senso più profondo, il ‘corpo

vivente’ che è in relazione al ‘mondo della vita’. Il vero corpo vivente non è rappresentativo di eventi che hanno sede nell’anima ma è ‘immediatamente’ espressivo di emozioni come gioia, tristezza, ansia. Il corpo vivente è insomma direttamente in piena relazione con il mondo circostante, perché l’Io coincide perfettamente con il corpo (non a caso tutti noi diciamo “Sono stanco” e non “Ho un corpo stanco”).

L’Io della danzatrice Élise coincide perfettamente con il suo corpo: sofferente, dolorante, e poi di nuovo gioioso, liberato e pieno di slancio vitale.

Per questo En corps è molto più che un film sulla danza e ‘dentro’ la danza: un’ode alla vita, entusiasmante e avvolgente.

di Donato Carrisi

Origine: Italia, 2022

un delitto orrendo è l’unica che capisce che delle donne stanno scomparendo nel nulla senza che nessuno se ne accorga. La convinzione appartiene solo a lei, da tutti considerata “la matta” per tutto ciò che ha sofferto in passato. Anche un braccio di donna, trovato nel lago con tracce e segni che potrebbero risultare utili per la ricerca dell’ipotetico assassino interessano i carabinieri (la donna ha una figlia nell’arma) fino a un certo punto.

Poi c’è una ragazzina con i capelli colorati, considerata inutile da un padre ricco ma anaffettivo e insensibile al limite della crudeltà, che si concede a uomini d’età presentatile dal suo pseudo (ma crudele) fidanzato. La ragazzina decide di uccidersi e si getta nel lago ma l’uomo della spazzatura, passando davanti alla riva, s’immerge e la salva dimenticando però nel suo fazzoletto un’unghia dell’ultima assassinata. Alla fine

Produzione: Palomar, Vision Distribution Regia: Donato Carrisi Soggetto e Sceneggiatura: Donato Carrisi

Interpreti: Michela Cescon (La Cacciatrice di Mosche), Gabriel Montesi (L’Uomo che Puliva), Sara Ciocca (La Ragazzina col Ciuffo Viola), Giordana Faggiano (Poliziotta), Sergio Albelli (Il Prof)

Durata: 126’

Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 27 ottobre 2022

lo stesso si tradisce perché utilizza per l’assalto all’ex poliziotta (sembra voglia ucciderla ma non lo fa) un sacchetto di plastica usato per i rifiuti nei cestini.

Le linee investigative sono tracciate, si sa ormai chi sia il mostro che spezza la calma del lago. Un’irruzione dei carabinieri in casa lo abbatte a pistolettate mentre lui e la ragazzina, come figure di reietti, di ultimi della società si abbrac-

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ciano nell’estremo e unico gesto di calore della loro vita.

LL’uomo che si è perduto nella nebbia (“La ragazza nella nebbia”, 2017) e poi in un labirinto (“L’uomo del labirinto”, 2019) tocca il fondo dell’abisso perché non c’è niente altro per nessuno, non solo per il protagonista ma così per la “matta” e la ragazzina dai capelli viola.

A dimostrare che tutti sono nell’abisso di un colore che non è nero ma tinto di grigio l’autore e regista Carrisi non ha voluto presentare gli attori con nome e cognome, anche se, ovviamente, sono rintracciabili ovunque. Perché il male voluto o fortuitamente capitato avvolge tutti senza la possibilità di tirarsene fuori.

di Patrice Leconte

Origine: Francia, Belgio, 2022

Produzione: Philippe Carcassonne per Ciné@, Jean-Louis Livi per F Comme Film, Snd, Scope Pictures

Regia: Patrice Leconte

Soggetto: Tratto dal romanzo “Maigret e la giovane morta” di Georges Simenon

Sceneggiatura: Patrice Leconte, Jérôme Tonnerre

Interpreti: Gérard Depardieu (Commissario Maigret), Jane Labeste (Betty), Mélanie Bernier (Jeanine Arménieu), Bertrand Poncet (Lapointe), Aurore Clément (Mme Clermont-Valois), André Wilms (Kaplan), Hervé Pierre (Dottor Paul), Clara Antoons (Louise Louvière), Pierre Moure (Laurent Clermont-Valois), Anne Loiret (Madame Maigret)

Durata: 89’

Distribuzione: Adler Entertainment

Uscita: 15 settembre 2022

Il protagonista, in fin dei conti, è quello che è non per colpa sua ma per tutto ciò che ha subito nella sua infanzia, per le privazioni e il male che è stato la costanza della sua crescita. Tanto è vero che salva dal lago la ragazzina dai capelli colorati che non trovava più sbocco alla sua giovane vita perché il male aveva colpito anche lei e la stava distruggendo.

L’ex poliziotta, per tutti la matta per quel dolore che sempre le appartiene ha conosciuto il male e lo porta con sé; forse è proprio questo che le permette di arrivare all’autore dei delitti che aveva omesso di ucciderla.

E poi il resto, i ricchi aridi, inutili e noiosi come i loro aperitivi, le donne uccise senza che nessuno ne rilevi l’importanza, la stranezza, il mistero. La spazzatura, elemento non secondario, più volte rimestata dal povero mostro, analizzata, studiata come un emblema e deposito dei mali di tutti.

Cosa vuol dirci l’autore Carrisi con questa comunanza di mostri, di personaggi da night, di donne imbellettate e bassamente profumate (pare di sentirlo fuoriuscire dallo schermo) e presto strangolate; con queste case del borgo arcaiche e rasserenanti e insieme infide

e traditrici, con questo lago lontano, impersonale ma pronto a uccidere o ad accogliere e sputare corpi e braccia e spazzatura.

Ci vuol dire che dopo la nebbia e il labirinto ha trovato una comunità del tutto malata che non può convivere se non nel fondo dell’abisso. Che la comunità, fatta soprattutto di emarginati non riunisce né accoglie ma disperde, allontana e uccide, una comunità non conosciuta né visitata da nessuno ma immobile ad attendere la sua stessa dissoluzione, delitto dopo delitto.

La cromatura delle immagini è sempre quella, un grigio/lago che si abbrutisce nel nero in una terribile scarsità di colore che non illumina le scene all’aperto né quelle cupe nero/sanguigne degli interni.

A questo drammatico, chiuso, spietato, amaro racconto non c’è alternativa, non si intravede una possibilità di fuga, quantomeno di riscatto. C’è ancora tanto, forse, da vedere e da vivere, pare suggerirci Carrisi ma non ci dà elementi per ipotizzarlo o sperarlo.

D’altra parte, cosa può esserci dopo l’abisso?

MAIGRET

PParigi, anni ’50. Una mattina, a seguito di una chiamata anonima, viene ritrovato il cadavere di una giovane ragazza in Place Vintimille, ferita a morte da cinque coltellate. La vittima indossava un abito da sera e una borsetta ma nessun documento di riconoscimento al suo interno. Sono quindi pochi gli elementi a disposizione per cercare di identificarla, e ancora meno il suo passato o un possibile movente. A indagare sul caso è il commissario Jules Maigret, il

quale grazie al proprio intuito e a una lunghissima esperienza cercherà di scoprire l’identità della misteriosa donna e capire cosa le sia successo.

Nel corso delle ricerche il commissario (a cui è stato impedito dal medico di fumare l’imprescindibile pipa per via di un problema non identificato ai polmoni), seguendo il suo metodo, entrerà sempre più in empatia con la giovane vittima, fino a ricostruire gradualmente l’accaduto e la sua identità: si tratta di Louise La-

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boine, una ragazza di provincia di soli 16 anni, trasferitasi qualche anno prima a Parigi nel tentativo di dare una svolta alla sua vita.

Louise aveva stretto amicizia con Jeanine Armenieu, la quale aveva tentato a sua volta la scalata alla buona società, riuscendo però nell’intento a differenza della vittima. Quando aveva saputo che la sua ex amica stava per fare un matrimonio vantaggioso con Marco Santoni, figlio di una ricca famiglia italiana, aveva cercato di rivederla in occasione di una serata mondana (ecco perché, altrove, aveva affittato una abito da sera).

Jeanine le aveva dato del denaro, oltre a una lettera indirizzata al suo nome, ma consegnata in anticipo al portiere dell’edificio in rue de Ponthieu, che non conosceva la nuova casa di Louise. Questa lettera le era stata lasciata da un americano di nome Jimmy O’Malley.

Quest’ultimo era complice del padre di Louise, Julius Van Cram, un truffatore internazionale che la ragazza non aveva mai conosciuto. Prima della sua morte in un penitenziario statunitense, Van Cram aveva chiesto a O’Malley di dire a Louise come avrebbe potuto entrare in possesso del denaro che aveva accumulato nella sua vita di truffatore. O’Malley, che non era riuscito a trovare Louise, le aveva lasciato un messaggio in uno squallido bar in rue de l’Etoile. È qui che si era recata la notte dell’omicidio, ma il messaggio era stato intercettato dal titolare del bar, Albert Falconi, e dai nomi di Bianchi e “Le Tatoué”, individui senza scrupoli, che avevano approfittato della situazione. Per ottenere l’“eredità” al posto di Louise, questi due ladri avevano cercato di rubarle la borsa in cui erano state trovate la lettera e i suoi documenti fino a ucciderla.

Finite le indagini, Maigret si interroga sul destino sconvolto della giovane morta: “E se fosse

arrivata in tempo perché la lettera le venisse consegnata personalmente? Sarebbe andata in America? Che cosa avrebbe fatto, allora, con i centomila dollari dell’eredità? ”.

DDopo i recenti successi hollywoodiani dei due film in chiave moderna su Poirot ( Assassinio sull’Orient Express e Assassinio sul Nilo ) di Kenneth Branagh, anche i francesi hanno deciso di seguire quest’onda commerciale riesumando un altro celebre protagonista della letteratura gialla: Maigret . Eppure, sono state innumerevoli (circa duecento) le produzioni cinematografiche e televisive che si sono succedute nel trasporre le avventure del risoluto commissario. E altrettanti sono stati i suoi interpreti: da Pierre Renoir a Jean Gabin, per poi passare a Gino Cervi, Rupert Davis fino ad arrivare ad un inedito Rowan Atkinson ( Mr Bean ). Il rischio insomma, visto le premesse, era quello di non riuscire a (ri)proporre sotto una luce nuova un personaggio reso ormai saturo agli occhi del pubblico. Ma Patrice Leconte ci dimostra che non è così. Adattando il romanzo “Maigret e la giovane morta” di Georges Simenon (che già conta ben quattro film televisivi dal 1959 al 1973), il regista realizza un classico giallo che seppur seguendo la liturgia del genere riesce ad essere estremamente cupo e moderno. Niente spettacolarizzazioni, niente eccessi, niente effetti speciali: la messa in scena è essenziale e rispecchia lo stile letterario di Simenon. Mentre la narrazione è lineare e segue uno schema ben preciso, senza reali colpi di scena o stravolgimenti. Ciò che colpisce non è tanto il suo gusto retrò né tantomeno l’intreccio della storia, ma come gradualmente il fascino della detection va a mescolarsi con il tor -

mento del protagonista. Intorno al “MacGuffin” dell’omicidio, infatti, gravitano personalità e caratteri in grado di metter a nudo la fragilità umana e il pentimento dei propri errori. Un modo classico, dunque, di mostrare in modo inconfondibilmente transalpino e nostalgico i personaggi che si alternano durante la narrazione. Lo stesso scrittore ha definito così il suo personaggio e il suo approccio al mondo dei romanzi: “…a Maigret ho dato un’altra regola: non bisognerebbe mai togliere all’essere umano la sua dignità personale. Umiliare qualcuno è il crimine peggiore di tutti” (intervista di Giulio Nascimbeni a Georges Simenon, 18 maggio 1985).

Ma il vero motore del film è senza dubbio un Gérard Depardieu in stato di grazia, tanto che l’attore stesso ha ritrovato in questo personaggio molti punti in comune con la propria personalità. Scelta migliore non poteva essere fatta, visto e considerato che per il ruolo era stato scritturato inizialmente Daniel Auteuil prima del suo ritiro dalla produzione. E menomale direi. Depardieu è semplicemente perfetto per il ruolo: la sua elefantiaca fisicità unita con la sua delicatezza riesce a infondere tramite la sua capacit à di lavorare per sottrazione, un’atmosfera estremamente tragica alla vicenda. La sua interpretazione è ben calibrata nei gesti, nelle

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movenze, nella pacatezza, nei silenzi, nel tono della voce. Mentre la sua aria statica e crepuscolare rende ancor più profonda l’anima di un personaggio segnato dal lutto familiare, dalla perdita di contatti umani e da un so -

di Ciro D’Emilio

Origine: Italia, 2022

Produzione: Andrea Calbucci e Maurizio Piazza per Lungta Film, Vision Distribution, in collaborazione con Rai Cinema e Sky Regia: Ciro D’Emilio

Soggetto e Sceneggiatura: Ciro D’Emilio, Cosimo Calamini

Interpreti: Guido Caprino (Bernardo), Boris Isakovic (Elia), Irene Casagrande (Giuditta), Antonio Zavatteri (Sergio), Diego Ribon (Carotti), Antonella Attili (Nadia), Valentina Carnelutti (Angela), Giulia Petrini (Ester)

Durata: 105’

Distribuzione: Vision Distribution Uscita: 15 settembre 2022

SSiamo nel nord est più ricco, più omologato ai soldi e al benessere e quindi più spietato.

Bernardo cavalca l’onda del successo: separato, con una figlia che ama, ha un ristorante che cura personalmente come chef nella rincorsa verso la stella che lo proietterebbe nel firmamento della ristorazione di grido, frequenta la gente che conta, ha un amico carissimo, Sergio, futuro sindaco, con cui coltiva la passione per le macchine da corsa in rallies sfrenati.

Un giorno, tutto questo paradiso precipita: a causa di alcune inter-

spetto problema polmonare che lo costringe a rimanere lontano dalla sua inseparabile pipa. Il risultato è quello di un Maigret stanco, disilluso, ma proprio per questo, estremamente autentico e al passo coi tempi.

Il film è una co-produzione franco-belga e distribuito nelle sale cinematografiche italiane da Adler Entertainment il 15 settembre 2022.

PER NIENTE AL MONDO

cettazioni telefoniche male interpretate dai magistrati, Bernardo è considerato l’organizzatore di una serie di rapine nel territorio di cui è colpevole un cugino ormai avviato sulla strada del crimine.

Bernardo quindi finisce in carcere dove è aiutato dal suo compagno di cella Elia che lo sostiene nei primi, difficilissimi momenti e poi lo spinge a progettare cosa fare una volta fuori.

Dopo un anno Bernardo riesce a dimostrare la sua innocenza e lascia il carcere per ritrovarsi solo, senza lavoro, il ristorante è sigillato come possibile scena del crimine, senza un soldo e pieno di debiti perché le banche sono spietate e, per di più, in mezzo alla diffidenza del suo entourage mentre lo stesso Sergio gli volta le spalle.

Elia lo scova ad arrostire salsicce in una trattoria di terz’ordine e lo convince a fargli da autista in una rapina; la cosa riesce anche con un inseguimento finale da parte della polizia e pare rinfrancare l’animo di Bernardo che si ritrova ad avere commesso un crimine per il quale era stato già condannato senza averlo commesso.

Successivamente è lo stesso Bernardo a proporre a Elia un “facilissimo” furto in casa di Sergio cioè fare sparire un quadro che l’amico ha comprato per quattrocentomila euro.

Una volta nella casa da derubare la situazione precipita: mentre Bernardo ed Elia sono appena entrati, fanno il loro ingresso la figlia

di Bernardo e il figlio di Sergio che vogliono approfittare dell’assenza dei genitori per stare qualche ora insieme. I ladri sono subito scoperti, il ragazzo, forse per un movimento falso, è freddato con un colpo di pistola da Elia che prima che commetta altro è abbattuto da un colpo sparato da Bernardo.

La ragazza, urlando e piangendo, riesce a chiamare la polizia, Bernardo porta via il quadro ma nella corsa per sfuggire alle volanti si ribalta con la macchina in una carambola paurosa.

CCiro D’Emilio, alla sua opera seconda (esordio nel 2018 con “Un giorno all’improvviso”, ottima accoglienza a Venezia 75 Orizzonti), conferma il suo modo di fare cinema che poi è quello che costituisce l’asse portante della cinematografia di ogni Paese: una storia semplice e forte, la cura dei dettagli, la capacità direzionale degli attori quindi una faccia o due che siano lì in mezzo allo schermo come se lo volessero sfondare.

Caprino, spesso considerato un attore “semplicemente” televisivo qui è capace di una tenuta scenica e di una intensità espressiva straordinarie, illuminanti per tutto il cast.

Così il serbo Boris Isakovic mette il suo pesante corpaccione al servizio di una interpretazione imponente e ambigua, forte e ricca di sfumature impensabili. Sembra ricordare la tempra scontrosa di illustri attori

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americani come Broderick Crawford che contribuì a rendere grande il cinema di quegli anni lontani.

La serietà, la cura di D’Emilio si approfondisce nella gestione della struttura narrativa complessa nel suo andirivieni dei piani temporali che, anziché complicare e infastidire l’attenzione dello spettatore, come talvolta accade, rendono fluida la narrazione e la fruizione degli avvenimenti.

SEMPRE PIÙ BELLO

IIl trapianto di polmoni di Marta è andato a buon fine. Gli amici sono sempre stati al suo fianco e Gabriele, il fidanzato, ha anche lasciato il lavoro per accudirla; tempo qualche settimana e la ragazza potrà tornare alla vita normale.

Nel frattempo, Jacopo si è preso una cotta per il chirurgo Dario, e Federica ha deciso di licenziarsi. Durante le prime visite in ospedale, Marta rivede tutti, anche Rebecca l’influencer che si è da poco fidanzata con Giacomo, poi perdona il fidanzato per aver dubitato di lei.

Uscita dall’ospedale, Marta si fa accompagnare da Gabriele nei suoi posti del cuore: il parco, il vecchio luogo di lavoro e poi a casa, in particolare, nel letto. Il ragazzo intanto è teso per il suo primo giorno da insegnante.

Alle visite di controllo, Jacopo accompagna sempre l’amica per vedere Dario e riesce a ottenere un appuntamento. La ragazza, comunque, sta sempre meglio ma il gene della malattia non è scomparso.

Gabriele chiede alla fidanzata di andare a vivere insieme e quest’ultima lo annuncia agli ormai ex coinquilini Jacopo e Federica. La casa attuale è enorme e potrebbero farci un b&b. La ricerca di una nuova sistemazione comincia subito ma c’è bisogno di pazienza prima di

Sostengono la costruzione della “personalità” del racconto due elementi che hanno sempre formato un alveo favorevole per le storie più diverse.

L’ambiente carcerario non ha mai sbagliato un colpo nell’offrire il repertorio di sbarre, secondini, crudeltà delle persone, fatiscenza dei luoghi che hanno permesso e aiutato lo svilupparsi di stati d’animo, azioni, situazioni, progetti e chimere.

Infine il paesaggio della provincia dove meglio che in altri luoghi si esprime la diretta relazione tra la ricerca della felicità e l’accumulo di denaro e di potere, l’affermazione dell’immagine, la sfrontatezza dell’esibizione, l’ambiguità dei rapporti, il trionfalismo per un modo di vivere senza pudore né lealtà.

di Claudio Norza

Origine: Italia, 2022

trovare quella giusta. Marta però ci riesce. Unico problema: serve un familiare che faccia da garante. Il “lavoro” (la coltivazione di canapa) dei genitori di Gabriele non basta come garanzia; quelli di Marta sono morti, rimane solo la nonna che la ragazza non vede dai 18 anni e che non ha intenzione di coinvolgere (e di cui Gabriele non sapeva l’esistenza). Federica risolve facendogli ottenere una fideiussione dalla banca grazie a una conoscenza.

Il trasloco va avanti con successo. Cercando delle medicine in uno scatolone, Gabriele nota degli oggetti d’infanzia della propria fidanzata e decide di contattare la nonna. Purtroppo, quest’ultima è indisposta. Una donna, intanto, affitta la stanza rimasta libera nella vecchia casa ma poi scompare per giorni, lasciando a Federica e Jacopo una bimba di pochi mesi, Zoe. I due vivono la loro prima esperienza da genitori, compresi i litigi sui propri doveri. Per alleggerirli, Marta porta la piccola a fare una passeggiata al parco.

Gabriele non demorde e riesce a parlare pochi minuti con l’anziana donna: il ragazzo chiede una riconciliazione ma la risposta è ancora negativa. Durante la passeggiata, Marta inizia a tossire. Teme una ricaduta ma si isola e non ne parla con nessuno, allontanando gli amici che provano a contattarla. In quei giorni, Rebecca, gelosa del seguito

Produzione: Roberto Proia per Eagle Pictures

Regia: Claudio Norza

Soggetto: Roberto Proia

Sceneggiatura: Roberto Proia, Michela Straniero

Interpreti: Ludovica Francesconi (Marta), Jozef Gjura (Jacopo), Gaja Masciale (Federica), Riccardo Niceforo (Giacomo), Giancarlo Commare (Gabriele), Jenny De Nucci (Rebecca), Diego Giangrasso (Dario), Désirée Giorgetti (Silvia), Franca Pellecchia (Marta bambina), Monica Dugo (Madre Gabriele), Alberto Barbi (Padre Rebecca), Drusilla Foer (Nonna di Marta)

Durata: 100’

Distribuzione: Eagle Pictures

Uscita: 31 gennaio 2022

di Giacomo e del fatto che stia diventando popolare, pubblica un suo vecchio video online per umiliarlo.

Gabriele racconta a Marta l’esperienza con sua nonna. In quel momento la ragazza ha una ricaduta e viene portata d’urgenza in ospedale. Alla fine, la madre di Zoe torna a casa e si riprende la bambina; mentre Jacopo cerca di mollare Dario, quest’ultimo riceve la chiamata dall’ospedale e corre subito a verificare le condizioni di Marta: l’infezione è tornata. Alla notizia la tensione sale e Rebecca confessa a Giacomo le sue azioni, poi su consiglio del fidanzato si scusa pubblicamente e perde tutti i follower.

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In questo momento di crisi, Gabriele torna, infuriato, dalla nonna negligente: la ragazza sta morendo e lei ha il dovere di salutarla. Il tentativo è vano. All’ospedale non c’è niente che possano fare se non aspettare; Gabriele vorrebbe trasferire la fidanzata in un’altra struttura, ma non essendo un consanguineo non può avviare la pratica. In quel momento si presenta la nonna con l’intenzione di chiarire una volta per tutte con la nipote.

Dopo giorni d’attesa in cui tutti temevano il peggio, arriva la notizia da Dario: la crisi è passata e Marta può tornare a sorridere.

DDopo Ancora più bello, Sempre più bello, per la regia di Claudio Norza, chiude la trilogia iniziata con Sul più bello, tratta dall’omonimo romanzo per ragazzi scritto dalla giovane Eleonora Gaggero.

di Marco Martani

Si riparte da dove ci si era lasciati: la malattia della protagonista, gli amori della gioventù, i problemi di coppia, eccetera. L’opera rappresenta appieno quello che un fan della saga si aspetta: un teen drama con vaghi toni da comedy, che ricalca (per tematiche) le produzioni americane che oggi popolano le piattaforme streaming. Questa breve descrizione racchiude perfettamente un’opera che però non riesce ad andare oltre la cornice in cui si inserisce. Anzi, si perde in divagazioni poco interessanti perché, nella resa, non esaminate a fondo.

Diversamente dai primi due capitoli, il focus qui è sempre più corale e meno incentrato sulla protagonista.

Dunque, si sposta verso trame secondarie inconsistenti e completamente distaccate dal flusso narrativo principale; piccoli plot che iniziano e finiscono senza apportare valore (peccato, perché il ruolo di Marta sembra essere cucito su misura sulla figura di Ludovica Francesconi che, da sola, potrebbe tenere in piedi tutto il film). L’unica funzione affidata alle sottotrame è quella di accennare di sfuggita (perché non c’è approfondimento) alcune tematiche legate a dibattiti di attualità: famiglie con genitori omosessuali per le sequenze riguardanti Jacopo e Federica casualmente alle prese con

una bambina; cyberbullismo per le poche scene sulla gelosia di Rebecca nei confronti del suo fidanzato Gabriele. L’opera, dunque, avanza per episodi abbastanza isolati tra loro presentati come se fossero parte di un unico racconto.

La sceneggiatura sembra essere quindi il comparto più sacrificato (il resto è completa eredità dei titoli precedenti). I turning point a livello narrativo sono pochi, scontati e, a volte, non connessi a una vera svolta. Su tutti, il confronto tra Marta e la nonna nel finale: introdotto, con tanto di ingresso a effetto, da una richiesta ben specifica (il trasferimento della protagonista in un’altra struttura) che poi passa in secondo piano e non si concretizza.

Insomma, le caratteristiche che hanno reso famosa questa saga (il modello di bellezza fuori canone, la voglia di vivere nonostante la malattia e, di conseguenza, il carisma della protagonista) in questo sequel vengono tralasciate, o peggio, date per scontate. Peccato, perché il materiale è ampio e, trattato con il dovuto approfondimento, avrebbe potuto generare una narrazione lunga, degna di una serie tv più che di un film. D’altronde, gli interpreti sono tutti validi e anche le storie che rappresentano potrebbero essere interessanti.

LA DONNA PER ME

Curri (Beatrice), Massimo Wertmüller (Padre di Ludovica), Fabio Morici (Poliziotto)

Durata: 103’

Distribuzione: Lucky Red

Uscita: 23 giugno 2022

TTutto è pronto per il matrimonio, ma Andrea sembra avere qualche dubbio. Laura è davvero la donna della sua vita? Le ansie del grande giorno sono alle porte: ultimare i preparativi, invitare il padre assente, mettersi in proprio come architetto perché Beniamino, il capo, è uno stronzo, gestire la gelosia e così via.

Durante l’addio al celibato il futuro sposo può sfogarsi con i

suoi tre amici. Di ognuno di essi invidia un pezzo di vita (di Federico la musica, di Giulio la libertà sessuale, di Lorenzo le possibilità date dalla ricchezza della moglie) e fantastica su come sarebbe stata la sua in quelle situazioni. Durante la chiacchierata, Andrea realizza che al di fuori di Laura, c’è un mondo che lo aspetta. Quella notte un fulmine a ciel sereno colpisce la chiesa.

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Origine: Italia, 2021 Produzione: Lucky Red con Rai Cinema, in collaborazione con Sky Regia: Marco Martani Soggetto e Sceneggiatura: Eleonora Ceci, Marco Martani Interpreti: Andrea Arcangeli (Andrea), Alessandra Mastronardi (Laura), Stefano Fresi (Lorenzo), Cristiano Caccamo (Beniamino), Eduardo Scarpetta (Giulio), Francesco Gabbani (Federico), Angela

Al mattino Andrea si alza e tutto sembra diverso: la casa, il suo taglio di capelli, la donna nel letto. Corre subito verso la piazza ma non c’è nessun matrimonio, deve avere qualche problema al cervello. Laura non risponde al telefono e Federico lo odia; le donne, in compenso, sembrano tutte attratte da lui e la cosa non gli dispiace affatto, anzi. Quando Giulio si vanta della sua notte di fuoco con quella che doveva essere la sua futura moglie però la situazione cambia, la gelosia incombe. Il ragazzo si dirige allora a casa di Laura per provare a capirci qualcosa: in questa vita Andrea aveva dato buca alla ragazza e non si era fatto più sentire. La notizia lo devasta; per consolarsi va a una festa e rimorchia due ragazze.

Il giorno seguente, cambia tutto: casa di lusso, colazione in camera. Andrea fa l’avvocato, come la sua ragazza, Ludovica De Marchis. Il ragazzo non può fare brutte figure, viene affidato a un cliente molto importante che deve fronteggiare una petizione di stampo ecologico fomentata da Laura. Andrea manda tutto all’aria e corre da quest’ultima. Mentre i due chiacchierano, la donna lo scaccia perché lo scopre coinvolto nella causa che lei combatte. A casa, lo attendono i genitori di Ludovica, titolari dello studio legale, che si complimentano con lui per ciò che ha fatto con il cliente. Durante la serata Andrea beve un po’ troppo e finisce per litigare con il suocero, poi cade dalle scale.

Nuovo giorno, nuova vita: villa, treccine rosa, tatuaggi; non più avvocato ma rapper di successo. Nonostante gli arresti domiciliari, Andrea riesce a raggiungere Laura a casa dove è in corso un pranzo con tutti gli amici. Tutti si divertono a deridere le canzoni di Strazio (questo è il suo nome d’arte). Poco prima di scappare di nuovo dalla polizia, il ragazzo viene a sapere della morte del padre, una figura

assente nella sua vera vita ma anche nelle altre.

L’arco temporale in cui Andrea si ritrova questa volta è troppo doloroso: mentre scappa da Lorenzo per aver passato la notte con sua figlia, vede Laura con un bimbo. Il ragazzo non vuole sapere altro e si fa investire per ricominciare.

Lorenzo, Giulio e Federico chiamano Andrea: manca solo lui al matrimonio. A sposarsi con Laura, però, è Beniamino. Da testimone rovina la festa alla coppia, rivelando la sua storia e il suo amore per Laura. Dopo aver dimostrato di conoscerla meglio di chiunque altro e, dopo averla baciata, Beniamino lo stordisce con una testata.

Il risveglio stavolta è diverso. Non è più il giorno prima del matrimonio, ma quello dopo. Al fianco di Andrea c’è finalmente Laura. In questa vita la moglie è incinta, lui è un architetto affermato e il padre è presente. Di fronte a tutto ciò, il ragazzo non trattiene le lacrime.

altro, non viene specificato) permette al ragazzo di vivere tutti quei what if che la sera prima con gli amici ha immaginato.

I

Il valore delle cose lo capisci realmente solo quando le perdi, così si dice. Marco Martani, già sceneggiatore di molte pellicole italiane di successo, deve credere molto a questa frase, tanto da assumerla come presupposto per il suo secondo film da regista. La donna per me (titolo che richiama, come già accaduto, un pezzo del repertorio musicale italiano, È l’uomo per me di Mina, dopo Notte prima degli esami e Come è bello far l’amore) esce quasi quattordici anni dopo Cemento armato e si discosta dai toni noir di quest’ultimo: si tratta di una commedia, romantica e leggera.

È capitato a tutti di chiedersi come sarebbe stata la propria vita se le cose fossero andate diversamente. Anche Andrea, il protagonista, se lo domanda prima di sposarsi. É la scelta giusta? Sembra un incubo. Qualcosa (qualche congiunzione astrale o

Il meccanismo che innesca la narrazione non è nuovo: Sliding doors, Ricomincio da capo ne sono esempi celebri. Un loop temporale che costringe il personaggio principale a vivere sempre lo stesso giorno. Quella che per Andrea sembra un’opportunità nella prima fase, si trasforma in un calvario nella seconda. Da via di fuga a dolorosa costrizione. Ed ecco che questo viaggio nelle diverse linee temporali assume i connotati di percorso formativo e pedagogico mosso dai sentimenti.

Essendo questo un film organizzato a episodi, non sorprende l’utilizzo di tecniche ereditate dalla serialità televisiva. Quella che più salta all’occhio, anzi all’orecchio, è la cosiddetta ripetizione diegetica: i rapporti, di volta in volta, vengono spiegati a parole dagli stessi personaggi; in questo caso sia per renderli evidenti ad Andrea, che non li conosce, sia al pubblico. Ma mentre nella narrazione di una serie tv questi “spiegoni parlati” vengono diluiti e nascosti lungo le diverse puntate, in un film (e quindi in questo caso) finiscono per risultare stantii e troppo evidenti, se utilizzati più di una volta, per via della durata ridotta. Forse sarebbe stato il caso di cercare degli escamotage differenti in modo da evitare dialoghi poco verosimili che si presentano ogniqualvolta il protagonista varca una linea temporale.

Aldilà di qualche sbavatura e

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di un finale un po’ inspiegabile e ingiustificato, La donna per me riesce a essere gradevole. Merito anche degli interpreti principali: Alessandra Mastronardi e Andrea Arcangeli, a cui sono affidati personaggi non facili con un passato

di Kim Rossi Stuart

Origine: Italia,2021

Produzione: Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Palomar, Vision Distribution

Regia: Kim Rossi Stuart

Soggetto e Sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Kim Rossi Stuart

Interpreti: Kim Rossi Stuart (Renato), Barbora Bobulova (Stefania), Saul Nanni (Tommaso), Viola Sofia Betti (Anna), Alida Baldari Calabria, Rinat Khismatouline (Mason), Paola Lavini (La cliente del maneggio), Achille Marciano (Bernardo), Alma Noce (Rachele), Federica Pocaterra (Viola)

Durata: 116’

Distribuzione: Vision Distribution

Uscita: 20 ottobre 2022

TTommaso fa l’operaio edile in un’azienda di edilizia acrobatica, specializzata in ristrutturazioni ad alta quota.

Nonostante abbia tagliato i ponti con il padre Renato fin dalla sua separazione dalla madre, Tommaso si sente costretto a ritornare nel malmesso ranch di famiglia perché Renato si è rotto un braccio nel tentativo di domare l’ultimo cavallo acquistato, Trevor, ombroso, bizzarro, ribelle.

Renato è sicuro delle possibilità di vittoria del cavallo di cui intra-

sempre diverso episodio dopo episodio, convincono per le loro interpretazioni; peccato per i secondari, relegati a ruoli marginali. Stefano Fresi, Cristiano Caccamo, Eduardo Scarpetta e Francesco Gabbani, all’esordio come attore, potevano

rappresentare l’arma in più e non solo la linea comica che interviene solo quando sembra necessaria una risata.

vede le doti nascoste che effettivamente esistono mentre Tommaso si serve di questa per lui assurda convinzione per opporsi al padre e rovesciargli addosso tutta la rabbia e il rancore accumulati dentro di sé nei suoi confronti. Renato non è da meno e rinfaccia al figlio la sua debolezza e le sue incapacità sbattendogli in faccia di avergli fatto, fin dalla nascita, da padre e da madre.

Passato l’incendio iniziale, padre e figlio trovano un territorio comune, cioè domare l’incattivito Trevor e prepararlo per una competizione di cross country.

In questo lavoro di forza e di equilibrio psicologico Tommaso ha l’aiuto di Anna, addestratrice di cavalli in un ranch vicino. I due ragazzi s’innamorano subito e viaggiano spinti dalla loro felicità verso la gara in cui presenteranno Trevor per la prima volta.

Purtroppo il cavallo ha una brutta caduta dove riporta la frattura irreversibile di una zampa.

Lo sconforto dei due giovani è enorme e soprattutto di Tommaso che vede il cavallo abbattuto da una fucilata sparata dal padre, cosa che gli risveglia passati ricordi e sofferenze per situazioni simili. Anche l’amore per Anna sembra spazzato via da questo disastro.

Tommaso se ne va per riprendere la propria vita che però dura poco, in quanto richiamato ancora una volta presso il padre, questa volta in fin di vita in ospedale per l’ennesima, terribile caduta da un

altro cavallo. Purtroppo Tommaso trova una situazione allo stremo e nei giorni che passa in ospedale è più volte tentato di porre fine alla sofferenza del padre, patendo una irrisolutezza straziante.

La sua indecisione è presto superata perché Renato muore tra le sue braccia di lì a poco.

BBrado è una parola che si addice a tutti e tre: naturalmente al cavallo e, contemporaneamente al padre e al figlio.

Renato è pieno di ammaccature, fisiche ed intime, reso brutale dalla vita e dagli abbandoni, in primis quello della moglie, a causa del suo carattere pieno di spigoli e impossibile da piegare o da smussare.

Tommaso approfitta della situazione per gettare addosso al padre le ferite della sua giovane esistenza rimproverandogli la sua lontananza e l’intollerabile difficoltà di comunicare con lui.

Il cavallo e il suo stato selvaggio è una proiezione dell’inconscio di tutti e due. Entrambi devono domare l’altro, entrambi devono domarsi affinchè il loro rapporto a cui sono costretti dopo anni di vuoto abbandoni ogni crudeltà per trasformarsi in riflessione, rispetto, considerazione e, alla fine, anche in tenerezza.

È stato definito un “western esistenzialista” oppure un “western metropolitano”. Beh il western c’è fino a un certo punto perché la

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BRADO

costruzione, il disegno che Rossi Stuart regista e attore fa della vita da ranch e del mondo country avviene entro certi limiti; ovviamente riconosciamo che Rossi Stuart non ha a disposizione i mezzi, gli spazi e i panorami di Robert Redford e non c’è niente di male in questo. È sicuramente un grande racconto, non solo di scontro tra due esistenze che hanno il ranch e il country lontano, sullo sfondo. In fin dei conti questa lontananza permette al regista, senza distrazioni, di destrutturare scena dopo scena la

IL COLIBRÌ

MMarco Carrera si trova nella villa di famiglia al mare, accanto a lui dorme l’amata nipotina Miraijin. Una telefonata lo scuote.

Si torna indietro agli anni Settanta nella stessa villa. Marco adolescente si trova in vacanza con i genitori, Letizia e Probo, il fratello minore Giacomo e la sorella Irene. Il ragazzo è infatuato della giovane italo francese Luisa Lattes, la cui famiglia ha una villa accanto alla sua. I genitori di Marco sono eternamente in conflitto ma una coppia che tutto sommato regge.

La storia procede tra salti in avanti e indietro nel tempo. Nel presente Marco riceve la visita del dottor Daniele Carradori, psicoanalista della moglie Marina, che gli dice che lui è in grave pericolo.

Si torna al passato. La famiglia Carrera viene profondamente segnata dal suicidio della figlia Irene a soli ventiquattro anni. Anni dopo, Marco conosce l’hostess Marina e, pensando che il loro incontro sia dovuto al destino, in breve tempo la sposa. Ma l’unione tra i due è sempre minata dall’instabilità emotiva della donna e dall’amore mai dimenticato di Marco

cattiveria, l’egoismo, la mancanza di pietà che caratterizza la resa dei conti tra due uomini per arrivare a una emozionante composizione di misericordia, compassione e amore.

Nel suo primo “Anche libero va bene” c’era già un Renato padre e un Tommaso figlio che, entrambi così vulnerabili, soffrivano l’incapacità di tirarsi fuori da quella sofferenza che sembrava l’unica base della loro vita.

Nel secondo “Tommaso” abbiamo un solo personaggio maschile: il ragazzino è diventato grande e

porta con sé l’incertezza dell’uomo che non è riuscito a diventare tale.

Ora in “Brado” le due figure sono una di fronte all’altra per ricomporre nell’ultimo pezzo di questa trilogia che cosa significa diventare adulti e i costi obbligati che l’esistere costringe a pagare.

Il rapporto perduto e ritrovato tra padre e figlio è racchiuso nelle stesse parole del regista tratte da una sua intervista: “Ho fatto pace con mio padre e con la vita”.

di Francesca Archibugi

Origine: Italia, 2021

per Luisa. La coppia ha una figlia, Adele, ma la bambina soffre di disturbi ossessivo-compulsivi.

Marco confessa al dottor Carradori di aver sempre continuato a vedere Luisa, ma non si tratta di infedeltà. Il dottore gli dice che il suo matrimonio è finito da un pezzo perché Marina è fuori controllo, gli consiglia di stare di più con sua figlia. Il tempo passa, Marco trascorre più tempo con Adele ma il suo matrimonio con Marina è al capolinea. La donna, sentendosi trascurata, tradisce ripetutamente Marco. Durante una lite, Marina rinfaccia al marito di non averla mai amata e di aver sempre pensato a un’altra donna. Negli anni Marco continua a vedere Luisa Lattes senza mai instaurare una vera e propria relazione con lei. Dopo essere tornato a Roma da Parigi, Marina gli dice di aver scoperto che lui continua a vedere Luisa. Marco dice di non averla mai tradita, lei gli confessa di averlo tradito e di non essere mai stata felice con lui, Nei vari passaggi del tempo, Marco affronta il dolore della perdita della madre Letizia. Dopo poco anche il papà muore.

Con un salto in avanti nel tempo, la giovane Adele dice di esse-

Produzione: Fandango con Rai Cinema Regia: Francesca Archibugi

Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi

Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Laura Paolucci, Francesco Piccolo

Interpreti: Pierfrancesco Favino (Marco Carrera), Kasia Smutniak (Marina Molitor), Bérénice Bejo (Luisa Lattes), Laura Morante (La mamma di Marco), Sergio Albelli (Il babbo di Marco), Alessandro Tedeschi (Giacomo), Benedetta Porcaroli (Adele), Massimo Ceccherini (Duccio), Fotiní Peluso (Irene), Pietro Ragusa (Luigi Dami Tamburini), Nanni Moretti (Lo psicoanalista Carradori), Francesca De Martini (Titti), Cristiano Piacenti (Comandante Alitalia)

Durata: 126’

Distribuzione: 01 Distribution

Uscita: 20 ottobre 2022

re incinta non rivelando l’identità del papà del bambino. Marco assiste la figlia facendola partorire in acqua. Col passare degli anni, Adele coltiva l’hobby delle scalate, sentendosi a suo agio attaccata ad una fune.

Si torna alla scena iniziale. Marco, con la nipotina che gli dorme accanto, riceve una telefonata che lo informa che Adele è morta mentre scalava una parete rocciosa. Passano gli anni, Marco anziano riceve una diagnosi di tumore

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al pancreas all’ultimo stadio. L’uomo ne parla al dottor Carradori e gli chiede di aiutarlo nel suicidio assistito.

Si torna ancora indietro nel tempo, ai tempi in cui Marco si occupava della nipote Miraijin ancora piccola. Una sera, durante una partita di poker dalla posta molto alta, Marco aveva vinto 840 mila euro. Ma l’uomo aveva rinunciato ai soldi e aveva preferito andarsene in compagnia della nipote confessando agli amici esterrefatti che la sua vita gli piaceva com’era.

Si torna a un imprecisato futuro. Nella villa al mare, Marco si prepara per l’iniezione letale: accanto a lui tutti i suoi familiari e l’amata nipote Miraijin.

Il protagonista di questa storia è soprannominato colibrì, come il piccolissimo volatile noto per la capacità di compiere movimenti incessanti delle ali per rimanere fermo, per due ragioni: per il suo aspetto minuto da bambino (che lo faceva sembrare sempre più piccolo della sua età) e per la capacità di affrontare tutto ciò che gli capita restando immobile.

Personaggio nato dalla penna di Sandro Veronesi, Marco Carrera è come un colibrì, un uomo che sbatte le ali per restare fermo in un mondo dove tutto cambia, tra indecisione, mancanza di coraggio e attesa, forse in qualche modo passività.

Tratto dall’omonimo romanzo bestseller e vincitore del premio Strega 2020, il film è sceneggiato

per il grande schermo dalla regista Francesca Archibugi con Francesco Piccolo e Laura Paolucci.

La pellicola trasmette un unico fluire degli avvenimenti evidenziato dalla scelta voluta di non mettere mai date in sovrimpressione ma usare piani temporali sfalsati. Gli avvenimenti sono mostrati attraverso continui flashback e flashforward, “episodi che sono legati da fili interni, a volte inconsapevoli” come ha osservato la regista.

L’immobilità è ben resa sul piano delle immagini dalle scenografie curate da Alessandro Vannucci (le case e gli arredamenti sempre uguali) e dalla fotografia di Luca Bigazzi.

Il passaggio da un’epoca all’altra nella pagina scritta era però reso più morbido e meno frenetico rispetto al film dove talvolta si ha la sensazione di assistere a un passaggio di personaggi troppo frettoloso. Quello che sembra mancare nel film della Archibugi rispetto al romanzo è il profondo senso di rimpianto e il mistero insondabile del caso. Nella pellicola interpretata da Pierfrancesco Favino tutto sembra voler richiamare a un cerchio che si chiude su un drammatico epilogo.

Alcune scelte di regia appaiono un po’ compiaciute, come la reiterazione insistita della scena iniziale (vero nodo drammatico nella vita del protagonista) mostrata da diverse angolazioni.

Il colibrì è una storia di ‘resilienza’ che il protagonista vive in prima persona e che viene raccontata attraverso le vicende di una famiglia borghese nel corso di diversi decenni. Marco è un ‘uomo senza qualità’ che nella sua vita si trova ad affrontare immensi dolori (lutti, suicidi, incidenti, tradimenti, malattie). Tanti personaggi, diverse epoche, troppi lutti: tutto concorre a far risultare il film una sorta di grosso feuilleton.

La storia è arricchita poi da figure che dovrebbero essere archetipiche o dal valore simbolico: il

personaggio che porta sfortuna (cui presta il viso picassiano un indovinato Massimo Ceccherini), l’ossessione della figlia di Marco per un filo invisibile attaccato alla schiena (disturbo che finisce per acuire il difficile rapporto tra il protagonista e la moglie).

Il cast è ricco di nomi illustri, ma qualche interpretazione appare troppo sopra le righe. È il caso di Kasia Smutniak nei panni della moglie Marina, la donna forse mai amata che va in sofferenza mandando in frantumi un matrimonio sbagliato in partenza, o di Laura Morante nei panni della madre del protagonista, che qui esagera in istrionismo. Un più controllato Nanni Moretti dà vita al ‘deus ex machina’ della vicenda, lo psicoanalista della moglie che finisce per diventare una figura fondamentale nella vita di Marco.

Più misurata la prova del protagonista, Pierfrancesco Favino, chiamato a portare sullo schermo un personaggio che fa dell’autocontrollo e dell’immobilismo la cifra caratteristica di un’intera vita. Accanto a lui, nota di merito per la giovane Fotinì Peluso, nei panni della sorella morta suicida giovanissima. Presenza garbata e un po’ sacrificata quella di Berenice Bejo nei panni della fascinosa Luisa Lattes, unico grande amore nella vita del protagonista.

E questa è una delle tematiche su cui sarebbe stato meglio insistere di più, quell’amore eterno, forse troppo idealizzato perché mai consumato, un sentimento ‘salvifico’ capace di dare senso ad una vita e volontà di andare avanti, nonostante i dolori, troppi e quasi insostenibili.

A rimanere intatta è la dote della regista romana di restituire con mano delicata e sensibile ritratti dell’infanzia naturali e poco artefatti (grazie anche ai minori scelti accuratamente per i ruoli) che resta da sempre il marchio di fabbrica più riconoscibile del suo cinema, da Mignon è partita passando

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I

per Il grande cocomero e L’albero delle pere fino al più recente Gli sdraiati.

Ma tra tanta carne al fuoco, drammi, incidenti del caso o del destino (il volo su cui il protagoni-

sta non sale per un soffio e che poi precipita), il film si impantana tra i tanti accadimenti di un affresco familiare borghese molto parlato, a tratti troppo urlato (nella lite Favino-Smutniak il film tocca il

THE KING’S MAN - LE ORIGINI

NNel 1902, durante le guerre boere, l’aristocratico britannico Orlando, duca di Oxford, sua moglie Emily e il loro giovane figlio Conrad visitano un campo di concentramento in Sud Africa, mentre lavorano per la Croce Rossa. Emily viene uccisa durante un attacco di cecchini boeri al campo, portando Orlando a determinare che il mondo ha bisogno di qualcuno che eviti tali conflitti prima che si verifichino.

Dodici anni dopo, Orlando ha reclutato due dei suoi servitori, Shola e Polly, nella sua rete di spionaggio dedicata alla protezione del Regno Unito e dell’Impero britannico da un possibile nuovo conflitto su scala mondiale. A fronte della mobilitazione dell’esercito e della campagna di arruolamento, Orlando vieta al figlio Conrad di arruolarsi, facendo intervenire anche l’amico Lord Kitchener, Segretario di Stato per la Guerra. Orlando e Conrad raggiungono l’amico del duca, l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, a Sarajevo. Conrad salva l’Arciduca da una bomba lanciata da Gavrilo Princip, un giovane serbo che vuole uccidere l’arciduca, ma più tardi Princip riesce nel suo intento, sparando mortalmente a Ferdinando e a sua moglie Sophie e scatenando così la prima guerra mondiale.

Grazie alla sua rete organizzata composta principalmente da servitori di alti dignitari, quindi socialmente invisibili, Orlando

scopre che Princip faceva parte di un gruppo avente come missione il mettere l’uno contro l’altro gli imperi tedesco, russo e britannico. Il gruppo, guidato da un misterioso Pastore, ha una propria rete di agenti, tra cui il mistico russo Rasputin, fidato consigliere dello zar Nicola di Russia. Rasputin, per ordine del Pastore, manipola lo zar Nicola avvelenando il suo giovane figlio e “curandolo” solo a condizione del ritiro dalla guerra dell’esercito russo. Conrad viene informato della manipolazione di Rasputin da parte di suo cugino Jusupov

Sapendo che il fronte occidentale sarebbe vulnerabile se la Russia lasciasse la guerra, Conrad fornisce queste informazioni a Kitchener e al suo aiutante di campo, il maggiore Morton, che salpano per la Russia. La loro nave viene però silurata da un sottomarino, uccidendo l’intero equipaggio e facendo affondare la nave. La notizia della morte di Kitchener raggiunge Orlando, spingendolo a dirigersi in Russia con Shola, Polly e Conrad per affrontare Rasputin. A una festa di Natale organizzata dal principe Yusupov, Orlando tenta di avvelenare Rasputin, ma il piano fallisce; Orlando, Shola, Conrad e Rasputin danno vita a una schermaglia che si conclude solo quando Polly spara e uccide Rasputin.

Agli ordini del Pastore, Erik Jan Hanussen, consigliere del Kaiser Guglielmo II, invia il telegramma Zimmermann, sperando così di di-

suo punto più basso) ma sostanzialmente statico, privo di respiro e immobile come l’uccellino del titolo.

di Matthew Vaughn

Origine: Gran Bretagna, 2021

Produzione: Matthew Vaughn, David Reid e Adam Bohling per 20Th Century Studios, Marv Films

Regia: Matthew Vaughn

Soggetto: Mark Millar (Fumetto), Dave Gibbons (Fumetto), Matthew Vaughn

Sceneggiatura: Matthew Vaughn, Karl Gajdusek

Interpreti: Ralph Fiennes (Duke of Oxford), Gemma Arterton (Polly), Rhys Ifans (Rasputin), Matthew Goode (Capitano Morton), Tom Hollander (Giorgio V / Guglielmo II / Nicola II), Harris Dickinson (Conrad), Daniel Brühl (Erik Jan Hanussen), Djimon Hounsou (Shola), Charles Dance (Generale Kitchener), Aaron Taylor Johnson (Lee Unwin)

Durata: 120’

Distribuzione: The Walt Disney Company Italia

Uscita: 5 gennaio 2022

strarre gli Stati Uniti e bloccare la loro entrata in guerra. Tuttavia nonostante Polly riesca a decifrarlo, il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson si rifiuta di entrare in guerra senza prove concrete. Il Pastore nel frattempo recluta Vladimir Lenin e ordina ai suoi bolscevichi di rovesciare lo zar e rimuovere la Russia dalla guerra. Ora che è maggiorenne, Conrad si offre volontario e viene arruolato nelle Guardie dei Granatieri andando contro la volontà di suo padre. Orlando incontra quindi re Giorgio V, che si offre di richiamare Conrad in Gran Bretagna, ma il ragazzo decide di rimanere e manda al suo posto il caporale Archie Reid.

Travestito da Archie, un membro del Black Watch, Conrad si offre volontario per una missio-

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ne nella terra contesa tra le trincee avversarie per recuperare delle informazioni da un agente inglese, ucciso mentre cercava di attraversarlo. Conrad e una piccola squadra si avventurano nella terra di nessuno, ma incontrano una squadra d’assalto tedesca proveniente dalla trincea nemica. I soldati iniziano un combattimento silenzioso, impossibilitati all’usare armi da fuoco in quanto entrambe le trincee avrebbero aperto il fuoco, uccidendoli tutti. Conrad viene salvato grazie ad un colpo di pistola dell’ufficiale che guidava la missione, scatenando però un fuoco incrociato che uccide tutti tranne Conrad. Il ragazzo riesce a fuggire dentro un cratere dove trova la spia per cui erano stati mandati in missione, ancora in vita. I due riescono a ritornare nella trincea inglese, ma la spia muore e Conrad viene scambiato a sua volta per una spia tedesca quando incontra un soldato che conosce il vero Archie Reid, che gli spara in testa e lo uccide.

La prova recuperata dalla spia è legata al telegramma tedesco e la prova di cui il Presidente Wilson aveva bisogno per entrare in guerra. Tuttavia il gruppo di Orlando viene a sapere che Wilson è ricattato da una pellicola in cui viene sedotto da un’agente del Pastore, Mata Hari. Questa viene incontrata da Orlando all’ambasciata americana, e i due ingaggiano un combattimento, che si conclude con l’eliminazione della donna. Dopo aver identificato quella posizione come la base delle operazioni del Pastore, Orlando, Shola e Pol-

ly vi si dirigono per recuperare la pellicola originale del ricatto.

Il Pastore si rivela essere Morton, che aveva abbandonato la nave con una scialuppa affondando e distruggendo egli esso stesso la nave con a bordo Lord Kitchener. Dopo un combattimento in cui Morton viene fatto precipitare giù dal dirupo, Polly recupera il negativo del ricatto, permettendo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. Un anno dopo la fine della guerra, Orlando acquista il Kingsman Tailor Shop come copertura per la sua organizzazione. Orlando, Shola, Polly, Re Giorgio, Archie Reid e l’ambasciatore degli Stati Uniti formano l’originale Kingsman, e ognuno di loro assume un nome in codice ispirandosi alla leggenda di Re Artù per onorare Conrad.

NNe avevamo davvero bisogno? È già da un po’ di tempo che il cinema mainstream si è intestardito sul voler a tutti i costi portare avanti vecchie saghe cinematografiche per far fronte a certi appetiti di un pubblico oramai fin troppo smaliziato e abituato a seguire lunghe e interminabili serie TV. Basti pensare alla miriade di cinecomics della MCU che hanno inondato le sale mondiali per più di un decennio senza apportare nulla di buono ad un genere oramai logoro e senza idee. Poi però, quando la storia arriva ad un punto di non ritorno, gli Studios decidono di realizzare dei prequel (o reeboot) che mirano al recupero dell’opera originale partendo dalle sue origini. Eppure, il problema di questi rifacimenti è che sappiamo fin da subito dove la storia andrà a parare, riproponendoci di fatto le stesse situazioni già viste e straviste in altre pellicole precedenti. Questo è il caso di The King’s Man - Le origini, ennesimo film tratto da una miniserie a fumetti (“The Secret Service” scritto da Mark Millar e illustrato da Dave Gibbons) che

narra la fondazione e le prime fasi dell’esistenza del servizio di spionaggio d’élite chiamato modernamente “Kingsman”.

Un punto zero dunque, in cui Matthew Vaughn – già regista degli altri due capitoli - decide di adottare un registro più serio e meno scanzonato del solito, ambientando la vicenda in uno dei periodi più bui della storia europea: durante la Prima Guerra Mondiale. Il regista dunque, gioca a (ri) scrivere la storia (anche se non ai livelli del revisionismo di Quentin Tarantino di Bastardi senza gloria) sfruttando e inserendo personaggi realmente esistiti (Mata Hari, Rasputin, Lenin, Re Giorgio V, Guglielmo II, Nicola II) che come pedine, portano goffamente avanti la trama senza particolari colpi di scena.

Il vero problema del film risiede in una sceneggiatura fin troppo didascalica ed episodica - firmata da Jane Goldman e dallo stesso Vaughn - che non sa dove andare a parare, passando da più generi differenti (guerra, thtiller, spy story, dramma) senza però riuscire ad essere incisiva in nessuno di essi. Anche la durata del film non aiuta, troppo lungo e lento in certi punti e sconclusionato in altri. La regia invece, anche se ben curata e scandita da ottime scene d’azione ben coreografate non riesce a innalzare il livello complessivo di un’opera che stanca troppo in fretta.

Gran cast d’attori: oltre al premio Oscar Ralph Fiennes (Strange Days, Il paziente inglese) che da solo regge tutto il film, sono degne di nota anche le partecipazioni di Daniel Brühl (Bastardi senza gloria, Rush), Stanley Tucci (Amabili resti), Djimon Hounsou (Diamanti di sangue) e del caratterista gallese Rhys Ifans (Notting Hill). Senza dimenticare inoltre, il trasformismo di Thomas Hollander nell’aver interpretato tre ruoli differenti all’interno del film (Giorgio V, Guglielmo II di Germania e Nicola II di Russia).

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Costumi e location sono estremamente curati. Si notano le forti influenze di Downton Abbey, della serie The Crown, e soprattutto della saga di 007. Basti pensare alla morte del villain, alla fine del film, in cui viene trattenuto dal cadere nel vuoto da un foulard al collo tenuto dal protagonista, ricorda la morte di Sandornel ne La spia che mi

amava dove è a sua volta trattenuto da James Bond per la cravatta. Interessante infine, anche la scelta di girare diverse scene in Italia, in particolare in Piemonte: da Torino per poi passare lungo le rive del Po fino all’interno di due palazzi a Venaria Reale, Reggia inclusa, a Stupinigi (palazzina di caccia inclusa) e presso il Castello Reale di Racconigi.

Più volte rimandato a causa della pandemia di COVID-19, The King’s Man - Le origini è una co-produzione anglo-ceca-statunitense e distribuito nelle sale cinematografiche italiane con due anni di ritardo da The Walt Disney Company Italia il 5 gennaio 2022.

di Tommaso Paradiso SULLE NUVOLE

Origine: Italia, 2021

GGrazie a un vecchio amico Nic trova un lavoro a Roma. Non vorrebbe trasferirsi ma non ha scelta. Il primo giorno da fonico è un fallimento: litiga con il capo arrivando alle mani. Con la testa sanguinante si rifugia in un bar e beve fino a tarda notte insieme alla barista Valentina, mentre un gruppo emergente suona canzoni che sembra conoscere perfettamente.

Ubriaco e senza una sistemazione, l’uomo citofona a casa di Francesca, la sua ex di quando era un cantante famoso, per chiedere aiuto. Riccardo, l’attuale marito della donna, si offre di medicarlo. Il giorno seguente, dopo la colazione, Nic lascia quella casa con una scusa, vaga fino notte e poi si addormenta in strada sul Lungotevere. Riccardo lo trova per caso e decide di ospitarlo, in disaccordo con la moglie (che sta preparando un bando e ha bisogno di concentrazione), fin quando non troverà una sistemazione: dopotutto è il grande Nic Vega!

Francesca era la sua musa, era solo grazie a lei se riusciva a scrivere le sue canzoni.

Nic prova a riscuotere qualcosa dai suoi diritti d’autore ma è passato troppo tempo, la cifra è irrisoria. La sera continua a ubriacarsi al bar di Valentina. Intanto, la sua presenza in casa è motivo di distur-

bo per Francesca; meno per i figli che sono interessati alla sua figura. La piccola Nicoletta suona il pianoforte (a breve ha un saggio) e chiede spesso aiuto al cantante, senza successo.

Francesca porta i bimbi dai nonni, e porta anche Nic che li aveva conosciuti anni prima. Poi i due fanno un giro a cavallo come ai vecchi tempi. Era in una serata insieme che il giovane musicista fu notato da Lele, un manager; e fu sempre su consiglio della donna che iniziò a usare gli occhiali da sole per non avere più timore del pubblico. Tornati a casa e messi i bimbi a letto, Nic e Francesca decidono di rilassarsi sul divano con un po’ di vino. In quel momento torna Riccardo, fuori per un convegno, e, vedendoli in intimità, inizia a ingelosirsi.

In una cena con gli amici della coppia, Nic si sente attaccato e fugge via, al pub. Francesca, più tardi, prova a raggiungerlo ma lo trova ubriaco a fare il dongiovanni con Valentina, proprio come faceva quando erano giovani: la loro storia finì proprio perché, prima dei concerti, Nic amava circondarsi di donne.

Dopo un confronto doloroso con Francesca, l’uomo ricomincia a suonare il pianoforte e scrive una nuova canzone. Mentre la canta, Riccardo vede la moglie commuoversi ed esce di casa. Nic capisce che è meglio sistemarsi altrove, nell’ho-

Produzione: Warner Bros. Entertainment Italia, Cinemaundici Regia: Tommaso Paradiso

Soggetto e Sceneggiatura: Chiara Barzini, Luca Infascelli, Tommaso Paradiso

Interpreti: Marco Cocci (Nic Vega), Barbara Ronchi (Francesca), Paolo Briguglia (Riccardo), Sergio Romano (manager), Fabio Morici (Paolo), Bettina Giovannini (madre di Francesca), Gigio Alberti (padre di Francesca), Giovanni Toscano (Carlo), Azzurra Dottori (Nicoletta), Giulio Montoneri (Teo), Federico Russo (Presentatore)

Durata: 103’

Distribuzione: Warner Bros. Pictures Uscita: 26 aprile 2022

tel in cui andava sempre da giovane. Nei giorni successivi Lele lo trova. Online gira un video mentre suona la nuova canzone a casa di Francesca: deve tornare a cantare. Il manager, in un modo o nell’altro, riesce a convincerlo. La nuova canzone è potente, arriva il contratto con un’importante casa discografica ed è subito disco di platino. Nel frattempo Francesca vince il bando per cui lavorava da mesi e deve trasferirsi a Parigi.

Qualche minuto prima del saggio di Nicoletta, Nic va a trovarla e le regala un paio di occhiali da sole così potrà stare più tranquilla.

La canzone riceve un riconoscimento importante: la premiazione è in diretta nazionale ma il cantante non ce la fa a esibirsi col pubblico. Chiede a Francesca di accompagnarlo per l’ultima volta.

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Nonostante il trasloco imminente, la donna lo raggiunge disobbedendo al marito e, grazie alla sua presenza, il live va alla grande.

Poco prima della partenza, Nic raggiunge Francesca per ringraziarla. Le strade dei due si stanno separando per sempre, ma alla fine lei molla tutto e lo rincorre.

NSulle nuvole sigla l’esordio alla regia cinematografica dell’ex frontman dei Thegiornalisti, Tommaso Paradiso, affiancato alla sceneggiatura da Chiara Barzini e Luca Infascelli. La storia è delle più semplici: un cantante caduto nel dimenticatoio ritrova il successo grazie all’amore. Sentimenti, passioni, occasioni perse; il contenuto è lo stesso che il cantante romano ama trasformare in note.

I temi, in accordo a semplici leggi di mercato, non potevano che essere

di Francesco Costabile

Origine: Italia, 2021

Produzione: O’ Groove, Tramp Limited, Edoardo De Angelis, Attilio De Razza, Nicola Picone, Pierpaolo Verga

Regia: Francesco Costabile

Soggetto e Sceneggiatura: Lirio Abbate, Serena Brugnolo, Francesco Costabile, Adriano Chiarelli

Interpreti: Lina Siciliano (Rosa), Fabrizio Ferracane (Salvatore), Anna Maria De Luca (Berta), Simona Melato (Rita), Luca Massaro (Natale), Mario Russo (Gianni), Vincenzo Di Rosa (Ciccio), Francesca Ritrovato (Cetta)

Durata: 120’

Distribuzione: Medusa Film

Uscita: 17 febbraio 2022

quelli, dipanati lungo uno sviluppo che, basandosi su cliché stratificati nel tempo, risulta avere ben poco di originale: il musicista maledetto che si autodistrugge facendo uso di alcol e droghe, le relazioni facili, i rischi del successo, l’incapacità di riconoscere l’amore della propria vita (per poi, chiaramente, riconoscerlo nel finale).

Per fortuna, non si tratta di un film autobiografico, lo stesso Paradiso lo conferma, ma incuriosisce, allo stesso modo, la scelta di un attore protagonista (un ottimo Marco Cocci) plasmato a sua immagine e somiglianza. Capello lungo, barba incolta, giubbotto vintage e l’occhiale da sole sul palco, a formare quello che a tutti gli effetti sembra essere un alter ego del cantante, o, meglio, una rappresentazione delle sue paure: non essere più in grado di produrre, non avere idee, cadere nell’oblio e non riuscire a ottenere una seconda possibilità come Nic.

Sicuramente, come si dice, l’opera è nata grazie alla grande passione del cantante romano per il cinema (passione che lo ha portato a inserire nel film diverse citazioni), ma è il lancio, avvenuto circa un mese dopo (il 26 aprile) quello del disco (4 marzo), ciò che fa pensare che

dietro non ci sia altro che un’operazione di puro marketing. Un disco, Space Cowboy, che inizialmente doveva essere intitolato proprio Sulle nuvole, come la traccia che contiene e che dà il titolo al film. Paradiso smentisce: è nato prima quest’ultimo e poi il resto.

Quel che è certo è che la pellicola non è altro che la continuazione in immagini di una sua canzone, in un’idea di sfruttamento totale di un brand, simile a quella breve esperienza dei musicarelli che si vedevano negli anni Sessanta con protagonisti Gianni Morandi (che tra l’altro appare in un cameo) o Adriano Celentano. La differenza è che il cantante romano qui non recita, il suo nome è così forte tra il pubblico di riferimento (l’effettivo target) da non renderlo necessario.

Un film, quindi, senza infamia e senza lode che, probabilmente, rende felici i fan, si fa guardare dagli appassionati del genere sentimentale, ma lascia a bocca asciutta quella fetta di audience a cui non interessa un’opera che, per quanto provi a distaccarsi dall’autore e dalla sua carriera, è molto (forse troppo) ego-riferita.

UNA FEMMINA

RRosa è una ragazza inquieta e ribelle che vive insieme alla nonna e agli zii in un paesino imprecisato della Calabria tra i monti e corsi d’acqua ormai asciutti. Qui però, deve sottostare alle regole maschiliste e dittatoriali della propria famiglia che non vedono di buon occhio il suo spirito libero da “femmina ribelle”.

Un giorno, la routine quotidiana della ragazza viene improvvisamente sconvolta da qualcosa che emerge dal suo passato, il trauma della misteriosa scomparsa del-

la madre Cetta, avvenuto molto tempo prima quando era bambina. Rosa conserva pochi ricordi, dietro quella morte vige la più assoluta omertà da parte della sua stessa famiglia.

In seguito ad un evento violento, l’aggressione ad una giovane prostituta da parte di suo cugino Natale, Rosa si riconnette a quel trauma infantile. Grazie all’incontro con Gianni, giovane guardiano del cimitero del paese, decide di scoprire la verità e riscattare la memoria di sua madre. Viene così a sapere

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che la madre è stata uccisa dai propri familiari dopo averli denunciati alla polizia per tutti gli atti violenti e mafiosi a cui doveva sottostare ogni giorno.

Rosa quindi, capisce di ritrovarsi vittima di un destino già segnato e arriva all’estrema decisione di tradire la sua famiglia e cercare la propria vendetta di sangue. Per far ciò, inscena un falso stupro e appicca il fuoco alla fattoria di suo zio. Quest’ultimo però, sospetta che il responsabile di questo sgarbo sia don Ciccio, il boss del paese; ottiene quindi un incontro che però si conclude con un nulla di fatto: Ciccio infatti, rimarca la sua innocenza sull’accaduto.

Il giorno seguente, durante una battuta di caccia, zio Tore viene ucciso con un colpo di fucile da Rosa grazie all’aiuto di Gianni vendicando così la morte della propria madre. Sconvolto per l’accaduto, Natale è convinto che dietro l’uccisione di zio Tore ci sia proprio don Ciccio. Quest’ultimo organizza assieme ad altri amici uno sgangherato raid notturno con le moto all’interno dei cimiteri profanando la lapide del padre di don Ciccio.

L’aria si fa più pesante, e dopo aver scoperto l’accaduto, don Ciccio minaccia di morte tutta la famiglia di Rosa. La ragazza quindi, decide di scappare con l’amato Gianni fuori dal paese e ricominciare una nuova vita. Purtroppo però, la Calabria rurale affiliata alla criminalità organizzata non è luogo in cui la ribellione femminile è ben accetta. Rosa viene scoperta dagli scagnozzi di Ciccio e, dopo aver ucciso Gianni, verrà riportata nuovamente in paese.

Anni dopo, Rosa è diventata la donna di don Ciccio, e vive nella sua lussuosa casa servita e riverita. Ma non è più libera. Nel finale percorrerà le vie della città vestita a lutto, con il coro delle donne al seguito in una marcia assieme funebre e trionfale. “Stanno arrivando” è la battuta che innesca un canto intonato in coro.

In questo cupissimo microcosmo dipinto dal regista cosentino Francesco Costabile, qui al suo esordio in un lungometraggio, non c’è spazio per la speranza. Districandosi attraverso i territori più angusti e invalicabili di una Calabria rurale “fuori tempo” - tra monti, casupole e fiumare secche - prende corpo l’orrore della ‘ndrangheta che imprigiona e annulla i propri abitanti come se fossero sotto l’influsso di un incantesimo. Nessuno può rivolgere il proprio sguardo oltre l’orizzonte né tantomeno sognare un futuro migliore. La loro è un’esistenza anonima, monotona, fondata da un rigido sistema patriarcale dove alle donne non viene concessa nessuna libertà. E per “una femmina” come Rosa, sarà molto complicato fuggire da questo triste destino e affondare finalmente i fantasmi del proprio passato. Tratto liberamente dal romanzo d’inchiesta “Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla n’drangheta” di Lirio Abbate (co-autore del soggetto insieme ad Edoardo De Angelis), Una femmina è un film dal forte impatto emotivo. Non solo perché si ispira a tutte quelle storie vere di donne che sono rimaste vittime della ‘ndrangheta, ma di come il loro spirito di ribellione sia diventato manifesto dell’emancipazione femminile contro la sudditanza psicologica e fisica che esse hanno subito. Non a caso, lo stesso Costabile ha confessato in un’intervista a Vanity Fair: “Il film parla della forza delle donne all’interno di rigide strutture patriarcali, ma poi il tema si allarga all’emancipazione femminile e alla lotta contro l’oppressione psicologica e fisica che le donne subiscono. In questo ambito la storia racconta anche del mio vissuto […] Una femmina è un film personale e universale che racconta la storia di tante donne che combattono per il proprio futuro”.

Sfruttando il punto di vista di Rosa, il film ci immerge nei meandri dell’antropologia criminale che, senza spettacolarizzare nul-

la, si concentra sulla psicologia dei personaggi e sulla loro evoluzione durante la narrazione. Ad avvalorare il tutto, ci pensa una regia molto ricercata, persino virtuosistica, che mescola vari generi, dal dramma al noir passando per l’horror (Costabile è fan dichiarato di David Lynch, e si nota in diverse scene), per rappresentare una realtà complessa e crudele, come se fosse un incubo ad occhi aperti. Molto evocativa infatti, la scelta di utilizzare nella prima parte del film un particolarissimo fuori-fuoco per trasfigurare il ricordo infantile di un trauma mai sopito e all’uso delle porte come metafora di lontananza, incomunicabilità, segreti, omissioni che caratterizzano la sua famiglia.

Menzione a parte merita l’ottima prova dell’esordiente Lina Siciliano che da sola regge tutto il peso del film anche grazie alla forza di uno sguardo, regalando un personaggio molto intenso, viscerale e soprattutto autentico.

Interessante infine la scelta delle location calabresi che avvolgono l’opera in un’atmosfera idilliaca ma allo stesso tempo inquietante.

Presentato in anteprima mondiale il 13 febbraio 2022 alla 72ª edizione del Festival di Berlino nella sezione Panorama, Una femmina ha ottenuto due candidature al David di Donatello (Migliore regista esordiente, Migliore sceneggiatura non originale) e due ai Nastri d’Argento (Migliore regista esordiente, Miglior attore non protagonista), vincendo inoltre il Premio Vittorio Biraghi per la miglior attrice rivelazione dell’anno a Lina Siciliano.

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alessio D’angelo I

di Stéphane Brizé

Origine: Francia, 2021

Produzione: Christophe Rossignon, Philip Boëffard per Nord-Ouest Films, in coproduzione con France 3 Cinéma, Stéphane Brizé e Vincent Lindon, in Associazione con Diaphana, Wild Bunch International

Regia: Stéphane Brizé Soggetto e Sceneggiatura: Olivier Gorce, Stéphane Brizé

Interpreti: Vincent Lindon (Philippe Lemesle), Sandrine Kiberlain (Anne Lemesle), Anthony Bajon (Lucas Lemesle), Marie Drucker (Claire Bonnet Guérin), Guillaume Draux (Direttore Risorse Umane), Olivier Lemaire (Olivier, Direttore delle operazioni), Christophe Rossignon (Direttore del sito #1), Sarah Laurent (Rappresentante sindacale, Joyce Bibring)Juliette Lemesle, Olivier Beaudet (Direttore del sito #2), Jean-Pierre Gauthier (Direttore del sito #3), Didier Bille (Direttore del sito #4), Valérie Lamond (Avvocato di Anne), Mehdi Bouzaïda (Avvocato di Philippe), Myriam Larguèche (Psichiatra della clinica), Daniel Masloff (Psichiatra del pronto soccorso), Jerry Hickey (Sig. Cooper) Durata: 97’

Distribuzione: Movies Inspired Uscita: 1 aprile 2022

PPhilippe Lemesle è un dirigente d’azienda della provincia francese che gestisce un sito industriale di elettrodomestici appartenente ad un gruppo internazionale. Per far fronte alla concorrenza, all’ennesima crisi e alle esigenze dei suoi superiori, riceve l’arduo incarico di licenziare 58 dipendenti (già sotto pressione a seguito dei recenti tagli sui posti di lavoro). L’uomo si ritrova quindi intrappolato tra le ingiunzioni

del suo management e le resistenze dei suoi capi di dipartimento che ritengono che l’azienda non potrà più operare con troppo poco personale.

Nel frattempo, la moglie Anne chiede il divorzio perché non sopporta più che la vita professionale del marito interferisca nella loro sfera privata, e il figlio Lucas ha seri problemi psicologici (soffre di disturbo ossessivo compulsivo) al punto da dover essere ricoverato in ospedale. Tirato da ogni parte, l’uomo non sa più come soddisfare gli affetti e assolvere i doveri. Dovrà decidere al più presto se eseguire il piano di mobilità o trovare una maniera di aggirare l’obbligo.

Tra mille problemi, Philippe riesce a trovare una via d’uscita, sviluppando un piano alternativo che consentirà di trovare i risparmi necessari senza licenziare i suoi dipendenti. Purtroppo però, la sua idea viene bruscamente respinta dal management americano.

Nel frattempo, in azienda iniziano a circolare voci e i rappresentanti del personale vogliono sapere se ci sarà o meno un piano di mobilità in fase di elaborazione. Spinto al limite, Philippe si trova costretto a mentire, assicurandoli che non saranno previsti licenziamenti. Ma uno dei sindacalisti ha registrato di nascosto la conversazione, e quando finalmente viene annunciato il piano sociale, rende pubblica la registrazione. Philippe si ritrova licenziato senza risarcimento per danni all’azienda. Claire Bonnet Guérin, direttrice della filiale francese del gruppo, gli offre comunque un accordo a condizione che accetti di attribuire la responsabilità al suo vice, che verrebbe licenziato. Philippe rifiuta.

UN ALTRO MONDO

I

Il titolo del film recita Un altro mondo (“Un autre monde”). Ma quello a cui assistiamo è qualcosa di molto più vicino alla realtà di quanto potremmo immaginare. Lo spettatore viene fin da subito catapultato all’interno di tutte quelle dinamiche sociali che chiunque di noi può aver vissuto (più o meno da vicino) all’interno del mondo del lavoro (quali stress, ansia, paura), o, come in, questo caso, trovarsi in mezzo alle esigenze di un’azienda in procinto di effettuare nuovi tagli al personale per volontà di “altri” più potenti colossi statunitensi pur di sanare il bilancio. Non si guarda in faccia nessuno, nemmeno chi per anni ha lavorato e ha dato tutto per il bene dell’azienda. Alla fine, siamo solo numeri all’interno di un gioco politico che forse nemmeno noi potremmo mai comprendere. Un pessimismo che già i latini con l’Homo homini lupus (“l’uomo è lupo per l’uomo”) di Plauto avevano già rimarcato, alludendo non a caso alla natura intrinseca dell’uomo, sempre più soggiogato dall’egoismo fino a sopraffare un suo simile pur di sopravvivere. E in sintesi, è proprio questo quello che vuole dirci Stéphane Brizé, puntando il dito proprio contro tutti quei manager senza scrupoli che sfruttano i lavoratori in favore del proprio tornaconto, e scontrandosi soprattutto con la filosofia della speculazione finanziaria la cui ottica cinica prevede, spesso, il raggiungimento dell’obiettivo tramite il taglio dei costi e la massimizzazione dell’utile da distribuire agli azionisti, il più delle volte, essi stessi, lavoratori silurati nel nome del profitto. Per

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fare tutto questo non c’è spazio per i sentimenti e, a quanto pare, neanche per un po’ di senso etico…

Qui il cineasta francese, chiude il suo cerchio sul mondo del lavoro - dopo La legge del mercato (2015) e In guerra (2018) – affidandosi nuovamente al suo attore feticcio Vincent Lindon. Ed è proprio grazie alla sua performance che il film vive di vita sua, tracciando un ritratto amaro e dolente di un uomo sconfitto, non solo sul lato professionale, mostrandoci anche come l’impatto di quest’ultimo abbia colpito pesantemente anche la sua sfera privata. Lo attestano sia la crisi coniugale con la moglie in procinto di divorziare che il rapporto con il figlio problematico (soffre di di -

sturbo ossessivo compulsivo) abbandonato tristemente alle cure mediche. L’uomo si ritrova in un limbo in cui non sa più come soddisfare gli affetti e assolvere i doveri. Solo nel finale, troverà con pazienza la sua serenità, respingendo al mittente una proposta ricattatoria che gli consentirebbe di conservare il proprio posto in azienda. La sua scelta lascia inoltre uno spiraglio di speranza in cui l’uomo, finalmente libero da ogni peso o responsabilità, conserva la propria integrità per ricominciare una nuova vita e forse tornare a diventare un buon padre o, chissà, anche un buon marito.

Dal punto di vista tecnico, il film è apprezzabile a partire da una sceneggiatura precisa e pie -

na di spunti interessanti (nonostante la verbosità inevitabile della vicenda) e da una buona regia che riesce a scandire bene i tempi senza scivolare in facili pietismi. Non a caso, c’è molto spazio all’urgenza narrativa di raccontare i temi sociali e politici che accomunano il mondo del lavoro contemporaneo, senza dimenticare la scelta delle location (quasi tutte claustrofobiche e anonime), per rappresentare al meglio il disagio sociale che sta attraversando il protagonista.

Presentato in anteprima mondiale il 10 settembre 2021 in concorso alla 78ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

Origine: Francia, 2022

MMaria è una donna delle pulizie cinquantenne e amante della poesia, la sua padrona di casa è appena morta e attende una nuova assegnazione dalla ditta per cui lavora.

Chiamata per fare le pulizie all’Istituto di Belle Arti di Parigi, Maria fa la conoscenza della direttrice e del custode Hubert, un uomo in apparenza burbero e solitario. La donna entra in contato con un universo a lei completamente sconosciuto, fatto di studenti e realizzazioni originali, perfino ardite. Maria è sposata da 22 anni con Oratio ma la relazione con il marito è monotona e senza slanci.

Intenta a pulire una sala, Maria finisce per gettare nell’immondizia un pezzo di burro squagliato che in realtà era un’installazione facente parte di una mostra dedicata alle “cose che ammuffiscono”.

Il giorno dopo la donna, insieme a Hubert, si offre di aiutare Naomie, una studentessa, alla creazione di un’opera d’arte contemporanea appendendo una serie di vulve ad alcuni fili di lana. Rinvigorita dall’ambiente che la circonda e spronata proprio da Naomie, Marie inizia a posare nuda come modella per gli studenti. Il marito Oratio ignora completamente questa nuova vitalità della moglie. Una sera tra Marie e Hubert si accende la scintilla dell’attrazione. Ma il giorno seguente la donna dice a Hubert di non voler più continuare quella relazione, l’uomo la accusa di essere indecisa e volubile come gli studenti. Hubert è in crisi e finisce per dimettersi dall’istituto. La direttrice organizza per lui una festa d’addio. Marie si nasconde volendo evitare il confronto ma Hubert la trova e le dice di aver organizzato una fuga e di aver affittato una capanna in un

Produzione: Nicolas Duval-Adassovsky per Adnp Quad Films, Foucaquld Barré, TF1 Studio Production, France 3 Cinéma Regia: Yvonnick Muller, Lauriane Escaffre Soggetto e Sceneggiatura: Yvonnick Muller, Lauriane Escaffre

Interpreti: Karin Viard (Maria), Grégory Gadebois (Hubert), Philippe Uchan (Oratio), Noée Abita (Naomie), Lauriane Escaffre (Florance), Yvonnick Muller (Hendrick), Pauline Clément (Charlotte), Samira Sedira (Karima), Martine Schambacher (Jocelyne), Pierre Diot (Jean-Marc)

Durata: 93’

Distribuzione: Europictures Uscita: 3 novembre 2022

luogo del cuore. Dice che è intenzionato a partire l’indomani e la invita ad andare con lui, dandole un appuntamento.

Il giorno seguente Maria si reca all’Accademia e trova Naomie che ha deciso di non voler più fare l’esame finale. Maria la sprona perché la vita non è domani o dopodomani ma ora, dopo tutto l’anno che studia nell’istituto deve fare l’esa-

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di Yvonnick Muller, Lauriane Escaffre MARIA E L’AMORE

me quel giorno: le occasioni della vita capitano una sola volta. Poi si impossessa di una strana installazione fatta con una bicicletta e pedala per le strade della città. La donna si ferma alla farmacia dove lavora la figlia per annunciarle che sta per partire. Nel frattempo, Hubert tenta di mettere in moto la sua vecchia auto senza successo. La corsa di Marie continua. Arrivata sotto casa di Hubert, non lo trova. Poco dopo, l’uomo riappare da un angolo a bordo della sua vecchia Fiat 500: era andato a riparare il suo mangianastri che aveva un suono sporco. Marie gli sorride e partono insieme.

LLa riscoperta: di se stessi, del proprio corpo, del proprio cuore, della propria sensibilità e vitalità.

Non è mai troppo tardi insomma.

Diretto da Lauriane Escaffre e Yvonnich Muller, Maria e l’amore vanta la firma dello stesso produttore di Quasi amici, Nicolas Duval Adassovsky. La fonte d’ispirazione del film viene dalla storia della nonna di Escaffre: una donna delle pulizie minuta e riservata, che sapeva passare inosservata quando entrava in una stanza. A detta della regista, Maria è proprio come lei, “una persona che tendiamo a non guardare, che non si distingue nella società, fa un lavoro in cui è invisibile ma vede tutto”. Le fa eco il collega Muller: l’obiettivo era quello di far si che la protagonista si spostasse nel regno visibile, “a contatto con l’arte Maria lascia che i suoi sentimenti e le sue sensazio-

ni prendano il sopravvento, il che le permette di aprirsi alla vita, rivelando chi è veramente, tornando in contatto con la sua anima, i suoi desideri, riscoprendo se stessa”. La protagonista si mette a nudo, in tutti i sensi.

Altra nota di merito a favore dei due registi è l’aver messo al centro del film una donna di più di cinquant’anni. Un dato ricordato da Escaffre e Muller stupisce: in Francia sebbene il 50% delle donne adulte abbia più di cinquant’anni, queste rappresentano solo l’8% dei personaggi femminili sullo schermo. Il desiderio di rappresentare una moglie, una madre, un personaggio molto reale, che incontriamo quotidianamente ma che raramente vediamo nei film coglie davvero nel segno.

Anche il fascino del mondo dell’arte trova una rispondenza nelle esperienze di vita dei due registi. Entrambi provengono da famiglie di lavoratori in cui non esisteva lo spazio per l’arte, entrambi hanno compiuto le loro prime esperienze professionali in altri mondi.

L’idea di girare il film presso la prestigiosa Accademia “Beaux-Arts” di Parigi è stata illuminante: dopo aver visitato per la prima volta l’istituto, una moltitudine di spazi molto cinematografici, un luogo eclettico con una stratificazione di stili architettonici e di periodi storici, i registi hanno percepito un’immensa libertà e creatività. In effetti, trattandosi di installazioni contemporanee, non è sempre chiaro se si tratta di spazzatura o opere d’arte e ci sono davvero bigliettini ovunque per il personale delle pulizie con scritto “Non buttare”.

Un luogo “avventuroso, ribelle e trasgressivo”, come lo ha definito Muller, ideale per esprimere il tema della liberazione. All’interno dell’accademia davvero si creano rapporti speciali tra studenti e custodi, si chiede agli studenti di osare, sperimentare, sbagliare e, soprattutto, di entrare in contatto

con se stessi, per trovare la propria forma d’arte, senza imitare ciò che è stato già fatto.

La bellezza e la sua riscoperta è il tema cardine del film. Trovare la bellezza in cose che ammuffiscono, ritrovare la propria bellezza anche quando non si è più giovani e si è costrette ad umili mansioni, ritrovare semplicemente se stessi. Lavorando presso l’Accademia di Belle Arti, Marie entra in contatto con un mondo che le è estraneo, pervaso da bellezza, libertà e creatività.

Maria e l’amore è una commedia ottimista ma non zuccherosa seppur piena di sentimento, ironica, animata da interpreti perfetti. Grazie alle prove dei due protagonisti, Karin Viard e Grégory Gadebois, il film spicca il volo e acquista grazia e levità.

Ciliegina sulla torta sono le musiche originali create da René Aubry, artista talentuoso e di grande sensibilità che ha creato delle piccole gemme che puntellano il film.

Karin Viard (già convincente interprete di film come La famiglia Bélier e Benvenuti… ma non troppo) è perfetta nei panni della cinquantenne Maria, donna delle pulizie solo in apparenza stanca e appiattita in un matrimonio prigioniero della routine. La scena finale in cui pedala una strana bicicletta (una sorta di installazione contemporanea) per raggiungere il suo nuovo amore scalda il cuore (“Quella donna è una vera artista” dirà di lei un professore dell’Accademia).

Maria ha compiuto il suo viaggio interiore acquistando consapevolezza di se ed è pronta per una nuova stimolante avventura. Ecco la metafora perfetta di ogni vita, il viaggio interiore alla ri(scoperta) di noi stessi che spesso dobbiamo compiere: chi siamo veramente? Quello che siamo ora ci soddisfa davvero?

Un inno alla vita e alla libertà di decidere ciò che siamo.

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TRA DUE MONDI

Città portuale di Caen in Normandia: luogo di partenza delle navi traghetto per l’Inghilterra, luogo di lavoro precario per moltissime donne.

Sono molte le persone in attesa nell’atrio dell’agenzia di collocamento di Caen e fra loro c’è una donna sulla cinquantina, di nome Marianne Winckler. Quando viene chiamata dall’impiegata dell’agenzia per il colloquio, le si avvicina una giovane ragazza che la sposta bruscamente di lato intenzionata a parlare con l’addetta anche senza appuntamento. Urlando spiega di aver ricevuto una lettera che le intima di spedire per posta elettronica un dossier che lei in verità ha già consegnato a mano di persona, proprio allo stesso ufficio da cui la lettera è partita. Il diverbio si protrae per qualche minuto mettendo in difficoltà l’impiegata, che verrà soccorsa da un suo superiore, e destando l’interesse di tutte le persone presenti, fra cui Marianne che ascolta e osserva con sguardo distaccato.

Durante il suo colloquio, poco dopo, Marianne racconta di essere alla ricerca di un lavoro perché il marito l’ha lasciata per una donna più giovane. L’impiegata le spiega come redigere un CV proponendole di candidarsi per un lavoro nel campo delle pulizie, una delle attività più richieste nella zona. Qualche giorno dopo Marianne, munita di qualche copia del suo CV, è pronta per il suo primo colloquio, che ha luogo all’interno di un capannone-fiera in cui datori di lavoro e candidati hanno la possibilità di conoscersi. I suggerimenti ricevuti all’ufficio di collocamento e le sue qualità (il fatto che sia una persona pulita e un tantino per-

fezionista) fanno sì che Marianne riesca a essere subito inserita in un percorso di formazione per poter essere poi assunta come personale di pulizia. Girovagando fra gli stand che offrono lavoro, Marianne incontra Cédric, un uomo dall’aria simpatica, che la invita a pranzo a casa sua. A tavola lei gli rivolge parecchie domande, troppe forse per uno scambio di chiacchiere spontaneo fra persone che si sono appena conosciute, assumendo piuttosto i toni di un’intervista. Nella scena successiva scopriamo che Marianne non è quella che dice di essere. La vediamo china su un quaderno di appunti mentre una voce narrante (in prima persona) ci racconta che sta cercando di farsi assumere come donna di pulizie per potersi calare nei panni di chi questo mestiere lo fa per davvero, allo scopo di scrivere un libro sulla situazione di precariato che molte donne vivono in Francia.

Nei giorni seguenti Marianne partecipa a corsi di formazione teorici e pratici senza mai perdere l’occasione di fare domande alle persone che incontra e scontrandosi a volte con superiori arroganti che non accettano che lei osi rispondere a tono. A causa della sua incapacità di tollerare le ingiustizie e di stare zitta, perde velocemente il suo primo impiego. Quando torna all’agenzia di collocamento per avere una seconda opportunità, l’impiegata le dice di aver scoperto chi lei sia e di non capire il motivo di questa scelta. Marianne le spiega che è necessario per lei vestire completamente i panni di queste donne, vivendo senza filtri il disagio che loro vivono quotidianamente, perché solo così potrà davvero capire la loro situazione. Di fatto Marianne continua a frequentare le donne co-

Origine : Francia 2021

Produzione : Cinéfrances Studio, Curiosa Films, France 3 Cinéma, Studio Exception Regia : EmmanuelCarrère

Soggetto : Dal romanzo di Florence Aubenas

Interpreti : Juliette Binoche (Marianne Winckler), Hélène Lambert (Christèle Thomassin), Lèa Carne (Marilou), Émily Madeleine (Justine Leroy), Patricia Prieur (Michèle), Évelyne Porée (Nadège Porteur), DidierPupin (Cédric), Aude Ruyter (Lucie), Alicia Alonso (Alicia)

Distribuzione: Teodora Film

Durata : 107’

Uscita : 7 aprile 2022

nosciute al centro di formazione, avvicinandosi al loro mondo e continuando a tacere sul suo. E così, grazie a queste nuove amiche, riesce ad essere ammessa al servizio di pulizie delle cabine della nave traghetto; un lavoro massacrante che le donne fanno senza protestare mai: 60 cabine da pulire in 90 minuti, 4 minuti per letto. Un lavoro che svolgono la mattina all’alba prima che i passeggeri salgano sulla nave.

Un giorno, dopo il lavoro, Marianne riaccompagna a casa una collega. Si tratta di Crystèle, la donna del diverbio in agenzia. Durante il viaggio Marianne propone di fermarsi sulla spiaggia per fare

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di Emmanuel Carrère
C

un bagno, ma sarà lei sola ad entrare in mare. Di giorno in giorno le due saranno sempre più vicine. Marianne ha deciso (racconta allo spettatore) che il suo libro parlerà di lei. In un momento in cui si allontana per pagare la benzina, Chrystèle fruga nella sua borsa, forse per scoprire qualcosa in più di questa amica così misteriosa e taciturna. Fra turni di lavoro e momenti liberi condivisi, la scrittrice sembra essere sempre più a suo agio in questo mondo così lontano dal suo. Soprattutto quando Crystèle le organizza una festa di compleanno a sorpresa e le regala una collanina, oppure quando escono tutti insieme una sera per festeggiare la partenza di una collega che sta per lasciare il lavoro.

Una telefonata la riporta tuttavia bruscamente alla sua vera vita: nella scena successiva la vediamo sdraiata su un letto accanto al padre appena deceduto.

Succede poi che una mattina, a fine turno, una delle sue nuove colleghe di lavoro, la giovane Marilou, si rende conto di aver dimenticato sulla nave la giacca; Marianne e Crystèle decidono di tornare a bordo con lei per aiutarla a ritrovarla, ma non riescono a ridiscendere prima che la nave salpi e si ritrovano così bloccate a bordo. Passato il primo momento di sconforto, le tre amiche vengono prese dall’euforia per questa situazione decisamente inaspettata e, dopo aver trascorso del tempo in cabina a farsi selfie e a ridere spensierate, decidono di andare a farsi un giro nella zona riservata ai passeggeri e lì incontrano due vecchi amici di Marianne che le chiedono come mai non si sia più fatta viva dalla notte del “Capodanno giapponese” trascorsa insieme. A questo punto la sua vera identità è svelata anche alle due amiche che, sconcertate, si sentiranno tradite e la accuseranno di essere una persona falsa. Marianne risponderà imbarazzata che la loro amicizia è vera,

ma questo non le basterà per farsi perdonare.

La scena successiva si svolge in una libreria, dove ci sono quasi tutti; l’autrice e anche i protagonisti del libro-inchiesta, gli amici che le avevano prestato l’auto, le colleghe del personale di pulizia, l’agente dell’ufficio di collocamento, l’amico Cédric … tutti tranne Marilou e Crystèle.

Marilou, rimasta all’esterno della libreria, la avvicina dicendole che Crystèle vorrebbe vederla ancora una volta. Marianne la segue, ma quando capisce cosa le stanno proponendo, si ferma e inizia a piangere. Crystèle le ha proposto di salire ancora una volta sulla nave per un servizio insieme, ma Marianne le risponde che non può, che non sarebbe più la stessa cosa. “Ciascuno al suo posto “ è la risposta lapidaria di Crystèle che si allontana salendo sul bus che la porterà alla nave.

VVerità o finzione? Cosa prevale in questo film diretto da un regista forse più noto per i suoi romanzi? Siamo di fronte a un docu-film che vuole portare alla luce una verità scomoda che molti ancora ignorano facendo “recitare”, o forse sarebbe meglio dire “vivere sul set”, le vere addette alle pulizie delle grandi navi traghetto? Oppure siamo spettatori di un film di finzione in cui è la finzione stessa al centro dell’opera cinematografica?

Tra due mondi è l’ultimo film di Emmanuel Carrère, film d’apertura nel 2021 della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e della dodicesima edizione del festival Rendez-Vous a Roma.

Il titolo originale del film, Ouistreham, indica il nome della località dove la vicenda si svolge, un piccolo comune sulla costa settentrionale in Normandia, che è anche il nome del porto della città di Caen. Nelle scene iniziali del film

vediamo sullo schermo una grande nave traghetto, immagine che in genere evoca le vacanze e che in questo film invece ci porta a considerare questo mezzo di trasporto da un’altra prospettiva. Su questa nave saliremo insieme alle addette di pulizia quando ancora fa buio diventando testimoni di una realtà che non dovrebbe più essere accettata e che il film vuole denunciare, come già aveva fatto il libro-inchiesta di Florence Aubenas, a cui il film liberamente si ispira. Ma non solo …

Il titolo che nella versione italiana diventa Tra due mondi contiene e anticipa il tema centrale del film, e cioè la presenza di due realtà o mondi per l’appunto distinti che, pur coesistendo, si ignorano. È infatti la preposizione semplice “tra” a sancire l’impossibilità di una fusione fra queste due realtà. Due mondi che si incontrano, che non possono più far finta che l’altro non esista, ma che restano divisi. Una dicotomia, presente anche sul piano della sceneggiatura, che ci presenta sì due punti di vista, ma che preferisce privilegiarne uno a scapito dell’altro. La verità soccombe alla finzione. Ma torniamo alla storia: una scrittrice decide di lasciare lavoro, casa e famiglia per vivere senza filtri (ma solo per qualche mese) un’esperienza per lei completamente nuova, quella che il 12% della popolazione lavorativa in Francia non sceglierebbe mai, ma subisce. Un punto di vista privilegiato, quello di chi guarda dall’esterno, perché da questo mondo può allontanarsi quando vuole.

La scelta del regista di aprire con le immagini della notte rimanda ad un mondo sconosciuto che non dovrebbe restare nascosto. Le scene finali del film mostrano tuttavia ancora la notte sullo sfondo, come a significare l’impossibilità di fare davvero luce su questo tema socialmente così delicato e ancora oggi sottaciuto.

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Nello scontro verbale tra Crystèle e l’impiegata all’agenzia di collocamento e soprattutto nello sguardo impassibile di Marianne, la bravissima Juliette Binoche, cogliamo l’essenza del film. Questo film non è un documentario, al regista non interessa (solo) mostrarci una verità scomoda. Nonostante il cast sia formato da attrici e attori non professionisti, donne che davvero lavorano sulle navi come addette alle pulizie, è sul viso dell’unica attrice vera, quella che cela nel film la sua vera identità, che la macchina si ferma più spesso fino ad arrivare a cogliere le sue lacrime che non sono di disperazione ma di vergogna per non essere in grado di vivere in un mondo in cui possono nascere amicizie, ci si sostiene e aiuta in modo sincero

e solidale, ma che alla fine resta il mondo dell’altro.

Carrère ci regala un film tutto al femminile che nasce da un libro-inchiesta, scritto da una donna, che diventerà film malgrado il parere contrario dell’autrice-ricercatrice, e solo grazie alle insistenze di un’altra donna, Juliette Binoche, che questo film l’ha voluto così tanto da saper aspettare con pazienza che l’autrice gliene concedesse finalmente dopo anni i diritti.

Un film che ci parla di solidarietà femminile, di amicizia e di complicità, ma anche dell’impossibilità di vivere davvero, anche se solo per un breve periodo, in uno stato di immersione naturale nella vita degli altri. Lo sguardo di Marianne è lo sguardo di chi può solo osservare, ma non davvero capire

FULL TIME - AL CENTO PER CENTO

CJulie è una madre single di due bambini, intrappolata in una vita da pendolare frenetica, dedicata completamente al mantenimento dei suoi figli.

Il film inizia con un’inquadratura lenta e rilassante del volto di Julie che dorme con un respiro profondo: ha bisogno di riposo. Dopo pochi secondi il suono della sveglia interrompe l’unico vero momento di pace di questa madre coraggiosa, che inizia la sua giornata come un vero e proprio soldato, a servizio dell’amore esclusivo per i propri figli.

Julie sveglia i bambini e mentre li prepara vediamo già i primi problemi domestici che complicano la vita di questa donna.

Esce all’alba con i due bambini pronti per essere lasciati ad una vicina di casa che si prende cura di loro, pur non avendo nessun legame di sangue con la famiglia e

senza ricevere alcuna ricompensa economica.

A questo punto la donna si incammina, o meglio corre, al centro di Parigi verso l’hotel a cinque stelle dove lavora. Lì svolge il ruolo di coordinatrice delle cameriere dell’albergo, gestendo in modo pratico ed organizzato anche gli imprevisti.

Il regista presta una grande attenzione alla forza di volontà di questa donna, che affronta a testa alta ogni problema della vita. Per lei le parole “riposo” o “limite” hanno un significato sconosciuto. La corsa verso il treno che la porterà al centro di Parigi descrive bene l’ “incubo” che Julie, che non ha neanche un mezzo di trasporto proprio, è costretta a vivere ogni giorno, tanto che deciderà poi di noleggiarne uno a metà del film quando la situazione quotidiana dei mezzi di trasporto pubblici sarà diventata insostenibile. Questa sequenza viene rappresentata

completamente, perché nel mondo di chi vive l’ingiustizia ci è entrata solo per poterne scrivere, muovendosi nella finzione.

Anche nella vita di Carrère esistono due mondi; quello della scrittura e quello del cinema. Non a caso alla Binoche fa interpretare il ruolo di una scrittrice e non quello di una giornalista, allontanandosi volutamente dal libro inchiesta e inserendo anche, per volontà della stessa Binoche, la scena della morte di suo padre, cosa realmente accaduta mentre giravano. E questo ci riporta alla domanda iniziale a cui si può rispndere sostituendo una sola parola: verità e finzione, a volte le due cose possono coesistere.

clauDia bersani di Èric Gravel

Origine: Francia 2022

Produzione: Novoprod, France 2 Cinéma, Haut et Court

Regista: Èric Gravel

Soggetto e sceneggiatura: Èric Gravel

Interpreti: Laure Calamy (Julie), Anne Suarez (Sylvie), Geneviève Mnich (Signora Lusigny), Nolan Arizmendi (Nolan), Sasha Lemaitre Cremaschi (Chloé)

Distribuzione: I Wonder Pictures

Durata: 85’

Uscita: 31 Marzo 2022

da una regia molto dinamica, con rapidi cambi di inquadratura e una musica di accompagnamento in linea con le scene.

Mentre si fa giorno Julie tenta di raggiungere il luogo di lavoro, ostacolata dai cambi di programma dei trasporti pubblici. Durante questo tragitto riceve una telefonata dall’ufficio recupero crediti che la sollecita a saldare le rate di un mutuo e le ricorda che il suo conto è in rosso. Ma Julie, dietro una finta noncuranza, liquida la telefonata dimostrando una evidente paura dell’argomento.

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Dopo il turno di lavoro pieno di contrattempi Julie gira per negozi alla ricerca di un regalo per la festa di compleanno del figlio, lasciando nel frattempo un messaggio alla segreteria telefonica dell’ex marito per sollecitare gli alimenti.

Il film procede mostrando una serie di ostacoli a grappolo nella vita di Julie, ma la protagonista Laure Calamy recita bene il ruolo di madre invincibile, dove niente può mettere un freno alla forza di volontà e all’ambizione.

Poi i problemi di Julie cominciano a peggiorare a causa di un inaspettato sciopero dei trasporti proprio nel momento in cui ottiene un colloquio in un’azienda per un posto di ricercatrice di mercato. La sceneggiatura mette in evidenza un elemento di fondamentale importanza di questo nuovo lavoro al quale Julie aspira: la lontananza da casa. Il tragitto per giungere alla sede dell’azienda è a dir poco travagliato, persino peggiore di quello che la conduce all’hotel. Durante il colloquio le viene chiesto se è disposta ad andare a lavorare in un luogo così lontano da casa e a stare con i suoi figli ancora meno tempo. La risposta della protagonista è sorprendente e fa riflettere su ciò che c’è nel cuore di questa donna. Julie ama molto i suoi figli ed è evidente che non conceda nulla a sé stessa, dalle cose materiali al solo tempo per riposarsi. È pronta a donare ogni minuto della sua vita al mantenimento dei figli, svolgendo persino un lavoro che non la soddisfa. Ma durante questo nuovo colloquio le risposte sono molto indicative del carattere di Julie: è una persona ambiziosa, nonostante tut-

te le difficoltà, ed è pronta ad avere ancora meno tempo per sé stessa, e persino per i suoi figli, in cambio dell’unica cosa che possa portarle un po’ di felicità in più: un lavoro che le piaccia. A questo punto del film si fanno i conti con una realtà molto difficile, dove è chiaro che una madre single, per mantenere i figli, possa permettersi poche soddisfazioni e sia costretta ad adattarsi a ciò che la vita le offra.

Ma a Julie non basta. La sua indole rimane ambiziosa e, nonostante la maternità, la sua forza di volontà le permette di vincere la sfida. Infatti, alla fine del film, Julie riceve una telefonata con la quale le confermano il posto di lavoro nella nuova azienda. Il film termina con un felice “crollo emotivo”, unico in tutta la storia.

IIl regista mette in scena con semplicità e immediatezza tutti i problemi quotidiani che una donna single, e madre, deve fronteggiare, mostrando anche quanto sia dura una situazione di questo tipo soprattutto con la mancanza di una figura maschile.

La forza interiore della donna, la sua determinazione e l’ambizione trasmettono un messaggio di speranza che accompagna lo spettatore dall’inizio alla fine, nonostante le difficoltà e i traumi che capitano alla povera e dolce protagonista.

Questo film è un inno alle madri, dove Julie è l’incarnazione della madre moderna, della forza di volontà e del coraggio.

L’interpretazione di Laure Calamy colpisce nel segno: i cambi di espressione sono spontanei ed efficaci. Riesce a passare da madre preoccupata a madre amorevole e spensierata senza mostrare il minimo sforzo. Assume un’espressione più sicura di sé al colloquio di lavoro, quando l’abbigliamento la aiuta ad entrare nella parte di donna ambiziosa, spogliandola dai panni di madre.

Questa eterna corsa contro il tempo ci accompagna per tutto l’ar-

co della storia, rendendo il film - in alcuni punti - difficile da sostenere con attenzione fino alla fine, per chi non è avvezzo a generi più introspettivi. Credo che anche questa sia una scelta ben ponderata del regista, il quale vuole trasmettere la ripetitività in determinati - brevimomenti lasciando che il pubblico si annoi, facendoci rendere conto di quanto sia difficile mantenere la determinazione nel guardare un film a tratti “lento”. È un piccolo assaggio della determinazione che ha Julie nel vivere quella vita che a noi risulta persino difficile da guardare fino alla fine.

Ma l’interpretazione di Laure Calamy riesce a tenere alto il ritmo del film, passando da momenti di calma a momenti di frenesia pura; in ogni “angolo” della storia potrebbe esserci un imprevisto, e gli eventi che si intrecciano coinvolgeranno probabilmente una grande parte di pubblico, essendo imprevisti comuni probabilmente a tutti: madri, padri e figli. In effetti questo film, oltre a spezzare una lancia a favore per le madri, è anche a favore delle persone che vivono una vita poco agiata, con una casa lontana dal luogo di lavoro, senza una macchina per muoversi comodamente, e con un lavoro fisicamente faticoso. Perché bisogna notare anche questo: oltre al lavoro di madre (già di per sé stressante fisicamente oltre che psicologicamente), Julie ha un’attività di natura fisica. Pulire stanze di albergo non è certo il lavoro più comodo che esista, e solo coloro che operano in questi campi possono comprendere la fatica di una quotidianità simile.

È un film sulla vita e mostra le cose così come stanno, che allo spettatore piaccia o meno. Bisognerebbe guardarlo anche solo per capire quanto il ruolo di madre venga dato per scontato, nonostante nasconda un’infinità di sfaccettature che rendono ogni madre unica e forte nel proprio genere.

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ME CONTRO TE - PERSI NEL TEMPO

Luì è uno scienziato, che ha progettato un’armatura da presentare all’albo degli scienziati per entrare a far parte di quest’ultimi. Mentre la mostra a Sofì, la sua ragazza, irrompono nella stanza due vecchi nemici di Luì e Sofì, Perfidia e il signor S: anch’essi erano scienziati, ma li hanno traditi diventando cattivi alla ricerca di continuo e maggiore potere. Sono infatti venuti a prendere la clessidra e la moneta, due oggetti magici che Luì e Sofì custodiscono. Luì e Sofì combattono quindi contro di loro per cercare di impedirgli di prendere la moneta e la clessidra: Luì usa la sua armatura, e Sofì i suoi poteri da fata; alla fine, però, mentre Luì e il signor S stanno litigando per avere la clessidra, questa vola in aria rompendosi in mille pezzi, e i quattro protagonisti si ritrovano in posti sconosciuti lontani da casa loro: Luì e il signor S giungono in una realtà futura dove non ci sono più umani ma soltanto robot, mentre Sofì e Perfidia arrivano nel deserto.

Nel frattempo, Pongo, amico di Sofì e Luì rimasto nel presente, cerca di capire, attraverso un libro, quali siano i poteri della clessidra e come aiutare i suoi amici scienziati a tornare nel presente. Il libro dice che i poteri della clessidra sono molto forti: una volta che qualcuno è andato nel passato o nel futuro è difficile farlo tornare indietro, e le scelte fatte nel passato o nel futuro possono cambiare il presente. La foto di Sofì sta infatti piano piano scomparendo.

In Egitto, Viperiana, sacerdotessa del dio Anubi, sta prendendo il posto sul trono. Uno schiavo però chiede se gli dei vogliano che sia lei ad essere la regina: la sacerdotessa decide quindi di chiedere da parte del cielo o del deserto un segno, per sapere se questo è ciò che vogliono gli dei. In quel momento Sofì e Perfi-

dia spalancano le porte del palazzo. I sudditi e la sacerdotessa chiedono chi sia tra loro la regina e Perfidia si fa avanti e, dopo essersi seduta sul trono, ordina di mandare in prigione Sofì; ma Sofì è ancora dotata dei suoi poteri magici, e con uno schiocco di dita prende il posto di Perfidia sul trono. Così, Perfidia diventa la sua schiava e tutti si inchinano davanti alla nuova regina. A un certo punto, mentre Perfidia sta sventolando Sofì con un ventaglio di piume, si ricorda di avere ancora in tasca la moneta e di essere quindi dotata anche lei di poteri magici. Sofì cerca di toglierle la moneta, ma mentre stanno litigando entra la sacerdotessa; le due non rivelano il motivo del loro litigio ma la sacerdotessa ha intenzione di scoprirlo.

Intanto nel futuro il signor S e Luì sono stati messi in prigione dai robot che hanno scoperto che la razza umana si è estinta perché i quattro oggetti magici sono stati rubati, quei quattro oggetti di cui proprio Luì e il signor S discutevano. Decidono quindi di portarli nel tritarifiuti. All’inizio Luì è senza speranze, ma poi si ricorda di essere uno scienziato e che può trovare una soluzione: insieme al signor S cerca quindi di costruire un’armatura con i rifiuti per bloccare la lama del tritarifiuti. i due riescono a costruire un braccio fatto di rifiuti, e grazie a questo riescono a scappare. Ma appena fuori, vengono accolti dai robot, che decidono di polverizzarli. In quel momento, i due vengono catapultati nell’antico Egitto. Due guardie li trovano e li portano al cospetto della regina, ma prima che arrivi il signor S lancia i due oggetti magici che aveva rubato (l’anello e la pietra) in un buco. La regina arriva: ma Sofì, appena vede Luì, corre ad abbracciarlo, e così Perfidia con il suo signore; mentre i quattro si salutano, la sacerdotessa entra nella stanza: vuole sapere chi sono davve-

Origine: Italia 2022

Produzione: Warner Bros Entertainment Italia, Colorado Film, Me contro Te Production

Soggetto: Luigi Calagna, Sofia Scalia

Sceneggiatura: Luigi Calagna, Sofia Scalia, Emanuela Canonico, Andrea Boin

Interpreti: Luigi Calagna (Lui), Sofia Scalia (Lei), Antonella Carone (Perfidia), Fernando Di Virgilio (Vecchio saggio), Michele Savoia (Pongo), Andrea Garofalo (Leonard), Pierpaolo Zizzi (Signor S), Martina Palmintesta (Viperiana)

Distribuzione: Warner Bros Durata: 60’ Uscita: 1 gennaio 2022

ro, da dove vengono, ma soprattutto dove si trovano tutti gli oggetti magici; i quattro rivelano che vengono dal futuro e che vogliono soltanto tornare indietro, ma che non sanno cosa e dove siano gli oggetti magici. Ma la sacerdotessa non gli crede, e, dopo averli perquisiti e aver trovato la moneta che possedeva Perfidia, ordina di portarli in prigione, dove li lascia legati uno con l’altro e appesi al soffitto: sotto i loro piedi ci sono degli spuntoni di ferro: se non diranno in tempo dove sono gli oggetti magici, verranno trafitti da questi. Ma i quattro non rivelano niente, nonostante sappiano che gli oggetti magici mancanti si trovano dietro di loro. Mentre riflettono su cosa fare, il filo di Perfidia si spezza quasi del tutto, fino a farla ritrovare ancora più vicina agli spuntoni: in quel momento, Perfidia, terrorizzata, promette che se uscirà viva da lì diventerà buona. Luì le suggerisce come liberarsi senza farsi male, e Perfidia, appena si libera, si impossessa degli oggetti magici; ma quando tenta di usarli questi non funzionano. Infatti, all’interno delle prigioni egizie, non si possono fare magie. Perfidia allora decide di liberare quelli che sono ormai i suoi amici.

Ma proprio quando sono tutti liberi, la sacerdotessa annuncia, sghignazzando da lontano, che se

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di Gianluca Leuzzi
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credono di potersene andare non succederà. Infatti, dai sarcofagi presenti nella stanza, escono delle mummie che cominciano ad inseguirli. Ma alla fine con uno stratagemma del signor S riescono ad avere la meglio: fingendo di essere una mummia, ordina, parlandogli con la loro ‘lingua’, di rientrare nei propri sarcofagi. I quattro amici trionfano, ma questa volta è la sacerdotessa in persona ad interromperli: vuole i quattro oggetti magici, e non saranno loro ad impedirle di averli.

In quel momento però, Pongo riesce a far funzionare la pozione magica per far tornare i suoi amici nel presente, ed essi scompaiono dall’antico Egitto per riapparire nel laboratorio di Luì. Dopo aver riabbracciato Pongo, i quattro amici si accorgono che sono tornati nei loro posti anche gli oggetti magici; il signor S, appena li vede, fa notare che essi, ora che sono tutti e insieme possono dare un potere enorme a chi li possiede, ed essere pericolosi se finiti nelle mani sbagliate. Tutti pensano che lui voglia impossessarsene, ma il signor S vuole solo dire che per questo devono essere custoditi e protetti da scienziati e fate. Il signor S si ricorda poi che Luì deve affrontare l’esame, e infatti dalla cerimonia si sente chiamare il nome di Luì: dovrà mostrare la sua invenzione per entrare nell’ordine degli scienziati. Luì presenta la sua armatura: prima di mostrarla, ha fatto un’ultima modifica: ha scambiato una delle due braccia con il braccio costruito con i rifiuti da lui e dal signor S, spiegando come la sua idea sia stata quella di portare alla luce l’unicità e il valore di ogni cosa, anche se all’apparenza non è visibile. Durante la presentazione però l’armatura s’inceppa; nonostante ciò, viene consegnato a Luì il diploma

di scienziato, ed entra a far parte dell’ordine, ringraziando Sofì per averlo sempre incoraggiato.

Mentre tutti sono alla cerimonia, nello studio di Luì e Sofì compare Viperiana, seguita da un suo aiutante. Girando per la stanza, la sacerdotessa vede i quattro oggetti magici.

LLuigi Calagna e Sofia Scalia, nati come coppia di youtuber, decidono di allargare il proprio pubblico arrivando al grande schermo: producono così una serie di tre film, che hanno come obiettivo il coinvolgimento dei più giovani. Ed è questo, infatti, che il film trasmette per tutta la sua durata, e che permette solo a bambini o ragazzini di guardarlo; ogni dialogo è semplice, la storia breve e di facile comprensione. Così, i due protagonisti e sceneggiatori, esaltano quello che può essere ed è sia un punto di debolezza, che un punto di forza. Un punto di debolezza perché il film non trasmette in alcun modo un messaggio che possa essere costruttivo e avere un valore reale, nonostante i tentativi di far emergere un discorso interessante sulle qualità invisibili che rendono unico ciascuno di noi; d’altra parte, un punto di forza, perché adottando un linguaggio e dei metodi di racconto immediati, la conquista del pubblico più piccolo è assicurata, e così anche quella di chi lo accompagna al cinema. Difatti, il numero d’incassi è straordinariamente alto (3,5 milioni di euro).

Soffermarsi a parlare delle tecniche cinematografiche utilizzate è poco utile, dato che queste sono, seppur esistenti (vengono infatti inseriti effetti speciali, quando ad esempio Sofì utilizza la magia), basilari e mediocri, e contribuiscono poco a rendere l’atmosfera del film credibile per lo spettatore, fino ad annullarla completamente con le canzoni che di tanto in tanto fermano il racconto. Inoltre, la recitazione risulta spesso fastidiosa: ogni personaggio è portato a esagerare il suo ruolo, fino a di-

venire quasi insopportabile; in questo modo i due creatori del film forse credono di avvicinarsi al proprio pubblico giovane, ma l’impressione che si ottiene è semplicemente quella di adattarsi a un linguaggio e a un modo di fare quasi “stupido” (esattamente il tono che gli adulti usano con i bambini) allontanandosi così da qualsiasi possibilità di trattare lo spettatore come “maturo”, e soprattutto di avere adulti come pubblico.

Di per sé il film non porta nessuna novità, né nella trama né nelle modalità di racconto: nulla di negativo accade per tutti i sessanta minuti del lungometraggio, e anche le scene dove i protagonisti affrontano difficoltà, vengono spezzate da intermezzi musicali simpatici; in questo modo, si impedisce sicuramente ai bambini di uscire scontenti o rattristati dalla sala del cinema, ma anche senza alcun tipo di insegnamento appreso. Diverse scene vengono allungate smisuratamente, risultando in questo modo noiose e faticose da seguire (così per i monologhi di Pongo), per cercare di arrivare alla durata minima di un film, e molte idee sono copiate da film e cartoni popolari (i quattro protagonisti che scappano dalle mummie inseguendosi gli uni con gli altri, mentre escono ed entrano dalle porte come in Scooby-Doo, l’idea del viaggio nel tempo che si ripete ancora una volta, ripresa da Ritorno al futuro e affini).

Si può dire quindi che il film, nonostante la quasi totalmente nulla impronta cinematografica che lascia, è un modo per donare un qualche tipo di spensieratezza ai bambini, di modo da farli distrarre dalle problematiche insistenti e continuamente alleggianti, ormai, in ogni momento della nostra vita, raggiungendo in questo modo il suo obiettivo principale. Senza scordarsi che un film buono non può essere tale se non comunica o non riesce a comunicare alcun tipo di messaggio, cosa che la commedia scritta dai Me contro Te e diretta da Gianluca Leuzzi, non riesce a fare.

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di Phaim Bhuiyan, Emanuele Scaringi BANGLA. LA SERIE

Regia: Phaim Bhuiyan, Emanuele Scaringi

Produzione: Fandango, Rai Fiction

Paese: Italia, 2022

EPISODIO 1 - NO SEX

LLa voce narrante del protagonista fin dai primi istanti ci presenta non solo lui, come una vera e propria carta d’identità, ma anche il ritmo leggero e ironico della serie. Phaim, giovane musulmano di ventitre anni che parla con accento romanesco si autodefinisce “50% Bangla 50% Italia”, infatti è nato in Italia da genitori bengalesi arrivati nel 1989 ed è cresciuto a Roma. Lo troviamo alle prese con la tentazione di cedere al desiderio nei confronti della bella fidanzata Asia, a casa di lei, salvato in corner come racconta lui dall’improvvisa telefonata della madre che lo fa tornare a casa di gran carriera. Lo vediamo quindi attraversare la città per arrivare nel quartiere a suo dire più multietnico di Roma, Tor Pignattara, dove vede i genitori e sua sorella per strada in mezzo a bagagli e scatoloni vari. I piani della famiglia sono cambiati da un momento all’altro, da quando cioè lo zio paterno ha deciso di non aprire più un ristorante bengalese a Londra ma uno italiano in Bangladesh. Questo significa che la famiglia di Phaim resterà a Roma ma, avendo disdetto casa, deve accettare la soluzione provvisoria di trasferirsi da una cugina della madre e inoltre tutti i componenti hanno perso il loro lavoro e devono rimettersi a cercarne da zero. Phaim si sente in trappola non appena vede la casa dove la parente subaffitta illegalmente loro una stanza, uno spazio davvero troppo piccolo in compagnia di parecchie regole da rispettare e di Sumaya, la figlia della padrona di casa, che da subito mette in chiaro la difesa dei propri confini.

Nel trambusto generale Phaim non trova il tempo per spiegare quanto sta accadendo alla fidanzata, visibilmente un po’ delusa e seccata dietro al banco del bar di suo padre, cinquantenne separato che tiene molto alla forma fisica e che ha con la figlia un rapporto molto amichevole e giocoso. Mentre Asia è ancora convinta che Phaim di lì a non molto sarebbe dovuto partire per Londra, lui si tormenta senza venirne a capo su come comportarsi in futuro con lei. Partire infatti avrebbe rappresentato dal suo punto di vista una soluzione al problema di mantenersi fedele ai suoi principi e al valore della castità, non partire invece lo mette in crisi. Dapprima si confida con la sua guida spirituale del Centro Culturale Islamico, figura sicuramente di esperienza ma non estraneo a simili problemi di cuore: l’uomo gli consiglia di staccarsi completamente da quella frequentazione ma con stupore del ragazzo gli racconta anche di essere pazzo per un’italiana che si sposerà di lì a tre settimane con un altro. Successivamente Phaim si confida con l’amico Matteo, uno spacciatore che cerca a fatica di sbarcare il lunario, che lo esorta ad avere più coraggio e a fare esperienza della vita. Poi lo ritroviamo intento a suonare in una sorta di sala prove allestita in un retrobottega con tre amici, fra cui uno di nome Tangir conosciuto ai tempi dell’asilo. Sopraggiunge a sorpresa Asia e lui la mette brevemente al corrente delle novità. Lei è felice di sapere che la partenza per Londra è sfumata e i due cenano insieme agli amici presso una paninoteca ambulante. Quando si salutano e Asia sale a bordo del suo scooter a un tratto

Sceneggiatura: Phaim Bhuiyan, Emanuele Scaringi, Vanessa Picciarelli, D. D’Amato, G. Gianni, G. Carrieri

Struttura: prima stagione - 8 episodi di 30 minuti ciascuno trasmessi in 8 puntate su RaiTre

Cast: Phaim Bhuiyan (Phaim), Carlotta Antonelli (Asia), Pietro Sermonti (Olmo), Nilima Mittal (Sumaya), Martina Gatti (Fede), Sahila Maiuhddin (Navila), Simone Liberati (Matteo), Tangir Ahammed Miah (Tangir), Alessia Giuliani (Carla), Tiziano Sgarbi (Bob Corn), Eva Grieco (Marzia)

Durata: 6 episodi

Uscita: 13 aprile 2022 Raiplay e Rai3

esclama «Tu mi piaci perché non ti sforzi mai di sembrare diverso da quello che sei», esplicitando una caratteristica del modo di essere del ragazzo che non è passata inosservata agli occhi degli spettatori fin dalle prime scene.

Prima di dormire Phaim sale sul terrazzo per prendere un po’ d’aria ma ci trova Sumaya intenta ad ascoltare musica e la ragazza precisa subito che quello è suo territorio e di fronte alla seconda richiesta della password del wifi risponde che è ancora presto. Phaim intuisce però l’intelligenza silenziosa della ragazza e le domanda come farebbe lei a prendere una decisione se i pro e i contro fossero in condizione di parità; Sumaya non si sottrae all’interrogativo e lo pone davanti a un nuovo bivio,

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dicendogli che deve capire se lui è più tipo da rimpianti o da rimorsi. La prima puntata si conclude tornando al luogo di partenza: la camera di Asia. Phaim le dice di desiderarla fortemente ma di ritenere importante il valore della castità e lei per rassicurarlo prende una lavagna e scrive le regole che insieme stabiliscono di darsi in materia, salvo poi ricominciare scherzosamente a fare il diavolo tentatore.

EPISODIO 2 - TI PRESENTO I MIEI

I Moon Star Studio, complesso musicale cui partecipa Phaim, si esibiscono una sera nel bar di Olmo, il padre di Asia, con un discreto successo di pubblico. Fra i presenti c’è anche Fede, amica della ragazza appena rientrata dall’Erasmus, alla quale corre a presentarsi Tangir, l’indomani in partenza per Londra. Olmo è entusiasta della trovata dell’“aperibangla” e invita Phaim con i suoi genitori a pranzo domenica, ventiquattro ore prima dell’inizio del Ramadan. Lì per lì il ragazzo accetta volentieri ma poco dopo, in compagnia dell’amico Tangir vicino alla consueta paninoteca gli confida le sue preoccupazioni, dato che i suoi ignorano perfino l’esistenza della ragazza. Nel frattempo l’amica di Asia si mostra un po’ perplessa per la sua storia con un bengalese musulmano, ricordandole che aveva avuto fino a poco tempo prima uno stile di vita molto libero.

L’indomani a ora di pranzo la famiglia di Phaim è tutta riunita e il padre rievoca qualche ricor-

do di gioventù, quando si era innamorato di una ragazza che gli aveva preferito un altro, prima di conoscere la mamma di Phaim, in un matrimonio combinato che si era rivelato felice e fortunato. Il ragazzo coglie al volo l’occasione per cercare di capire l’opinione dei suoi nei confronti della sua storia sentimentale e fa un discorso molto alla larga temendo la più accesa contrarietà. I genitori allora gli dicono di essere al corrente della sua storia con Asia e proprio la madre, la più tradizionalista, gli dice che è giusto che sia lui a compiere le sue scelte, dato che è nato in un Paese diverso e da sempre si è trovato a vivere in modo più moderno rispetto a loro. Phaim è stupito di tanta apertura perché sa quanto i suoi siano legati alla religione mentre la famiglia di Asia all’opposto ha una visione decisamente laica della vita e per certi aspetti proprio agli antipodi. La tensione si alleggerisce quando la madre, dopo essersi detta convinta nell’accettare l’invito di Olmo, manda il ragazzo a lavare i piatti per dimostrare di essere coerente con le sue idee moderne, cosa che diverte decisamente la sorella. Tempo dopo ritroviamo il ragazzo fra le braccia della fidanzata, in camera di lei, dove irrompe Olmo che come un fiume in piena descrive l’idea che gli è venuta per il pranzo con gli ospiti, cioè cucinare piatti tipici bengalesi e corredare il tutto con un’intonata colonna sonora. I ragazzi però non gli danno molta soddisfazione e lui si scusa per averli disturbati, poi si reca in compagnia di Phaim in un grande mercato per acquistare gli ingredienti necessari. Strada facendo dice apertamente al ragazzo che è il primo dei fidanzati della figlia verso cui nutra una spontanea simpatia, senza saperne trovare un motivo preciso. Una volta alle prese con la cucina però le cose si dimostrano molto più complicate del previsto, il tempo

stringe e Olmo si dichiara sconfitto; Phaim per risolvere la situazione telefona alla sorella Navila che arriva a portare soccorso. Asia percepisce lo scetticismo di lei nei confronti della loro unione per via delle innumerevoli differenze che separano le rispettive famiglie, ma Phaim la rassicura infondendole fiducia. Arrivano i genitori bengalesi, eleganti per l’occasione, ed è il momento delle presentazioni con la famiglia allargata di Asia: sono presenti infatti anche la madre di lei, Carla, con la sua nuova compagna Marzia e con il figlio Ivan (che Olmo spiegherà essere nato da una provetta danese). Il pranzo ha inizio in un accogliente spazio all’aperto e Olmo senza tante introduzioni si mette subito a raccontare vicende private, da cui emerge una delusione ancora non svanita per la separazione da Carla. Di fronte agli atteggiamenti esuberanti di lei e Marzia e al loro bacio, la madre di Phaim non dissimula degli sguardi di disapprovazione che non sfuggono ad Asia. La ragazza prende Phaim per mano e lo porta in casa per parlare a tu per tu: teme che il pranzo si riveli un disastro senza ritorno. Ancora una volta lui le infonde speranza e effettivamente quando ritornano dai parenti trovano un clima di armonia. A parlare con aria amichevole fra loro sono soprattutto Olmo e il padre di Phaim, che dopo aver raccontato del matrimonio combinato con sua moglie ricorda i tempi in cui ha fatto in nave per tre volte il giro del mondo e poi chiede a quello che potrebbe diventare il futuro suocero di lasciargli suonare la chitarra. Sulle note di “Libiamo nei lieti calici” sembra che ogni differenza etnica e culturale svanisca.

A sera, il padre di Phaim ha già ripreso il suo lavoro di rider in bicicletta, in attesa di miglior collocazione. In camera di Asia, lei appare un po’ sconfortata per tutte le

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difficoltà che dovranno superare ma Phaim non è preoccupato e accetta di restare a dormire insieme.

EPISODIO 3 - IL RASOIO DI OCCAM

Asia vuole provare a vivere esperienze che le permettano di capire in concreto lo stile di vita di Phaim e così le amiche di lui la preparano per entrare in una moschea, con il velo, per ascoltare un rito di preghiera. Al termine i ragazzi parlano fra loro davanti alla solita paninoteca-kebab e si scambiano pareri seri e scherzosi sul digiuno tipico del Ramadan, che aiuta a sviluppare l’autocontrollo.

A casa di Phaim la famiglia si riunisce a tavola sul fare dell’alba mentre lui dorme ancora e la madre non lo sveglia di proposito, perché pensa che debba diventare più responsabile e attento ai suoi doveri. Così il ragazzo si trova a dover affrontare a stomaco vuoto una lunga giornata dedicata alla ricerca di lavoro, peregrinando da una parte all’altra di Roma. Non lascia nulla di intentato, dal cartello “cercasi dog sitter” a un colloquio in banca, dal negozio di un barbiere al banco alimentare di un mercato ma ogni tentativo va a vuoto. Contemporaneamente Asia fa compagnia all’amica Fede che pranza sull’erba, ma senza toccare cibo per vedere se è capace di resistere come il fidanzato. Asia confida all’amica di non aver mai detto a Phaim di aver fatto domanda per l’Erasmus prima di conoscerlo e di essere stata presa; con una sorta di telepatia, di lì a non molto, quando i due si raggiungono in un appuntamento per le strade della città, il giovane le chiede proprio di raccontargli le novità di Fede e se non abbia intenzione di scomparire anche lei per dirigersi verso qualche meta lontana. Lei taglia corto e non accenna minimamente al discorso dell’Erasmus, lui la informa di essere riuscito a trovare un lavoretto che inizierà la sera

stessa. Poi Phaim va a parlare, ai tavolini di un bar, con la sua guida spirituale del Centro Culturale, guida che sembra però alquanto inquieta e confusa L’uomo non smette di osservare la sua ex che esce da un altro bar in compagnia del futuro sposo. A un tratto esclama: «II rasoio di Occam! La soluzione più semplice è sempre quella giusta», parole su cui Phaim continuerà a riflettere da solo.

Di notte il ragazzo lavora per la prima volta presso un fiorista ma si spaventa quando alcuni teppisti lo sorprendono con fumogeni e miccette, quindi telefona al vecchio amico Tangir dicendo di aver riconsiderato l’ipotesi del lavoro in un Kebab. Al rientro a casa però lo attende un imprevisto: trova la famiglia radunata attorno a suo papà che ha una fasciatura al braccio, è caduto dalla bicicletta in un tratto di strada bagnata. Nonostante le perplessità dell’uomo, la madre dice al figlio con un tono che non ammette repliche che sarà lui a doverlo sostituire fin quando il braccio non guarirà. Phaim, che non è mai stato un tipo sportivo, sa di non potersi tirare indietro e l’indomani mattina si presenta al punto di ritrovo dei rider. In giornata mentre pedala senza sosta si accorge che vedere quartieri nuovi lo diverte, ed è buffo sentire la sua voce narrante dire «Il lavoro è semplice, l’importante è non morire», il tutto per tre euro a consegna, quarantacinque centesimi al km.

A sera Phaim fa un salto a casa di Asia che gli ricorda che ci sarà la festa per il ritorno di Fede e sarebbe un’ottima occasione per presentargli i suoi amici, poi riprende il giro delle consegne. Sul tardi, sotto una pioggia a dirotto, lui raggiunge il locale della festa, ancora con la bicicletta e con indosso la tenuta da ciclista. Dalle vetrate vede Asia ballare con allegria, ignaro del fatto che poco prima la

ragazza aveva discusso con l’amica che l’aveva rimproverata di accanirsi in una relazione che a suo parere non la rendeva affatto felice. Phaim non se la sente di entrare e aspetta Asia sotto casa sua, al momento del rientro. Lei è delusa per non averlo visto arrivare alla festa, lui accenna al rasoio di Occam e la sorprende dicendo che ha deciso che è giusto fare esperienza mandando all’aria tutte quelle regole scritte sulla lavagna. La puntata si chiude con un bacio romantico fra i due.

EPISODIO 4 - BACI CON MODERAZIONE

Olmo suona la chitarra elettrica con i Moon Star Studio ma il risultato è poco promettente e i ragazzi gli fanno capire che preferiscono prendere in considerazione altri candidati. Al padre di Asia non passa inosservato lo strano stato d’animo di Phaim, che fissa il vuoto restando immobile, del tutto estraneo ai loro discorsi. Lo prende in disparte e gli parla al fine di rassicurarlo ma la conversazione si fonda su un equivoco: mentre il ragazzo è in ansia all’idea della prima volta con Asia, l’uomo pensa che abbia dei problemi legati all’uso di droga leggera. In seguito Phaim va in cerca dell’amico Matteo nel solito posto dei loro appuntamenti ma stavolta gli tocca correre perché quest’ultimo non ha intenzione di interrompere il suo nuovo quotidiano esercizio fisico. Matteo non mostra molta pazienza nei suoi confronti e risponde in maniera sbrigativa alle domande

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di Phaim, in cerca di consigli per non fare brutta figura con la fidanzata.

Sia lui che lei, ciascuno nella propria camera, passano del tempo a guardarsi allo specchio, in cerca dei vestiti migliori e di trovare un modo per attutire l’emozione. A un tratto la sorella di Phaim entra in camera per prendere il ferro da stiro della madre e lui approfitta per chiederle il favore di coprirlo quando andrà a una festa con Asia e i suoi amici. Si tratta di mentire ai genitori e la ragazza accetta solo alla condizione di poter andare anche lei alla festa. Così li ritroviamo tutti a bordo dell’auto di Fede, incluso un amico di Phaim, che fa parte del gruppo musicale. Arrivati nel luogo della festa, iniziano le presentazioni e il giovane indiano finge di sentirsi a suo agio ma si sente preso di mira dagli sguardi di curiosità e dalle domande un po’ impertinenti delle vecchie conoscenze di lei. Anche il suo amico però, con cui si intrattiene in giardino davanti a un barbecue, ci mette del suo per dargli del filo da torcere, ripetendogli di quando in quando «Allah ti vede». Mentre è preda di tutti i suoi dubbi, Asia lo va a prendere e lo porta all’interno a ballare; lui non sa muoversi ma cerca di accontentarla, poi si siede e un ragazzo, di nome Luca, non perde l’occasione per dirgli che ci vuole molta energia per stare dietro ad Asia, che a volte può essere una furia. Phaim ha proprio l’impressione che tutti facciano il possibile per metterlo in crisi; vede

che sua sorella sta esagerando con l’alcool e la ferma, interrompendo la conversazione fra lei e uno sconosciuto e dicendo a quest’ultimo che è sposata con un musulmano di cui è bene avere paura. Poi gli si para davanti Fede e i due si parlano schiettamente: Phaim ha capito di non esserle simpatico e lei gli mette tensione dicendo che Asia la tiene al corrente di tutto. Lui ci rimane male nel constatare che la loro vita privata è diventata di pubblico dominio. Mentre i presenti si danno alla pazza gioia, Phaim si chiude in uno stanzino inventando di dover fare una preghiera. Non molto tempo dopo Asia lo trova, gli dice che non deve sentirsi costretto a stare con lei se preferisce aspettare ma lui si dichiara convinto. Allora lei lo prende per mano e lo accompagna verso quella che definisce come “stanza migliore”, che però trovano già occupata. Il luogo è privo di privacy e allora i due si dirigono in giardino, trovando uno spazio solitario ed entrando in una barca. Ci entrano ma ben presto, con la scusa di andare a cercare una coperta, lui si dilegua e corre a svegliare la sorella, addormentata su un divano. Le chiede di fermarlo ma lei al contrario lo incoraggia a stare con la fidanzata, pensa che il contrario sarebbe un errore. Phaim torna da Asia ma lei lo vede molto preoccupato, del presente e del futuro, e le sembra che lui sia lì solo per farla contenta e non per libera scelta, quindi all’improvviso gli dice che di lì a due settimane partirà per l’Erasmus e dunque non è il caso di darsi tanto pensiero per il futuro. Poi si alza e se ne va.

L’indomani il ritorno in auto è silenziosissimo. Fede accompagna prima Phaim che scende dalla macchina senza dire una parola. Allora scende anche Asia e lui le chiede scusa. L’atmosfera sembra presagire un addio.

EPISODIO 5 - LOVE TURNS AROUND DRUNK VERSION

Sia Phaim sia Asia vanno ad ascoltare il concerto dell’attempato cantautore Tiziano, in arte Bob Corn, che si esibisce con la sua chitarra in un locale dalla frequentazione multietnica, ma stando ciascuno per conto proprio in compagnia dei loro amici. Entrambi vorrebbero che fosse l’altro a fare il primo passo e Phaim ne è tentato ma lo trattengono la sorella e un amico, spiegandogli che l’indifferenza in questo caso è la mossa migliore. Il ragazzo esce per stare un po’ da solo ma incontra Sumaya che lo esorta a reagire e lui sarebbe sul punto di fare qualcosa ma quando rientra nel locale vede che Luca, amico di Asia, ha decisamente accorciato le distanze con lei che non sembra esserne infastidita. Allora Phaim per la prima volta in vita sua si ubriaca e a un tratto inizia a ballare e cantare da solo, tanto che Asia non sopporta di vederlo in quello stato, discute brevemente con lui e se ne va. Non molto dopo Phaim si sente male per l’alcool e Sumaya lo assiste da vera amica; i due si ritrovano a camminare insieme fino ad arrivare a casa e lungo il tragitto parlano di tutto, dai ricordi d’infanzia alle loro opinioni su questioni di attualità alle loro frequentazioni. Sumaya viene così a sapere che lui non è mai uscito con una ragazza musulmana e lui che lei non è mai uscita con ragazzi italiani. Ancora un po’ frastornato dall’alcool Phaim esclama in tono autoironico e serio al tempo stesso che «Il bangla è meglio perché fa ogni cosa a suo tempo» ed è divertente trovare in lui tanta calma e sicurezza a fronte di tutte le paure che ha manifestato.

Luca nel frattempo ha portato Asia a ballare in un altro locale e lei appare compiaciuta delle sue attenzioni. A fine serata li vediamo fermi nella macchina di lui, che le

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confessa di essere innamorato di lei da tanto tempo. Lei sulle prime si mostra diffidente, ma non si sottrae a un bacio appassionato, di cui però si pente immediatamente. Il giovane capisce che lei tiene davvero a Phaim e non insiste, lei scende dall’auto e torna a casa da sola.

La conclusione della puntata ha per protagonisti Phaim e Sumaya nella camera di lei: la giovane musulmana scopre che fra lui e la fidanzata non c’è ancora stata una prima volta e dice che a suo parere l’attesa può essere bella e romantica ma vuole anche iniziare a vivere la sua vita. Aggiunge che per stare bene con un’altra persona bisogna prima stare bene con se stessi. Phaim, improvvisamente, la bacia.

EPISODIO 6 - LE TRASMISSIONI SONO MOMENTANEAMENTE SOSPESE

Phaim si sveglia mezzo nudo nel letto di Sumaya che lo avverte che sua madre sta girando per casa e gli fa “da palo” per fargli raggiungere la sua stanza senza essere visto. Pochi istanti dopo la mamma di Phaim entra infatti in camera sua, un po’ stupita di trovarlo in piedi con il letto già rifatto; gli ricorda le sue responsabilità con il lavoro e lo osserva con sguardo esaminatore, ma senza poter immaginare quanto è accaduto. Successivamente vediamo Asia e Fede sedute sulla scalinata fuori dall’università, in attesa dell’inizio di una lezione. Asia prova a telefonare a Phaim che non risponde e l’amica continua a dissuaderla dall’insistere nella direzione sbagliata. Ma il pensiero del ragazzo è talmente forte in Asia che durante la lezione inizia a fondere realtà e immaginazione, e le sembra che il professore stia parlando delle probabilità di riuscita di loro due come coppia. Richiamata all’attenzione dal docente, sceglie di lasciare l’aula.

Gli amici del Moon Star Studio vedendo che Phaim non arriva per

le prove decidono di andare a chiamarlo direttamente a casa sua e al cancello trovano Sumaya che dice che Phaim è in terrazza. Lo trovano in una condizione deleteria, ossia muto e immobile come una statua, condizione che ricordano essergli già capitata una volta in terza elementare ed essere rimasta immutata per una settimana intera. Qualunque tentativo da parte loro di farlo parlare si rivela del tutto vano, cosa che si ripete anche con i successivi visitatori. Sopraggiungono infatti uno dopo l’altro la guida spirituale del ragazzo, suo padre, l’amico Matteo, la sorella. La guida spirituale approfitta per parlare di sé, racconta di aver voluto conoscere il fidanzato della sua ex andandolo a incontrare sul posto di lavoro e dice di aver accettato la situazione anche se è evidente che ne soffre ancora. Il papà di Phaim ricorda l’episodio delle elementari e rispetta il silenzio del figlio come aveva fatto in passato. L’amico Matteo cerca di scuoterlo ma presto desiste, parla a ruota libera e dice che si sente migliore da quando si è innamorato di Mara, ha smesso di spacciare e ha trovato un lavoro fisso. La sorella lo esorta a fare delle scelte e prendersi delle responsabilità come ha fatto lei quando si è sposata, ormai non è più un ragazzino. Infine arriva la mamma di Phaim che dandogli uno schiaffo ottiene la reazione di una risposta; gli ricorda l’impegno di lavoro e gli dice di invitare per il tè la sua fidanzata.

Rimasto finalmente solo con i suoi tormentati pensieri, il ragazzo vede Sumaya stendere il bucato. Si alza e guarda il traffico in strada, lei gli si avvicina e lui dichiara di essere in collera con se stesso sia per aver tradito Asia sia per come si è comportato con lei. La ragazza gli propone tranquillamente di ritornare “amici come prima”, rendendosi facilmente conto di quan-

to lui tenga ancora alla fidanzata. In Phaim scatta un istinto di reazione: rapidamente scende in strada e in bicicletta passa dai colleghi rider chiedendo a uno di loro di coprirlo per il turno della sera senza nemmeno ascoltare la risposta, quindi arriva con un mazzo di rose rosse al portone di Asia. Citofona ma non risponde nessuno. Tornato a casa sua, trova lì al cancello la ragazza che gli dice di voler stare con lui ogni giorno perché, anche se un po’ complicata, la loro storia è bellissima. Quindi vediamo quella che Phaim ci rivela essere una sua proiezione mentale, cioè uno scambio di battute in cui mentre Asia lo informa che non partirà più per l’Erasmus lui le rivela di averla tradita. Ma nella realtà le cose vanno diversamente: mentre la ragazza lo informa di aver rinunciato all’Erasmus, lui le riferisce l’invito della madre, rivolto anche a Olmo, per la festa di fine Ramadan. Sul tradimento neanche una parola.

EPISODIO 7 - MOGLI E BUOI

La mamma di Phaim è molto indaffarata per preparare il pranzo della festa di conclusione del Ramadan e dà degli incarichi in cucina anche a Phaim. Tempo dopo lui va con un suo amico del gruppo musicale ad acquistare degli abiti indiani da cerimonia per l’occasione, mentre a casa di Asia Olmo cerca di informarsi su Internet sulle consuetudini di riti e preghiere, cosa che fa sorridere la ex moglie Carla che non vede la necessità di questa preparazione. Lungo il tragitto a pie-

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di verso il luogo della preghiera collettiva e del pranzo, la madre di Phaim gli fa notare che il suo eccessivo silenzio fa preoccupare ma il ragazzo minimizza e non dà spiegazioni. Per rassicurarlo lei aggiunge che le piace Asia e trova Olmo simpatico, benché un po’ matto. La sorella però non si accontenta e fa rivelare a Phaim il suo tradimento, parlandogli in disparte; non lo rimprovera, anzi gli confida che ogni tanto si sente pentita per essersi sposata troppo presto e non poter più vivere da ragazza spensierata. Quando si trova a percorrere un tratto con suo papà, chiuso in uno strano silenzio, Phaim gli dice che pensa che lui abbia capito tutto e ora non può che giudicarlo male, come uomo e come figlio. Il papà non risponde nulla e saluta la famiglia di Asia indicando a Olmo un luogo da dove poter assistere al rito religioso. Di lì a poco ha inizio il pranzo e anche questa volta oltre a Carla sono presenti anche suo figlio e Marzia. A raccontare aneddoti è soprattutto Olmo; Asia e Phaim stanno vicino ma un po’ in disparte, seduti sul prato. La ragazza vede l’amica indiana che canta nel gruppo musicale Moon Star Studio e va a salutarla, venendo così presentata a Sumaya. Phaim osserva la scena alla distanza e raggiunge i suoi due amici di vecchia data ai quali finisce col rivelare l’accaduto, come fa anche con la guida spirituale che lo convince a confessare subito la verità a Asia. Phaim lo ascolta e trova il coraggio per agi-

re: porta la fidanzata in un punto più appartato del giardino e le racconta ciò che pensa sia successo, o meglio che ritiene altamente probabile sia successo non avendone un ricordo sicuro. La delusione per la ragazza è cocente, si sente tradita e soprattutto umiliata. Lui non le rivela l’identità di Sumaya ma dice con sincerità qual è stata la motivazione del misfatto, cioè quella voce che lo tormenta costantemente dicendogli «Sarai pure mezzo bangla e mezzo italiano, ma non sarai mai come noi». Mentre lui vorrebbe una seconda possibilità, lei vuole solo un addio definitivo ma senza farlo sapere subito alle due famiglie. Non riesce però a trattenere la collera quando vede Tangir andare a parlare con Sumaya e capisce che proprio con lei è stato Phaim. Esclama di volersene andare e di aver fatto un errore a rinunciare all’Erasmus. Interviene allora Olmo sorpreso e infastidito da una simile rinuncia, sapendo quanto la cosa fosse importante per la figlia. Da lì in breve si accende un’animata discussione che trascende in litigio fra tutti i componenti delle famiglie. La famiglia di Asia se ne va a passo molto deciso mentre i presenti osservano la situazione e Phaim rimane un po’ interdetto. In seguito lo vediamo recarsi al punto di ritrovo dei rider dove uno di loro è stato picchiato da alcuni italiani e gli altri cercano di dargli soccorso. Una volta di ritorno a casa Phaim chiama suo padre in terrazza e gli dice che ha capito che la caduta dalla bicicletta è stata una bugia per coprire un atto di violenza; il genitore non può smentire, ammette di sentirsi più in pericolo adesso di quando ha fatto il giro del mondo, e invita il giovane alla calma e alla sopportazione, nell’attesa di un futuro migliore.

Scende il tramonto su Roma e Asia è alle prese con la prenota-

zione online di un viaggio per Siviglia.

EPISODIO 8 - LOVE TURNS AROUND UNPLUGGED

La prima immagine della puntata ci mostra Phaim ammanettato e seduto sul sedile posteriore di un’auto della polizia. Da lì inizia il racconto in flashback condotto come di consueto dalla sua voce fuori campo e si riparte da quando il ragazzo con Matteo e la guida spirituale si confortavano reciprocamente sulle sventurate situazioni sentimentali, dato che Matteo era stato lasciato dalla partner per la sua dipendenza dalle droghe leggere e la guida spirituale aveva tentato invano l’ultima disperata mossa di interrompere il matrimonio della sua ex. In seguito, mentre Asia con i bagagli pronti telefona all’amica Fede per avere un passaggio in macchina fino all’aeroporto, Phaim terribilmente giù di morale cammina inquieto in terrazza e lì non tarda a raggiungerlo Sumaya. Gli rivela che fra loro non c’è stato assolutamente niente poiché lui si è addormentato di piombo per via dell’alcool bevuto e lei è andata a dormire nella vasca da bagno. Sollevato e un po’ perplesso, Phaim le domanda per quale motivo non gliel’abbia detto prima e lei glielo lascia intuire. Quindi va di corsa a telefonare ad Asia che non vuole saperne di rispondere e allora chiama Fede da cui viene a sapere che alle cinque del pomeriggio la ragazza decollerà per Siviglia. Poco dopo ritroviamo Phaim e Matteo a bordo dell’auto della guida, diretti verso un’imprecisata località sperduta nel nulla dove vive Bob Corn con le sue mucche. Phaim vorrebbe essere molto sbrigativo ma gli altri due accettano volentieri l’ospitalità del bizzarro soggetto che offre vino e formaggio. Quando sono sul punto di rimettersi in macchina alla volta dell’aeroporto, il motore

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va in fumo. Phaim si dispera ma Bob risolve la situazione con un vecchio maggiolone che, pur mettendoci i suoi tempi, li fa arrivare sotto casa di Asia. Bob inizia a cantare accompagnandosi con la chitarra ma la finestra di lei rimane ermeticamente chiusa. Matteo citofona con insistenza e allora scende in strada Olmo, seccato e ancora in collera con Phaim: spiega che Asia è già via e partirà entro quarantacinque minuti, sconsigliandoli fortemente di andare da lei. Loro non lo ascoltano e arrivano in aeroporto poco dopo che lei si è imbarcata. Phaim, rallentato dall’andatura di Bob, chiede in biglietteria due biglietti spiegando l’urgenza della situazione ma non ottiene nulla dato il limite orario ormai superato. Matteo telefona a un suo amico che lavora lì e riesce a far salire Phaim e Bob sull’aereo facendoli trasportare di nascosto da un camioncino portabagagli. A questo punto i due si accattivano la simpatia di una hostess che dice al microfono che c’è una comunicazione per la signorina Asia e permette a Bob di suonare e cantare, ma la ragazza non si accorge di nulla avendo indosso le cuffie. Phaim muove appena i primi passi in cerca di lei fra le file di passeggeri quando viene fermato a gran voce dalla polizia: Asia lo vede e lui, davanti a tutti i presenti, riesce almeno a dirle di non averla mai tradita. Poi si lascia condurre giù dai poliziotti ed ecco come finisce a bordo della loro auto.

Di certo non sarebbe stato questo il finale che si aspettava, ma con quella calma di fondo che non lo abbandona mai dice che anche se non è andata bene, sarebbe potuta andare peggio.

L’auto si mette in moto e se ne va.

Una storia sull’integrazione, fra somiglianze, differenze e opposti che si attraggono, raccon-

tata attraverso l’esperienza e la prospettiva personale del protagonista, Phaim Bhuiyan, giovane sceneggiatore, regista e attore di origini bengalesi. Come dice il sottotitolo Bangla - La serie racconta “L’amore ai tempi delle seconde generazioni”, cioè ci fa riflettere su un’esperienza universale contestualizzandola ai giorni nostri nella realtà multietnica del quartiere romano di Tor Pignattara. La fusione fra la delicatezza delle questioni trattate e la leggerezza della modalità di narrazione ha fatto sì che la serie, tratta da un omonimo film del 2019, abbia vinto ai Nastri d’Argento 2019 come miglior commedia e abbia visto la premiazione di Bhuiyan ai David di Donatello 2020 come miglior regista esordiente. Lo sguardo magnetico, enigmatico e sornione del personaggio protagonista - quasi in contrasto con lo slang giovanile di borgata da lui spesso utilizzato - incuriosisce lo spettatore in combinazione con un istintivo senso dei tempi comici e l’effetto suspense generato dai suoi lunghi, a volte lunghissimi silenzi. Il personaggio interpretato mette in scena con evidente naturalezza l’esperienza autobiografica di vita vissuta da Phaim, che in un’intervista ha affermato di sentirsi davvero un esempio di integrazione fra India e Italia, conservando della dimensione bangla il valore dello stacanovismo e apprezzando di Tor Pignattara la sua insostituibile spensieratezza. Con il suo originale equilibrio fra seriosità e ironia, una grande capacità di autoironia e qualche nota surreale sparpagliata qua e là, il regista e protagonista della vicenda racconta così, a modo suo, la realtà delle nuove generazioni di immigrati, nate e cresciute nel nostro paese. Non si può che apprezzare l’impegno nel far riflettere divertendo sul valore dell’inclusione e su quelle caratteristiche che acco-

munano tutti gli esseri umani, nel loro percorso di formazione, indipendentemente dall’etnia di appartenenza. Contemporaneamente si rileva che alcuni episodi hanno una sostanza narrativa piuttosto esile e il ritmo del racconto sembra fin troppo dilatato, quasi la sceneggiatura fosse alla ricerca di vuoti da lasciare tali al fine di farli colmare dalla riflessione del pubblico, invitato attraverso frequenti battute “a parte” e sguardi del protagonista rivolti verso la macchina da presa. Riflessione che viene spesso stimolata dalla scelta strategica di aver fatto incontrare e scontrare due stili di vita agli antipodi: tradizionalista e religioso quello della famiglia di Phaim, moderno e laico quello della famiglia della fidanzata Asia. La co-protagonista femminile tiene lo spettatore sulla corda con l’intensità dei suoi sguardi e la vivacità del suo carattere ed incarna i tipici desideri di scoperta ed esplorazione dei giovani della sua età, dalla dimensione affettiva a quella geografica rappresentata dall’esperienza Erasmus. Tutti gli altri personaggi, componenti delle rispettive famiglie e amici, restano decisamente sullo sfondo rispetto ad Asia e Phaim che, pur divisi da tante differenze, hanno senz’altro in comune la tenacia nel voler compiere da soli le proprie scelte e nel voler tracciare passo dopo passo la traiettoria della propria esistenza, non importa se a bordo di una bicicletta da rider o di un aereo per Siviglia.

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U
Jleana cervai

IL SANTONE - LE PIÙ BELLE FRASI DI OSHO

Paese: Italia, 2022

Produzione: Stand by me, Rai Fiction, Rai Play

Interpreti: Neri Marcorè (Enzo Baroni), Carlotta Natoli (Teresa), Rossella Brescia (Jacqueline), Beatrice De Mei (Novella), Claudio Segaluscio (Mirko), Alessio Sakara (Igor)

Durata: 10 episodi

Uscita: 25 febbraio 2022 Raiplay

EPISODIO 1 - CIÒ CHE NON TI UCCIDE

TI ROMPE LI COJONI

UUn uomo sposato e con una figlia, sopraffatto dalla sua vita ordinaria e stressante, in cui i soldi non bastano mai e le sventure superano sempre di gran lunga le belle notizie, sparisce improvvisamente per poi ritrovarsi dopo cinque mesi disteso in un buco in mezzo a una strada della sua città d’origine. Si ripresenta così nel suo quartiere, vestito con una tunica indiana di colore bianco e sandali, e i suoi vicini di casa stentano a riconoscerlo. Tra loro c’è una discussione in atto, ma Enzo riporta la pace rispondendo a tono alla ragazza che l’ha scatenata, con una battuta su suo marito. Qualcuno chiama sua moglie (Teresa), e lei, se in un primo momento gioisce nel vederlo, immediatamente cambia umore quando si accorge che la figlia è arrabbiata con lui per essere sparito mesi interi senza

lasciare tracce. Appena entrati in casa Teresa lo affronta, chiedendogli dov’è stato, ma Enzo non sa risponderle, non si ricorda nulla; i due vengono però interrotti dal campanello: un funzionario chiede a Teresa la firma per lo sfratto, dato che la famiglia non paga l’affitto da nove mesi. Teresa inizia a discuterci ma Enzo interrompe la discussione; invece di prendere le parti della moglie, cerca di ascoltare le ragioni dell’uomo, difendendolo, e spiegando che lui sta facendo il suo lavoro che di sicuro non trova piacevole. L’uomo rimane scioccato dalla sua reazione; non era mai stato difeso, e in cambio consiglia ai due di fare un certificato che attesti che Enzo è pazzo (solo un uomo non sano avrebbe difeso un funzionario che vuole sfrattarli) in modo che gli venga prolungato l’affitto. Si recano quindi dalla psichiatra; ma nello studio della donna è Enzo a fare domande ed ascoltare i problemi della dottoressa, che si rende conto che lui è perfettamente sano e ha solo colpito la testa, cosa che gli ha provocato un’amnesia parziale. La psichiatra prescrive invece un calmante alla moglie di Enzo. Durante il ritorno a casa, Enzo vuole fermarsi al bar a prendere una birra, come di prassi nella sua vecchia vita; Teresa gli risponde con nervosismo notando la sua calma di fronte ai tanti problemi che hanno, ma alla fine lo fa scendere dall’auto, rassegnata. Al ritorno a casa, la portiera le regala una torta per Enzo, dicendo che da quando è tornato le sembra un santo.

Nel frattempo, Fabiola informa il marito di ciò che ha detto Enzo su di lui appena tornato; senza perdere tempo, Igor si diri-

ge verso il bar per affrontarlo. Il proprietario del bar, consapevole di ciò che sta per accadere, e intento a gestire un nuovo cliente importante, chiede a Enzo di bere la sua birra fuori.

Novella, la figlia di Enzo, e Mirko, il suo fidanzato, si trovano al parco per il ‘lavoro’ di Mirko. A un certo punto, arriva un messaggio al fidanzato di Novella: “digli alla pischella tua che me dispiace … ma la devo fa orfana”. Igor è il capo di Mirko, i due fanno entrambi gli spacciatori; Mirko si offre di parlare a Igor per cercare di placarlo, ma Novella è contraria: pensa che a suo padre “due schiaffi” servano per farlo svegliare.

Igor arriva al bar con il suo cane e una banda di amici, e chiama a gran voce Enzo che subito risponde e gli va incontro; l’uomo è arrabbiato e pronto ad affrontarlo, ma Enzo si rivolge a lui in maniera pacata, dandogli consigli, accarezzando il cane e citando Pascoli quando lui lo minaccia: “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Igor, sconvolto dalla sua reazione, si accascia a terra, mentre un cliente del bar condivide sui social il video di tutta la discussione, che in pochi giorni diventa virale, finendo persino al telegiornale.

Tornato a casa, però, Novella accoglie il padre arrabbiata, dicendo che le sta rovinando la vita (dato che ha umiliato il capo del suo ragazzo). Quando la madre lo difende, le ricorda che lui è sparito per mesi lasciandole sole e senza soldi; le dà quindi un ultimatum: o lei o lui. Teresa non sa cosa rispondere, e la figlia se ne va. Anche Teresa è arrabbiata con Enzo, e gli ordina di togliersi la tunica, abito chiamato in realtà

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Regia: Laura Muscardin di Laura Muscardin

‘mundu’, come corregge Enzo; le chiede poi se può preparargli una carbonara. Teresa si stupisce che la sua gastrite cronica sia improvvisamente scomparsa, ma mentre lo insulta sul viso le appare un sorriso leggero.

Mentre Enzo dorme, Teresa trova nella sua giacca la foto di un uomo, vestito come suo marito.

EPISODIO 2 - MEGLIO N’ASINO BONO CHE UN CAVALLO ZOPPO

Una donna, di vestito e atteggiamento elegante, va a cercare Enzo a casa, ma non lo trova; paga allora la portinaia per dirgli dove potrebbe essere andato e lei le indica il bar dove Enzo si reca puntualmente alle sei per la sua ‘biretta’.

Enzo invece, è dalla sua vecchia datrice di lavoro, Rosa, a richiedere il suo vecchio posto di riparatore di antenne assieme alla moglie, che la prega di riassumerlo. Rosa alla fine accetta ma d’ora in poi lo pagherà la metà.

Intanto la donna aspetta Enzo al bar, dove viene trattata con rispetto e riverenza, lasciando tutti a bocca aperta al suo passaggio.

Enzo riinizia il suo vecchio lavoro; l’uomo che ha bisogno gli si ripari l’antenna è un giocatore d’azzardo, che, dopo aver chiesto ad Enzo di scegliere lui il cavallo su cui scommettere, punta ogni cosa che ha su questo. L’uomo chiede poi ad Enzo di aggiustargli l’antenna perché la corsa inizierà a breve; ma Enzo, salito sul terrazzo, si accorge che l’antenna oscura la vista dal panorama; così, decide di smontarla, per poi mostrare al suo cliente tutte le cose che ora può guardare da lì.

In ospedale, Igor tenta nuovamente di essere prepotente con un signore anziano, ma subito si sente male; il medico gli ha prescritto, infatti, un confronto ‘pacifico e delicato’. L’uomo non si sente ancora in forze per riprendere

il suo “lavoro”, e assegna il compito a Mirko, il fidanzato di Novella. Dovrà andare lui a scaricare la “roba”; Igor e Fabiola gli assicurano che non sarà pericoloso, ma Mirko ci crede poco e Novella decide di accompagnarlo.

Mentre Enzo è al lavoro, Teresa si reca dal macellaio; ma invece di prendere la bresaola che le piace tanto, ordina due etti di mortadella, salume preferito del marito. Il macellaio, che da tempo ci prova con lei e che in assenza di Enzo le offriva la bresaola, capisce che Teresa ha scelto nuovamente il marito e non lui, e si ritrova costretto, con un’ombra di delusione sul viso, a garantire a Teresa che sono solo amici.

Tornato a casa, Enzo scopre da Teresa che è stato licenziato; senza capirne il motivo, si offre di chiedere scusa al cliente, ma Teresa glielo impedisce; sarà lei, ancora una volta, che sistemerà le cose. Prima di uscire di casa, dopo averlo guardato per un po’, gli chiede che cosa gli sia successo in questi mesi; Enzo risponde che crede di essere finalmente diventato sé stesso. Anche Enzo esce, per la solita birra delle sei. Al bar viene accolto con un caldo applauso, e l’elegante signora, che lo attende dalla mattina, si avvicina a lui: vuole offrirgli un lavoro nel mondo dello spettacolo. Enzo però non è interessato, e rifiuta con un sorriso. In quel momento il volume della radio viene alzato: è in atto la corsa dei cavalli. Barbarossa, il cavallo scelto da Enzo quella mattina stessa a casa del suo cliente, è ultimo, ma Enzo, con fare sicuro, dice a tutti che sarà lui a vincere, per poi uscire dal locale. La corsa finisce in pochi minuti: Barbarossa ha recuperato tutti ed è arrivato primo. Ancora una volta Enzo lascia tutti senza parole.

Teresa, arrivata dal cliente di Enzo, gli chiede se può mette-

re una buona parola su di lui in modo che venga riassunto; ma l’uomo, intento a cercare un negozio che venda un binocolo, si rifiuta: pensa infatti che il lavoro adatto ad Enzo non sia quello di riparare parabole. Egli è una persona speciale, che gli ha aperto un nuovo mondo, quello dietro alla sua parabola.

Jacqueline, la misteriosa signora vestita con classe, cerca Enzo in tutto il quartiere, e lo ritrova seduto su una panchina con la sua birra in mano; crede lui abbia qualcosa di particolare, qualcosa che il mondo vede in lui, e lei ha il modo giusto di venderlo. Gli promette moltissimi soldi in cambio, e, nonostante all’inizio Enzo sia titubante perché ha promesso alla moglie che tornerà “normale”, alla fine accetta e firma il contratto.

EPISODIO 3 - OSCIO C’È

Enzo, una volta a casa, comunica alla moglie la sua scelta di entrare nel mondo dello spettacolo; Teresa non ne è molto convinta, ha paura possa essere una fregatura, e cerca di contrattare con Jacqueline. Alla fine, arrivano a un accordo: Enzo farà un’intervista “a nome del popolo” pagata 600 euro.

L’intervista si tiene al bar, dove la confusione è molta: Stefa-

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no, il proprietario vende biglietti per assistere al debutto di Enzo, mentre Enzo viene truccato per sembrare povero, e i suoi amici del bar lo pregano di comunicare in tv tutti i problemi che ci sono nel quartiere. Jacqueline, però, lo obbliga a dire ciò che vuole lei: dovrà raccontare che è nato povero, che ha vissuto in periferia e che ha trovato la spiritualità in India, nonostante nessuna di queste cose sia vera.

Nel frattempo, Mirko e Novella si muovono in motorino per incontrare i ‘colleghi’ di Igor. Questi però, consapevoli della situazione salutare di Igor, dopo aver preso i soldi datigli da Mirko, si tengono anche ‘la roba’. A quel punto interviene Novella, che dopo aver discusso inutilmente, ruba la sacca con dentro l’erba.

Enzo, soprannominato “Il santone” o “Oscio”, inizia l’intervista; insieme alla giornalista che gli pone le domande, c’è l’Onorevole Del Bosco. Quest’ultimo prende immediatamente Enzo in antipatia e comincia ad attaccarlo; Enzo, nonostante ciò, racconta la storia che Jacqueline ha costruito per lui, aiutato da un amico che tiene in alto una lavagnetta con le parole chiave da ricordare. Ma presto l’equilibrio creatosi si spezza: l’amico di Enzo, messo in soggezione dalla telecamera, lascia la sua postazione, e Enzo dimentica tutto ciò che doveva dire. Jacqueline, accortasi che Enzo sta per rivelare che la storia era tutta una sua invenzione, stacca un cavo, e

la trasmissione si interrompe per qualche minuto, lasciando spazio a un inviato che trasmette l’incontro con uno spacciatore: un vicino di casa va a suonare, e sulla porta appare Mirko, seguito da Novella, che appena si accorge della telecamera la chiude. Teresa si alza di scatto per correre a casa del fidanzato della figlia; quando arriva però, Mirko sta avendo un attacco di panico e Novella prega la madre di aiutarlo. Intanto, la trasmissione torna in onda: Enzo è di nuovo sé stesso, e risponde all’Onorevole con le sue battute pronte, sempre in maniera pacifica. Questi, irritato dal suo modo di fare, gli dà del pagliaccio, e lo insulta quando Enzo parla delle problematiche romane suggeritegli dagli amici in precedenza, fino al punto di lasciare la trasmissione ancora in onda. Tutti gli amici di Enzo esultano e lo acclamano, battendo le mani e ripetendo a gran voce il suo nome.

A casa di Mirko, Teresa riesce a calmarlo e a farlo uscire dal bagno all’interno del quale si è chiuso da tempo. Novella resta sola col fidanzato, che si riposa nel letto, mentre lei fuma una sigaretta sul terrazzo; in quel momento vede il padre camminare lungo la strada seguito da alcuni furgoni che puliscono la via, con le luci puntate su di lui; è una trovata pubblicitaria di Jacqueline e Novella registra subito un video.

EPISODIO 4 - LA GENTE NON STA BENE

A casa Baroni, Teresa e Enzo non sanno come gestire il fatto che Novella sia fidanzata con uno spacciatore; Teresa chiede a Enzo di farle un discorso al riguardo, ma quando Novella esce dal bagno gridando perché la doccia è fredda, il padre, al posto di sgridarla, la invita a fargli conoscere Mirko.

Nel centro di riabilitazione, Igor decide di intraprendere un

percorso con una psicologa per imparare ad essere meno irascibile; durante la prima seduta, la moglie, su richiesta della psicologa, racconta che Igor ha avuto come esempio il padre, che si arrabbiava sempre finendo persino col lanciare sedie. Nel mentre Igor vede tra i pazienti qualcuno che conosce: è l’Onorevole Del Bosco. In una pausa caffè, Igor e l’Onorevole si ritrovano a parlare, e si raccontano come sono finiti lì, entrambi umiliati da un uomo vestito con una tunica; a un certo punto capiscono che stanno parlando della stessa persona: è stato Enzo a farli finire nel centro riabilitativo.

Intanto, Jacqueline fa visita a Enzo: gli dice che i suoi video sono già diventato virali, ma questo non basta perché nel mondo di Internet c’è bisogno di qualcuno di famoso che possa essere un aggancio per farlo conoscere in modo ancora più esteso; Enzo non sa chi potrebbe essere la persona adatta, e Teresa chiede a Jacqueline del tempo per pensarci. Jacqueline cerca quindi di convincere Pietro, abituale cliente del bar che frequenta Enzo, di metterla in contatto con Antonella Clerici, che Pietro dice essere una sua ex, ma lui rifiuta; Jacqueline, allora, chiama lei stessa Antonella inventandosi una scusa per incontrarla: le dice che c’è un suo fan in punto di morte che vorrebbe un’ultima cosa, parlare con lei. Antonella accetta, e Jacqueline trova subito la persona adatta: Carletto, assiduo frequentatore del bar, senzatetto e tossicodipendente.

Teresa e Enzo incontrano Mirko, che ammette di fare ‘consegne light col motorino’, ma senza mettere di mezzo la loro figlia; mentre Teresa lo rimprovera e lo minaccia di allontanarlo da Novella, Enzo lo giustifica e cerca di essere comprensivo. Teresa chie-

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de a Enzo di discuterne in privato, e Enzo cerca di convincere la moglie a dare una possibilità al ragazzo, che sembra poco sveglio ma pare essere anche buono; in più lui e Novella gli ricordano proprio loro due, lei incredibilmente sveglia e decisa, e lui un po’ tonto ma gentile e sincero. Teresa alla fine cede, ma chiede comunque a Mirko di parlare con sua madre. Così, Teresa si reca a casa sua: la madre di Mirko le chiede che cosa ha combinato suo figlio stavolta; lei, infatti, non era presente a casa, perché ha passato gli ultimi tre mesi in carcere. Teresa, nonostante lo stupore, cerca di dirle che il figlio dovrebbe trovarsi un lavoro vero, ma la madre di Mirko la rassicura subito: parlerà con lui per dirgli di allargare il giro in modo da fare più soldi e assicurare un futuro alla fidanzata. Intanto Novella decide di scappare da un’amica e invita Mirko a venire con lei. Lui, anche se all’inizio è titubante perché ha paura di essere arrestato (difatti Novella è minorenne), alla fine si lascia persuadere.

Jacqueline, nel frattempo, ha organizzato tutto per il collegamento con Antonella Clerici: Carletto è pronto per fingere di essere in punto di morte, Pietro e Stefano sono a fianco a lui, così che Antonella, vedendo la faccia conosciuta di Pietro, si rassicuri; presto dovrebbe arrivare Enzo per l’appuntamento con gli amici della biretta e così, davanti ai numerosi ascoltatori della presentatrice, diventerebbe ancora più famoso. La diretta inizia, ma nulla va come Jacqueline si era prospettata: Carletto non sembra malato e Pietro non viene riconosciuto da Antonella, che pensa sia una candid camera.

Teresa, rientrata a casa, si accorge che manca la figlia, il suo zaino e i vestiti; avverte subito Enzo, che avrebbe dovuto control-

lare lei e Mirko, e costringe il marito, che vuole andare a prendere la sua biretta delle sei, a cercare la figlia nel parchetto dove di solito si rifugia con il fidanzato. È lì che Jacqueline sta girando la diretta, e Enzo entra per sbaglio nel campo della telecamera; Antonella lo riconosce immediatamente, ma Enzo le smorza l’entusiasmo complimentandosi con Jacqueline per aver trovato un personaggio famoso a cui rubare gli ascoltatori, per poi essere tirato via dalla moglie. Antonella stacca subito la diretta, e Jacqueline si mette le mani tra i capelli.

Proprio mentre sono sul punto di scappare, Teresa e Enzo trovano Novella e Mirko che stanno per partire, e li fermano; Novella si rifiuta di tornare a casa, ma Mirko la incoraggia dicendo che un modo per stare insieme lo troveranno comunque. A quel punto Enzo ha un’idea; far venire Mirko a casa loro, in modo da supervisionarli ma senza dividerli. A casa, Enzo cerca di baciare Teresa, e ricorda i bei momenti con lei, ma la moglie lo ferma e lo obbliga a dormire con Mirko sul divano, consapevole che vorrà andare dalla figlia durante la notte. Mirko rinuncia ad andare da Novella, e nella casa scende il silenzio.

EPISODIO 5 - THE BARONEZ

La famiglia Baroni, grazie a un’idea di Jacqueline, si ritrova seguita dalle telecamere 24h/24: l’imprenditrice ha infatti deciso di fare un documentario sulla vita di Enzo. Già il primo giorno, però, Enzo non potrà occuparsi del programma perché ha promesso alla signora Maria, la portinaia, che per il 60esimo anniversario di matrimonio della donna e del marito, in coma ormai da tempo, dovranno ritrovare la torta che comprava sempre l’uomo, in un posto che però conosce soltanto lui. Jac-

queline chiede a Enzo di spostare l’appuntamento, ma lui è irremovibile; così lo segue fino in bagno urlandogli dietro che deve fare come dice lei, e Teresa interviene riprendendola: non è lei la moglie. Intanto Teresa è presa dalla coppia che ormai vive con loro: ordina a Mirko e Novella di sistemare ogni cosa e gli vieta di fare sesso in casa. Mirko piega i suoi vestiti in modo perfetto e Teresa, sorpresa, si complimenta con lui.

Nel frattempo, Enzo, seguito dal cameraman e dalla giornalista, inizia la ricerca insieme alla signora Maria; ma proprio mentre sta aprendo la portiera, Carletto li raggiunge, dicendo che ha bisogno di un supporto per non andare a derubare le vecchie, dato che non ha soldi ed è in astinenza. Così, i tre partono con la vecchia macchina della signora Maria, e arrivano alla prima pasticceria. Lì, assaggiano la torta, che anche se assomiglia a quella giusta, ha un gusto diverso; mentre i tre sono dentro il negozio, Jacqueline paga dei ragazzini per bucare le ruote della macchina, in modo da interrompere il viaggio. Quando la signora Maria vede le ruote bucate vuole rinunciare all’impresa, ma proprio in quel momento, un cameriere si avvicina a loro: sa di che torta parlano e sa anche dove si trova; dovranno dirigersi a Torremaura. Per giungere al posto indicatogli dal cameriere, Enzo, Carletto e Maria devono attraversare un parchetto; Carletto però, quando ar -

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rivano al cancello, si comincia ad agitare: è in quel parchetto che ha iniziato a drogarsi abbandonando il sogno di diventare dottore. Enzo lo prende a braccetto ed entrano insieme, e tutti e tre si incamminano verso la panchina dove Maria e il marito erano soliti sedersi. A un certo punto, mentre sono seduti uno a fianco all’altro, la signora Maria tira fuori un fischietto e rimprovera un ragazzino che ha fatto cadere una carta per terra; anche Enzo vuole provare ad attirare l’attenzione di qualcuno: fischia quindi a un ragazzino, a cui, anziché sgridarlo, consiglia con un sorriso di godersi la vita. La signora Maria invita anche Carlo a usare il suo fischietto, e lui si rivolge a un ragazzo seduto vicino a un albero che invece di studiare usa il telefono. Carlo gli urla di studiare anziché perdere tempo con il cellulare, e di allontanarsi da quel parco che potrebbe portarlo sulla cattiva strada, come è successo a lui. Enzo, dopo lo sfogo, lo porta via con calma.

Frattanto, i cameramen sono arrivati a casa di Fabiola e Igor; Fabiola vuole raccontare cos’è successo quel famoso giorno in cui Igor si è accasciato a terra davanti alle frasi pronte di Enzo. Comincia a dire che Enzo non ha fatto niente, ma in quell’istante Igor entra in casa e l’intervista la continua lui: come stava dicendo la moglie, non è stato Enzo a fargli qualcosa, ma lui a inciampare per poi cadere.

A Torremaura, i tre compagni di avventura si fermano a guarda-

re una partita di basket, e quando i ragazzi smettono di giocare, Maria racconta che lì vicino c’era una balera dove andava a ballare con suo marito. Enzo allora le prende la mano e la porta al centro del campo, e insieme danzano al ritmo di una canzone intonata da Enzo (Rimani) e accompagnati da una palla da discoteca che Carlo fa girare sulle loro teste.

Alla fine, arrivano all’indirizzo indicato dal cameriere, ma al posto della pasticceria trovano una lavanderia gestita da una ragazza di origine cinese, che invece della torta gli offre dei biscotti della fortuna. Enzo li paga a tutti e tre, e insieme li aprono: su quello di Enzo c’è scritto che andrà tutto bene, e lui decide di regalarlo a Carletto. Maria nasconde il suo con un sorriso e non rivela la sua frase fortunata. Carletto è abbattuto dalla ricerca, che si è conclusa in un nulla ma Enzo, sorridendogli, gli dà 20 euro: sa cosa deve fare. Il primo impulso di Carlo è andare a comprare il crack; ma quando sta per dare i soldi allo spacciatore, vede il ragazzo di prima che lo saluta, e si allontana sorridendo.

Enzo e la signora Maria sono tornati al bar di Stefano, dove la donna ordina quattro shottini di tequila. Mentre sta bevendo, irrompe nel bar Carletto con una notizia: grazie a Enzo è successo un miracolo. Infatti davanti alla porta della portinaia c’è una torta con sopra disegnata una palma, esattamente come la ricordava la signora Maria; Enzo e Carlo si siedono a tavola con lei, che quando assaggia la torta rivela che è proprio quella del marito. Nessuno, a parte Enzo e Carletto, sa che in realtà la palma l’ha disegnata Carletto, su una confezione della torta di una pasticceria vicina. Nel mentre i cameramen sono andati nella stanza dell’uomo che però non c’è. La signora Ma-

ria dice che ormai è in cielo, ma un sorriso le incornicia il volto, e Enzo e Carletto si domandano il perché. Quando se ne vanno, la signora Maria lascia sulla foto del marito il suo biglietto della fortuna: in esso sono stampate le parole “Non sarai mai sola”.

I cameramen chiedono ai famigliari, agli amici e a tutti quelli che conoscono Enzo, chi è secondo loro: Jacqueline dice che una persona unica, mai vista, la figlia pensa sia un cretino, Maria lo chiama santo, Igor un morto che cammina, per Carlo è ‘er mejo’. Il conduttore del programma si chiede quindi chi sia, se nessuna di queste cose, o forse tutte quante insieme. Di sicuro è qualcuno che si occupa degli ultimi, degli anziani, dei deboli. È un capobranco.

EPISODIO 6 - ‘NAM’ A STE

A casa Baroni, Mirko e Enzo continuano a dormire insieme sul divano; una di quelle mattine, Mirko, svegliatosi presto, scrive una canzone rap per ringraziare i due coniugi per l’ospitalità. Enzo gli fa i complimenti, e lo invita poi a svegliare Novella per portarla fuori a colazione. Mirko non è convinto, sa che Novella non ama svegliarsi presto, ma alla fine cede e Enzo rimane solo con Teresa. Dopo aver infilato nel braccio la sua cintura da antennista, si dirige ammiccante da Teresa che sta facendo le pulizie; ma lei lo rifiuta, dicendogli che ha troppe cose da fare. Enzo allora si veste per andare da Jacqueline, che sta pensando, assieme ad un designer, a come ristrutturare la casa, dato che ora, grazie ad Enzo, può permetterselo. Il designer riconosce subito Enzo e gli chiede una foto assieme; Jacqueline lo manda via subito dopo, e lei ed Enzo rimangono insieme a mangiare. Enzo però non ha fame; nonostante tutti lo cerchino e gli chie-

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dano foto, l’unica persona di cui vorrebbe le attenzioni, cioè sua moglie, lo tiene a distanza; vorrebbe quindi prendersi una pausa dal personaggio che è diventato, il ‘Santone’. Jacqueline gli dice che facendo delle indagini ha scoperto il flirt tra Teresa e il salumiere, Flavio, durante i mesi d’assenza del marito; poi si avvicina a lui e, mentre gli pulisce la bocca, gli dice che si merita di meglio.

Stefano, intanto, ha aperto un merchandising con oggetti riguardanti Enzo; quando incontra la signora Maria, le mostra le magliette con su la stampa dell’amico, e le dice che oltre a quello stanno facendo lavori per migliorare il quartiere; la donna allora, decide di donargli i soldi che lei e il marito avevano messo da parte. Non vuole più darli alla chiesa, del cui sacerdote non si fida.

A casa di Enzo e Teresa, Mirko si sta ambientando sempre di più all’interno della famiglia: Teresa gli insegna a stendere la massa per i tortellini e intanto Novella assiste, senza sorridere. Suona il telefono di Mirko; gli è arrivato un messaggio da parte di Igor che ha deciso di dargli l’occasione di fare il ‘salto di qualità’. In realtà, Igor si è accordato con l’Onorevole per ingannare Mirko e quindi umiliare l’intera famiglia Baroni. Novella, appena vede il messaggio, prende l’erba e va al parchetto indicatole. Dopo aver finito di cucinare, con il sorriso sul viso per i complimenti di Teresa, Mirko ascolta il messaggio vocale del suo capo, e subito corre al parchetto dove Novella sta cercando di spacciare e le parla: ora è cambiato, non sente più il bisogno di guadagnarsi i soldi così. Ma Novella non è felice del suo cambiamento, vuole un uomo che sappia prendere in mano le situazioni, e vuole fare tutto ciò che sognavano insieme, diventare importanti nel ‘commercio’, scappare dalla sua

famiglia. Mirko allora le promette che sarà così, ma mentre l’abbraccia le ruba l’erba dalla borsetta e la sparge per terra. Il piano di Igor, appostato a pochi metri col binocolo, va in fumo, e Novella dice a Mirko che non lo vuole più vedere.

Nel frattempo, Enzo va a parlare con Flavio, che ammette che gli piace Teresa da sempre, ma che lei, anche quando lui è sparito, è rimasta innamorata di lui. Infine, Enzo gli chiede cos’abbia Teresa ultimamente, e Flavio, dopo avergli risposto che non lo sa, lo avverte che da un giorno a un altro potrebbe finire come Pietro. Enzo non sa niente di cosa sia successo al suo amico; parla quindi con Stefano, che gli spiega che dalla diretta con Antonella Clerici non si è più fatto vedere.

Flavio, per stemperare la rabbia, si reca in chiesa per farsi confessare dal sacerdote che in quel momento sta pregando davanti alla croce per ricevere più soldi dalle signore anziane. Flavio, dopo una generosa offerta voluta dal prete, confessa di desiderare la donna d’altri, e in particolare quella di Enzo Baroni; don Lauro capisce subito di chi sta parlando: la signora Maria ha donato alla sua associazione ‘Miracolo a Centocelle’ anziché alla chiesa. Ma Flavio conosce bene la signora Maria: è sua zia, e pensa che Enzo la stia fregando. Confessa allora che gli stanno venendo brutti pensieri in merito, e il parroco, in tutta risposta, gli ordina di usarli.

Enzo invece arriva a casa di Pietro, che trova aperta: non ha più la serratura. Sua moglie, infatti, gli ha ridato le chiavi e lui ha rotto la serratura, così se decide di tornare potrà farlo. Enzo si mette a fianco a Pietro, seduto su una sedia al centro del salotto, e quest’ultimo racconta di sua moglie, e dei rimpianti che ha al riguardo; anche Enzo gli dice che

tra lui e Teresa le cose non vanno bene, e Pietro decide di regalargli una piccola aspirapolvere che funziona con un telecomando, e che magari potrebbe fargli avere più tempo da spendere insieme. Enzo, tornato a casa, la fa vedere a Teresa, che sorride, e quando la bacia, viene ricambiato.

Intanto, Igor, l’Onorevole, Flavio e don Lauro, si sono riuniti per vendicarsi di Enzo.

EPISODIO 7 - PIJAMOSE IL CAMPIDOGLIO

È arrivato il giorno del compleanno di Enzo; mentre ‘Oscio’ sta facendo le sue sedute ai vari abitanti del quartiere, che fanno la fila dietro la sua porta di casa per farsi dare consigli, Novella arriva fulminea al suo bancone, chiedendo il motivo per cui non hanno soldi per lei, se poi suo padre si prenota per il compleanno un attico sul Colosseo. Enzo, però, non ne sa niente; è stata infatti Jacqueline a prenotarlo.

Teresa non è entusiasta della sorpresa di Jacqueline, e le spiega che loro festeggiano ogni anno nell’osteria sotto casa, “Strozzaprete”. Enzo però dà ragione a Jacqueline, che ormai ha prenotato, e lei convince anche Teresa quando le dice che inviterà molta gente famosa, tra cui i due candidati a sindaco di Roma: se Enzo darà il suo endorsement a uno dei due, sposterà tutti i voti di Centocelle, e Jacqueline e la famiglia ne beneficeranno.

Enzo distribuisce quindi gli inviti alla festa agli amici del bar: ha però soltanto dieci inviti, e

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dopo averli dati ai suoi tre compagni più fidati, Carletto, Stefano e Pietro, assegna a loro il compito di spartire i restanti sette, non volendo offendere nessuno. Stefano accetta volentieri, e si mette a vendere i biglietti a prezzi carissimi.

Jacqueline è pronta per la festa: si presenta a casa di Enzo con un tubino nero ornato di seta rossa, e un perfetto trucco indiano; il tema della serata è infatti ‘lusso India’. Jacqueline distribuisce i vestiti ai componenti della famiglia: una stola di seta verde per Enzo e un vestito argentato per Novella. Teresa chiama in quel momento, per dire che arriverà in ritardo perché ha dei problemi al lavoro. Novella, quando vede com’è vestito il padre, decide di vestirsi con pantaloncini e felpa: se lui si veste in modo ridicolo non ha paura di essere libera di farlo anche lei. Arrivati alla festa, Jacqueline presenta Enzo agli invitati, amici di Jacqueline e personaggi importanti del mondo dello spettacolo e della politica.

Frattanto, Teresa è arrivata a casa, ma ad aspettarla davanti alla porta trova Mirko, che la prega di ascoltarlo. Teresa gli dice che non ha tempo e gli chiede di passare il giorno dopo, ma Mirko le rivela che il giorno dopo non ci sarà, perché ha deciso di uccidersi: senza Novella non ce la fa. Teresa allora cerca di calmarlo,

e prepara un caffè per entrambi, mentre Mirko le elenca le cose da dire ai suoi cari; quando Teresa si allontana per indossare il suo vestito, Mirko si chiude nella stanza di Novella per prepararsi un ‘cocktail letale’.

I candidati a sindaco di Roma cercano di convincere Enzo a schierarsi ciascuno dalla propria parte, dando le stesse motivazioni e dichiarando le medesime idee di riforma, ma Enzo non è convinto di nessuno dei due e decide di aspettare per parlarne con sua moglie. Quando torna in pista, si ritrova a ballare con Jacqueline; a un certo punto, Jacqueline lo bacia. Enzo inizialmente ricambia il bacio, ma poi allontana la donna; è però troppo tardi: molti ospiti hanno già scattato più foto del prorompente gossip.

A casa Baroni, Mirko minaccia ancora di uccidersi, e Teresa cerca di chiamare Enzo per chiedergli aiuto, ma lui non risponde; decide quindi di telefonare a Flavio, che le risponde subito e si precipita da lei. Flavio era in questura, pronto a denunciare Enzo, come secondo il piano di Igor e i nemici di Enzo; ma decide di abbandonare la vendetta, e Igor e l’Onorevole si ritrovano soli nell’attuare il loro piano vendicativo. La loro denuncia inizialmente viene respinta, in quanto non sono parenti o diretti interessati, ma alla fine l’Onorevole convince il poliziotto a trovare un modo per attuarla. L’uomo chiama uno dei due candidati a sindaco, dicendo che uno del suo partito, l’Onorevole, ha portato una denuncia a nome di Enzo Baroni. Il candidato risponde che Enzo non si tocca finché non sceglie per chi votare.

Intanto Novella, annoiata e ferma a braccia conserte ai margini della festa, si ritrova a parlare con il cantautore di una canzone che suo padre le cantava sempre, “Gattomatto”, e lui si offre di suo-

narla solo per lei. Novella ricorda quando era piccola e con la sua famiglia era tutto più semplice, e appena vede il padre lo abbraccia, ringraziandolo per la bella sorpresa.

Flavio è arrivato a casa di Teresa e parlando con Mirko, riesce a farlo uscire dalla stanza. Gli fa poi un discorso sull’amore: amare è una fortuna, e un modo di stare vicino alla persona amata si trova sempre, anche se si continua a stare male perché magari sta con un altro. Mentre parla, guarda Teresa.

Nel frattempo, alla festa, Jacqueline ha fatto portare dei carboni ardenti per mostrare a tutti le capacità di Enzo; mentre il Santone ci cammina sopra, gli tornano in mente dei ricordi degli ultimi mesi. Enzo riesce ad arrivare alla fine dei carboni, e viene applaudito dalla folla. Quando la festa finisce, Jacqueline rimane da sola con Enzo, che prova a baciare; ma lui rifiuta, dicendo che ha un problema con i piedi, ancora doloranti e rossi. Enzo vuole rimanere da solo a riflettere, e Jacqueline se ne va.

EPISODIO 8 - OSCIO S’È ROTTO

Il giorno dopo il compleanno di Enzo, Teresa gli medica i piedi pieni di bruciature, e gli dice che è fiera di lui e che si fida; Enzo, intanto, colmo di sensi di colpa, cerca di dirle quello cosa è successo alla festa, ma in quel momento arriva Novella che lo ringrazia: grazie a una foto postata con lui, i suoi followers su Instagram sono aumentati a livello esponenziale. L’aspirapolvere regalato da Pietro a Enzo gira per la casa sbattendo ovunque; pare ci sia qualcosa di rotto e Teresa gli chiede di ripararla. Enzo, rimasto solo a casa, cerca di aggiustare il piccolo regalo che aveva fatto a Teresa, e nel mentre lo chiama Jacqueline: dopo il discorso che farà a

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favore di uno dei candidati, vorrebbe passare del tempo con lui. Enzo riattacca il telefono con una scusa e l’aspirapolvere ricomincia a girare per la casa, impazzita. Enzo decide quindi di portarlo a riparare, e si reca da Rosa, la sua vecchia datrice di lavoro, che sa chi contattare per sistemarla. Rosa però, gli consiglia di sostituirlo con uno nuovo: ormai quando si rompe qualcosa, questa viene immediatamente sostituita con un oggetto più nuovo. Ma Enzo ci tiene a riparare quello e Rosa gli consiglia di portarlo al negozio di Pasqua Lee. Quando arriva da Pasqua Lee, lo convince ad aggiustare subito l’aspirapolvere.

Nel frattempo, Stefano, Pietro e Carletto, brindano all’associazione per Enzo “Miracolo a Centocelle”, che ha fatto un enorme successo: hanno venduto tutto il merchandising. Stefano propone di investire tutti i soldi guadagnati in nuovi prodotti; Pietro e Carletto non sono convinti e ricordano che l’associazione è nata per migliorare il quartiere. Il bar, nel frattempo, viene sistemato per il discorso di Enzo; in poco tempo arriva Jacqueline, e, mentre ordina un caffè, entra nel bar Pietro con trenta copie della rivista del giorno: in prima pagina, c’è una foto di lei ed Enzo che si baciano. Jacqueline ordina subito di bruciare tutte le copie: se le vede Teresa è tutto finito. Proprio in quell’istante riceve una chiamata da Teresa: Enzo è scomparso. All’entrata del bar, un gruppo di persone sta attendendo l’arrivo del Santone, ma tutti stanno cominciando a spazientirsi; un segretario di un candidato, avverte che se non arriverà Enzo, sceglieranno un altro per fare l’endorsement. Teresa irrompe nel bar e sgrida Jacqueline per aver procurato un’ustione di secondo grado al marito, e per averlo perso essendo la sua agente.

Enzo è ancora da Pasqua Lee, che ha finito il suo lavoro: l’aspirapolvere però non è aggiustato, e Pasqua Lee narra a Enzo di una dottrina giapponese secondo cui gli oggetti avrebbero un’anima; a volte non sono loro ad essere rotti, ma i loro proprietari. Quindi, per aggiustare l’aspirapolvere, Enzo dovrà prima aggiustare sé stesso: è lui che è guasto. Mentre esce dal negozio, Enzo incontra Igor: anche lui deve aggiustare un oggetto per sua moglie. Enzo gli spiega allora ciò che gli ha fatto capire Pasqua Lee: l’unico che può aiutarlo è lui stesso. Igor torna a casa, e decide di provare a fare l’amore con sua moglie Fabiola, anche se è tanto che non ci riesce più; lascia cadere l’oggetto erotico di Fabiola e la bacia, dicendole che è bellissima.

Enzo, camminando per le strade di Centocelle, si imbatte nella buca dove si è ritrovato steso cinque mesi dopo la sua scomparsa, e in quel momento ha un flashback: si ricorda di un ragazzo, di origine indiana.

Al bar, nel frattempo, la folla chiama a gran nome Enzo, e Teresa, mentre aspettano, va in bagno, dove trova una copia della rivista con su stampata la foto del bacio tra Enzo e Jacqueline; lascia subito il bar, e mentre torna a casa, incontra Enzo che dopo aver visto la rivista, cerca di giustificarsi, dicendo che non è successo niente e chiedendole di spiegarsi. Ma Teresa si allontana: non c’è niente da spiegare. Poco dopo lo raggiunge Jacqueline, che gli consiglia di non preoccuparsi, perché le donne dimenticano e perdonano, e ora ha altro a cui pensare: deve concentrarsi sul discorso. Ma Enzo non è della sua stessa opinione: non pensa che vent’anni di matrimonio possano essere qualcosa da rimandare. Si sentiva speciale e ha capito di non esserlo. Jacqueline gli risponde che invece lo è,

e che ora devono andare a tenere il discorso: dovrà dire che sta con Martoni, che gli ha promesso un sacco di soldi. Enzo però non la segue: non sa più chi è e si sente guasto, quindi, non verrà a fare il discorso, perché lui non è ciò che pensano tutti. Jacqueline gli risponde che nessuno è ciò che gli altri pensano, e gli inizia a parlare in dialetto, minacciandolo di distruggerlo così come l’ha creato. Così, mostra la sua reale provenienza: è della periferia di Bari, dove tutti la chiamavano ‘La carica-chiacchiere’, e si è costruita il suo futuro da sola, dato che la sua famiglia non era ricca come le altre. Enzo la interrompe, dicendole che quello che sta facendo gli sembra un discorso da bar; ma Jacqueline, quando la chiama per nome, lo corregge: il suo nome è Cosima Pignatelli. Enzo le risponde che è un piacere conoscerla, e se ne va. Tornata al bar, Jacqueline annuncia che Enzo è scomparso; Martoni, che sta guardando la TV, chiama la questura e ordina di incastrarlo.

Enzo arriva a una panchina, dove aspetta l’autobus; lì lascia l’aspirapolvere autopulente e sale sul bus. Ma l’aspirapolvere continua ad avanzare lungo la strada.

EPISODIO 9 - RITROVARE SÉ STESSI

Enzo si ferma a Poggio Montone, luogo che gli sembra conoscere già; mentre scende, si scontra

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con un controllore, che ha l’impressione di aver già incontrato. Si dirige poi verso una casa, istintivamente. Lì, viene accolto con affetto dai proprietari: sono una famiglia, due genitori e un ragazzo. Quando vede il ragazzo, capisce che è lui che gli era apparso nel flashback qualche giorno prima: dei genitori non si ricorda, ma quando la donna prepara un piatto tipico indiano che piaceva molto ad Enzo, tutto gli torna alla memoria: è lì che ha passato quei lunghi cinque mesi, che l’hanno portato ad essere Oscio, guidato dal nonno della famiglia. Enzo chiede di lui, ma nessuno gli risponde; lo cerca quindi in casa, con un largo sorriso tra le labbra.

Intanto a Centocelle sono in atto delle proteste: Jacqueline, infatti, ha dichiarato pubblicamente che Enzo è stato fatto sparire perché sapeva troppo delle dinamiche politiche. Una folla di persone si lamenta davanti al commissariato, dove gli agenti cercano un modo per incastrarlo. Alla fine, il commissario, accompagnato da un altro poliziotto, Fausto, si reca al bar di Stefano: hanno scoperto che hanno usato i soldi della signora Maria per guadagnarci, anziché per il quartiere; se non vogliono finire sotto processo, devono dare la colpa ad Enzo, dichiarare che è stata tutta una sua idea. Pietro, Stefano e Carletto rifiutano, ma i due poliziotti gli danno comunque un giorno di tempo per ripensar-

ci; in caso contrario, il bar verrà sequestrato.

A casa Baroni, Teresa sta buttando via tutte le cose di Enzo; Novella cerca di difendere il padre, dicendole che forse tornerà di nuovo, e intanto fa una diretta su Instagram. Teresa si arrabbia e le toglie il telefono: prima di spegnere la diretta, dice a tutti di farsi i fatti loro. In quel momento, Jacqueline suona al campanello di Teresa, che apre la porta senza farla entrare, e le consegna tutti i vestiti di Enzo in un sacchetto della spazzatura, dicendo che con loro non vuole più averci a che fare. Quando chiude la porta, Novella le chiede se si stanno lasciando definitivamente, e Teresa non risponde.

Enzo, inconsapevole di tutto ciò che sta succedendo, si trova ancora a Poggio Montone, dove ricorda gli insegnamenti del nonno, il suo maestro, scomparso da poco. Il nonno era stato in silenzio in meditazione per cinque anni, dal momento in cui aveva raggiunto il Nirvana, finché una volta, quando avevano portato a Enzo il pranzo, non gli aveva chiesto un pezzetto. Enzo aveva scoperto che il nonno non era indiano, ma di Spoleto: era lì da dieci anni, e non era il nonno di nessuno. Aveva detto a Enzo che l’aveva ascoltato per tanto, e si sentiva di dirgli una cosa: se vuoi prendere un dolcetto, ti prendi il dolcetto. Alla fine, gli aveva dato il coraggio di tornare a casa, dicendogli che era pronto, ma soprattutto che in quella casa stavano diventando troppi ed era giunto il momento per lui di andarsene. Gli aveva persino fatto un regalo, che però Enzo avrebbe dovuto aprire soltanto a casa. Enzo era quindi andato via, ma mentre si dirigeva verso casa, un ragazzino l’aveva spinto sbadatamente nella buca di Centocelle.

La polizia raggiunge anche Jacqueline, e cerca di convincerla a

confessare il falso, cioè addossare tutta la colpa della truffa ad Enzo, rivelandole di conoscere la sua vera identità. Ma quando l’ispettore la chiama Cosima, Fausto la riconosce: erano vecchi compagni di scuola. Il commissario interrompe il momento di incontro tra i due, minacciando Jacqueline: se non dichiara che è tutta colpa di Enzo, verrà considerata una complice. Ma Jacqueline gli risponde che nonostante tutti i difetti di Enzo, per truffare qualcuno bisogna essere svegli, e lui di sicuro non lo era.

Nel mentre, Teresa porta Novella a mangiare il gelato nel bar dove erano solite andare quando Novella era piccola, e la figlia le racconta che spesso lei e il padre andavano di nascosto a prendere il gelato quando Teresa faceva i turni all’ospedale, e così lei ne mangiava sempre due. Teresa spiega a Novella che quello che le è sempre piaciuto di suo padre era la sincerità e la naturalezza, che invece questa volta non c’era stata, e la figlia le chiede di ascoltare almeno una volta ciò che ha da dire.

Teresa invita a casa sua Flavio, per prendere un caffè e lamentarsi con lui di Enzo, ma il salumiere fraintende e si fa avanti con Teresa, che però gli chiede di allontanarsi, ancora non sa cosa vuole; Flavio allora, anche se ferito dalla reazione di Teresa, le dice che spera solo che non la mettano in mezzo alla storia della truffa, ma Teresa non ne sa niente. Presto però la polizia la chiama, chiedendole di recarsi in commissariato. L’ispettore le chiede subito dov’è suo marito, ma Teresa risponde che non lo sa, e se lo avesse saputo, glielo avrebbe consegnato lei stessa: ormai non le importa più niente di lui. Il commissario insiste, convinto che lei sappia qualcosa, e le ricorda che ha approfittato anche lei della situazione,

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facendosi regalare vestiti di boutique, portare la spesa gratuitamente, e molto altro. L’ispettore le chiede quindi di riversare tutta la responsabilità su suo marito, e dichiarare che lei è soltanto una vittima, ma nonostante Teresa si senta tale, non può aiutarli, perché non sa dove sia suo marito.

Appena Teresa esce dal commissariato, entra Stefano, che, temendo gli venga sequestrato il bar di suo padre, decide di confessare che la truffa è opera di Enzo. L’ispettore chiama Martoni per comunicargli che Oscio è finito.

EPISODIO 10 - OSHOW MUST GO ON

Stefano appare in televisione: una sciarpa, un cappello, e degli occhiali neri gli coprono il volto e la voce è camuffata. Rivela pubblicamente che quella di Enzo è stata una truffa, e che lui come tanti è stato solo una sua vittima. Enzo lo guarda alla televisione e, rassegnato, chiede alla famiglia indiana se può rimanere ancora da loro per qualche mese. Mentre stanno mangiando, a Enzo torna improvvisamente la gastrite.

A Centocelle, intanto, le rivolte per la scomparsa di Oscio si fanno sempre più feroci, e la polizia deve far fronte ad esse in ogni zona; tutti si chiedono dove sia Enzo, sono convinti l’abbiano fatto sparire perché era sincero e quindi scomodo, e la gente minaccia di infervorare ancora di più la massa se non lo fanno tornare.

Mentre Novella torna a casa, i giornalisti la assalgono con le domande, ma improvvisamente arriva Mirko su un motorino, e le porge un casco; Novella sale, e Mirko la porta nel suo parchetto abituale, dove la invita a sdraiarsi su dei cartoni sistemati da lui. I due cominciano a parlare: Mirko dice a Novella che quando era un duro le piaceva, ma lei risponde che non sa più cosa le piace, e Mirko le dice

che è normale sia confusa. Poi, rimangono in silenzio sdraiati uno a fianco all’altra al sole.

Teresa vuole ritrovare Enzo, e mentre cerca tra le sue cose, trova una multa con sopra il luogo e la data di dove è stata fatta: Poggio Montone. Teresa si mette subito in macchina.

Enzo, intanto, racconta ai suoi amici indiani com’è andata quando ha lasciato la casa: mentre pensava a cosa dire alla moglie e alla figlia, gli è venuta la preoccupazione che si fossero dimenticate di lui, che non l’amassero più abbastanza tanto da odiarlo. In quel momento è caduto nella buca, per poi risvegliarsi con i vestiti sporchi e una tunica bianca a fianco. L’aveva allora indossata per poi ripresentarsi alla sua famiglia.

Teresa è arrivata a Poggio Montone; chiede informazioni a un vecchio contadino, che le indica la casa di una famiglia indiana a pochi metri. Teresa entra cautamente in casa, e chiede se per caso hanno visto un uomo alto, con un vestito tipico indiano; sarebbe suo marito. Subito la riconoscono e la chiamano per nome, indicandole poi dove si trova Enzo, che sta riposando nella stanza del nonno. Nel frattempo, però, la polizia ha scoperto che Teresa è sulle tracce di Enzo, e la sta seguendo.

Enzo racconta tutta la storia a Teresa, e quando lei gli chiede come mai fosse rimasto lì così a lungo, Enzo risponde che non era pronto a tornare alla sua vita, e ogni giorno che passava diventava più difficile fare ritorno a casa. Anche per Teresa, però, ogni giorno senza di lui era più difficile di quello prima; se voleva sparire ancora, doveva almeno parlare con la figlia, spiegarle cosa gli passava per la testa. Gli spiega poi che da quando se n’è andato Centocelle è sottosopra; la gente infatti ha bisogno di sperare, ed Enzo gli dava

questa possibilità. Devono quindi tornare, se non vogliono che la situazione peggiori.

La polizia si apposta davanti alla casa, e con il binocolo vede Teresa dalla finestra. Enzo sente da lontano le sirene della polizia, e Teresa lo avverte che stanno cercando loro, ma prima di scappare, Enzo le chiede se lo rivuole indietro: in caso contrario si farà arrestare. Teresa gli dice che sicuramente le cose tra loro non vanno bene, dato che lui ha deciso di portarsi a letto Jacqueline; ma Enzo le risponde che ha solo risposto d’impulso a un bacio, per poi rifiutare cortesemente. Teresa allora gli tira uno schiaffo e poi gli sorride: ha fatto tutto questo casino per un semplice bacio dato d’impulso; Enzo le sorride e Teresa lo perdona con un bacio.

La polizia irrompe in casa, e il ragazzo indiano porta i due fuori dalla porta sul retro mentre il padre distrae gli agenti; il ragazzo gli indica di salire sull’Ape azzurra che hanno in giardino, e Teresa e Enzo scappano via, sfuggendo alla polizia. L’ispettore e il poliziotto, infatti, sbagliano strada, perdendo di vista i due fuggitivi.

Igor, dopo aver visto la dichiarazione fatta da Stefano, corre al bar per scoprire chi ha tradito Enzo: mentre sta per picchiare Pietro e Stefano, entrano Enzo e Teresa nel bar. Igor lo abbraccia, ringraziandolo per averlo aiutato a risolvere il suo problema, ma Enzo gli dice che non ha fatto niente; anche Carletto e Pie-

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tro lo ringraziano per averli ‘aggiustati’. Quando Enzo se ne sta per andare, Igor lo ferma: vuole capire chi è stato a venderlo alle guardie. Enzo si gira e appesi all’attaccapanni vede il cappello e la sciarpa che Stefano aveva usato in televisione per camuffarsi, e annuncia che è lui il traditore. L’amico si getta ai suoi piedi chiedendogli perdono, e Enzo gli dice che può iniziare a farsi perdonare offrendo birre a tutti. Ora però deve pensare a come sfuggire alla polizia. Improvvisamente Carletto ha un’idea: se le guardie cercano qualcuno vestito con un mundu, loro possono confonderli; hanno infatti ancora tutti gli oggetti del merchandising.

I due agenti, intanto, sono tornati nel quartiere di Centocelle, ma mentre cercano Enzo si imbattono in Jacqueline, che sta trascinando una valigia. Fausto allora, ferma l’auto e la insegue. Jacqueline sta tornando a casa, ma prima che se ne vada, Fausto le chiede di prendere un gelato insieme, e Jacqueline accetta.

Novella e Mirko sono ancora sdraiati nel parchetto, quando a Mirko arriva un messaggio da parte di Igor: Oscio è tornato. Novella raggiunge quindi il padre, che sta andando verso la buca di Centocelle.

Nel frattempo, Pietro, Stefano, Carletto e Igor, si sono vestiti come Enzo per confondere le guardie; in questo modo, Enzo riesce ad arrivare davanti alla

buca, seguito da una folla di persone e accompagnato dalla moglie.

Enzo è stato avvistato dalla polizia, che però sta aspettando Fausto: ma Fausto è alla gelateria che guarda Jacqueline mentre mangia il gelato che non gustava da anni. Quando i poliziotti chiamano Fausto per arrestare Enzo, Jacqueline lo bacia e lo convince a rimanere, impedendogli l’arresto.

Enzo rivede la figlia, e le chiede scusa per ogni cosa; Novella lo perdona e inizia a registrare un video, come le chiede il padre: chiede a tutti i suoi ormai numerosi followers e alle persone attorno a Enzo di riprenderlo e di condividere il discorso che sta per fare: Enzo dice a tutti che non ha dei poteri, che le cose non saranno migliori perché lui è tornato, semplicemente ha avuto una crisi in base alla quale ha cominciato a importarsi meno del giudizio altrui, e magari è strano, ma essere strani non è un peccato; pensa di non averci capito molto della vita, e anche se ci avesse capito qualcosa, l’avrebbe scordata cadendo della buca; ma quella buca sta lì per ricordare dove vivono, e quindi ha deciso di entrarci volontariamente, e rimanerci dentro finché non la ricoprono. Enzo si stende all’interno della buca, ripreso da una folla di gente e sotto gli applausi degli abitanti di Centocelle.

In India, intanto, alcuni leggono sul giornale la notizia di Oscio; in quel momento, il vecchio aspirapolvere regalato a Teresa, arriva davanti a un grande tempio indiano, e si ferma.

Alle elezioni, alla fine, le cose non vanno secondo le previsioni di nessuno dei candidati: sul foglio, al posto di una croce sul nome favorito, sono scritte a caratteri cubitali le parole “Oscio”, “Enzo Baroni”, “Santone”.

In questa breve fiction, di soli

dieci episodi da circa venticinque minuti l’uno, la regista Laura Muscardin riesce, attraverso semplici immagini e una bizzarra e divertente storia, a ritrarre in maniera esaustiva la realtà quotidiana di un piccolo paese della periferia di Roma, permettendo a chiunque di traslare nel proprio ambiente le problematiche che vivono i cittadini del quartiere. Il punto chiave della serie è la comicità: le battute dissacranti di Enzo, il protagonista, i paragoni assurdi dei vari personaggi (come quello di Flavio, il salumiere che paragona sé ed Enzo a dei salumi), le situazioni poco verosimili, ma ormai nemmeno troppo lontane da una papabile realtà, che si vengono a creare attorno agli abitanti del quartiere di Centocelle. Ma nascosti dietro le innumerevoli risate che provoca il programma, ci sono tanti significati tutt’altro che banali, a partire dall’avvenimento principale, la scomparsa di Enzo e la sua successiva riapparizione in forma nuova, quasi ‘santificata’, come dice Maria, la portinaia (“Quello è nu sante”).

Enzo, stressato e alienato dalla sua vita sempre uguale e soffocante, ha bisogno di una fuga dalla realtà, che trova in una famiglia indiana che vive in provincia di Grosseto, dove finisce per caso in una giornata di sole, quando la quotidianità diventa così stretta da togliergli il fiato. Come per Belluca, protagonista della celebre novella di Pirandello, anche per Enzo il treno a un certo punto fischia; ma se per Belluca la fuga dalla realtà si prospetta come lo sfogarsi della fantasia e dell’immaginazione, per Enzo è invece una fuga vera e propria, lontano da casa e da tutti. Entrambi, nel momento in cui spezzano la loro routine e diventano capaci di essere sé stessi, vengono additati come ‘strani’ e ‘pazzi’, e la gente,

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stranita e confusa dal loro nuovo stato d’animo, li allontana. Qui le due storie iniziano a discostarsi: pian piano Enzo, che quando torna a casa è come rinato, viene accettato dalla comunità, e anzi assume il ruolo di salvatore, fino ad essere osannato e celebrato come un maestro spirituale. Questo perché le persone hanno bisogno di credere in qualcosa, e soprattutto in qualcuno che gli dia speranza e coraggio di andare avanti nelle loro vite faticose, e che sia capace di cambiare il loro modo di vivere, di renderlo migliore. E chi meglio di un uomo che indossa una tunica bianca e i sandali, e usa frasi semplici dette con calma e un sorriso per contrattaccare chi lo odia? La gente lo ammira, perché non sa essere come lui, che non ha paura del giudizio degli altri e ha imparato ad essere esattamente com’è. In un mondo come il nostro dove l’ansia è dominante, Enzo si approccia alla vita con fare tranquillo e carezzevole, che la sua bireta delle sei rappresenta appieno: qualunque cosa accada, a quell’ora sarà sempre al bar a rilassarsi.

La regista sceglie di rappresentare la storia in ambienti intimi e familiari, come il bar dell’amico Stefano, permettendo allo spettatore di immedesimarsi: i luoghi infatti, sono quelli di un qualsiasi quartiere italiano, e i personaggi, spesso stereotipati (il ragazzino spacciatore, il vicino di casa tatuato con il cane, il tossico-dipendente, ) e con un’aggiunta caricaturale che li rende buffi, sono facili da rivedere nelle nostre ordinarie piccole realtà. I semplici problemi di una normale famiglia (la figlia ribelle, l’affitto da pagare, il lavoro che non si trova, i litigi di coppia) coesistono con la figura di Enzo, che nonostante il cambiamento, li vive esattamente come tutti gli

altri. Il quartiere che, come tanti altri quartieri periferici delle grandi città è come se fosse un paesino, è rimasto in gran parte incorrotto dal prorompente e invasivo ruolo delle telecamere; ma durante la serie, anch’esse si fa spazio, influenzando i cittadini che si fanno prendere sempre più dalla possibilità di guadagnare facilmente. Così nasce il merchandising anche intorno alla figura pura e genuina di Enzo, che acquista notorietà venendo usato da Jacqueline per fare spettacolo. Ma alla fine, anche all’interno del mondo schermato, rappresentato dalla ricca imprenditrice Jacqueline, le maschere vengono tolte, ed è lei stessa a rivelare la sua vera identità quando Enzo spezza ogni equilibrio creatosi lasciando il mondo che Jacqueline (o meglio, Cosima), aveva costruito per lui, così come lei aveva costruito per sé stessa una nuova identità, in modo da essere accettata. E proprio nel momento in cui decide di abbandonare il mondo della televisione, raggiunge il suo ‘Nirvana’: quando si stende volontariamente nella buca di Centocelle, l’aspirapolvere autopulente che in modo significativo agiva secondo lo stato d’animo di Enzo stesso, giunge davanti a un tempio indiano, e il guasto che sembrava avere, si aggiusta senza l’aiuto di nessuno.

LLa narrazione, con tutte le sue particolarità, viene resa credibile dalle grandi interpretazioni dei protagonisti della fiction, che entrano nei personaggi rendendoli estremamente veri e reali. Ognuno ha la sua caratterizzazione, e l’elemento che lo rende unico: per Enzo (Neri Marcorè) l’essere pacifico, Mirko (Claudio Segaluscio) l’ingenuità dolce, Jacqueline (Rossella Brescia) il fare elegante e malizioso,

Teresa (Carlotta Natoli) l’essere sveglia e severa,… Gli attori sembrano essere in parte i personaggi stessi, che probabilmente nella vita hanno dovuto davvero interpretare (infatti Neri Marcorè e Carlotta Natoli, ad esempio, sono entrambi sposati con figli), e così chiunque, che sia un figlio, un padre, o un semplice abitante di quartiere, riesce a comprendere le vicissitudini e i sentimenti dei protagonisti. Forse proprio per questi motivi, la fiction ha riscosso un enorme successo sullo schermo, raggiungendo l’1,4 milioni di views in sole due settimane. Lanciato il 25 febbraio scorso, la serie si è subito inserita al primo posto nella classifica degli Original, ed è diventato uno dei titoli più visti di sempre su RaiPlay, conquistando anche il pubblico più giovane. La serie si presenta infatti da un punto di vista comico e dissacrante, ma arriva al pubblico con incisi su problemi italiani importanti (la buca di Centocelle, i candidati a sindaco con le stesse proposte ‘innovative’,…), mostrando alcune delle dinamiche ridicole in atto nel nostro Paese, ma senza fallire nello strappare una risata; e attraverso la figura unica di Enzo, insegna, a tutte le persone stressate dalla quotidianità estraniante di tutti i giorni a, come si suol dire, “prendere la vita con filosofia”.

ginevra gennari

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di Marco Bellocchio

Origine: Italia 2022

Regia: Marco Bellocchio

Interpreti: Fabrizio Gifuni (Aldo Moro), Margherita Buy (Eleonora Moro), Toni Servillo (Paolo VI), Fausto Russo Alesi (Francesco Cossiga), Gabriel Montesi Valerio Morucci), Daniela Marra (Adriana Faranda), Fabrizio Contri (Giulio Andreotti), Paolo Pierobon (Cesare Curioni), Gigio Alberti (Benigno Zaccagnini), Renato Sarti (Agostino Casaroli).

Canale TV: RaiUno

Durata: 330’ in sei episodi

Uscita: in sala 18 maggio 2022/In tv novembre 2022

EPISODIO 1 - ALDO MORO 1978

CCorridoio di un ospedale. Sopraggiungono ministri, tra cui Andreotti, Cossiga e il segretario della DC Zaccagnini i quali dicono che non va comunicata la liberazione di Moro a nessuno neppure al Papa per il momento. Richiedono poi di poter entrare e trovano un Moro debilitato e la sua voice over dice che mentre è grato alle Brigate Rosse per avergli risparmiato la vita si dichiara totalmente incompatibile con la Democrazia Cristiana dimettendosi da tutti gli incarichi e non accettando in futuro nessuna candidatura dal partito.

In un negozio in cui si vendono armi i proprietari al passaggio di una manifestazione tirano giù la serranda ma questa viene divelta ed entra un gruppo di uomini con passamontagna che portano via tutte le armi. Sull’immagine di

un’altra manifestazione dove si grida “Fascisti, borghesi ancora pochi mesi” compare la scritta: “Nel 1978 in un mondo diviso tra Occidente e blocco sovietico Aldo Moro presidente della Democrazia Cristiana tenta di formare un governo di unità nazionale con l’appoggio esterno del Partito Comunista per la prima volta in un paese del Patto Atlantico”. La manifestazione arriva davanti alla sede del DC e viene caricata dalla polizia. Dal balcone Aldo Moro osserva quanto sta accadendo: i tafferugli sono pesanti.

Roma 12 marzo 1978. Moro entra nell’assemblea della DC dove l’oratore sta inveendo contro l’idea di fare un governo sostenuto dal Partito Comunista ritiene I comunisti non affidabili, li ritiene avversari e pensa che l’elettorato DC non accetterebbe una soluzione del genere. Il suo intervento si conclude tra gli applausi dei presenti. Amintore Fanfani dà la parola ad Aldo Moro al quale benigno Zaccagnini ha appena detto: “Se andiamo ai voti finiamo in minoranza. Moro nel suo discorso dice di comprendere i pareri di chi è contrario però aggiunge che se si andasse al muro contro muro si paralizzerebbe il Paese per cui è molto meglio includere quel 33% di italiani che votano per il Partito Comunista e invita poi tutti a lavorare insieme in unità perché magari potrebbero sbagliare insieme ma potrebbero anche invece ottenere un risultato. Il suo intervento viene applaudito.

Moro di notte va a trovare Cossiga. Ha ottenuto l’approvazione della maggioranza del partito ma Cossiga, ministro dell’Interno, gli dice che sono gli americani che non riescono a capire l’appoggio del Partito Comunista. Per loro il rosso è rosso senza sfumature. Moro gli ricorda invece che il Partito Comunista è

ESTERNO NOTTE

un partito d’ordine come la Democrazia Cristiana e bisogna farlo capire agli americani. Per rassicurarli basterà ricordare che Andreotti resta Presidente del Consiglio è che lui resterà Ministro dell’Interno. Cossiga lo ringrazia per la fiducia e lui gli chiede della moglie. La replica è che la moglie è ormai come un fantasma; quando lui entra in casa lei scompare. “Forse”, dice Cossiga,” il fantasma sono io”. Quella stessa notte tornando a casa vengono informati che c’è qualcuno che ha dato fuoco a qualcosa e devono stare attenti. L’autista Leonardi vorrebbe accendere la sirena ma Moro gli chiede di non farlo. Moro arriva a casa e non c’è nessuno ad attenderlo. Leonardi si dichiara pronto per preparargli una cena. Lui dice di no. Leonardi va via e Moro si prepara un uovo al tegamino mentre ascolta notizie alla radio. Poi va in studio e arriva la figlia Agnese. Alla quale, dopo averle chiesto di lavarsi le mani (invito che ripeterà anche alla fine del colloquio) dice di essersi accorto di aver parlato per più di un’ora all’assemblea e non aver mai pronunciato la parola comunismo, non per paura ma per non spaventare gli uditori. Si accorge anche dei nuovi orecchini della figlia la quale gli dice che glieli ha regalati un certo Lionello. Lui cerca di indagare sul loro rapporto ma la figlia non risponde sorridendo. Lui decide di non andare a dormire perché attende che rientri il figlio Giovanni. Decide poi di andare a letto con la moglie che è già lì che dorme ma poi si rialza quando sente arrivare il figlio a cui augura la buonanotte. Dice anche alla moglie che se avesse bisogno di un notaio ce n’è uno particolarmente bravo e che per altre cose vendite eccetera si deve

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affidare a suo fratello perché loro in casa non sono molto pratici. Poi va a prendere il nipotino che dorme nel suo lettino e lo porta nel letto grande in mezzo a loro. Dice anche di non riuscire a dormire.

Il 13 marzo al mattino Moro entra in auto con la valigetta 24 ore. L’auto si ferma da un fioraio dove viene acquistato un mazzo di fiori che poi viene portato in chiesa; con lui c’è un uomo di scorta. Moro assiste alla messa; dietro di sé ha una giovane donna con la quale scambia il segno della pace ma lei non ha un’aria serena.

Mentre prosegue il suo viaggio in macchina vede scritte sui muri che inneggiano alla lotta comunista e che dicono che Moro, Fanfani, Andreotti e Cossiga devono andare a morte. Entra in università e gli danno un volantino sul quale Cossiga è scritto con le due esse come fossero quelle della polizia nazista. Entra poi in aula per fare lezione. Moro prima di iniziare, facendo una divagazione, parla della replica del Pinocchio televisivo e dice che il suo nipotino si è particolarmente divertito e anche commosso; viene però interrotto da uno che dovrebbe essere uno studente, ma non lo è, che lo contesta dicendo che possono anche integrare i revisionisti del PC ma non avranno mai la solidarietà i loro. Questi ‘loro’ sono due o tre che si alzano (mentre uno rimane seduto e lo osserva in modo torvo) e lo contestano direttamente. Lui chiede loro cortesemente di lasciar continuare la lezione dato che sono una minoranza. Ma questi non si ritengono tali. Li invita ad uscire ma non escono e si siedono nuovamente. La lezione ha inizio. 15 marzo. Mentre Moro si sta recando in Vaticano riceve una telefonata da Cossiga che lo informa che è stato ucciso un maresciallo dei carabinieri a Torino. O sono state le Brigate Rosse o è stata Prima Linea. Moro commenta che ormai o una gambizzazione o un uccisione

sono purtroppo eventi quotidiani. Chiede a Cossiga di dire una preghiera per lui. La messa viene celebrata da Paolo VI in una cappella. Quando Moro si fa avanti per ricevere la comunione Paolo VI gli sorride ma Moro lo guarda con aria seria. Nei giardini vaticani il papa e Moro passeggiano con dietro un seguito e il papa gli ricorda una lettera di quindici anni prima indirizzata al cardinale Siri dove spiegava che inseriva i socialisti nel governo per isolare i comunisti. “Ora”, gli dice “vuoi invece inserire i comunisti”. Lui spiega che non avranno alcun incarico diretto, che saranno solo come un appoggio esterno e che bisogna dialogare con realtà differenti. Il papa propone anche il tema dell’aborto. Alla fine però dichiara di sentirsi molto stanco. Lui gli bacia l’anello mentre il papa è seduto sulla sedia a rotelle.

Viene elaborata la lista dei ministri e soprattutto dei sottosegretari e poi vengono chiamati i capi corrente i quali hanno da lamentarsi perché ci sono stati numerosi cambiamenti e qualcuno è stato escluso. Ma andava dato un segno di discontinuità secondo Andreotti. Qualcuno invece dice di no. Di fronte all’ingresso in maggioranza dei comunisti bisognava presidiare molto meglio il governo. Lo scontento è ampio soprattutto da parte di chi voleva posti di sottogoverno.

Nella notte l’auto di Moro si ferma e un’altra si accosta. Ne scende Enrico Berlinguer che sale sull’auto del presidente della DC il quale gli presenta la lista del governo. Di fronte allo sguardo perplesso del segretario del PCI Moro gli dice che in Italia solo l’apparente conservazione può consentire il rinnovamento. Berlinguer replica che a decidere sarà la segreteria del partito. Prima che se ne vada Moro gli fa notare come le reciproche scorte stiano fraternizzando a testimonianza che il Paese è forse più avanti della politica.

Subito dopo telefona alla figlia Maria Fida per chiederle di lasciare

dai nonni ancora una notte il nipotino. Con la sua presenza il nonno si addormenta meglio. Moro, dopo aver osservato il nipote che sta dormendo, va in camera e dice alla moglie Eleonora che dopo la presenza a Montecitorio vorrebbe andare a Torrita Tiberina dove hanno una casa e dove c’è un’impresa che non si sbriga a fare i lavori. Magari con la loro presenza accelereranno. La moglie gli dice che piove sempre, che sarebbe meglio andare la domenica e lo invita ad andare a dormire. Nella notte del 16 marzo, mentre Adriana Faranda sta cucendo dei gradi su una giacca - è lei che abbiamo visto in chiesa dietro Moro -, gli uomini stanno tagliando le gomme a un furgoncino in strada.

Al mattino va a salutare il nipote dicendogli che se vuole lo porta in Parlamento nascosto dentro una borsa; poi arriva la figlia Maria Fida che viene a recuperarlo. Lui ed Eleonora escono. Lei va per la sua strada ma si volta quando la macchina di Moro e quella della scorta partono sgommando.

Mentre percorre la strada in auto Moro legge Repubblica. A un certo punto un’auto bianca esce dal parcheggio e gli si para davanti rallentando la corsa; dopo poco frena di colpo. Il tamponamento è inevitabile. Da una siepe sbucano dei finti piloti di aviazione che cominciano a sparare a tutti. Moro si abbassa per non essere colpito mentre l’intera scorta viene decimata. L’auto viene aperta e Moro viene portato via mentre un altra persona si occupa di recuperare la valigetta 24 ore che lui aveva con sé e di sparare verso l’alto per intimidire qualcuno che si affaccia per vedere che cosa sta ac-

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cadendo. Moro viene narcotizzato, chiuso in un cassone e trasferito su un pulmino.

Mentre avviene il giuramento dei sottosegretari Andreotti viene informato del rapimento e lascia la riunione. Va in bagno a vomitare. In un’università alla notizia si inneggia alle Brigate Rosse. Nei Palazzi Vaticani il papa è sottoposto a una flebo mentre si trova a letto. Inizia l’edizione straordinaria condotta da Bruno Vespa. Paolo VI balza fuori dal letto tirandosi dietro anche la flebo e si protende verso il televisore rimanendo così a lungo per poi chiedere che gli venga portato il cilicio che si fa mettere stretto. Mentre dalle scuole elementari si portano via i bambini e in università si continua a inneggiare contro lo stato borghese che si abbatte e non si cambia, Eleonora insieme ad un sacerdote vede girare elicotteri su Roma. Intanto Andreotti è uscito dal bagno con la camicia imbrattata dal vomito e chiede a un assistente di non far entrare nessuno e di mandare qualcuno a casa a prendere degli abiti nuovi.

EPISODIO 2 - IL MINISTRO DELL’INTERNO

In via Fani arriva una volante della polizia che capita lì casualmente e scopre i morti e un ferito. Il responsabile chiama la Centrale chiedendo di intervenire subito e intanto fa bloccare la strada. Le bandiere sventolano intorno all’Altare della Patria. Cossiga riunisce il comitato di sicurezza e intanto pensa che tutti i componenti sono o massoni iscritti alla loggia P2 o fa-

scisti o ex fascisti che odiano Aldo Moro e che pertanto non potranno essere loro a salvarlo. Le proposte che emergono sono le più varie: si va dall’idea di bloccare i porti a quella di arrestare tutti i sospetti anche i fiancheggiatori mentre invece c’è Spinella che propone di pedinarli perché solo così potranno magari portarli dove Moro viene detenuto. Si aggiunge che una radio libera ha praticamente annunciato il sequestro tre quarti d’ora prima che avvenisse. C’è poi chi si allarga, è un generale, a dire che bisogna dichiarare lo stato d’assedio e ripristinare la pena di morte. Cossiga ricorda che questo si può proporre solo in caso di insurrezione e per la pena di morte ci vuole anche una modifica costituzionale. C’è chi propone di mettere una taglia ma Cossiga replica che non siamo nel Far West. Chiede poi quali elementi ci possono essere anche piccoli per iniziare a procedere. La risposta è che si possono diffondere le foto dei sospetti brigatisti in modo da vedere se c’è qualche riconoscimento. La seduta viene poi sospesa e per essere ripresa alle 19. Spinella prende in esame le foto dei sospetti brigatisti in silenzio facendole passare ad una ad una.

Cossiga nel suo studio, dopo che aveva chiuso la riunione dicendo che la priorità era quella di salvare Aldo Moro parla con il suo assistente Luigi e gli presenta tre buste chiuse con tre tipi di dimissioni: uno se Moro viene salvato e liberato, uno se Moro viene salvato ma è ferito e la terza se Moro è morto. Lui si ritiene ormai politicamente finito e dice che bisogna intervenire subito perché nei sequestri, la Sardegna insegna, più si va avanti nel tempo più è difficile riuscire ad arrivare a un esito positivo. Afferma poi che Moro è stato ed è il suo padre politico; tutto quello che lui è dice di doverlo ad Aldo Moro. Cossiga torna a casa di notte mentre si stanno trasmettendo continuamente notizie sul sequestro ma decide

di non cenare e chiedere alla cameriera di sparecchiare e poi di andare a dormire. Poi si reca in camera dove dorme la moglie nel letto matrimoniale. Lei è girata di schiena e lui le dice che Moro è stato sequestrato. Immagina che lei lo sappia le chiede di poter dormire insieme ma lei, che è sveglia, non risponde. Lui va allora alla sua centrale da radioamatore e racconta a qualcuno della prima volta che è arrivato a Roma in gita scolastica. Li avevano portati alle catacombe che sono dei labirinti un po’ come lo è la città a suo avviso e lui nelle catacombe faceva finta di perdersi.

Spinella che nella riunione aveva parlato di divise da piloti va nell’ufficio di Cossiga che sta guardando le foto dei brigatisti su un giornale e gli dice che per certo le divise da pilota sono state comprate da Adriana Faranda. Lui sospetta anche dei seguenti nomi Alessio Casimiri Valerio Morucci Mario Moretti, Bruno Seghetti, Prospero Gallinari. La casa della Faranda è stata già perquisita ma c’era solo la nonna con la bambina di 7 anni. La foto è stata diramata a tutte le volanti. Cossiga, prima che Spinella se ne vada, gli chiede se ha figli. Lui dice di aver due bambine di 5 e 11 anni. Il ministro gli suggerisce di godersele finché sono bambine; chiede della moglie che è insegnante. Cossiga dice che avere un lavoro è importante perché tiene occupata la mente. In quel mentre arriva un funzionario con il primo comunicato delle Brigate Rosse e la foto di Aldo Moro che dimostra che è vivo. Cossiga la guarda ed è convinto che stia guardando lui; anche se gli viene detto che in realtà guarda l’obiettivo, lui resta fermo nella sua convinzione. Nella successiva riunione del comitato di sicurezza un militare propone un rastrellamento sistematico casa per casa a Roma. Spinella propone invece di muoversi all’interno dell’università dove ci sono molti fiancheggiatori anche

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fra i docenti e gli assistenti e dove ci possono essere anche persone da infiltrare e suggerisce anche di chiedere una collaborazione al Partito Comunista che ha degli infiltrati all’interno della Sapienza. Gli altri si oppongono immediatamente dicendo che non vogliono avere nessuna collaborazione con Botteghe Oscure. Cossiga, di cui abbiamo visto la casa con soldatini da collezione e molte bandiere, dice che la rete deve stringersi progressivamente come le maglie di un’armatura rimanendo però anche leggera dal punto di vista della visibilità in modo da creare un sacco in cui i terroristi debbono cadere. Il timore è che Moro venga interrogato e che parli e pertanto va liberato il più alla svelta possibile. Cossiga chiude la riunione per andare a verificare la centrale d’ascolto di intercettazione che è stata preparata e che si sta ancora ultimando all’interno del Ministero dell’Interno. Vuole che gli italiani sappiano che si sta lavorando per liberare Moro.

Alla riunione era presente uno psichiatra col quale poi Cossiga parla chiedendogli se secondo lui Moro viene torturato e se parlerà. Lo psichiatra ritiene che non venga torturato; sul fatto di rivelare segreti non è ancora possibile dirlo. Quel che è certo è che i suoi pazienti, divisi a seconda delle patologie, ammirano le BR per il salto di qualità che hanno compiuto. Così reagisce dicendo che il fatto che nel volantino ci sia scritto che chi è Aldo Moro sia facile da dirsi è un’assurdità. D’altronde Moretti è un perito elettrotecnico mentre Cossiga riflette che lui, ordinario in università a 23 anni che parla 5 lingue ma è costretto a tacere perché ci sarebbe questo Tribunale del popolo che ha prevalenza su tutto. Il ministro continua a guardarsi le mani (lo faceva già anche in precedenza) sulle quali dice di vedere delle macchie che gli altri non riescono a vedere. Aggiunge che sua

moglie non vuole che lui dorma con lei. Si apre alle confidenze sulla moglie. Dice che l’ha sposata a 25 anni quando lui era già onorevole. Era stato un matrimonio combinato ma pensava di riuscire a conquistarla in realtà invece non c’è mai riuscito. I figli ormai sono grandi e sono fuori casa e lui non ha una foto con lei mentre averla sulla scrivania in una cornice d’argento potrebbe aiutarlo a rasserenarsi e ad aprire la mente ma così purtroppo non è. 19 marzo. In accordo col Ministero della Difesa all’esercito di affiancare carabinieri e polizia sono istituiti posti di blocco ovunque. Viene fatto scendere dall’auto un tipo sospetto il quale dice di aver ucciso il padre e vuole essere arrestato ma i carabinieri lo mandano via. Nel corso delle perquisizioni si arriva anche a un appartamento in cui Moro vivono Faranda e Morucci. Si suona alla porta i due brigatisti, che sono all’interno, non aprono. Ci si va a informare dai coinquilini sullo stesso piano i quali dicono che ci abita una coppia molto riservata che va via la mattina presto per cui potrebbe non esserci nessuno. Si manifestano dubbi se sfondare la porta oppure no e Spinella che è presente dice di non sfondare. In una stanza buia e insonorizzata Cossiga si riposa poi arriva Spinella che gli dice che per quanto riguarda le Brigate Rosse le indagini non stanno portando da nessuna parte poi arriva un altro funzionario che lo informa che è arrivato un consulente americano. Di nuovo consiglio di Cossiga a Spinella affinché stia vicino alla sua famiglia.

Su una terrazza da cui si vede l’Altare della Patria il consulente americano dice che inutile stare a cercare chi c’è dietro al sequestro come vorrebbe Cossiga. In Italia tutti cercano un secondo un terzo un quarto un quinto o sesto motivo. In realtà i responsabili sono le Brigate Rosse stesse punto e basta a intervenire. Cossiga replica che comunque l’opinione pubblica vuole

che si agisca e che si catturi e gli chiede secondo lui quale sarà la loro strategia e l’americano replica che si faranno vivi loro. Cossiga torna in visita alla centrale di intercettazione dove gli viene detto che tanti telefonano ma per parlare dei loro problemi o della loro situazione familiare C’è una donna che dice che il marito è meno affettuoso di prima e c’è uno che telefona regolarmente all’ora in cui loro sono lì e che parla di sogni rivelatori. Si mettono in ascolto però a un certo punto a Cossiga sfugge una parola e l’altro sente che c’è qualcuno in linea e i due si distaccano immediatamente. 29 marzo. Il consigliere particolare di Moro ha ricevuto una lettera per Cossiga e va a consegnargliela riferendo che è stato contattato dalle BR e c’era una lettera per lui personalmente e una per Cossiga il quale si reca da Andreotti al quale legge un passo della lettera di Moro in cui lo statista dice di essere considerato un prigioniero politico e responsabile di 30 anni di gestione della politica italiana chiede a lui e agli amici della DC di considerare questa situazione. Cossiga è particolarmente turbato e considera che in fondo Moro sta pagando per tutti loro e dice ad Andreotti che bisogna a tutti i costi cercare di liberarlo. A questo proposito ritiene che bisogna aprire un canale di trattative segreto e riservato con una persona terza neutra perché le BR secondo lui sono disposte a trattare. Andreotti chiede come si possa fare. Secondo Cossiga bisogna fare intervenire il Vaticano. Arriva la notizia che le BR hanno pubblicato la lettera che

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Moro ha inviato a Cossiga. A questo punto Andreotti dice che non si possono fare trattative segrete con chi però rivela tutto perché ritiene che il popolo deve sapere tutto e aggiunge che Moro trovandosi in stato di costrizione ha una libertà relativa nello scrivere. È necessario pertanto che lo stato reagisca con una parola che è fermezza che non significa intransigenza ma che tutti i giornali il giorno successivo possano comunicarlo. Cossiga ha di nuovo un colloquio col consulente americano il quale dice che Moro va screditato. Cioè va detto che è fuori di sé il che fa perdere valore alle sue confessioni e diminuisce anche il valore dell’operazione delle BR. Cossiga però vorrebbe che si procedesse ma senza umiliare l’amico Moro. Si interpella una grafologa che nota dei tremolii nella scrittura e lo psichiatra dice che ci sono degli spazi che danno l’idea di una richiesta di aiuto. Afferma poi che non c’è da pensare a una tortura classica ma potrebbe essere una tortura di tipo psicologico e dice che basta mettere due mezze palline da ping pong nell’incavo degli occhi di una persona e lasciarcele per alcune ore questa comincia avere delle allucinazioni. Le immagini ci mostrano Moro in quella situazione.

4 aprile. Nel nuovo colloquio con lo psichiatra Cossiga dice che in fondo Moro sta solo chiedendo di salvargli la vita perché è un uomo che ha paura di morire. Lo psichiatra però considera una perizia sulla base della quale si può confermare che Moro non è più in grado di intendere e di volere. Cossiga dubita

di ciò ma l’altro gli dice che questo tipo di affermazione aiuta Moro stesso anche perché i comunisti lo hanno dichiarato ormai politicamente morto dopo la lettera che ha indirizzato proprio al Ministro. Proprio quei comunisti che lui aveva portato al governo, riflette Cossiga. Mentre stanno parlando si alza e va alla finestra perché ha notato che la bandiera è attorcigliata intorno all’asta e va a sbrogliarla dicendo che è bello vedere una bandiera garrire al vento mentre lo psichiatra lo guarda. C’è un nuovo colloquio col consulente americano. Ormai tutti i giornali dicono che Moro è impazzito e lui afferma che è la strategia giusta mentre Cossiga è convinto che non si possano tenere insieme la salvezza della vita di Moro e l’integrità dello Stato, e fa consegnare al consulente una pistola con caricatore perché l’americano si era detto non poi così sicuro nella sua permanenza a Roma e al contempo esclude che le Brigate Rosse uccidano Moro perché sarebbe un gravissimo errore. Possono però ucciderlo psicologicamente. Mentre cammina per il corridoio del Ministero dell’Interno Cossiga viene raggiunto da un esponente della Dc calabrese che gli ha portato un veggente il quale è convinto che Moro sia stato ricoverato in una clinica che si chiama Aurora che è in mano ai comunisti. Cossiga lo ascolta più che perplesso e gli dice che interverrà dicendolo alle autorità competenti che andranno a controllare. Il veggente non è soddisfatto della risposta. Cossiga finisce poi per andare in quella clinica a fare un’ispezione insieme a Spinella e non trovano nulla di particolare se non un malato ‘sospetto’ il quale però è uno che chiede solo di poter uscire. Mentre continua la visita alla clinica il ministro viene avvicinato da un paziente il quale gli descrive la vita all’interno della casa di cura. Il consulente americano di fronte a questa notizia dice che è il momento giusto in cui si può chiedere alle

BR una conferma dell’esistenza in vita di Moro per poi pubblicarla e vedere come reagisce il Paese.

È il 16 aprile e arriva un comunicato che dice che Moro si è suicidato e il suo corpo è sul fondo del lago della Duchessa. Secondo Spinella il comunicato è assolutamente falso. Ne è convinto anche Cossiga che però sente l’obbligo di dover verificare e per cui si va a perforare il manto ghiacciato del lago per fare le ricerche nei suoi fondali. Mentre Cossiga è nella stanza insonorizzata, al buio, la porta si apre e gli compare Moro che lo saluta, si scusa per averlo disturbato e poi richiude la porta. Nel frattempo il manifesto col volto dello statista e con la scritta “Moro è stato assassinato. Vive nei nostri cuori” è già pronto.

EPISODIO 3 - IL PAPA

Paolo VI in sedia a rotelle viene portato fino alla finestra del balcone centrale di San Pietro e parla al popolo in occasione della Settimana Santa e chiede di pregare, oltre per tutti quelli che soffrono, anche per Aldo Moro affinché venga restituito alla famiglia. Si tratta di una persona a lui cara.

Torino 20 marzo 1978. Processo al nucleo storico delle BR. Entra la Corte. Il presidente dichiara che un comunicato che gli è stato consegnato non verrà letto in quanto è semplicemente un programma ideologico. I detenuti protestano e in particolare uno, Ferrari, dice che bisogna invece leggerlo perché è attinente al processo e riguarda tutte le nefandezze commesse dalla Democrazia Cristiana. Il giudice insiste che ciò non accadrà. Dalla gabbia si dice che questa è una prova della debolezza e del fatto che comunque loro non avranno un processo legale in quanto è già tutto preordinato. Saranno condannati come poteva accadere durante il fascismo. Uno degli avvocati insorge e dice che è ora di finirla con questi proclami. Lo stesso avvocato, di fronte al fatto

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che i brigatisti chiedono di uscire lasciando soltanto tre osservatori, grida che sono una banda. Gli viene risposto che sono una banda che però in quel momento ha in mano Aldo Moro. Il giudice sospende la seduta per mezz’ora mentre i brigatisti escono. Nelle gabbie si canta l’Internazionale e anche tra il pubblico si alzano pugni chiusi a cui si aggiunge poi anche la musica. In aula intanto è entrato e ha osservato il tutto qualcuno che poi si presenterà come Cesare Curioni all’avvocato Guiso con il quale chiede di parlare. I due si sono conosciuti a San Vittore. Curioni chiede a Guiso di parlare con uomini delle BR che lui sta difendendo. L’avvocato dice che sta difendendo solo Lasagna perché dagli altri è stato ricusato. Dovrebbe dire loro di trattare; in fondo se non hanno ucciso subito Moro significa che un margine per la trattativa c’è. Ci sarebbero anche molti soldi; più di quelli che ci sono stati per il sequestro Costa. Alla domanda in nome di chi stia trattando l’uomo non risponde. Scopriamo subito dopo che si tratta di un monsignore che va a colloquio con il Papa. Curioni si dichiara convinto che i brigatisti in carcere non sappiano nulla di più di quello che sa l’opinione pubblica. Lanciano solo proclami. Il problema è che lui ha parlato anche con camorristi e con mafiosi e i due gruppi si disprezzano reciprocamente perché questi ultimi sono degli assassini che però sono credenti mentre dall’altra parte i brigatisti sono materialisti e anche fanatici. Potrebbe esserci un’ipotesi di lavorare per la liberazione di Moro con mafiosi e camorristi. Il Papa non aderisce a questo e dice che bisogna però conservare la propria speranza e lo invita a comunicargli eventuali nuove situazioni ma non per telefono perché teme di essere intercettato. Il monsignore si chiede addirittura se si sia arrivati a intercettare il suo pontefice e lui replica che la

prudenza è la prima delle virtù cardinali e non a caso. Paolo VI è a tavola dove mangia pochissimo e dice che Moro è un caro amico e che va assolutamente salvato. Decide allora anche di dare un segno. Nonostante sia debilitato vuole partecipare in prima persona e guidare lui la Via Crucis. Si reca quindi in una stanza accanto per prendere la croce da portare durante il percorso ma tutte le croci risultano essere troppo pesanti per le sue scarse forze. Il 24 Marzo la Via Crucis si tiene ma il Papa è a letto debilitato e assiste al rito in televisione. A un certo punto non vede più i sacerdoti con la croce e il seguito ma vede Moro che la porta piegato seguito da tutti i politici a distanza che lo guardano ma non lo aiutano e lui pian piano si allontana. In seguito a questa visione il Papa a un certo punto è come se svenisse. Interviene il medico che gli toglie il cilicio che gli ha riempito di sangue il ventre.

25 marzo, Sabato Santo. Il Papa legge L’Osservatore Romano con l’articolo in cui Zaccagnini dice ai dirigenti periferici della DC: “Non ci faremo vincere dal ricatto dei terroristi”. Arriva in visita la moglie di Moro. Paolo VI, che poco prima aveva notato che i politici non erano presenti per la Via Crucis e gli era stato detto che era per motivi di sicurezza, dice ad Eleonora (la quale si ritiene davvero sconcertata del fatto che anche L’Osservatore Romano abbia abbracciato l’idea che Moro è pazzo) che Aldo, se dovesse leggere quegli articoli, capirebbe che si tratta in realtà di una copertura. Cioè non è quello che il Vaticano pensa ma serve per poter poi avviare delle trattative. Bisogna avere fiducia e a casa i figli debbono pregare per lui. La fermezza va condivisa ma ha diverse sfumature. Eleonora Moro gli rivela che tutti sono andati a farle visita eccetto Andreotti che lei ritiene il paladino della

linea della fermezza. Il Papa risponde che anche altri sono per la fermezza ma appunto con modalità diverse. Di fronte a lei che dice che qualora dovessero condannarlo lei non tacerà, lui le chiede di porgergli il bastone. Si alza e l’accompagna nella stanza accanto dove fa scoprire un mucchio di banconote definendole lo sterco del diavolo ma avendo uno scopo santo verranno purificate. Andreotti riceve il Cardinale Casaroli che gli fa sapere che ci sono pronti 20 miliardi e anche qualcosa di più per pagare il riscatto di Moro e gli chiede però di dare via libera da parte del governo. Andreotti va prima a parlare con tutti i generali delle varie forze i quali si oppongono immediatamente dicendo che significa armare i brigatisti e bisogna ricordarsi cosa è successo già col miliardo e mezzo pagato per il sequestro Costa. Non potrebbero più tenere i loro uomini nelle caserme nel momento in cui venissero a saperlo e pertanto sono decisamente contrari al pagamento del riscatto. Andreotti va poi a parlare con i segretari di partito. Craxi è favorevole alla trattativa, Berlinguer vuole che non ci sia comunque il riconoscimento politico delle BR e poi per il resto si può anche ragionare. Zaccagnini è favorevole alla trattativa. Andreotti informa del parere dei militari poi decide di tornare a informare Casaroli di quanto accaduto. Quello che poi è necessario secondo Berlinguer è che la trattativa rimanga totalmente segreta perché altrimenti non si potrebbe giustificare

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di fronte a chi vota per il PCI ed è del parere che i brigatisti siano degli assassini. Mentre si organizzano grandi raduni di preghiera per Moro in una chiesa un brigatista parla in confessionale con monsignor Caironi il quale gli comunica che i soldi sono pronti ma che c’è bisogno di una prova. Lui dice di averla lasciata su una panca ma è in realtà un ritaglio della foto già inviata in precedenza. Paolo VI dice che occorre di più. Occorre una prova, magari un Moro con in mano un giornale più recente con la data precisa in modo da essere sicuri che sia nelle loro mani e che sia vivo. In un’altra chiesa Curioni attende il brigatista il quale arriva ma non ha una foto nuova perché dice che non è stato possibile scattarla a Moro con un giornale. Il sacerdote lascia la chiesa e il brigatista lo segue e gli dice che però può dargli un’altra prova anticipandogli che il giorno dopo uscirà un comunicato che annuncia la morte di Moro mentre invece Moro è vivo. Questo è finalizzato a far sì che si riducano i posti di blocco in città. Si torna a vedere il manifesto già pronto. Il comunicato il giorno dopo arriva e viene letto dal Monsignore al Papa ed è quello relativo al lago della Duchessa. A questo punto Paolo VI decide che non hanno scelta e fa riempire una borsa di banconote. Il sacerdote le porta in un’altra chiesa e si chiudono in un confessionale.

18 aprile. Lago della Duchessa. Il Papa guarda le riprese del telegiornale e parla anche col suo Camerlengo, il quale dice che non

possono avere aperto un lago ghiacciato messo dentro il cadavere e averlo poi ricoperto per farlo sembrare tutto naturale. Il Papa ritiene che tutto ciò sia assurdo e dice che sono stati ingannati. Curioni viene chiamato dal confessionale in cui si trova con il denaro. È il Papa che lo cerca. Il denaro viene riportato dov’era. A questo punto il Papa dice al monsignore che il suo contatto era un millantatore. Comunque non era delle Brigate Rosse e c’è da chiedersi allora chi fosse. Se fosse cioè un imbroglione che cercava di farsi passare per brigatista per recuperare i soldi oppure se qualcuno mandato da alcune forze dello Stato che non vogliono la trattativa perché si vuole che sia lo Stato in prima persona senza nessun riscatto a liberare Moro. Oppure lo si vuole morto o si vuole che le BR lo liberino senza avere nessuna contropartita. Vengono lasciate in un confessionale dalla Faranda due buste; una per Eleonora Moro e una per PaoloVI. Lettera che viene letta al pontefice del camerlengo in cui Moro chiede uno scambio di prigionieri politici in modo che lui possa essere restituito alla famiglia che ha bisogno della sua presenza; al contempo manifesta profonda fiducia nel Papa e devozione nei suoi riguardi. Paolo VI manda a chiamare Casaroli al quale consegna la lettera dicendo di farla vedere ad Andreotti, se già non ne è in possesso, e di dirgli che lui intende rivolgersi direttamente alle Brigate Rosse. Il contenuto dell’appello non può manifestarglielo perché non lo sa ancora. Andreotti dice al cardinale chele BR pretendono di essere riconosciute senza riconoscere lo Stato e che questa sarebbe una cosa inaccettabile. Casaroli replica che loro lo fanno perché in questo momento si ritengono più forti. Andreotti dice di aver saputo che la moglie del capo scorta voleva darsi fuoco davanti a Palazzo Chigi e dice che

è sicuro che il Papa nella sua infinita saggezza saprà chiedere il rilascio di Moro senza alcuna contropartita, senza condizioni. Casaroli replica: “Lo speriamo”

È notte. Paolo VI è alla sua scrivania. Casaroli gli dice che sarebbe bene far leggere prima ad Andreotti il testo che lui intende scrivere alle BR. Lui risponde che forse lo prenderà in considerazione nel momento in cui il testo sarà finito e poi fa chiamare Curioni per chiedergli un parere perché si trova dibattuto: non sa come scrivere un testo che possa davvero commuovere i brigatisti che sono materialisti che non hanno la fede e si accorge che alcuni termini che lui usa normalmente sono desueti. D’altronde però ha anche un ruolo che è quello del sommo pontefice. Il monsignore, svegliato nella notte a casa sua ad Asso, non sa come consigliarlo. Alla fine Paolo VI lo ringrazia e legge il testo che poi diventerà noto: quello in cui agli uomini delle Brigate Rosse chiede in ginocchio di rilasciare Moro senza condizioni. Intanto Cossiga lo sta ascoltando dal centro di intercettazioni. Le immagini vanno su Moro, su sua moglie Eleonora, su Andreotti che è a letto e alla fine sulla Faranda che guarda in macchina.

EPISODIO 4 - I TERRORISTI

Roma. Marzo 1976. Risveglio al mattino. Giuliana Faranda e Valerio Morucci sono a letto. Alessandra, la figlia di lei, sta dormendo. Lui si veste velocemente dimenticando la cintura Si capirà dopo il senso della cintura perché, mentre stanno facendo colazione mamma e figlia, Morucci arriva come se arrivasse da fuori con i cornetti per la bambina la quale però va in camera e trova lì questa cintura maschile di cui non sa la provenienza. Troverà poi nel cassetto del comodino una pistola della madre che nel frattempo avrà parlato con Morucci che le dice che prima o poi bisognerà far sapere alla bambina che loro vivono

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insieme e si precipita a togliere di mano la pistola alla bambina dicendole che è finta. Un gruppo di sette brigatisti in riva al mare, composto da uomini e donne, va a sparare esaltandosi e inneggiando alle Brigate Rosse.

Marzo 1977. Faranda accompagna la figlia a scuola e mentre sta per entrare la richiama indietro e le dice che per qualche settimana lei dovrà andare a Milano per lavoro. La bambina starà con la nonna. Lei chiede che cosa farà Valerio e la mamma risponde che Valerio andrà con lei. Alessandra vorrebbe seguirli ma le viene detto dalla mamma, che si commuove, che non è possibile perché questa cosa deve proprio farla.

21 giugno 1977. Faranda e altre due BR avvicinano un uomo e gli chiedono indicazioni di una strada e poi gli sparano. Gli si inceppa il mitra e gli sparano con le pistole. Si tratta del presidente della facoltà di Economia e Commercio a Roma professor Remo Cacciafesta. Quando Morucci rientra a casa Faranda protesta perché dice che c’erano presenti anche gli uomini delle BR perché non si fidavano delle donne. Lui le replica che erano lì soltanto per proteggerle qualora fosse andato male e dice che non ce la fa più. Lei gli replica che se lui la lascia lo uccide. Dopodiché però sorride.

Febbraio 1978. Moro è a messa. Faranda è fuori su una panchina e una parte della scorta e attende fuori dalla chiesa. Un uomo della scorta si avvicina all’edicola dove lei ha comprato il Corriere della Sera. La chiama e lei sta per mettere mano alla pistola ma lui vuole semplicemente darle il resto che lei ha dimenticato. Intanto in chiesa c’è Morucci che va a parlare col pret. Chiede di essere confessato e in pratica racconta in qualche modo il suo rapporto con lei che entra in chiesa. lo avvicina e lo guarda da là fuori dal confessionale.

8 Marzo. Vengono distribuite le armi. Faranda vorrebbe partecipa-

re ma le viene detto che se qualcosa dovesse andar male qualcuno della direzione strategica deve rimanere a parte anche perché la guerra non finisce con l’operazione definita Freccia. Gli altri vanno a sparare a due auto dove ci sono i manichini e lei di sera in casa cuce i gradi sulle divise dei piloti.

7.30 del mattino. I brigatisti vestiti già da piloti stanno facendo colazione e poi escono. Faranda si sintonizza sulle frequenze della polizia. Moro esce di casa con Eleonora. L’autista chiede a Moro se vanno in chiesa lui risponde che non c’è tempo per cui debbono andare subito alla Camera. I brigatisti escono dalla siepe e sparano. Segue la trasmissione del TG in edizione straordinaria. Faranda in casa esulta e poi resta lì ad attendere. Intanto si portano via i bambini dalla scuola. Alessandra non ha nessuno che la vada a prendere. Mentre Faranda non riesce a trattenere la felicità la bambina viene ricondotta all’interno della scuola dicendole che arriverà la nonna a prenderla. In TV si manda in diretta Ingrao che fa un discorso alla Camera parlando del sequestro ricordando le vittime e Faranda è davanti al televisore col pugno alzato. Poi arriva arriva Morucci il quale va a fare una doccia e prendere delle pastiglie. Nella notte Faranda apre un armadio in cui depone la pistola e lì dentro c’è una foto di Mara Cagol che è una terrorista uccisa in uno scontro a fuoco con la polizia. Arriva Moretti il quale dice che Moro ha un po’ di dolore a una costola eha chiesto una Bibbia che però non gli verrà portata e c’è il primo comunicato da mandare insieme alla foto a La Repubblica. L’ammonimento è di stare attenti agli infiltrati soprattutto quelli del Partito Comunista. Faranda con una parrucca è su un bus dell’ATAC su cui si discute e c’è chi inneggia a Mussolini. C’è chi replica ventilando una denuncia. Intanto un tossicodipendente si buca e si sente male per cui c’è un cer-

to movimento sul mezzo. Faranda scende non prima di essersi sentita dire da un altro passeggero che è davvero bellissima. Scende e riceve una busta che deve lasciare sopra la cabina telefonica di un sottopasso in cui ci sono anche dei clochard. Ha dei momenti di incertezza poi però esegue. Faranda successivamente è in strada e vede la sua foto sul cruscotto di un’auto della polizia. Gli passa davanti apposta quasi per verificare se la riconoscono. Entra in un bar dove nel televisore si sta trasmettendo il funerale delle guardie della scorta di Moro e lei si mette a guardare con un volto turbato. Torna a casa e ha comprato la Bibbia. Chiede a Morucci se abbia visto i funerali. Lui risponde di sì, poi i due si baciano e hanno un rapporto sessuale. Lei però prima va a recuperare le due pistole e le porta in camera poi nella notte vanno e guardare dallo spioncino. Non c’è nessuno sul pianerottolo e tornano pertanto a letto. Faranda va a osservare da lontano l’uscita dalla scuola di Alessandra con la nonna. La bambina sembra serena.

29 marzo. Arriva Moretti da fuori con la lettera per Cossiga, quella per la moglie e quella per Rana, assistente di Moro. Faranda mette in discussione il fatto che vogliono rendere pubblica la lettera a Cossiga dove si parla di avvio di trattativa segreta che in questo modo impedirebbero. Le viene detto che il popolo deve sapere tutto e che deve invece emergere questo metodo democristiano di fare le cose di nascosto. Al contempo però quella a Rana, dove si parla di trattativa segreta, non verrà resa nota per aprire un canale in quel senso. Lei consegna la Bibbia e dopo che l’altro se n’è andato dice a Morucci che la cosa è assurda ma lui risponde che loro sono un esercito e in qualsiasi tipo di esercito gli ordini non si discutono.

Morucci Dopo aver controllato che le lettere vengano recupera-

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te mentre i poliziotti arrivano in ritardo va al cinema a vedere Il mucchio selvaggio ma la proiezione viene interrotta per un controllo non dei documenti ma dei biglietti da parte della polizia. Dei ragazzi vengono fermati ma lui riesce tranquillamente ad uscire. Tornato a casa trova la Faranda ancora molto arrabbiata perché secondo lei la strategia è quella sbagliata ma bisogna obbedire. Lui dice che tanto la rivoluzione non si riuscirà a farla. L’importante è ribellarsi e continuare a segnare il territorio. Faranda è dispiaciuta per quello che lui pensa perché lei crede nella Rivoluzione mentre quello di lui è soltanto un ribellismo che punta ad ammazzare più che si può ma senza speranze per il futuro. Anzi la speranza è quella della bella morte alla Che Guevara. Con rabbia aggiunge che lei ha lasciato una figlia e ha anche abortito perché lui l’aveva convinta che bisognava dare la propria vita per la rivoluzione e ora si trova davanti uno che invece nella rivoluzione non ci crede e non credendoci ha ammazzato cinque padri di famiglia. Lui cerca di giustificarsi prendnendole la mano ma lei gli chiede di non toccarla. Nella notte passa davanti a un’altra auto della Polizia che ha la sua foto sul cruscotto.

17 aprile. In un ristorante la coppia incontra un emissario di movimenti umanitari ma anche di movimenti extraparlamentari di sinistra che dice che vogliono la vita di Moro e non la morte visto che è uscito il testo con la condan-

na.Faranda risponde che questa volta c’è bisogno di mostrare quello che si vale e che non non sarà come nel caso Sossi che liberarono sulla base di promesse che non sono state mantenute. Questa volta l’ostaggio muore. C’è una manifestazione di giovani dove si cantano slogan contro la lotta armata.

18 aprile. Arriva la notizia al Telegiornale della scoperta del covo di via Gradoli e Morucci prima e poi la Faranda che non riesce ad aprire la porta per entrare in casa, ne vengono a conoscenza. Subito a seguire c’è Emilio Fede con la notizia delle ricerche sul lago della Duchessa. Bonucci dice che questa buffonata della Duchessa è fatta dai servizi per vedere di preparare gli italiani alla morte di Moro. Faranda proprio per questo dice che non va ucciso anche perché ora anche i comunisti lo vogliono morto. Arriva Moretti il quale è sfuggito per un pelo alla cattura mentre stavo rientrando a casa in via Gradoli. C’è pronto un nuovo comunicato con una foto. Si tratta di quella con in mano La Repubblica che smentisce il fatto che Moro sia stato ucciso. Però non è più utile parlare con altri emissari della trattativa. Ormai si danno 48 ore direttamente al governo e niente di più. Gianfranco, l’esponente della trattativa, incontra comunque ancora Faranda in auto e le dice che debbono fare qualcosa. Afferma che se lo uccidono si tirano fuori dal Movimento che non li sostiene più ed è l’acqua in cui loro come pesci devono nuotare. L’atto più rivoluzionario sarebbe quello di liberare Moro il quale, incazzato nei confronti dei suoi amici che non hanno fatto niente per salvarlo, diventerebbe davvero un elemento esplosivo. Morucci e Faranda incontrano Moretti il quale gli dice che ormai la decisione è presa: Moro viene ucciso. Faranda cerca di fargli capire che invece Moro sarebbe molto più pericoloso per la DC e per il governo se ritornasse da

vivo e venisse liberato. Anche sul piano umano si chiede come facciano dato che sono lì da due mesi. gli parlano tutti i giorni, gli danno da mangiare. Come fanno a uccidere un prigioniero inerme. Ma l’idea di Moretti è quella del capo politico di una forza politica perversa che ha seminato morte per anni. Bisogna difendere non tanto il movimento e gli intellettuali che stanno a casa loro ma l’operaio che sta alla catena di montaggio e che per otto ore al giorno tutti i giorni compie gli stessi gesti. È per lui che hanno ucciso. Faranda ha un incubo notturno in cui vede scorrere in un fiume i cadaveri di Moro e delle sue guardie del corpo.

EPISODIO 5 - ELEONORA

Eleonora Moro nel confessionale dice al sacerdote che suo marito non la ama più e che anche quello di padre è un ruolo in cui lui è lì per dovere ma preferirebbe chiudersi nel suo studio e scrivere un discorso per gli italiani. C’è stato un litigio fra Agnese e Maria Fida su cose da niente ma lui non è stato in grado di intervenire per sedarlo, non ha trovato le parole. Lei dice che secondo lei lui la odia, mentre invece il sacerdote cerca di dirle che deve pensare al peso che lui porta sulle spalle e le ricorda che è addirittura arrivata a non preparargli più la cena e che l’amore non si gestisce così. L’amore dovrebbe riuscire a superare le difficoltà. Lei dice che a volte vorrebbe prenderlo a schiaffi e poco dopo però l’arrivo in cielo di elicotteri e il suono di sirene li spingono a interrompere la confessione e ad uscire. Si guardano intorno smarriti.

16 marzo via Fani ore 9:30. Eleonora Moro insieme al sacerdote arriva in via Fani. Lei chiede del marito e dicono che è stato rapito e si pensa che sia ancora vivo. Chiede anche dove siano le borse, perché lui aveva con sé cinque borse. Le dicono che non ci sono e che sono state probabilmente prese dai bri-

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gatisti. Una conteneva dei medicinali che lui doveva portare con sé. Eleonora continua a guardare in giro e vede il cadavere di una delle guardie del corpo di Moro che non è stato identificato perché non ha il tesserino ma dice lei il nome della persona dopodiché si allontana in auto scortata dai carabinieri. Arrivati davanti alla loro abitazione chiede l’assoluzione al sacerdote. Dopodiché entra nel portone mentre la casa è già assediata dai fotografi e dai giornalisti. Arrivata in casa Eleonora parla con la cameriera, abbraccia Maria Fida e chiede del nipote che non ha capito nulla di quanto sta accadendo. Dopo poco arriva un senatore sconvolto che non riesce a trattenere il pianto e lei cortesemente lo manda via dicendo che c’è un bambino di 3 anni e quindi non bisogna fargli capire cosa sta accadendo. Non può essere lei a confortare il senatore. Lo invita anche a dire agli amici della DC che non vogliono ricevere nessuno, che vogliono rimanere in una situazione riservata in casa. Con i tre figli vicino Eleonora dice loro che devono prepararsi a una lunga attesa. Ci vorrà tempo. D’altronde era la stessa cosa che aveva detto Moro all’epoca del sequestro Sossi. Bisognava lasciar lavorare la magistratura che era competente. Intanto passano le immagini del Parlamento. A Piazza San Giovanni si tiene un comizio dei tre sindacati confederali. Mentre Luciano Lama sta pronunciando il discorso contro le Brigate Rosse in casa Moro arriva Zaccagnini che abbraccia Nora commosso e le dice che faranno tutto il possibile e che le restituiranno Moro vivo. Lei dopo poco dice che deve andare a telefonare. Chiama la moglie di Leonardi, il capo scorta di Moro, per dirle che non può paragonare il suo dolore a quello della donna ma che la sosterranno nel futuro e faranno tutto il possibile per lei. La donna risponde che non vuole essere consolata, non vuole piangere e non sa che cosa risponderle.

Eleonora chiude dicendo di abbracciarla. Nel frattempo arriva il Presidente della Repubblica Giovanni Leone il quale con un certo impeto dice che è tutta l’Italia che si stringe a lei, la abbraccia e lei presenta le figlie. Eleonora commenta: “Quanti abbracci”. Di notte si affaccia al balcone ma subito viene bersagliata dai flash dei fotografi e quindi rientra. Poi le sembra di vedere Moro muoversi per andare in camera sia muoversi in cucina. Lei va a toccare i fornelli aprendoli e chiudendoli.

18 marzo. Funerale degli agenti di scorta. Sono presenti tutte le autorità e tutta la DC. Zaccagnini piange. Eleonora li guarda e una delle dei parenti delle vittime si getta sulla bara disperata. Il Papa assiste alla cerimonia dalle sue stanze ma ha mandato un messaggio sia per le vittime che per Moro. A casa arriva la prima foto sui giornali; discutono su quale sia il suo stato psichico, se sia abbattuto oppure no e a che cosa stia pensando. Dicono che in realtà non si sapeva cosa pensava neanche prima. Maria Fida è la più provocatrice, quella più preoccupata che stia bene ma contemporaneamente consapevole che i BR sono dei bastardi e che non si saranno preoccupati delle esigenze di suo padre. Ce l’ha anche con i fratelli che fanno parte di movimenti che contestano DC e contestavano anche il padre. Eleonora la invita a non provocare e a ricordarsi che loro sono cristiani e che non possono provare odio nei confronti anche dei brigatisti.

26 marzo. Domenica di Pasqua. Il papa pronuncia la sua omelia dal balcone centrale di San Pietro. In casa Moro viene celebrata la messa, ci si comunica e poi si va a tavola. Eleonora ricorda un momento in cui Aldo era capotavola dall’altra parte e aveva annunciato che aveva comprato un piccolo pezzo di terreno nel cimitero di Torrita Tiberina dove si poteva costruire una cappella dove poi tutti loro avrebbero potuto riunirsi, ovviamente a di-

stanza di anni. C’era chi aveva fatto dello spirito sull’argomento finché poi si era fatto rompere l’uovo di Pasqua al nipotino Luca. Erano andati in visita al cimitero dove i lavori non erano ancora terminati però lui aveva illustrato i posti a disposizione andando anche a vedere i posti sotterranei mentre la famiglia lo guardava dall’alto.

Il 29 marzo arrivano le lettere per Rana, per Eleonora e per Cossiga. Il figlio legge la lettera per Cossiga dove si parla di trattativa segreta. Quella per Rana lo vede come intermediario e Maria Fida dice che prima di consegnare anche quella a Cossiga è bene farne la fotocopia perché non vorrebbe che sparisse. Nella lettera per la moglie Moro la chiama “Mia cara Noretta” e lei dice che dall’epoca in cui erano fidanzati e poi sposati non l’aveva mai più definita così. Le chiede anche che la figlia Agnese dorma con lei e che controllino che il gas sia chiuso prima di dormire. Eleonora dice che è come aver ritrovato l’uomo di allora. Zaccagnini è in casa Moro e ci sono tutti i giornali che dicono che Moro è pazzo. Zaccagnini ritiene che sotto costrizione potrebbe dire cose che danneggerebbero lo Stato e che, se non fosse stata pubblicata la lettera, Cossiga avrebbe seguito un’altra strategia. Adesso è necessario muoversi in questi termini per poter poi liberarlo. Eleonora replica che quello che Andreotti dice (cioè che quello che Moro scrive non è moralmente ascrivibile a lui) è assolutamente falso. È l’atteggiamento di un serpente perché Andreotti invece sa che Moro è

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sempre stato un mediatore è stato il vero democristiano quello che cercava di conciliare le ragioni opposte. Zaccagnini lo ha voluto presidente per cui Moro sta pagando anche per lui.Il segretario la prega di avere fiducia ma lei capisce chiaramente che ormai hanno deciso di non trattare e che Moro verrà ucciso. Maria Fida ancora più diretta dice che lo vogliono morto e poi così hanno il martire da presentare. Lei vorrebbe ribellarsi e gridare a tutti quello che loro pensano veramente ma la madre la invita a non creare problemi in questo momento delicato. La invita anche a ritornare a casa sua da suo marito e da suo figlio e le dice che, se davvero vuole bene a suo padre, deve tacere. Un sacerdote della Parrocchia, padre Giuseppe, porta a casa Moro una suora che dice di aver visto portare un uomo bendato nell’appartamento di fronte e poi di aver visto nei giorni successivi anche portare un sacerdote bendato e di sentire anche delle grida in lingue che non sono lingue italiane. Secondo il sacerdote la suora è una donna equilibrata. Lei dice di essere andata alla polizia ma che non le credono. A questo punto Eleonora è disposta ad andare a vedere ma soprattutto chiama subito Cossiga parlando di questa testimonianza. Cossiga dice di conoscerla già ma che è una suora visionaria. Lei gli replica che comunque di pazzi, di sensitivi eccetera ne hanno già sentiti più che a sufficienza quindi non cambia molto anche se ne sentono un’altra. Lo invita ad agire ricordandogli che senza Moro lui non sarebbe nessuno. Cossiga lo ammette e aggiunge che è per questo che soffre.

18 aprile. Ricerca nel lago della Duchessa. A casa Moro si assiste alla ricerca sul lago ghiacciato con insofferenza.

21 aprile. È arrivata la comunicazione da un brigatista che alle ore 8 presso la Caritas Eleonora riceverà una telefonata direttamente dal marito che testimonierà di essere in vita. Tutto viene predisposto. Al centro di controllo Cossiga sta ascoltando ed effettivamente arriva una telefonata alle 8:00 ma chi chiama dall’altra parte è convinto che si tratti di una trappola che non sia Eleonora a parlare e la telefonata si interrompe.

22 aprile. Il tempo ormai sta scorrendo velocemente. Arriva il messaggio di Paolo VI il quale però chiede semplicemente la liberazione senza condizioni e Eleonora commenta che si è arreso anche lui. Eleonora pensa di incatenarsi davanti alla sede della Democrazia Cristiana.

30 aprile. Dalla stazione Termini le BR telefonano a casa Moro e dicono ad Eleonora che ormai la decisione è presa: se non arriva un intervento deciso e chiarificatore di Zaccagnini eseguiranno la condanna a morte e riferiscono che Moro pensa che loro siano male informati e che pertanto tutto quello che è accaduto fino ad allora non serve più a nulla. Finita la telefonata lei allontana i figli e chiama il Presidente Leone e gli dice di intervenire su Zaccagnini. Tutto quello che le sa rispondere è che le bacia la mano e la capisce. Eleonora inoltre si è quasi pentita per aver chiesto scusa e ringraziato l’aguzzino del marito il quale tra l’altro non aveva capito di star parlando con la moglie ma pensava di parlare con una delle figlie. Intanto torna il figlio maschio che dice di essere andato a parlare con Zaccagnini il quale gli ha risposto che la situazione è difficile e come immaginavano si è messo a piangere e decide di chiamare Guerzoni. Il quale esce dell’appartamento e legge un comunicato della famiglia

Moro che dice che quello che è stato fatto finora è assolutamente insufficiente e che bisogna operare altrimenti che non dichiararlo pazzo e con questo pretendere di sistemare tutte le cose. È un comunicato molto duro ma anche molto esplicito.

Eleonora decide comunque di andare a verificare quello che dice la suora e in effetti nel palazzo di fronte si trova un covo delle BR. Lei chiede dov’è il professore che effettivamente è presente. Si tratta di un professore di teatro che sta facendo un’esercitazione con gli allievi sulla realtà di quanto sta accadendo. Afferma che è una cosa molto rispettosa e che spera che Moro, che ama i giovani, quando sarà liberato potrà andare ad assistervi. Lei è decisamente sconvolta.

EPISODIO 6 - LA FINE.

Sul set teatrale gli studenti mettono in scena l’uccisione di Moro dopo la sua condanna. Viene bendato con una benda rossa e poi gli viene letta la sentenza.

8 maggio. Dei brigatisti passano indenni un posto di blocco. Hanno nel bagagliaio un giovane sacerdote bendato che portano nell’appartamento dove tengono sequestrato Moro. Quando arriva si trova davanti un Moro che gli dice che lui è la prima persona che vede in faccia da quando è stato sequestrato. Gli chiede poi notizie dei familiari per sapere se stanno bene e poi chiede la comunione ma prima vuole confessarsi: l’ultima comunione che ha ricevuto è stata il 15 marzo. Moro nella confessione dice di avere commesso un peccato grave che non ha mai sperimentato in precedenza ma che adesso sta provando. Si tratta dell’odio verso i suoi compagni di partito e in particolare verso Andreotti che considera il regista di tutto quanto sta accadendo. Lo ritiene un uomo senza un palpito, un uomo che ha fatto il male e di cui lui ha sempre diffidato ma di cui poi ha cercato di non vedere i difetti. Dice che vorrebbe avere davanti a sé an-

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che altri per potergli dire quello che pensa. Aggiunge che ha paura di morire ma questo non è una colpa e che teme che lo uccideranno anche se il sacerdote lo invita alla speranza e aggiunge che, ad esempio, ha come amico Cossiga. Moro replica che Cossiga è bipolare, va su e giù e di conseguenza si potrebbe assolvere per questa sua non colpa caratteriale. Lui dice di aver assistito tante persone che poi sono morte e che sarebbe stato bello poter morire nel sonno e invece per lui non sarà così perché si troverà a morire condannato a morte dagli amici e dai brigatisti In un Paese che ha abolito la pena di morte. Dice che era pronto a rinunciare a tutte le cariche e soprattutto a diventare Presidente della Repubblica a novembre. Si chiede se deve rinunciare anche alla vita. Da lui pretendono anche la calligrafia perfetta ma non si rendono conto di dove si trova? Il sacerdote gli lascia il rosario gli dice di continuare a sperare e che si rivedranno. Dopodiché lo assolve. Moro gli risponde che sa anche lui che non si rivedranno fuori di lì perché altrimenti non lo avrebbero fatto venire.

È arrivata la lettera in cui praticamente Moro dà l’addio ai familiari. Una delle figlie dice ad Eleonora che si riunisce la Democrazia Cristiana e che pertanto c’è da sperare. Lei dice non sarà così perché la DC è il partito del compromesso che adesso però per lui diventa intransigente. Si affaccia al balcone e viene di nuovo bersagliata dai flash.

Cossiga alla centrale di ascolto schiaccia vari pulsanti e sente varie voci poi si abbandona sulla sedia. Il Papa intanto prega il Signore di dargli la fede. Il consigliere americano va nella notte da Cossiga e gli dice che rientra negli Stati Uniti. Ormai quello che dovevano fare lì hanno fatto e lui è sicuro che Moro verrà rilasciato perché i brigatisti non sono pazzi e sarebbero folli ad ucciderlo. Bisogna semplicemen-

te, quando verrà liberato, tenerlo per un certo periodo lontano da chiunque altro. Secondo Cossiga sarà impossibile perché la famiglia è estremamente provata e vorrà incontrarlo. Il ministro vorrebbe che l’americano rimanesse ma non vuole stringergli la mano perché è convinto di poterlo infettare per le macchie che ha sulla pelle. L’americano gliela stringe ugualmente. Vediamo Cossiga che si reca di corsa nella sala ascolto. Lui entra e tutti si alzano in piedi. Chiede notizie e non ce ne sono. Gli viene detto che ormai gli italiani si stanno stancando della situazione. Anzi c’è addirittura chi scommette. Lui chiede di essere comunque avvisato se succede qualcosa poi riparte di corsa per poi tornare indietro. Si mette a guardare un’enorme piantina della città di Roma su cui vede piantate, invece che lucine, tantissime bandiere italiane.

Il Papa si sveglia e si fa mettere sulla sedia a rotelle. Gli viene chiesto dove vuole andare lui dice di non saperlo. Nel suo percorso passa anche davanti alla montagna di banconote rimaste inutilizzate. Andreotti dorme. Moro cerca di dormire ma ha sempre la luce accesa. Entra un brigatista. Moro non ha mangiato nulla. Gli viene detto che quel giorno deve viaggiare. Un brigatista, dandogli del tu, gli dice di vestirsi e gli viene chiesto se vuole farsi la barba. Moro rifiuta. Si veste, si mette la fede nuziale, si mette l’orologio al polso e mette in tasca la cravatta. Uscendo chiede al brigatista di salutargli i suoi colleghi. Viene bendato con una benda nera Scende accompagnato le scale e viene portato nel garage per essere messo nel bagagliaio dell’auto. Passa un’insegnante che va a scuola parla con una brigatista e si accorge che ha cambiato la macchina per poi passare ai millesimi di condominio. La macchina dell’insegnante esce. Moro viene sbendato e chiuso ancor più dentro il bagagliaio con addosso una coperta. L’auto passa

davanti al palazzo dell’EUR e davanti alla Piramide Cestia.

9 maggio. C’è uno scambio di autisti con un’altra macchina e poi si prosegue passando davanti all’Altare della Patria. Poi la Renault rossa viene parcheggiata e l’autista se ne va. Arriva il messaggio della polizia che è stata trovata un’auto sospetta in via Caetani. Cossiga sente questo messaggio. Il portellone posteriore dell’auto viene scardinato, viene tolta la coperta e si vede Moro che si muove ed è vivo. Si vede il volto di Cossiga illuminarsi. Sono pronti due infermieri che lo mettono in un’ambulanza.

Torniamo all’immagine dei politici che arrivano in ospedale. Andreotti Zaccagnini e Cossiga sono al capezzale di Moro. Viene ripetuto il discorso iniziale dell’incompatibilità da parte dello statista con la Democrazia Cristiana, con il ringraziamento alla Brigate Rosse che gli hanno lasciato la vita. Il discorso viene chiuso dagli spari dell’uccisione di Moro al buio. Un brigatista telefona a casa Tritto per dirgli che deve andare dalla famiglia di Moro a dirgli, come da sua ultima volontà, che troveranno il corpo del Presidente in via Caetani ma deve farlo presto. Prima parla col figlio che passa il padre. La Faranda è fuori dalla cabina telefonica. Cossiga ascolta tutto ciò attonito. Si alza con fatica dalla sua scrivania poi siamo in via Caetani e questa volta il Moro che viene trovato è morto. Passa Cossiga e la gente lo insulta picchiando contro l’auto dandogli dell’assassino. Fa il segno della croce davanti al copro di

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Moro. Viene smontata la cella in cui è stato tenuto prigioniero. A martellate si buttano giù le pareti di compensato e poi si vede la famiglia davanti al cadavere mentre si ascolta la voce di Moro che dice il testo dell’ultima lettera per la moglie. Il comunicato della famiglia è molto duro. Dice che per volontà di Moro non ci sarà nessun funerale di Stato, non ci sarà nessuna commemorazione, nessun discorso e che sulla vita e sul suo operato giudicherà la Storia. Cossiga consegna al suo assistente la lettera con le dimissioni che ha firmato e che sono irrevocabili da consegnare ad Andreotti.

Torino 10 maggio. Al Processo alle BR storiche viene letto un proclama dove si dice che il più alto atto di umanità è avere ucciso il criminale Moro.

10 maggio 1978. A Torrita Tiberina si svolgono in forma privata i funerali di Aldo Moro. Piove.

13 maggio 1978. Nella Basilica di San Giovanni in Laterano si svolgono i funerali di Stato senza il feretro di Aldo Moro. Si vedono tutti i politici e si vede arrivare Paolo VI in sedia gestatoria.

9 luglio 1978. Pertini legge il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. Cita Moro e tutto il Parlamento si alza in piedi ad applaudire Pertini conclude dicendo che se Moro non fosse stato crudelmente assassinato ci sarebbe lui a quel seggio a parlare come presidente della Repubblica.

8 agosto 1978. Paolo VI muore. In piazza San Pietro c’è la scritta: “Papa Paolo VI muore tre mesi dopo il suo amico Aldo Moro”.

29 maggio 1979. Adriana Faranda e Valerio Morucci vengono arrestati e iniziano a collaborare.

24 giugno 1985. Cossiga giura come presidente della Repubblica; italiana Giulio Andreotti rimane ai vertici dello stato fino al 1992.

Eleonora muore a Roma il 19 luglio 2010.

La scritta che ha accompagnato i titoli di coda degli episodi recita: “Ogni riferimento a persone o a fatti realmente accaduti è avvenuto mediante la rielaborazione artistica e creativa degli autori. Il ruolo dei personaggi, delle organizzazioni, delle testate giornalistiche, dei partiti politici, dei programmi televisivi, delle pubbliche amministrazioni e in generale dei soggetti pubblici e privati richiamati nella serie è stato liberamente reinterpretato per finalità drammaturgiche. Qualsiasi collegamento con persone vissute o viventi non esplicitamente individuate è perciò puramente casuale”

AAlla tenera età di 83 anni Marco Bellocchio ci ha regalato uno dei punti più alti della sua filmografia. Lo ha fatto mostrandoci e dimostrandoci che un ’autore’ non si sporca le mani e non scende necessariamente di livello perché si trasferisce dal formato del film a quello seriale. Anzi ci ha provato come nella serialità si possa trovare la giusta dimensione per tornare ad affrontare un argomento già sviluppato in precedenza. Tutti ricordiamo come nel 2003 Bellocchio avesse affrontato con Buongiorno, notte il sequestro Moro. Non si tratta di un film che sia passato inosservato. Anzi. All’epoca aveva suscitato più di una controversia.

Il focus era collocato all’interno della ‘prigione del popolo’ concentrando l’attenzione sulle dinamiche che intercorrevano tra il prigioniero eccellente e i suoi carcerieri.

In questa occasione la prospettiva si ribalta e il titolo ne è testimonianza. Il Moro detenuto compa-

re praticamente solo nell’ultimo episodio e neppure troppo a lungo. Per il resto siamo in quell’esterno in cui è notte anche quando splende il sole. Perché la sceneggiatura scandaglia le reazioni di coloro che sono lontani da quel luogo di detenzione che comunque pesa a vario titolo sulle diverse esistenze. Ecco allora che, dopo il primo episodio in cui si delinea la figura del Presidente della DC alla vigilia del rapimento, le dramatis personae diventano altre. Sono Cossiga, il Papa, la moglie Eleonora, i terroristi e Giulio Andreotti che si vede poco ma quanto basta per marchiarlo a fuoco (anche attraverso quel bellissimo e intenso monologo della confessione che Gifuni sa recitare con grande adesione alle parole e al personaggio).

L’idea di raccontare il sequestro riprendendo per ognuno la narrazione dalla prossimità con il rapimento consente di moltiplicare i punti di vista e permette a Bellocchio di tornare ad affrontare in temi a lui più cari. A partire dall’analisi del Potere per poi riflettere sul rapporto tra la Chiesa come istituzione e la profonda umanità, in un conflitto interiore tormentato, di un pontefice. Fino a potersi lasciar andare ai momenti di visionarietà che costellano la serie e che hanno spesso un grado elevatissimo di significazione non fine a se stessa. Bellocchio si può così consentire lampi di lettura psicologica dei personaggi (il vomito di Andreotti, le pseudo macchie sulla mani di Cossiga, la confessione a cuore aperto di Eleonara nei riguardi del coniuge) che ce li incorniciano con efficacia anche grazie a un cast particolarmente mirato. Bellocchio arriva anche a citarsi ma lo fa con cognizione di causa. Chi ricorda L’ora di religione ricorda anche il ruolo che vi svolgeva l’Altare della Patria. Che anche qui ritorna con una valenza al contempo simile e diversa.

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FILM

Film e Serial europei della stagione

La rivista, trimestrale, recensisce i film italiani ed europei che escono in Italia e le serie televisive, sempre italiane ed europee.

Pubblicato a cura del Centro Studi Cinematografici è un bimestrale di cinema, televisione e linguaggi multimediali nella scuola con più di trent’anni di vita. Si rivolge agli insegnanti, agli animatori culturali e a tutte le persone interessate al cinema. Ogni numero contiene saggi su temi attuali, schede critiche su film adatti alle diverse fasce di età, esperienze e percorsi connessi con la fruizione di film (serie televisive, immagini in genere), recensioni di libri, dvd e proposte veicolate da internet. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 35.00

Per ogni produzione riporta cast e credit. È uno strumento di lavoro utile per chi voglia avere un panorama della produzione cinematografica e televisiva nazionale e dell’Europa, una rivista di ricerca e approfondimento per cinefili e studiosi, per animatori culturali e insegnanti. Un archivio storico prezioso per Scuole, Università e Biblioteche.

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Il 24 maggio 2015 abbiamo ricordato l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Gli anniversari sono sempre fonte di rivisitazione e di stimolo verso più meditati giudizi su quanto è avvenuto. Lo Speciale propone un saggio e una raccolta di schede che fanno riferimento alla Prima Guerra Mondiale. Pur nella loro diversità tutti gli articoli possiedono un fil rouge che li unisce e che passa attraverso due diverse chiavi interpretative: il rapporto tra Cinema e Storia e il Cinema come elemento che contribuisce esso stesso a creare la Storia. Disponibile la versione digitale (PDF) gratuita scaricabile da www.cscinema.org

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Giuseppe Gariazzo, Giancarlo Zappoli

Gli schermi e l’Islam 400 film

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L’intenzione è, prima di tutto, divulgativa. Il lavoro è stato infatti concepito come strumento utile non solo per gli addetti ai lavori, ma per insegnanti, educatori, associazioni al fine di comprendere in modo chiaro ed essenziale un argomento di estrema e complessa attualità.

Flavio Vergerio (a cura di)

L’invisibile nel cinema Falsopiano/Centro Studi Cinematografici Alessandria 2017 pp.206, euro 10.00

Il cinema che produce pensiero non è quello che mostra ma quello che occulta, che suggerisce, che interpella sull’oltre dell’immagine. Il cinema che invita a vedere, fra gli interstizi della narrazione per immagini, nelle ellissi, nei falsi raccordi di montaggio, nel fuori campo, nella sospensione del racconto. Il volume aggiunge voci diverse e diverse sensibilità di studiosi ai non pochi contributi usciti in questi ultimi anni su questo stimolante argomento.

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Esterno notte

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Il santone - Le più belle frasi di Osho

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Bangla la serie

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Tra due mondi

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Me contro te - Persi nel tempo

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Full Time al cento per cento

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Una femmina

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Un altro mondo

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Sulle nuvole

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Il colibrì

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The King’s Man - Le origini

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Sempre più bello

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La vita è una danza

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Maigret

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Per niente al mondo

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Io sono l’abisso

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Hatching - La forma del male

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L’immensità

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Flee

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Il signore delle formiche

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Il filo invisibile

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Lamb

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Cyrano

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C’è un soffio di vita soltanto

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Ennio

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Dio è in pausa pranzo

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Siccità

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