Terra di nessuno
Dove le mafie, e in particolare la ‘ndrangheta, trovano spazio per le loro infiltrazioni a Roma e nel Lazio Fugare una serie di pregiudizi quando si parla del fenomeno mafioso è fondamentale. E dunque, per quanto gli affari storicamente (o meglio, folcloristicamente) legati al fenomeno mafioso siano ancora oggi una parte fondamentale dell’introito italiano delle ‘ndrine, oggi è fondamentale guardarsi dalle infiltrazioni nell’economia legale. Una delle regioni in cui i dati sull’infiltrazione mafiosa nelle aziende saltano all’occhio è il Lazio: nella regione, e soprattutto nelle province di Roma e Latina, il numero di aziende confiscate è oltre il doppio rispetto alla media nazionale (5,9 ogni 10.000 aziende registrate a Roma, 5,2 a Latina). Sopravvive chi s’adatta La vulgata televisiva e cinematografica relativa alla mafia vede i suoi protagonisti per lo più intenti in azioni estremamente violente verso terzi o, non meno spesso, verso membri della propria stessa “specie”. Le guerre interne alle mafie sono tra gli argomenti preferiti del mondo cinematografico, con conquiste di territori altrui a marcare le differenze tra diverse tribù. E se da una parte per le ‘ndrine è impossibile raccontare una realtà altra rispetto a una dimensione fortemente locale e profondamente familiare, dall’altra fuori dalla regione d’appartenenza la ‘ndrangheta ha trovato, più che un terreno da conquistare, un ecosistema in cui ambientarsi. Questo è valido soprattutto per il Lazio e, in particolare, per la capitale. Il rapporto “Mafie nel Lazio”, commissionato dalla Regione Lazio e a cura di Crime&Tech (Università Cattolica di Milano) conferma una delle più classiche raffigurazioni di Roma: la città che “nun vo’ padroni”, ma che allo stesso tempo ha offerto una squisita ospitalità a moltissime organizzazioni criminali nel corso dei decenni. Presenza, ovviamente, negata in maniera quasi religiosa, ma onorata soprattutto dagli anni ’80 con un radicamento forte sul territorio (tanto da garantire il tempo, a pezzi di organizzazioni mafiose preesistenti, di sviluppare dei gruppi “autonomi” rispetto alle organizzazioni centrali). Scomodo
Gennaio 2020
La filiera Tale presenza, appunto, non è però egemonica: anzi, quel che sembrerebbe richiesto alle organizzazioni mafiose del Lazio sarebbe una certa capacità di adattamento e, alle volte, di cooperazione ed integrazione. Ciò, per quanto paradossale, assume contorni piuttosto abitudinali se si pensa appunto nell’ottica dell’infiltrazione delle economie legali presenti sul territorio regionale: così tante e così composte da costituire un’occasione di spartizione dei compiti estremamente redditizia oltreché, per l’appunto, teoricamente legale. Esempio principe della costruzione di una vera e propria filiera mafiosa riguarda il commercio all’ingrosso, riscontrata ma non del tutto smantellata da varie indagini ed operazioni (nello specifico operazioni Acero-Krupy, Gea e Sudpontino) appunto nel sud del Lazio. Si tratta del Mercato Ortofrutticolo di Fondi (MOF): qui si è dato vita ad un business florido, ben curato e radicato sul territorio (ma con, secondo il rapporto di Crime & Tech, “proiezioni internazionali”) attraverso collegamenti con elementi dell’amministrazione pubblica e, appunto, cooperazione a più livelli tra tre “mafie tradizionali”, vale a dire Camorra, Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Secondo le indagini, il clan dei Tripodo (famiglia riferibile alla ‘ndrangheta) era in grado di pilotare la grossa parte delle decisioni logistiche anche, appunto, con il benestare di elementi dell’amministrazione comunale di Fondi: prezzi del mercato, titolarità di fatto di varie ed importanti aziende agricole, decisione riguardo all’accesso al mercato di determinate imprese piuttosto che altre. 7