Porto di Ust-Luga, terminal di stoccaggio di petrolio (photo © stock.adobe.com). proprio prodotto, al momento subiscono un danno incalcolabile dovuto al fatto che viene meno un mercato su cui si sono investite risorse, tempo e denaro. In più, ne può derivare un problema indiretto legato, per esempio, all’abbassamento del proprio rating finanziario. È noto infatti che le banche, nel fare valutazioni di merito di credito, prendano in considerazione sia fattori soggettivi relativi all’impresa, ai soci e alla loro capacità di produrre reddito, sia al mercato nel quale l’azienda opera. Ci sono fattori che, pur completamente slegati dalle dinamiche aziendali, possono influenzare negativamente il giudizio assegnato all’impresa e impedirle così di accedere al credito. Questo è uno di quei casi, purtroppo. Gli effetti delle sanzioni sull’economia russa si sono resi palesi da subito; d’altronde si tratta di provvedimenti di enorme portata e senza precedenti, anche per il numero di Stati coinvolti. Tuttavia, la situazione è in continua evoluzione anche per le posizioni assunte dalla Russia in risposta ai Paesi Occidentali. Ma al momento in cui scriviamo le misure non sembra siano state sufficienti a far rientrare i termini del conflitto.
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La Russia ha dalla sua il fatto di essere grande esportatrice verso gli stessi Paesi che la sanzionano di risorse energetiche fondamentali (il 40% del gas e il 24% del petrolio) o altre tipologie di produzioni, non ultimi molti metalli indispensabili per il settore automobilistico e aereo. Nel settore agroalimentare dipendiamo dall’Orso per i fertilizzanti e il grano, di cui è divenuto tra i più grandi esportatori mondiali (20% del mercato). Su questo fronte si sono bloccate le spedizioni verso l’Unione Europea e, unitamente alle problematiche con l’Ucraina, si sono generate una serie di conseguenze di causa-effetto che hanno travolto la nostra economia in buona parte sul sistema agroalimentare, ma non solo. Viene a mancare lo scambio commerciale con un Paese che del made in Italy acquistava i prodotti più pregiati e a maggior valore aggiunto. Secondo COLDIRETTI, le sanzioni vanno a colpire soprattutto specialità come caffè, per 80 milioni di euro, olio d’oliva, per 32 milioni di euro, pasta, per 27 milioni di euro, vino e spumanti, per un valore attorno ai 150 milioni di euro. L’Italia è il primo Paese fornitore di vino in Russia, con una quota di mercato di circa il 30%, davanti a
Francia e Spagna, e ha registrato nel 2021 un boom della domanda di spumanti, a partire da Prosecco e Asti, sebbene tra le denominazioni più apprezzate ci siano anche i vini toscani, siciliani, piemontesi e veneti. Ma a subire i danni saranno anche salumi, formaggi e ortofrutta e specialità come il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il prosciutto di Parma, il San Daniele. Al problema delle mancate esportazioni si aggiungerebbe inoltre il paradosso della diffusione, nel contempo, nel mercato russo, di prodotti di imitazione made in Italy realizzati in loco, che a maggior ragione, in questa fase, troveranno spazi per affermarsi. Nei supermercati russi si possono trovare infatti bizzarri surrogati locali e non solo che prendono il posto dei cibi italiani originali. Non bastasse, il danno si estende alla ristorazione tricolore russa o di emigrati italiani, che in questa fase dovrà giocoforza rinunciare ai prodotti alimentari originali del Belpaese. L’Italia non scambia solo merci con la Russia, ma è anche meta turistica molto ambita, generando flussi fortemente remunerativi in termini di presenza e di qualità, perché il viaggiatore medio russo vanta una capacità di spesa elevata. La contrazione che può derivare dalle sanzioni è pertanto preoccupante, soprattutto all’indomani di una pandemia devastante per i mercati e se i provvedimenti dovessero durare nel tempo. Ma i rischi si annidano anche sotto il profilo finanziario, nell’esposizione di crediti e affidamenti, così come nel crollo dei valori degli investimenti finanziari in emittenti denominati in rubli, che riguardano le banche, i soggetti che li intermediavano, ma anche i risparmiatori privati. Tutto quanto descritto contribuisce in maniera significativa ad un’impennata dell’inflazione e dei costi di alcune materie prime alimentari e non che non si vedeva da decenni. Chissà se l’Europa sarà davvero pronta, al di là dei proclami, a pagare, anche sul lungo termine, il prezzo di questa guerra. Guido Guidi
Eurocarni, 5/22