PERCORSO ANTOLOGICO
T 19 Non omnis moriar Carmina III, 30 LATINO
Questo celebre carme congeda il III libro e insieme i primi tre libri delle Odi, pubblicati nel 23 a.C. Composto sullo stesso metro dell’ode a Mecenate che apre il I libro, chiude retrospettivamente in compatta unità la prima raccolta dei Carmina, che certo Orazio doveva allora considerare definitiva. Tema dominante, l’immortalità del canto (unica forma di perenne sopravvivenza concessa agli uomini) che vince il tempo e la morte, insieme al legittimo orgoglio del poeta per la grande opera compiuta. Orazio rivendica un primato, quello di essere stato il fondatore di un genere nuovo, che ancora mancava alla letteratura di Roma: egli per primo (princeps) ha trasferito e ricreato nella lingua latina i modi della lirica greca classica, ispirandosi al «canto eolio» di Saffo e di Alceo (vv. 13-14). La gioia di essere ricordato nel paese natale (vv. 10-12) è un motivo ricorrente nei carmi di commiato, ma Orazio ravviva i consueti cenni autobiografici sottolineando il contrasto fra le proprie umili origini e l’altezza della gloria poetica conquistata (ex humili potens). Mediante un’unica, indimenticabile immagine di ieratica solennità (vv. 8-9), l’immortalità del canto lirico (e della propria fama) viene associata all’immortalità di Roma. Così, nel breve giro di versi dell’ode, il poeta rende plasticamente sensibile, con mirabile concentrazione espressiva, l’innesto della cultura greca sul terreno latino-italico. Orazio assume qui il ruolo sacrale del poeta vates; coerentemente, sul piano della poetica e delle forme, la ricerca si orienta verso i modelli di stile sublime, sopra tutti Pindaro e Simonide.
Nota metrica: asclepiadei minori.
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Exegi monumentum aere perennius regalique situ pyramidum altius, quod non imber edax, non Aquilo impotens possit diruere aut innumerabilis annorum series et fuga temporum.
[1-5] Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più alto della regale mole delle piramidi, tale che non la pioggia corrosiva, non l’impetuoso Aquilone potranno distruggerlo, né la serie innumerevole degli anni, né la fuga del tempo. Exegi: perfetto indicativo di exı̆go (ex + ago); lett. «ho compiuto», «ho portato a termine». – aere perennius: il comparativo neutro dell’aggettivo perennis, e («che dura per molti anni»; per + annus) concorda con monumentum; l’ablativo aere (da aes, aeris) esprime il termine di paragone. Nel bronzo, materiale nobile e resistente, si forgiavano le statue degli dèi e degli uomini illustri. – regalique... altius: con perfetta simmetria, che scandisce il ritmo solenne dell’esordio, il v. 2 è chiuso da un altro comparativo neutro (altius), pure concordato con monumentum e preceduto dal termine di paragone in ablativo (regali... situ) specificato dal
genitivo plurale pyramı̆dum. È detta «regale», la «mole» delle piramidi, in quanto notoriamente erano i monumenti funebri dei Faraoni, sovrani dell’antico Egitto. – quod non... possit diruĕre: relativa impropria di valore consecutivo, introdotta dal pronome neutro in accusativo quod, riferito a monumentum. Il predicato singolare possit (diruere) si riferisce a quattro soggetti (imber... Aquilo... series... fuga) introdotti da scandite e perentorie negazioni: l’avverbio non in anafora; le congiunzioni aut... et, con variatio (si ricordi che in frase di significato negativo aut vale «né»). Il verbo diruere (dis + rŭo) significa propriamente «demolire», «ridurre a rovine» (cfr. ruina, ae). – edax: da ĕdo, ĕre («mangiare», «consumare»); perciò «divoratrice», ossia, fuor di metafora, «che corrode», «che disgrega». – Aquilo impotens: l’Aquilone o Borea, freddo e tempestoso vento invernale che spira dal Nord, è detto
impotens, «violento», «impetuoso»; lett. «che non sa frenarsi» (cfr. Catullo 8, 9). – innumerabilis annorum: non solo il significato in sé, ma anche la lunghezza delle parole e la posizione in enjambement (vv. 4-5) evocano l’incommensurabile, ininterrotto scorrere del tempo. – fuga temporum: anche «la fuga delle stagioni» (tempora anni) o «dei secoli»; il plurale temporum, che vale a designare le più diverse sequenze temporali, conferisce all’espressione un’indefinita suggestione, dilatata dalla metafora (fuga). Se l’espressione precedente evocava l’immensità del tempo, qui l’accento è posto sulla rapidità della sua inarrestabile corsa. Si osservi ancora la disposizione chiastica, enfatizzata dall’omoteleuto che lega i due genitivi (annorum series... fuga temporum).
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