Inferno
gli iracondi e gli accidiosi
D
entro una barca piccola e stretta, costretti a stare in posizione eretta, noi navighiamo nella palude dello Stige, fra le sue onde di fango nere e grigie. Bolle continue di diversa misura affiorano sulla superficie oscura e dalle acque putride e profonde escono anime che fan cose immonde. Nel tentativo di prendere respiro, residuo del ricordo d’esser vivo, si fanno spazio con mani, unghie e denti e non è il caso che ancora vi racconti.
Son gli iracondi, di rabbia pervasi, sul fondo, invece, stanno gli accidiosi, che con pigrizia, lentezza ed indolenza, producono questa continua effervescenza. Dal fango spunta uno spirito sporco, la sofferenza sua salta al mio occhio e riconosco, sotto tanto fango, un mio nemico, non più pieno di vanto. Quand’era in vita, Cavacciuli Filippo, andava fiero e vanesio al galoppo, era dei Neri, nemico di noi Bianchi e si appellava, allor, Filippo Argenti. Ricordo bene i suoi insulti e le offese e adesso quelle sue braccia verso me tese non mi commuovono, per quello che mi ha fatto, e nella melma lui affoga tutt’a un tratto.
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