PERCORSO ANTOLOGICO
Quis scit an adiciant hodiernae crastina summae tempora di superi? Cuncta manus avidas fugient heredis, amico 20 quae dederis animo. Cum semel occideris et de te splendida Minos fecerit arbitria, non, Torquate, genus, non te facundia, non te restituet pietas. Chi sa se i superni dèi alla somma dell’oggi vorranno aggiungere il tempo d’un domani? Tutto ciò che avrai concesso al tuo caro cuore, 20 sfuggirà alle avide mani d’un erede. Una volta perito, quando Minosse abbia pronunciato su di te una pur splendida sentenza, la nobile stirpe, o Torquato, la facondia, la pietà, non ti restituiranno alla vita; 17-18. Quis... superi?: cfr. I, 11 [ T11]. 21. Minos: re di Creta e giudice infernale.
23. Torquate: probabilmente un discendente dell’antica e illustre famiglia dei Manlii, come conferma l’allusione
al genus. La facundia testimonia invece della sua valentia di oratore.
Le FORME dell’ESPRESSIONE Misura classica e armonia compositiva nell’ode IV, 7 ▰ Perfezione classica della struttura Nella più
bella e più intensa ode del IV libro, i temi tradizionali della poesia oraziana ritornano, modulati in toni più cupi e severi, ma ancor più nobilmente inquadrati nella misura classica ed essenziale delle immagini e nella perfetta struttura architettonica e ritmica del testo. In particolare, in questo componimento Orazio riprende il motivo centrale e numerosi spunti dall’ode “parallela” a Sestio (I, 4 [ T8]), ancora in parte debitrice al gusto alessandrino dei “quadretti” aggraziati e dei vivaci particolari descrittivi; è dunque il poeta stesso a richiedere un confronto tra l’ode giovanile e lo svolgimento più maturo ed essenziale del medesimo motivo.
▰ Perfetto dosaggio di ogni elemento La forza lirica della meditazione scaturisce dal perfetto
dosaggio di ogni elemento. Si osservi, sul piano concettuale e tematico, la concatenazione logicoaffettiva delle immagini: dall’apertura luminosa sul ritorno della primavera (vv. 1-6) al rapido susseguirsi ciclico delle ore e delle stagioni (vv. 7-12), da cui scaturisce il grave ammonimento (Immortalia ne speres...), alla constatazione della finitezza lineare della vita umana (vv. 13-16), al motivo del carpe diem (vv. 17-20), all’inesorabilità della fine (vv. 21-28). Sul piano retorico-sintattico, da notare innanzitutto gli enjambement fortissimi dei vv. 10-11 e 11-12, dove una congiunzione e un avverbio di tempo (simul, v. 10; mox, v. 11) scandiscono ed enfatizzano (si direbbe paradossalmente, con una pausa ritmica) l’inarrestabile fuga del tempo; inoltre, l’uso intensivo delle anafore dislocate nei punti patetici del discorso: quo... quo (v. 15); non... non... non... (v. 23). L’ode, nella sua armonica limpidezza, si avvale infine di una rete di citazioni allusive che amplificano il motivo lirico dominante della morte [ Dialogo con i modell, p. 246].
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