L’ETÀ DI AUGUSTO
3. Orazio
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contuderit vitis oleamve momorderit aestus, nec quia longinquis armentum aegrotet in agris, sed quia mente minus validus quam corpore toto nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum; fidis offendar medicis, irascar amicis, cur me funesto properent arcere veterno, quae nocuere sequar, fugiam quae profore credam,
PERCORSO ANTOLOGICO
colpito le mie viti e il caldo bruciati gli ulivi, né perché il mio armento giaccia ammalato in luoghi lontani; ma perché meno sano d’animo che di tutto il corpo, non voglio imparare nulla, non voglio ascoltare nulla che possa alleviarmi il male, mi disgustano i fidi medici, mi arrabbio con gli amici perché si danno tanta premura per liberarmi di questo letargo funesto, vado dietro a ciò che mi può nuocere e fuggo ciò che penso mi gioverebbe, e, volubile come il vento, sento la 10. veterno: veternus è aggettivo sostantivato (da vetus). Indica uno stato di torpore caratteristico della vecchiaia, ma anche una sorta di indolenza accidiosa che provoca la paralisi dei centri vitali e
una forma di depressione psico-fisica. Cfr. anche Epistole I, 11, 28, dove Orazio parla di strenua... inertia. 12. Tibur: dove Orazio possedeva una villa amatissima. Roma e Tivoli rappre-
sentano due diversi modelli di vita. Si osservi l’elegante costruzione chiastica del verso.
Letture PARALLELE Inquietudine esistenziale e taedium vitae In tutte e due le epistole oraziane che proponiamo (I, 4 e I, 8), è presente il tema dell’inquietudine esistenziale e del taedium vitae. Per un ulteriore approfondimento, si può leggere anche l’epistola I, 11 insieme ad altri passi contenuti in Satire II, 7 (22 sgg. e 111 sgg.) e Epistole I, 1, 97 sgg. Significativo il confronto con il brano
lucreziano già ricordato e con diversi luoghi delle opere filosofico-morali di Seneca (ad esempio De tranquillitate animi 2, 6-15; Epistulae ad Lucilium 2; 28; 69). Il tema godrà di ampia fortuna nella lirica moderna. Scrive Leopardi, in un passo dell’epistola poetica Al conte Carlo Pepoli (78-87):
Altri, quasi a fuggir volto la trista umana sorte, in cangiar terre e climi l’età spendendo, e mari e poggi errando, tutto l’orbe trascorre, ogni confine degli spazi che all’uom negl’infiniti campi del tutto la natura aperse, peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside su l’alte prue la negra cura, e sotto ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno felicità, vive tristezza e regna. Spleen e Ideale si intitola la prima e fondamentale sezione dei Fiori del male (1857) di Charles Baudelaire, da leggere nella classica traduzione in versi di Luigi de Nardis
(Universale Economica Feltrinelli), oppure nella versione in prosa di Attilio Bertolucci (Grandi Libri Garzanti).
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