N. 32 MAGGIO 2020

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La maledizione dei nati sotto Saturno

----------------------------------------------------------------------------------------------------Gioie e soprattutto dolori di chi ha scelto di dedicare la sua vita a lavorare per la cultura

I lavoratori del settore della cultura sono stati i grandi assenti all’interno del dibattito pubblico sulla tutela del lavoro in stato d’emergenza, nonostante abbiano subìto tra i primi le conseguenze della chiusura totale e saranno probabilmente tra gli ultimi a poter riprendere a lavorare. Nella cornice dell’ambito culturale, la mancanza di tutele non è però una novità: l’emergenza sanitaria ha solo reso più evidenti delle criticità che erano già all’ordine del giorno per i lavoratori del settore. Molto spesso, infatti, si fatica ancora a riconoscere l’attività culturale come un vero e proprio lavoro, che, al contrario, viene considerato più che altro un passatempo, anche nel caso di grandi professionisti del settore. Emblematiche sono state le parole di Conte che, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto li ha definiti “gli artisti che tanto ci fanno ridere e appassionare”, definizione che non lascia spazio a dubbi su quanto sembri ancora faticoso chiamarli “lavoratori e lavoratrici della cultura”, continuando così ad alimentare quel vecchio adagio per cui “con la cultura non si mangia”. Il loro mancato riconoscimento come veri e propri lavoratori non avviene soltanto da parte dello Stato, ma spesso anche da parte degli stessi professionisti del settore. Basti pensare che il 90% di questi non è iscritto al sindacato. Il vero fulcro della controversia riguarda però i contratti: 48

è infatti il datore di lavoro che può scegliere il contratto collettivo da applicare e che spesso non rispetta le tipologie previste dal CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro), questo perché le figure del comparto culturale prevedono spesso mansioni particolarmente soggette a flessibilità e peculiarità specifiche a seconda della sfumatura di ruolo ricoperto. Inoltre nella maggior parte dei casi le collaborazioni sono piuttosto brevi o al massimo stagionali, elemento che rende ulteriormente complessa la loro regolarizzazione all’interno del mercato del lavoro. Importanza cruciale avrà in questo senso la riorganizzazione post-emergenza del settore, proprio per quanto riguarda le tipologie di contratti, che dovranno essere – come ci spiega Elisa Rebecchi, sindacalista SLC-CGIL, comparto produzione culturale – “meglio ritagliate sulle specifiche peculiarità dei lavoratori della cultura, che rappresentano una categoria spesso priva di rapporti continuativi e che necessita quindi di molti più ammortizzatori sociali e sostegni al reddito”. Un esempio emblematico di tutto il quadro appena dipinto è il caso del bonus INPS previsto dal Decreto Cura Italia. per accedervi era necessario aver versato almeno trenta giornate di contributi e infatti il 45% dei lavoratori del settore non ha potuto richiederlo, in quanto non raggiungeva la quota di giornate versate necessaria.

Trenta giornate di lavoro possono sembrare poche, ma il mancato rispetto dei contratti lavorativi e il lavoro in nero hanno impedito alla maggior parte di questi lavoratori di accedere al bonus. Il report dell’INPS sui lavoratori dello spettacolo esemplifica questo problema con i numeri, un esempio: gli attori iscritti sono 72.997, la loro retribuzione media (annuale!) è pari a 2.836 euro e la media giornate lavorative (sempre annuale) è 16. La mancanza è stata poi rilevata dal Governo, che con il Decreto Rilancio ha abbassato le giornate contributive da 30 a 7, grazie anche alle pressioni di diverse realtà associative e sindacali di settore. Oggi infatti, ma ancor di più in questo momento di emergenza, autonomia e autosufficienza sono ardui obiettivi da raggiungere per i lavoratori operanti nel mondo della cultura. L’associazionismo, inteso come formazione di un ente no profit, si è rivelato molto efficace per numerose realtà; ha permesso loro di rimanere attive sul territorio, contribuendo così allo sviluppo sociale, ma anche economico del Paese. Queste reti operano spesso in collaborazione con i sindacati, e non in forma di sostituzione o contrasto, ma sono enti fondamentali per la sopravvivenza del settore. In molti casi sono cruciali proprio per incoraggiare i lavoratori al sostegno reciproco e all’aggregazione, che spinge anche ad una maggiore sensibilizzazione sul tema dei diritti, e verso un’unione più coesa per dare voce alla rivendicazioni comuni. Scomodo

Maggio 2020


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