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Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa - xxxi, 2016
Danilo Breschi
Il vario liberalismo italiano e la rivoluzione d’Ottobre
Probabilmente il titolo promette troppo rispetto a quanto può essere mantenuto nello spazio di un breve saggio. Qui sono stati presi in considerazione soltanto alcuni tra i più significativi esponenti del liberalismo italiano; esclusivamente figure di intellettuali, filosofi, giuristi o giornalisti, eccezion fatta per Giovanni Amendola, che da intellettuale raffinato divenne il «leader del liberalismo democratico italiano nei primi anni del regime fascista»1. Sono autori i cui giudizi sugli effetti provocati dalla rivoluzione d’Ottobre fanno emergere alcune considerazioni utili per una riflessione più generale su come la cultura politica liberale si pose di fronte alle sfide interne innescate dal successo bolscevico in Russia: la deriva massimalista e rivoluzionaria del socialismo nostrano e la risposta piccolo e medio-borghese che avrebbe favorito l’ascesa del fascismo, costola del vario sovversivismo sorto a Sinistra nei primi vent’anni del Novecento. Premessa teorica e metodologica, tanto ovvia quanto necessaria, è che il liberalismo italiano, al pari di altri contesti nazionali, presentava all’epoca – e tuttora – una diversificazione, talora divaricazione, interna di posizioni tra una Destra e una Sinistra, nonché tra filogovernativi e antigovernativi, ossia tra chi considerava come genuinamente – o passabilmente – liberale la classe politica al governo e chi, invece, tale la riteneva poco o per niente, e perciò la incalzava ad esserlo dalle file dell’opposizione, sovente extraparlamentare, quando non ne auspicava la completa sostituzione. Un dato che accomuna gli autori qui passati in rassegna è la prevalenza di posizioni avverse – a diversa gradazione – all’establishment politico dell’Italia pur detta “liberale”, quasi sempre riassunto nella figura di Giolitti. Posizione peraltro prevalente tra le file del liberalismo italiano, come conferma anche il giudizio espresso sul bolscevismo, nella sua versione tanto russa quanto italiana. Si tratta di una posizione che affonda le proprie origini nella travagliata fase relativa all’ingresso dell’Italia in guerra tra 1914 e 1915. Tra interventismo e neutralismo si spacca l’apparente unità del liberalismo italiano, e prevale l’antigiolittismo2. Sarà l’immediato dopoguerra a confermare tale prevalenza. Per alcuni, i conservatori soprattutto, il liberalismo giolittiano 1 Paolo Bonetti, La democrazia liberale di Giovanni Amendola, in Id., Breve storia del liberalismo di sinistra. Da Gobetti a Bobbio, postfazione di Dino Cofrancesco, Liberilibri, Macerata 2014, p. 41. Cfr. Elio D’Auria, Liberalismo e democrazia nell’esperienza politica di Giovanni Amendola, Società Editrice Meridionale, Salerno-Catanzaro 1978. Si veda anche la recente biografia sul leader antifascista di Alfredo Capone, Giovanni Amendola, Salerno Editrice, Roma 2013. 2 Nella vasta letteratura esistente sull’argomento, si vedano i recenti lavori di Luigi Compagna, Italia 1915. In guerra contro Giolitti, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015; Giorgio Petracchi, 1915.