STORIA E POLITICA

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Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa - xxxi, 2016

Guido Carpi

I marxisti russi nel 1917 (dal Febbraio all’Ottobre)

1. I marxisti russi arrivano all’appuntamento di febbraio in ordine sparso e del tutto impreparati: «Non solo le vergini folli del liberalismo, ma anche le vergini sagge dei partiti di sinistra avevano dimenticato di prender con sé l’olio per le proprie lucerne» – commenta a inizio aprile 1917 il matematico e teorico marxista Pavel Juškevič sull’organo dei socialisti moderati1. Trasversali rispetto alla tradizionale dicotomia bolscevichi/menscevichi, le divergenze fra i marxisti russi dei tardi anni Dieci riguardano le questioni più diverse: 1) la forma-partito, coi “liquidatori” di Aleksandr Potresov – destra menscevica – decisi a rottamare la struttura illegale del POSDR (Partito Operaio Socialdemocratico Russo) per fondare una socialdemocrazia “normale” di tipo tedesco, i menscevichi centristi e di sinistra a tutela di un partito illegale ma il più possibile inclusivo, e i bolscevichi fedeli alla loro idea di partito-falange dei “rivoluzionari di professione” 2) la guerra, salutata dai “socialpatrioti” – ancora Potresov e il patriarca del marxismo russo Georgij Plechanov – come prova di maturità “nazionale” del proletariato, avversata in chiave pacifista dagli altri menscevichi, considerata da Aleksandr Bogdanov come un fenomeno entropico e da Lenin e Trockij come autodistruzione dell’imperialismo e levatrice della futura rivoluzione mondiale 3) la tattica rivoluzionaria, ovvero le lezioni da trarre dal fallimento del 1905: i menscevichi sostengono che la rivoluzione si debba fare di comune accordo con la borghesia, altrimenti quest’ultima si spaventa e svolta verso lo zarismo; i bolscevichi, al contrario, considerano la borghesia agiata una classe conservatrice e vogliono alleare il proletariato ai contadini – da loro visti come piccola borghesia dal potenziale rivoluzionario prezioso, se trainato dal proletariato. C’è poi la piccola accolita dei seguaci di Lev Trockij – detti mežrajoncy (comitato interrionale), i cui circa 4.000 membri confluiscono nelle file bolsceviche nell’estate 19172 – che teorizzano 4) la rivoluzione permanente, ossia il principio secondo cui l’innesco di un tentativo socialista è più facile in Russia che altrove – dati lo sviluppo capitalistico squilibrato e la debolezza della borghesia locale – ma il processo dovrà necessariamente estendersi al resto d’Europa, pena il soffocamento della rivoluzione nella sola Russia 5) addirittura gli assunti gnoseologici: i seguaci di Bogdanov e del suo “empiriomonismo” sono convinti che la “realtà” – tanto quella attingibile sul piano epistemologico-scientifi-

Pavel Juškevič, Tvorčeskaja revoljucija [La rivoluzione creativa], “Den’”, 6 aprile 1917, p. 3. Vedi ad esempio Nikolaj Nikolaevič Suchanov, Cronache della rivoluzione russa. Vol. 1, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 106 n. e passim. 1

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