La morte e i suoi luoghi Cronache da Eusonia
Università degli Studi di Udine | D.P.I.A. Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura Corso di Laurea Magistrale in Architettura | LM-4 a.a. 2020-2021 Elaborato di Tesi Studente: Tommaso Antiga
Relatore: prof. arch. Giovanni La Varra
- Schneider fa notare che, secondo Speiser e Heine-Geldern, “gli elementi culturali eminenti della cultura megalitica sono: le costruzioni ciclopiche, le pietre commemorative, le pietre come residenza delle anime, i cerchi cultuali di pietre, le palafitte, la caccia di teste, i sacrifici di buoi, gli ornamenti a forma di occhio, le barche funerarie, le scale degli antenati, i tamburi per trasmettere segnali, il palo del sacrificio e i labirinti”. E sono precisamente questi elementi quelli che permangono in forma di simbolo con maggiore costanza attraverso il tempo 1 -
1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 21.
Indice
- DITA. Nella mitologia, le dita, ossia i Dattili, sono imparentate con i Cabiri, divinità protettrici. Corrispondono alla sfera ctonia e hanno la funzione di collegare il mondo infero con quello terrestre 1 ***
13
01. Avvertenze. Come e cosa
13 [01.1] “Ordine!”. Avvertenze sul come 15 [01.2] Ridurre il campo d’azione. Avvertenze sul cosa
19
02. Un manifesto. Mettere le dita
19 [02.1] Rughe 22 [02.2] Sfruttamento, uso e concessione 25 [02.3] Qualcosa in comune
33
03. Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
33 36 42 48 55 63 69 71 75 79 85 89
[03.1] Ritorno al ventre [03.2] Imbrogli e sostituti [03.3] Fondazioni [03.4] Avvisi scarlatti [03.5] Macabré e la sua danza [03.6] Il Giudizio ai piedi del letto [03.7] La morte di sé [03.8] Eros [03.9] Bichat, o di colui che rischia la morte [03.10] Flambeau, tombeau [03.11] “La Terre et les Morts” [03.12] Inibizioni. Algofobia è tanatofobia
1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 180.
7
113
04. Intermezzo. Eusonia, o la società contemporanea
117
05. Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
117 118 128 132 139 142 147 165 172 179 187 192
[05.1] Caverne [05.2] Montagne [05.3] Gravitare intorno ai santi [05.4] La Via delle Tombe [05.5] Teschi ed effigi [05.6] “Illuminate” inchieste [05.7] Circulum ad quadratum [05.8] Il Cinico “oltre i Lumi” [05.9] Formalizzazione di una svolta [05.10] Cambiare l'acqua ai fiori [05.11] Cortei [05.12] Il cadavere, lo specchio, il sesso
201
06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
223
07. Prospettive. Sacro laico futuro
223 226 231 237
245
[07.1] Sacro religioso e sacro laico [07.2] Sacro laico futuro, o luoghi della contemplazione [07.3] Sacro laico futuro, o luoghi del silenzio [07.4] Sacro laico futuro, una personale sintesi
08. Metamorfosi, o della putrefazione
246 [08.1] Attirare o scacciare gli avvoltoi? 255 [08.2] Il cadavere custodito 258 [08.3] Scacciare gli avvoltoi ad Eusonia
271
09. Riferimenti. Quattro incontri
271 275 279 283
291
10. Appendice. Sospensioni
303 309 315 321 8
[09.1] La Mezzaluna [09.2] Il Nibelungo [09.3] Il Musico [09.4] Il Leone
Bibliografia Sitografia Videografia e filmografia Copyright delle immagini
Viviamo tutti nell’odierna nostra Eusonia.
[01]
12
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
01
Avvertenze. Come e cosa
Un’immagine, in parte inconsueta, per parlare della società attuale, penso potrebbe essere quella del foglietto illustrativo [01]: non chiedetevi troppo il perché, lo si capirà nel mentre del discorso, tra le righe. Accettate quest’immagine, per ora, come un dato di fatto, una premessa, che in chiusura al testo, se in disaccordo, potrete tranquillamente accartocciare e gettare proprio come si fa con la gran parte dei bugiardini. Ecco che questo capitolo iniziale ha l’esatto compito di tale oggetto: fornire delle avvertenze. Nella fattispecie, avvertenze sul come e sul cosa si è in questa sede trattato. Andiamo per ordine.1
01.1
“Ordine!”. Avvertenze sul come - TESSUTO. L’espressione «trama della vita» è eloquente riguardo al simbolismo del tessuto. Non si tratta solo dell’idea di connettere e accrescere mediante l’intreccio di due elementi (trama e ordito, passivo e attivo), né dell’equivalenza fra tessere e creare, ma del fatto che [...] il mondo fenomenico appare come una tela che nasconde la visione di ciò che è vero e profondo. [...] Per i taoisti [...] l’alternanza di vita e morte, condensazione e dissoluzione, predominio dello yang o dello yin, sono come «l’andirivieni della spola sul telaio cosmico» 2 -
1 Liberi da qualsiasi costrizione, penso sia sempre giusto tentare di rendere parte di uno scritto l’affastellarsi - anche confuso - delle idee che si hanno nel comporlo. Queste Avvertenze sono un tentato omaggio a Peter Handke che, con Il peso del mondo (1979), mi ha dato lo stimolo per provare ad inserirle. 2 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 457.
13
*** “Ordine!” - sì, ma quale? Questo capitolo è il primo. Questo capitolo è stato scritto quasi per ultimo. Questo penso sia l’ordine che conviene alle cose. Prima le ultime - sì, ma non proprio le ultime, quelle nascono e rimangono alla fine -, perché se sono nate dopo servono forse a spiegar meglio le prime, dato che di esse sono figlie. È pur sempre questo un ordine - “ordine del discorso”, questo discorso. Così è nato questo elaborato. Testo significa originariamente “tessuto”; comporlo vuol dire tessere. Per parti, accavallamenti, cambi di trama e di colore: la citazione null’altro è che un altrui brandello di tessuto ripreso e cucito sul proprio, per unirlo, dargli un significato o abbellirlo. Mi è sempre stato detto di scegliere una sol cosa e farla bene: ebbene, per ora penso di non esserci mai riuscito. Di sicuro, infatti, non sono ancora riuscito a scegliere una cosa sola. In questi mesi mi sono reso conto che il mio scrivere è molto legato al mio modo di parlare, ovvero che gli è molto vicino. E come quando si parla, ecco che si viene interrotti e si divaga. E chi non divaga nell’argomento lo fa tra diversi argomenti: ché altrimenti non sta parlando, ma solo spiegando qualcosa a qualcuno (e non vuol essere questo il caso). Ecco, - sì forse è questo - ho cercato di parlare, p-a-r-l-a-r-e intorno all’argomento (e a breve lo introdurrò). E molti autori con i quali ho interloquito mi hanno interrotto, più e più volte. Si è divagato, tastando l’estesa superficie di un argomento di fondo che forse è troppo vasto e vario da ridurre e poi aprire, dis-piegare. Ma d’altronde credo anche fermamente che il divagante distrarsi sia parte costituente essenziale della curiosità: ecco, questo testo è distratto, e raccoglie e narra frammenti, non cerca verità incontestabili: di queste credo ce ne siano ben poche, anche se fondamentali. Questo elaborato è forse poco di tesi, La - nel senso singolare: come impugnarne una tra le tante? Poiché quando si divaga si è indecisi -, ma di tesi, Le - nel senso plurale: messe insieme sono forse interessanti -, la complessità delle quali fa qualcosa, produce senso. Senso, poi, che non si può propriamente produrre: le connessioni tra più cose fanno, loro, un senso - ed ho qui cercato di puntare a queste. 14
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
01.2
Ridurre il campo d’azione. Avvertenze sul cosa - FRAMMENTAZIONE. [...] Il più noto è il mito di Osiride, fatto a pezzi da Seth, che ne disperde il corpo. Iside, dopo aver vagato all’attenta ricerca di tutti i frammenti, riesce a rimetterli insieme, tutti a eccezione di uno 3 ***
Divagare, si è detto. È pur sempre vero che, per iniziare un discorso intorno a qualcosa, quel qualcosa dev’esserci. Le motivazioni del perché proprio quel qualcosa possono essere infinite, o anche limitate e particolarmente stravaganti. Ma deve sussistere quel qualcosa, che di per sé è, in qualche modo, limitato. Circoscritto, anche se poco o in parte. Ebbene, in questo caso si è voluto affrontare il grande tema della “morte e i suoi luoghi”: cosa ha significato nella storia, e cosa significa correntemente, relazionarsi con l’idea del morire? In che modo si sono concepiti, e si concepiscono all’oggi, i “luoghi della morte”? - che sono, in prima istanza, i cimiteri. Per mezzo di che metafore, simboli e forme ci interfacciamo, in senso lato, con il nostro essere mortali e, allo stesso tempo, con il nostro riflettere riguardo a tale mortalità? Cosa aspettarsi nel futuro prossimo? Penso si sia intuito, dopo questa carrellata di domande al limite tra l’esistenziale e l’utopico - anche se nella realtà dei fatti sono tra le più concrete ed utili che possiamo porci -, il perché del divagare. Era impossibile resistere. Però, seppur divagando, un certo contegno è stato mantenuto, ed una riduzione del campo è stata fatta. In primo luogo, il mio è stato un approfondimento soprattutto occidentale: come verrà specificato anche nel prossimo capitolo, la mia - come quella d’ognuno - rimane una posizione imparziale, che offre visione parziale delle cose. Si è quindi evitato di parlare di ciò che fuoriuscisse troppo dall’ambito europeo della faccenda, in quanto sarebbe stato a dir poco scomodo e, in misura ancora maggiore di quanto questo testo già non sia, impreciso. In secondo luogo, l’approfondimento qui portato avanti è, per costi3 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 213. 01 - Avvertenze. Come e cosa
15
tuzione e per mia spontanea ammissione di colpa, frammentario - sia nel come ma anche nel cosa. Gli ambiti di provenienza dei discorsi che si sono cercati di intrecciare sono i più diversi tra loro. Penso però che questo non sia - solo - un difetto: il grande tema della “morte e i suoi luoghi” è, con tutta probabilità, irriducibile ad un’ordinata sintesi; forse, non ci resta altro da fare che saggiarne la consistenza in diversi suoi punti, pretendendo - un po’ supponentemente - di farcene un’idea, anche se vaga. Il riordino di frammenti, giustapposti a creare interessanti connessioni, come si diceva prima, già di per sé produce senso. In terzo ed ultimo luogo, si sono fatte delle scelte in merito a cosa trattare nei vari capitoli e sottocapitoli: per ognuno di essi, soprattutto per quanto riguarda i capitoli più “cronologici” (ovvero il terzo ed il quinto) non si è ritenuto necessario farli scorrere esattamente paralleli. In ognuno dei loro sottocapitoli ci si è soffermati sulle cose interessanti e particolari di quel periodo, senza per forza dare continuità ai vari “fili rossi” che si possono rintracciare - e poi narrare - nella storia. Insomma, non si sono cercate di sciorinare ordinatamente, passo dopo passo, le evoluzioni di presunti macro-temi - relativi alla morte ed al funebre - nella storia, ma di illuminare puntualmente alcuni avvenimenti, usanze o trasformazioni storiche, del pensiero e della società umana. Tutto ciò sperando che qualsiasi evidente omissione sia spunto per curiosità ulteriori, per nuovi stimoli e messe in discussione di questo che è solo, in conclusione, un breve discorso intorno a La morte e i suoi luoghi, redatto da quella che avremo modo di chiamare “l’odierna nostra Eusonia”. Che in fin dei conti, quelle a seguire sono cronache da Eusonia.
16
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[02]
18
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Un manifesto. Mettere le dita
02
Si è parlato in primis del come e del cosa, ovvero si è “ridotto il campo d’azione”: si è tracciato - all’incirca - il perimetro o recinto (tèmenos) come un atto fondativo e fondamentale. Cosa v’è racchiuso in quest’area è già stato messo in luce: ma il perché? Perché parlare proprio di ciò? Manifestare significa “portare all’evidenza”, più propriamente è un “rendere tangibile”: un toccare con mano che ci rende effettivamente consci di qualcosa. Siamo tutti san Tommaso [02], almeno in qualcosa increduli e non convinti. Ecco che questo breve capitolo vorrà essere una sorta di manifesto: i temi qui trattati sono - a mio giudizio - rilevanti, hanno un peso che va sentito, toccato con mano. E quelle qui esposte sono solo alcune delle motivazioni, in forma di metafora, che mi paiono considerevoli del perché “la morte e i suoi luoghi” siano un argomento rilevante. Oltre al fatto che, come dice una filosofa contemporanea, “con il giro del millennio sta progressivamente crescendo l’interesse intorno ai temi della morte, delle sue rappresentazioni e dei suoi simbolismi”1. Ci troviamo così dinanzi una ferita nella quale mettere le dita - e toccare, ma non per credere, bensì capire.
02.1
Rughe - SOGLIA. Simbolo di transizione, trapasso, trascendenza. [...] La soglia assume [...] il carattere simbolico di unione e separazione tra i due mondi [...]. Anche il dio Giano dei Romani esprimeva questo dualismo che, per analogia, può ricollegarsi
1 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, p. 17.
19
a tutte le forme di dualità. Per questo si può parlare di una soglia tra la veglia e il sonno 2 *** Se non davanti alla porta di casa di un nostro caro amico, forse, al giorno d’oggi più che mai nella nostra storia, conosciamo sempre meno soglie. E con i mezzi odierni di calcolo e comunicazione, probabilmente non aspetteremo neanche davanti a quella porta, che quasi sempre troveremo già aperta - d’altronde, oramai i navigatori calcolano perfettamente le tempistiche dei nostri spostamenti, ed i messaggi via rete non tardano ad arrivare -: perché attendere? Per essere più precisi, la società attuale sembra non voglia conoscere soglia o impedimento che non le sia opportuno e necessario, che non le sia utile. Si fa di tutto per eliminarle. L’unico motivo per cui anche davanti alla porta del nostro caro amico accettiamo di dover aspettare, è il raro caso di una nostra visita a sorpresa. Come le rughe, non vogliamo soglie: vogliamo un mondo liscio come la nostra pelle3 - e le soglie non sono altro che corrugamenti ed increspature della superficie che oppongono una certa resistenza al nostro agire. Come un vastissimo piano, sempre più levigato ed ininterrotto, appare soprattutto oggi - la nostra vita: il che non può che essere cosa alquanto positiva, per ogni sé. Su una superficie così levigata, senza attriti, tutto è ed appare a nostra disposizione. La continuità del piano ci permette di non attendere più del dovuto per nulla al mondo: se una distanza ci separa da A a B, ci sentiamo in potenza di arrivarci con facilità, non c’è alcuna cesura, taglio o piega invalicabile lungo tutto questo piano. Pretendiamo non ci siano soglie, non c’è alcun rimando ad esse. Levighiamo, e non vogliamo rughe. Troppo spesso però, ci scordiamo che questo piano della nostra vita è sempre e comunque il corpo di un grandissimo scivolo, che è divertente proprio in quanto ha un termine, ha una fine. Qualsiasi caratteristica e lunghezza abbia la parte in discesa, solo sapendo della sua terminazione possiamo rendercene veramente conto e “viverla”. Solo il bambino che sa quando preparare le gambe per ben cadere dallo 2 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 420. 3 “La levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo. È ciò che accomuna le sculture di Jeff Koons, l’iPhone e la depilazione brasiliana. Perché oggi troviamo bello ciò che è levigato?” (tratto da Han B.-C., La salvezza del bello, Nottetempo, Milano, 2019 (2015), p. 9).
20
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
scivolo si diverte davvero; così come solo chi mette in conto di poter dover aspettare per entrare in una casa è davvero contento nell’entrarci. Chi varca una soglia conclude una fase della vita ed entra in una nuova. Le soglie, come passaggi, ritmano, articolano e raccontano proprio lo spazio e il tempo, rendono possibile una profonda esperienza dell’ordine. Sono, le soglie, passaggi temporalmente intensi, che oggi vengono abbattuti a favore di una comunicazione e di una produzione accelerate, prive di fratture. In tal modo c’impoveriamo di spazio e di tempo: nel tentativo di produrre più spazio e più tempo, finiamo per perderli. Essi perdono il linguaggio e ammutoliscono. Le soglie parlano. Le soglie trasformano. Oltre la soglia c’è l’Altro, l’Estraneo. Senza la fantasia della soglia, senza la magia della soglia, esiste solo l’inferno dell’Eguale. Il globale viene eretto mediante un inesorabile smantellamento delle soglie e dei passaggi. Le informazioni e le merci preferiscono un mondo senza soglie. La liscezza che non oppone resistenza accelera la loro circolazione. Oggi i passaggi temporalmente intensi si disintegrano divenendo transiti rapidi, link continui e clic senza fine.4
Anche nella lettura di Marc Augé, il discorso intorno alla morte fa propri i termini “spaziali” della soglia o, più precisamente, della frontiera: Il rispetto delle frontiere è dunque un pegno di pace. Il concetto stesso di frontiera segna la distanza minima che dovrebbe sussistere fra gli individui affinché siano liberi di comunicare fra loro come desiderano. La lingua non è una barriera insuperabile, è una frontiera. Apprendere la lingua dell’altro, o il linguaggio dell’altro, significa stabilire con lui una relazione simbolica elementare, rispettarlo e raggiungerlo, attraversare la frontiera. Una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita al passaggio. Non è un caso che gli incroci e i limiti, in tutte le culture del mondo, siano stati oggetto di un’intensa attività rituale. Non è un caso che gli esseri umani abbiano dispiegato ovunque un’intensa attività simbolica per pensare il passaggio dalla vita alla morte come una frontiera.5
E il fulcro del discorso sta nell’inizio di ciò appena ripreso: così come, per Augé, geopoliticamente, l’accettazione delle frontiere è un “pegno di pace”, ciò vale anche nella trasposizione macabra del discorso. L’accettazione della finitudine della vita è il pegno per la nostra, interiore, pace. Il discorso intorno alla “morte e i suoi luoghi” è così, anche, un discorso di soglie.
4 Tratto da Han B.-C., La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano, 2021 (2019), pp. 50-51. 5 Tratto da Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2020 (1992), p. 15. 02 - Un manifesto. Mettere le dita
21
02.2
Sfruttamento, uso e concessione - GEMELLI. Nelle rappresentazioni del ‘sacrificium mithriacum’ ricorrono molto spesso i due dadofori, Cautes e Cautopates, ciascuno con in mano una fiaccola, una delle quali accesa e rivolta verso l’alto, l’altra spenta e capovolta. [...] I due simboleggiano la vita e la morte. [...] Il significato simbolico più generale dei gemelli è che l’uno rappresenta la parte eterna dell’uomo, eredità del padre celeste [...] ovvero l’anima; l’altro ne è invece la parte mortale 6 ***
Una causa la si sfrutta, una cosa la si usa. La causa è immateriale, la cosa è materiale. Si sfrutta l’indefinito, l’illimitato, l’aorgico7 - mai cioè una cosa ma al massimo l’idea di qualcosa. Si usa il finito, il limitato, l’organico8 - mai cioè l’idea di qualcosa bensì la tal cosa; l’usare è connesso alle mani, al corporeo. Entrambe queste due azioni - sfruttare e usare - possono presupporre un fine: lo sfruttare, però, contorce e varia (talvolta anche solo leggermente) il fine naturale dello sfruttato; s-fruttare è levare forzatamente i frutti, che maturi prima o poi cadrebbero da soli9; l’usare segue e non varia, invece, maggiormente il fine naturale dell’usato. Un uso inappropriato scade sempre in sfruttamento; il corretto sfruttamento mai riconduce ad un uso. Sviluppiamo perciò, innanzitutto, l’uso delle cose, e non il loro sfruttamento. E nell’Umano - fra gli esseri animati? Le persone sono più di mere cose e non si possono - o almeno non 6 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 219-220. 7 “L’organico è, in termini categoriali [...] il limitato; l’aorgico è [...] l’illimitato; il primo è [...] formato [...]; il secondo è privo di ogni forma” (tratto dalla Prefazione di Bodei R. a Hölderlin F., Sul tragico, Feltrinelli, Milano, 2017 (1980), p. 30). 8 Si veda Nota 7. 9 Variazione sul tema - usata per figurare l’argomentazione - di un abbinamento, quello di frutti pendenti e morte, che ha attraversato i secoli ed è giunto sino al giorno d’oggi: “Un’idea della morte; una grossa mela che tieni per il picciolo, silenziosamente, a lungo, finché non vieni a sapere delle leggi di gravità” (tratto da Handke P., Il peso del mondo, Guanda, Milano, 2019 (1979), p. 55).
22
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
si dovrebbero - né sfruttare, né usare, poiché ciò comporterebbe far loro violenza. Essendo noi ben più di cose - si dirà: “Ma certo che ovvietà!” -, possiamo al massimo chiedere concessione, concederci, concedere10. Il perché di ciò è forse però meno evidente. Ebbene, proseguiamo nell’ordine. I. Lo sfruttamento avviene laddove non v’è alcuna limitatezza, né spaziale né temporale. Una giusta causa perseguita è corretto s-fruttarla, “strapparne i frutti”, perché l’albero dello sfruttamento è senza confini (indefinito, illimitato, aorgico) e sempre maturo (d’illimitato tempo). Parimenti, giustamente si sfruttano, ad esempio, idee o previsioni11. Ma anche lo schiavo si sfrutta12, nemmeno lui possiede limitazione spaziale e temporale. Il suo corpo è percosso (violenza spaziale) ed il suo sfruttamento, perenne (violenza temporale). Il fine della sua vita è, in tal condizione, corrotto e variato. Egli non è un Uomo, ma una sua indefinita parvenza. II. L’uso avviene invece laddove c’è limitatezza spaziale, finitezza. Una giusta risorsa materiale si usa - non la si sfrutta - nel momento della necessità; l’albero dell’uso possiede dei confini (è finito, limitato, organico), dà vita a limitati frutti, ma essi sono sempre maturi (tempo illimitato). Giustamente si usano utensili, vivande, vestiti13. E così anche il lavoratore talvolta è usato: il suo corpo non è più percosso, però la sua occupazione rimane totalizzante, perenne. Una delle due forme di violenza14 rimane. Ma il fine della sua vita non è più corrotto, poiché può scegliere da chi essere usato, e ciò presuppone una libertà di fondo che lo schiavo non possiede. Egli non è del tutto un Uomo, bensì una risorsa umana. III. Cosa contraddistingue, quindi, l’Uomo15? (S’intenda Uomo, con la “U” maiuscola, l’essere animato non-sfruttato ed assieme non-usato, cui sempre abbiamo ambito, ambiamo e - si spera - ambiremo ad essere. Perché 10 La concessione ed il concedersi stanno ad indicare un atteggiamento rispettoso (si veda Nota 16) nei confronti delle persone; al contrario dello sfruttamento e dell’uso, significano un relazionarsi armonioso con l’Altro-da-sé. 11 Qualche esempio tra molti per intendersi tutto ciò che è immateriale o aorgico (si veda Nota 7). 12 Per un discorso intorno a democrazia e schiavitù si veda la Lettera a David Skrbina, 23 novembre 2004 in Kaczynski T.J., Schiavitù tecnologica - Volume 1, Ortica, Latina, 2022, pp. 234-259. 13 Qualche esempio tra molti per intendersi tutto ciò che è materiale o organico (si veda Nota 7). 14 “Ci sono cose che non scompaiono. Tra di esse vi è anche la violenza. [...] Oggi si trasferisce dal visibile [dimensione spaziale] all’invisibile [dimensione temporale]. [...] La violenza diventa del tutto invisibile nel momento in cui si fonde con la sua controparte, vale a dire la libertà” (tratto da Han B.-C., Topologia della violenza, Nottetempo, Milano, 2020 (2011), p. 9). 15 Più nello specifico, si può qui intendere l’Uomo come un “organico” secondo la visione di Sim02 - Un manifesto. Mettere le dita
23
tale ritengo sia la migliore condizione per la vita umana). L’Uomo è contraddistinto dal suo possedere limitazione spaziale e temporale. Limitazione spaziale in quanto possiede un perimetro: ha un corpo confinato. Quando tale fisicità è rispettata16 - dagli altri Uomini -, egli non è indefinita parvenza. Questo gli consente di non essere schiavo, ma abbiamo visto che ciò non è abbastanza. L’Uomo possiede anche limitazione temporale: ha morte. Quando anche tale seconda limitazione è rispettata, egli non sarà mera risorsa umana. Il carattere che ci fa essere veramente Uomini è la presenza della nostra fine temporale, della morte17. Nel rapporto Uomo-Uomo, sfruttare e usare sono attitudini violente - si badi che la questione non vuol essere meramente lessicale quanto di comportamenti reali -, del tutto inappropriate al comportamento veramente Umano. Lo sfruttare non rispetta né la dimensione spaziale né quella temporale dell’Uomo. Nemmeno l’usare rispetta quest’ultima, la dimensione temporale. E così nello schiavo non viene rispettato né il confine spaziale né quello temporale: né il corpo, né la morte. Talvolta, nemmeno nel lavoratore viene rispettata quest’ultima. Sviluppiamo quindi, in ultima istanza, il relazionarsi alle persone tramite il nostro, e loro, volontario concedersi18, massima espressione della nostra propria libertà19, non-violenza nei confronti con l’Altro-da-sé, e mai altrimenti. Prendiamoci cura della nostra morte, rispettiamo la nostra condizione di mortali20, per non poter essere sfruttati, ma nemmeno usati, e al massimo liberamente concederci l’un l’altro. mel (che in questo caso si fa aggiuntiva a quella di Hölderlin, si veda Nota 7): “Quel che distingue anzitutto il corpo inorganico da quello vivente è questo: la forma che lo delimita viene determinata dall’esterno [...] all’incirca come la forma della roccia viene fissata mediante l’erosione, quella della lava mediante l’irrigidimento. Il corpo organico [...] si dà la sua forma dall’interno” (tratto da Simmel G., Metafisica della morte e altri scritti, SE, Milano, 2012, p. 9). E ancora: “Senza mortalità, non ci sarebbe storia né cultura - non ci sarebbe Umanità” (tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), pp. 14-15, corsivetto e “U” maiuscola sono del sottoscritto). 16 Il rispetto è qui inteso precisamente come “assenza di violenza”. 17 “Se vuoi salvaguardare la tua vita, preparati alla morte” (citazione di Sigmund Freud ripresa in Han B.-C., Topologia della violenza, op. cit., p. 37). 18 Rispettoso concedersi, o anche affabilità in Byung-Chul Han, o ancora convivialità in Ivan Illich; compagnia in Étienne De La Boétie. 19 Così la intende anche Étienne De La Boétie: “Quale condizione è più miserabile del vivere in questo modo, non avendo nulla per sé, dipendendo da un altro per il proprio benessere, la propria libertà, il proprio corpo, la propria vita?” (tratto da De La Boétie É., Discorso della servitù volontaria, Feltrinelli, Milano, 2020 (1555), edizione a cura di Donaggio E., p. 63). 20 “Quando la finitezza della condizione umana è percepita come alienazione e non come fonte
24
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[...] Allora non vi è dubbio che noi siamo tutti naturalmente liberi, perché siamo tutti compagni; e a nessuno può saltare in mente che la natura abbia posto qualcuno in servitù, avendoci posti tutti in compagnia.21
L’Umana morte è rilevante.
02.3
Qualcosa in comune - YIN-YANG. Simbolo cinese della distribuzione duale delle forze, è composto dal principio attivo o maschile (‘yang’) e da quello passivo o femminile (‘yin’). Appare sotto forma di un cerchio diviso da una linea a esse; i due campi che ne risultano sono così dotati di un senso dinamico, che mancherebbe se la divisione fosse segnata sulla linea del diametro. [...] Ciascuna di esse contiene un circoletto del colore opposto, per indicare che ogni modalità racchiude sempre un germe della modalità opposta. [...] L’ingresso e l’uscita da questo movimento si trovano al di fuori di esso, così come la nascita e la morte non appartengono alla vita, in quanto cosciente e autodeterminata, della persona 22 ***
Nel presente lavoro, come ho appuntato in apertura, non mi spingerò nello specifico delle tradizioni di pensiero orientali ed estremo-orientali, dato che il fulcro della faccenda vorrei rimanesse la riflessione sul nostro, occidentale, rapporto con la morte ed il lutto - come vedremo, al momento presente, alquanto problematico -, e da questo far prendere piede ad una discussione più specifica sul luogo urbano del cimitero, che è concretizzazione architettonica della faccenda. A questo si aggiunge la carenza di conoscenze riguardanti gli ambiti del di senso, si perde qualcosa di infinitamente prezioso in cambio del perseguimento di un sogno puerile” (tratto da Dupuy J.P., Il marchio del sacro, in Latouche S., Limite, Bollati Boringhieri, Torino, 2012, p. 1). 21 Tratto da De La Boétie É., op. cit., pp. 38-39. 22 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 494, 495. 02 - Un manifesto. Mettere le dita
25
macabro e del rapporto con la morte nelle tradizioni dell’Asia e dell’Estremo-Oriente, che al momento mi contraddistingue: mi sembra pur sempre doveroso evitare di parlare di ciò che non si conosce almeno un poco. Ritengo però possa essere interessante - e possibile stimolo di ulteriore approfondimento - concedersi, tramite un virtuale spioncino, una momentanea visuale, per capire come, anche dall’altra parte del globo, i temi qui trattati siano stati storicamente rilevanti, e come lo siano tuttora. D’altronde, e forse anche piuttosto banalmente, si può affermare che è proprio la morte il grande comune denominatore che caratterizza indistintamente il genere umano e, conseguentemente ad essa, altre questioni di cui tratterò, dal rapporto con il macabro ai luoghi delle sepolture, per l’appunto. Ora, il reciproco fiutarsi tra Oriente ed Occidente è sempre esistito. Quella che al giorno d’oggi è nota come “globalizzazione”, altro non è che un’intensa densificazione dei rapporti tra le diverse culture presenti, in particolar modo - per interesse personale - tra le tradizioni di pensiero occidentale ed estremo-orientale, con più esattezza giapponese, che, soprattutto a partire da metà Ottocento23, si sono vicendevolmente cercate, apprezzate ed influenzate. A partire da quel periodo, alterne vicende hanno reso molto più complici di quanto già non lo fossero le due parti: le reciproche traduzioni ed i vicendevoli rimandi lo confermano24, e l’odierna globalizzazione si può pensare come effettivamente matura proprio a partire da quei decenni. Ebbene, tornando ora a parlare dei “fatti nostri”, tra gli occidentali dell’epoca molti si accorgono che queste maniere di pensiero, che potevano pregiudizialmente sembrare assai distanti ed alquanto strane25, differenti, sono invece per certi versi vicine o perlomeno comparabili con le ragioni e gli usi e costumi occidentali. Quelli che si possono definire i “grandi temi” infatti, come ha poi dimostrato più approfonditamente l’antropologia degli ultimi due secoli, si sono da sempre fatti ricorrenti e 23 È l’8 luglio del 1853 quando le cosiddette “navi nere” del commodoro Matthew Perry, su incarico del presidente americano di allora Millard Fillmore, giungono nella Baia di Edo (odierna Tokyo) e “convincono” il Paese del Sol Levante ad aprirsi al resto del mondo. A partire dal 1602 e fino a quell’anno, infatti, il Giappone si era chiuso in se stesso sotto il comando degli shōgun Tokugawa, in un periodo di minimi, se non nulli, rapporti con l’estero, denominato sakoku (lett.: “paese blindato”). 24 Ho qui semplificato molto: come sempre la questione è ben più complessa - e per certi versi tragica - di come si cerca di renderla esplicita. Tra i testi a mio parere più interessanti a riguardo si vedano, soprattutto, Okakura K., Lo zen e la cerimonia del tè (1906) e Said E., Orientalismo (1978). 25 Basti notare ad esempio come, fino al termine dell’Ottocento ed anche oltre, il termine esotico, che etimologicamente significa “esterno da sé”, “straniero” (dal lat. exoticus, a sua volta dal gr. exotikos, che proviene da exo, lett.: “fuori di”), sia spesso usato come sinonimo di “strano”, “particolare” e, talvolta, “oscuro”, “di difficile comprensione”, nella fattispecie se in riferimento all’Estremo-Oriente.
26
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
presenti in tutte le culture, nessuna esclusa26. Insomma, vengono alla luce differenti risposte che però nascevano da domande molto simili. E tra queste risposte, più di qualcuno tra gli occidentali ci trova argomenti anche più interessanti rispetto al dibattito di appartenenza. L’impatto è grande - e non poteva che essere altrimenti -; c’è chi, come Gustave Flaubert (1821-1880) - nelle parole di Bouvard -, mette in discussione l’originalità dell’intero impalcato teorico occidentale e prevede qualcosa che, ai nostri occhi contemporanei, non è poi così lontano dal vero: L’uomo moderno progredisce, l’Europa verrà rigenerata dall’Asia. È la legge storica per cui la civiltà si muove da Oriente ad Occidente [...]. Le due forme di umanità infine si fonderanno insieme.27
Anche il genio di Claude Monet (1840-1926), come la gran parte della sua generazione e della successiva, ne rimane letteralmente soggiogato. Nemmeno il più algido Adolf Loos (1870-1933) si tira indietro, ed in maniera seppur grossolana, ma alquanto ficcante, asserisce che “la storia della cultura occidentale consiste di un costante processo di assorbimento dall’Oriente”28. E moltissime sono le voci di questo tipo. Ma queste appena esposte volevano essere solo alcune premesse - forse doverose più che in altri discorsi - per arrivare al focus di questo inciso iniziale. Tornando al tema principale, penso che, tra le molte presenti29, soprattutto le tradizioni taoista e buddhista30 - nella fattispecie quella giapponese del buddhismo zen - esplichino sommamente quanto il tema della morte sia di primaria rilevanza anche nelle culture extra-europee. 26 Due libri esaurienti in merito alla questione sono quelli di Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, Nottetempo, Milano, 2018 (2002), soprattutto nei capitoli - nell’ordine in cui vengono presentati dall’autore - Religione senza Dio, Non dimorare in alcun luogo e Morte, e, dello stesso autore, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, Milano, 2021 (2009) - soprattutto nei capitoli II. Tempo senza profumo, III. La velocità della storia e XII. Vita contemplativa. Entrambi i volumi saranno in questo lavoro ripresi più volte. 27 Famose parole pronunciate dal personaggio Bouvard in Flaubert G., Bouvard e Pécuchet, 1881, riprese nella sua trattazione anche un secolo dopo da Said E., op. cit., 1978. 28 Tratto da Loos A., Nudità, Giometti & Antonello, Macerata, 2021, p. 65. 29 “Non si può parlare di [generica] estetica orientale per il fatto, del tutto evidente, che “Oriente” designa una varietà di regioni, culture, tradizioni assai diverse, che comprende le tre grandi civiltà dell’Islam, dell’India e della Cina, ma anche quelle meno ampie, benché non meno importanti, del Giappone, della Corea, del Tibet, della Birmania e della Thailandia, ciascuna delle quali possiede una propria lingua, proprie tradizioni artistiche, nonché propri canoni estetici. [...] Quando si parla di “Oriente” si dovrebbe quindi sempre specificare di quale Oriente si sta parlando e ci si sta occupando” (tratto da Pasqualotto G., Estetica del vuoto, Marsilio, Venezia, 2019 (1992), p. IX). 30 Un’affinità tra le due culture, quella nostra occidentale e la orientale buddhista, sta nella incredibile somiglianza tra - rispettivamente - lo schema medico proposto da Ippocrate e quello del 02 - Un manifesto. Mettere le dita
27
Due dei testi più importanti di queste tradizioni di pensiero-e-pratica - dato che è tipicamente “orientale” la non-distinzione di fondo tra teoria (dal gr. theoria, lett.: “stare osservando”) e pratica (dal gr. praxis, lett.: “praticare”, “operare”), precipuamente occidentale - sono sicuramente il più antico Tao Te Ching (Il Libro della Via)31, testo fondamentale del taoismo di derivazione cinese, ed il Bushido (La Via del Guerriero)32, raccolta scritta delle riflessioni e degli insegnamenti dei grandi maestri samurai, che per secoli hanno costituito una delle caste più rispettate e conosciute, anche oltre confine, del Sol Levante. I. Il primo dei due, brevissimo libricino di saggezza secolare, è, di fatto, un testo enigmatico, ermetico, del quale ogni versione non fa che ridurre e “scegliere” una delle numerose possibili varianti di traduzione dei corti brani presenti all’interno: è come se fosse un unico grande sinogramma ovvero simbolo - difficilmente riconducibile a precise parole - ovvero univoco significato -, paradigma di un’intera tradizione di pensiero dai presupposti molto diversi dagli occidentali. Infatti, recita lo stesso, ad incipit degli ottantuno sintetici capitoli33, che “il Dao di cui si può parlare non è l’eterno Dao”34. Fin da subito nel testo, ad esempio, è sottolineata la transitorietà dell’esperienza terrena umana: Poche parole, natura intrinseca / Un vento tempestoso non dura tutto il mattino / un acquazzone improvviso non dura tutto il giorno / Chi fa queste cose? Il cielo e
cosiddetto Discorso sulle Quattro Nobili Verità di matrice buddhista (ed entrambi hanno al centro la questione del dolore). Così come ci dice Giangiorgio Pasqualotto, “la prima verità costituisce la diagnosi che individua la presenza del male; la seconda contiene l’eziologia che coglie nella brama la causa del male; la terza indica la prognosi positiva, ossia la possibilità di estirpare tale causa; la quarta propone la terapia dell’Ottuplice Sentiero” (tratto da Pasqualotto G., Viaggio nelle quattro Nobili Verità. Il dolore negli insegnamenti del Buddha, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, p. 36). 31 La scrittura del Tao Te Ching è fatta risalire, secondo i più recenti studi, intorno al IV-III secolo a.C.; l’opera è attribuita a Lao Tzu (lett.: “vecchio saggio”), proprio perché precisa attestazione non è a noi pervenuta (e molto probabilmente non è mai esistita). 32 La parola Bushido è composta da tre kanji (bu-shi-do), che significano rispettivamente “guerriero” (bu), “gentiluomo” o “nobile” (shi) e “via” o “cammino” (do). Letteralmente, quindi, la “Via del nobile guerriero”. Il testo che conosciamo oggi sotto questo nome è in realtà una raccolta di scritti di differenti epoche: i primi di questi videro la luce intorno al 1100, anche se le riflessioni che sono al loro fondamento fanno tutte parte di una tradizione guerriera che, fino a quel momento, era tramandata per via orale dal VII secolo a.C. 33 Il termine “capitolo” per un testo come il Tao Te Ching, è improprio, ma utile a rendere l’idea della frammentarietà della raccolta. Ottantuno sono, quindi, i “componimenti”, “corti” o, ancora, “sentenze”, “frammenti”, brevi capitoli per l’appunto, che lo strutturano nella sua totalità. 34 Tratto da Lao Tzu, Tao Te Ching, Feltrinelli, Milano, 2020 (2011), edizione a cura di Sabbadini A.S., p. 39.
28
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
la terra / Se perfino il cielo e la terra non possono farle durare / a maggior ragione non lo può l’essere umano.35
O ancora, similmente a quanto verrà scritto anche nel levantino Bushido secoli dopo: “Morire ma non essere dimenticato è longevità”36, dove la condizione mortale è insuperabile ma allo stesso tempo necessaria e non compromettente la vera longevità. Anche il tema del lutto compare potentemente; pianto rituale e riti funebri i suoi due fratelli: Nelle occasioni di buon auspicio si innalza la sinistra / nelle occasioni funeste si innalza la destra / Il vicecomandante nell’esercito siede a sinistra / il comandante in capo dell’esercito siede a destra / vale a dire che sono disposti come per un rito funebre / Massacrare un gran numero di esseri umani causa lutto, tristezza e pianto / In guerra i vincitori sono disposti come per un rito funebre.37
Il tema vero e proprio della morte compare con nettezza al frammento cinquantesimo, quando tutto il discorso ruota attorno a tale parola chiave: Emergendo nella vita entriamo nella morte / [...] / In verità ho udito che coloro che eccellono nel coltivare la vita / viaggiando per via di terra non incontrano rinoceronti né tigri / entrando in battaglia non indossano corazza né armi / [...] / Perché? Perché in loro non c’è un luogo della morte.38
Ora, pur accorciato ai versi fondamentali, tale frammento rimane particolarmente criptico, ma il senso di fondo ritengo si possa cogliere nelle parole iniziali, che evocano subito un senso di “malsano” nell’eccessivo attaccamento alla vita. L’attaccamento ossessivo alla vita è esso stesso nemico della vita. La vera arte del vivere sta nel distaccamento da qualsiasi desiderio, compreso quello dello stesso permanere in vita a tutti i costi. Ma ciò che non è per nulla scontato - e che potrebbe non essere saltato all’evidenza nelle poche righe qui citate - è che, come si vedrà essere anche per il Bushido, il Tao Te Ching è primariamente un testo di consigli pratici, pragmatici, dagli esiti anche politici. Ed il macabro, il lutto, il mortifero, rien35 Tratto da Lao Tzu, op. cit., p. 203. Tao Te Ching e Bushido sono, per certe espressioni ed insegnamenti, davvero molto simili. Si noti la somiglianza con un passo di Hojo Shigetoki del Bushido che recita: “[...] I boccioli fioriti aspettano l’arrivo del temporale. Da tutte queste cose si capisce che la transitorietà non si limita alla vita dell’uomo” (tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), Bushido. La Via del guerriero, Feltrinelli, Milano, 2020 (2013), p. 52). 36 Tratto da Lao Tzu, op. cit., p. 275. Si veda la somiglianza con la citazione di Shiba Yoshimasa alle pagine seguenti. 37 Tratto da Lao Tzu, op. cit., p. 259. 38 Tratto da Lao Tzu, op. cit., p. 381. 02 - Un manifesto. Mettere le dita
29
trano in tale condizione: questi, come gli altri grandi temi (affetto, amore, amicizia, ecc.), sono strumenti “sociali”, “politici”. E su questo sfondo risuonano insegnamenti che possono apparirci come grandemente attuali: “Se la gente non teme la morte / come è possibile usare la morte per dissuaderla?”39. II. Per quanto riguarda l’altro fondamentale scritto, il Bushido, questo si può considerare come un grande testo di iniziazione alla morte, ancor prima che alla guerra: Ma non esiste una Via che permetta all’uomo di superare i limiti della propria natura? Di andare oltre se stesso? La risposta è il Bushido, la Via del samurai40. Nella vittoria sulla paura della morte, nostra paura primaria, raggiunta attraverso una costante speculazione sulla fine, sull’impermanenza dell’esistenza e sull’importanza del vivere nel momento presente.41
Ci è subito chiaro di come il samurai - e, più in generale, l’uomo che si attiene agli insegnamenti del Bushido - sia definibile come “colui che non ha timore della morte”, proprio in virtù di un suo quotidiano confronto con essa. E durante lo scorrere del testo tal cosa è subito evidente, viene presto portata alla luce. “La Via del guerriero è la ferma accettazione della morte. [...] Vòtati alla Via, non curandoti della morte [Miyamoto Musashi]”42. “Gli uomini di ieri non ci sono più oggi, e non è certo che quelli che vivono oggi ci siano domani. Il destino dell’uomo non si cura di attendere il tempo di un respiro”43, recita Hojo Shigetoki. Colui che segue il Bushido è, quindi, costantemente pronto a perire. “Se il pensiero non è rivolto costantemente alla morte, si sarà imprudenti [Daidoji Yuzan]”44. Allo stesso modo, però, la morte non deve per forza escludere una più generica permanenza - da non intendersi come necessariamente corporea -, dato che: Se un uomo si focalizza solo sulla gioventù, quali pensieri lo assaliranno quando si troverà vecchio? Sebbene la vita di un uomo sembri solo un sogno o una visione fugace, il suo nome potrebbe riecheggiare per l’eternità [Shiba Yoshimasa].45
39 Tratto da Lao Tzu, op. cit., p. 549. 40 Il termine samurai deriva dal verbo saburau, che significa “essere l’attendente di-”, “servire”. 41 Tratto dall’Introduzione di Panatero M. e Pecunia T. a Idd., op. cit., p. 11. 42 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., pp. 99, 112. 43 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., p. 52. 44 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., p. 127. 45 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., pp. 56-57.
30
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Nemmeno il generico dolore fisico, coerentemente a tutto ciò, è tenuto in disparte e rifiutato: “Tutti dovrebbero fare esperienza della fatica così come la conoscono le classi inferiori”46, sentenzia Nabeshima Naoshige. In chiusa, il bellissimo insegnamento di Issai Chozanshi: La vita è come un sogno, e anche nell’altro mondo vivrai una sorta di vita. Quindi anch’esso sarà simile a un sogno. In questo caso, è sciocco angustiarsi per il passaggio tra vite di cui non si sa nulla. Si dovrebbe morire semplicemente pensando: «Ecco, è così». Questo è il pensiero migliore che si possa avere in quel momento e di fatto in ciò consiste diventare un Buddha. [...] Se c’è vita, c’è morte. Perché dovrei aver paura? [...] Mentre sei vivo, segui la Via in ogni modo; quando muori, sii semplicemente felice di essere ritornato. Perché dovrebbe essere così difficile?47
Ecco che allora mi pare evidente come, anche nelle tradizioni geograficamente lontane dalla nostra - delle quali ho voluto farne emblematiche portavoci due sole per tutte, a mio rischio e pericolo -, sia inequivocabile la presenza della speculazione riguardo alla morte, della sua rilevanza all’interno della società, che sia questa quella “del saggio” (Tao Te Ching) o “del guerriero” (Bushido). La rilevanza della morte non ha mai conosciuto confini nazionali.
46 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., p. 66. 47 Tratto da Panatero M., Pecunia T. (a cura di), op. cit., pp. 137, 139, 140. 02 - Un manifesto. Mettere le dita
31
[03]
32
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03
Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
Se questo lavoro di approfondimento, nella sua interezza, nasce come volontà di partecipazione - ed adesione - al rinato interesse culturale nei confronti del tema della morte e del funebre, ecco allora che questo capitolo in particolare, nella sua interezza, vuol essere il suo grande esame di coscienza, preventivo a qualsiasi speculazione successiva. Al via, una sola, importante e criticabile premessa: come afferma Philippe Ariès - le cui parole avremo in più occasioni modo di incontrare nella sua fondamentale Storia della morte in Occidente (1975), rispetto ad altri ambiti e “fili rossi” nella storia, i mutamenti del nostro rapporto dinanzi alla morte sono stati lenti e diluiti: “L'osservatore odierno [...] deve perciò dilatare il suo campo visuale ed estenderlo ad un periodo più lungo di quello che separa due grandi cambiamenti successivi”1. Si necessitano, per questo discorso, parentesi più ampie. Quindi, tracciando una concisa storia del rapporto, nei secoli che ci hanno preceduti, tra l'Uomo e la Morte - e suoi affini -, si arriverà, in coda, a voler ammettere la situazione attuale - che verrà sottolineata più delle precedenti -, dato che: “La morte fa paura. Oggi fa paura. Già ammetterlo è fare un passo avanti”2.
03.1
Ritorno al ventre - GRANDE MADRE. L’archetipo della Grande Madre, che corrisponde a svariate divinità femminili, come Ištar a Babilonia, Iside in Egitto, Astarte in Fenicia, Kālī-Durgā in India, Gea e Demetra in Grecia, è generalmente considerato una rappresentazione simbolica della terra feconda-
1 Tratto da Ariès P., Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano, 2019 (1975), p. 11. 2 Tratto da Maragliano R., Pedagogia della morte, Doppiozero, Milano, 2012, p. 48.
33
ta [...]. La Magna Mater rappresenta la verità oggettiva della natura, mascherata o incarnata dalla figura di una donna materna 3 *** Uno dei reperti più noti e conosciuti al mondo è la cosiddetta Venere di Willendorf [03]. Datata all’incirca al Paleolitico superiore, è una statuina alta poco più di dieci centimetri, in pietra, priva di espressione e volto, decisamente grassa ed opulenta, e sembra fosse stata dipinta con dell’ocra rossa. Forse dea madre, Grande Madre fertile4. Ma il fatto per noi interessante è che tale oggetto si sia conservato, molto probabilmente, perché era stato seppellito sottoterra, quasi certamente assieme ad un defunto, durante una sepoltura rituale, nella quale oggetti di utilizzo quotidiano, armi o vesti accompagnavano il morto nell’aldilà: questo accadeva circa ventimila anni fa, ma di fatto non è poi così distante da quanto viene perpetuato al giorno d’oggi. Dello stesso tipo - funzionale, per la questione funeraria, e formale, nell’essere grasse veneri nude5 - sono le cosiddette kamennye baby (“femmine di pietra”, Steinmütterchen in tedesco), caratteristiche della steppa russa: anch’esse venivano poste, al termine della cerimonia funebre, al di sopra dei kurgan, i “tumuli” dove veniva sepolto il defunto. Erano figure femminili senza vesti, scolpite in una posizione nella quale sono intente a comprimersi il petto o, in altre occasioni, mentre tengono tra i seni un uccellino, probabilmente una colombella; l’altra mano ricade intanto sul grembo. In altre occasioni ancora, al posto della colomba hanno tra le mani un vaso o un’anfora, retto all’altezza dell’ombelico o appena sotto. Ma più che una “preghiera alla fertilità”, dato che si presume che questi vasi contenessero 3 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 243. 4 Nascita e Morte sono, storicamente, femminili. “Nelle culture mitologiche il principio materno tellurico era «materia», capace di continua rigenerazione e sottoposto a un incessante ritorno al mondo. Al centro del concetto di «materia» sta infatti mater, «madre» in latino: la natura materiale era quindi identificata con la madre. E materia-terra, era il sacro originario cui dedicare lo scambio rituale attraverso sacrifici, talvolta anche umani. Inoltre il termine greco physis, oltre che per indicare i concetti filosofici di «principio della totalità» e di «natura», veniva utilizzato anche per parlare della vagina” (tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, p. 169). 5 Ciò che viene chiamata steatopigia, che altro non è che un carattere ipertrofico delle masse adipose di cosce e glutei, era caratteristica di tutte - o quasi - le rappresentazioni femminili in epoca arcaica e proseguirà, in particolare come simbolo di fertilità, anche nei secoli più vicini a noi. Da ciò, nelle statuine antiche non è da ritenersi imperizia tecnica l’aspetto “gigante” di alcune parti dei corpi raffigurati, bensì una volontà trasformata in modalità espressiva - spesso associata a cerimonie e rituali -: il tutto per esprimere quel carattere qui indagato di genitorialità. Grandi Madri genitrici, grasse tanto “per-la-vita” quanto “per-la-morte”.
34
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
parte delle ceneri del defunto - con la restante parte posta al di sotto di essa -, ecco che l’idea espressa forse più corretta è quella del ritorno - al momento della morte - nel ventre della Grande Madre. Raffigurazioni del tutto simili - comprensive pure di colombella, vasi e mani giunte ai seni - sono molto diffuse in epoca arcaica, ed oltre che dell’Europa continentale (di cui la Willendorf) o delle distese russe (di cui le kamennye baby) sembrano essere state usanza anche in ambito scandinavo e nord-europeo6. Arcaico grasso ventre della Grande Madre - a cui tutto torna. Come sosteneva Benedetto Croce, l’insieme delle ritualità legate al defunto è sempre stato parte costituente della comunità umana, fin dai suoi albori, in quanto il rito funebre è, di fatto, secondo il filosofo, l’operazione che occorre a trasformare l’evento naturale della morte in un processo culturale che riconosce e dà forma al dolore7. È risaputo che, la morte non costituisce soltanto un fenomeno biologico che lascia il cadavere come residuo che deve essere gestito [primariamente è ciò]; è anche, e soprattutto, un essenziale principio socioculturale, per le credenze e le rappresentazioni alle quali dà origine e per le attitudini e i riti che comporta. È di chiara comprensione che i riti costituiscono l’estensione immediata delle credenze e che i riti funerari, in particolare, costituiscono le forme culturali coscienti di uno dei nostri impulsi più antichi, universali e inconsci: l’esigenza di vincere l’angoscia della morte e del morire.8
In sintesi: nasce l’uomo e con esso nasce la società. Con essa, nasce anche il primo dei riti, quello funerario. Tramite il costante raffronto con la morte - si vedrà, alquanto travagliato e variato - l’Uomo evolve e si adatta alla vita. Come emergerà anche nel prosieguo, da sempre sono le nostre soluzioni atte a confrontarci (è, questo, termine neutrale) con la nostra mortalità e caducità che ci muovono nel mondo.
6 Per la questione si vedano i capitoli Kamennye baby e La “dea nuda”, in Florenskij P.A., Le stratificazioni della cultura Egea, 1908-1913, a sua volta nella raccolta di Florenskij P.A., Stratificazioni. Scritti sull’arte e la tecnica, Diabasis, Parma, 2008, edizione a cura di Misler N. 7 Ernesto De Martino (1908-1965), allievo dello stesso Benedetto Croce (1866-1952), “ha poi tradotto questo concetto in un aforisma di successo secondo cui il rito funebre sancisce la seconda morte culturale alla quale spetta il compito di vendicare lo «scandalo della morte naturale»” (tratto da Testoni I., op. cit., p. 54). 8 Tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), p. 397. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
35
Alcune persone troveranno [durante il corso della storia] la forza di voler vivere grazie alla realizzazione di grandi opere che permettano loro di immaginare la propria sopravvivenza nel ricordo dei posteri (distal defense: symbolic immortality). Altre persone vorranno guadagnare un posto di privilegio presso un Dio (distal defense: literal immortality). Altri, più semplicemente, cercheranno di gestire il terrore della morte rimuovendo il problema con le amenità che il benessere garantisce (proximal defense). In ogni caso, la difesa più efficace è quella di mantenere costantemente attivo il meccanismo di negoziazione, che permette di continuare ad agire nel mondo credendo di conoscere le ragioni di ciò che si sta facendo, perché questo permette di mantenere sotto controllo il terrore (proximal defense). In tal senso, la cultura non è altro che il prodotto di tale incessante lavoro.9
E così, tutti gli studi sociologici ed antropologici portati avanti - e sono molteplici - da personalità come James Frazer (1854-1941), Arnold van Gennep (1873-1957), Lucien Lévy-Bruhl (1857-1939), Edward Evan Evans-Pritchard (1902-1973), Robert Hertz (1881-1915), Bronislaw Malinowski (1884-1942), Alfred Radcliffe-Brown (1881-1955), Robertson Smith (1846-1894) ed Edward Taylor (1832-1917), si basano sulla convinzione che la società ed i suoi costrutti si fondino sulla gestione della morte e sul rapporto che l’Uomo intrattiene con questa. Da sempre, mortalità generatrice.
03.2
Imbrogli e sostituti - TESCHIO. In senso generale è l’emblema della caducità della vita, e così appare negli esempi letterari dell’Amleto e del Faust 10 ***
Innanzitutto, per fornire delle coordinate temporali sicuramente grossolane e vaghe, ma forse un minimo utili per procedere mentalmente con ordine nella questione, cosa possiamo all’incirca intendere con “età arcaica” - dato che tale termine, proprio perché ci parla di cose a noi più distanti, ci appare più imprecisato e torbido di altre limitazioni storiografiche? Ebbene, a mio parere, dei “paletti” sensatamente posti sono, più di mol9 Tratto da Testoni I., op. cit., pp. 46-47. 10 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 456.
36
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
ti altri, quelli individuati da René Girard (1923-2015), che parla di come, proprio con la venuta di Gesù Cristo - secondo il cristianesimo -, sia sorta una delle più vaste e rilevanti rivoluzioni della storia dell’umanità11 (potrà apparire scontato, ma se ancora oggi in gran parte del globo ci poniamo, nell’esprimere le date, prima e dopo la nascita di Cristo, una rilevanza forte di fondo c’è. Tale scelta è motivata anche dal fatto che, come accennavo in apertura12, la presente discussione guarderà soprattutto al mondo e agli usi occidentali, con qualche accenno e rimando solo sporadici alle altre religioni, rituali e culture). Girard distingue, nella sua opera, tra “età del mito” ed “età biblica”, fondando tale frattura sulla questione, da lui proposta, del capro espiatorio13. Dunque, per facilità di comprensione rispetto all’Anno Zero “all’occidentale”, questa girardiana “età del mito” - in particolare nei secoli più distanti da questo Anno Zero di svolta, in quanto avvicinandovi si faranno i conti anche con “gli Antichi”, come direbbe Leon Battista Alberti, Greci e Romani - sarà intesa, solo durante queste poche pagine, come il tempo proprio dell’età arcaica. Durante l’epoca arcaica - al contrario di quanto avviene invece attualmente - la presa di coscienza dell’esistenza della morte era all’ordine del giorno. Anassimandro di Mileto (VI secolo a.C.) avrà modo di affermare che la morte trova il suo senso nella vita, inevitabilmente: la morte c’è perché c’è la vita. Simul stabunt vel simul cadent14. La questione della mortalità dell’uomo era il consapevole e perenne sfondo di qualsivoglia esistenza (assieme con la potente - e quasi ovunque accertata - credenza di una vita ultraterrena successiva a quella vissuta15): questo fatto era dovuto, anche e soprattutto, alla convivenza sullo stesso 11 “Questa voce [quella del cristianesimo], anche se mal compresa, addirittura distorta, ha distrutto per sempre la credibilità delle religioni mitiche e scatenato la più grande rivoluzione culturale della storia umana” (tratto da Girard R., Il sacrificio, Raffaello Cortina, Milano, 2004 (2002), p. 76). 12 Si veda Capitolo 01.2 Ridurre il campo d'azione. Avvertenze sul cosa. 13 “Ecco la vera differenza tra il mitico e il biblico. Il mitico rimane sin dall’inizio alla mercé dei fenomeni di capro espiatorio. Il biblico rivela la loro menzogna rivelando l’innocenza delle vittime. [...] In realtà, il mitico e il biblico differiscono radicalmente perché il biblico per la prima volta rompe con la menzogna culturale per eccellenza non ancora svelata: i fenomeni di capro espiatorio sui quali si fonda la cultura umana” (tratto da Girard R., op. cit., p. 75). Per la questione si vedano, di René Girard, due titoli su tutti: Il capro espiatorio (1982) e l'appena precedente Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978). 14 Lett.: “permarranno insieme o cadranno insieme”. Si veda Casagrande D., Studio sull’interpretazione anassimandrea della morte, in Sitografia. 15 “Tra i primi riti dei quali l’archeologia ci ha segnalato delle tracce ci sono i riti funerari di Qafzeh e dell’uomo di Neandertal, seguiti da quelli del Paleolitico superiore e del Neolitico. Le offerte deposte nelle tombe, l’ocra rossa sui cadaveri, la sistemazione delle tombe, le conchiglie inserite nelle orbite oculari, i trattamenti speciali riservati ai crani sono indici della credenza in una vita ultraterrena” (tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit. p. 10). 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
37
visibile palcoscenico, molto più che in tutti i secoli successivi, di violenza e morte. Quest’ultima - la morte - era carnalmente, spudoratamente esibita (questo in quanto, contrariamente alla questione rousseauiana del “buon selvaggio”16, tutto in natura è polemos. La Natura è innanzitutto violenta). Nella cultura arcaica [...] persino la malattia e la morte non sono affatto un evento interno al corpo17, vengono anzi ricondotte a influssi esterni 18. Ogni morte è [letta e interpretata come] violenta.19
Ora, nell’arcaico, era comunque presente la volontà di difendersi dalla morte20, ma in una maniera completamente diversa dall’attuale: le esplicite violenza-e-morte quotidiane e non-nascoste, completamente esibite - e disinibite21 -, rendevano tutti consapevoli della caducità della vita. Tutti erano consci dell’impossibile mutazione dello sfondo comune dell’esistenza, cioè quello della mortalità. Nell’epoca arcaica, la fisica violenza - intesa come “negativa” (cioè proveniente dall'esterno-da-sé) - era evidente e la morte creduta e certa: l’unica possibilità di rimanere vivi era tentare - si potrebbe dire - di imbrogliarla. Nella pratica arcaica della vendetta si ha a che fare con l’omicidio in sé, non con l’omicidio in quanto imitazione22. [...] La violenza esercitata sull’Altro incrementa la
16 “Ogni cosa è buona mentre lascia le mani del Creatore delle cose; ogni cosa degenera nelle mani dell'uomo” (frase iniziale di Rousseau J.J., Émile, 1762). Il mito del cosiddetto “buon selvaggio” sarà esposto da Rousseau (1712-1778) in molte delle sue opere, come nel Discorso sulle scienze e le arti (1750) e nel Contratto sociale (1762). 17 La caratterizzazione di “interna” può essere letta, nel pensiero di Han, come “positività”. Per il filosofo, un esempio di violenza del “positivo” è l’autosfruttamento (si veda, in particolare, Han B.-C., La società della stanchezza, 2010). Il periodo storico della “positività” è la contemporaneità (intesa come pura attualità); il soggetto fondamentale della “positività” è l’Io. 18 La caratterizzazione di “esterna” può essere invece letta, nel pensiero di Han, come “negatività”. Il periodo storico della “negatività” è lo storicizzato, il pre- momento attuale; il soggetto fondamentale della “negatività” è l’Altro. 19 Tratto da Han B.-C., Topologia della violenza, Nottetempo, Milano, 2020 (2011), p. 26. 20 Si rammenti anche di come amuleti e talismani facessero parte della quotidianità molto più che nelle epoche successive, ed il principale dei loro - forse infiniti - ruoli era proprio quello di tenere lontano le disgrazie, tra tutte, ovviamente, la morte. Per la questione si veda il capitolo Amuleti e talismani in Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 25-28. 21 Si vedrà invece come Philippe Ariès (al 1975) definisce la situazione odierna come della morte inibita, o proibita. 22 Così scrivendo, Han vuole andare oltre l’eccessiva semplificazione del pensiero di René Girard, che invece riconduce qualsiasi forma di violenza al tema della mimesi (si veda, in particolare, Girard R., Il sacrificio, cit.). Da notare come, invece, la questione in sé - ovvero slegata da quella della mimesi - del capro espiatorio, sempre di Girard, non venga messa in discussione da Han, cosa alquanto ragionevole, a mio modo di vedere).
38
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
capacità di sopravvivere. Uccidendo, s’imbroglia la morte. Si uccide credendo di poter in tal modo prendere il controllo della morte stessa23,
e ciò è possibile solo in quanto si è costantemente rammemori di quest’ultima. Allo stesso modo, per fare un esempio più localizzato, ogni regnante celtico (V-III secolo a.C.) “aveva i suoi druidi che, con le loro maledizioni, potevano far rimare con la morte i suoi nemici”24. Si cerca un sostituto per la morte. Al tempo, non si disconosce la morte, ma si cerca d’imbrogliarla. Particolarmente interessante anche l’approccio arcaico al lutto (premessa sarà fatta: è forse impossibile il novero, anche solo ridotto, della totalità di villaggi, tribù o popoli di quest’epoca e delle loro usanze specifiche, molto più che nei secoli successivi, di cui abbiamo nette testimonianze, per cui i commenti seguenti vogliano essere indicativi di una situazione arcaica più o meno diffusa, anche se imprecisa). Ebbene, non la morte in sé, ma il rituale ad essa associato era l’ingresso, per il defunto, ad un aldilà sereno, ad una possibile “nuova vita”; e proprio tale rituale (fatto soprattutto di danze, maschere - quest'ultime tipico modo di impersonificarsi nel morto, scongiurando il ritorno di questo tra i vivi, oppure nella Morte - e versi propiziatori) poteva segnare la fine del lutto25. La fine del lutto era il momento di re-iniziazione nella società della famiglia, o clan, o comunità vicina al defunto, dato che questi dal momento della sua dipartita ne erano stati dis-sociati26. Così come l’integrazione della persona defunta, questo rito [quello funebre] consacra anche la reintegrazione nel gruppo di coloro che sono in lutto: l’ordine viene ristabilito e le interdizioni tolte.27
Il rituale funebre era inteso come atto di collettiva pseudo-iniziazione. Il periodo di lutto in epoca arcaica era poi, in successiva analisi, un tempo lungo rispetto all’attuale - la cui brevità è dettata anche da questioni tecniche, come vedremo in seguito. Tale dilungarsi funebre molto maggiore era dettato anche dalla diffusa credenza di una morte, conclusione della vita, che non sopravveniva con l’esalazione dell’ultimo respiro, bensì
23 Tratto da Han B.-C., Topologia della violenza, cit., p. 25. 24 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 264. 25 Periodo di lutto che nell’età arcaica poteva durare poco, giorni o settimane, o molto, alcuni mesi. 26 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 276-277. 27 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 399. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
39
[04]
40
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
dopo giorni - se non settimane28 -, quando la putrefazione del cadavere già raggiungeva stadi avanzati, in quanto “doveva trascorrere un periodo intermedio di non-vita e non-morte”29. Il morire arcaico è un tempo lungo, un segmento; la morte - medicalizzata attuale è un istante, un punto. Altra questione molto interessante, anche perché mai più così presente come nei secoli arcaici, è quella del lamento funebre, che rientra nei cosiddetti pianti rituali. Tale lamento veniva in genere praticato dalle donne. [04] Questo del lamento, assieme con gli altri modi simbolici e rituali di gestione dell’angoscia e della separazione dal defunto in ambito arcaico, sanciscono il definitivo passaggio dell’Homo dal naturale al simbolico30 (ovvero dalla sua “fase naturale” a quella “simbolica”). Come dirà Edgar Morin: dopo il faber e il sapiens, l’homo loquens31. Sono giunte a noi fonti di carattere mitologico che attestano del praticarsi di questi lamenti, in occasione della morte di qualcuno, in culti babilonesi, siriani (ed in generale dell’Asia-Minore), oltre che in Egitto, dove pare che le lacrime possedessero proprietà rigeneranti32. La funebre lamentazione ha il suo antenato nel grido, che, a metà anni Ottanta del secolo scorso, Emanuele Severino (1929-2020) definisce così (quando, già un secolo prima, Nietzsche aveva posto sempre il grido a fondamento del futuro linguaggio umano): Il grido. Sta all’inizio della vita dell’uomo sulla terra. Il grido di caccia, di guerra, d’amore, di terrore, di gioia, di dolore, di morte. [...] L’intera vita dei popoli più antichi si raccoglie attorno alla rievocazione del grido, cioè attorno al canto33; e il canto avvolge i viventi ben più strettamente del calore dei fuochi attorno a cui essi stanno.34 28 Tale “porzione” di tempo di non-vita e non-morte è cosa presente in molte culture arcaiche: ad esempio, ha il suo famoso corrispettivo buddhista nel bardo tibetano (in sanscrito antarābhava), momento di transizione tra la vita e la morte in cui si decidono le sorti ultraterrene dell’individuo, che dura quarantanove giorni. Il Bardo Todol - sorta di manuale che prescrive i comportamenti da tenersi durante questo periodo rituale di poco meno di due mesi - è, a suo modo, una forma di Death Education ante litteram. Con le stesse finalità nasce anche il Kitab el-mayytun in ambito antico-egizio. 29 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, Bollati Boringhieri, Torino, 2015, p. 75. 30 Si veda De Martino E., Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (titolo aggiornato all’ultima edizione, 2021), 1958. 31 Si veda Morin E., L’uomo e la morte, 1951. 32 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 100. 33 Grido, quindi canto, da cui trae la festa. Dappoi, la cibazione rituale, o banchetto. Si veda Severino E., La strada, 1983. 34 Tratto da Severino E., Il parricidio mancato, Adelphi, Milano, 1985, p. 41. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
41
Anche in Grecia, durante l’epoca arcaica, pare non fossero per nulla insoliti i lamenti funebri: in onore di Demetra e Persefone venivano emessi i cosiddetti iouloi (lett.: “urla”). Inoltre, “è significativo [...] che un grido di lamento (eleleu) caratterizzasse alcune feste stagionali greche”35. Molti rituali arcaici, poi, volevano che le donne lamentassero e piangessero di fronte a uomini, questi aventi addosso delle maschere funebri, spesso raffiguranti l'appena defunto figlio o marito36.
03.3
Fondazioni - MORTE EROICA. [...] La mors triumphalis è una via diretta di sublimazione. [...] Il valore della morte eroica, quindi, non promana solo dall’accettazione del sacrificio, ma anche dal servizio nei confronti delle «forze spirituali» 37 ***
Come abbiamo detto, pur nella distinzione di Girard la Grecia e l'antica Roma si pongano in buona parte nell'epoca del mito, sarà fatto un affondo specifico sulle due, in quanto momenti storici costitutivi della nostra cultura e non semplicemente ravvisabili temporalmente come all'interno del più generico “arcaico”. Innanzitutto, pensare all’antichità classica, con più precisione greca, significa andare con la memoria all’epoca del mito. Ebbene, non è un caso - in merito alla rilevanza del tema in questione - che i due poemi alla base della tradizione - perlomeno letteraria - occidentale38 si confrontino sin dalle prime righe con il dolore e la morte39. L’Iliade è il poema che si apre con la violenza della guerra, ci acceca da subito con la “funesta ira” di Achille, con gli infiniti dolori degli Achei; l’Odissea, dal canto suo, potremmo dire fondi - sono, questi, poemi fondativi 35 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 100. 36 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 280. 37 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 309. 38 È alla “primissima” epopea ctonia di Gilgamesh (III millennio a.C.) che gli altri miti e religioni faranno riferimento e prenderanno spunto. È infatti proprio Gilgamesh il primo eroe a viaggiare nel cosiddetto “regno dei morti”, espediente letterario ripreso infinite volte nella storia letteraria di tutti i tempi. 39 Senso del discorso tratto da Camerotto A., L’Odissea del dolore. Sopportazione, nostalgia e ricordo nei poemi omerici, articolo in La Chiave di Sophia, n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 60-62.
42
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
del nostro sentire occidentale - il dolore nostalgico nei confronti della terra natìa, dettato dalla lontananza, dolore che con Odisseo diventa memoria e racconto: attraverso le parole di Virgilio l’Occidente capisce che, da lì in poi, “raccontare” significa “rinnovare nuovamente il dolore”, renovare dolorem. Sempre in ambito di fondazione ma al di fuori del mitologico, anche una delle opere filosofiche più importanti della storia - non solo classica -, ossia il Fedone (IV secolo a.C.), si scontra fin dall’inizio con il tema della morte. Anzi, per Platone la filosofia è essa stessa, nel suo quotidiano farsi, aschesis thanatou40, vero e proprio “esercizio di morte”. Per Platone, “la morte non è dunque un punto finale, un crollo o un rovescio, ma un particolare inizio, un punto di partenza dal quale l’anima, liberatasi del peso del corpo, si solleva leggera come una farfalla”41. È questa la prima forma di quello che in epoca romana sarà istituzionalizzato - e ritualizzato - come memento mori; sono, tra l’altro, i versi di cui ne parla nel Fedone (67 e), forte punto d’unione con l’Oriente, incontro-scontro con le idee di anima e reincarnazione42. Ora, l’antichità classica - che, per motivi già esplicitati, non è stata rubricata come semplice “epoca arcaica” - risulta essere tappa fondamentale di questo “discorso intorno alla relazione tra l'Uomo e la Morte” perché è durante questi secoli che si stabilisce, nei termini che ancora adoperiamo tutt’oggi, la questione del sacro (la radice del termine è di matrice indoeuropea, sak, lett.: “ciò che ha valore”, “ciò che dev’esser preso in considerazione”). Tra mondo greco e mondo romano intercorre, nei riguardi del significato del sacro, una grande differenza: Prima della cultura romana, il sacro era una dimensione sostanzialmente arcana, intorno alla quale si disponeva il riconoscimento del mistero e dell’inconoscibile attraverso riti che spesso contemplavano sacrifici con l’uccisione o il massacro di uomini e animali.43
Nella fattispecie, le modalità rituali - sacre - dei Greci, si differenziavano, ad esempio, a seconda della divinità invocata, pur essendo eventi di natura pubblica, che avevano a che fare con la res publica. Ma è con la cultura romana che il sacro diventa propriamente ciò a 40 Si veda Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., pp. 72-74. 41 Tratto da Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, Nottetempo, Milano, 2018 (2002), p. 115. 42 Si notino le congruenze tra la posizione di Platone e quanto detto al Capitolo 02.3 Qualcosa in comune. 43 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., p. 70. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
43
cui, ancora oggi, facciamo riferimento: Roma amministra il sacro in maniera fortemente pragmatica, civile - nel senso di “legato alla vita dell’uomo nella città” -, in maniera tale da ammettere tutte le possibili, praticamente infinite a seconda dell’orientamento religioso, declinazioni di questo che potevano coabitare all’interno della stessa regione o urbe. Nella cultura romana, sacer configura lo spazio del divino, opposto al publicum, che invece è costruito tramite il patto sociale, entrambi a loro volta contrapposti a tutto ciò che è profano o privato. [...] La polarità sacer/profanus si incrocia infatti a quella publicus/privatus, ove «sacro» e «pubblico» si oppongono tra «religioso» e «giuridico», implicando che vi sia uno spazio in cui il privato diventa spazio del profano.44
La questione non è di poco conto se pensata, poi, globalmente. A differenza delle somiglianze “orientali” ravvisate in apertura, stavolta ecco una grande differenza: ciò che ci discosta enormemente dal mondo del sacro e del religioso orientali - e non è qui in mia facoltà emettere giudizi di valore, anche perché privi di significato in tale ambito - è il nostro “dover rendere conto della propria esperienza al resto [...] della comunità, all’interno delle specifiche recinzioni costituite dai luoghi di culto, in cui la chiamata interiore, il numinoso, viene «re-ligato» per non essere confuso con altro”45. La grande differenza tra Oriente ed Occidente è, di fatto, che, rispettivamente, il misticismo non può essere trasmesso mentre il religioso sì - e proprio in ciò trova la sua forza. Anche il filosofo Zygmunt Bauman sottolinea l’aspetto comunitario, ovvero del come, ad esempio, i riti di commemorazione dei defunti occorressero, fin dagli albori, a distinguere la mortalità corporea - avvenuta dall’immortalità - possibile - del ricordo-del-defunto: sono, questi momenti del lutto e del ricordo, parte delle strategie messe in atto dall’Uomo per tendere all’immortalità, accettando però la finitezza della vita terrena. Essi [i riti funebri di commemorazione] rappresentano inoltre l’esistenza continuativa della comunità come pegno del superamento, almeno temporaneo, della transitorietà dell’individuo. Separano il momento della morte del corpo da quello della morte sociale, rendendo la seconda indipendente dalla prima e dotando solo la seconda, la morte sociale, della status di finalità. Dando forma al sogno di immortalità, essi utilizzano il timore della mortalità al servizio della coesione della comunità.46
44 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., pp. 70, 71. 45 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., p. 73. 46 Tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012
44
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
È interessante notare come, tra le altre cose, sia la civiltà greca che quella romana abbiano originariamente fondato la loro società sul culto del defunto e, più nello specifico, degli antenati47, consimile all’altro cardine fondativo nelle due grandi civiltà classiche, ovvero quello del culto degli eroi48 (e le due cose non si escludono vicendevolmente), due questioni che spiegano il forte fattore di considerazione degli anziani e, più in astratto, della figura del pater, il “padre”, al centro della cultura occidentale lungo tutta la sua storia. Andando “oltre” il rito funerario, in ambito romano, poi, il morto “continuava a vivere” ed essere ricordato per mezzo della sua imago: si era soliti infatti, successivamente alla morte ed alla sepoltura del familiare, far realizzare una sua artificiale imago, appunto. La cultura greco-romana, a fondamento della nostra “occidentale”, era - va detto - fortemente incentrata sulla singolarità del volto49 [05], di cui imago e ritratto funerario sono una forma di rappresentazione tra le più arcaiche. Questa imago altro non era che una maschera, il più delle volte in cera o terracotta, plasmata a perfetta immagine e somiglianza del volto del defunto, quindi tenuta nei luoghi più visibili dell’abitazione all’interno di alcuni reliquiari: tali maschere avevano sì scopi privati - di raccolta e ritualità privata e familiare -, ma allo stesso tempo tutto ciò aveva il suo riverbero nella sfera pubblica, in quanto il cosiddetto ius imaginum, ovvero il diritto inalienabile di possedere delle immagini dei familiari defunti, era un caposaldo della società civile cittadina romana. La questione è presente anche in Vitruvio nel suo De Architectura, dove nel Libro VI, parlando a proposito dell’edilizia privata delle domus, scrive: 6 - [...] Imagines ita altae cum suis ornamentis ad latitudinem alarum sint constitutae. --6 - [...] Le imagines, o ritratti degli antenati50, risultino, coi loro ornamenti, di una altezza proporzionale alla larghezza delle alae.51
(1992), p. 75. 47 Sulla questione si veda Fustel de Coulanges N.D., La città antica, 1864. 48 Sulla questione si veda Spencer H., Principi di Sociologia, 1877. 49 “Più arduo sarà negare che esista una qualche connessione di tipo esistenziale tra immagine, riconoscimento di sé e allontanamento della/dalla morte” (tratto da Maragliano R., op. cit., p. 29). 50 L’aggiunta tra le virgole è da parte del traduttore. Vitruvio non lo specifica in quanto quelle che lui nomina come imagines erano, come si è capito, parte della quotidianità. 51 Tratto da Vitruvio M.P., Architettura - Libri I-VII (De Architectura - Libri I-VII), Rizzoli, Mila03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
45
[05]
46
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Leon Battista Alberti, nel suo De re aedificatoria (1452), nel Libro VIII, non parla propriamente di imago/imagines, ma di più generici ritratti, ed è curioso come questi cambiassero nel materiale della loro fattura a seconda che colui ritratto fosse un bambino - ed allora veniva adoperato il gesso - oppure un uomo adulto o anziano - nel qual caso era adoperato, solitamente, il marmo52. Di fatto, queste imago erano una sorta di punto di contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e non l’unico. Infatti, la leggenda vuole che quando Romolo fonda Roma, fa scavare una fossa - detta mundus, “mondo” - in cui lui stesso e ciascuno dei suoi compagni gettano una manciata della terra da cui provengono. Questa fossa veniva aperta tre volte l’anno e si diceva che in quei giorni i mani, i morti entravano nella città e prendevano parte all’esistenza dei vivi53. Il mondo non è che la soglia attraverso la quale i vivi e i morti, il passato ed il presente comunicano.54
Nell’antica Roma, il tema della morte è poi inestricabilmente legato a quello del convivium, ovvero del banchetto. Come nota Severino, le occasioni funebri erano pur sempre festose - “Altro dal quotidiano” -: le primitive grida si fanno canti, i canti diventano tipici dell’ambito festivo, che non può non essere occasione di convivium. A Roma il cibo apre e chiude il periodo del lutto: Presso la tomba, dopo la sepoltura, veniva sacrificato un maiale e consumato il pasto sacro (silicernium), grazie al quale veniva simultaneamente confermata la
no, 2015 (I secolo a.C.), edizione a cura di Ferri S. e Maggi S., pp. 338, 339. 52 Si veda Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Libro VIII - L’ornamento degli edifici pubblici profani, Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V., p. 306. 53 Si hanno, in ciò detto, molte somiglianze con quanto raccolto da Juan Eduardo Cirlot: “Presso i Celti la festa principale cadeva il primo novembre [data familiare anche in ambito cristiano-cattolico, in quanto Festa di Ognissanti, subito prima del Giorno dei Morti, la Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum, il 2 novembre]: secondo Loyer, nel suo studio Les Chrétientés celtiques, in quell’occasione il mondo dei poteri occulti apriva le barriere e l’inaccessibile si mescolava al mondo degli esseri umani” (tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 205), e anche con quanto raccolto da Eliade: “Per citare soltanto qualche esempio, ricordiamo che i Greci credevano che gli «spiriti» ritornassero temporaneamente in occasione delle feste Antesterie; i Romani nel corso della festa Lemuria [i “tre giorni” visti sopra]. I Mandei dell’Iraq e dell’Iran celebrano una festa per i defunti all’inizio dell’anno. Anche nelle isole Trobriand i morti si ricongiungono ai vivi in occasione di una particolare festa annuale, chiamata Milmala; in Thailandia ciò avviene durante la festa del Nuovo Anno, celebrata in aprile; presso gli Huzul dell’Ucraina a Pasqua e a Natale” (tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 102). Inoltre, anche durante alcune versioni delle Feste del Nuovo Anno, molto diffuse soprattutto in epoca arcaica ed aventi diversi caratteri e tempistiche a seconda della localizzazione geografica e di usi e costumi locali, pare che il “mondo dei morti” si ricongiungesse, durante il periodo festivo, a quello “dei vivi”. 54 Tratto da Agamben G., Il volto e la morte, in Sitografia. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
47
separazione del morto dal mondo dei vivi ma anche la sua reintegrazione attraverso appunto un banchetto di purificazione. Successivamente, dopo un periodo di isolamento di nove giorni per il lutto tramite una cena rituale (cena novemdialis) la famiglia riallacciava i legami con il resto della comunità.55
Altra questione interessante in campo funerario, e delle ritualità connesse alla morte56, è quella riguardande le reliquie (parentesi tematica che sarà più volte riaperta durante la trattazione). Questo poiché, da sempre, le ossa - poiché le parti corporee più lente a decomporsi - erano credute “sede della vita”: In varie parti del mondo le ossa, umane e animali, che resistono al decadimento più a lungo di qualsiasi altra parte del corpo, vengono considerate la sede effettiva della vita, sia che per «vita» si intenda una forza vitale, sia che si voglia alludere in modo più specifico all’anima.57
Ebbene, nell’antica Grecia ad esempio - così come nella Roma pagana fino alla svolta cristiana sotto Costantino (272-273) -, il culto delle reliquie contraddistingueva più che l’ambito funerario quello di venerazione per gli eroi, i cui resti erano attentamente conservati perché creduti di influenza benigna sulla società (e spesso veniva fatto altrettanto con le loro vesti, o armi, o suppellettili).
03.4
Avvisi scarlatti - SCHELETRO. Nella maggior parte delle allegorie ed emblemi è la personificazione della morte. In alchimia simboleggia il nero e la putrefazione o disiunctio degli elementi 58 ***
Per quanto riguarda il periodo del primo Medioevo - così come per i secoli che si è visti finora -, Philippe Ariès nella sua “opera magna” (Storia della 55 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, cit., p. 65. 56 Una delle più lampanti e sostanziali differenze tra Greci e Latini sta nel sesso della Morte: per i primi - come sarà per i Tedeschi poi - è maschio (thanatos, der Tod, sost. masch.), per i secondi è femmina (mors, sost. femm.). 57 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 339. 58 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 395
48
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
morte in Occidente, 1975) parla di morte addomesticata. Il testo letterario che egli prende costantemente a riferimento per discutere riguardo a quei secoli è la Chanson de Roland (opera della seconda metà dell'XI secolo), famoso testo di natura epica che - come molte chanson de geste medievali - prende spunto da reali vicende storiche. Nella fattispecie, la Chanson de Roland di Turoldo muove dalle battaglie della spedizione militare di Carlo Magno contro gli arabi di Spagna, guerra che si conclude il 15 agosto del 778 con la nota battaglia di Roncisvalle. Queste le premesse, nelle chanson de geste medievali, così come anche nei più antichi romanzi, la morte è addomesticata in quanto - come si è già detto, tra le righe e non, per le epoche precedenti - rimane all'ordine del giorno, ha a che fare con la quotidianità, e non sconvolge o turba veramente. Del morire, però, si è avvisati - è una morte che avvisa. Non si muore senza aver avuto il tempo di sapere che si sta per morire. Altrimenti si trattava della morte terribile, come la peste o la morte improvvisa, e allora occorreva presentarla come eccezionale, non parlarne59. [...] Sapendo prossima la sua fine, il moribondo prendeva le sue disposizioni. [...] Quando Lancillotto, ferito, sperduto, si accorge, nel bosco deserto, di aver «perduto perfino il potere del suo corpo», crede d'essere in punto di morte. Allora che cosa fa? Dei gesti che gli sono dettati da antichi costumi, gesti rituali che bisogna fare quando si sta per morire. Si spoglia delle armi, si sdraia tranquillamente per terra: dovrebbe essere nel suo letto [...]. Apre le braccia in croce - questo non è abituale. Ma ecco l'usanza: è disteso in modo che la testa sia rivolta verso oriente, verso Gerusalemme. Quando Isotta trova Tristano morto, sa che anche la sua morte è vicina. Allora si sdraia accanto a lui, si gira verso oriente.60
Il giacente, a ben vedere, accetta la sorte: la posizione distesa è passiva61, di accettazione e non-combattimento nei confronti della morte, che sta per entrare in scena. Ed è in questo esatto momento, sul letto di morte - o laddove si è distesi -, che ha luogo il cerimoniale del morente. [2355] Lo sente Orlando che la morte l'afferra,
59 Si noti come, forse, al giorno d'oggi trattiamo qualsiasi morte come nelle chansons medievali si trattava la pestilenza o la morte improvvisa, ovvero occultandole, cercando di eluderle dal discorso. Come se non accettassimo nemmeno più l'avviso che la morte “gentilmente” ci offre per prepararci. Ogni morte è per noi, così, all'oggi, pestilenziale - cioè terribile. Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia. 60 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 19, 21. 61 Anche all'interno della storia dell'arte, la posizione orizzontale o - in generale - la linea orizzontale è passiva e tranquilla, rispetto alla verticale attiva e in movimento. D'altronde, orizzontale è il corpo morto, verticale è l'uomo in vita. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
49
gù dalla testa fin sul cuore gli scende. Fin sotto un pino62 se n'è andato correndo, sull'erba verde ci si è accanto disteso, la spada e il corno63 sotto sé si mette. Volta ha la testa alla pagana gente, e così ha fatto perché vuole davvero che dica Carlo e con lui la sua gente che morì il nobile conte da vincitore. Confessa le sue colpe ripetutamente, per i peccati in pegno offre a Dio il guanto. [...]64
La morte la si attende orizzontali, tra gesti rituali. I. Il primo atto di tale cerimoniale - od anche rituale - è il rimpianto della vita - o lamento -, fatto di esperienze passate e ricordi, emozioni e valori, genti amate, figli svezzati ed imprese compiute: “Orlando «prende a ricordarsi di molte cose» [...] della dolce Francia, degli uomini del suo lignaggio, di Carlomagno suo signore, che lo nutrì [...] e dei suoi compagni”65. II. Il secondo atto del cerimoniale è quello del perdono: il morente è come se, in qualche modo, nella sua condizione liminale, fosse vicino a Dio - e perciò può perdonare, e raccomandare a Dio stesso i sopravviventi che stanno tutt'attorno al suo giaciglio. “Oliviero chiede perdono a Orlando per il male che ha potuto fargli contro le sue intenzioni: «Vi perdono qui e davanti a Dio»”66. III. Il terzo atto del rito del morente è la preghiera: passate in rassegna le glorie terrene e perdonati i compagni dell'avventura della vita, il giacente rivolge ora il volto verso l'alto - e verso l'Altissimo - e, a mani giunte, prega. “La preghiera è composta di due parti: il mea culpa [...] [e la] commendacio animae, parafrasi di una preghiera antichissima ispirata forse dagli ebrei della Sinagoga”67. IV. Quarto ed ultimo atto del cerimoniale è subìto dal giacente - che da partecipante attivo si fa passivo, e inizia a morire -, ed è il più religioso di tutti: il prete impartisce l'assoluzione. Da qui in poi, la morte non ha alcun motivo di attendere. “Così Oliviero: «Il cuore gli manca, tutto il suo corpo s'accascia a terra. Il conte è morto [...]. Disse [la sua ultima preghiera] e mai 62 Anche il pino, oltre al più noto cipresso, è da sempre una pianta associata al funebre. Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 63 La spada è la celebre Durendal (Durlindana), spesso citata anche nella letteratura successiva, non solo di ambito francese. Il corno è l'olifante. 64 Passo CLXXIII della Chanson de Roland, XI secolo. 65 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 22. 66 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 22-23. 67 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 23.
50
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
più pronunciò parola in seguito»”68. Da questo discorso si può intuire come, oltre al fatto di come la morte avvisi - e sia accettata ed attesa -, il cerimoniale rituale del giacente sia una sorta di pubblico evento. La morte giunge a portarsi via il morente in un luogo che è affollato, perlomeno dalla famiglia che si stringe, letteralmente, intorno al defunto - e da questa usanza nasce il modo di dire ancora attuale. [06]
Tale usanza del rituale pubblico permarrà per moltissimo tempo, fino a quando, sempre con maggior frequenza a partire dal periodo che Michel Foucault chiama del “grande internamento” - ovvero il Settecento -, l'ospedale prende il posto della casa come luogo per eccellenza d'attesa della morte. La camera del moribondo si trasformava allora in un luogo pubblico. Vi si entrava liberamente. I medici della fine del secolo XVIII che scoprivano le prime regole d'igiene si lagnavano del sovraffollamento delle camere degli agonizzanti. Ancora all'inizio del XIX secolo, i passanti che incontravano per strada il piccolo corteo del prete che portava il viatico, lo accompagnavano ed entravano dietro di lui nella stanza del malato. [...] [Vi] si conducevano i bambini: fino al XVIII secolo, non esiste immagine di una stanza di agonizzante senza qualche bambino. Quando si pensa alle precauzioni che si prendono oggi per allontanare i bambini dalle cose della morte!69
Una morte, quindi, “quella medievale”, che avvisa, assieme ad un cerimoniale, nella concretezza dei fatti, perfettamente pubblico ed aperto alla comunità. Già questi due “usi” inducono ad un terzo: è in ogni modo assente qualsiasi carattere drammatico - o, col senno di poi, romanticamente patetico, ovvero di intenso pathos emotivo - nei riguardi della morte, del suo sopravvenire e dei cerimoniali ad essa collegati. Se morire è naturale, il morire è semplice. Sono soprattutto questi tre appena enunciati gli aspetti che rendono, all'epoca, la morte addomesticata - legata alla domus. Essa avvisa ed è attesa come un qualsiasi rientro nella propria abitazione -; da distesi, il suo rituale si offre sul letto - in una stanza di casa -; ed è semplice e non-drammatica, non truccata - proprio come la vita tra le mura domestiche. In tempo medievale più che mai nella storia la morte è all’ordine del 68 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 24. 69 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 24-25. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
51
[06]
52
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
53
giorno anche per il fatto che è sovente utilizzata come pubblica forma di giustizia. L’immagine medievale della morte è perciò quotidiana, esplicita e pubblica, ha le sembianze del boia: Vi erano [...] poi, con una frequenza mai interrotta, le esecuzioni capitali. L’eccitazione crudele e il rozzo intenerimento che provocava la vista del patibolo costituivano un elemento importante nel nutrimento spirituale del popolo. Era uno spettacolo a scopo moralizzante. Contro i delitti orribili la giustizia escogitò delle punizioni orribili.70
Solo queste cose premettendo - oltre che cercando, perlomeno, di intuire il vigore emozionale per qualsiasi forma religiosa-rituale e suscettibilità al pianto delle genti dell’Europa dell’epoca - si possono quindi introdurre, seppur minimamente, le questioni riguardo al macabro in tempo medievale, epoca di violento, sfrenatissimo e vivo pathos71 - che è altra cosa del pathos e timore emozionale di fronte alla morte di epoca romantica; quello non riguarda affatto questi secoli. Il Medioevo è di un colore acceso, violento e vivo allo stesso tempo: il Medioevo è da immaginarsi scarlatto - come di un tessuto scarlatto erano incappucciate le teste dei criminali esposte ai mercati cittadini e così come, si dice, il re di Francia portasse il lutto in rosso, a differenza del “volgare” - ovvero “popolare” - nero72. Durante il “religiosissimo”73 periodo in questione, in ambito cattolico cresce e si sviluppa, ben più di quanto era stato fatto fino ad allora - se non durante la Roma da Costantino in poi -, il culto delle reliquie74 (tema che ritornerà nell’ambito del discorso sul luogo urbano del cimitero dell’epo-
70 Tratto da Huizinga J., Autunno del Medioevo, Rizzoli, Milano, 1998 (1919), p. 6. 71 Il pathos medievale si può definire come comunitario: all’epoca non si guarda tanto alla vita del singolo ma a quella della comunità - e la religione è l’ideale cemento perché letteralmente religa (cioè “tiene assieme”) la comunità. Diversamente sarà la questione del pathos in epoca rinascimentale. 72 Si veda Huizinga J., op. cit., pp. 7, 64. 73 Si badi, il termine è virgolettato perché forse inusuale, ma ritengo sincero: è l’epoca di personaggi come “il venerabile domenicano Vincenzo Ferrer [che quando] arriva per predicare, da tutte le città il popolo, i magistrati, il clero, e gli stessi vescovi e prelati gli si fanno incontro salmodiandolo. [...] Era raro che non facesse piangere il suo uditorio, e quando parlava del giudizio universale e delle pene dell’inferno o della passione di Nostro Signore, tutti, egli stesso compreso, davano in pianto e si doveva aspettare parecchio tempo finché la calma si ristabilisse ed egli potesse riprendere a parlare” (tratto da Huizinga J., op. cit., p. 8). 74 E, con esso, il periodo - mai terminato - di falsificazione e mercificazione delle stesse: di lì a poco, la Riforma protestante criticò anche ciò, e lo stesso Lutero battezzò il culto delle reliquie come “senza fondamento nella Parola di Dio”.
54
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
ca75). La venerazione di queste infatti partì dal credere come sacro e beato il luogo di sepoltura o morte di un santo o un martire: il corpo del santo è esso stesso santo - santa carne -, e per di più, potremmo dire, ha la proprietà di santificare tutto ciò che ha intorno. Nella Chiesa antica si riteneva che la vicinanza fisica ai santi avesse effetti benefici. Perciò i cristiani delle origini rendevano visite ai loro sepolcri e celebravano l’Eucarestia sulle lastre di pietra che coprivano le tombe. Talora decidevano di stabilirsi in modo definitivo nelle vicinanze di queste tombe, che divennero, così, altari, mentre intere città sorsero nei luoghi che un tempo erano stati semplicemente dei cimiteri.76
Di fatto, alcune città sorgono per mezzo di reliquie. Per estremizzare - ma nemmeno troppo - si può affermare che la reliquia, e tutto ciò intorno ad essa gravitante, è vero e proprio simbolo (ed allo stesso tempo metafora) del periodo medioevale. Viene scritto che: Al tempo del Medioevo la venerazione delle reliquie era divenuta così diffusa, popolare e intensa, che più di uno studioso l’ha definita come la vera religione del periodo [...]. Ben presto si sviluppò un commercio internazionale di ossa, organizzato da autentici mercanti di reliquie e ladri professionisti, che provvedevano alle necessità dei vescovi carolingi e degli abati, in seguito dei re anglosassoni. Con le Crociate, poi, tornarono a essere accessibili antiche miniere di reliquie, tra cui soprattutto Gerusalemme e Costantinopoli.77
03.5
Macabré e la sua danza - DANZA. Immagine corporale di un processo, di un divenire o di uno svolgimento. È universale la credenza che [...] la danza simboleggi l’atto della creazione. [...] Ogni danza è la pantomima di una metamorfosi [...] nella quale il ballerino si tramuta in un dio o in un demone 78 -
75 Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi. 76 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 375. 77 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 375, 376. 78 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 174. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
55
*** Mai l’immagine della morte ed il suo pensiero sono stati coltivati con tanta insistenza e veemenza come durante l’ultima stagione del Medioevo, in particolare durante il Trecento ed il Quattrocento. La quotidianità era perenne memento mori: “Dionigi il Certosino (o Dionigi di Rijkel, 1402-1471) ammonisce: «E quando egli si mette a letto, si ricordi che come ora si corica da sé sul letto, presto il suo corpo sarà messo da altri nella tomba»”79. La religione s’insidia in ogni ora della vita dei più, ed agli errabondi predicatori che, da secoli, si spostano di paese in paese, di fortezza in fortezza, per convertire e moralizzare il popolo, si aggiunge, tra Tre- e Quattrocento, un nuovo genere di illustrazione popolare, volgare, quella derivata dall’incisione su legno, la xilografia. “Questi due mezzi d’espressione adatti alle masse, la predicazione e l’incisione, potevano rendere l’idea della morte soltanto in una forma molto semplice, diretta e vivace, con crudezza e precisione”80. Predicazione ed incisione sono anch'esse scarlatte, crude. Del grande complesso d’idee e questioni intorno al funebre, quest’epoca vede quasi solamente quella della caducità della vita, spesso quindi ridotta rozzamente in xilografie facilmente smerciabili. Tale caducità è espressa tramite il macabro: i monumenti funebri presentano il corpo defunto invischiato tra vermi, raggrinzito, piegato dalla putrefazione - non si va “oltre”, non se ne intravede la sua ricomposizione humana (der. da humus, “terra”), con la Terra. E, ancora, tale caducità è disprezzata sin da vivi: la paura della vita nasce dalla consapevolezza di calamità e dolori che sono sempre congiunte, come sorelle, a qualsiasi felicità nel quotidiano. Da ciò, il disprezzo della vecchiaia, ribrezzo per la malattia e per la morte - anche se questa, l’altrui morte, è motivo di gaudio e realizzata vendetta se in pubblica piazza -: il macabro sta anche nel corpo stanco, vecchio, derelitto. Sta nel raggrinzirsi della pelle, unica vera cosa graziosa: La bellezza del corpo si limita alla pelle. Se gli uomini vedessero quel che è sotto la pelle, così come si dice che possa vedere la lince di Beozia81, rabbrividirebbero alla vista delle donne. Tutta quella grazia consiste di mucosità e di sangue, di umori e di bile. Se si pensa a ciò che si nasconde nelle narici, nella gola e nel ventre, non
79 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 187. 80 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 187. 81 Leggenda vuole che la lince - animale dotato di acutissima vista - sia in grado di “guardare oltre” il corpo, quindi anche dentro di esso.
56
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
si troverà che lordume.82
Un aspetto peculiare e molto interessante dell’atteggiamento dinanzi alla morte nell’Europa tardo-medievale, in particolar modo nel Due- e Trecento, era la connessione del macabro con la danza. Nella società di quell’epoca, massimamente influenzata dalla Chiesa, dove qualsiasi questione terrena era letta ed interpretata come perenne scontro tra Dio ed il Diavolo, tra luce ed ombra, e, nel lustro a cavallo della metà del Trecento, dilaniata dall’epidemia di peste, ecco che si diffonde il tentativo, tramite la danza, di farsi beffe degli aspetti più tragici della quotidianità83, degli stati malsani - inclusa la vecchiaia - della vita. Ecco che, sviluppandosi insieme all’immagine dello scheletro, inteso come il nostro stato futuro, la danza si faceva beffe dell’orgoglio del ricco, proponendo una visione di uguaglianza sociale; e insieme enfatizzava il terrore connesso con la morte, per spaventare i peccatori e indurli alla penitenza. Le allucinazioooni e i crampi prodotti da una alimentazione a base di cereali decomposti, che provocavano una sorta di avvelenamento (il cosiddetto “Ballo di san Vito”84), induceva le vittime di tale malanno a compiere movimenti involontari e inconsulti simili a quelli di una danza. Molti credevano che si trattasse di una possessione demoniaca [in alcuni casi era vista come forma di divinazione e “accesso” al divino]. Alcune tra le vittime di questo male cercavano sollievo nella pratica di certe danze estatiche, alle quali si attribuiva un valore curativo e una certa efficacia nel preservare dalla morte.85
La cosiddetta “danza macabra”86, o “danza della morte”, o ancora più propriamente “danza dei morti”, era connessa, nelle credenze popolari, con il risveglio dei morti e con la resurrezione dell’anima; inoltre, era visto come confortevole e di buon augurio danzare di fianco o al di sopra delle tombe dei defunti, a mo’ di rito protettivo contro spiriti maligni e demoni87.
82 Citazione di Odon de Cluny (878-942) ripresa in Huizinga J., op. cit., p. 191. 83 Epidemia di peste di metà Trecento (1347-1373 ca.) che dilagò tra Italia, Germania, Francia, Spagna ed Inghilterra. 84 Clinicamente conosciuta come Corea di Sydenham (chorea minor), è un tipo di encefalite che compare in soggetti con patologie reumatiche, solitamente nell’infanzia; ne è possibile causa il batterio Streptococcus pyogenes. 85 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 133. 86 Affreschi murali rappresentanti “danze macabre” erano dipinti lungo tutto il lato interno del peristilio - luogo degli ossari - della corte cimiteriale del Cimitero degli Innocenti di Parigi, nel quartiere di Beaubourg (camposanto smantellato a fine Settecento). [07] 87 Danza e macabro sono correlati da sempre, soprattutto in molti luoghi e paesi che, nella storia, non sono stati influenzati - o lo sono stati debolmente - dal cristianesimo, religione che ha tendenzialmente soppresso questa attività. Per la questione si veda il capitolo Danza e religione in Eliade M. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
57
[07]
58
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Di fronte alla morte si danza. La stessa parola “macabro” - che ho in questa sede adoperato indistintamente rispetto alle epoche storiche, ma che avrebbe forse senso solo da questo momento in poi -, nasce proprio nel XIV secolo, in Francia: all’origine era Macabré, con la maiuscola di nome proprio, forse derivante da un personaggio delle popolari canzoni di gesta88, altrimenti forse dall’alterazione di Maccabeo (sostantivo biblico); diventa poi macabre, ovvero aggettivazione e qualifica89, con il significato che ha tutt’ora. “«Je fis de Macabré la dance» [lett.: “Ho fatto il ballo di Macabré”], dice il poeta Giovanni Le Fèvre nel 1376”90. La macabra danza è da quel momento rimasta indelebile all’interno della cultura occidentale, a tratti ripresa - figurativamente - in periodo romantico e giunta fino al Novecento, come in alcuni corti animati del genio Walt Disney (1901-1966) passati alla storia della cinematografia moderna91, e finanche nel nostro secolo, tramite gli infiniti riferimenti nelle arti, dai testi musicali alle tele dipinte92. Continua inesorabile poi, come accennato al capitolo precedente, il culto - oltre che mercificazione - delle reliquie, che cominciano ad essere inglobate e sistemate all’interno degli altari: ogni chiesa, grande o piccola che sia, ne rivendica almeno una. L’incorruttibilità ricercata della santa reliquia è un atto di rivendicazione contro il ribrezzo, accennato appena prima, nei confronti del corporeo vecchio, in putrefazione. I reliquiari nei quali esse erano riposte sono, il più delle volte, vere e proprie opere d’arte (basti pensare alla parigina Sainte Chapelle, 1248). Di fatto, le reliquie invadevano l’intera Europa, vero e proprio merchandising del cristianesimo dell’epoca, il che facilitava, e non poco, l’esportazione e la diffusione dello stesso. Le offerte al reliquiario di Thomas Becket, per esempio, costituivano alla fine del XII secolo almeno la metà degli introiti annuali di Canterbury, e questa proporzione andò ancora aumentando [...]. Durante il Medioevo, in definitiva, divenne raro, per il corpo e per le ossa di un santo, trovarsi in un solo luogo. Almeno diciannove (a cura di), op. cit., pp. 126-138. 88 D’altronde - soprattutto per quanto riguarda l’Europa medievale - pochissimo si è conservato dell’infinità di novelle, fiabe e racconti popolari diffusi e tramandati, di cui nella letteratura giunta fino a noi non permane traccia. 89 La precisa etimologia rimane ancor oggi alquanto discussa. 90 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 195. 91 Di Walt Disney si veda la famosa The Skeleton Dance (1929), in Filmografia. 92 In particolare l’opera di Gaetano Orazio (n. 1954), La danza macabra (inizio 2000), esposta presso la chiesa abbaziale di Clusone, Bergamo. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
59
[08]
60
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
61
chiese, per esempio, affermavano di conservare la mascella di Giovanni Battista. [...] Egualmente abbondanti erano le reliquie dei santi minori: sei mani di sant’Adriano, diverse mammelle di sant’Agata. La lista è quasi infinita, e Collin de Plancy riempì facilmente tre volumi quando compilò il dizionario delle reliquie. [...] Nel caso della Vergine, le reliquie tendevano in genere a enfatizzare il suo carattere materno, nutritivo e domestico. [...] Nel caso di Gesù [...] alcune [...] ricordavano la figura di Gesù bambino. Altre [...] richiamavano gli episodi ricordati nei Vangeli.93
Buona parte del valore delle reliquie stava nella credenza comune dei loro effetti benefici nei confronti di chi o cosa stesse loro intorno. Queste parti di membra morte, parti di corpi, diventano, di fatto, oggetti devozionali, e mai più nella storia lo saranno con tale frequenza ed intensità. Pure il santo muore. E ci si fa devoti - per non morire! Nella Parigi, e più in generale nel nord della Francia dell’epoca, per continuare sulla scìa del discorso reliquiario, si diffuse enormemente la venerazione per gli evangelici Innocenti, ovvero i fanciulli che furono sgozzati da Erode al posto di Cristo: si possedevano innumerevoli reliquie dei bambini di Betlemme, e lo stesso cimitero parigino degli Innocenti era da tutti ambito per la sepoltura [08]. Ma, anche qui, era normale che ossa e resti fossero violati, disseppelliti e rivenduti come talismani, a rimpinguare le casse delle venti parrocchie cittadine che ne avevano il diritto d’uso e lasciare il posto a nuove inumazioni: I poveri e i ricchi vi giacevano gli uni accanto agli altri, naturalmente solo per poco tempo [...] e lo spazio era così disputato, che dopo un certo termine le ossa venivano dissotterrate e le pietre funerarie vendute: si credeva che in quella terra un cadavere si consumasse fino alle ossa entro nove giorni.94
Ma in quel luogo, a ribadire la familiarità medievale con la morte ed il macabro, “vi si davano persino delle feste: tanto ci si era familiarizzati con l’orribile”95. Anche di sopra alla morte si danza.
93 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 377, 378. 94 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 202. 95 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 203.
62
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03.6
Il Giudizio ai piedi del letto - MATTO, IL. [...] Il Matto si trova al di là di ogni ordine o sistema, così come il «centro» nella ruota delle trasformazioni si trova al di fuori del moto, del divenire e dei mutamenti. [...] Il colore [con il quale è rappresentato] rosso tende all’arancione [...]. Nelle cerimonie e nei riti di guarigione, sia il medico che il malato fanno i «matti», reagiscono con il delirio, il ballo e le «stravaganze» allo scopo di invertire l’ordine maligno in atto 96 ***
Intorno alla fine del Quattrocento avviene un cambiamento piuttosto curioso nel comune sentire nei riguardi della morte o, più precisamente, all'interno dell'ambito dell'Ars moriendi. Questo fenomeno - che, come si vedrà, si può definire a partire da due distinte novità dell'atteggiamento nei confronti del fine-vita - sarà utile per intuire quella sorta di transizione ch'è avvenuta tra i primi secoli del cristianesimo e la fine del Medioevo, e dappoi continuare durante l'epoca “rinascimentale” ed il Seicento. Durante i secoli dell'antichità e medievali, la morte era addomesticata anche per il fatto - oltre a quelli visti fino a qui - che la gente dell'epoca aveva una visione collettiva del destino: L'uomo di quei tempi era profondamente e immediatamente socializzato. La famiglia non interveniva per ritardare la socializzazione del bambino. D'altra parte, la socializzazione non separava l'uomo dalla sua natura, sulla quale egli non poteva influire, se non attraverso il miracolo. La familiarità con la morte è una forma di accettazione dell'ordine naturale, accettazione insieme ingenua nella vita quotidiana, e dotta nelle speculazioni astrologiche.97
In sostanza, con la sua morte l'uomo subiva il grande fardello della sua specie - che, inevitabilmente, prima o poi sarebbe giunto. E giunta l'ora di ognuno - con la Morte che t'avvisa -, nessuno immaginava di potervisi sottrarre: sarebbe stato come andare contro Natura, cioè contro Dio - ma a che scopo? Anche perché nel “cristianissimo” Medioevo tutti - collettivamente - si cre96 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 296. 97 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 34. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
63
deva al futuro Giudizio Universale98, al Dies illa (ch'è l'ultimo giorno del mondo alla fine dei tempi): così come arrivava l'ora della morte, sarebbe anche arrivata quella dell'eterna salvezza delle anime. Ed il punto della questione tocca proprio quest'argomento: quello della rappresentazione - e della credulità - del Giudizio Universale è un fedele specchio per parlare intorno alla variazione della concezione della morte avvenuta tra la fine del secolo XV e l'inizio del XVI. Un esempio di questa credenza pre-svolta quattrocentesca si ha presso la tomba del vescovo Agilberto (VII secolo): Il vescovo Agilbert è stato sotterrato nel 680 nella cappella funeraria che aveva fatto costruire [...] a Jouarre. Il suo sarcofago è sempre là. Che cosa ci vediamo? Su uno dei lati minori, il Cristo in gloria, circondato dai quattro evangelisti, cioè l'immagine - tratta dall'Apocalisse - del Cristo che ritorna alla fine dei tempi. [...] Non v'è né giudizio, né dannazione. [...] I morti che appartenevano alla Chiesa e le avevano affidato i loro corpi (cioè li avevano affidati ai santi99) si addormentavano come i sette dormienti di Efeso (pausantes, in somno pacis) e riposavano (requiescant) fino al giorno del secondo avvento, del grande ritorno, in cui si sarebbero risvegliati nella Gerusalemme celeste, cioè in Paradiso.100
Ed è esattamente questa l'immagine “escatologica” comune durante il primo Medioevo, ovvero durante i primi secoli di affermazione del cristianesimo. Il sonno della morte era, così come il riposo terreno, temporaneo, in attesa del Dies illa della fine dei tempi - questo riguarda tutti, assieme, e non l'individuo preso singolarmente. Ma passa mezzo millennio e le cose iniziano a cambiare: in alcuni bassorilievi dell'ornato delle chiese dell'epoca101 comincia a comparire, seppur ancora nella cornice delle vicende immaginifiche dell'Apocalisse, il Cristo Judex, giudicatore e sommo Giudice. Al suo fianco, schiere di arcangeli pesano le anime. Quello della fine dei tempi, quindi, pare non essere più il momento della paradisiaca, eterna, ma soprattutto comune Salvezza: al contrario, al Dies 98 Il discorso a venire spiega perché, con tutta probabilità, non ha senso parlare propriamente di giudizio prima dei cambiamenti intercorsi durante il tardo-Medioevo: durante il primo cristianesimo, infatti, il Dies illa sarebbe stato - per coloro che avevano creduto e professato - il giorno dell'indistinta e comune salvezza delle anime. La seconda discesa del Cristo avrebbe (ri)consegnato tutti al Paradiso perduto dall'alba dei tempi. 99 Quando muore Agilberto è già abbastanza diffusa la pratica di seppellire le salme dei defunti intorno alle chiese, dato che queste contengono le reliquie dei santi. Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi. 100 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 35. 101 Philippe Ariès porta come esempi le chiese di Beaulieu, Conques, Parigi, Bourges, Bordeaux ed Amiens. Si veda Ariès P. op. cit., p. 36.
64
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
illa si sarà tutti di fronte ad una serissima e magniloquente corte di giutizia. E ciò pare affermarsi nei tempi successivi del XII e XIII secolo: Nel XIII secolo, l'ispirazione apocalittica, l'evocazione del grande ritorno sono stati quasi cancellati. L'idea del giudizio ha avuto il sopravvento [...]. Il Cristo è assiso sul trono del giudice, circondato dalla sua corte (gli apostoli). Due azioni assumono una sempre maggiore importanza, la pesatura delle anime e l'intercessione della Vergine e di san Giovanni, in ginocchio, con le mani giunte, ai due lati del Cristo-giudice. Ogni uomo è giudicato secondo il bilancio della sua vita, le buone e le cattive azioni sono scrupolosamente separate sui due piatti della bilancia. Del resto, sono state già scritte su un libro. Nel magnifico clangore del Dies irae, gli autori francescani del XIII secolo fanno portare il libro davanti al giudice dell'ultimo giorno, un libro dove è racchiuso tutto quello secondo cui il mondo [ed ogni uomo] sarà giudicato.102
Se, dapprima, tale libro del giudizio è segnato dalle vicende dell'intero Creato, già nel Quattrocento comprenderà solamente le vicende individuali di ciascuno dei giudicati. Nel giro di ruota che intercorre tra la morte di Agilberto - così come anche prima - e gli ultimi decenni del Quattrocento, cambia radicalmente la visione del Dies illa - e quindi la visione che si ha del sonno della morte: prima un comune ritrovo avrebbe reso a tutti il Paradiso perduto; poi il Cristo si fa Judex ed esaminatore, e pretende che ognuno porti l'operato della specie in un libro; ed alla fine il Cristo esaminatore pretende in un libro - in vista dell'ultimo giorno dei tempi -, da ognuno, le sue proprie azioni terrene: e non l'umanità tutta è giudicata, ma ogni singolo individuo, sulla base del suo personale diario, liber vitae. Il Dies illa si trasforma in un esame - e si può essere bocciati. Il morire, di conseguenza, non può che farsi più serioso, ed allo stesso tempo ansioso, tragico. E la seconda, parziale, questione di questo cambiamento ha a che fare con l'ora della morte - quel momento in cui, da distesi, orizzontali, s'attende di spirare. A cambiare non è solo la natura (il come) dell'ultimo Giudizio, ma anche e soprattutto il suo tempo (il quando). Troviamo questa nuova iconografia in xilografie diffuse attraverso la stampa, in alcuni libri che sono dei trattati sull'arte di ben morire: le artes moriendi del XV e XVI secolo. Quest'iconografia ci riconduce quindi al modello tradizionale della morte nel proprio letto [...]. Il moribondo è a letto, circondato dai suoi amici e parenti. Sta eseguendo i riti che ben conosciamo. Ma succede qualcosa che turba 102 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 36-37. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
65
la semplicità della cerimonia e che i presenti non vedono, uno spettacolo riservato solo al morente, il quale del resto lo contempla con un po' d'inquietudine e molta indifferenza. Degli esseri soprannaturali hanno invaso la camera e si affollano al capezzale del «giacente». Da una parte la Trinità, la Vergine, tutta la corte celeste, e dall'altra Satana e l'esercito dei demoni mostruosi. La grande adunata che nel XII e XIII secolo aveva luogo alla fine dei tempi, nel secolo XV avviene ormai nella camera del malato. [...] C'è sempre il libro, e troppo spesso avviene che il Diavolo se ne approprii con un gesto di trionfo - perché i conti della biografia gli sono favorevoli. [...] Dio e la sua corte sono là per constatare come si comporterà il morente durante la prova che gli viene proposta prima di esalare l'ultimo respiro, e che determinerà la sua sorte nell'eternità. Questa prova consiste in un'ultima tentazione. Il moribondo rivedrà tutta la sua vita, quale è contenuta nel libro, e sarà tentato sia dalla disperazione per i suoi errori, sia dalla «vanagloria» delle sue buone azioni, sia dall'amore appassionato per gli esseri e le cose. Il suo atteggiamento, nel lampo di quell'attimo fugace, cancellerà di colpo i peccati di tutta la sua vita, se respinge la tentazione, o, al contrario, annullerà tutte le sue buone azioni, se vi cede. L'ultima prova ha sostituito il Giudizio Finale.103
Il Giudizio è un esame per cui abbiamo pena, e c'attende non alla fine dei tempi, ma tra i nostri cari al capezzale. Neanche il nostro liber vitae ci salverà: si deve ora esser prodi - e cristiani - soprattutto in punto di morte. Si tende, da questo momento in poi, ad una singolarità patetica della morte e della nostra “ultima ora” - che troverà il suo apice nella cultura romantica ed ottocentesca. Cristo Judex è ora arbitro - ed il Giudizio è un calcio di rigore all'ultimo minuto. In ultima analisi, tra Quattro- e Cinquecento alle pitture terrificanti delle macabre danze presso i luoghi funebri si aggiunge anche il continuo pensare all’ora della morte, al momento di sua precisa - e puntuale - incombenza. Perdura la condizione di perpetuo memento mori, ch’è la prima delle cosiddette Quattro cose ultime dell’uomo di fede, le Quattuor hominum novissima: esse sono la morte, appunto, il giudizio finale, l’inferno e il paradiso. Strettamente collegata al tema delle Quattro cose ultime è la Ars moriendi, creazione del secolo XV, che, propagata come la Danza macabra, dalla stampa e dalle incisioni in legno, ebbe un’influenza più vasta di qualunque idea religiosa precedente. Essa tratta delle tentazioni, cinque di numero, con le quali il diavolo insidia il moribondo: il dubbio sulla fede, la disperazione per i peccati, l’attaccamento ai beni terreni, la disperazione per le proprie sofferenze e [...] l’orgoglio per le proprie
103 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 38, 39.
66
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
virtù.104
Davvero emblematico di quest’epoca è anche il passaggio o trasmutazione che avviene intorno alla figura del moribondo, il Diverso-escluso o, più appropriatamente, colui il quale è il mortifero (lett.: “portatore di morte”) nel corso dell’esistenza terrena. Durante i secoli precedenti era stato il lebbroso l’emarginato per eccellenza, il recluso, uomo mortalmente corrotto, seppur ancora in vita. Alla fine del Medioevo invece, praticamente debellata la malattia della lebbra dal mondo occidentale105, la figura del lebbroso scompare - si intenda: scompare soprattutto dal punto di vista sociale e della “quotidianità”, in quanto il morbo non è debellato completamente in quei decenni -, ed il suo ruolo viene assunto dal folle106. La quarantena è, ora - ed il parallelismo è interessante -, la condizione permanente degli “insensati”, dei pazzi, che non per un periodo solamente, ma per tutta la vita occupano la soglia, di tempo in tempo muovendosi lungo i percorsi fluviali rimanendo alle porte delle città, mai oltre107. Vivi, ma come sospesi tra il mondo dei vivi e quello dei morti, in una posizione ambivalente [09]. Durante il Medioevo - semplificando - si potrebbe affermare che erano stati la lebbra ed il lebbroso ad incarnare il senso della morte e l’angoscia nei suoi confronti: ora invece questo ruolo viene assunto dal folle. Ma quest’ultimo è molto meno serio del lebbroso - è il joker -, viene deriso, e con lui la morte; la derisione del folle prende il posto della morte - “medievalmente” intesa - con tutta la sua serietà, purché esorcizzata tramite la danza. La fascinazione che il Rinascimento prova nei riguardi del folle si fonda esattamente su questa ambiguità, su questa triste risata nei confronti del pazzo, nuovo mortifero, “rispettato-ma-escluso” dalla vita associata. Angosciati, si deride la morte.
104 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 200. 105 La diffusione della lebbra (malattia oggi denominata Morbo di Hansen) nell’Europa continentale si ridusse drasticamente durante il corso del XV secolo: fino ad allora, a partire dal XIII secolo quando era molto probabilmente stata importata a seguito delle Crociate, aveva mietuto migliaia di vittime, dando vita ai “lebbrosari” - o lazzaretti -, vere e proprie comunità di reclusione per lebbrosi (oltre che appestati). 106 Si veda Foucault M., Storia della follia nell’età classica, 1961. 107 Queste persone vivevano sulle cosiddette “navi dei folli”, imbarcazioni di quarantena a vita per le figure dei “pazzi”, rispettati ma allo stesso tempo scartati dalla comunità. Fino al Seicento saranno esclusi “dinamici”, in movimento - sulle navi -, poi reclusi “statici”, rinchiusi negli ospedali e nei manicomi. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
67
[09]
68
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03.7
La morte di sé108 - GIUDIZIO, IL. [...] L'immagine rappresenta la resurrezione dei morti nella valle di Giosafat, sulla quale l'angelo dell'Apocalisse suona la sua tromba. [...] L'angelo, con la sua luce e con il suono della sua tromba (immagine solare), «risveglia» l'anelito di resurrezione sopito nell'uomo dopo la caduta nell'inautentico 109 ***
Riassumendo ai minimi termini - ma per nulla improbabili - la questione del “discorso intorno al rapporto tra l'Uomo e la Morte” portato avanti sin qui, si può qui - a metà via nel capitolo - affermare che: [...] Abbiamo illustrato due atteggiamenti davanti alla morte. Il primo, che è insieme il più antico, il più duraturo e il più comune, è la familiare rassegnazione al destino comune della specie, e può riassumersi in questa formula: Et moriemur, moriremo tutti. Il secondo, che appare nel XII secolo, esprime l'importanza attribuita in tutta l'età moderna alla propria esistenza individuale, e può tradursi in quest'altra formula: la morte di sé.110
Infatti, tra le righe del discorso in merito a quell'avvicinamento - sempre più repentino - tra il Dies illa del Giudizio ultimo e l'ora della morte, si è visto come la personale biografia venga ad assumere la sua rilevanza in tempo di morte: ogni liber vitae è personalissimo - e viene giudicato. La singolarità di ogni sé sale in cattedra; un maggiore individualismo (con-)cresce in parallelo a queste mutazioni del sentire diffuso. Il momento della morte viene sempre maggiormente visto, nel lungo periodo che porta dal XIV al XVIII secolo, come un'interruzione poco comoda alle vicende della vita: morire è qualcosa che non va bene affatto - in quanto in vita non c'è stato abbastanza tempo per essere adeguatamente fortunati, fedeli, cristiani. Per (non) essere, in maniera completa ed esaustiva, nulla. La morte interrompe le ore della vita nella quale si stava facendo di tutto 108 Anche il titolo, solo in questo caso, è stato ripreso da uno dei quattro fondamentali capitoli dell'opera di Ariès: questo in quanto, a mio gusto, la sua narrazione è davvero formidabile e penetrante, quasi avvincente, soprattutto per quanto riguarda il comune sentire nei confronti della morte durante il periodo del Medioevo. 109 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 229-230. 110 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 50. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
69
per salvarsi - e godere, e piacere. Oggi non mettiamo in rapporto il nostro scacco vitale e la nostra mortalità umana. La certezza della morte, la fragilità della nostra vita sono estranee al nostro pessimismo esistenziale. Invece, l'uomo della fine del Medioevo aveva la consapevolezza acutissima di essere un morto a breve scadenza, e la morte, sempre presente dentro di lui, infrangeva le sue ambizioni, avvelenava i suoi piaceri. E quest'uomo nutriva una passione per la vita che oggi possiamo a stento comprendere, forse perché la nostra vita è diventata più lunga [...]. Quest'uomo provava un amore irragionevole, viscerale, per i temporalia, e per temporalia s'intendevano, insieme e mescolati, le cose, gli uomini, i cavalli e i cani.111
Un individualismo in qualche modo religiosissimo-e-materialista assieme, che si scopre - anzi, che si ri-scopre, dato che non era tipico dei secoli appena precedenti (ovvero quelli del primo cristianesimo europeo) ma lo era stato durante l'antichità classica - anche e soprattutto nel momento del perire. Qui cogliamo questo cambiamento nello specchio della morte: speculum mortis, potremmo dire nello stile degli autori del tempo. Nello specchio della propria morte, ogni uomo riscopriva il segreto della sua individualità. E questo rapporto, che l'antichità greco-romana e più particolarmente l'epicureismo112 avevano intravveduto, [...] poi s'era perduto.113
In ultima istanza, il secolo del Seicento e la prima fase del successivo sono quelli che Michel Foucault definisce come periodo del “grande internamento”114. L’internamento diventa la condizione peculiare per diverse figure s-ragionate, dissennate, considerate come vero e proprio pericolo per l’ordine pubblico: in primis i diseredati ed i poveri, gli ammalati ed insensati, i pazzi. La speculazione portata avanti dal filosofo francese sarà molto utile anche per inquadrare la situazione del rapporto tra uomo e morte durante tale lasso temporale.
111 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 44. 112 La dottrina epicurea si rifà - in senso stretto - al pensiero del greco Epicuro (341-270 a.C.), così come - in senso lato - a quella dei suoi “seguaci” (d'ogni tempo e d'ogni dove), che seguirono ed ampliarono i suoi precetti. L'epicureismo è, in un certo grado, ravvisabile come una filosofia d'impianto materialista: lo stesso Epicuro riteneva che «è vano il discorso di quel filosofo che non curi qualche male dell'animo umano». 113 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 49. 114 Si veda Foucault M., op. cit., 1961.
70
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03.8
Eros - FALCE. Attributo di Saturno e delle allegorie della morte. [...] in alcune immagini [...] non è la grande falce dell’agricoltore ma una corta spada ricurva chimata ‘hárpe’. Tutte le armi curve sono lunari e femminili, mentre quelle diritte sono solari e maschili. La linea retta è penetrazione e impulso, la linea curva è strada, passività. Per questo la ‘hárpe’ è stata associata alla “via indiretta”, al cammino segreto verso l’oltremondo. [...] La falce è anche simbolo del raccolto, della speranza di rinascita [...] la dualità del principio come fine e viceversa 115 ***
Durante il Settecento - ch'è secolo di fondamentale rilevanza non solo per quanto riguarda i “Lumi”, ma evidentemente anche per il macabro e “l’oscuro” - avviene una notevole svolta nel comune sentire nei confronti della morte: si può affermare che una caratteristica in particolare, che accompagnava già da qualche secolo il mondo del macabro, prenda il sopravvento sulle altre, e vi si imponga. A mio parziale modo di vedere ciò avviene a causa - “causalità” che è concetto da prendere sempre con i dovuti riguardi quando si parla di vicende storiche116 - delle variate condizioni al contorno: similmente a come dal principio accade, la continuamente mutante società ricalca, riprende o distorce tematiche da sempre presenti all’interno dell’umano convivere. Per il caso in questione, riparto dalle premesse che giustamente nota lo stesso Ariès: Nelle danze macabre più antiche, era già molto se la morte toccava il vivo per avvertirlo e designarlo. Nella nuova iconografia del XVI secolo, innumerevoli scene o motivi, nell’arte e nella letteratura, associano la morte all’amore, Thanatos e Eros: temi erotico-macabri, o temi semplicemente morbosi, che testimoniano un estremo compiacimento agli spettacoli della morte, della sofferenza, dei supplizi. Carnefici nudi, di taglia atletica, strappano la pelle a san Bartolomeo. Quando il Bernini rappresenta l’unione mistica fra santa Teresa e Dio [10], avvicina incon-
115 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 201. 116 “La storia non striscia, salta” (tratto da Taleb N.N., Il Cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano, 2014 (2007), p. 33). 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
71
sciamente117 le immagini dell’agonia e quelle della transe amorosa. Il teatro barocco colloca i suoi innamorati nelle tombe, come quella dei Capuleti. La letteratura nera del XVIII secolo unisce il giovane monaco alla bella morta che sta vegliando.118
Durante l’antichità, nel Medioevo e fino al Cinquecento, in sostanza, la figurazione della morte non è per nulla fisica: l’allegoria della morte non tocca l’uomo. Da lì in poi, invece - dove il riferimento al Bernini ed al teatro barocco vuole rimandare al corso del Seicento e alle variazioni del gusto durante quest’epoca -, questa si fa sempre più carnale, viscerale, appunto fisica, prende a toccare il corpo dell’uomo. Se dapprima, quindi, la falce della Morte non sfiora il corpo dell’uomo, in particolar modo da metà Seicento in poi questa si avventa corporalmente sulla persona la cui ora è giunta - l’Ivan Il’ič tolstojano di fine Ottocento119 sarà il culmine di questo graduale, corporeo avvicinamento. Ebbene, questa acquisita nuova corporeità della figurazione ideale della morte, avvicina tale ambito macabro alla ben più felice - ma allo stesso modo eminentemente corporale - sfera sessuale. Thanatos (re-)incontra Eros120. Tale cambiamento, già, quindi, in atto, si fa molto vivo e potente so117 In questo passaggio non concordo pienamente con Ariès, semplicemente per il fatto che dipingendo la scelta artistica del Bernini come (forse) “inconsapevole” indebolisce la sua stessa narrazione presentata nel testo. Esagerando, supponessimo tutto come (forse) “inconsapevole”, non potremmo scrivere nulla riguardo alla presunta storicità di qualsiasi tema. 118 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 51. 119 Si veda Capitolo 03.10 Flambeau, tombeau. 120 Binomio particolarmente ricorrente nella storia della filosofia e della psicologia contemporanee. La vicinanza tra Eros e Thanatos è stata approfondita da Sigmund Freud (1856-1939) ad inizio Novecento, resa nota nel testo Al di là del principio di piacere (1920): è pur sempre egli stesso ad ammettere la concordanza quasi totale - benché aggiornata - del suo dualismo con quello del pre-socratico Empedocle (V secolo a.C.). Negli anni Sessanta del secolo scorso, anche Michel Foucault (1926-1984), in chiave differente, conferma questa associazione: “Bisognerebbe forse anche dire che fare l’amore è sentire il proprio corpo richiudersi su di sé [...]. L’amore, anche l’amore, come lo specchio e come la morte, placa l’utopia del vostro corpo, la fa tacere, la calma, l’imprigiona come in una scatola, la chiude e la sigilla. È per questo che l’amore è un parente così stretto dell’illusione dello specchio e della minaccia della morte” (tratto da Foucault M., Utopie, eterotopie, Cronopio, Napoli, 2020 (1966), edizione a cura di Moscati A., p. 45). Più recentemente anche Byung-Chul Han sottolinea la vicinanza dei due ambiti, e come Freud la riconduce all’antichità: [Commentando il Simposio di Platone] “Il cinghiale, che con le sue zanne ha ucciso [morte] il bel fanciullo Adone, incarna un erotismo [sessualità] che si esprime come follia ed eccesso. [...] L’amore è, per Ficino [neo-platonico del Quattrocento], la “peggiore di tutte le calamità”; è una “metamorfosi” che “spoglia l’uomo della sua propria natura e gli presenta quella estranea”. Questa metamorfosi e questo ferimento determinano la negatività dell’amore [cosa che lo associa alla “estrema negatività” della morte], che oggi va completamente perduta per la crescente positivizzazione e l’addomesticamento dell’amore” (tratto da Han B.-C., Eros in agonia, Nottetempo, Milano, 2019 (2012), pp. 39, 40-41).
72
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[10]
03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
73
prattutto agli albori e durante tutto il Settecento, quando incontra il mutare sociale dell’epoca: il “ragionevole” secolo dei “Lumi” sembra mettere al bando - senza rifiutarle ma condannadole come depravate e confacentesi alla sfera dell’irrazionale - proprio le due “carnali sorelle”, sessualità e morte, concepite sempre più oramai come trasgressione alla razionale vita di tutti i giorni, come momenti di completa estraneazione e rottura rispetto alla norma. Spingendoci per un attimo oltre il tempo: Questa nozione di rottura è nata e si è sviluppata nel mondo dei fantasmi erotici. Passerà poi nel mondo dei fatti reali ed effettuali. Beninteso, perderà allora i suoi caratteri erotici, o perlomeno questi saranno sublimati e ridotti nella Bellezza. Il morto non sarà desiderabile, come nei romanzi neri, ma sarà ammirevole per la sua bellezza: è la morte [...] romantica, di Lamartine [1790-1869] in Francia, della famiglia Brönte in Inghilterra, di Mark Twain [1835-1910] in America. [...] Negli anni intorno al 1840, una famiglia francese, i La Ferronays, fu decimata dalla tubercolosi. Una sopravvissuta, Pauline Craven, ha pubblicato i diari intimi e la corrispondenza dei suoi fratelli, sorelle e parenti, che sono per la maggior parte racconti di malattie, di agonie e di morti, e riflessioni sulla morte. [...] Ci si accorge subito che qualcosa è cambiato. [...] Certo, l'espressione del dolore dei sopravvissuti è dovuta a un'intolleranza nuova per la separazione. Ma il turbamento non sopravviene solo al capezzale degli agonizzanti o al ricordo degli scomparsi. La sola idea della morte commuove. Una piccola La Ferronays, una «teenager» dell'epoca romantica, scriveva con la massima naturalezza pensieri di questo genere: «Morire è una ricompensa, perché si va in paradiso [...]. L'idea prediletta di tutta la mia vita [di bambina è] la morte, che mi ha sempre fatto sorridere [...]. Nulla ha mai potuto render lugubre per me la parola morte». [...] Si sarebbe tentati di spiegare quest'empito di affettività macabra con la religione, la religione emotiva del cattolicesimo romantico e del pietismo, del metodismo protestante. Certo, la religione non gli è estranea, ma il fascino morboso della morte esprime, sotto una forma religiosa, la sublimazione dei fantasmi erotico-macabri del periodo precedente.121
Morte e sessualità si fanno concepire, ora, come fatti eccezionali, a pensarci bene cosa alquanto particolare, come si può dedurre dai capitoli precedenti: prima di questo momento storico la continuamente mutata concezione della morte non intaccava però quella sorta di familiarità di fondo che le persone intrattenevano con essa e con i defunti. È vero che, come dicevamo, all’incirca dal XII secolo la morte si appresta ad essere un avvenimento più importante, più sottolineato di quanto lo fosse stato precedentemente, ma non era diventata carnalmente paurosa, ossessionante né tantomeno travolgente come Eros, proprio perché inscalfibilmente all’or121 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 52, 53, 54.
74
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
dine del giorno. “Come l’atto sessuale nel marchese de Sade, la morte è [ora] una rottura”122. Odi et amo. Ossimorico “stupendo terrore”: è di fatto questo il grande cambiamento che sfocerà, successivamente, nel sentire romantico nei confronti della morte, tra fine Settecento ed Ottocento123.
03.9
Bichat, o di colui che rischia la morte - CADUCEO. Verga con due serpenti intrecciati, che reca nella parte superiore due piccole ali o un elmo alato. La sua origine è spiegata [...] narrativamente con il presunto intervento di Mercurio per separare due serpenti in lotta. Per i Romani il caduceo era simbolo dell’equilibrio e della rettitudine [...] in Mesopotamia i due serpenti intrecciati erano già simbolo del dio della guarigione, attributo passato poi al dio greco della medicina per giungere fino agli emblemi dei nostri giorni. [...] Esprime sempre l’idea di equilibrio attivo, di due forze opposte che si controbilanciano per creare una superiore forma statica 124 ***
A cavallo tra XVIII e XIX secolo, la foucaultiana follia ritorna in auge: autori come il marchese De Sade, Friedrich Hölderlin e Francisco Goya sono libere ed audaci voci rispetto al periodo di “grande internamento” precedente, autori che trovano la loro fiamma ardente nella forza liberatoria della “non-ragione”, nel campo che si può intendere dell’irrazionale, della provocazione, del mistero e della sessualità. Quasi profeti di cose non dette. 122 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 51. 123 In realtà, come per tutti gli appuntamenti nella storia, non c’è un orario preciso. Affinità e parziale connubio tra Eros e Thanatos o, più precisamente in merito all’arma usata, tra Cupido e la Morte, si possono ravvisare già dagli albori della raffigurazione della danza macabra tardo-medievale: come nel Trionfo della Morte (di autore ignoto, 1446) esposto a Palazzo Abatellis di Palermo, questa scocca “cupidianamente” delle frecce. La falce l’ha pur sempre con sé, ma non la usa. 124 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 122, 123. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
75
Ma l’Ottocento è anche, sempre riprendendo Foucault, il periodo della “grande medicalizzazione”. Periodo nuovissimo, scosso dalle fondamenta, per la medicina: giunge “l’epoca di Bichat”125, che porta ad anni di rifondazione metodologica. Sono decenni in cui il cadavere, lo stato del corpo morto [è] visto non più come la semplice negazione della vita ma, al contrario, come la condizione che permette di vedere chiaro nella dimensione del vivente.126
È da quel periodo che, in una concezione tutta contemporanea, la morte - come condizione medica - diventa uno strumento incredibilmente utile, e l’unico veramente affidabile, per lo studio del vivente. Per il tramite del morto - il suo corpo -, si intende la vita. Ad ogni modo, il sentimento romantico di primo Ottocento ha contribuito a trasformare la società occidentale portandola ai valori affettivi del singolo individuo127, nei suoi propri confronti e della sua famiglia, che sono oggi all’ordine del giorno, e che hanno portato alle inibizioni attuali nei confronti della morte e del macabro. Ma a fine Settecento, in Italia, - per certi versi in maniera che ricorda la tardo-medievale ironia - la morte è anche, ed ancora, Macabro ridens128, e la si esorcizza facendosene beffe (il gusto cosiddetto del “macabro ridanciano” farà parte soprattutto, nella Penisola, del gusto settecentesco di zona bergamasca e siciliana129). [11] L’inizio dell’Ottocento è poi, nella filosofia, il periodo di Friedrich Hegel (1770-1831) e delle sue teorie, nelle quali la morte ha ancora un carattere “simil-platonico” (che sarà poi proprio anche di Martin Heidegger), denotata però da un sentimento eroico130 - d’altronde parla di “liberazione” 125 Marie François Xavier Bichat (1771-1802) fu uno dei padri fondatori della moderna istologia, branca della medicina che si occupa dello studio dei tessuti, cosa assolutamente rivoluzionaria per l’epoca. Si veda Foucault M., Nascita della clinica, 1963. 126 Tratto da Catucci S., Introduzione a Foucault, Laterza, Bari-Roma, 2019 (2000), p. 50. 127 Questione dell’individualità su cui si sofferma il filosofo Edgar Morin in un suo testo in particolare, L’uomo e la morte (1951). 128 “Macabro ridens” è il nome del ciclo di dipinti presso l’abside della chiesa di Santa Grata Inter Vites a Bergamo, fuori porta Sant’Alessandro, realizzati da Paolo Vincenzo Bonomini (1757-1839) nel 1797, anche intitolato più semplicemente Scene di scheletri viventi. 129 Come avrà modo di dire Philippe Daverio, “il siciliano è di per sé barocco, macabro e pasticcere” (si veda Daverio P., Passepartout - La danza macabra, in Videografia). 130 Tale sentimento eroico, che potrebbe definirsi anche “serioso”, nei confronti della morte da parte della tradizione tedesca, in particolare dall’Ottocento in poi, è molto distante ad esempio
76
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[11]
03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
77
- di fondo che perdurerà, soprattutto in ambito germanico, fino a metà Novecento131. [Parafrasando il discorso hegeliano:] La morte dirige il finito verso il fondo: nella morte il singolo si libera della propria finitezza e si avvicina al proprio fondamento infinito. Il paradigma platonico della morte determina la stessa comprensione hegeliana della morte. La morte annuncia l’infinito: “Il finito è determinato come il negativo, e deve liberarsi di sé; la prima liberazione del finito dalla sua finitezza è la morte”.132
Anche per Hegel, così come per Fichte (1762-1814), la morte possiede una sorta di potere salvifico, perlomeno catartico, riguardo alla vita ed al fare filosofia. È un punto di inizio - e non terminale -, nella vita come all’interno della sua filosofia. Pur di molti secoli successiva, la filosofia di Hegel è permeata, per quanto riguarda il nostro tema, da un alone d’aspirazione all’infinito che si può far risalire alle vicende letterarie di Meister Eckhart (1260-1328): A dispetto di una certa prossimità, la “grande morte” [ch’è quella buddhista, a cui Han fa riferimento] si differenzia dalla mors mystica [quella a cui vogliono condurre gli insegnamenti di Meister Eckhart]. Eckhart insegna, è vero, che nella morte “ogni desiderio” dell’anima svanisce. Ma, su un piano più elevato, il desiderio dell’anima si ripresenta: il “morire in Dio” è animato da un’aspirazione all’infinito. Nella “morte divina” l’anima si fonde interamente con Dio, dove “nulla muore”.133
Tutto il discorso intorno alla dialettica (“hegeliana”, appunto) che vede contrapposti servo e padrone si fonda sul “pensiero di morte”: colui che - in un’accezione che quasi ricorda alcuni passi del Bushido134 - non teme la morte diventa padrone, è colui che riesce a sottomettere il servo che invece non riesce ad andare oltre alla nuda vita135 timorosa della morte. dalla concezione buddhista - che rientra in quel “grado zero della filosofia” hegeliano - che, come insegnano molti kōan, di fronte alla morte ride, e non rimane per nulla “seriosa”. “All’opposto della grande morte del buddhismo zen, in cui ci si risveglia a un’assenza del sé, in Hegel il rischio di morte è legato a quell’autocoscienza enfatica che esclude interamente l’altro. L’io eroico non ride” (tratto da Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, cit., p. 137). 131 Si veda Capitolo 03.11 “La Terre et les Morts”. 132 Tratto da Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, cit., p. 116. 133 Tratto da Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, cit., pp. 122-123. 134 I samurai giapponesi come coloro “padroni” in Hegel: penso che il paragone non sia poi così azzardato. Si veda Capitolo 02.3 Qualcosa in comune. 135 Il termine nuda vita è in questa sede ripreso all’interno dei confini tracciati da Giorgio Agamben (si veda Agamben G., Homo sacer, 1995-2015), per il quale è mera sopravvivenza biologica della persona, priva di alcuno scopo o motivazione che riguardano invece la vera vita. Una vita nuda, cioè
78
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
La negatività della morte è indispensabile alla vera vita: Hegel stesso afferma che è vivente solo quell’ente che accoglie in sé la contraddizione - ovvero positività e negatività assieme -: una vita puramente positiva, e cioè costantemente preoccupata di morire, è quella dello schiavo136. Il padrone è invece costantemente occupato di morire, disposto a farlo - e così non se ne preoccupa. In equilibrio su questi presupposti, è tutto il discorso hegeliano rammemore del tema della mortalità e del suo approccio ad essa, poiché dalla dialettica fondamentale servo-padrone ne va del discorso hegeliano, ad esempio, sul lavoro, sull’ozio e sull’arte: Chi non è libero di fronte alla morte, non rischia la vita. Invece di “esporre se stesso alla morte”, continua ad “arrestarsi per se stesso al di qua della morte”. Non rischia la morte: per questo diviene servo e lavora. [...] Lavoro e nuda vita sono strettamente correlati. [...] La “vita dello spirito” non è, per Hegel, la nuda vita, “che si riempie d’orrore dinanzi alla morte e si preserva integra dal disfacimento”, ma è la vita “che sopporta la morte e si mantiene in essa”. Lo spirito deve la sua vitalità [contrapposta - si potrebbe dire - ad una più generica vivezza del corpo] proprio alla capacità di morire.137
Anche il discorso di Hegel quindi è, alla sua base, intriso della riflessione o “discorso intorno alla morte” - e quindi buona parte della filosofia, soprattutto continentale, del secolo successivo. Padrone è colui che rischia la morte.
03.10 Flambeau, tombeau - FIAMMA. La fiamma e la luce hanno alcuni punti di contatto quanto al significato. Secondo Bachelard la fiamma simboleggia la trascendenza in sé, e la luce allude all'effetto su quanto la circonda. [...] Dal canto suo Jung ricorda che «i Greci rappresentarono l'anima umana come un soffio
spogliata di ciò che dovrebbe contraddistinguerla e resa puro corpo, sola carne. 136 Il discorso si può intrecciare, in parte, con quello di Étienne De La Boétie, nel suo celebre Discorso della servitù volontaria. 137 Tratto da Han B.-C., Eros in agonia, cit., pp. 42-43, 49. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
79
d'aria incandescente» 138 *** Il XIX secolo - assieme con la prima parte del successivo - è caratterizzato da una grande riservatezza - così la si potrebbe definire - in ambito sessuale: persiste un certo puritanesimo di fondo anche da parte degli studiosi, di fatto molto più evidente rispetto ai colleghi scrittori dei secoli XVIII e XVII. Basti pensare al fatto che, fino ad un secolo fa all’incirca, se non da parte di studiosi maggiormente coraggiosi e “trasgressivi”, le traduzioni delle parti a carattere eminentemente sessuale e maggiormente carnale dei testi antichi venivano rese - e quindi talvolta lasciate - in latino139, e non nella lingua effettiva della traduzione, indirettamente scostandosene ed affermando: “Fa(ci)te vobis”. Del lettore la traduzione e del lettore il peccare. Il sesso diventa tabù. Ma il fascino sensuale - anche se forse non più erotico - nei confronti della morte continua. In ambito letterario, Charles Baudelaire prende il posto di De Sade e, nell’Inno alla bellezza, all’interno dei Fiori del male (1857), “fa rimare” la bellezza (beau) con la morte (flam-beau, tom-beau) ed il fascino delle stelle (des astres) con il dis-astro (désastres): XXI. Hymne à la beauté140 Viens-tu du ciel profond ou sors-tu de l’abîme, O Beauté? ton regard, infernal et divin, Verse confusément le bienfait et le crime, Et l’on peut pour cela te comparer au vin. [...] Sors-tu du gouffre noir ou descends-tu des astres? Le Destin charmé suit tes jupons comme un chien; Tu sèmes au hasard la joie et les désastres, Et tu gouvernes tout et ne réponds de rien. [...]
138 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 205. 139 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 204. 140 Esercizio di analisi ripreso da Han B.-C., La salvezza del bello, Nottetempo, Milano, 2019 (2015), pp. 52, 54-55. La traduzione italiana proposta sotto alla francese non rende il gioco di parole del poeta - soprattutto quello tra flambeau e tombeau -, ma l’ho intesa utile ad interpretare le strofe per meglio comprendere la versione originale. La nota immagine letteraria della farfalla attirata dalla mortale fiamma si ritrova anche nel Canzoniere di Francesco Petrarca, opera della metà del XIV secolo.
80
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
L’éphémère ébloui vole vers toi, chandelle, Crépite, flambe et dit: Bénissons ce flambeau! L’amoureux pantelant incliné sur sa belle A l’air d’un moribond caressant son tombeau. [...] --XXI. Inno alla bellezza Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso, Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale, dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine, ed in questo puoi essere paragonata al vino. [...] Esci dal nero baratro o discendi dagli astri? Il Destino irretito segue la tua gonna come un cane; semini a caso gioia e disastri, e governi ogni cosa e di nulla rispondi. [...] Verso di te, candela, la falena abbagliata crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma! L’innamorato ansante piegato sull’amata pare un moribondo che accarezza la tomba. [...]
Il lato fascinoso - e bello - della morte sta tutto lì, nella parola beau, che v’è in flam-beau (che altro non è che la tomba della falena, dalla cui luce essa è fatalmente attratta) ed in tom-beau, quasi come un’ultima forma di bellezza provenisse dai nostri sepolcri, dal nostro morire. Flambeau, tombeau. Beau. Come in De Sade, però, anche in Baudelaire permane la carne: nei Fiori del male la morte - nella sua veste di fisico deperimento - è spudoratamente caromorfa, anche se non definibile come erotica. È la “tremenda Natura” che si reimpossessa dei corpi, condannandoli - di nuovo - alla terra: XXIX. Una carogna141 [...] E pure voi assomiglierete a quella sozzura, a quell’orribile infezione, stella de’ miei occhi, sole de la mia vita, voi, mio angelo e mia passione! 141 Parte finale del Canto XXIX tratto da Baudelaire C., I fiori del male, 1857. Si offre qui direttamente la traduzione italiana dei testi in quanto, differentemente dal brano precedente, ci si vuole soffermare più sul contenuto della poesia che sulla sua forma. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
81
Sì! Tale sarete, o regina delle grazie, dopo gli ultimi sacramenti, quando andrete, sotto l’erba e le fioriture grasse, ad ammuffire fra li ossami. Allora, o mia bellezza! Dite agl’insetti schifosi che vi mangeranno di baci, che io ho serbato la forma e l’essenza divina de’ miei decomposti amori!
O, ancora, in una visione della morte e del corpo molto essenziale - nelle cui parole si può ravvisare un che di molto simile a ciò detto da Milizia “il Cinico”142 -, realista ma allo stesso tempo armoniosa: LXXII. Il morto allegro143 In una terra grassa e piena di lumache voglio scavarmi una fossa profonda144 in cui possa a tutto mio agio adagiare le mie vecchie ossa e dormire ne l’oblio come uno squalo ne l’onda. Odio i testamenti e odio le tombe; piuttosto che implorare una lacrima dal mondo, preferirei, me vivo, invitare i corvi a salassare tutte le estremità de l’immonda mia carcassa. O vermi! Neri compagni senza orecchie e senza occhi, guardate venire a voi un morto libero ed allegro! Filosofi gaudenti, figli della putrefazione, passate dunque senza rimorsi attraverso la mia ruina, e ditemi se v’è ancora qualche tortura per questo vecchio corpo senz’anima e morto fra i morti!
Anche spostandoci nella “cristianissima”145 Russia dell’epoca, quella tratteggiata da autori come Tolstoj, l’Ottocento è il secolo del cordoglio casalingo familiare intorno al letto del morente146, fatto di pianti e benedizioni: La morte nel proprio letto, come avveniva una volta, aveva la solennità, ma anche la banalità delle cerimonie stagionali. Tutti se l'aspettavano e si prestavano ai riti previsti dalla consuetudine. Invece, nel XIX secolo, una passione nuova s'è im142 Si veda Capitolo 05.8 Il Cinico “oltre i Lumi”. 143 Canto LXXII tratto da Baudelaire C., op. cit. 144 Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 145 Cristianissimo è aggettivo virgolettato perché in parte eufemistico. “Quando si fu soffiata il naso [la vedova], disse: «Credete...», e lei riprese a parlare e così venne fuori quella che doveva essere la ragione principale per cui l’aveva chiamato; si trattava di questo: come ottener quattrini dal fisco in occasione della morte del marito” (tratto da La morte di Ivan Il’ič, in Tolstoj L.N., La morte di Ivan Il’ič, Tre morti e altri racconti, Adelphi, Milano, 2021 (risp. 1886 e 1858), p. 19). 146 Si veda Capitolo 03.6 Il Giudizio ai piedi del letto.
82
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
padronita degli astanti. L'emozione li agita, piangono, pregano, gesticolano. Non rifiutano i gesti dettati dall'uso, al contrario, ma li compiono privandoli del loro carattere banale e consueto. Oramai questi gesti sono descritti come se fossero inventati per la prima volta, spontanei, ispirati da un appassionato dolore, unico nel suo genere. [...] Ma è cambiato soprattutto l'atteggiamento degli astanti. Se il moribondo ha conservato la parte principale, gli astanti non sono più le semplici comparse di una volta, passivi, che si rifugiano nella preghiera [...]. Nel XIX secolo [...] il lutto si è dispiegato con ostentazione oltre il consueto. Ha pure preteso di non obbedire a un obbligo mondano, e di essere l'espressione più spontanea e più incoercibile di una gravissima ferita: si piange, si sviene, si langue, si digiuna, come un tempo i compagni di Orlando o di Lancillotto. È come un ritorno alle dimostrazioni eccessive e spontanee - almeno in apparenza - dell'alto Medioevo, dopo sette secoli di sobrietà.147
Gli astanti sono agitati, fremono, adoperano le mani: in una sorta di complessiva situazione isterica148 - come avrà da affermare la prima psicologia tra la fine di quel secolo e l'inizio del successivo -; un'esagerazione che, a quanto pare, nasce per la sempre minore accettazione della morte dell'Altro. Ma, in modo particolare, è questa la stagione di una morte che il compianto sente fisicamente sopravvenire149, non si sbaglia ad indovinare, quasi fosse lì e si vedesse, di fianco ai tristi astanti. Ed al suo fisico150 arrivo, in un personaggio non abituato all’idea come quello di Ivan Il’ič151, v’è disperazione, angoscia, e volontà di sfuggirle, di evitarla: Ivan Il’ič vedeva che stava morendo ed era in preda a una continua disperazione. In fondo all’anima sapeva che stava morendo, però non soltanto non s’era abituato a questa idea, ma non capiva neppure, in nessun modo poteva capire una
147 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 53, 57-58. 148 Isteria è termine che deriva dal greco ystera (o ustera), lett.: “utero” (in quanto forma patologica in prima battuta associata unicamente al sesso femminile). 149 “«Mi fa male tutto. È venuta la morte, ecco che cos’è». [...] La magra mano coperta di peli rossigni che pendeva dalla stufa era fredda e cerea” (tratto dal Racconto II di Tre morti, in Tolstoj L.N., op. cit., pp. 93, 94). 150 In La morte di Ivan Il’ič, la morte sembra insinuarsi a poco a poco nel corpo del protagonista a partire da una fortuita contusione, un nonnulla che però segna il suo fisico, quasi a trovare un punto di accesso in questo, da cui poi svilupparsi per farlo lentamente morire. 151 “Questo racconto di Tolstoj testimonia che mancanza di successo e impossibilità di essere performativi alla stregua del discorso dominante, non implica affatto vuoto di senso e che talvolta proprio vite piene di successo navigano di fatto nell’abisso dell’insignificanza. Questa novella è esemplare di come il protagonista abbia modificato il suo sguardo sulla vita proprio a partire dall’esperienza del dolore” (tratto da Tonon A., L’uomo di fronte al dolore, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, p. 22). 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
83
cosa simile.152
Dappoi, come si vedrà durante il discorso sull’Editto di Saint-Cloud (promulgato il 12 giugno del 1804)153, tale atto formalizzatore e legale segna una sorta di spartiacque storico tra una gestione della morte affidata interamente alla Chiesa ed una sua forma contemporanea, invece, affidata allo Stato. Difatti durante l’Ottocento la gestione della morte si fa politica. E, anche, “la gestione della morte [...] [si fa] sacralizzazione della politica”154. La visione può anche essere ampliata: se la politica si assume l’incarico - in maniera anti-clericale e massimamente laica - di occuparsi della gestione della morte, ecco che quest’ultima cede il suo “sacro” nell’ambito del politico. Se la politica ereditava il sacro dalla religione, per quanto attenuato, essa lo faceva essenzialmente attraverso la gestione della morte. [...] Il processo era stato abbastanza rapido, a partire dalla Rivoluzione francese. La presa in carico della morte da parte dello Stato, che la sottraeva alla Chiesa, “sconsacrava” la Chiesa a favore della collettività civica155. Quest’ultima andava così a incontrare i propri morti non più per la messa ma al cimitero comunale, in una “festa” pubblica, almeno il 2 novembre. Il “culto dei morti” che interessava la sensibilità del tempo avrebbe reso questo passaggio ancora più radicale e la morte veniva infine presa in pegno dai laici.156
Di fatto avviene una sorta di s-consacrazione della Chiesa nei riguardi della morte, un ambito religioso che passa in secondo piano e cede il passo allo Stato - quindi all’ambito politico. Ecco il perché della sua “ottocentesca” sacralizzazione. Ma, in ultimo luogo, l’Ottocento è anche il secolo di una morte fortemente spettacolarizzata, di per certo non censurata come avverrà sempre più nel secolo successivo. Basti pensare che il XIX secolo si apre con la “modernissima” Rivoluzione francese, durante la quale le esecuzioni in pubblica piazza erano all’ordine del giorno, segno concreto e tangibile del potere superiore di alcuni uomini su altri157, dei vincenti sui reietti della Storia - e questo pre-, durante 152 Tratto da La morte di Ivan Il’ič, in Tolstoj L.N., op. cit., p. 53. 153 Si veda Capitolo 05.9 Formalizzazione di una svolta. 154 Tratto da Mengozzi D., La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000, p. 26. 155 Tutto ciò sulla scìa del pensiero “illuminato” settecentesco che abbiamo visto, e vedremo, potersi definire laico. 156 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 28. 157 Il motivo del perché della persuasione popolare - a metà tra il giubilo ed il terrore - nei confronti delle esecuzioni o torture pubbliche lo si ritrova spiegato, dato che la questione ci segue
84
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
e post-Rivoluzione. La decapitazione fine-settecentesca ed ottocentesca era una forma di morte massimamente spettacolarizzata, ma allo stesso tempo rituale, in quanto vigeva una vera e propria procedura standardizzata, sempre identica a se stessa: Il condannato dopo la sentenza veniva deprivato degli abiti e lasciato con i soli pantaloni (o gonna) e la camicia. Legati i polsi dietro la schiena e tagliati i capelli, veniva caricato su un carro che doveva farsi strada tra la folla per raggiungere il patibolo. A destinazione, una volta issato prono sul palco, allo sventurato veniva immobilizzato il capo con un traversino. A quel punto il boia azionava una leva che consentiva il rilascio di una pesante lama, la quale, in caduta libera per forza di gravità, lo decapitava.158
Tale “spettacolo” avveniva - e non poteva essere altrimenti per essere considerato tale - dinanzi ad una folla esultante, per la quale la morte del sentenziato è solo una maniera di raccoglimento comunitario, di fronte alla quale non si prova il minimo orrore. Durante l’Ottocento la concezione - o, meglio, “visualizzazione” - della morte pubblica è quindi ancora molto vicina, seppur a secoli e secoli di distanza, a quella dell’epoca di Tito, quando l’appena inaugurato Colosseo romano (80 d.C.) era palcoscenico per le più nefande esecuzioni di massa umane oltre che animali -, costruite ad arte per divertire il popolo: la morte è ancora, nella sua grande spettacolarizzazione, alquanto disinibita. Tra la folla, di fronte al patibolo si è di casa.
03.11 “La Terre et les Morts” - TERRA SANTA. La Terra Santa per eccellenza [...] è il «paese supremo», secondo il senso del termine sanscrito ParadeŚha, che i Caldei trasformarono in Pardes e gli occidentali in Paradiso. Altre «terre sante» ne sono il riflesso: quelle d'elezione di popoli a loro volta «eletti», quelle che compaiono nelle leggende, i simboli del «centro» dall’alba dei tempi, fin dall’epoca di Lucrezio, che nel De rerum natura (Libro II, 1-4) recita: “Bello, quando sul mare si scontrano i venti / e la cupa vastità delle acque si turba, / guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte”. 158 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, cit., p. 70. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
85
come Thule, Luz, Salem, Agarttha, ecc. 159 *** Si è detto, in precedenza, di una morte legata alla comunità, una morte sociale, distinta dall’aspetto meramente carnale della fine dell’esistenza terrena. Vorrei richiamare ora per un breve tempo tale questione alla mente per parlare a riguardo di una delle grandi tematiche fine-ottocentesche e primo-novecentesche occidentali: quella della nazione - e quindi del nazionalismo. E come sempre in questa sede, c’è di mezzo la Morte160. “Che cos’è la Patrie?, si chiedeva Maurice Barrès (1862-1923), e rispondeva: «la Terre et les Morts [la Terra e i Morti]»”161. “Terra e Morti”: a ben pensarci, sono, così come per la Patrie di Barrès, gli elementi costitutivi - immancabili - di un luogo di sepoltura. Terra e Morti sono costitutivi del sacro. Tra Otto e Novecento più che mai prima - ovviamente, sulla scìa storicistico-teleologica di una tradizione di pensiero e filosofica nata ben prima -, sacra è la Patria, e non a caso quest’ultima è descritta da una coppia di termini ch’è la stessa del camposanto e del suo sacro recinto e, in ultima riduzione, della tomba. Dice Zygmunt Bauman: C’è sempre stata in ogni nazionalismo, e in ogni crociata nazionalistica o campagna di proselitismo, un’ambiguità, una interazione tra tendenze a includere e a escludere. La salvezza della nazione poteva essere salutata come valore supremo che si librava al di sopra delle vite mortali ed effimere dei suoi membri solo nella misura in cui si poteva provare che essa era sottoposta ad una minaccia di fronte alla quale i suoi membri dovevano unirsi per garantire la propria sopravvivenza.162
Sostanzialmente si può dire che ogni nazionalismo si fonda e trae forza dalle logiche più spregiudicate del gruppo - del clan o della tribù, antropologicamente parlando -, quelle di esclusione e disvelamento del comune nemico: ciò altro non è che forma aggiornata di quello che René Girard battezza come capro espiatorio163. 159 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 455. 160 Come già si è anticipato riprendendo più volte Ariès e Foucault, nell’epoca dei moderni stati-nazione - nella fattispecie, dall’Editto di Saint-Cloud (1804) in poi - la morte si fa laica, effettuandosi una sorta di espropriazione dei corpi dei defunti dal controllo totale della Chiesa. 161 Tratto da Bauman Z., op. cit., pp. 141, 143. 162 Tratto da Bauman Z., op. cit., p. 141. 163 Si veda Girard R., Il capro espiatorio, 1982.
86
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Tale nemico - riversatigli addosso tutti i mali possibili - è considerato pericoloso per la nazione, che contro di lui deve unirsi e combattere. E ciò ha da farsi per sopravvivenza, nella perversa logica, tipicamente nazionalista, del “può (sopra-)vivere solamente uno dei due”. Al di fuori della nazione non è concessa alcuna collettività. Ebbene, tale nazionalistica sopravvivenza però, parla al singolare: i membri della nazione sono utili pedine immolabili alla causa. All’interno della visione nazionalista, non il singolo bensì, appunto, la nazione attua una, cosiddetta, strategia di vita tesa a ricercare l’immortalità: il singolo, all’interno della nazione, è costitutivamente in pericolo - in quanto è immolabile. Secondo questa visione, poi, la sede dell’immortalità consiste nella perfezione. Una ed una sola specie - termine ad oggi superato poiché privo di senso - poteva ritenersi migliore164: tutto ciò estraneo ed Altro-da-sé era, oltre che nemico, arretrato, senza motivazione per “stare al mondo”. Incapace della perfezione. Ma tale condizione - era attendibile e si è visto - non produce che un nervosismo endemico all’interno dello Stato-nazione, dove la vigilanza è la permanente condizione di vita, e dove un solo spillo fuori posto crea tensione - questa è poi rigettata sul capro espiatorio dell’Altro-da-sé, contro cui tutti si gettano in nome del mantenimento della propria sopravvivenza. Il telos - “fine ultimo” - del moderno Stato-nazione è la perfetta universalità, ma solo per i suoi membri; costante è la negazione e la guerra contro la differenza165. Continua sempre Bauman: L’immortalità collettiva deteneva un’autorità prescrittiva in quanto c’erano nemici che la minacciavano. La promozione dell’omogeneità [ovvero il distinguersi dal degenerato] doveva essere integrata dallo sforzo di marchiare, segregare e sradicare gli «stranieri» - intesi come prede di un’altra élite nazionale, convertiti di un altro nazionalismo, nel complesso poco propensi a farsi assimilare da quell’agognata uniformità. Tracciare i confini tra nativi e stranieri, tra la nazione probabile e i suoi nemici, era parte inseparabile dell’autoaffermazione dell’élite nazionale. C’era tuttavia un codicillo: per acquisire e conservare un controllo assoluto sulle menti e
164 Quelli in questione sono i decenni della, all’epoca pretesa come “scientifica”, degenerazione dell’Altro-da-sé. Il degenerato, in quanto tale, può essere soppresso. “Legata al prestigio della scienza ottocentesca, l’idea di differenza razziale divenne nel XX secolo uno strumento per manipolare e infine distruggere interi gruppi [...]. Gli stereotipi razziali sono stati collegati a immagini patologiche [...]. [L’Altro è] nel contempo malato e infettivo, contaminato e contaminante” (tratto da Gilman S.L., Difference and Pathology: Stereotypes of Sexuality, Race and Madness, Cornell University Press, Ithaca (New York), 1985, pp. 215, 129-130). 165 Per tale argomento si veda, inoltre, Han B.-C., Topologia della violenza, 2011. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
87
sulle azioni dei compatrioti attuali o possibili, l’atto di tracciare i confini non poteva essere visto per quello che realmente era.166
Cos’è, quindi, la Terra di Barrès se non il recinto nazionale - cimitero delle singolarità - segnato e sacralizzato dai confini? L’esteso ideale nazionalista e di confinamento a cavallo tra XIX e XX secolo167 - mai del tutto sopito anche in epoca odierna - altro non è che “Terra e Morti”. Ma quest’ultimi sono utili solo alla nazione per ambire all’immortalità, per far sì che essa - ed essa solamente - travalichi i confini dell’Umano. Umane genti che per essa - e per essa solamente - sono sacrificabili. Significativa è, del Nietzsche meno invidiabile, la sentenza: “Che cos’è infatti la libertà? [...] [Anche] essere pronti a sacrificare gli uomini alla propria causa, senza escludere noi stessi”168. Ecco che, per il fervente nazionalista, il timore della morte si declina fortemente in costante angoscia da separazione dal gruppo suo affiliato e di appartenenza. Come spiega Haroutunian, “[Il timore della morte] non è timore di perdere l’essere in quanto tale ma di perdere la compagnia di questi camerati”169. Balzo in avanti. Il secolo è il ventesimo: mancano appena due anni al Sessantotto quando Fabrizio De André canta La ballata dell’eroe. Ed ancora una volta: “Terra e Morti” - il gemellaggio è inscindibile, oramai scolpito. Era partito per fare la guerra Per dare il suo aiuto alla sua terra Gli avevano dato le mostrine e le stelle E il consiglio di vender cara la pelle E quando gli dissero di andare avanti Troppo lontano si spinse a cercare la verità Ora che è morto la patria si gloria 166 Tratto da Bauman Z., op. cit., p. 141. 167 Molto interessante è, al riguardo, la concezione del nazional-giardino dell’epoca, in piena scìa positivista e di studi biologici, i quali dominano la Weltanschauung di quei decenni: “Così, con toni e posizionamenti diversi, William Robinson va alla ricerca del vero giardino inglese (Robinson, 1883; 1933), André Vera dell’autentico giardino francese (Vera, 1925), Jens Jensen e Wilhelm Miller intendono stabilire i fondamenti del puro giardino americano (Jensen & Fishmann, 1923; Miller, 1915), Alwin Seifert del genuino giardino ariano (Seifert, 1938) e così via” (tratto da Metta A., Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride, DeriveApprodi, Roma, 2022, p. 48 - e del libro in questione si veda, per l’argomento, tutto il capitolo 3. Reclusioni. Paesaggi senza fissa dimora). 168 Citazione di Friedrich Nietzsche (dal Crepuscolo degli idoli) ripresa in Kaczynski T.J., Schiavitù tecnologica - Volume 1, Ortica, Latina, 2022, p. 252. 169 Tratto da Haroutunian J., Life and Death Among Fellowmen, in Scott N.A. (a cura di), The modern vision of Death, John Knox Press, Richmond (Virginia), 1967, pp. 87-88.
88
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
D’un altro eroe alla memoria Ma lei che lo amava aspettava il ritorno D’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà Se accanto nel letto le è rimasta la gloria D’una medaglia alla memoria.170
Il nazionalismo è la tomba dell’individualità171.
03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia - MOSTRI. Simboli della forza cosmica nello stato prossimo a quello del caos, delle «potenze non formate». Sul piano psicologico, i mostri alludono alle potenze inferiori che occupano gli strati più profondi della geologia spirituale, dove possono riattivarsi, come un vulcano in eruzione [...]. Le armi sono ciò che si oppone ai mostri 172 *** Ora, il presente, il nostro tempo. “L’Occidente cresce sul fondamento di questo estremo terrore del nulla”173: mai affermazioni come questa sono state vere come all’epoca attuale. Soffriamo di un esteso horror vacui. La Morte è, per noi, vacuus. Il discorso odierno intorno al tema della morte è sostanzialmente privo di lessico per un fondamentale motivo: l’Occidente non è più religioso174. 170 De André F., La ballata dell’eroe, dall’album Volume III, 1968. 171 Difatti, “l’egoismo di gruppo, l’interesse del gruppo per la sopravvivenza collettiva competitiva deriva dalla negazione di risorse di trascendenza individuale ai membri del gruppo, o al maggior numero dei membri del gruppo, trasformati in masse all’atto di negazione” (tratto da Bauman Z., op. cit., p. 165). 172 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 309. 173 Tratto dalla Prefazione di Severino E. in Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., p. XIII. 174 Si noti che l’assunto non vuol essere in alcun modo nostalgico, anzi, come si capirà - e forse si è già intuito - nei discorsi a venire. È un bene, a mio giudizio, che l’Occidente si stia affrancando 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
89
La speculazione filosofica iniziata con Feuerbach, passata per Marx prima e Nietzsche poi, e giunta fino a noi lungo tutto l’arco del “secolo breve”, ha irrimediabilmente minato alla base l’ambito della religione. Durante gli ultimi cento anni, si sono messi via via sempre più in crisi i vari nazionalismi assieme con i loro supporti e correlati ideologici - che in realtà mai paiono del tutto sopiti, dato che di profanatori di politiche oramai belle che sepolte sempre ce ne saranno -, e ciò ha portato allo smantellamento della fondazione di matrice religiosa della società occidentale. Se dunque in passato il riferimento alla salvezza ultraterrena veniva declinato in base agli scenari politico-religiosi di un determinato territorio secondo una regolamentazione morale che definiva i limiti e i precetti cui aderire per assumere una identità sociale ben distinta dalle altre, oggi i profili di questo universo sono totalmente cambiati [...].175
Questo ha comportato anche un allentamento della saldezza del perenne “discorso intorno alla morte” - di cui il religioso, nella sua falsità, era stato da sempre rammemore -: “da tale contrasto deriva una sostanziale incapacità di accettare la finitudine, che viene quindi costantemente combattuta e rimossa”176. Mettendo da parte il religioso ci siamo lasciati alle spalle anche il lessico, che fino a pochi decenni fa c’aveva guidati, riguardo alla morte. Si è aperto ora il tempo per una nuova, più matura ricerca, che è però ancora alla sua alba e va in qualche modo strutturata177. Quindi, si può continuare dicendo che, in un’epoca dis-sacrante e dissacrata - per quanto riguarda il sacro religioso178 - come la nostra, forse una forma rituale è rimasta e si è perpetuata: quella funeraria, ovvero di morte-cerimoniale-e-sepoltura del defunto. Da ciò, va da sé che il rito nella società attuale non sempre più dalla questione religiosa: questo però, come tutti i momenti storici di grande cambiamento, causa esiti culturali entro i quali dobbiamo ancora ben riconfigurarci. In primis, appunto, un lessico onestamente laico - ma egualmente efficace rispetto al suo opposto religioso, che Nietzsche direbbe erroneo - intorno ad un grande tema che ha a che fare con qualcosa di fisicamente inattingibile, come quello della Morte. Il capitolo in esame punta ad essere un tassello, seppur minimo, all’interno del dibattito in merito a siffatta questione. Si veda, poi, il Capitolo 07. Prospettive. Sacro laico futuro. 175 Tratto da Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, Bollati Boringhieri, Torino, 2020, p. 126. 176 Tratto da Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, cit., p. 127. 177 Anche il simbolo fa parte di questo lessico da ritrovare. Il simbolismo, al tempo attuale, permea ancora l’ambito funebre più che qualsiasi altro ambito della società. Anche per questo motivo tale lavora si appoggia, in alcuni brevi momenti, alla “decifrazione” di alcuni tra i più noti simboli utilizzati, nella sua storia, dall’Uomo - si sono visti e si vedranno all'incipit d'ogni capitolo. 178 Si veda Capitolo 07.1 Sacro religioso e sacro laico.
90
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
riguarda più, noi tutti, in prima persona, o meglio, ci coinvolge solo indirettamente: la nostra morte, e la ritualità ad essa associata, non ci riguarda179. Riguarderà sempre altre persone - e avanti di questo passo. Non siamo più sottoposti ad una ritualità, ma ne siamo indirettamente coinvolti. L’ultimo rito di passaggio rimasto al giorno d’oggi è, quindi, io credo, quello legato al fine-vita. La nascita - che può subito balzare in mente come altro momento cruciale della nostra esistenza180 - infatti, ad esempio, non è più sottoposta ad una effettiva ritualità: la sua ritualità è stata tutta assorbita dalla medicalizzazione181, tratto distintivo della società odierna182, nello specifico a partire da fine Settecento in poi, con la nascita della moderna medicina. Ad oggi, i nostri due “estremi vitali” sono entrambi, potremmo affermare, ospedalizzati: Siamo nati quasi tutti in ospedale e quasi tutti in ospedale moriamo. Nascita e morte, irriducibili entrata e uscita, diventano così semplici questioni profane, oggetti del più profondo significato emozionale, che rimangono però privi di celebrazione pubblica.183
È, questa, un’affermazione sicuramente vera per quanto riguarda la nascita, dalla quale parzialmente prendo invece le distanze nel caso della morte. La scomparsa di qualcuno pesa - ritualmente, da cui il lutto - molto più, ancora, che la sua comparsa184. 179 Si potrebbe dire che il lutto odierno si confonde, in parte, anche con l’altro rito - che fu - di passaggio, ovvero quello dell’adolescenza, passaggio tra vita d’infanzia e vita adulta. È come se si diventasse grandi assaggiando per la prima volta il lutto; in particolare, un’affermazione mi ha fatto molto pensare al riguardo: “La visione dei primi morti, quando si è giovani, effettivamente rompe un equilibrio molto sottile; la (propria) morte non si vive, quella degli altri sì” (tratto da Caffo L., Essere giovani, Ponte alle Grazie, Milano, 2021, p. 82). Come dice anche uno dei massimi pensatori del nostro tempo, “conosco la morte per intermediari” (tratto da Bauman Z., op. cit., p. 9). 180 Come affermò, tra gli altri, Merleau-Ponty, “né la mia nascita né la mia morte possono apparirmi come esperienze mie” (ripresa di Maurice Merleau-Ponty in Bauman Z., op. cit., p. 24). 181 Medicalizzazione analgesica molto diffusa nei campi del quotidiano che, se incontrollata, può sfociare in una cultura dell’immortalità, dalla quale - credo - dovremmo rifuggire. 182 Si badi: il rito - da intendersi anche e soprattutto come non-religioso - permette di poter parlare per mezzo di un altro linguaggio, crea una comunità senza comunicazione, quando quest’oggi siamo invece immersi in una continua comunicazione spesso senza comunità (è questo un gioco di parole che si ritrova in molte opere di Han e che ho qui ripreso): così come dell’arte non si può mai veramente parlare - cos’è l’arte se non un grande rito laico collettivo? -, riusciamo forse oggi a farlo per quanto riguarda la morte? 183 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 395. 184 Questo fatto è dovuto, forse, secondo mio modesto parere, ad una questione di dovere nei confronti del soggetto comparso o scomparso (“nato” o “morto”). Mi spiego meglio: una nuova vita, un nato, si preoccupa di sé da sé: nel caso di un defunto invece, costui non potrà più occuparsi di sé da sé, ci lascia un corpo, il suo, e con esso il suo ricordo - che nel neonato non sussiste, in quanto non possiamo avere ricordo di una persona che non ha ancora vissuto -, di cui sentiamo di doverci occupare. “Civiltà” e “società” - anche tribali - sono primariamente un occuparsi di- chi da sé, di sé, non 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
91
Mi sento quindi di affermare che, al presente, anche se in forma indebolita rispetto a ciò che è stato nella storia - si vedano per ognuno personali pro e contro - permane ancora una ritualità legata alla scomparsa, cioè alla morte, e non legata alla comparsa, cioè alla nascita. Non a caso, si veda, l’unica ritualità attuale è dello stesso ambito dell’odierno grande tabù, e riguarda il fine-vita. “Nella società odierna sembra sia rimasto un unico, grande - insuperabile - tabù: la morte”. Oppure: “Nella società odierna sembra sia presente un unico, grande - insuperabile - tabù: la morte”. Il discorso intrapreso e portato avanti fino ad ora permette di intuire che queste due affermazioni sono ben diverse: la morte è tanto più tabù oggi di quanto non lo sia mai stata. Non è rimasta tale, ma è diventata tale. Il merito d’aver individuato per primo questa legge non scritta della nostra civiltà [...] spetta al sociologo inglese Geoffrey Gorer185. Egli ha chiaramente dimostrato come la morte sia divenuta tabù e come, nel XX secolo, abbia sostituito il sesso quale principale divieto. [...] Più la società allentava le costrizioni [...] nei riguardi del sesso, più respingeva le cose della morte.186
A ciò detto da Gorer si potrebbe aggiungere, riprendendo Michel Foucault, che nella totale irreggimentazione portata avanti dal novecentesco potere disciplinare biopolitico - ora giunto ad un livello successivo psicopolitico187 -, la morte abbia quasi preso il posto, oltre che del sesso, di tutto il vasto campo di pratiche di una sessualità più largamente intesa. Ecco, tra noi, quel qualcosa di segreto ma allo stesso tempo diffuso, un fenomeno di cui nessuno parla ma che tutti ben conoscono - “per mezzo di intermediari” -: fu il Sesso, ora è la Morte188. Si pensi anche solo al mondo mediatico, di internet e dei social-media: la censura riguarda la morte, il macabro, la putrefazione, di certo non più può (analogia con il rispetto dovuto all’anziano soprattutto in epoca antica, ad esempio). Ad oggi, un esempio interessante, dello stesso concetto di doversi occupare di- trasposto in altro campo, penso possa essere fatto in merito alla questione ambientale. Riducendo all’osso: una giovane vita se la si lascia lì, questa muove e cresce; un defunto non lo può fare, va quantomeno doverosamente spostato. 185 Si veda sull’argomento Geoffrey Gorer (1905-1985) il testo The pornography of Death (in Appendice al suo libro Death, Grief and Mourning, Doubleday, New York, 1963). 186 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 73. 187 Si veda Han B.-C., Psicopolitica, 2014. 188 Censurata ed oscena sono oggi aggettivi da declinarsi al femminile della Morte, non più al maschile del Sesso.
92
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
il pornografico o - ancor meno - l’erotico. Ed a riguardo dei due temi - sessualità e mortalità -, viene in mente l’esperienza, fortemente settaria ma durata circa un secolo tra metà Ottocento e metà Novecento, dei Perfezionisti [12], che professavano sesso libero (con obbligo di continenza maschile) tra i membri della comunità, ed assieme autosorveglianza sociale reciproca - declinazione sui generis della trasparenza professata da Rousseau - per resistere al peccare, alle diaboliche tentazioni, in quanto, secondo costoro, la mortalità era figlia del peccato: assenza di quest’ultimo avrebbe significato, quindi, immortalità. Questo a sottolineare - metaforicamente, in quanto sono stati molto pochi gli “adepti” perfezionisti - quasi un momento di passaggio verso la nostra società attuale: un momento emblematico transitorio, dove la morte diviene tabù assieme ad un sesso liberato da qualsiasi pregiudizio morale (ma non di altro tipo, dato che il Perfezionismo è stato evento statunitense e, per l’appunto, fine-ottocentesco, quindi inserito in un ambiente ancora fortemente caratterizzato da pregiudizi razziali)189. E per il discorso aperto prima, illazione vuole che, al giorno d’oggi, siamo tutti forse un poco Perfezionisti. Viviamo in un’epoca di forte angoscia, dai tratti quasi millenaristici nei confronti della morte. E questo perché la morte, forse, è, tra le umane questioni, l’unica che a noi è rimasta nel campo del cosiddetto conosciuto sconosciuto190. Il nostro è un tempo - e noi siamo una società - fortemente attaccato alle cose della vita; siamo all’opposto di alcune posizioni prese da un autore come Eustache Deschamps (1340-1406), che da trecentesco pessimista - e francese -, della vita non riusciva che a vederne i lati negativi: “La vecchia189 “[Al giorno d’oggi, le] tendenze erosive delle funzioni sociali e istituzionali sono [due su tutte]: singolarismo e immortalismo. Rifiuto del prossimo e rifiuto del limite. Totale fiducia nella vittoria della tecnologia sulla biologia nel pianeta sovrappopolato. [...] Il culto della tecnologia quale liberazione dal male è solo la più moderna versione della febbre mistica spesso scatenata dal timore del morbo. Un precedente assimilabile è quello dei Perfezionisti. Comunità utopistica fondata nel 1848 da John Humphrey Noyes (1811-1886) a Putney (Vermont), poi trasferita a Oneida (New York), per cui le malattie sono figlie del peccato. Tolto il peccato, tolto il morbo. [...] Immortalità garantita ai post-peccatori. [...] L’ultimo dei perfetti immortali muore nel 1950. Ad oggi resiste immortale il marchio di Noyes, evoluto in Oneida Limited, colosso mondiale dell’argenteria battezzato nel 1880 dal medesimo comunardo fondatore. Dall’utopia alla Borsa” (tratto da Caracciolo L., Cose dell’altro mondo, premessa editoriale in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. 1/2022 - L’altro virus, GEDI, Torino, 2022, p. 10). 190 Il conosciuto sconosciuto (“known unknown”, opposto all’ingovernabile per eccellenza ovvero lo sconosciuto sconosciuto, “unknown unknown”) è un termine che denota ciò che sappiamo che accadrà (conosciuto), ma quasi mai sappiamo prevedere con esattezza (sconosciuto), perlopiù né sul quando, né sul come (il termine è liberamente ripreso da Taleb N.N., op. cit., p. 142). Delle “umane questioni” la morte rimane quella maggiormente sconosciuta. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
93
[12]
94
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
ia viene presto [...]: il limite normale della vita sono i sessant’anni”191. Ad oggi, chi pensasse così sarebbe facilmente attaccato ed accusato di eretico nichilismo ed anti-vitalismo. Al presente, costantemente, “the show must go on”. Nell’epoca dell’ininterrotto accumulo, non solo di beni ma anche di esperienze, di possibilità-di-fare192, la morte rimane la grande negatività, negazione delle possibilità-di-fare, cosa che non accettiamo proprio perché noi non sentiamo più limiti. Difficilmente accettiamo il No! nella vita - figuriamoci quello della nostra fine. La tanto agognata “motivazione” interiore, che ci smuove da dentro in ogni momento della vita e che ci spinge a mutarci continuamente e ad ottenere di più193 - qualcuno la potrà chiamare flessibilità -, altro non è che, forse, un travestimento aggiornato del Dio di Calvino, che non dice mai ai suoi discepoli quando la salvezza è ottenuta. “Il Dio di Calvino risponde: «Sforzati di più. Tutto quello che puoi fare non è abbastanza»”194. Ora, dunque, ci domandiamo: non è che dovrò forse uccidere la morte per ottenere veramente salvezza? La scelta di non-fare non fa parte dell’odierno spirito del tempo. Ma sulla morte ed i temi a lei affini, il dibattito al 2022 è - bisogna dirlo -, più che avviato. Il saggio che, nel 2015, ha aperto la parentesi italiana dei cosiddetti Death Studies (DeSt) - di cui è parte integrante la Death Education (DeEd) - è una pubblicazione di Ines Testoni, intitolato L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education. In questo importante lavoro, la Testoni apre le danze rievocando subito qualcosa a noi familiare, ovvero la chirurgica escissione dalla quotidianità dello spettacolo della morte, in maniera da far risultare quest’ultima mera faccenda ospedaliera. Seguitamente ad un breve excursus psicologico e filosofico, però, è portata anche a dire che “ciò che fa girare il mondo non 191 Ripresa di Eustache Deschamps in Huizinga J., op. cit., p. 43. 192 Spirito capitalistico odierno di cui, com’è noto, Max Weber (1864-1920) rintraccia gli albori nell’ascesi intramondana protestante. Si veda Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905. 193 Lettura molto simile è quella portata avanti da Marc Augé, che parla di surmodernità, tempo nel quale - come dice la radice del termine stesso - la condizione caratteristica è quella dell’eccesso (nelle sue declinazioni di eccesso di tempo, eccesso di spazio ed eccesso d’io, o ego). Per la questione si veda Augé M., Nonluoghi, 1992. 194 Tratto da Sennett R., L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2020 (1998), p. 105. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
95
sia tanto l’amore quanto la paura della morte, da cui esso ultimo deriva”195. In seconda istanza, entra più nello specifico dell’odierna Death Education, osservando come questa possa essere reale maniera al fine di meglio apprezzare la quotidianità, oltre che serio aiuto per evitare situazioni estreme all’oggi sempre più diffuse (come depressione e burnout196) o, ancor più, gesti estremi a cui queste possono portare (suicidi del singolo o collettivi). L’osservato speciale è, poi, il bambino-adolescente, e la faccenda è qui molto interessante ai nostri scopi in quanto, agendo in maniera fortemente progressista in merito ad una DeEd da inserire il prima possibile nei nostri “logori” - dice lei - programmi ministeriali, la Testoni intesse un discorso in cui viene a galla una visione della morte da parte di un soggetto specifico al quale, per ora, in questa sede non avevamo fatto ancora cenno, ovvero la visione della morte, appunto, che è propria del bambino-adolescente del nostro secolo. L’idea di morte si sviluppa a partire dall’infanzia, conclusa la fase dell’attaccamento vero e proprio, ovvero intorno ai 3 anni, quando il bambino comincia a rendersi conto di provare emozioni e sentimenti, e potrà dirsi terminata all’inizio della preadolescenza, con l’apparire del pensiero astratto, ovvero quando saranno compresi tutti i fattori che compongono la cognizione adulta. [...] Seguendo l’opera pioneristica di Maria Nagy (1948), sono tre gli stadi di maturazione del concetto [di morte], connessi allo sviluppo delle abilità di ragionamento. Nella prima fase (3-5 anni), la morte è rappresentata come una temporanea partenza, uno stato di sonno, e quindi i defunti sono pensati come persone cha stanno vivendo altrove e che potrebbero tornare. Nella seconda fase (6-9 anni) il bambino comincia a confrontarsi con il mondo e a esprimere la propria idea di sé, mentre la morte viene personificata tramite figure orrende, tra cui scheletri, mostri, vampiri, terrorizzanti ma esorcizzabili perché inesistenti e quindi facilmente vincibili; quindi anche la morte appare vincibile. Intorno agli 8 anni si intuisce che la morte è un punto di non ritorno, da cui dipende la separazione irrimediabile da tutto e tutti. Infine, tra i 9 e i 12 anni viene compreso che si tratta di un evento finale e universale, al quale non ci si può sottrarre. [...] [Durante l’adolescenza] la rappresentazione della morte è ormai adulta [...], ma la specificità degli atteggiamenti adolescenziali nasconde qualcosa di estremamente temibile: il considerarla desiderabile in quanto liberatoria.197
In terzo luogo, a compendio e superamento dei punti precedenti, si presenta il come ed il perché della Death Education, intesa questa anche come atto civico, di svolta civile e politica nel campo di situazioni e contesti, soprat195 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., p. 42. 196 Sull’argomento si veda, anche, Seligman M.E.P., Helplessness. On development, depression & Death, 1992. 197 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., pp. 53-54, 55.
96
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
tutto medici198, in cui la società contemporanea è destinata sempre più a portarci. La DeEd sarà quindi da intendersi, in primis, come di tre possibili tipi: a) primaria, rivolta ai giovanissimi, in un’età nella quale, per vissuto, la questione della morte ancora non è troppo vicina; b) secondaria, quando la morte di qualcuno è annunciata o prossima a venire; c) terziaria, nel tempo appena successivo ad un trauma o ad un lutto (la quale può dirsi rientrante nella macro-fase di “gestione del lutto”). Un percorso serio di DeEd è dunque chiamato ad affrontare in modo diffuso e capillare il tema relativo alle opzioni che la tecnica medica propone, strappando definitivamente la morte alla necessità naturale per affidarla alla possibilità di scelta che le conquiste della scienza apparecchiano. La vita medicalmente assistita pone ormai questioni ultimative, soprattutto quando si diano situazioni insopportabili. Un atteggiamento elusivo o censorio non aiuta certamente a rafforzare la fede in valori fondamentali, bensì lascia soltanto le persone disarmate dinanzi a chi detiene il potere sulle loro vite.199
La DeEd, in ultima analisi, al contrario dell’odierna società dello spettacolo e del suo continuo agire che vede come mantra la famosa espressione “the show must go on”, ecco che potrebbe invece avvalersi del motto contrario. A volte, the show must stop! La morte è “ultima nascita” - e come tale va accudita. Da queste prime osservazioni pare quindi opportuno e sensato eseguire un approfondimento sui temi della morte e del dolore - e del rapporto dell’uomo con questi - in qualsiasi caso ci si appresti a dire qualcosa riguardo alla società in cui si vive, o della quale si vuole parlare. “Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei”200. Per quanto riguarda il più generico dolore - del quale il lutto201 e la morte 198 Numerosi sono i riferimenti della Testoni, tra gli altri, al tema dell’eutanasia, questione ancora spinosa soprattutto in Italia. Dice infatti: “La ragione di questo ritardo [riguardo all'eutanasia] [...] può essere fatta risalire alla volontà politica di non riconoscere interamente l’autodeterminazione dell’individuo rispetto alla propria vita. [...] Le posizioni bioetiche fondamentali in Italia sono sostanzialmente due: quella cattolica, che può essere definita eteronoma in quanto stabilisce che la volontà dell’individuo deve corrispondere a ciò che la Chiesa definisce essere la volontà di Dio; quella laica, autonoma, secondo cui l’essere umano ha il diritto e il dovere di autodeterminarsi responsabilmente” (tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., 2015, pp. 45, 47). 199 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., 2015, p. 140. 200 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore, Einaudi, Torino, 2021 (2020), p. 5, Nota 1 (a sua volta tratto da Jünger E., Sul dolore, in Foglie e pietre, Adelphi, Milano, 1997, p. 139). 201 Una definizione medica, attuale, di cosa sia il lutto anticipatorio - rispetto alla perdita - di chi 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
97
non sono che i due grandi esponenti - a me pare, conseguentemente alle riflessioni portate avanti soprattutto, negli ultimi vent’anni, da Byung-Chul Han, che la società attuale sia dunque come intrisa di un forte analgesico, pronto ad essere utilizzato in qualsiasi situazione, in tutti i campi: è come se, ad un tratto, qualsiasi accadimento negativo - e si badi, non di fatto “malattia” - debba essere subito attenuato, sedato e drogato. “Anche la soglia del dolore [inteso come fisico e psichico] crolla con rapidità”202. Un dolore tremendamente non accettato come tale, non ragionato e poche volte, quindi, davvero superato. “Persino le pene d’amore sono diventate sospette. [...] Ai conflitti e alle controversie che potrebbero condurre a confronti dolorosi viene riservato uno spazio sempre minore”203. Nella fattispecie, anche l’attuale rapporto con il lutto è alquanto particolare, per non dire “deviato”. Basti solo tener presente che la considerazione del lutto nell’ideologia dominante è un esempio significativo di questa colonizzazione della sofferenza esistenziale da parte della sofferenza patologica. Nell’ultima versione, che risale al maggio 2013, del famoso Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali [...] della Società americana di psichiatria, il cosiddetto “Dsm 5”, si afferma che un lutto che dura per più di sei giorni inizia a essere patologico [...]. L’individuo postmoderno “gelatinoso” non può indugiare, la gelatina non può solidificarsi senza che una diagnosi specifica del biopotere intervenga a etichettarla.204
D’altronde, il tempo del lutto è tempo d’indugio, memento, contemplazione di sé e per sé: è, per propria costituzione, anti-prestazionale, quindi da lenire il prima possibile per ritornare all’efficienza. Il soggetto di prestazione non è più capace di elaborare il conflitto [si legga anche: subisce la breaking bad new ce l’ha data Elisabeth Kubler-Ross (1974), qui ripresa: “Il doloroso processo di progressivo adattamento all’inevitabile [è] basato su cinque momenti che non rispettano una sequenza prestabilita nel loro avvicendamento: nella fase della negazione o del rifiuto la persona non accetta la realtà ed evita di elaborarla; nella fase della rabbia, essendo impossibile negare quanto temuto, sorgono forti emozioni quali collera e paura, a cui si devono forme di comunicazione estreme, che variano dalla chiusura e dal rifiuto alla disperata richiesta di aiuto; nella fase della contrattazione o del patteggiamento, una volta scatenata la reazione negativa vengono messi in atto tentativi di negoziazione, volti a tentare di esaudire il bisogno di riparazione; la fase della depressione sopraggiunge allorquando la realtà non lascia margini di speranza e il malato inizia a prendere consapevolezza piena della situazione oggettiva; la fase dell’accettazione inizia con il cammino verso la rassegnazione” (tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, cit., pp. 109-110). 202 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 5. 203 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 5. 204 Tratto da Benasayag M., Oltre le passioni tristi. Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, Feltrinelli, Milano, 2016 (2015), p. 23.
98
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
lutto], poiché tale elaborazione richiede semplicemente troppo tempo. È più facile il ricorso agli antidepressivi, che lo rendono di nuovo funzionale e produttivo.205
Per l’individuo “gelatinoso” - come afferma Miguel Benasayag - del giorno d’oggi, che è solo un altro modo metaforico di intendere la “liquidità” di Bauman o il cosiddetto “soggetto di prestazione” di Han ed altri, è difficile affrontare senza fiato sul collo così come molti momenti del quotidiano anche i più drastici, come appunto quelli di lutto, di sofferenze dovuta a perdite o traumi familiari. Il “gelatinoso” non ha confini, è pura ed illimitata volontà di poter-fare-tutto - ed il dolore invece rilega, sagoma e definisce le forme, ne traccia i limiti e per questa sua qualità non possiamo che cercare di inibirlo. Provo dolore quindi sono. Dobbiamo al dolore anche il senso dell’esistenza. Se scompare del tutto, si cerca un sostituto. Il dolore prodotto artificialmente offre un rimedio. Gli sport estremi e i comportamenti a rischio sono tentativi di sincerarsi della propria esistenza. Per cui la società palliativa, paradossalmente, crea estremisti. Senza la cultura del dolore nasce la barbarie.206
L’informe - ma flessibile - “gelatina” non ha che da essere prescritta207. Si potrebbe affermare: società della prescrizione208. Ora, del lutto - inteso clinicamente come “lutto completo”, differentemente dalle altre sue più varie forme, dal lutto anticipatorio, o ad un lutto dovuto alla perdita di qualcosa di particolarmente caro e non qualcuno, fino ad arrivare al lutto del morente, ovvero di colui che sta per essere investito dalla morte e al quale non rimane molto da vivere - si riportano in questa sede solamente due tra le moltissime, forse infinite definizioni che la me205 Tratto da Han B.-C., La società della stanchezza, cit., p. 94. 206 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 45. L’immagine usata da Han è qui, ai miei occhi, tra le più potenti: è forse, oggi, l’autolesionismo un gesto d’affetto? 207 “Oggi il dolore è reificato al punto da essere mero strazio corporeo” (tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 31). 208 Il gioco di parole fa il verso al testo La società della stanchezza di Han. “Attualmente, nell’ambito della psicoterapia, si assiste a una netta tendenza all’abbandono della profilassi in favore della prescrizione. [...] Questo orientamento non è certo appannaggio della sola psichiatria: anzi, già da tempo assistiamo alla stessa evoluzione (involuzione) nelle diverse branche della medicina sotto l’influenza del modello nordamericano, con la sua proposta di abbandonare progressivamente la medicina della diagnosi - che, per una società fondamentalmente rigida, dipende troppo dall’elemento umano - a favore di una medicina della classificazione. [...] In nome dell’economicismo, la nostra società non si preoccupa più del corpo umano, ma solamente del corpo sociale la cui salute viene valutata in termini economici, ovvero di costi sociali” (tratto da Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2021 (2003), pp. 65, 67). 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
99
dicina ha dato e dà oggigiorno, ma che credo siano abbastanza riassuntive, e spero si colgano gli intenti. La prima è quella consegnataci all’incirca quarant’anni fa (1980) da John Bowlby, in cui sono state distinte quattro fasi: a) disperazione acuta, ch’è contraddistinta da stordimento e protesta; b) costante ricerca dello scomparso nella vita quotidiana e non accettazione della sua assenza; c) disorganizzazione e perdita di contatto con la vita reale, con la propria corporeità e chiusura in sé stessi (a volte, spasmodica ricerca di altrui attenzioni); d) riorganizzazione psico-fisica, e quindi ritorno alla normale vita quotidiana. La seconda è frutto di un lavoro d’una decina d’anni successivo (1988), quello di Colin Murray Parkes, che tratteggia delle fasi comportamentali leggermente diverse: a) negazione della realtà esterna e totale apatia, inespressività ed empatia nei confronti degli altri ridotta al minimo; b) ricerca rabbiosa del defunto e compresenza, talvolta, di istinti suicidi; c) presa di coscienza dell’inevitabilità dell’accaduto e conseguente disorganizzazione psico-fisica; d) accettazione del trauma, ripristino psico-fisico e riorganizzazione della progettualità quotidiana e sul lungo periodo209. Se queste due pseudo-definizioni possono risultare talvolta utili, soprattutto in ambito psichiatrico, per cercare di intuire - anche se mai carpire appieno - la situazione di un paziente, sono sterili se prese in considerazione senza gli attuali aggiornamenti e progressi che la branca delle Cure Palliative210 ha fatto negli ultimi anni che, come afferma ancora una volta Ines Testoni, puntano innazitutto, assieme con un’appropriata “dose” - si fa per dire - di Death Education, a “permettere alle persone di maturare un sano senso del limite, insieme alla consapevolezza che la medicina non può garantire l’immortalità”211. E per sottolineare la questione, un ritorno alle origini. Il latino pallium (da cui il termine palliativo) era, sì, il mantello, utile a riparare il corpo dal freddo e dagli agenti estranei, ma, allo stesso tempo, era anche il bianco sudario che vestiva la salma prima della sua inumazione. 209 Si veda Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, cit., pp. 98-99. 210 Si badi per un attimo all’aggettivo, palliativo: ha forse senso insinuare che, in una società come l’attuale che è - durante la vita di tutti i giorni - palliativa in tutto e per tutto (per rifarsi ad Han, una società che esclude l’accettazione della Negatività ed Alterità in qualsiasi loro forma), le cosiddette Cure Palliative, questione che sta facendo breccia sempre più in molti tessuti nazionali ed organizzativi sovranazionali, possono forse definirsi come un qualcosa di massimamente negativo sempre nell’accezione di Han -, ovvero utile ad “avvicinare alla morte” una società da questa sempre più distante. Infatti, le Cure Palliative non vogliono allontanare dalla morte ma farci avvicinare consapevolemente e senza timore a questa, infatti “partono dal presupposto che il morire sia un processo normale e naturale della vita e, pur migliorando il decorso della malattia e potendo altresì essere applicate fin dal suo esordio in concomitanza con le terapie attive, esse né accelerano né rinviano la morte” (tratto da Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, cit., p. 26). È questione Umana. Per meglio intendersi: in una società in tutti i campi palliativa - pessimamente -, tali Cure sono - ottimamente - Umane. 211 Tratto da Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, cit., p. 67.
100
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Allora, anche oggigiorno, il pallium - e di perciò le Cure Palliative - non deve servire a pensarci immuni dalla morte, bensì a scaldarci e quindi vestirci adeguatamente per il nostro ultimo inevitabile appuntamento. Il vero palliativo non ci rende immortali, ma ci tiene al caldo. Tutto ciò premesso, l’algofobia pare davvero essere una situazione permanente - e fortemente caratterizzante - della società attuale: questa può forse suonare come questione di poco conto, perlopiù futile, cosa che nella concretezza dei fatti non è. È invece una condizione che sembra aver intaccato anche le dispute di alto rango e di collettivo interesse dato che l’algofobia interessa anche la politica. Aumentano la spinta al conformismo e la pressione del consenso. La politica s’installa in un’area palliativa e smarrisce qualsiasi vitalità. [...] Invece di discutere, di lottare per argomenti migliori, ci si abbandona alle imposizioni del sistema. Si fa così strada una post-democrazia. Una democrazia palliativa. [...] [Questa] preferisce ricorrere ad analgesici di breve efficacia che si limitano a velare disfunzioni e fallimenti sistemici.212
Algofobia collettiva che non può che trasformarsi quindi in inibizione politica, paura della polemos - propriamente democratica s’intende - per mancanza di thymos213, costrizione autoimposta per paura di “vero cambiamento”, che come tale è composto anche da fatica e dolore. Soprattutto gli esiti rilevanti dell’ambito politico, tra cui le rivoluzioni214, partono dal sentimento di dolore condiviso: “Quindi senza dolore non c’è neanche rivoluzione né rinnovamento radicale”215. Mai come oggi dunque, l’uomo aveva tentato di scacciare e di inibire qualsiasi aspetto inerente al dolore e alle sue differenti manifestazioni, dalla vita del quotidiano al coordinamento di questa, che 212 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., pp. 5-6. 213 Thymos è il “coraggio”. Dice Han che “[al giorno d’oggi] raramente le azioni sono spinte dal coraggio (thymos). Del thymos è, per esempio, la collera, che rompe radicalmente con l’esistente e fa iniziare uno stato nuovo. Oggi essa cede a dispiaceri e insoddisfazioni, ai quali manca la negatività della rottura: così, essi lasciano sussistere lo stato presente. [...] Il thymos sarebbe il luogo in cui Eros e politica si toccano. Ma la politica attuale, che è completamente priva non soltanto di thymos ma anche di Eros, è degradata a puro lavoro. [...] In una società della stanchezza fatta di soggetti di prestazione, ciascuno isolato in sé, viene anche completamente meno il thymos. Un agire comune, un noi è reso impossibile” (tratto da Han B.-C., Eros in agonia, cit., pp. 73-74). 214 L’excursus “politico” di Han si avvicina, a mio modo di vedere, per certi versi - senza essere altrettanto drastico, in quanto il secondo arriva a preconizzare una futura migliore società di uomini cacciatori-raccoglitori - ad alcune speculazioni di Theodore John Kaczynski; in particolare si veda il capitolo Estratti dalla corrispondenza con David Skrbina in Kaczynski T.J., op. cit., pp. 192-233. 215 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 56. 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
101
dovrebbe avvenire e rendersi atto tramite la politica. Anche nel lavoro sembra non esserci più posto per le fasi traumatiche ed il dolore, ovvero per la negatività: La società palliativa coincide con la società della prestazione216. Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione. Esso non è compatibile con la performance. La passività della sofferenza non ha alcun posto nella società attiva dominata dal poter fare. Oggi il dolore viene privato di qualsiasi possibilità di espressione: viene condannato a tacere.217
Inoltre, cosa forse ancor più peculiare, sembra che il dolore stia cedendo il passo anche in ambito puramente estetico: pure nello spazio slegato dalla mera utilità, ovvero quello dell’arte, nella fattispecie la contemporanea, un’algofobia repellente scaccia - molto spesso - i caratteri dolorosi e macabri per - solamente - “piacere”, intrattenere con leggerezza. L’arte deve [- anche218 -] sconcertare, disturbare, inquietare, anche saper far male. È da qualche altra parte. È a casa nell’estraneo. È proprio l’estraneità a caratterizzare l’aura dell’opera d’arte. Il dolore è lo strappo attraverso il quale fa breccia il completamente Altro. È proprio la negatività del completamente Altro a mettere l’arte in condizione di offrire una narrazione antagonistica rispetto all’ordine vigente. La compiacenza, invece, perpetua l’Uguale.219
Dolore, lutto e morte sembrano non essere più nemmeno utili all’inutilità 216 Il filosofo dà numerose definizioni della cosiddetta “società della prestazione” e del suo “soggetto di prestazione” contemporanei. Tra le più incisive, la seguente: “Il mito di Prometeo si presta a essere interpretato anche come una rappresentazione dell’apparato psichico dell’odierno soggetto di prestazione, il quale usa violenza a se stesso, fa guerra a se stesso. Il soggetto di prestazione che s’immagina libero, in realtà è incatenato come Prometeo. L’aquila, la quale si ciba del suo fegato che ogni volta ricresce, è il suo alter ego con cui egli è in guerra. Così inteso, il rapporto tra Prometeo e l’aquila è una relazione con il sé, un rapporto di autosfruttamento. Il dolore al fegato, di suo incapace di dolore, è la stanchezza. Prometeo viene colto così, come soggetto di autosfruttamento, da una stanchezza senza fine. Egli è l’archetipo della società della stanchezza” (tratto da Han B.-C., La società della stanchezza, cit., p. 9). 217 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 7. 218 La mia aggiunta è inserita solo per specificare il mio parziale disaccordo sull’affermazione data da Han (riprendendo Theodor Adorno) dell’arte. Concordo con lui quando nota e fa notare l’omogeneizzazione della gran parte dei prodotti artistici contemporanei e di come questi siano slegati dalle questioni dolorose e veramente macabre, ma che l’arte - nella sua totalità - debba esprimere solo quello, ecco, questo non mi pare del tutto corretto. La genesi e l’opera artistiche non per forza sono primariamente dolorose. 219 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., pp. 10-11.
102
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
dell’attività artistica, e l’artista sempre più non sa che farne; non piacciono quindi non funzionano. “Oggi l’arte viene costretta con tutte le forze nel corsetto del mi piace. [...] I prodotti culturali [...] devono assumere una forma che li renda consumabili, cioè compiacenti”220. Dolore, lutto e morte: anch'essi sono rifiutati nell'odierna nostra Eusonia. Anche in un’altra occasione, sempre Han sottolinea come morte e sofferenza vogliamo siano cose estranee dalla nostra vita, che quasi ci imbarazzano da come ne siamo travolti - non sapendole gestire - qualora ci colpiscano nel quotidiano. Difatti, i selfie non sono mai a lutto. La morte e la caducità sono loro fondamentalmente estranee. I funeral selfies rimandano all’assenza del lutto. Con ciò intendo i selfie scattati ai funerali, accanto alla bara, sorrisi sghembi nell’obiettivo. Un sogghignante Io sono scaraventato contro la morte. Potremmo anche chiamarla [non-] elaborazione digitale del lutto.221
Il nostro mortale timore contemporaneo è sottolineato anche da un autore come Peter Handke - e per gli anni in cui scrive è quasi profetico -, che è tra i pochi a non escludere mai il macabro ed il doloroso dalla sua prosa222 - che definire tale è riduttivo, dato che è alquanto poetica -: in primis, però, egli si prende dentro alla condizione attuale, anch’egli cerca rimedi ad una - anche sua - condizione (è uno di noi): “Non sono un «panteista» - ma talvolta (contro la morte) esalo un respiro panteistico”223. Ne è però più di altri consapevole, ci pensa, è per lui rilevante: “La sensazione più pura e più forte = la coscienza della morte (la mia «consapevolezza della realtà»: la coscienza di una morte incombente)”224. Se la società contemporanea sembra quindi caratterizzata da una forte volontà analgesica per quanto riguarda il generico dolore - nelle sue forme fisiche e più superficiali fino a quelle psichiche e più viscerali -, ecco che tanto 220 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 9. 221 Tratto da Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, Torino, 2022 (2021), p. 48. 222 Due esempi: sia nel romanzo I calabroni (1966) così come in Infelicità senza desideri (1972) il testo inizia con una morte. L’evento scatenante, traumatico è sempre mortale. E questo non è mai un semplice “fatto di cronaca” - come lo potrebbe essere per un qualsiasi investigativo -, bensì il motivo stesso della nascita del testo e della sua stessa struttura narrativa. 223 Tratto da Handke P., Il peso del mondo, Guanda, Milano, 2019 (1979), p. 173. 224 Tratto da Handke P., op. cit., p. 175. Si noti qui l’atteggiamento molto vicino ad alcuni scritti del Bushido, brevemente presentati in apertura (si veda Capitolo 02.3 Qualcosa in comune). 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
103
diversamente non si comporta nel suo rapporto con la morte, a ribadire ciò detto dall'inizio. D’altronde, “più la vita è sopravvivenza, più si ha paura della morte. In fin dei conti, l’algofobia è tanatofobia”225. È perciò importante per il futuro, a mio giudizio, che il tema della morte e del fine-vita cominci ad interessarci maggiormente: perché, dopo la grande lotta per un’educazione - cosa correttissima - in ambito sessuale (che ancora deve trovare reale applicazione), non cercare una maggiore educazione alla morte, o, meglio, alla mortalità? Ma la questione non è poi così inedita, per fortuna, al giorno d’oggi, anzi: cominciano a farsi numerose ed interessanti, oramai, le pubblicazioni nel cosiddetto ambito dei Death Studies, dibattito contemporaneo di matrice americana ma che dall’inizio degli anni Dieci del XXI secolo ha numerosi riscontri in Europa e nel mondo. Un testo per me molto interessante al riguardo è Pedagogia della morte, dell’italiano Roberto Maragliano, pubblicato per la prima volta nel 2012, che sfortuna vuole non abbia trovato grandissimo riscontro di pubblico e di critica, e vorrei - anche per questo motivo - soffermarmici per un attimo in questa sede, per il poco (in realtà molto) che può valere. Il lavoro di Maragliano penso sia considerevole perché, in primis, si pone l’obiettivo di educare226: infatti, egli si spreca e si rivolge non tanto ai giovani, ma per i giovani. Quest’ultimi sono - e se non lo sono vuol dire che il mondo intorno a loro gli è fortemente ostile - i meno interessati direttamente dalla morte, e così dev’essere, per mere esperienze di vissuto. Allo stesso tempo però, una società che non educa su certe tematiche ben poco può ambire a futuri rivolgimenti e cambiamenti di comune sentire all’interno di queste. Partire da una pedagogia penso - per mezzo delle parole di Maragliano - sia il giusto primo passo da muovere in qualsiasi campo; significa, in termini quasi girardiani, offrire parte del tempo presente in sacrificio per un migliore 225 Tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, cit., p. 22. 226 Sono numerosi gli autori che, ai giorni correnti, auspicano una maggior ricerca pedagogica in ambito doloroso, macabro e funebre. “Parlare del dolore invece, nominarlo, per renderlo meno ingovernabile nel suo accadere, per consentire una “familiarizzazione” (processo di coscientizzazione) con l’aspetto più delicato e difficile dell’esistenza umana, è condizione indispensabile per dare, o ridare, valore al dolore ed essere di aiuto al soggetto. Valore che non risiede in ciò che il dolore può insegnarci, il dolore in sé non è maestro, ma in ciò che, facendo di esso “buon uso”, il soggetto può imparare di se stesso e del mondo che, senza quel dolore, non avrebbe avuto modo di apprendere. In questo senso, il dolore può essere un apprendimento significativo. C’è pertanto bisogno di una pedagogia del dolore [...]” (tratto da Iaquinta T., Nominare il dolore per educare alla sofferenza, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, p. 14).
104
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
futuro. Fare quindi in modo che i giovani siano indirettamente interessati dalla morte227, ovvero educati nel suo ambito: d’altronde l’educazione non può che essere sempre e comunque la prima cosa: così come l’educazione sessuale deve - e dovrà sempre più - avvenire prima della fase adolescenziale, una “pedagogia della morte” deve arrivare prima che la morte interessi direttamente le vicende della vita del singolo. Tutto sarà altrimenti perlopiù vano. Dato che ci sentiamo così spesso dire che “non esistono domande stupide”, perché dovrebbero quindi permanere tabù nell’educazione? È controproducente. In secondo luogo, anch’egli conferma che non sempre la situazione è stata quella attuale, anzi: La difficoltà nell’affrontare il problema della morte con i bambini sta più nel come se ne parla che in quello che si dice loro. Gli adulti che evitano di parlarne ai loro figli temono, forse a ragione, di poter comunicare loro le proprie angosce e paure della morte. Viene da chiedersi se sia stato sempre così. La risposta non può che essere negativa. L’iconografia storica ed anche la letteratura documentano abbondantemente situazioni in cui il morente è attorniato da una comunità densa e partecipante, costituita da familiari, amici, conoscenti tra i quali stanno normalmente pure i bambini. Dunque, col passare del tempo ciò che prima era considerato normale, la familiarità del bambino con la morte, è diventato anormale, fino alla condizione attuale, in cui ci scopriamo un po’ tutti bambini, tenuti il più possibile fuori dalla scena della morte.228
O-scenità - “fuori dalla scena” - vietate, occultate; ma i proibizionismi non hanno mai portato da nessuna parte. Ora, sul come comportarsi il libro si sviluppa e si chiude, dato che “la morte la si affronta, la si fronteggia, ci si allea anche e soprattutto tramite cultura: cultura ricevuta e cultura prodotta”229. Una proposta interessante che l’autore dà, in maniera diversa da molti altri, per iniziare - anche con la giusta “seriosa leggerezza” - una futura pedagogia della morte, è quella che vede come protagonista il cinema230, che, richiamando a sé autori quali Edgar Morin ed André Bazin (1918-1958), egli considera potentissimo mezzo di visione del e dal mondo. Tramite il 227 L’autore apre poi un altro discorso curioso, ovvero quello della medicalizzazione analgesica dell'infante, che non ci facciamo alcun problema lo riguardi in tenerissima età - come il progresso scientifico c’ha permesso che sia, per nostra fortuna -, senza che nulla, come ad esempio il tema della morte, possa invece perturbarlo. 228 Tratto da Maragliano R., op. cit., p. 11. 229 Tratto da Maragliano R., op. cit., p. 27. 230 Al pari di cimitero e giardino, anche il cinema è, per Michel Foucault, luogo eterotopico: “L’e03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
105
[13]
106
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
cinema, nella maggior parte dei casi in maniera molto più divertita che non con un libro o con la musica, vediamo ma anche impariamo a vedere la vita che ci sta attorno. Primo passo verso una pedagogia accessibile, utile, diretta. Film come Le invasioni barbariche (di Denys Arcand, 2003) e - aggiungo io Melancholia (di Lars von Trier, 2011) [13], sono pensati come quel poco di miele che, in una scena di lucreziana memoria231, occorre mettere al bordo del bicchiere affinché il bambino riesca a bere l’amara medicina. Amara medicina stavolta non analgesica, ma perturbante. In chiusa a questo capitolo, una questione recentissima, anzi, attualissima, ovvero quella pandemica, inerente alla diffusione del virus Covid-19. Le epidemie contribuiscono a ridefinire i mores [i “costumi”], facendo affiorare dei rimossi dalle profondità della psicologia collettiva232. Il coronavirus non ha fatto eccezione, anzi. [...] Ciò che ha realmente scosso l’Occidente non è stata la crisi economica che il Covid-19 ha generato, quanto l’incontro con la morte, il suo ritorno sulla scena, l’impossibilità di differirla, la sua natura casuale e imprevedibile.233
Il virus ci ha ricordato e ri-gettato in faccia, spudoratamente, la nostra mortalità234. E come dall’alba dei tempi accade, quanto più grandemente abbiamo di fronte a noi la morte - e per questo basti anche solo pensare alle grandi epidemie che hanno devastato l’Europa nella sua storia, che forse abbiamo più chiara rispetto a quella di altri continenti [14] -, tanto più si fanno presenti nella popolazione istanze e spinte religiose, vere e proprie “impennate” del religioso235, cosa alquanto stravagante e, ritengo, pericoterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. [...] È così [ovvero come eterotopia] che il cinema riesce a costituire una particolarissima sala rettangolare in fondo alla quale, su uno schermo a due dimensioni, si vede proiettato uno spazio a tre dimensioni” (tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S., pp. 27, 28). 231 Lucrezio, De rerum natura - Libro I, I secolo a.C., vv. 935-939. 232 Sull’argomento si veda il lavoro di Collectif Malgré Tout / Collettivo Malgrado Tutto (tra i cui autori figurano Miguel Benasayag ed Angelique Del Rey), Piccolo manifesto in tempi di pandemia, 2020. 233 Tratto da De Ruvo G., Il virus del Metaverso. Se l’America fugge dall’inferno della Storia, articolo in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. 1/2022 - L’altro virus, GEDI, Torino, 2022, p. 41. 234 Si può dire che similmente fosse successo circa da una ventina di anni ad un lustro fa, con la ripresa elevata frequenza degli attacchi terroristici da parte di alcuni fondamentalisti islamici, questione che hanno toccato l’americana Judith Butler (n. 1956) in Vite precarie. I poteri del lutto e della violenza (2004), oltre che il nostro - oggi compianto - Roberto Calasso (1941-2021) in L’innominabile attuale (2017). Si veda anche di Rothstein K. e Staudt C., Living death: confronting mortality and associated practices of care, in Sitografia. 235 Si veda Snowden F.M, Storia delle epidemie. Dalla Morte Nera al Covid-19 (2020). D’altronde, “sarebbero i momenti di crisi [...] a spingere le collettività a cercare un senso di totalità della vita, 03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
107
[14]
108
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
03 - Verso Eusonia. L'Uomo e la Morte
109
losa (anche il messianico “Metaverso” zuckerbergiano è, da questo punto di vista, alquanto “religioso”236, lanciato, e non a caso, in pieno periodo pandemico). Questa riflessione, ovvero tutto ciò che ha preceduto queste poche righe conclusive, è dedicata e pensata all’Umano, la cui mortalità è peculiare, terrena - anzi, “terragna”, come direbbe qualcuno237 -, e, sopra tutto, necessaria238. Gli Altri-versi possibili non l’hanno interessata239. Quella è un’altra storia: egualmente valida, ma non più Umana240.
come fondamento d’una nuova stabilità, aderendo a movimenti politici che promettono di superare il caos in una dimensione più alta di ordine comunitario, operando come sistema di credenze religiose” (tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 113). 236 Si veda De Ruvo G., op. cit., pp. 42-43. 237 Il riferimento è al filosofo Byung-Chul Han che lo usa per rivolgersi alla filosofia di Martin Heidegger: la declinazione del termine la trovo particolarmente espressiva e, mi sarà qui concesso, bella. “Oggi l’ordine terragno, l’ordine della Terra, sta per terminare, sostituito dall’ordine digitale. Heidegger è l’ultimo pensatore dell’ordine terragno. La morte e il dolore non rientrano nell’ordine digitale. Rappresentano solo dei disturbi” (tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo smesso di vivere il reale, cit., pp. 62-63). 238 Si veda Capitolo 02. Un manifesto. Mettere le dita. 239 Tra le tendenze attuali, “quella di aumentare i meccanismi del vivente, la possibilità di vivere mille anni, se non addirittura di diventare immortali! Si tratta niente meno che della volontà di produrre una vita post-organica in cui si potranno oltrepassare i limiti dei corpi, per loro natura imperfetti e troppo fragili. L’accelerazione catastrofica dell’Antropocene negli ultimi trent’anni testimonia che gli effetti nefasti del “tutto è possibile” tecnicista che non soltanto ignora, ma calpesta le profonde singolarità dei processi organici” (tratto da Collectif Malgrè Tout / Collettivo Malgrado Tutto, Piccolo manifesto in tempi di pandemia, Nottetempo, Milano, 2020, p. 26). 240 Una società senza alcun tipo di dolore e malessere è quella immaginata e raccontata da Davide Pearce, The Hedonistic Imperative, 1995. Ma a quel punto, “L’essere umano si fa fuori per sopravvivere. Potrà forse raggiungere l’immortalità, ma al prezzo della vita” (tratto da Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo smesso di vivere il reale, cit., p. 79).
110
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[15]
112
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Intermezzo. Eusonia, o la società contemporanea
04
- ROVINE. Il simbolismo delle rovine è evidente e letterale: significano distruzione, vita morta. […] Le rovine sono un simbolo analogo a quello delle mutilazioni in ambito organico 1 - [15] *** Così come ci racconta lo stesso Italo Calvino nella rispettiva introduzione, una delle sue opere più famose - a cui farò ora riferimento per una breve digressione - ovvero Le città invisibili (1972) è nata per frammenti: è stata partorita a pezzi. Ebbene, questo intermezzo nasce molto similmente: l’ho ritenuto un frammento conciliatore del discorso a venire, ed allo stesso tempo conclusivo e di complemento al discorso intrapreso fino a qui. Utile, poi, a dare un titolo al lavoro. Un intermezzo di raccordo - e insieme apertura - con il quale affermare di come luoghi e costumi del presente fossero stati in qualche modo profetizzati, o più “scientificamente” previsti e dedotti, da una delle personalità letterarie più importanti del secolo scorso. Questo, anche per iniziare un processo che continuerò successivamente, che vuole cercare, con una certa dose di presunzione, spazi futuri in frasi già pronunciate2. Le città calviniane prese in esame sono due: Eusapia e Leonia, che, credo, considerate assieme potrebbero dar vita ad un’ulteriore città invisibile, Eus-onia, forse fedele specchio della società attuale: una società che, quindi, in parte profeticamente, Calvino aveva preconizzato. Partiamo dalla prima, chiamata Eusapia, che ben descrive il nostro attuale rapporto con il funebre, di cui riporto parziale narrazione: Non c’è città più di Eusapia propensa a godere la vita e a sfuggire gli affanni. E perché il salto dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti hanno costruito 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 385. 2 Si veda Capitolo 07. Prospettive. Sacro laico futuro.
113
una copia identica della loro città sottoterra. I cadaveri, seccati in modo che ne resti solo lo scheletro rivestito di pelle gialla, vengono portati là sotto a continuare le occupazioni di prima. [...] Ma pure tutti i commerci e i mestieri dell’Eusapia dei vivi sono all’opera sottoterra, o almeno quelli cui i vivi hanno adempiuto con più soddisfazione che fastidio [...]. L’incombenza di accompagnare giù i morti e sistemarli al posto voluto è affidata a una confraternita di incappucciati. [...] Dicono che ogni volta che scendono trovano qualcosa di cambiato nell’Eusapia di sotto; i morti apportano innovazioni alla loro città [...]. E i vivi, per non esser da meno, tutto quello che gli incappucciati raccontano delle novità dei morti, vogliono farlo anche loro. [...] Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a costruire l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città.3
I cittadini immaginari di Eusapia sono ravvisabili come “nostri contemporanei” in primis per la questione descritta in apertura: tendono infatti in qualsivoglia modo a sfuggire gli affanni. Ed anche la società di oggi tende, come abbiamo visto, a rifuggire dal dolore, pretende l’analgesico ovunque. In seconda istanza, conseguente alla prima, poiché si vuole che la vita sfugga al più grande degli affanni, ovvero la morte, tramite la continuazione dell’attività che fu propria di ognuno in vita: l’Eusapia dei morti è la copia fedele dell’Eusapia dei vivi ed anzi, con più precisione ancora, la necropoli eusapiana è la più felice faccia della sua sorella “dei viventi” (scrive infatti il Nostro: “[...] o almeno quelli [dei commerci e mestieri] cui i vivi hanno adempiuto con più soddisfazione che fastidio”). L’aldilà è voluto, in qualche modo, come un Eden: la morte è forzatamente vista come qualcosa che rimanda agli aspetti più apprezzabili della vita. È forzatamente piaciona. In terzo ed ultimo luogo, in Eusapia, è vicinissimo alla condizione attuale, cioè del XXI secolo, il rapporto di ogni individuo con il suo doppio-da-sé, della città stessa con il suo doppio-da-sé, con il suo doppione (che al giorno d’oggi permane come uso, ed è cercato, ad esempio, nella volontà spasmodica di apparire, o di fotografarsi, quasi a volersi dare costante conferma d’esser sani e vivi): potrà apparire idiota, ma è l’individuo vivo di Eusapia che vuole continuare ad esser-così dopo la morte, o il contrario? È la necropoli di Eusapia che vuole rassomigliare alla viva, o il contrario? Vogliamo, oggi, forse esser prodi in vita solo per meglio vivere nel mondo dei morti? - o il contrario?4 La seconda città che vorrei prendere in considerazione è Leonia, che altro non è che la perfetta descrizione dell’odierna società e cultura dei consumi: La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risve-
3 Tratto da Calvino I., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2021 (1972), pp. 107-108. 4 Come disse Euripide, “chi sa se la vita non sia morte e la morte vita?”.
114
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
glia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello di apparecchio. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. [...] Ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità. [...] Ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano [...]. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula [...]. Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano. [...] Un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.5
Credo che il perché Leonia rifletta in tutto e per tutto la società attuale6 non debba essere ulteriormente specificato - ché sarebbe come spiegare una battuta di spirito, o meglio, in questo caso, di black humour all’inglese. Aggiungerò solo che, tra la “roba” nei sacchi per le strade di Leonia che all’oggi si confondono con quelle di Eusapia -, tra le “cose allontanate” vi sono anche il dolore, la morte, il macabro. Anche questi sono rifiutati nell’odierna nostra Eusonia.
5 Tratto da Calvino I., op. cit., pp. 111, 112. 6 Si vedano, tra gli altri: Baudrillard J., La società dei consumi, 1970, ed i più recenti saggi di Han B.-C., La società della stanchezza, 2010, e La società della trasparenza, 2012. Il saggio Convivialità (titolo originale era Tools for conviviality) del viennese Ivan Illich (1926-2002) uscirà l’anno seguente alle Città invisibili di Calvino, nel 1973, opera dove si ritrovano alcune affinità di pensiero soprattutto per “città” come Eusapia. 04 - Intermezzo. Eusonia, o la società contemporanea
115
[16]
116
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
05
Parlando del rapporto tra l'Uomo e la Morte nel corso dei secoli, siamo giunti nei pressi delle mura “dell'odierna nostra Eusonia”. Ad Eusonia siamo entrati, l'abbiamo percorsa e poi visto cosa c'è lungo le sue strade, che Italo Calvino, circa cinquant'anni fa, aveva profetizzato. Ma ora, ecco, lì, al fondo della via che si è iniziata, uscendo dalle mura cittadine oltrepassate poco fa, un alto recinto, con alti muri circondati da cipressi. La strada è lunga, ma - si vede dal selciato - poco percorsa. Ci dirigiamo verso. Verso i luoghi della morte eretti “nell'odierna nostra Eusonia”.
05.1
Caverne - CAVERNA. [...] La caverna o antro, in quanto abisso interno alla montagna, è un luogo in cui il numinoso si manifesta e può essere accolto. [...] La caverna dipinta viene a essere così un santuario costellato di simboli che spiegano e rafforzano il simbolismo proprio 1 ***
Nell’antichità arcaica, i luoghi dell’inumazione erano perlopiù di matrice naturale, o perlomeno assumevano le sembianze di antri, grotte, caverne (ne sono un esempio le necropoli rupestri di Pantalica [16], composte da migliaia di grotte scavate all’incirca dal XIII all’VIII secolo a.C., nelle quali erano gettate le salme dei defunti). Solo successivamente a questa prima forma “pseudo-naturale” della 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 136.
117
necropoli si arriva alla grandiosità dei monumenti funebri che furono del popolo egizio, sumero e cretese, ma anche ittita, etrusco, inca ed azteco. Qui, immense piramidi - in forma regolare, di ziqqurat o mastaba - si ergevano ad imperitura memoria del fu re, e con queste altre forme di mausolei e labirinti. Un esempio italiano - nella fattispecie di matrice etrusca - di questo gigantismo magniloquente, che noi solitamente tendiamo ad associare di più all’esotico, lo si ha con ciò che resta delle tombe della Necropoli rupestre di Norchia2, vera e propria “città dei morti” interamente scavata nel tufo, pochi chilometri fuori Roma, tra Vetralla e Monte Romano. Come si diceva in precedenza riguardo al rapporto con la morte in tempi arcaici, quello del lutto era, rispetto all’odierno, un tempo lungo, un segmento. Questo anche perché la relazione con il defunto continuava oltre il termine della sua vita terrena, o meglio - il che è forse più appropriato - la “comunità dei defunti” ri-entrava ede influiva, spesso e volentieri, nelle decisioni della “comunità dei vivi”: Da un lato i morti dovevano essere tenuti lontani da dove si apparecchia la vita quotidiana, disponendo innumerevoli accorgimenti che permettevano o vietavano determinate azioni, dall’altro dovevano essere costantemente evocati. Il credere nella vita oltre la morte, nel suo trapelare nel visibile come dimensione invisibile, non riguardava bizzarre rappresentazioni, bensì organizzava un sistema simbolico su cui si pianificavano le relazioni del gruppo e della comunità.3
05.2
Montagne - MONTAGNA. […] Ciò viene confermato da Krappe, che afferma: “Spesso il paese dei morti è stato collocato all’interno di una montagna: da qui hanno origine le colline delle fate presenti nelle regioni celtiche e in Islanda; e ciò spiega pure la leggenda, diffusa in Asia e in Europa, del demiurgo o eroe addormentato all’interno di una montagna, da dove un giorno uscirà per
2 Si veda Necropoli rupestre di Norchia, in Sitografia. 3 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, Bollati Boringhieri, Torino, 2015, p. 77.
118
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
rinnovare le cose terrestri” 4 *** In ambito greco - preso a paradigma della successiva e vastissima cultura occidentale, allo stesso modo di tutte le culture dei popoli “mediterranei” l’usanza della sepoltura si è trasformata seguendo il grado di civilizzazione della società. Se durante la prima Età del bronzo (3400 a.C. - 2000 a.C. ca.) si erigevano monumentali tombe a tholos, ma anche si utilizzavano camere ipogee o ambienti cavernosi di origine naturale dove si scavavano semplici fosse nel terreno, si hanno le prime testimonianze di sepolcri - più propriamente intesi - durante il periodo cosiddetto “protogeometrico” (1200 a.C. - 900 a.C. ca.), durante il quale sembra che venissero collocate delle anfore decorate al di sopra di semplici tumuli funerari. Con il periodo definito come greco-arcaico (600 a.C. - 450 a.C. ca.), avviene una trasformazione particolare: Mentre forti somme di denaro vengono spese per la decorazione esterna del sepolcro, gli oggetti posti al suo interno, a beneficio dei defunti, diventano sempre più scarsi [...]. Anche quando le tombe architettonicamente più complesse prendono il posto della semplice collinetta sepolcrale, il principio dell’inumazione rimane costante: i defunti, infatti, vengono collocati sotto la struttura, non al suo interno.5
Tali strutture architettoniche diventano complesse e molto vistose, al punto che, per mezzo di un legiferare che si potrebbe definire “di funebre decoro” - cosa su cui sarebbe alquanto interessante riflettere anche al giorno d’oggi6 -, alla fine del VI secolo a.C. in Grecia vennero promulgate delle leggi santuarie, in base alle quali si limitava la quantità di denaro spendibile per il funerale e per la “lapide”. Una questione forse marginale ma che racchiude il significato di un’usanza che si segue in parte tutt’oggi: il mondo “classico” greco-romano sottolinea la continuità di status tra la polis - città dei vivi - e la necro-polis - città dei morti -; sono inoltre due culture del volto: la lapide tombale, nell’una e nell’altra, presenta molto spesso un ritratto del defunto. È anche questo parte del suo status, si tratta della sua riconoscibilità - fra tutti gli altri uomini, tra tutte le altre lapidi. 4 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 307. 5 Tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), p. 526. 6 Si veda Capitolo 07. Sacro laico futuro. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
119
Nella Grecia classica (450 a.C.-300 a.C. ca.) si protrae la tendenza vista precedentemente per quanto riguarda gli usi dell’inumazione nella Grecia arcaica e precedente, con la differenza sostanziale che viene sempre più accettata la massima glorificazione e quasi divinizzazione della figura del sovrano, per il quale il contenuto - seppur molto fastoso - sepolcro assume ora le proporzioni e la scala del mausoleo: Il mausoleo, che imita le forme dell’architettura domestica e sacra, prende il nome da Mausolo, sovrano di Caria nel IV secolo a.C. La più spettacolare combinazione dei vari elementi finora segnalati si incontra probabilmente nel monumento funebre di Antioco I di Commagene [17] (I secolo a.C.), costruito a Nimrud-Dagh, nell’attuale Turchia, sulle pendici della catena montuosa del Tauro. L’alto tumulo contenente la camera funebre si elevava al di sopra di tre terrazze sovrapposte ed era completato da alcune statue colossali: queste rappresentavano alcune divinità e lo stesso Antioco, anch’egli divinizzato, ed erano alte in origine tra gli otto e i dieci metri. Le terrazze erano adornate da varie figure della tradizione greca e persiana, tra cui un leone zodiacale che rappresentava l’oroscopo del sovrano.7
I sepolcri sovrani soffrono di gigantismo - e si erigono mausolei. Tale “grandioso uso” permarrà anche nella successiva cultura romana, dove magniloquenti tombe - in forma ed intenzioni di monumento - vengono erette anche da coloro i quali non fanno parte della élite imperiale, ad esempio dai membri della “borghesia” arricchita - anche se termine impreciso -, come nel caso della cosiddetta Tomba del Fornaio8 [18], a ridosso di Porta Maggiore a Roma (anche conosciuta come Sepolcro di Eurisace, costruita tra il 30 ed il 20 a.C., nel momento di passaggio tra età repubblicana ed augustea). Anche la successiva Biblioteca di Efeso (anche nominata Biblioteca di Celso), eretta in Turchia nel 107 d.C., viene eretta primariamente come monumento funerario in onore del defunto padre di Gaio Giulio Aquila - proconsole d’Asia -, per l’appunto Celso (Tiberio Giulio Celso Polemeano). In Grecia, anche nelle più parche morti delle persone comuni, però, il rituale d’inumazione godeva di una certa dose di complessità, nei tempi come nei modi: difatti, la salma del defunto veniva primariamente lavata e rivestita, come a prepararsi per l’ultimo, più importante appuntamento della sua vita. “Gli Ateniesi avevano tanto rispetto per la sepoltura che persino un comandante, se avesse dimenticato di seppellire con onore i caduti
7 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 526. 8 Si veda Sepolcro di Marco Virgilio Eurisace, in Sitografia.
120
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[17]
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
121
in battaglia, veniva punito con la pena capitale”9. La veglia funebre perdurava per due giorni e due notti; inoltre, la casa del morto era addobbata di corone d’alloro nel mentre le donne della famiglia lamentavano canti e nenie funebri, fino a quando non sopraggiungeva il momento, ch’è sacro apice, della sepoltura o della cremazione, eseguite prima dell’alba, al termine di una lunga processione durante la quale la salma era portata dall’abitazione - luogo di morte - verso la necropoli - luogo di “nuova vita”10. I luoghi delle sepolture nella Grecia antica erano, molto similmente alla storia romana antica - in parte parallela -, di diversissima natura, quasi sempre al di fuori dell’abitato, come suggeriva lo stesso Platone all’interno delle Leggi11: I luoghi delle sepolture furono di varia natura in epoca antica. Secondo una legge pontificia era vietato costruire un sepolcro in un luogo pubblico. Secondo Platone un uomo non deve essere in nessun modo (néda vivo, né da morto) nocivo alla comunità; perciò prescriveva di seppellire i defunti fuori dalla città, esclusivamente in un campo che fosse quasi sterile. [...] Altri, al contrario, conservarono in casa i cadaveri imbalsamati con gesso e sale. Micerino, re degli Egiziani, tenne la salma della figlia dentro un bue di legno in una sala della sua reggia [...].12
In ambito romano, tali usi funebri permangono molto simili ma si fanno provvedimenti. Le Dodici Tavole13 prescrivevano di non seppellire i corpi dei defunti all’interno della città e di non bruciarli, così come imponevano pene molto gravi a coloro che avessero disonorato la memoria degli antenati sfregiandone una statua o un busto funerario, ad esempio. Il mondo dei vivi doveva essere separato da quello dei morti. [...] Il codice teodosiano [438 d.C.] ripete lo stesso divieto, perché sia preservata la sanctitas delle case degli abitanti. La parola funus significa insieme il cadavere, i funerali e l'assassinio. Funestus indica la profanazione provocata da un cadavere. Per questa ragione i cimiteri erano situati fuori delle città, sul margine delle strade, come la Via Appia a Roma, gli Alyscamps a Arles. San Giovanni Crisostomo [344/354-407 d.C.] provava la stessa repulsione dei suoi avi pagani quando, in un'omelia, esortava i cristiani ad opporsi a un'usanza nuova e ancora poco diffusa: «Guardati dall'innal9 Tratto da Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Libro VIII- L’ornamento degli edifici pubblici profani, Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V., p. 304. 10 Si veda il capitolo Canoni funerari arcaici, in Testoni I., op. cit., pp. 76-79. 11 Si veda Platone, Leggi, Libro XII, 958d. 12 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 305. 13 Le leggi delle Dodici Tavole sono un corpo di leggi compilato intorno al 451-450 a.C., una tra le prime forme di codificazione scritta del Diritto Romano.
122
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[18]
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
123
zare una tomba in città. Se si deponesse un cadavere là dove dormi e mangi, che cosa faresti? [...]»14
Racconta anche l’Alberti nel suo De re aedificatoria (1452): Secondo un antichissimo senatoconsulto si disponeva, a misura cautelativa, di non seppellire nessun morto dentro il perimetro della città, fuorché le vergini vestali e l’imperatore (i quali non sottostavano alle leggi). Plutarco racconta che ai Valeri e ai Fabrizi era possibile come titolo onorifico seppellire i loro morti nel Foro; i loro successori dopo averli portati lì, non appena collocata la fiaccola, li trasportavano subito via mostrando che, pur potendolo fare, non volevano.15
Essi collocavano, di fatto, le salme dei defunti all’esterno della città abitata, in luoghi all’aperto, il più delle volte lungo le strade che portavano all’urbe, e facevano in modo che questi fossero di ottima fattura. I sepolcri avevano lineamenti raffinatissimi; le colonne erano in grande quantità [...]. I viaggiatori, quando passavano per la via Appia o per qualunque altra via militare, non potevano distrarsi in modo migliore se non osservando i monumenti di cui queste erano straordinariamente ricche [...].16
In altre occasioni, pare che i sepolcri più illustri venissero posizionati in cima a delle colline se non, addirittura, a dei monti, in luoghi ben visibili. O, ancora diversamente, “al tempo dello storico Strabone [60 a.C. - 21-24 d.C.], gli Alessandrini avevano spazi recintati e giardini dedicati alla sepoltura dei corpi”17. La salma del defunto diventa gestita, nel senso di un suo rapportarsi alla comunità tutta (come si vedeva, difatti, la morte romana si distingue rispetto a quella greca in quanto diviene questione civica, e non rimane solo privata). Nell’antica Roma, l’amministrazione funeraria ormai era giunta al proprio equilibrio rituale e organizzativo, tanto che veniva affidata ai collegia funeraticia, i precursori delle onoranze funebri odierne. Il rito prevedeva, come per quelli greci, la partecipazione di musici, di danzatori e di prefiche, ovvero di professioniste del pianto rituale, la cui presenza si è poi estesa in tutta l’area del Mediterraneo, e di cui rimane traccia anche in alcuni dialetti italiani: piagnone (Piemonte), piansune (Lombardia), repute (Molise), attittadoras (Sardegna), chiangiamurti (Puglia), chiagni-
14 Tratto da Ariès P., Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano, 2019 (1975), pp. 26-27. 15 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 301. 16 Tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 301, 302. 17 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 305.
124
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
tare (Calabria). [...] Le cure dedicate alla salma non erano solo trattamenti per permettere al defunto di accedere alla perennità, bensì strategie per trasformare i suoi resti in simbolo, attraverso l’ambivalenza del suo esser qualcosa che si può vedere e al tempo stesso si deve nascondere.18
Il sepolcro rappresenta all’epoca, non solo per il singolo ma per la comunità tutta, un motivo di gloria e di ammirazione nei riguardi di coloro che hanno fatto la storia della città - se non dell’Impero - prima di loro. Diffuse nell’Impero romano, così come nel vicino Oriente Antico, erano anche le tombe a forma di torre, decorate all’esterno con vari simboli della mitologia e ospitanti all’interno una o più camere sepolcrali: il riferimento è sempre il modello primordiale della montagna cosmica, punto di unione tra umano e divino, tra Terra e Cielo, questione presente in differenti declinazioni in tutte le tradizioni e culture - oltre che religioni -, spesso associata a quella dell’Albero del mondo (o asse cosmico), difatti: Mosè salì sul monte Sinai per incontrarsi con il divino e per ricevere la legge sacra, la norma che avrebbe istituito il legame tra gli Ebrei e il loro Dio. Gli antichi Greci credevano che gli dei abitassero sul monte Olimpo, dalla cui cima sempre avvolta di nubi Zeus scagliava i fulmini e comunicava i suoi voleri ai mortali. Sia i buddhisti che gli induisti venerano il mitico monte Meru, alto più di 135.000 chilometri, che considerano l’asse verticale del cosmo e che collocano a nord dell’Himalaya. Gli scintoisti del Giappone venerano il monte Fuji, che essi giudicano il centro del mondo, il custode della nazione e la sede terrena del dio supremo.19
Non propriamente a torre anche se sviluppata in altezza, ma a forma di piramide, è il monumento funebre a Caio Cestio20 [19], a Roma, costruito negli stessi anni della citata Tomba del Fornaio Eurisace (tra il 18 ed il 12 a.C.), in una “maniera egizia” derivante - con tutta probabilità - dall’appena ottenuta conquista del Regno d’Egitto nel 30 a.C., che da lì in poi è provincia romana21. Proprio gli Egiziani sono, differentemente dalla “prima Roma” repubblicana molto più parca e moderata negli usi, coloro che osavano costruire i loro sepolcri con più riguardi e fasti: tale questione può, 18 Tratto da Testoni I., op. cit., p. 78. 19 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 527. 20 Si veda Piramide di Caio Cestio, in Sitografia. 21 Cosa non molto differente capita una seconda (piuttosto nota) volta nella storia: si diffuse un cosiddetto “gusto egizio” - soprattutto per quanto riguarda catafalchi funerari, monumenti e steli cittadine - nella prima metà dell’Ottocento, in particolare in Francia ed Italia, successivamente alla napoleonica Campagna d’Egitto (1798-1801). Per la questione si veda Palazzotto P., Architetture funerarie effimere a Palermo, capitolo in Giuffrè M., Mangone F., Pace S., Selvafolta O. (a cura di), L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città - 1750-1939, Skira, Milano, 2007, pp. 57-65. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
125
[19]
126
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
di fatto, aver influenzato l’epoca imperiale romana successivamente, in cui l’Egitto era provincia. [Negli Antichi] i governanti convenivano che in una cosa per sua natura comune a tutti non ci fosse disparità di fortuna, ma tutti i sepolcri fossero uguali sia per la plebe, sia per i più ricchi22. Così, seguendo un antico costume, si riteneva giusto ricoprire i corpi con la nuda terra, dal momento che essi, avendo avuto origine da quella, era come se ritornassero nel grembo materno23; si stabilì poi che nessun sepolcro fosse più laborioso di quanto potessero fare dieci uomini in tre giorni. Gli Egiziani costruirono i sepolcri con maggior zelo degli altri; predicavano, infatti, che l’umanità sbagliava a edificare sontuose dimore dove avrebbe vissuto per brevissimo tempo, trascurando al loro posto i sepolcri dove avrebbe riposato molto più a lungo. [...] Detesto quei sepolcri portentosi costruiti dagli Egiziani, irrispettosi persino degli dei, visto che nessuno di loro fu sepolto in tombe tanto fastose.24
Connesso all’ambito funebre era l’altare: questo poteva essere di tre tipi, ovvero a) rialzato - sul quale si eseguivano sacrifici per gli dèi del cielo -, b) scavato o a pozzo (dal lat.: mundus, da cui il famoso mundus patet o mundus cereris)25 - destinato a ricevere le offerte per gli dèi sotterranei -, oppure c) a livello del terreno - per le offerte agli dèi della terra -; talvolta poteva capitare che, però, lo stesso tumulo funerario fungesse da altare, luogo sacrificale per le offerte al defunto26, in una forma commista tra il secondo ed il terzo “tipo” di quelli enunciati. [...] Da questi fatti deriva la congettura che gli Antichi avessero stabilito di collocare nel sepolcro non solo tumuli o colonnine a scopo di copertura e segnalazione, ma anche degli altari per poter celebrare con dignità il rito, che nel tempo resero bellissimi e raffinati in ogni loro componente.27
Il defunto veniva, quindi, trattato sacralmente, a lui venivano offerti doni, per lui avevano luogo sacrifici. Merita momentanea attenzione, in ultima istanza per quanto riguarda 22 Tal cosa possiamo immaginare non sia effettivamente mai accaduta, ma le intenzioni dell’Alberti sono quelle di farci intuire la sua presa di posizione dalla parte di questi Antichi che, alla luce del discorso in merito all’Egitto, possiamo affermare appartenenti più alla Roma repubblicana che a quella imperiale. 23 Si notino, anche in questo frangente, le affinità con quanto detto in merito alla cosiddetta Grande Madre al Capitolo 03.1 Ritorno al ventre. 24 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 304. 25 Si veda Capitolo 03.3 Fondazioni. 26 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 19, 20. 27 Tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 305, 307-308. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
127
l’antichità, la riflessione dell’Alberti che parla - rifacendosi a svariate fonti - di come gli “Antichi” costruissero, per gli ammalati ed i maldisposti, luoghi al di fuori della città murata che sembrano anticipare alla lettera le successive descrizioni settecentesche dei luoghi dei cimiteri, in particolar maniera post-Editto di Saint-Cloud28. Gli Antichi costruivano i templi dedicati a Esculapio, Apollo e Salute (divinità alle cui arti essi attribuivano la più piccola causa nel recuperare e nel preservare la salute) in luoghi assolutamente sani, con abbondanza di aria pura e acque limpidissime, in modo che i malati lì trasportati guarissero più prontamente non solo con l’aiuto degli dei, ma anche grazie al benefico clima dei luoghi. Per prima cosa sceglieremo [per l’Alberti gli Antichi sono ad exemplum] di collocare i ricoveri pubblici o privati nei luoghi più salubri che ci siano. I più adatti sono, forse, quelli asciutti, rocciosi, battuti spesso dal vento e non scottati dal sole, ma rischiarati da un clima mite; si scartino invece quelli umidi, dal momento che generano putredine.29
Quella che sarà la futura “città dei morti” era già da tempo abitata30.
05.3
Gravitare intorno ai santi - SOLE. All'interno della teogonia esprime il momento di massima attività eroica nella trasmissione e successione di poteri che avviene attraverso le generazioni delle divinità. [...] Il culto degli antenati si lega a quello solare, per assicurare loro una protezione e un simbolo di salvezza 31 ***
Nel corso dei secoli successivi, gli usi e costumi “degli Antichi” si trasfor28 Si veda Capitolo 05.9 Formalizzazione di una svolta. 29 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 176. Si veda la netta somiglianza con la descrizione proposta dal Milizia circa tre secoli dopo, al Capitolo 05.8 Il Cinico “oltre i Lumi”. 30 Da notare la grande differenza tra Quattrocento e, successivamente, Settecento: i luoghi “dei contagiati” di cui parla l’Alberti - ed è chiaro anche in quanto compaiono nell’omonimo Libro V dei dieci - sono opere private (in quanto erano casi tipicamente associati ed affidati al clero); i cimiteri, soprattutto dall’Editto del 1804 in poi, saranno invece opere pubbliche. In realtà una mezza smentita - a confermare la natura ancora “ibrida” dei sepolcri tra Quattro- e Cinquecento - arriva poco dopo: “I sepolcri sono vicini all’essere considerati opere pubbliche, poiché riguardano la religione” (tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 302-303). 31 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 421, 422.
128
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
mano, e le sepolture che inizialmente erano poste extra moenia cominciano ad avvicinarsi alla città. Questo fatto è dovuto, nell'interessante lettura di Ariès, ad una pratica di origine cristiana non-continentale, nella fattispecie un'usanza nord-africana, ovvero quella di seppellire ad sanctos (“vicino ai santi”), che si diffonde a partire dalla metà del VI secolo e diventa regola per tutto l'arco del Medioevo europeo. Questo è cominciato non tanto col cristianesimo, bensì con il culto dei martiri, di origine africana. I martiri erano sepolti nelle necropoli extra-urbane, comuni ai cristiani e ai pagani. I luoghi venerati dei martiri attirarono a loro volta le sepolture. [...] Gli scavi delle città romane d'Africa o di Spagna ci mostrano uno spettacolo straordinario, che altrove è cancellato dalle costruzioni posteriori: sarcofagi di pietra ammonticchiati l'uno sopra l'altro, che circondano in particolare le mura dell'abside, le più vicine alla confessione. Quest'affollamento testimonia la forza del desiderio di essere sepolti vicino ai santi, ad sanctos.32
Tale pratica trova formale attuazione in un evento del 540 d.C., data che potrebbe considerarsi di rottura rispetto alle “vicende del seppellire” precedenti. Se, fino a questo momento, solo nei sobborghi cittadini si usava seppellire vicino ai luoghi della vita - o morte - dei martiri33, ecco che dalle vicende di san Vaast (anche chiamato Gastone di Arras, o Vedasto, 453-540 d.C.) in poi sarà sempre più diffusa tale “maniera del seppellire” lungo tutto l'arco del “cattolicissimo” Medioevo del Vecchio Continente, lungo all'incirca un millennio. Venne un momento in cui la distinzione tra i sobborghi dove si seppelliva ad sanctos, perché erano extra urbem, e la città sempre vietata alle sepolture, scomparve. Sappiamo come questo si è verificato ad Amiens nel VI secolo: il vescovo san Vaast, morto nel 540, aveva eletto la sua sepoltura fuori della città. Ma, quando i portatori cercarono di spostarlo, non riuscirono a smuovere il corpo divenuto d'un tratto troppo pesante. Allora l'arciprete pregò il santo di ordinare «che tu sia portato nel luogo che noi [cioè il clero della cattedrale] abbiamo preparato per te». E interpretava bene la volontà del santo; difatti il corpo divenne leggero. Perché il clero potesse così aggirare il divieto tradizionale e prevedesse di conservare nella cattedrale le sacre tombe, e le sepolture che queste avrebbero atturato, bisognava che l'antica repulsione fosse molto affievolita. La separazione tra l'abbazia cimiteriale e la chiesa cattedrale era dunque cancellata. I morti già mescolati agli abitanti dei quartieri popolari dei sobborghi, che erano sorti intorno alle abbazie,
32 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 27. 33 Riguardo alla facilità del religioso di trovare “luoghi sacri”, si veda il Capitolo 07.1 Sacro religioso e sacro laico. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
129
penetravano così nel centro storico delle città. Ormai non c'era più differenza tra la chiesa e il cimitero.34
Il cimitero sfonda così le mura urbane, ed entra a far parte della città - il Cavallo di Troia, stavolta, è un santo vescovo francese. Ecco che la chiesa - da intendersi non solo come lo spazio architettonico introverso e delle mura del tempio cristiano, ma anche tutto lo spazio intorno a questo, il suo areale cittadino -, che all'interno ospita sempre più spesso le reliquie dei santi martiri, diventa il centro gravitazionale delle sepolture. Quest'ultime si distinguono in differenti tipi, a seconda della loro posizione rispetto, per l'appunto, all'architettura del tempio: si hanno così sepolcri e lapidi dentro la chiesa (intra ecclesiam), di fianco le mura o tutt'intorno (in porticu) o sotto le grondaie (sub stillicidio). Usi nuovi - e diversificati - che plasmano la forma, sia mentale e verbale che fisica, del cimitero per come lo conosciamo anche tutt'oggi - quindi quello affermatosi a partire dal Settecento, che in realtà affonda le sue radici in questi secoli. Ad esempio, il gesto architettonico a richiamare le medievali sepolture nelle nicchie lungo le fronti esterne delle chiese sarà ripreso in molti progetti dei più noti cimiteri monumentali, cosiddetti, tardo-settecenteschi ed ottocenteschi. Un esempio è il progetto di Andrea Vici (1743-1817) per il nuovo grande cimitero comunale di Roma: [...] il recinto che racchiude i campi delle sepolture, situato a una quota inferiore rispetto all’esedra d’ingresso, è invece caratterizzato da una teoria di pilastri tra i quali vengono disposte le tombe più importanti, non a caso rappresentate come catafalchi incassati, memoria dell’usanza medievale di porre le sepolture in sarcofagi collocati in profonde nicchie scavate lungo le pareti esterne della chiesa, a simboleggiare, ispirandosi ai temi dell’arco onorario, il trionfo dell’uomo sulla morte.35
Ma torniamo ora ai secoli di competenza in sommarie righe. Per quanto riguarda le modificazioni dal punto di vista lessicale, racconta Ariès che: Il termine «cimitero» finì per indicare più particolarmente la parte esterna della chiesa, l'atrium (in francese aître). Aître, perciò, è una delle due parole utilizzate dalla lingua corrente per designare il «cimitero», termine che appartiene piuttosto, fino al XV secolo, al latino dei chierici. [...] Aître è scomparso dal francese moderno. Ma il suo equivalente germanico è rimasto in inglese, in tedesco, in
34 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 27-28. 35 Tratto da Bertolaccini L., I cimiteri a Roma nel periodo napoleonico, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 111.
130
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
olandese: churchyard. C'era un'altra parola, impiegata in francese come sinonimo di aître: charnier (ossario). Lo si trova già nella Chanson de Roland [...]. È interessante osservare che, nella mentalità degli antichi, l'edificio funerario - tumulus, sepulcrum, monumentum, o più semplicemente loculus - contava più dello spazio che occupava, meno ricco dal punto di vista semantico. Nella mentalità medievale, invece, lo spazio chiuso che comprende le sepolture conta più della tomba.36
Dal punto di vista, invece, delle forme architettoniche e degli spazi connessi all'ambito cimiteriale - o, a questo punto, dell'atrio della chiesa -, ecco che si tende verso gli spazi rettangoli e porticati che contraddistingueranno anche la tradizione moderna e contemporanea dei cimiteri, forse ancor più che la medievale stessa, dove la questione ha avuto origine. In origine charnier era sinonimo di aître. Alla fine del Medioevo, venne a designare solo una parte del cimitero, cioè i porticati che correvano lungo il cortile della chiesa e che erano sormontati da ossari. Nel cimitero degli Innocenti, nella Parigi del XV secolo, «c'è un grande cimitero molto vasto racchiuso da case chiamate charniers, dove sono ammucchiati i morti». Si può allora immaginare il cimitero così com'era nel Medioevo e ancora nel XVI e XVII secolo, fino all'Illuminismo. È sempre nel cortile rettangolare della chiesa, il cui muro occupa di solito uno dei quattro lati. Gli altri tre sono spesso guarniti di arcate o charniers. Al di sopra di queste gallerie, si trovano gli ossari, dove crani e membra sono disposti con arte [...].37
Ancora una volta, esibizione di ossa, dagli scopi - anche - di natura pratica: a riempire i charniers, infatti, era ciò che di “bianco e minerale” rimaneva nelle fosse comuni del cimitero, le fosse della gente comune e dei poveri, che vi erano gettati semplicemente avvolti in un sudario, senza nessuna bara. Quando la fossa era piena la si svuotava, si portavano le ossa negli ossari, recuperando lo spazio sotterraneo per le inumazioni a venire. Per quanto riguarda i più ricchi, essi erano seppelliti intra ecclesiam, al di sotto delle lastre della pavimentazione - pur sempre ad sanctos. “Il corpo era affidato alla Chiesa. Non importava che cosa ne facesse la Chiesa, a patto che lo conservasse nel suo sacro recinto”38. Di fatto, quindi, fino all'incirca al XVII secolo, non importava molto riguardo l'esatta e specifica destinazione delle ossa - ovvero di tutto ciò che rimane del corpo dopo la sua prima decomposizione -: la cosa fondamen36 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 29, 30. 37 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 30. 38 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 31. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
131
tale è che rimanessero nell'intorno della chiesa. Più queste sono vicine e prossime al corpo dei martiri e dei santi, più l'anima di colui che da tali ossa fu sorretto in vita sarebbe stata vicina alla salvezza - per una prossemica della salvezza. L'importante è che le ossa gravitino intorno ai santi.
05.4
La Via delle Tombe - PIETRA. [...] Per durezza e durata la pietra ha sempre affascinato gli uomini, che vi hanno visto l'opposto dell'organico, che è soggetto alle leggi del cambiamento, del decadimento e della morte [...]. La pietra intera era simbolo dell'unità e della forza; la pietra in frantumi, invece, dello smembramento, della disgregazione psichica, della malattia, della morte e della sconfitta 39 ***
Durante lo spiritualissimo Medioevo, ciò da seppellire sono innanzitutto le ossa - nella tradizione, sede dell’anima -: è per questo che, ad esempio, era comune, nello sfortunato caso in cui qualcuno di ragguardevole fosse morto ben lontano dalla sua residenza, tagliarne a pezzi il corpo, questi bollirli in maniera tale che si distaccasse la carne dalle ossa, e spedire quest’ultime al paese d’origine o di residenza, in maniera tale che fossero solennemente seppellite; viscere e carni si seppellivano invece nel luogo della morte (pratica che sarà poi proibita per mezzo di numerosi decreti papali da parte di Bonifacio VIII intorno al 1300, ma che rimarrà nell’uso comune fino al Cinquecento)40. Un’interessante narrazione del cambio di gusto, in ambito sepolcrale, che intercorre tra i secoli XIII-XIV ed il successivo XV è quella operata da John Ruskin (1819-1900) alla metà esatta dell’Ottocento. In chiosa al suo The Stones of Venice (Le Pietre di Venezia), che trova le stampe tra il 1851 ed il 1853, lo scrittore inglese racconta - nei suoi termini e per mezzo dei suoi personalissimi giudizi, che contribuiscono alla creazione dell’ancora 39 Cirlot J.E., op. cit., p. 357. 40 Si veda Huizinga J., Autunno del Medioevo, Rizzoli, Milano, 1998 (1919), pp. 194-195.
132
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[20]
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
133
attuale “mito veneziano”41 - questo cambio di gusto nell’arte delle tombe veneziane tra la fine del periodo medievale e l’inizio della “Rinascenza”42. A suo modo di vedere, tale cambio di gusto nell’architettura e nella scultura delle tombe all’interno delle chiese veneziane - discorso che si può, con i dovuti riguardi, estendere alla cultura nord-italica di quel momento storico - si deve ad un cambio di approccio nei confronti della fede e della vita. Ad esempio, parlando della tomba del doge Michele Morosini, rimasto in carica per pochi mesi e morto nel 1382 [20], così si esprime: Tutto l’insieme della tomba è molto bello e ci offre un bell’esempio del passaggio dal puro stile gotico a quello del Rinascimento, dalla calma pura del cristianesimo primitivo alla vanagloriosa pompa del Rinascimento privo di fede. Qui l’umiltà cristiana ancora trionfa nel mosaico che rappresenta il Doge inginocchiato innanzi alla Croce, e nello stesso tempo sorge la tendenza della fiducia in se stessi.43
Il sepolcro del Morosini è uno degli ultimi esempi, quindi, a detta di Ruskin, delle “autenticamente cristiane”44 tombe tardo-medievali, che verranno “corrotte” a partire, all’incirca, dal Quattrocento, quando, più che a ricordare la vita devota e cristiana dei dogi, dei cavalieri e degli uomini nobili, i monumenti funerari si fanno pomposi, fastosi e fine a se stessi, banalizzando quella della morte come un’occasione come tante altre - in vita - di esternare il prestigio della famiglia o le qualità individuali. Questo poiché, nel corso di questo cambiamento del comune sentire, “più diveniva insolente l’orgoglio di vivere e più diveniva servile la paura del morire”45. Tal cosa è resa evidente al cuore del suo discorso, passo di esemplare chiarezza in cui il Nostro parla, nella fattispecie, delle fattezze del sarcofago, all’interno del più grande monumento funebre; facendolo, traccia una sorta di sua “breve storia” di quest’ultimi tra il XIII ed il XIV secolo. Ma il cambiamento più significativo, rispetto all’oggetto immediato delle nostre ricerche, ha luogo nella forma del sarcofago. Ho già notato che, esattamente in proporzione al grado di orgoglio della vita espresso nel monumento, aumenta la paura della morte. E quindi più queste tombe aumentano di splendore, di grandiosità e di bellezza e più si osserva un graduale desiderio di toglier via il ben defi41 Si veda John Ruskin. Le Pietre di Venezia, in Sitografia. 42 Si veda il Capitolo XII - La Via delle Tombe, in Ruskin J., Le Pietre di Venezia, Rizzoli, Milano, 2020 (1851-1853), pp. 298-320. 43 Tratto da Ruskin J., op. cit., p. 310. 44 “[...] A me sembra che che il tipo perfetto di tomba cristiana si raggiunge solo nel XIII secolo: un sarcofago posto in alto, con sopra una statua giacente ed un baldacchino” (tratto da Ruskin J., op. cit., p. 299). Questa era, nell’idea di Ruskin, la più elevata e riuscita realizzazione della umile sepoltura cristiana. 45 Tratto da Ruskin J., op. cit., p. 298.
134
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
nito carattere del sarcofago. Nei tempi più antichi esso era, come abbiamo veduto, un cupo ammasso di pietra; poi cominciò ad essere decorato con sculture di carattere religioso, ma fino alla metà del secolo XV non si tentò mai di nasconderne la forma originaria. A quest’epoca, dopo essersi coricato di decorazioni d’ogni sorta, ad essersi nascosto dietro le Virtù, comincia a perdere la sua forma a quattro lati e si viene modellando sui graziosi tipi delle urne antiche, fino a che diventa un semplice piedistallo che sorregge la statua del defunto. Ed anche la statua subisce allo stesso tempo una strana metamorfosi; e cioè torna in vita attraverso una curiosa serie di transizioni. Il monumento Vendramin [21] è uno degli ultimi che mostra, o pretende mostrare, la figura giacente nell’atteggiamento della morte. Pochi anni più tardi, questa idea diventa sgradevole alle menti raffinate, e le figure che prima giacevano sul sarcofago, cominciano a mettersi in ginocchio ed a guardarsi intorno. L’anima del secolo XVI non osava contemplare il suo corpo nella rigidità della morte.46
Il discorso dell’Inglese sulla “Via delle Tombe” continua e si conclude in questo costante andirivieni di confronti: tra il parco ed il fastoso, tra la Croce e le Virtù, tra la modestia e la vanagloria. La lettura di Ruskin, di fatto, era influenzata dal fatto di parteggiare per una visione del cristianesimo più arcaica e “originale” di quella cinque-seicentesca che poi è ancora andata trasformandosi verso i suoi giorni: ma all’interno del discorso tracciato in questi capitoli - che, al contrario, non vuole emettere giudizi -, il personaggio di Ruskin è sicuramente utile allo scopo di farci rammemori di questo cambiamento intercorso agli albori dell’epoca moderna, in cui Venezia è una quinta scenica circoscritta, ma che occorre ad intendere un’avvenuta svolta nel comune sentire nei riguardi della morte e dei suoi defunti. Abbiamo bisogno di continuare ancora su questo argomento per conoscere le ragioni della caduta di Venezia? [...] «Tu dicesti: “lo comanderò sempre” e non ponesti queste cose nel tuo cuore... Il tuo sapere e le tue cognizioni ti hanno pervertito e ti sei detto: “Io sono e non vi è nessun altro all’infuori di me!” Quindi il male cadrà su di te...»47
Ritorniamo ora, però, dopo questa “inglese digressione veneziana” in merito al “ricco” seppellire intra ecclesiam, sulla scìa del discorso intorno al cimitero come luogo urbano affermatosi a partire dal Medioevo, più precisamente dopo che nel 540 quel santo vescovo di nome Gastone - o Vedasto, o Vaast, insomma, il cristianissimo Cavallo di Troia che fece breccia nelle mura della città “Antica” -, più per volontà altrui che per la sua, cambia le maniere del seppellire occidentale (si accetti la breve banalizza46 Tratto da Ruskin J., op. cit., pp. 316-317. 47 Tratto da Ruskin J., op. cit., p. 320 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
135
[21]
136
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
zione). Ebbene, è da sottolineare - perché di massima importanza, e distanza, rispetto agli usi normati successivi - come il cimitero diventi in questi secoli un luogo, prima ancora che religioso e funebre, pubblico. Il camposanto, ovvero il cortile e l'intorno delle chiese cittadine, inizia ad aver a che fare - sempre seguendo la riflessione di Ariès che a sua volta segue Du Cange - con il concetto di asilo (lett.: “non posto a sacco”, “inviolabile”, “sacro”; composto di a- privativa e sylao, “togliere a forza”, “rubare”). Il fatto che i morti fossero entrati in chiesa e nel cortile della chiesa non impedì né all'una né all'altro di diventare luoghi pubblici. La nozione di asilo e di rifugio è all'origine di questa destinazione non funeraria del cimitero. [...] Il cimitero non era sempre necessariamente il luogo in cui si seppellisce, ma poteva essere, a parte ogni destinazione funeraria, un luogo d'asilo, ed era definito dalla nozione d'asilo: azylus circum ecclesiam. Così, in questo asilo detto cimitero, ospitasse o no le sepolture, venne deciso di costruire case d'abitazione48. Il cimitero finì allora per indicare, se non proprio un quartiere, almeno un isolotto di abitazioni che godevano di certi privilegi fiscali o demaniali. Infine, quest'asilo divenne un luogo d'incontro e di riunione, come il Foro dei Romani, la Plaza Major o il Corso delle città mediterranee, per i commerci, per le danze e i giochi, o semplicemente per il piacere di stare insieme. Lungo i cimiteri, s'installavano talvolta botteghe e mercanti. Nel cimitero degli Innocenti gli scrivani pubblici offrivano i loro servizi.49
Condizione questa che, si vedrà, avrà modo di cambiare drasticamente nei secoli successivi. Il cimitero come luogo d'asilo, infatti, comincia a vacillare già nel XIII secolo, quando il Concilio di Rouen (1231) vieta il gioco e le danze all'interno del recinto cimiteriale, e la questione sarà ribadita con veemenza anche nel 1405, anno nel quale un altro Concilio “proibisce di danzare nel cimitero, di giocarvi a qualunque gioco, vieta ai mimi, ai giocolieri, agli esibitori di maschere, ai musicanti [...] di esercitarvi il loro mestiere sospetto”50. E la svolta definitiva - si avrà modo di vedere - avviene nel XVII secolo, quando la morte addomesticata, assieme con i suoi domestici, pubblici e divertiti luoghi, avrà cambiato nome. Il cimitero si fa luogo serio - e la morte addomesticata muore. 48 La questione richiama l'attuale situazione dell'enorme Cimitero della città del Cairo, Egitto, dove al giorno d'oggi vivono all'incirca duecentomila persone (secondo l'ultimo censimento ufficiale). Per la questione si veda Tercatin R., Egitto, spianata la Città dei morti: l'ultimo sfregio del Cairo per fare posto a un ponte, in Sitografia. 49 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 31-32. 50 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 32. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
137
[22]
138
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
05.5
Teschi ed effigi - INTESTINI. […] Per il loro carattere di interiora sono in relazione analogica con tutto quanto è viscerale e ctonio; per la loro forma, hanno a che fare con il labirinto e con la morte 51 ***
Quello del cosiddetto Rinascimento è il periodo d’oro del memento mori, che è stato nella storia uno degli espedienti più utilizzati e più efficaci per sapersi rapportare “familiarmente” con la questione della morte e con la finitudine della nostra vita terrena. Il teschio52 diventa, in particolar modo durante tutto l’arco del Cinquecento, l’oggetto ornamentale per eccellenza, raffigurato appoggiato sulle scrivanie di tutti gli uomini di cultura e dei potenti, i quali sono stati ritratti nell’atto del contemplarlo evocando così la loro consapevolezza relativa all’impermanenza nel mondo.53
Il teschio è, in questo periodo, simbolo della cultura umanista - del filosofo così come del letterato e dell’uomo di scienza [22] -, in quanto esser consci dell’inevitabilità della morte è il presupposto primo per esser colti, uomini di cultura, appunto. Era segno della costante letteraria riflessione sulla vanitas vanitatum, il vanus latino, ovvero sull’effimero trascorrere del tempo della vita. Nel frattempo, a ben vedere, il luogo extra moenia che sarà occupato dal Settecento in poi dal cimitero - che per ora rimane ancora per due secoli intra moenia - vede ospiti gli ammalati contagiosi: sono loro coloro espulsi dalla vita associata, nel prototipo di quelli che saranno, all’interno della città, i luoghi del “grande internamento” sei-settecentesco. Di costoro era il clero, però - differentemente dai successivi laici secoli “illuminati” -, a doversene occupare: Tra l’altro, il clero dovrà disporre di luoghi diversi e costruiti con accortezza in cui 51 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 257. 52 La parola teschio deriva dal latino testulum, diminutivo di testu o testum, lett.: “coperchio” o “vaso di terracotta”. 53 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, p. 79. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
139
assistere i poveri e gli emarginati. È necessario che in un luogo siano accolti e nutriti gli orfani, in un altro gli ammalati, e anche tra questi è necessario operare delle separazioni affinché non si mettano in pericolo molti uomini valenti per curarne pochi e inetti. [...] Poiché alcuni ammalati sono contagiosi e possono infettare i sani, come quelli affetti da lebbra, peste e morbi simili, mentre altri - come si dice - sono curabili, è opportuno che siano ricoverati in reparti separati.54
Il cimitero quattro-cinquecentesco descritto dallo stesso Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria - e non biasimato da costui se non per taluni aspetti -, permane all’interno della città: la critica è mossa, dal trattatista, in merito alla questione delle sepolture all’interno dei templi e dei luoghi di culto, sacri, per una visione che è già molto vicina ai futuri esiti nell’ambito. Tuttavia, non oso biasimare i nostri contemporanei che seppelliscono i morti in luoghi molto sacri all’interno della città, ammesso che non lo facciano all’interno del tempio, dove i padri e i magistrati si riuniscono intorno all’altare per pregare gli dei, infatti può accadere che la purezza del sacrificio sia contaminata dall’esalazione dei vapori della putrefazione.55
Il sepolcro è indiscutibilmente a fondamento della società e del vivere civile, con le stesse medesime intenzioni di quelli che l’Alberti chiama “gli Antichi”, ovvero i Romani su tutti, ma non solo: “In Egitto e in Grecia si costruivano monumenti non solo al corpo, ma persino al nome degli amici: di questi popoli tutti esaltano la pietà”56. Il sepolcro - qui da intendersi in forma di monumento - è quel qualcosa che occorre per tramandare ai posteri valori, virtù e valenze del vivere associato. Fino al secolo XVI inoltrato, i monumenti funebri presentano con orribili variazioni la figura del cadavere nudo, putrefatto o raggrinzito, con i piedi e le mani spasimanti e con la bocca spalancata, con i vermi che si attorcigliano negli intestini. Sembra che il pensiero si voglia arrestare su quegli orrori. Non è strano che non osi mai fare un passo avanti per vedere come anche quella putrefazione trapassi a sua volta per divenire terra e fiori?57
In ultima istanza, in Europa, nel periodo che va dalla fine del Medioevo alla fine del Seicento, avviene una sempre maggiore individualizzazione delle
54 Tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 175, 176. 55 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 302. 56 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 303. 57 Tratto da Huizinga J., op. cit., p. 190.
140
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
sepolture. Difatti, seguendo il ragionamento fatto in precedenza58, l'individuo percepisce in maniera sempre maggiore la morte di sé e, guarda caso, parallelamente si fanno sempre più comuni le personalissime effigi, tante quante non se ne vedevano dai tempi “degli Antichi”. Non si sbaglia di molto dicendo che, nella Roma antica, ognuno, talvolta anche schiavo, aveva un luogo di sepoltura (loculus) e che questo luogo era talvolta contrassegnato da un'iscrizione. Le iscrizioni funerarie sono innumerevoli. [...] Rappresentano il desiderio di conservare l'identità della tomba e la memoria dello scomparso. Verso il V secolo, divengono rare, e, più o meno rapidamente a seconda della località, scompaiono. [...] [Infatti, come si è visto] il defunto veniva abbandonato alla Chiesa, che se ne incaricava fino al giorno in cui sarebbe risuscitato. [...] Ora, a partire dal XII secolo [...], ritroviamo le iscrizioni funerarie che erano quasi scomparse per otto o novecento anni.59
Tali iscrizioni - comprensive sempre più di effigi raffiguranti il defunto riguardano, in primis, le tombe dei personaggi illustri, ma via via lungo i secoli, soprattutto al Cinquecento si fanno molto diffuse in generale. Nella pratica, si continua ad inumare ad sanctos - in quanto le prime inchieste di reale svolta si hanno da metà Seicento in poi -, ma sempre più individui, ora, pretendono riconoscibilità. Ad sanctos, sì - ma non più sine nomine. Tutto ciò porta verso una sempre maggiore individualizzazione del proprio sepolcro al camposanto, di quel defunto - di quell'uomo e di quella donna, benché morti. L'arte funeraria si è evoluta verso una maggior personalizzazione fino ai primi del XVII secolo, e allora il defunto può essere rappresentato anche due volte sulla stessa tomba, in posizione di giacente e di orante. Queste tombe monumentali le conosciamo bene, perché appartengono alla storia dell'arte. In verità, non sono abbastanza numerose per caratterizzare un fenomeno di civiltà. Ma possediamo alcuni indizi i quali ci fanno pensare che l'evoluzione generale abbia preso la stessa direzione.60
Ebbene, ecco che tali targhe singolari - di nome e di fattura, sempre di più fino all'eclettica esplosione ottocentesca - si fanno molto frequenti all'interno e nell'intorno delle chiese nel XV, XVI e XVII secolo: quasi fossero 58 Si veda Capitolo 03.7 La morte di sé. 59 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 45, 46. 60 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 46. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
141
“architettonico rivestimento” del tempio. Nel XVIII secolo, le targhe con una semplice iscrizione diventano sempre più numerose, almeno nelle città, in cui gli artigiani - la classe media dell'epoca - tenevano a loro volta ad uscire dall'anonimato o a conservare la loro identità dopo la morte. Tuttavia, queste targhe tombali non erano il solo mezzo, né forse il più diffuso, di perpetuare il ricordo. I defunti prevedevano nel loro testamento dei servizi religiosi perpetui per la slavezza delle loro anime. Dal XIII secolo e fino al XVII, i testatori (in vita) o i loro eredi fecero incidere su una lstra di pietra (o di rame) i termini della donazione e gli obblighi del parroco e della parrocchia. Queste targhe di fondazione erano almeno altrettanto significative dei «qui giace». Le due cose erano talvolta combinate [...] Quel che importava era il ricordo dell'identità del defunto, e non il contrassegno del luogo esatto in cui era deposto il corpo.61
Ad imperitura e personalissima memoria, si incide ciò del singolo sulla pietra.
05.6
“Illuminate” inchieste - CAVITÀ. È l’aspetto astratto della caverna, l’inversione della montagna. Nell’idea di cavità si sovrappongono molti significati simbolici: dimora dei morti, del ricordo, del passato, luogo che allude alla madre e all’inconscio, per la connessione che lega questi elementi 62 ***
Come bene racconta Ariès - soprattutto per quanto riguarda la questione francese - è durante il Settecento che si mette in discussione maggiormente il luogo urbano del cimitero come lo si conosceva fino ad allora. Due ne furono i principali motivi, che d’altronde si sposano con le due caratterizzazioni fondamentali di quel secolo. In primis, il secolo dei “Lumi” è igienista, nel senso che erige a necessità prima quella della salute pubblica e della salubrità del quotidiano vivere63. 61 Tratto da Ariès P. op. cit., pp. 47, 48. 62 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 138. 63 Cosa alquanto interessante, Zygmunt Bauman ben descrive la correlazione di primo diffuso
142
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
L’accumularsi dei morti nelle chiese o nei piccoli recinti delle chiese divenne d’un tratto intollerabile, almeno per gli spiriti «illuminati» degli anni intorno al 1760. Una pratica che durava da quasi un millennio senza sollevare alcuna riserva, non era più tollerata e diveniva oggetto di violente critiche. Tutta una letteratura ce ne dà la prova.64
Ma qual è, almeno nei suoi esponenti fondamentali, tale letteratura a cui lo storico fa riferimento? Ebbene, egli non ci dà la lista precisa degli autori a cui si rifà, ma, quasi di per certo, alcuni sono italiani, dato che, ben prima dell’Editto napoleonico, molte voci si alzano a rendicontare una situazione - soprattutto nelle grandi città - oramai non più sopportabile, auspicando un radicale cambiamento. È il 1707 quando, a Roma65, tale monsignor Giovanni Maria Lancisi (1654-1720) pubblica il De subitanei mortibus, inchiesta sulle condizioni del vivere popolare romano eseguita su richiesta del papa Clemente XI, allora a capo della Santa Sede. Per il risanamento urbano, parziale risoluzione al problema dei molteplici quanto improvvisi decessi, l’archiatra [il Lancisi] riscontrava la necessità di chiudere alcuni sepolcreti e suggeriva al pontefice di collocare nuove aree per le sepolture lontane dall’abitato, dai flussi dei venti dominanti e dal corso del Tevere, soggetto al tempo a continui e copiosi straripamenti.66
Tali considerazioni rimasero però perlopiù inascoltate e non messe in pratica, data la fortissima opposizione della quasi totalità del clero assieme con la diffusa superstizione del volgo, che ancora non riusciva a vedere di buon occhio lo scostamento del recinto sepolcrale rispetto al sedime della chiesa. Il Lancisi tornò sulla questione con una succesiva pubblicazione, la Dissertatio de natavis, deque adventitiis romani coeli qualitatibus (1711), ma a ben igienismo settecentesco e razzismo - esacerbato nell’Ottocento -: “Si può comprendere il discorso razziale e la politica razzista dell’età moderna [...] come un esempio della più generale preoccupazione moderna per l’igiene, quel surrogato realistico del sogno irrealistico di fuga dalla morte. I termini igienici e le immagini retoriche che saturano il discorso razziale non sono né accidentali né gratuiti. Sono inoltre più che semplici metafore: il discorso razziale, come tutti gli altri numerosi discorsi di differenziazione/separazione, è in verità una parte del pensiero igienico e delle pratiche igieniste della modernità” (tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), p. 202). 64 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 59. 65 Vogliano, questo esempio - romano - come i successivi - d’altrove -, fungere da emblema della situazione italiana, forse quindi europea (data la congruenza di ciò narrato da Ariès in ambito francese negli stessi decenni). 66 Tratto da Bertolaccini L., Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 17. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
143
poco servì anche questa. I morti avevano, ancora per qualche decennio, da esser sepolti ad sanctos o ad impluvium67 - nel caso di sepolture in piccoli centri - oppure all’interno dei cimiteri urbani nelle città più popolose. C’è quindi da aspettare il 1774 per avere un’altra pubblicazione dall’importanza e dal carattere - oltre che coraggio progressista - di quella del Lancisi, ovvero il Saggio intorno al luogo del seppellire dell’abate fiorentino Scipione Piattoli (1749-1809), all’epoca docente di storia ecclesiastica e lingua greca nella riformata Università di Modena. L’idea di fondo è sostanzialmente la stessa dell’ecclesiasta romano, ma stavolta sembra venir maggiormente recepita e resa realtà al di fuori del mero nero su bianco del testo. Forse per i tempi più maturi68, ma forse anche grazie all’inserimento della proposta di svolta in una cornice nostalgico-classica, di sicuro maggiormente apprezzabile all’epoca di una semplice pubblicazione di uno qualunque fra i membri del clero. Recita il testo del Piattoli: Fa duopo confessare, malgrado la prevenzione pe’l nostro secolo, che prima o poi siamo costretti a ripigliare le costumanze de’ nostri antichi69 [...]. Ripulire una nazione è l’opera del coraggio e della capacità; ma ricondurla a delle pratiche che non son nuove, e che son le migliori, è l’opera del buon senso, e della fermezza.70
Si diceva, quindi, stavolta, un maggiore esito pratico rispetto alla pubblicazione romana del Lancisi di inizio secolo: infatti, quasi in contemporanea con la relazione del Piattoli, accadeva che un altro italiano - stavolta regnante libertino e non uomo di chiesa -, ossia Francesco III d’Este, duca di Modena, venisse meno ad un suo stesso precetto, di circa dieci anni prima, per fare in modo di espellere definitivamente le sepolture dall’urbe. Se nel 1765 aveva rifiutato di spostare extra moenia il cimitero civico, stanziato di fianco all’ospedale, ecco che ora faceva erigere un grande cimitero fuori porta Sant’Agostino. Nel mentre, il dibattito si fa vivo ed interessante anche oltre-confine, in particolar modo in Francia. È il 23 marzo del 1775 quando l’arcivescovo 67 Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi. 68 Beninteso, non che tra 1711 e 1774 non accada nulla. Per brevità si sono prese a riferimento le due pubblicazioni - forse - più significative, ma nel mentre non sono pochi i più informali “provvedimenti” che vengono intrapresi. Un esempio è quello toscano del 1769, anno in cui il granduca Pietro Leopoldo, successivamente ad una visita della città di Livorno, ordina lo spostamento extra moenia del cimitero cittadino in virtù delle tremende condizioni igieniche cittadine del quale era stato egli stesso testimone. 69 Sono questi i termini nostalgico-classici di “cornice” a cui facevo riferimento nelle righe precedenti. 70 Tratto da Bertolaccini L., Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., pp. 18, 23.
144
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
di Tolosa, Étienne-Charles de Lomenie de Brienne (1727-1794), pubblica una Carta Pastorale riguardante l’argomento in questione, nella quale esorta anch’egli di provvedere a realizzare i nuovi cimiteri al di fuori del perimetro urbano. A tale avvertenza da parte dell’arcivescovo segue quasi istantaneamente la reazione di re Luigi XVI che, d’accordo con l’idea che a quanto pare - sempre più stava diffondendosi, promulga, nel maggio del 1776 una Déclaration royale, con la quale vietava tassativamente la sepoltura nelle chiese e in qualsiasi area di ambito cittadino. Sempre in Francia, tra l’altro, vedrà la luce, nel 1778, la prima traduzione del Saggio intorno al luogo del seppellire, ad opera di Félix Vicq d’Azyr (17461794). Al francese de Brienne segue ancora un italiano. È il 1777 quando Francesco Lucerna-Rorengo de Rorà (1732-1778), arcivescovo di Torino, redige una Carta Pastorale sulla questione delle sepolture, sulla falsariga della Carta Pastorale di Lomenie de Brienne. Tale inchiesta, stavolta torinese, nasce - come fu per quella romana del Lancisi - in seguito alla indecorosa condizione di sovraffollamento delle sepolture che si presentava all’interno delle chiese cittadine, gravata ancor di più dalla recente epidemia di colera e dalla calura del 1776. Ancora una volta ci si accorge - e siamo solo agli albori - che per il bene della cittadinanza tutta, bisognava trovare norme e regole anche per la comunità dei morti, così come le si erano sempre trovate e rispettate per quella dei vivi. Da lì in poi, non mancheranno per decenni successive e frequenti emanazioni in ambito funebre e cimiteriale tali da favorire l’igiene e la salubrità cittadine, dato che molte delle stesse trovavano ferrea opposizione nella componente meno “illuminata” ed aggiornata del clero, che ben si riguardava da posizioni progressiste per non perdere potere. Di questa natura furono ad esempio, sempre su commissione del granduca di Toscana Pietro Leopoldo (1747-1792), regnante col nome di Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, le Istruzioni per la formazione dei campisanti a sterro (1783), la Storia di Riti funebri e delle sepolture antiche e moderne ed osservazioni sui nuovi camposanti (1784) ad opera di Modesto Rastrelli, così come Della legittima Sepoltura dei Cristiani nell’Occidente (degli stessi anni), commissionata all’abate Lorenzo Mehu. In second’ordine, il secolo dei “Lumi” è laico, o come minimo si fa maggiormente laico rispetto ai secoli precedenti71, e questo sotto numerosi punti di vista ed attitudini, che hanno come comun denominatore - la contemporanea ascesa della Scienza in parte lo conferma - quello della ripresa di valore del corpo. 71 Il tutto con i dovuti riguardi: è ancora molto forte, infatti, il potere della chiesa e del clero nei 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
145
Innanzitutto, non vengono solo prese di mira le chiese - intese come architetture -, nelle quali si è visto come si comincia a non voler più seppellire per questioni igieniche, ma la Chiesa stessa - con la “C” maiuscola, intesa come istituzione - comincia ad essere messa in discussione, e ciò ad opera non solo dei numerosi intellettuali “illuminati” dell’epoca, bensì anche dalla popolazione. “Si rimproverava alla Chiesa d’aver fatto tutto per l’anima e niente per il corpo, di prendere i soldi delle messe e disinteressarsi delle tombe”72: l’accusa mossale era quindi quella di grave negligenza. D’altronde, come afferma anche Foucault, è proprio nell’epoca in cui la civiltà è divenuta, come si dice molto grossolanamente, “atea”, che la cultura occidentale ha inaugurato quello che si chiama culto dei morti. In fondo, era normale che nell’epoca in cui si credeva effettivamente alla resurrezione dei corpi e all’immortalità dell’anima, non si prestasse un’importanza capitale alle spoglie mortali. Invece, è proprio a partire dal momento in cui non si è più molto sicuri di avere un’anima che il corpo resuscita.73
In secondo piano, un fatto curioso, direttamente collegato a questa prima questione: se, all’incirca dal XIII secolo, “il testamento era allora per ogni uomo non solo e non tanto un atto di diritto privato per la trasmissione di un’eredità, quanto un modo di affermare i suoi pensieri e le sue convinzioni profonde”74, ecco che dal Settecento “le clausole pie, le elezioni di sepoltura, le fondazioni di messe e servizi religiosi, le elemosine scompaiono, e il testamento si riduce a quel che è ancora oggi, un atto legale di distribuzione del patrimonio”75. In sostanza, dal testamento scompaiono i vari e ricorrenti - fino a quel momento - riferimenti all’ambito spirituale, per lasciare tutto lo spazio alla sfera temporale, dei beni e dei possedimenti. Il testamento comincia così a trasformarsi in quell’apoteosi laica, tutta “materiale”, quale sarà in massimo grado nel Novecento; si è sulla strada verso Il testamento - “senza preghiera” - cantato da De André:
confronti della popolazione e - a meno di menti “illuminate” - sarà ancora presente per molti decenni la resistenza ed opposizione del clero nei confronti, ad esempio, delle sepolture lontane dai luoghi di culto. Infatti “l’allontanamento dei sepolcri dalle chiese spiace al clero, timoroso di una diminuzione delle pie elargizioni dei suffraganti, per cui fa di tutto per far venire in aborrimento i campisanti non ancora ovunque costruiti” (tratto da Orefice G., Campisanti e “belle fosse” nella Toscana lorenese, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 41). 72 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 60. 73 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S., p. 27. 74 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 55. 75 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 55.
146
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[...] A te che fosti la più contesa La cortigiana che non si dà a tutti Ed ora all’angolo di quella chiesa Offri le immagini ai belli ed ai brutti Lascio le note di questa canzone Canto il dolore della tua illusione A te che sei per tirare avanti Costretta a vendere Cristo e i santi Quando la morte mi chiamerà Nessuno al mondo si accorgerà Che un uomo è morto senza parlare Senza sapere la verità Che un uomo è morto senza pregare Fuggendo il peso della pietà [...]76
Anche questo documento, in concerto con il resto, si laicizza. Un ulteriore aspetto rilevante: come si è accennato in precedenza, in questo momento storico, Thanatos si (ri-)avvicina ad Eros77, la morte si carica di caratterizzazioni fisiche e corporali, ed è proprio per questo motivo che la tomba, nella sua fisica concretezza e singolarità, è al centro del sentire dell’epoca riguardo al tema del finis vitae: difatti “ora i parenti volevano recarsi nel luogo preciso in cui il corpo era stato deposto”78.
05.7
Circulum ad quadratum - QUADRATURA DEL CERCHIO. [...] La quadratura del cerchio concerneva l’identificazione dei due grandi simboli cosmici: quello del cielo (il cerchio) e quello della terra (il quadrato). Si tratta quindi di una coincidenza degli opposti [...] di un’identificazione e annullamento dei due elementi in una sintesi superiore. Se il quadrato corrisponde ai quattro elementi, con la «quadratura del cerchio» - che in
76 Terzultima e penultima strofe di De André F., Il testamento, dall’album Volume III, 1968. 77 Si veda Capitolo 03.8 Eros. 78 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 60. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
147
[23]
148
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
realtà dovrebbe chiamarsi «circolatura del quadrato» - si cercava di ottenere l’unità del mondo materiale (e della vita spirituale) al di là delle differenze e opposizioni (orientazioni) del quattro e del quadrato 79 *** Ora, in alcuni dei paragrafi precedenti, si è parlato di sepolture “nelle chiese” - intra moenia ed intra ecclesiam80 - senza approfondire più di tanto la natura specifica di tali sepolture. Ebbene, come sempre c’erano ricchi e poveri. Da questa distinzione sociale continuava a nascere la distinzione formale della sepoltura. La forma dei sepolcri cambiava, infatti, qualora si seppellisse nella chiesa (i ricchi) piuttosto che di fianco a questa (i poveri). Questi ultimi erano sepolti nelle grandi fosse comuni, dette «fosse dei poveri», larghe e profonde parecchi metri, dove erano ammucchiati i cadaveri, cuciti semplicemente nei loro sudari, senza bara. Quando una fossa era piena, la si chiudeva e se ne riapriva una più vecchia, dopo aver portato le ossa disseccate negli ossari.81 [23]
Per i primi invece, per i più ricchi, era prevista, oramai da secoli, una sepoltura “all’interno della chiesa, non in cripte a volta, bensì direttamente nella terra, sotto le lastre del pavimento”82. Ora, c’è da affermare che, durante e successivamente al dibattito settecentesco a proposito dei luoghi per la sepoltura, dal punto di vista formale le cose non cambiarono più di tanto, soprattutto per quanto riguarda la fetta maggiore di popolazione, ovvero quella meno abbiente. Si sposta - o meglio, viene fatta spostare - la sede del cimitero; cambia - come si vedrà - la forma architettonica di questo, ma ben poco varia nelle modalità effettive di inumazione, nella forma dei sepolcri, delle cavità: i meno abbienti rimangono gettati all’interno di grandi camere voltate ipogee, appena avvolti da stracci; i più benestanti passano dall’essere distesi al di sotto della pavimentazione chiesastica al rimanerci, dato che ancora per un po’ rimarrà usanza fare eccezione per “i noti” e seppellirli nei luoghi di culto, oppure ad avere tombe e lapidi singole, a sé dedicate, all’interno dei cimiteri extra-urbani che intanto stavano nascendo. Poche - anche se rilevanti, 79 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 371-372. 80 Si veda Capitolo 05.3 Gravitare intorno ai santi. 81 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 30-31. 82 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 31 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
149
[24]
150
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
151
come nel caso dei cimiteri del Fuga - saranno le eccezioni. Queste le doverose premesse al discorso che segue, per inquadrarlo correttamente. Come abbiamo detto, le grandi fosse comuni ad un certo momento si trasferiscono, ma rimangono fondamentalmente uguali a se stesse. Ovvero? Ecco, diciamo che in qualche modo, durante il Settecento, vi fu una sorta di razionalizzazione, o comunque regolarizzazione, delle forme architettoniche del cimitero, inteso ora come luogo urbano delle fosse comuni. Nei capoluoghi si inizia ad affidare ai grandi architetti il progetto dei campisanti in quanto, soprattutto per numero degli abitanti e rilevanza politica, il luogo del cimitero assume importanza e carattere. In ambito italiano, Ferdinando Fuga (Firenze, 1699 - Napoli, 1782) fu uno degli architetti più rilevanti e prolifici per quanto riguarda l’ambito cimiteriale - oltre che in generale per l'architettura nel suo complesso - del Settecento italiano. Uno dei primi progetti di costui fu il cimitero dell’arciconfraternita dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia a Roma [24], alle pendici del Gianicolo. Benché ancora all’interno del perimetro urbano, anche questo cimitero - come quelli del successivo ultimo quarto di secolo - sorse per motivi prettamente igienici e di salute pubblica: difatti venne costruito dopo che fu impartito l’ordine di chiusura per l’antico sepolcreto, che aveva sede appena di fianco all’ospedale, perché situato troppo vicino alle sponde del Tevere, che spesso esondava. Per quanto riguarda il vecchio cimitero, si legge che “le sepolture ordinate in due file al numero di dodici, di varia profondità, che giunge sino a palmi trentasei [ovvero due metri e mezzo circa]. Può ognuna contenere fino a mille cadaveri, e si vanno ripurgando ogni sette/otto anni”83. Il nuovo cimitero - per riprendere il discorso fatto poco fa - si sposta rispetto alla sede originaria ma mantiene il modus operandi della sepoltura, perché all’epoca così si inumava. La cosa interessante, e per certi versi innovativa, è l’assenza di camere a loculo laterali, lungo il perimetro interno delle mura: tutti, indistintamente, se sepolti in questo cimitero, avrebbero trovato riposo all’interno delle grandi fosse comuni. Ad ogni modo, la forma architettonica si regolarizza, si ingrandisce e si sposta. Il progetto ai piedi del Gianicolo pensato dal Fuga prevedeva un grande recinto quadrato che contenesse cento fosse comuni, organizzate su dieci file da dieci camere ciascuna, alle quali si aggiungevano tre camere all’interno di un’esedra semi-ellittica su uno dei quattro lati del recinto. Le camere 83 Tratto da Bertolaccini L., Primi atti nella definizione dei moderni impianti cimiteriali, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., pp. 17, 23.
152
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
ipogee erano ben più grandi di quelle del vecchio cimitero dell’ospedale: in pianta costituivano dei quadrati dal lato di due metri e mezzo, e misuravano all’incirca cinque metri di profondità; ognuna di queste era chiusa in sommità da un grosso tombino di pietra. Scelta progettuale interessante è lo scollamento della chiesa cimiteriale rispetto alla grande corte, ed addirittura rispetto al recinto tutt’intorno: questa infatti si trovava qualche decina di metri distante dall’area delle sepolture, collegata ad essa tramite uno spazio porticato. Rimaneggiato fortemente sotto il pontificato di Pio IX (1846-1878), il cimitero fu poi demolito nei primi anni Venti del Novecento, per far posto al nuovo Collegio di Propaganda Fide. Quella del cimitero gianicolino è solo un’anticipazione del più noto progetto del Fuga, ovvero il - cosiddetto - Cimitero delle 366 Fosse84, realizzato nel 1762 ai piedi della collina di Poggioreale, a Napoli [25]. Tale intervento faceva parte, assieme con il Real Albergo dei Poveri (1751) ed il complesso dei Pubblici Granili (1779) del grande piano assistenziale e per il risanamento pensato per la città ed attuato in quei decenni da Carlo di Borbone. Il nome affibiatole dice già quasi tutto di quest’architettura: ancora una volta, come nell’occasione romana, un ampio recinto quadrato racchiude la corte secca lastricata delle fosse comuni, stavolta in numero di trecentosessantasei, ovvero una per ogni giorno dell’anno, tenendo conto anche degli anni bisestili. Le motivazioni alla base di questa cifra sono ancora una volta di matrice igienista e funzionalista: ogni giorno veniva aperta una ed un’unica fossa, gettati all’interno i cadaveri, al di sopra sparsa della calce viva - a facilitare il processo di decomposizione - e, quindi, richiusa la camera. Così facendo si evitava di lasciare aperta, finché non piena, la stessa camera per più giorni - cosa che evidentemente non poteva essere fatta in quanto avrebbe comportato terribili esalazioni per moltissime ore -, ma allo stesso tempo si riduceva al minimo - cioè ad un’unica volta - il numero di aperture quotidiane della fossa, che era cosa non banale: difatti il macigno a chiusura della camera sepolcrale era levato grazie ad un pesante macchinario, dalla difficile movimentazione. Il fatto che le camere fossero in numero uguale a quello dei giorni permetteva di ridurre la movimentazione del grande argano al minimo, in quanto solo qualche metro divideva 84 “Il cimitero napoletano è conosciuto con diversi nomi: Roberto Pane lo definisce “cimitero del tredici” e specifica che: “il nome Tredici, riportato anche dal Milizia, è un aferesi dialettale di Lautrec, nome del maresciallo di Francia che pose l’assedio alla città nel 1528, accampandosi nel luogo dove poi sorse il cimitero”. Raffaele Mormone si riferisce al complesso architettonico come “cimitero degli incurabili”. In altre fonti si trova citato come “cimitero del popolo” perché destinato a ospitare i corpi degli appartenenti alle classi meno agiate” (tratto da Bertolaccini L., op. cit., pp. 17-18). 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
153
[25]
154
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
una “bocca di fossa” dall’altra; è sempre per tale motivo che la numerazione di queste non era perennemente da sinistra a destra, o viceversa, rispetto alla pianta, ma proseguiva ad “S” - quindi in una fila da sinistra a destra e viceversa nella fila successiva -, proprio per lasciare il macchinario il più vicino possibile al posizionamento delle ventiquattr’ore precedenti; questo era fondamentale anche perché era sempre lo stesso argano il mezzo con il quale si adagiava il corpo dei defunti al fondo della camera. Fatto ciò, nel giro di un anno, la natura - accelerata dalla calce viva - avrebbe fatto il suo corso, e la grande fossa poteva quindi essere “sanamente” riaperta. Ancor più di quello romano, l’episodio napoletano, con la sua appropriatezza e “giustezza” di compromesso tra salute e rito, nel rispetto reciproco tra “città dei vivi” e “città dei morti”, si erige a modello per i decenni successivi. Cancellando ogni pretesa individuale e ogni forma di personale celebrazione, ed evidenziando l’inesorabile ciclicità del tempo, Fuga crea a Napoli un’architettura laica e razionale che, per molti anni a seguire, sarà presa ad esempio nella progettazione di impianti cimiteriali collettivi.85
Insomma, una macchina perfetta (come dirà Quatremère de Quincy86) che allo stesso tempo però, tiene conto dell’aspetto rituale. Il fatto che il cimitero di Poggioreale passi alla storia come pochi altri italiani - e non solo - del periodo è dovuto soprattutto all’aspetto rituale e simbolico, che in questo progetto è risolto compiutamente, più che in quello gianicolino o in altri: in questi ultimi, Fuga traccia impianti molto simili - ovvero, recinto rettangolare a contenere la corte lastricata con le camere ipogee - ma, metaforicamente, non chiude il cerchio. Non riesce ad inscrivere perfettamente il cerchio - simbolo della ritualità e della ciclicità della vita - nel quadrato - simbolo del recinto costruito -. In quello napoletano, invece, il progetto è con-cluso, serrato, completo: una fossa per ogni giorno dell’anno fa in modo che l’intero ciclo delle stagioni, l’intero circulum annuale - che altro non è se non l’emblema della più grande ciclicità, ovvero quella della nostra esistenza - sia inscritto all’interno del quadrato (ad quadratum) del recinto architettonico. Ritengo sia corretto quindi, nel caso del progetto napoletano, parlare di un vero e proprio modello, di un exemplum: di una macchina rituale ineccepibile. Circulum ad quadratum.
85 Tratto da Bertolaccini L., op. cit., p. 18. 86 Si veda Bertolaccini L., op. cit., p. 18. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
155
A partire dal 1732 fino al 1773, il regno sabaudo di Carlo Emanuele III di Savoia vive un’epoca di grande miglioramento della situazione igienica delle città piemontesi, ed è a partire da questi decenni che si progettano i nuovi impianti cimiteriali in zone maggiormente decentrate87, operazione di rinnovamento del vivere civile che continua anche sotto il regno del successore, Vittorio Amedeo III (1726-1796), e durante la prima metà dell’Ottocento. Questo, dato che la situazione non era molto “aggiornata”: a Torino [ma un po’ dappertutto88] sino alla prima metà del Settecento [...] le sepolture nelle chiese sono delle “camerette” che si aprono sotto il pavimento, e sono coperte da una grossa pietra tagliata su misura che, solitamente, presenta un’iscrizione; le casse sono accatastate una sopra l’altra.89
Si decide quindi, secondo una nuova regolamentazione da parte del Senato di Torino in merito ai tempi ed i modi dei trasporti delle salme verso i nuovi cimiteri, pensati extra moenia, che i cadaveri non possano più essere trasportati al camposanto se non all’interno della cassa, alla quale deve provvedere la famiglia del defunto. Per i poveri sono previste casse comuni reperite dalla parrocchia, la quale si fa carico delle spese di trasporto. L’orario è legato alle stagioni: in inverno si procede alla tumulazione prima delle otto del mattino, in primavera e in autunno entro le sei e mezzo e in estate entro le cinque e mezzo. Se il cadavere deve restare in chiesa per la “messa presente cadavere”, e non viene quindi sepolto in mattinata, non può rimanere in chiesa l’intera giornata, ma la parrocchia dovrà munirsi di una camera mortuaria. La sepoltura dei cadaveri è vietata prima che sia passato un lasso di tempo di almeno ventiquattr’ore dal decesso [...]. Il trasporto del defunto viene affidato all’amministrazione municipale che, con appositi carri attrezzati, offre un servizio gratuito. Si pongono in questo modo le basi per la nascita e lo sviluppo della politica igienico-sanitaria moderna, realizzata nel corso dell’Ottocento dall’amministrazione municipale torinese.90
A Torino, chiaramente ispirato al Cimitero delle 366 Fosse è quello di San Pietro in Vincoli (1777), posto vicino al corso della Dora ed anche conosciuto col nome dialettale di “San Pier de’ cavoli” - in quanto, secondo la leggenda, sorge su un orto di cavoli -, impianto tutt’oggi presente seb87 Si veda Dameri A., Dellapiana E., La città dei morti nella città che cresce. Torino e il Piemonte, 17701860, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 67. 88 Lo scopo è, nel corso dei vari casi analizzati in questo capitolo, sempre il medesimo: giungere ad un’immagine generale della situazione cimiteriale attarverso la presentazione di casi specifici, da intendersi come significativi e paradigmatici. 89 Tratto da Dameri A., Dellapiana E., op. cit., p. 67. 90 Tratto da Dameri A., Dellapiana E., op. cit., p. 68.
156
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
bene non più attivo da molto tempo, progetto dell’architetto piemontese Francesco Valeriano Dellala di Beinasco (1731-1805). Ancora una volta un recinto retttangolare di alte mura racchiude la corte “fredda” delle fosse comuni ipogee, stavolta in numero di quarantaquattro (griglia in pianta da nove file da cinque camere ciascuna, con la centrale riservata all’ossario). La peculiarità della realizzazione, rispetto ai progetti del Fuga, stava nel fatto che le sepolture erano distinte in base alla classe sociale di appartenenza ed al censo: al di sotto delle arcate perimetrali trovavano posto solo i cittadini più abbienti, con lapidi ornate e veri e propri monumenti funerari. Se l’architetto fiorentino sembrava aver superato la storica impasse, ecco che, in realtà, permarrà ancora fortemente una distinzione di rango all’interno della maggioranza dei cimiteri costruiti in quel periodo. Con somma gioia di Francesco Valeriano, tra l’altro, sarà il suo progetto - e non i più meridionali del Fuga - ad essere spedito nel 1781 a Carlo III di Borbone, da poco salito sul trono di Spagna, assieme con gli scritti del romano Lancisi (1707, 1711) e del fiorentino Piattoli (1774), nel tentativo di porre in essere le utili innovazioni che stavano avvenendo nelle principali città italiane anche nella corte spagnola. In maniera pressochè identica a quello di San Pietro in Vincoli, viene edificato, sempre a Torino e sempre a partire dal 1777, il Cimitero di San Lazzaro, su un terreno libero donato dal re ad est della città. Entrambi presentano lo stesso impianto rettangolare con portici su tre lati, la chiesa sul fondo, un cortile con pozzi adibiti alle sepolture comuni, dove si accalcano bare e cadaveri l’uno sopra l’altro. I sepolcri più importanti si trovano invece sotto il porticato che cinge i tre lati. [...] In ognuno dei due cimiteri si aprono circa quaranta pozzi, molto profondi, ognuno con una capacità media di duemila corpi o trecento feretri, per un totale di circa novantamila sepolture per ogni cimitero. [...] Gli ebrei, i giustiziati, i ricoverati all’Ospedale della Carità continuano ad essere sepolti in luoghi separati, mentre quelli che sono esclusi dai cimiteri sono sotterrati di notte, in un recinto di terra comune, fuori dai due camposanti.91
Altra questione che accomuna i due cimiteri torinesi - e che accomuna in generale i recinti cimiteriali dell’Europa meridionale e continentale, più che quella settentrionale -, è il fatto di racchiudere al loro centro una corte secca: difatti, com’era solito farsi, prima della loro apertura vengono benedetti dall’arcivescovo di Torino, che, giustificando il fatto per mezzo della natura sacra - ed ancora religiosa - di quei luoghi, al pari delle pavimentazioni interne delle chiese, ribadisce la “necessità di non farvi crescere all’interno nessun arbusto e nessun genere d’erba incolta, la quale avrebbe avvicinato 91 Tratto da Dameri A., Dellapiana E., op. cit., pp. 69, 70. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
157
i due spazi a luoghi tipici del mondo profano”92. La corte cimiteriale è sacra (e religiosa), perciò secca - e non fiorisce. Una città su tutte manca ancora all’appello: Milano, dove le inchieste non mancarono, ma si differì dalle altre città nelle loro attuazioni pratiche. Ebbene, anche qui, nel 1767, un’ordinanza ducale impediva il perdurare delle sepolture nelle chiese e si richiedeva la costruzione di un grande cimitero extra-urbano: “Si ripristini, per quanto sarà praticabile per maggior decenza delle chiese, l’uso di seppellire i morti fuori dalle chiese, disponendo a questo effetto il cimitero in sito aperto e lontano dall’abitato”93. Numerose furono le proposte degli architetti per la costruzione di questo spazio: prima Carlo Riccardi (1772), poi Giuseppe Piermarini e Giovanni Antonio Bettolli (1781), quindi il tentativo di Leopoldo Pollack (1785) dalla particolare forma pentagonale. Proprio nel 1785 però, l’amministrazione cambiava idea, e valutava più coerente l’apertura di un sistema di più piccoli cimiteri extra moenia, a servizio dei vicini quartieri. La questione del grande cimitero cittadino si rifà viva neanche vent’anni dopo, quando Carlo Amati, nel 1802, presenta la sua proposta di “recinto sepolcrale”, ma il tutto rimarrà bloccato ancora per molto, di preciso fino al 1864, anno di avvio del cantiere dell’attuale Cimitero Monumentale, presieduto da Carlo Maciachini, in un’area a nord di Porta Garibaldi94. In terra toscana le cose non vanno molto diversamente, anzi. Piuttosto precoce - rispetto alle tempistiche ravvisate nel resto della Penisola - è la costruzione del nuovo camposanto fiorentino di Santa Maria Nuova, avvenuta tra il 1747 ed il 1748 (poi ingrandito nel 1765), spostato dall’omonima area ospedaliera, questa intra moenia, ora al di fuori di Porta a Pinti. Per tale progetto sembra che la prima proposta sia stata fatta proprio dallo stesso Ferdinando Fuga, in quegli anni di stanza a Firenze: riprendendo l’esatta impostazione funzionale del suo esito romano di qualche anno precedente, egli si fa però maggiormente “lezioso” dal punto di vista planimetrico, circoscrivendo il cortile lastricato delle fosse comuni - che sarebbero dovute essere stavolta ben centocinquantadue - per mezzo di un recinto ottagonale95, dai lati sbieghi leggermente flessi. Inoltre, quattro identiche estroflessioni a mo’ di “scarselle” laterali erano state previste sui quattro lati maggiori ortogonali. Ma lo sforzo del Fuga rimane del tutto vano. 92 Si veda Dameri A., Dellapiana E., op. cit., p. 69. 93 Tratto da Bertolaccini L., op. cit., pp. 21, 23. 94 Si veda Capitolo 05.11 Cortei. 95 Ora, se formalmente l’esito progettuale è ben diverso, nel significato più proprio rimane lo stesso
158
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Accantonata, perché ritenuta eccessiva per le reali esigenze dell’ospedale fiorentino, l’idea di realizzare un’installazione più imponente e abbandonato parimenti il metodo delle fosse, ci si limita a un semplice campo rettangolare per sepolture in piena terra, la cui costruzione inizia il 25 aprile 1747 per terminare [...] il 2 maggio dell’anno successivo.96
Quasi del tutto identica (anche se più ridotta nelle dimensioni) è la soluzione del 1783 per il cimitero di Arezzo, anno in cui questo viene ampliato - sempre su provvedimento “dell’illuminato” Pietro Leopoldo e reso adatto alle nuove e mutate esigenze, così come quella per il nuovo camposanto di Pisa (1783) - disegnato appena fuori Porta Nuova da Giuseppe Salvetti -, e quella della novella necropoli di San Gimignano (1785), ad opera di Pietro Conti, che si appoggia su un lato all’impianto esistente delle mura cittadine. Altra occasione in cui il granduca si rende sicuramente protagonista è quella inerente alla - si potrebbe definire - travagliata gestazione del cimitero di Livorno. Al 1758 infatti, divenuto insufficiente il vecchio, cominciano a redigersi le prime proposte per il nuovo: solo nel 1774, però, viene di fatto deciso il luogo adatto alla sua costruzione, questa incaricata a tale Ignazio Pellegrini (1715-1790). Pur non criticando apertamente il disegno, che prevede un impianto a pianta quadrata con cappelle angolari e peristilio di 112 colonne doriche, il granduca, con la concretezza che gli è propria, raccomanda che intanto si cominci con fare le sepolture, l’arca ed il muro circondario, perché se mancassero i denari per fare le colonnate e le cappelle, almeno quello che importa per il servizio pubblico sia fatto.97
Ebbene, il Pellegrini segue i lavori solo fino al 1777, quando ci si accorge che, intanto, ciò portato avanti è stato messo in opera molto malamente, concedendo numerose infiltrazioni che - a detta dei cronisti dell’epoca - neppure permettono l’inumazione dei corpi sotto i loggiati e nelle cappelle. L’impianto è quindi, nei suoi primi trent’anni di vita, utilizzato quasi esclusivamente per le sepolture a sterro all’interno del cortile centrale, poi successivamente ampliato (ad inizio Ottocento) per permettere la costruzione di nuovi loggiati perimetrali in luogo di quelli già fatiscenti, perché mal costruiti. visto precedentemente. Infatti: “OTTAGONO. Gli ornamenti, gli edifici, le più varie costruzioni architettoniche basate sull’ottagono (nella forma o nella pianta, se si tratta di strutture come battisteri, fontane e così via) simboleggiano la rigenerazione spirituale, essendo il numero otto associato a questa idea in qualità di intermediario tra il quadrato e il cerchio” (tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 340). La quadratura del cerchio avviene comunque. 96 Tratto da Orefice G., op. cit., pp. 38-39. 97 Tratto da Orefice G., op. cit., p. 39. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
159
Di fatto quindi, tralasciando alcune eccezioni98, in questa prima fase di “riforma” delle necropoli in area toscana le sepolture rimangono semplicemente a sterro, ma, grazie soprattutto all’operato “ferreo” di Pietro Leopoldo, la regione si appresta ad essere all’avanguardia per l’epoca in fatto di igiene e salubrità cittadine. In terre emiliane, ancor prima della nota opera del Piattoli, il suo Saggio intorno al luogo del seppellire del 1774, il cardinale Vincenzo Malvezzi Bonfioli pubblica la sua Notificazione sopra la sepoltura dei Cadaveri (1762): anche qui si inizia dunque a dibattere in merito alle modificazioni ed aggiornamenti da eseguirsi in ambito cimiteriale, per migliorare le condizioni di salubrità delle città. A Bologna si affida all’architetto Gian Giacomo Dotti, nel 1774, uno studio per la ricognizioni dei luoghi extra muros più appropriati dove poter collocare il futuro cimitero: una ripartizione topografica che pare riallacciarsi alle proposte d’inizio secolo di Giovanni Maria Lancisi per i quattro cimiteri romani fuori dalle mura dell’urbe, ma che non viene tuttavia rispettata. [...] Tre anni più tardi [1776-1777] il Dotti poté comunque riferire ai magistrati felsinei di avere individuato due soli siti “per formarvi un cimitero a disgombro delle arche delle chiese di città: l’uno è un pezzo di terra di casa Bolognini tra le mura fuori di San Mamolo e Castiglione, l’altra è una piazzetta presso la tribuna al principio dei portici di San Luca.99
Alla fine viene deciso l’utilizzo di questa seconda area, anche perché già pubblica, che viene “semplicemente” recintata e resa pienamente agibile, il campo lasciato alle inumazioni in fossa comune, il tutto tramite lavori minimi organizzati dal Dotti: è appena il febbraio del 1777 quando il primo cimitero pubblico della città di Bologna viene aperto al pubblico ed ai “compianti concittadini”. Ma la soluzione adottata di San Luca, fuori porta Saragozza, è, di fatto, ridotta nelle dimensioni, e non sopporta le inumazioni di più di qualche lustro. Già allo scadere dell’anno 1784, infatti, viene rimessa sul tavolo e ridiscussa presso il Senato cittadino l’ipotesi dei quattro camposanti fuori le mura, opzione decentralista rispetto ad un unico grande cimitero comunale. Quest’ultima maniera di intendere il futuro cimitero viene però, nel giro di qualche anno, preferita alla prima - che sembra dar vita a risultati non troppo efficienti -: tra il 1800 ed il 1801 si lavora attivamente verso 98 Presso il nuovo cimitero di Grosseto ad opera di Leonardo Ximenes (1716-1786), sempre su ordinanza del granduca, viene previsto l’uso delle camere ipogee comuni. 99 Tratto da Ceccarelli F., La “cittadella tumularia”. Progetti architettonici di Ercole Gasparini per il cimitero della Certosa di Bologna in età napoleonica, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 75.
160
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
l’attuazione di un cosiddetto “piano cimiteriale”, che si risolve - dopo numerosi sopralluoghi e studi di carattere ambientale ed architettonico - il 21 febbraio 1801, quando inizia il cantiere del Cimitero della Certosa100, così titolato in motivo della presa possesso, decisa dai commissari comunali, del terreno in disuso di un ex convento di Certosini del XIV secolo, distante poco più di un chiometro dalle mura della città e circondato da un terreno apprezzato per le sue qualità pedologiche, adatte ad “assorbire e corrodere i corpi”. [...] La novità più significativa del regolamento del nuovo cimitero comunale di Bologna è in primo luogo quella della sepoltura singola, sopra alla quale si poteva deporre una pietra tombale [...].101
Del fu convento rimane a testimonianza - tutt’oggi - la chiesa di san Girolamo. L’area è estesissima (circa trenta ettari) e viene inizialmente occupata solo in parte, prevedendo i più che probabili futuri ampliamenti, che avverranno sino alla metà del secolo scorso. A capo del progetto è l’architetto Ercole Gasparini (1771-1829), il cui segno distintivo dell’occasione è l’utilizzo continuato di un lunghissimo portico che, in un dentro-fuori rispetto al vero e proprio recinto sepolcrale, collega architettonicamente il percorso d’accesso al cimitero con la strada che procede in direzione del centro abitato, quindi si trasforma nel loggiato perimetrale sui quattro lati del cimitero medesimo; il tutto in una ragionata reinterpretazione dei monumenti funerari lungo la strada di epoca romana, declinata nei riguardi delle aggiornate “maniere del seppellire” tardo-settecentesche102. Un porticato, in sintesi, di confinamento del sacro ma, allo stesso tempo, cucitura con il tessuto urbano profano. Una breve ma curiosa parentesi potrebbe aprirsi in merito ai più rari casi, forse ancor più “illuminati” ed affascinanti, di recinti cimiteriali - o, più in generale, di architetture funerarie - pensati in forma circolare103, nei quali il valore del simbolismo architettonico, che già abbiamo visto essere presente nell’uso del quadrato, si è fatto sentire ancora di più. In primo luogo, ecco che subito potranno saltare in mente due dei progetti settecenteschi più famosi, ovvero quello pensato da Étienne-Louis Boullée (1728-1799) del Cenotafio per Newton (1784) [26] - anche se in que100 Si veda La Certosa, in Sitografia. 101 Tratto da Ceccarelli F., op. cit., p. 77. 102 Si veda Ceccarelli F., op. cit., pp. 77-78. 103 L’elenco, ovviamente parziale, delle opere di impianto circolare di seguito esposte è in parte ripreso da Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 22. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
161
[26]
162
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[27]
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
163
sto caso l’architettura in questione è una sorta di mausoleo ad personam, ed allo stesso tempo monumento ad scientiam, quindi è forse meno interessante per il nostro discorso - assieme con il progetto di impianto circolare sviluppato su tre livelli, con enorme corpo sferico centrale, per il Cimitero della città di La Chaux (1785), opera di Claude-Nicolas Ledoux (1736-1806) [27]. In questo caso, invece, l’opera era stata pensata per ospitare le salme di tutti gli abitanti della città; non perciò elitaria come nel caso di Boulléè, bensì per tutti104. Il cerchio, nel caso di Ledoux, è utilizzato come trascrizione fisica del modello sociale ideale al quale ambiva, allo stesso tempo di impianto egualitario anche se solo parzialmente democratico - tutti i punti del cerchio sono equidistanti dal centro, ma un centro continua a sussistere105 - ed insieme del rousseauiano reciproco controllo sociale. Il comune denominatore di tali progetti, però, pare sia stato quello del non aver visto la loro fisica realizzazione: quasi come se la scelta del cerchio avesse prescritto loro di rimanere per sempre su carta. Fine-settecenteschi sono alcuni tra i progetti più famosi in tal senso, come ad esempio il cimitero circolare per Parigi solamente pensato nel 1782 da Capron - e, allo stesso modo, nessuno dei successivi lavori verrà realizzato -, così come il più generico “Progetto per un recinto funerario” dell’italiano Giuseppe Barberi (1790), il “tondo recinto” per il grande cimitero di Verona pensato pochi anni dopo da Luigi Trezza (1804), od anche la pretesa perfetta circolarità del recinto cimiteriale per il nuovo Monumentale di Roma (1811), di cui “non è rimasta però alcuna traccia, se non le brevi e poco dettagliate descrizioni presenti nella corrispondenza tra il progettista e la committenza”106. Insomma, durante il secolo dei “Lumi” - che apre alla contemporaneità - anche il cimitero entra a far parte degli spazi controllati dal potere, normati e razionali: al pari degli altri spazi tipicamente “moderni” quali l’ospedale, il manicomio o le carceri, anche il cimitero è razionalizzato. Arriva più tardi degli altri, ma entra anch’esso a far parte dei luoghi tipici del periodo del “grande internamento”107, dove tutto ciò che è malsano, malato o bizzarro viene recluso, recintato. 104 Il progetto cimiteriale in questione di Ledoux faceva parte di un complesso molto più ampio di un’intera “città-del-lavoro” di fondazione, le Saline Reali di Arc-et-Senans (in Borgogna), voluta in quegli anni da Luigi XVI all’interno della foresta di La Chaux, cittadella nella quale le abitazioni dei lavoratori sarebbero state affiancate ai luoghi di lavoro degli stessi. L’impianto pensato da Ledoux per l’intera città era inizialmente di forma quadrata, poi divenuta circolare (il tutto venne quindi interrotto dallo scoppio della Rivoluzione di lì a pochi anni). 105 Non a caso l’impianto centrale nei disegni per il cimitero di La Chaux ricorda, e non poco, il Panopticon benthamiano (1791), modello di impianto carcerario moderno per eccellenza. 106 Tratto da Bertolaccini L., I cimiteri a Roma nel periodo napoleonico, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 119. 107 Si veda Foucault M., Storia della follia nell’età classica, 1961.
164
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
La città “moderna” si va definendo, ed al suo interno - od appena al di fuori delle sue mura - la Grande Ragione ne progetta anche i cimiteri.
05.8
Il Cinico “oltre i Lumi” - ORIENTAZIONE. [...] Guardare verso ovest, è prepararsi a morire, perché in Occidente la corsa del Sole termina nelle acque 108 ***
All’interno di questa breve narrazione in forma di carrellata, che vorrei facesse intendere le grandi tappe del “discorso” sul luogo urbano del cimitero nella storia, il XVIII secolo - che, come abbiamo visto, si presenta come vera e propria fucina di svolte e variazioni del comune sentire, nel gusto e di innovazione rispetto ai tempi precedenti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con la morte, il macabro ed i luoghi del seppellire non si può evitare di chiudere, metaforicamente parlando, con un illustre personaggio della storia dell’architettura, alquanto particolare, un homme de lettres del tutto sui generis109. Nel 1781 trovano la stampa, per la prima volta, i Principj di Architettura Civile di Francesco Milizia (1725-1798), figura poliedrica e grandemente interessante del panorama della critica artistica ed architettonica di fine Settecento: “La mia patria è Oria, piccola città di Terra d’Otranto nel Regno di Napoli; nacqui nel 1725. [...] Le mie opere, il mio discorso mi han procacciato la riputazione di dotto, ma io conosco di non esserlo; sono un ammasso di eterogeneo”110, così si presenta il Nostro. E subito specifica, per rendere cristallino l’argomento della trattazione anticipato dal titolo, che l’Architettura è l’arte di fabbricare, e prende denominazioni differenti secondo le diversità de’ suoi oggetti. Si chiama Architettura Civile, se il suo oggetto si raggira intorno alla costruzione delle fabbriche destinate al comodo, ed i vari usi degli uomini raccolti in civile società.111 108 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 337. 109 A detta di Giulio Carlo Argan, “il più influente teorico italiano dell’architettura della fine del XVIII secolo” (tratto da Scalvini M.L., Voce italiana, echi europei. Francesco Milizia, il monumento e la memoria, in Giuffrè M., Mangone F., Pace S. e Selvafolta O. (a cura di), op. cit., p. 15). 110 Tratto da Milizia F., Principj di Architettura Civile, Serafino Majocchi, Milano, 1847 (1781), pp. 4, 7. 111 Tratto da Milizia F., op. cit., p. 12. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
165
Con queste ultime due righe (il corsivetto è del sottoscritto), dunque, penso potrebbe essere parafrasato il titolo dell’opera. Ora, il testo del Milizia preso in esame si presenta da un lato come raffinata summa delle teorie settecentesche - numerosissimi sono i debiti nei confronti di Marc-Antoine Laugier (1713-1769), autore, nei decenni precedenti, del noto Essai sur l’Architecture (1753) e delle Observations sur l’Architecture (1765)112, così come della cultura della Encyclopedie113 (1751-1772) di Denis Diderot (1713-1784) e Jean-Baptiste d’Alembert (1717-1783) -, ma allo stesso tempo come parziale discostamento da queste e, assieme, guida pratica per il costruire, dato che numerosi sono gli exemplum costruiti citati. Se quindi, in un certo qual modo, il Milizia è ben poco originale in quello che dice e la cultura francese settecentesca è la sua base forte di argomentazione, sotto differenti punti di vista invece, soprattutto in alcuni passaggi, egli si discosta con fermezza e ragiona ben oltre il suo secolo, anticipando temi e questioni ancora grandemente attuali114: egli è, a suo modo, un pensatore originale. Per arrivare al punto della questione, capiamo quindi cos’ha da dirci il Nostro per quanto riguarda il luogo del cimitero e come questi lo pensa, in relazione alla sua architettura ed alla sua funzione urbana. Questi, nella fattispecie, ne parla al paragrafo III del Capitolo XV - Degli edifici per la salute e per altri bisogni pubblici, intitolato, appunto, Cimiteri. È da un pezzo che la filosofia ha intimato il bando alle sepolture e ai cimiteri115, non solo fuori delle chiese, ma anco fuori delle città, e lungi dall’abitato per la semplice ragione che i morti non debbono ammorbare i vivi. Se le nostre chiese sono pavimentate di cadaveri, qual maraviglia il trovarci spesso desolati da tante malattie pestilenziali? Le putride esalazioni de’ morti e de’ vivi riuniti e calcati nello stesso luogo sono capaci di avvelenare tutto il globo terracqueo. Queste non sono declamazioni, sono editti di zelanti e illuminati vescovi; ma il pregiudizio si conserva tuttavia universalmente sordo e inerte: in pochissimi luoghi ha ceduto,
112 Si veda Scalvini M.L., op. cit., pp. 11-15. 113 Numerose saranno le tavole disegnate a corredo del testo del Milizia. 114 Tra gli elementi di originalità più interessanti nel pensiero del Milizia vi sono, come esempio emblematico, queste poche righe che riguardano i monumenti da dedicarsi anche alle donne: “Gioverebbe molto che anco le donne avessero diritto ai monumenti. Presso di noi finora elleno non godono che della insulsaggine dei mausolei prodigati indistintamente e inutilmente. Veri monumenti di gloria non si veggono che per quelle sovrane che hanno realmente regnato. Sono poche, ma grandi e al pari degli Antonini, de’ Traiani sono le Elisabette, le Marie Terese, le Caterine. Queste fanno vedere di quali maschie virtù sia capace il bel sesso. [...] Dovremmo lamentarci di noi stessi, che abusandoci del diritto del più forte lo trascuriamo [il “bel sesso”, quello femminile], e lo lasciamo avvilire nel solo artifizio di piacerci. [...] I più bei monumenti risulterebbero per le madri di famiglia” (tratto da Milizia F., op. cit., pp. 360, 361). 115 Cosa che, come abbiamo visto, risulta essere vera, in particolare in ambito italiano e francese, le due tradizioni che il Milizia meglio conosceva.
166
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
e chi sa quando la ragione trionferà. In tutte le cose umane il cammino della ragione, per quanto ella dimostri evidentemente un utile grande e palpabile, è sempre lento.116
Innanzitutto, una cosa salta subito all’occhio: il Milizia esamina il tema dei cimiteri primariamente sotto la lente igienista della raison illuministica, e lo fa in maniera molto simile a quanto aveva affermato Laugier vent’anni prima117. D’altronde, per lui, anche il cimitero fa parte delle “fabbriche destinate al comodo”, ovvero all’utilità cittadina. A quello appena citato, però, segue un paragrafo dedicato alla ripresa di alcuni esempi progettuali che egli vuole portare come exemplum, che non chiama mai per nome proprio ma, nel descriverli, vi si possono rintracciare numerose caratteristiche di alcune delle architetture cimiteriali di riferimento che abbiamo visto poc’anzi118. Così prosegue: Qualche architetto alquanto ragionevole, discacciati i cimiteri fuori delle città, li vorrebbe sopra alture remote, scoperte, esposte a settentrione, e ne progetta il disegno nella maniera seguente. Sia un ampio recinto quadrato, o di qualunque altra figura curva, o mistilinea, circondato internamente da portici con archi scemi [peristilio interno], o co’ piedritti a bugne vermicolate; genere d’ornamento analogo alla corruzione de’ corpi umani. Sopra i muri del recinto nel fondo dei portici fingansi consimili arcate, nello sfondato delle quali contengansi i cenotafi delle famiglie benemerite della patria [loculi], e al di sotto sieno delle logge per le ossa de’ fedeli [ossari]. La copertura di esse sia di ardesia, la cui tinta fosca risalta nel tutto insieme un’aria lugubre da annunciare al primo colpo d’occhio un soggiorno di tenebre119. Nel mezzo dell’atrio [corte centrale] s’inalzi una piramide rustica, entro di cui sia una cappella sepolcrale. Ai quattro angoli dell’atrio scoperto, e in un certo sfondato, sieno tante catacombe colle aperture a tramontana, e co’ muri co-
116 Tratto da Milizia F., op. cit., p. 331. 117 Si veda Scalvini M.L., op. cit., p. 12. 118 Si veda Capitolo 05.7 Circulum ad quadratum. 119 Milizia - pur criticando, allo stesso tempo, gli estimatori di Michelangelo - è particolarmente attratto dalle connotazioni più espressive, simboliche e teatrali dell’architettura. Particolarmente “colorata” la digressione in merito alle carceri: “L’architettura deve sapersi imbruttire; ed eccola di un aspetto terribile e fiero nelle prigioni. [...] La malinconia si mostrerà nelle prigioni civili, e l’orrore si paleserà tutto nelle criminali. Quivi l’architettura più pesante, e più bassa della proporzione toscana può impiegare bugne le più ruvide in una maniera espressamente disordinata, aperture anguste e informi, muraglie alte e doppie, membri fieri che gettino ombre le più forti, ingressi ributtanti, cavernosi, e fino anche decorazioni di sculture e d’iscrizioni spaventose; tutto in somma deve spirare oscurità, ruine minaccianti terrore, e freno ai delitti. [...] E per maggior sicurezza ancora si può tutto questo edifizio cingere di un fosso profondo colle pareti tagliate a piombo” (tratto da Milizia F., op. cit., p. 300). 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
167
ronati di appoggi guarniti di urne sepolcrali e circondati da cipressi120. Al di sopra della volta sotterranea di queste catacombre s’inalzi un subasamento sormontato da una croce aggruppata con attributi mortuari. Il suolo dell’aia sia due o tre piedi al di sotto di quello de’ portici, e questo sia meno elevato di quello delle strade che v’introducono [si eviti il dilavamento delle acque dal recinto cimiteriale, glielo si conceda verso]. Questa inuguaglianza, unitamente coll’esteriore corrispondente all’interno, accresce l’immaginazione di un soggiorno terribile.121
Quindi, laddove Laugier rimane saggista puramente teorico, il Milizia vuole proporre una sorta di modello progettuale di riferimento per coloro i quali avessero costruito: sembra proporre pratiche del tutto coerenti con il dibattito del suo secolo in merito alla questione. Ebbene, in realtà il Nostro, dopo essersi riallacciato in tutto e per tutto al dibattito settecentesco - prima teorico e quindi anche pratico -, dopo avercelo sommariamente ma sommamente riassunto per quanto riguarda le pratiche cimiteriali, se ne distacca provocatoriamente. E lo fa coerentemente a ciò fatto nel resto del testo: così come non cita mai espressamente gli autori ai quali si appella e fa riferimento, li elude, - Laugier ne è il grande esempio -, si cela anche nel momento in cui deve esprimere opinioni del tutto personali, che magari non sono direttamente concordi con la sensibilità del suo tempo. Nel farlo, si traveste122. Il primo travestimento risulta essere l’anonimato. Un autore anonimo distrugge i cimiteri anche di questa fatta [quella descritta appena in precedenza, tipicamente settecentesca] e vi sostituisce un niente che spesso vale più della cosa. Egli vuole che tutti i cadaveri indistintamente, e senza altre cerimonie inutili, si trasportino fuori città e si brucino in siti appartati123. Egli si ride di que’ catafalchi che si marmottano di faci, di Parche, di obelischi, di piramidi e di tante altre insulsaggini della enigmatica mitologia, impropria per noi, che abbiamo l’onore di vivere venti secoli dopo la morte de’ favoleggiatori pagani. Ei si ride ancora de’ mausolei, e in loro vece, e in vece di catafalchi e di altre vanità funebri, egli vorrebbe che ad ogni morto si affibiasse un processo più severo che ad un delinquente di Stato, con questo divario, che si esaminassero ugualmente le virtù che i vizi. Ciò sup120 Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 121 Tratto da Milizia F., op. cit., p. 331. 122 Motivi questi, assieme con altri non presi in esame, per il quale il suo operato è definito come “l’ultimo spettacolo pirotecnico della prosa settecentesca” (tratto da Scalvini M.L., op. cit., p. 11). 123 La ripresa è qui quasi testuale dall’Alberti: anch’egli affermava che “è molto più comoda la pratica di cremare i corpi!” (tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 302).
168
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
pone censori vigilanti in ogni contrada sulla vita privata e sociale de’ cittadini. [...] La bilancia del merito è la beneficenza. A proporzione del merito o del demerito che risulta dal processo, i censori debbono accordare le infamie e gli onori al defunto per istruzione de’ viventi.124
Ora, proseguendo nell’ordine, il Nostro-anonimo in questo passaggio sottolinea essenzialmente due cose: a) dapprima si pone oltre - e superiormente - al suo tempo e giudica come ancora troppo ricca di “inutili fasti” l’architettura funeraria dell’epoca: il tutto andava, secondo il Milizia125, drasticamente ridotto all’essenziale, ad una più pura e semplice inumazione senza alcun inutile ed immotivato fasto126, ed in questo, rispetto al sentire contemporaneo, precorre i tempi, e non di poco; b) pur precorrendo i tempi, lo fa guardandosi alle spalle, perché la società tratteggiata nelle righe successive è del tutto simile a quella vaneggiata da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), una società - quella ambita dal Francese e ripresa dall’Italiano - che, a leggere bene, è del totale controllo sociale127 (qualcosa che non tarderà effettivamente ad affermarsi nei secoli successivi) e che, ai giorni nostri e sin dal Novecento, è al centro del dibattito non tanto come utopia, bensì come futura distopia128. Ad ogni modo, seppur per noi abbastanza tirannicamente, il Milizia - travestito da anonimo - è un anticipatore. Successivamente a questa presa di posizione, si commenta da solo tracciando una breve storia dei monumenti funebri, senza però perdere vigore critico. Afferma quindi che,
124 Tratto da Milizia F., op. cit., p. 332. 125 Della stessa opinione del Milizia e forse influenzatone fu, ad esempio, il granduca Pietro Leopoldo (1747-1792), che in occasione del recupero del cimitero di Arezzo farà in modo che venga “abbandonata la costruzione dei due bracci sostituiti da esedre porticate, destinate a ospitare i sepolcri dei cittadini più illustri, una solennità che risulta fastidiosa al pragmatico granduca che stigmatizza le idee troppo vaste degli aretini e le loro spese grandi per magnificenze inutili” (tratto da Orefice G., op. cit., p. 38). 126 Nella parte in questione, il Milizia si erige a profeta di una nuova morale e di una rinnovata società - e quindi di una nuova architettura -, ed i suoi toni assertivi e, appunto, “profetici” possono ricordare molto da vicino Adolf Loos (1870-1933) quando dice “Il Rinascimento?! Noi siamo più in alto. Noi siamo diventati più esigenti e più nobili [...] noi abbiamo imparato a sentire la bellezza della nuda pietra” (tratto da Loos A., Architettura, capitolo in Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 1992 (1972), p. 244). 127 “Già in Rousseau si può osservare che la morale della trasparenza totale si rovescia necessariamente in tirannia. Il progetto eroico della trasparenza, che consiste nel voler strappare tutti i veli, nel portare tutto alla luce, nel dissipare ogni tenebra, conduce alla violenza. [...] La società della trasparenza rousseauiana si rivela una società del controllo totale e della sorveglianza” (tratto da Han B.-C., La società della trasparenza, Nottetempo, Milano, 2014 (2012), p. 74). 128 Basti pensare al romanzo 1984, di George Orwell (1949). 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
169
a questa bizzarrìa [quella pensata dall’anonimo] si contorcono sopra tutto gli artisti per la perdita de’ mausolei, portati ormai ad una eccellenza la più onorevole per tutte le belle arti. Da principio [cioè nella Preistoria] i mausolei non furono che mucchietti di pietre sopra qualunque morto sepolto per conservarne colla distinzione la memoria. Quelle pietre informi riceverono col tempo una regolar forma piramidale. Alle piccole piramidi di pietra comune successero quelle bestiali piramidi che da tante dozzine di secoli ancora sussitono in Egitto: moli stupende, superiori a quanto è stato fatto da mano d’uomo; ma che non rappresentano che un ammasso immenso di materiali insensatamente profusi da un eccesso di orgoglio: montagne di marmi per coprire un cadavere. I Greci e Romani, finché furono piccioli, si contentarono di un sarcofago o di qualche altro piccolo tumulo; ma divenuti grandi diedero nelle maggiori sontuosità. Il trasporto d’un amor coniugale, o la vanità di Artemisia, eresse per suo marito Mausolo la più celebre tomba che ha dato il nome a tutte le altre susseguenti. Gl’imperadori palesarono il loro dispotismo coll’estensione e colla massa delle molti destinate a ricever le loro ceneri: il sepolcro di Adriano è bastante per il castello di Roma santa. Svanite queste idee gigantesche si ridussero i mausolei di una semplicità naturale; non rappresentarono per molti secoli che l’effigie de’ morti distesi sopra un largo zoccolo, alle cui facce erano espressi in basso rilievo alcuni tratti della loro vita: espressione della più semplice naturalezza129. Risorte finalmente le belle arti, ecco i mausolei d’un gusto il più squisito: immagini al naturale, atteggiate e forti, compongono l’opera come se fosse un quadro; l’accordo de’ bronzi, delle dorature, de’ mosaici, de’ marmi di vari colori, le ombre e i riflessi necessari; i pensieri poetici, l’esecuzioni pittoresche: vi sono riunite quasi tutte le belle arti e il successo n’è sorprendente.130
Gli esagerati sproloqui funerari architettonici egizi, greco-classici, tardo-romani e, con tono ironico, anche quelli rinascimentali, sono giudicati inappropriati rispetto alla raffinata naturalezza dei secoli medievali131, i quali usi e costumi nei riguardi dell’inumazione il Nostro gradisce ed avalla (cosa per nulla scontata nel “candido” Settecento). Il secondo - ed ultimo - travestimento, per mezzo del quale prende furtivamente le distanze dal gusto della sua epoca, è quello del Cinico. Difatti, continua:
129 Ciò detto in queste righe è molto interessante, in quanto si può leggere come una sorta di prima rivalutazione del periodo “medievale”, cosa non assente ma per nulla scontata negli anni Ottanta del Settecento, che sarà invece tipica del successivo sentire “nazional-romantico”. 130 Tratto da Milizia F., op. cit., p. 332. 131 Il commento - e presa di posizione - del Milizia, in questo frangente, richiama gli usi degli antichi Germani descritti da Tacito (De origine et situ Germanorum, 100 d.C. circa): nemmeno costoro intendevano “perdersi” in inutili fasti e pompe funebri; si preoccupavano al più del tipo di legna con il quale cremare il copro del defunto (si veda Daverio P., Passepartout - I cimiteri, in Videografia).
170
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Qualche Cinico132 però ragiona nella seguente maniera. «Che i nostri mausolei bene ideati e ben eseguiti piacciano, sorprendano e incantino, è fuori di questione. Ma tutto ciò diviene un nulla se non è adempito il fine della loro costruzione. Che cosa è un nostro mausoleo? È un sepolcro per conservare un cadavere, e nel tempo stesso è anco un monumento esprimente in compendio le azioni più gloriose del medesimo defunto, che si ha per illustre. Abbiam voluto combinare insieme due cose di natura diversa, e n’è risultato un tutto della maggiore assurdità. Voler serbare un cadavere, e serbarlo in marmi, in bronzi e in arnesi preziosi è una stoltezza. I cadaveri sono destinati dalla natura a risolversi in minime parti per comporre altri corpi. Ma quelle ossa e quelle ceneri sono di un eroe [il tono si fa ironico]. Dunque si conservino anche i suoi escrementi che non valgono meno. Istruire i viventi e i posteri, spronarli alla virtù e alla felicità coll’esempio di uomini gloriosi, è un oggetto savio e del più grande interesse. Se i mausolei fossero semplici monumenti di virtù, sarebbero istruttivi; se fossero meri sepolcri, sarebbero niente: ma volendo essere gli uni e gli altri, sono quadri belli ed enigmi impropri. Si giri per San Pietro e per quante chiese sono in Roma, tutte ricche di superbi mausolei, o sieno depositi di ogni fatta: non se ne vedrà uno che sia secondo le leggi della convenienza; e forse per quanto si mediti non se ne potrà mai fare. [...] Ma quand’anche questi mausolei fossero significantissimi e convenientissimi, sarà mai ragionevole il collocarli entro le chiese, ove tutto deve esser santo, e niente ha da distrarre dal massimo oggetto cui sono consacrate [ovvero la preghiera]? E che importa ad una città la morte di una damina che non ha fatto niente di rimarchevole, e che non merita un ghiribizzo di mausoleo che imbarazzi una chiesa e deliri con una iscrizione fantastica? Di tante e tante memorie sepolcrali, quante sono degne d’esistere per pubblica utilità? Quanto si espone al pubblico, tutto deve essere pel pubblico bene il più durevole. E perché esprimere la morte, che ben di rado è il punto più glorioso della vita dell’uomo? Il dolore o la vanità, e non la ragione ha prodotto i mausolei. Bisogna aver poca ragione per esprimere il più brutto punto della vita. Piuttosto quello della nascita, che è allegro: o quello della concezione, che è il più dilettevole. La società non sa che fare de’ meri deposti de’ morti. Qui sono le ceneri di Traiano. Che me ne importa! Hanno elleno qualche virtù 132 Ovviamente, non è un caso che il Milizia usi proprio quest’appellativo: il termine cinico deriva infatti - molto probabilmente - dalla parola greca kyon, “cane”, che fu soprannome di Diogene (Diogene di Sinope, detto “il Cane”, 412-323 a.C.), uno dei primi grandi esponenti di questa scuola filosofica, di cui l’edificio del Cinosarge ad Atene ne fu la prima sede storica. Tesi fondamentale di questa corrente di pensiero è la continua ricerca della felicità, unico vero fine dell’uomo, che però deve affrancarsi da ogni cosa mondana che richiama agio e comodità (questioni che molto influenzarono gli stoici e lo stoicismo). I cinici erano famosi - e spesso osteggiati - per la loro eccentricità e disobbedienza alle regole sociali impostegli. Altro importante esponente - stavolta romano - fu Diogene Laerzio (180-240 d.C.), il quale diede alla luce numerose opere rivolte contro la generale corruzione dei costumi del suo tempo. Con i due Diogene, sono passati alla storia anche gli antichi Antistene (444-365 a.C.), Cratete di Tebe (365-285 a.C.), Ipparchia (350-280 a.C.) e Menippo di Gadara (310-255 a.C.). Il Milizia si pone quindi - almeno per quanto riguarda la questione macabra e cimiteriale - in questa scìa di pensiero, per darsi un tono “unico” e provocatorio rispetto al contesto suo contemporaneo. Tale “filone” avrà dalla sua parte grandissimi pensatori successivi: tra i più famosi, Oscar Wilde (1854-1900) e Friedrich Nietzsche (1844-1900). 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
171
fisica particolare? Vogliono essere semplici e chiari monumenti delle virtù più cospicue, cioè delle azioni più benefiche degli uomini grandi; e questi monumenti non possono meglio situarsi che dove sono seguite le loro gloriose azioni [non parole scolpite nel marmo dei mausolei, bensì fatti concreti, realizzati vuole il Nostro-Cinico]. Questo gran ponte sul Danubio è opera di Traiano: sia benedetto: questo è un benefizio che interessa nazioni intere. La Via Appia è il vero mausoleo di Appio, e quello di Tarquinio è la Cloaca Massima».133
Ebbene, è proprio quest’ultima sentenza che ci svela, senz’ombra di dubbio ma solo alla fine - come tutte le messinscene degne di tale nome -, la paternità “miliziana” delle idee fin qui esposte: infatti, così come all’interno del futuro Roma. Delle belle arti del Disegno (1787), egli eleva a “grandissima opera” architettonica la “profanissima” Cloaca, ben al di sopra di molti altri capolavori romani (uno su tutti, la “santissima” sagrestia di San Pietro134). Di fatto, e per concludere, il pensiero di Francesco Milizia “il Cinico” ritengo possa, ancora più del Milizia “l’Anonimo”, essere un interessante spunto per il dibattito contemporaneo intorno ai luoghi del seppellire. Infatti, se la sua prospettiva rousseauiana di società è - a mio modo di vedere - molto distante dalle nostre più rosee prospettive future, ecco che invece il discorso successivo si può leggere come un’importante riflessione che, ancor più delle altre, precorre positivamente i tempi. Penso dovremmo tenerne di conto perché il Milizia, forse, nella sua (ben oltre che) “illuminata” lucidità, precorre anche i nostri, di tempi.
05.9
Formalizzazione di una svolta - SPAZIO. [...] Nel sistema geroglifico egizio entrare è andare verso destra, mentre uscire è andare verso sinistra, movimento che corrisponde all’apparente nascita e morte del Sole (tenendo il nord davanti a sé).
133 Tratto da Milizia F., op. cit., pp. 331-332. 134 “Dalla Cloaca Massima alla sagrestia di San Pietro: dall’ottimo al pessimo” (citazione dello stesso Milizia tratta da Scalvini M.L., op. cit., p. 15). Curioso particolare: ancora una volta la sentenziosità del Milizia si avvicina, questa volta anche nell’idea espressa, ai futuri scritti di Loos. Dirà l’Austriaco - che non sappiamo aver letto o meno il Nostro -: “Senza idraulico (plumber) non esiste diciannovesimo secolo. Egli ne è diventato l’emblema ed è per noi, oggi, insostituibile” (tratto da Loos A., I plumbers, capitolo in op. cit., p. 57).
172
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Per lo stesso motivo il lato destro acquista una sovradeterminazione di carattere vitale e quello sinistro di carattere funebre [...] 135 *** Il 12 giugno 1804 (23 pratile del XXII anno, secondo il calendario rivoluzionario) Napoleone Bonaparte, affiancato dal segretario di Stato Hugues Maret, firmava il Décret impérial sur le sépoltures, passato alla storia come Editto di Saint-Cloud, nome datogli dalla residenza - oggi distrutta - nella quale Napoleone si trovava in quelle settimane. L’Editto si suddivide in cinque titoli, sintetizzati - parafrasando - di seguito: Titolo I. Delle sepolture e dei luoghi a loro dedicati. Veniva qui dichiarato come le sepolture non potevano più avvenire al di qua delle mura cittadine, nemmeno all’interno dei luoghi di culto (quali chiese, sinagoghe, moschee, ecc.) poiché luoghi chiusi insiti nella città; l’inumazione poteva essere effettuata ad almeno trentacinque/quaranta metri di distanza dalle mura cittadine o, in generale, dagli edifici più vicini; erano da preferirsi, per la costruzione dei cimiteri, luoghi in collina e a nord, e nulla doveva essere fatto per ostacolare la naturale circolazione dell’aria; era inoltre previsto che ogni sepoltura avesse luogo in una tomba separata e che lo scavo della fossa fosse largo all’incirca ottanta centimetri e profondo un metro e mezzo o due, quindi ben stipato di terra; tali fosse sarebbero dovute essere separate l’una dall’altra di circa trenta/cinquanta centimetri per lato136; il rinnovo delle fosse doveva eseguirsi ogni cinque anni, di perciò il cimitero avrebbe dovuto essere tanto grande da ospitare all’incirca cinque volte tanto i presunti morti annuali futuri. Titolo II. Dell’istituzione dei nuovi cimiteri. Veniva deciso come, successivamente alla costruzione dei nuovi cimiteri esterni alla città, quelli attuali sarebbero stati lasciati nelle condizioni in cui si sarebbero trovati ad essere, fermi, per cinque anni137, e solo poi dismessi. Titolo III. Della concessione dei terreni. Qualora l’estensione del cimitero lo 135 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 429. 136 Ben si nota, soprattutto in questo primo passaggio del Titolo I - in questa sede solo riassunto -, come lo stesso Napoleone intendesse il luogo del cimitero, ovvero nella maniera - potremmo semplificare, tenendo a mente le specifiche fatte al capitolo precedente - settecentesca, in particolare quella descritta dal Milizia. 137 Si noti come ritornino anche qui i “cinque anni”, evidentemente tempo creduto opportuno alla naturale consumazione e decomposizione del cadavere, dopo il quale le tombe - intese come fosse di “smaltimento” dei corpi - sarebbero state considerate non più nocive durante l’estumulazione delle salme (a scopo sostitutivo delle stesse o di dismissione del terreno cimiteriale). 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
173
avesse permesso, potevano essere fatte delle concessioni di parti della terra del cimitero a chi voleva possederla, dove costruire monumenti o tombe di famiglia; inoltre, chiunque poteva essere sepolto nella sua proprietà, a patto che quest’ultima rientrasse nelle distanze minime dalle vicine abitazioni o dalle mura cittadine. Titolo IV. Della sorveglianza dei luoghi di sepoltura. Viene qui specificato come, nei comuni ove avessero dovuto essere compresenti più culti - e quindi diverse comunità religiose -, sarebbe dovuto sorgere un cimitero per ciascun credo o, allo stesso modo, essere spartito l’unico cimitero a disposizione in più parti, ben divise l’una dall’altra, ciascuna dimensionalmente proporzionata ai fedeli di quella religione nell’area di pertinenza di tal cimitero; il luogo del cimitero doveva quindi essere efficacemente sorvegliato, in modo di evitare qualsivoglia inumazione illegale o altro genere di reato all’interno dello spazio del camposanto. Titolo V. Delle pompe funebri. All’interno del recinto cimiteriale erano ammesse pompe e fasti funebri i più diversi tra loro, dei diversi riti se presenti, assecondando ovviamente le leggi di pubblica sicurezza comunali; all’esterno di tali mura invece, erano permessi cortei e pompe pubbliche solo se la popolazione del comune tutta avesse condiviso lo stesso unico credo; era, ad ogni modo, l’autorità civile - e solo essa - responsabile di portare, presentare, depositare e seppellire i corpi dei defunti, attraverso metodiche che sottostavano al benestare di prefetti e sindaci138. Ora, rispetto anche a ciò anticipato nei capitoli precedenti, una considerazione penso possa essere interessante: l’Editto napoleonico non è altro che una sorta di formalizzazione - di carattere giuridico - di una svolta nel comune sentire che, al 1804, possiamo dire fosse presente, in ambito europeo, da poco meno di un secolo e mezzo, ovvero da fine Seicento. Sono due le considerazioni alla base di questa affermazione, provenienti da due autori francesi che, a mio modo di vedere, si confermano l’un l’altro su tale questione. La prima, la più evidente: Philippe Ariès prende come data di riferimento il 1657 (e quindi, più in generale, la metà del Seicento) per tracciare una sorta di linea di partenza - da intendersi sempre molto sfumata - nella svolta del senso comune per quanto riguarda la questione cimiteriale. Ariès, per fare ciò, mette sul tavolo uno scritto proprio di quell’anno che, per l’appunto, sosteneva quanto fosse poco consono continuare a inumare - e soprattutto estumulare, scavare e manutenere le fosse -, sostanzialmente, in un luogo pubblico, poiché tale era allora il cimitero, all’incirca da 138 Si noti come, con l’Editto tutto e quest’ultima affermazione in particolare, Napoleone voglia sottrarre in tutto e per tutto alla Chiesa il diritto alle salme dei defunti, come a ribadire la sua ferrea opposizione alla secolarizzazione di questa. I morti fino a quel momento erano stati di “proprietà” della Chiesa.
174
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
mille anni139. La seconda, forse la meno lineare: Michel Foucault, nel suo parlare del passaggio tra il potere nell’epoca “antica” e il potere in quella “moderna”, non traccia con precisione una linea di demarcazione temporale tra i due momenti storici - e giustamente, dato che è di fatto impossibile, oltre che forse inutile. All’incirca però, egli tratteggia l’inizio di questa trasformazione - per nulla repentina ma diluita nel tempo - durante il cosiddetto “periodo dei Lumi”, tra Seicento e inizio Settecento, e la dà per attuata ad inizio Ottocento140. Il XIX secolo è infatti, per il filosofo e storico francese, pienamente caratterizzato dall’aspetto biopolitico del potere, assieme con il XX, del quale Foucault è partecipe. Quindi, in merito alla questione, Foucault conferma Ariès: il comune sentire “moderno” può dirsi avviato - per il tema che ci interessa - da fine Seicento in poi. Andando oltre, sempre facendo riferimento ai ragionamenti di Foucault, a caratterizzare la “modernità” (contemporaneità storica) è la biopolitica. Tale sistema di governo si attua attraverso il controllo dei corpi - degli appartenenti al popolo -, ovvero tramite la loro irreggimentazione in qualsiasi momento e per qualsiasi opera, lavorativa o non. Luogo tipico del potere biopolitico è, ad esempio, la prigione, nella quale lo s-regolato non è condannato a morte in pubblica piazza (come avveniva in epoca antica, dove a regnare era il potere della spada del sovrano), bensì è recluso dalla comunità, a perenne monito per quest’ultima. “Il criminale non sarà più annientato, ma dovrà essere trasformato in una rappresentazione vivente dell’ordine e in una lezione per la comunità intera”141. Ed è la disciplina142, a sua volta, a caratterizzare la biopolitica: “La disciplina è innanzitutto una analisi dello spazio: è l’individualizzazione per mezzo dello spazio, 139 “Ma ecco un testo del 1657, il quale dimostra che si cominciava a trovare un po’ fastidioso l’accostamento, in uno stesso luogo, delle tombe e delle mille sciocchezze che si vedono sotto queste gallerie. [...] Ma se, alla fine del XVII secolo, si cominciano a intravvedere segni d’insofferenza, bisogna tuttavia ammettere che per più di un millennio ci si era sentiti perfettamente a proprio agio in questa promiscuità [...]” (tratto da Ariès P., op. cit., p. 32). 140 A conferma di ciò, di questo avviso è anche la lettura di Han, uno dei filosofi contemporanei più legati agli scritti di Foucault, quando scrive: “Secondo Foucault, a partire dal XVII secolo il potere non si manifesta più come potere di morte in mano a un sovrano simile a Dio [tipico dell’epoca antica], ma come potere disciplinare [tipico della modernità]” (tratto da Han B.-C., Psicopolitica, Nottetempo, Milano, 2016 (2014), p. 29). 141 Tratto da Catucci S., Introduzione a Foucault, Laterza, Bari-Roma, 2019 (2000), p. 98. 142 Etimologia della parola disciplina: dal lat. “disciplina”, questa da “discipulus”, “discepolo”. Designa l’atto dell’istruire; ed altresì, modo o regola d’insegnare; precetto, insegnamento, istituzione. Si usa inoltre per correzione, castigo, le quali pure sono maniere spesso necessarie per educare ed insegnare. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
175
la sistemazione dei corpi in uno spazio individualizzato che permette la classificazione e le combinazioni”.143 Ora, se per i “corpi vivi” - da correggere - l’utopia di tale insieme di istanze era il Panopticon nella sua versione carceraria, lo stesso valeva per i “corpi vivi ma malati” con gli ospedali: anche in questo caso il Panopticon rimaneva l’utopia. Ma per i “cadaveri”? Quale utopia organizzativa e formale ricercare per le “città dei morti”? Di questo Foucault non parla nello specifico ma, a mio modo di vedere, l’organizzazione degli spazi cimiteriali ordinata da Napoleone penso non si discosti troppo da una possibile reinterpretazione - in chiave macabra del Panopticon benthamiano. Napoleone, con quest’Editto, non inventa ma riassume. Le sue prescrizioni formalizzano e rendono regola gli usi che ormai da un secolo si stavano perpetuando. Nel farlo, disegna uno spazio suddiviso in settori squadrati, uno spazio grigliato, quadrettato144. Ebbene, altra accezione della disciplina è questa: “La disciplina è infatti la ripartizione della fisicità dei corpi nello spazio quadrettato (quadrillage)”145. Il “cimitero napoleonico” - e di perciò “moderno”, frutto del sentire “moderno” e delle “moderne” usanze - è, si potrebbe affermare, uno spazio quadrill-ettato, quindi disciplinato. Il cimitero “moderno” è disciplinato perché disciplinata è la società della sua epoca. L’irreggimentazione formale settecentesca dell’ambito cimiteriale rimanda poi, in successiva istanza, all’idea - presente da sempre - della contaminazione causata dalla morte, al suo aspetto “virale”, di piaga sociale, questione declinata molto differentemente all’interno delle varie culture, che in questa sede sarà solo accennata e ricordata, poiché in sé molto ampia e di complessa trattazione. La fonte più diffusa di contaminazione è la morte e la putrefazione della corruzione fisica. [...] Il cadavere e i beni del defunto sono pericolosissimi. [...] In alcune religioni, come nel cristianesimo, i corpi dei defunti vengono ammessi nei santuari 143 Tratto dall’Introduzione di Vaccaro S. (a cura di) in Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano, 2011 (2001), p. 14, Nota 11 (tratta a sua volta da Foucault M., L’incorporazione dell’ospedale nella tecnologia moderna, 1978). 144 Si pensi, ad esempio, agli impianti cimiteriali dell’architetto Ferdinando Fuga visti in precedenza. 145 Tratto dall’Introduzione di Vaccaro S. (a cura di) in Foucault M., op. cit., p. 13.
176
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
o anche in essi sepolti. Ciò appare in drammatico contrasto con [ad esempio] l’induismo, in cui i cadaveri non sono mai ammessi nelle vicinanze di un tempio sacro. [...] I funerali pertanto sono chiamati ad assolvere a varie importanti funzioni, rese necessarie dalla piaga della morte. Non solo forniscono un contesto rituale per l’eliminazione della contaminazione legata al corpo del morto, ma attivano e contengono il dolore e contribuiscono ad alleviarlo.146
Se il lutto ed i vari riti funebri sono da sempre modus purificandi della famiglia del defunto e dei suoi cari, questo è perché la morte è innanzitutto piaga, di per sé quindi sociale. E dalla società si deve cercare di estirpare. Ecco che, quindi, il Settecento e l’Ottocento come secoli di distanziamento dei luoghi funebri e di sepoltura, rientrano pur sempre - anche se in un’accezione più marcatamente laica, medica ed igienista - nella scìa storica di allontanamento della piaga. Nulla di così nuovo alla luce del sole, ma per la prima volta formalizzato e normato. Tale Editto napoleonico viene esteso all’Italia il 5 settembre 1806, con il variato titolo di Editto della Polizia Medica. Il provvedimento colpisce profondamente due poeti, Ugo Foscolo (17781827) ed Ippolito Pindemonte (1753-1828), che in quell’anno, durante il quale il Foscolo era ospite nella città di Brescia presso il palazzo della contessa Marzia Martinengo Provaglio, proprio nella città lombarda si ritrovano, discutono e danno quindi vita ai carmi Dei sepolcri, di cui il foscoliano è maggiormente noto del secondo. Foscolo non è propriamente in accordo con il legiferare napoleonico in questione, e lo dichiara apertamente nella sua composizione: [50] Pur nuova legge impone oggi i sepolcri Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti Contende. [...]147
La paura provata dal poeta è quella che vuole, data la maggior distanza fisica dai cimiteri delle famiglie dei poveri defunti, questi vengano dimenticati: allontanare è, di fatto, il primo passo per dimenticare - e non si può dire avesse poi così tanto torto, date le successive vicende che hanno portato alla situazione attuale nei riguardi della morte, che abbiamo già interrogato e questionato. L’istanza più profonda che muove l’ispirazione del poeta è sostanzialmente quella che troverà pieno sviluppo in Leopardi, ovvero il tema della speranza, descritta
146 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 364, 365. 147 Tratto da Foscolo U., Dei sepolcri, vv. 50-52. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
177
come l’ultima dea, per rintracciare gli artigli dell’illusione, là dove il sepolcro di fatto è tutto ciò che rimane di chi è stato amato [...] è il valore del ricordo, costruito come spazio sociale in cui incontrare il passato affinché l’immagine dell’amato non svanisca definitivamente anche dalla memoria.148
La lontananza dalla vita associata rende questi luoghi tetri, poco vissuti, di fatto in-civili, ovvero esclusi dall’urbano. Il cimitero “allontanato” napoleonico è, per Foscolo, in-civile. Il poeta è però anche animato da uno spirito elitario e di fondo aristocratico - almeno per quanto riguarda l’ambito cimiteriale e delle inumazioni nei “nuovi luoghi” disposti dalla “nuova legge”. Al poeta serviva probabilmente un pretesto per riaffermare il ruolo del merito e di un’aristocrazia di tipo spirituale, che un cimitero monumentale149 poteva ben esemplificare. Per rimanere tra le righe foscoliane - e concludere questa parte del discorso -, una parentesi temporalmente proiettata in avanti: di lì ad un secolo e più, anche un altro italiano, Giovanni Gentile (1875-1944), affermerà - nell’Enciclopedia italiana da lui diretta (1925) - la giusta differenziazione in base al “merito” in sede cimiteriale, distinzione che molto spesso stava tra sepolture in fosse comuni e sepolture individuali. Di fatto il successo del cimitero monumentale, o piuttosto nella forma “mista” di monumenti inseriti in viali dall’andamento un po’ labirintico, [...] si costruirà sulla realizzazione di simulacri marmorei degli affetti famigliari [...]. Più in generale l’espansione si protrarrà fino agli anni Trenta del Novecento, quando venne meno quella modalità espressiva degli affetti, che era stata la chiave del successo del cimitero borghese. [...] Per esempio, contro tanta vanità erano iniziate, a partire dagli anni Settanta e poi con forza maggiore, le critiche di radicali e socialisti, in nome di una morte egualitaria e d’una immortalità che non si compra.150
148 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, pp. 321-322. 149 Si distingua, in questa sede, tra cimitero monumentale - tipico dell’area germanica e mediterranea - e a parco - tipico dei Paesi del Nord-Europa -, i quali sono spesso nella forma di bosco o grande giardino pubblico. 150 Tratto da Mengozzi D., La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000, p. 61.
178
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
05.10 Cambiare l'acqua ai fiori - ACQUE. [...] Dall'acqua e dall'inconscio universale nasce, come da una madre, tutto ciò che è vivente. L'immersione in essa significa un ritorno al preformale, in un duplice senso di morte e dissoluzione, ma anche di rinascita e nuova circolazione [...] in questo particolare simbolismo generale dell'acqua, la morte concerne soltanto l'uomo naturale, mentre a rinascere è l'uomo spirituale. [...] Essa media fra la vita e la morte, nella doppia corrente positiva e negativa di creazione e distruzione. I miti di Caronte e di Ofelia simboleggiano l'ultimo viaggio. Non fu forse la morte il primo navigatore? 151 *** Con il tempo di Napoleone, il luogo urbano del cimitero viene, nella concretezza, allontanato dalla vita associata: si formalizza - facendosi sempre più frequente, giacché regola - quello che stava pian piano diffondendosi soprattutto nella penisola italiana come in Francia, prima che negli altri Paesi, dall'epoca dei “Lumi”. Da questo momento, al camposanto - com'è tutt'ora - non si capita per caso (questione tutta medievale quando, essendo i sepolcri gravitanti intorno alle chiese, vi si “inciampava” molto più frequentemente: stanziavano al centro della vita associata cittadina); al cimitero d'ora in poi sempre e solo si va - e si decide di andare. La “Via delle Tombe”152 è spoglia - e conduce al di fuori delle mura. Nello stesso frangente storico - e, forse, anche come diretta conseguenza di questa “traslazione tombale” fine-settecentesca ratificata dall'Editto -, in seguito anche alla sempre maggior affezione al luogo preciso della sepoltura, spesso e volentieri segnalato dall'effigie sepolcrale ritornata in auge153, aumenta via via la volontà di andare a fare visita ai parenti defunti - alle 151 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 68, 69. 152 Il riferimento è al titolo dato da John Ruskin al capitolo in cui, in Le Pietre di Venezia, parla dei monumenti funebri nelle basiliche dei Frari e dei santi Giovanni e Paolo a Venezia. Si veda Capitolo 05.4 La Via delle Tombe. 153 Si veda Capitolo 05.5 Teschi ed effigi. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
179
loro tombe -: per fare ciò, la necessità prima diventa innanzitutto quella di poter ottenere una sorta di possesso del preciso luogo dell'inumazione. Questa presenza [della lapide nel luogo preciso della sepoltura] era una risposta all'affetto [sempre maggiore154] dei sopravvissuti e alla loro nuova ripugnanza ad accettare la scomparsa della persona cara. Ci si attaccava ai suoi resti155. [...] Una volta si sotterravano i morti davanti all'immagine della Madonna, o nella cappella del SS. Sacramento. Ora i parenti volevano recarsi nel luogo preciso in cui il corpo era stato deposto, e volevano che questo luogo appartenesse completamente al defunto e alla sua famiglia. È stato allora che la concessione di sepoltura è divenuta una speciale forma di proprietà, sottratta al commercio, ma con garanzia di possesso perpetuo. È una grandissima innovazione. Si va dunque a visitare la tomba di una persona cara allo stesso modo in cui si va da un parente o in una casa propria, piena di ricordi. Il ricordo conferisce al morto una specie d'immortalità, che in principio era estranea al cristianesimo. Dalla fine del XVIII secolo, ma ancora in pieno XIX e XX secolo [...] gli anticlericali e gli agnostici, i miscredenti, saranno i più assidui visitatori delle tombe dei loro familiari.156
Questi gli accadimenti, e cambiare l'acqua ai fiori - ritualità ancora presente al tempo odierno - non è più un'azione solo domestica, e religiosa - ma anche cimiteriale, e laica. In ulteriore istanza, al luogo cittadino - benché extra moenia - del cimitero ci si affeziona, anche e soprattutto proprio per il fatto che una piccola parte di questo è ora di inalienabile proprietà delle persone che lì vedono seppellire i loro cari, ovvero perché la tomba o la piccola cappella di famiglia che stanno al cimitero sono diventati (distanti) annessi domestici. Esempio di ciò sono le vicende legate all'urbanistica di Parigi nella seconda metà dell'Ottocento: Dall'inizio del secolo XIX, si progettava di sopprimere i cimiteri parigini raggiunti dall'espansione urbana e di trasferirli fuori città. L'amministrazione di Napoleone III (regnante dal 1852 al 1870) volle attuare questo progetto. Poteva richiamarsi a un precedente: alla fine del regno di Luigi XVI (che fu dal 1774 al 1792), il vecchio Cimitero degli Innocenti, che serviva da più di cinque secoli, era stato raso al suolo, arato, sventrato, ricostruito tra la massima indifferenza della popolazione. Ma nella seconda metà del XIX secolo, la mentalità era cambiata: tutta l'opinione pubblica insorse contro i progetti sacrileghi dell'amministrazione, un'opinione
154 Si vedano Capitolo 03.7 La morte di sé e 03.10 Flambeau, tombeau. 155 D'altronde, anche il cristianesimo è nel frattempo cambiato e non è più quello degli albori, secondo il quale il Dies illa destinava a tutti i fedeli, nessuno escluso, il Paradiso perduto. 156 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 60-61.
180
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
unanime in cui i cattolici si univano ai loro nemici positivisti. La presenza del cimitero sembrava ormai necessaria alla comunità cittadina.157
Per quanto riguarda le sembianze “tipiche” del cimitero che va delineandosi nell’Ottocento, causate, come si è affermato appena sopra, da quello che Ariès chiama “culto delle tombe” - che sono, poi, bene o male quelle giunte fino ai giorni nostri -, un personaggio come l’italiano Melchiorre Missirini (1773-1849) “aveva sostenuto [...] che la “vanagloria” al cimitero, cioè la posa di epitaffi ed effigi, era un prezzo da pagare, se si voleva assecondare il trasferimento delle sepolture dalle chiese ai cimiteri”158. Quasi come se la nuova laicità delle esequie e dell’inumazione dovesse, per ritenersi parimenti “efficace” a quella che era stata fino ad allora - ovvero quella legata intimamente ai luoghi del religioso -, ornarsi e truccarsi per abbellirsi. Difatti, “sul tempo breve il cimitero comunale stentava [...] a incontrare la confidenza dei committenti a causa, soprattutto, d’un deficit di sacralità [qui da intendersi come religiosa]”159. La distanza dal religioso doveva come essere compensata da un maggior sfarzo. Queste nuove lapidi “laiche” dovevano imbellettarsi per essere viste - viste da Dio. Sempre per continuare su questa scìa del discorso, si può quindi affermare che durante tutto il XIX secolo, il luogo urbano “fuori-porta” del cimitero va abbellendosi. Ciò detto, questo non implica affatto una sua frequentazione come la possiamo intendere tutt’oggi, ovvero rara ma sostanzialmente libera: Se si pensa che ai primi dell’Ottocento il cimitero non era aperto al pubblico, si comprenderà il senso d’un mutamento di percezione, segnalato dalla pubblicazione di guide a cartoline fin dagli anni Sessanta. Le visite però non sono ancora regolari. I regolamenti contemplano sì un custode, al quale è demandata la sorveglianza del “decoro”, il rispetto d’un “religioso silenzio”, ma con riferimento principalmente alla festa del 2 novembre, o per premunirsi contro eventuali manifestazioni “sovversive”. Se il sepolcro sta diventando un foscoliano riparo, il funerale invece sembra restare confinato al tratto fra casa e chiesa.160
Il trasporto delle salme verso il cimitero, infatti - e questo fino ai primi decenni del secolo successivo -, rimane nascosto agli occhi delle genti: i carri 157 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 62. 158 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 48. 159 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 57. 160 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 71. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
181
funebri, sui quali vengono stipate numerose bare, viaggiano di notte, silenziosi, senza alcun corteo, che invece aveva luogo nel tragitto dalla casa del morto alla chiesa, prima del funerale161. Le sepolture avvengono solamente sotto la fioca luce riflessa della luna. Solamente a Novecento inoltrato i cadaveri saranno ammessi, per il tempo del loro ultimo tragitto, per le strade cittadine, alla luce del sole. In compenso, quello che si genera in questi decenni, dato che come abbiamo visto il cimitero si fa distante ed allontanato rispetto ai “luoghi del religioso”, è un vero e proprio vuoto (nel) cerimoniale, che deriva dal sostanziale disinteresse da parte della chiesa di accompagnare la salma al cimitero “così lontano”. “Di qui l’assegnazione ai cimiteri comunali di un cappellano stipendiato direttamente dai municipi”162. Il morto - dopo l’assoluzione - viene ora consegnato e lasciato nelle mani della camera mortuaria e delle cosiddette “pompe funebri”, occupazione che nasce, va da sé, proprio in questo tempo. Nella città di Genova - in realtà, com’è ormai chiaro, appena fuori dalle “mura” di questa -, è a partire dalla metà del XIX secolo, nel 1844, che iniziano i lavori per la costruzione del Cimitero Monumentale di Staglieno: il primo gennaio del 1851 il cimitero è reso utilizzabile per le sepolture ed aperto al pubblico, anche se a quell’anno mancano ancora gran parte delle architetture, qual è ad esempio il Pantheon ivi ospitato163. Il progetto iniziale per il Monumentale di Genova viene affidato nel 1835 a Carlo Barabino - l’architetto per eccellenza della Genova di fine XVIII e inizio XIX secolo164 - che, però, caso vuole che muoia quello stesso anno: quello del cimitero fu per lui affidamento infausto. Il progetto passa così nelle mani di Giovanni Battista Resasco (1798-1871), il cui piano viene approvato nel 1840. Qualche anno dopo cominciano gli scavi ed il cimitero comincia a “prendere vita”. Situato appena a nord della veramente inurbata Genova, alle pendici di una collina e rivolto verso il Bisagno - il torrente cittadino -, il complesso architettonico è di gusto “neoclassico”, sicuramente impostato sulla scìa dei canoni tardo-settecenteschi che abbiamo rilevato, come exemplum su tutti, nei lavori di Ferdinando Fuga [28]; presenta però, maggiormente che nei lavori già presentati, un carattere paesaggistico - da intendersi nella 161 Per la questione si veda il capitolo Dalla camera mortuaria al funerale laico, in Mengozzi D., op. cit., pp. 66-76. 162 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 72. 163 Per la questione si veda Cimitero Monumentale di Staglieno, in Sitografia. 164 Di Carlo Barabino (1768-1835) sono i genovesi Teatro Carlo Felice (1825-1828, poi ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale) ed il Palazzo dell’Accademia (18261832), solo per citare due tra i principali e più conosciuti lavori dell’architetto che rese Genova, più di tutti gli altri, la città che conosciamo tutt’oggi.
182
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
sua accezione di vicinanza con il naturale -: stiamo pur sempre parlando di un impianto a recinto quadrato, tagliato e suddiviso al suo interno in varie corti da assi tra loro ortogonali, ma queste sono piantumate in gran quantità. I due assi principali - nord-sud ed est-ovest - sono lunghi viali alberati di cipressi, e le aree per le inumazioni a terra che questi inquadrano (l’operazione, nella gestione del disegno a terra, è pur sempre quella del quadrillage) sono a prato - e non corti secche, ricoperte da materiale lapideo, come nel caso, ad esempio, del Cimitero delle 366 Fosse napoletano -: qui sono sistemate le comuni lapidi, mentre svariati loculi e più magniloquenti famedi si attestano sui tre lati ad est, sud e ovest (lungo i portici), lasciando a nord, al centro della “C” concava verso valle, lo spazio per il Pantheon165. Per posizione, ovvero alle pendici di un’area a bosco, e per gestione dello spazio interno, anch’esso fortemente piantumato, si può quindi affermare che il Cimitero Monumentale di Staglieno si avvicini, per certi versi, ad esiti più nord-europei che mediterranei, laddove il cimitero è sempre stato un qualcosa intriso e assorbito nella natura; luoghi in cui le lapidi si affastellano fitte all’interno di un grande giardino - e non una corte “secca”166. Un’architettura che si fa molto più paesaggistica - inserita nel paesaggio e caratterizzante il paesaggio, cosa che ottiene anche per il solo suo adagiarsi su un pendìo - di quanto gli esiti precedentemente visti non fossero. Una forma di quadrillage, ma non più rigido - bensì disteso. Il Cimitero di Staglieno di Genova* compare, in parte inaspettatamente - quasi come un lampo italiano nella fittissima serie di questioni francesi e continentali -, anche nell'opera magna di Ariès, ed è utile - a lui, come ora a me - a far intendere le due diverse strade che vengono imboccate, all'incirca dall'inizio del XIX secolo, in Europa per quanto riguarda i cimiteri e l'arte funeraria. Da un lato della via, si vedono proseguire assieme l'America del Nord, l'Inghilterra ed il Nord-Europa; dall'altro, il sud del Vecchio Continente (Italia e Spagna) assieme con il centro-sud della Francia e della Germania.
165 Il Pantheon genovese - a dire il vero esternamente ben più che internamente - ricorda in tutto e per tutto il Pantheon canoviano di Possagno (in provincia di Treviso), completato qualche anno prima (dal 1819 al 1822 con Antonio Canova in vita, e poi ultimato nel 1830 secondo il suo progetto). 166 Il Cimitero Monumentale di Staglieno è stato ampliato più e più volte: aggiunta rilevante, sempre seguendo le “linee guida” del disegno originario, è stata quella dell’area riservata agli acattolici e del cosiddetto Cimitero degli Inglesi, conclusasi nel primo decennio del Novecento. Invece, dello stesso Resasco è l’ampliamento, per mezzo di un lungo portico semicircolare, a nord-est, operato nel 1868: un’architettura perfettamente simmetrica - rispetto all’asse principale nord-sud dove ha sede il Pantheon - avrebbe dovuto costruirsi anche sull’altro lato, ma non ha poi trovato attuazione. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
183
[28]
184
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
185
Arriviamo ora a un momento di questa lunga evoluzione in cui dobbiamo fare una sosta e introdurre un nuovo fattore. [...] Vediamo l'America del Nord, l'Inghilterra e una parte dell'Europa nord-occidentale separarsi dalla Francia, dalla Germania, dall'Italia. In che cosa consiste questa differenziazione, e qual è il suo senso? Nel XIX secolo, e fino alla guerra del 1914 (una grande rivoluzione dei costumi), la differenza non appare né nei funerali né nelle consuetudini del lutto. Ma la si può constatare nei cimiteri e nell'arte funeraria. I nostri amici inglesi non mancano di farci osservare, a noi continentali, la stravaganza barocca dei cimiteri, il Camposanto di Genova*, i vecchi cimiteri, i vecchi cimiteri ottocenteschi delle grandi città francesi, con le tombe sormontate da statue che si agitano, si abbracciano, si lamentano. Non v'è dubbio che si è allora instaurata una grande differenza. Si è partiti, alla fine del XVIII secolo, da un modello comune. Il cimitero inglese di oggi somiglia molto a quel che era il cimitero francese quando, alla fine del XVIII secolo, fu proibita la sepoltura nelle chiese e anche nelle città; questo tipo di cimitero lo ritroviamo dall'altra parte dell'Atlantico, per esempio ad Alexandria (Virginia): un pezzetto di campagna e di natura, un bel giardino all'inglese, talvolta ancora intorno alla chiesa [...]. Gli Stati Uniti e l'Europa nord-occidentale resteranno più o meno fedeli a questo vecchio modello, verso il quale convergevano le sensibilità del XVIII secolo. L'Europa continentale invece se ne è allontanata ed ha costruito per i suoi morti dei monumenti sempre più complicati e figurativi. [...] Si è tentati, naturalmente, di attribuire questa differenza alla differenza religiosa, all'opposizione fra protestantesimo e cattolicesimo. [...] [Ma] la separazione del Concilio di Trento167 è assai anteriore a questo divorzio fra le abitudini funerarie. Per tutto il XVII secolo, si inumava esattamente allo stesso modo (a parte, naturalmente, la liturgia) nell'Inghilterra di Samuel Pepys o nell'Olanda dei pittori d'interni di chiese, e nelle nostre chiese di Francia e d'Italia. Gli atteggiamenti mentali erano gli stessi. Tuttavia c'è qualcosa di vero nella spiegazione religiosa, se si constata che durante il XIX secolo il cattolicesimo ha sviluppato espressioni sentimentali, commoventi, da cui s'era allontanato nel XVIII secolo, dopo la grande retorica barocca: una specie di [“]neobarocchismo romantico[”], molto diverso dalla religione riformata ed epuratrice dei secoli XVII e XVIII. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare ciò che dicevamo poc'anzi, che il carattere esaltato e commovente del culto dei morti non è di origine cristiana. È di origine positivista, e i cattolici in seguito vi hanno aderito e l'hanno, del resto, assimilato così perfettamente da crederlo ben presto autoctono. [...] Più della religione, interverrebbe allora il tasso d'industrializzazione e di urbanizzazione. Gli atteggiamenti funerari neobarocchi si sarebbero sviluppati nelle culture in cui, anche nelle città e nelle metropoli, influenze rurali si sono mantenute e non sono state cancellate da un incremento
167 Il Concilio di Trento si svolse, nelle sue numerose sessioni, tra il 1545 ed il 1563: l'azione del concilio è la risposta della Chiesa cattolica alla Riforma protestante iniziata - de facto - il 31 ottobre del 1517, giorno durante il quale Martin Lutero (1483-1546) appese le sue 95 Tesi al portone della cattedrale di Wittenberg, Sassonia.
186
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
economico meno rapido.168
Anche se entrambe verso Eusonia, le strade si dividono a seguire un diverso Dio - ed una è per la campagna, l'altra per la città. Durante l’Ottocento, per dirla in termini foucaultiani, si procede - sulla scia del periodo di “grande internamento” - verso la “grande medicalizzazione” novecentesca. Nella lettura di Baudrillard, il cimitero - soprattutto nella sua concezione post-Editto, quindi otto-novecentesca169 - è l’archetipo del ghetto: è il luogo per eccellenza di allontanamento, divisione ed esclusione. Essi [i cimiteri] proclamano i morti anormali, pericolosi, da evitare. [...] Ma fanno ancora di più. Applicando ai morti la medesima tecnica di separazione che si applica ai portatori di malattie infettive o di disordini di comportamento contagiosi, proiettano i morti tra quelle minacce affrontabili che perdono la loro potenza se vengono mantenute ad una certa distanza: obbligandoli a rimanere in quella posizione, pregandoli e corrompendoli affinché non si muovano [...]. Meglio ancora, i morti, come i malati, i pazzi o i criminali, sono affidati alle cure di «professionisti autorizzati».170
05.11 Cortei - GUERRA. [...] La guerra appare così come il mezzo per ristabilire, un «sacrificio» che replica quello cosmogonico 171 *** Non è un caso che l’Ottocento di Hobsbawm si chiuda con la vicenda della Prima guerra mondiale: questa segna una vera e propria cesura storica anche nel campo d’indagine qui approfondito, quello del cimiteriale e del funerario. Infatti, 168 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 63-64, 65, 66, 67. 169 Jean Baudrillard (in Lo scambio simbolico e la morte, 1976) parla in generale del cimitero come archetipo del ghetto. Non so quanto essere d’accordo con quest’affermazione, più che altro pensando alle forme del cimitero prima del Settecento. A mio modo di vedere però, le parole del filosofo francese ben descrivono lo spazio di “grande internamento” e “grande medicalizzazione” che il cimitero diventa proprio dal XVIII secolo in poi, come si è visto fin qui. 170 Commento all’opera di Jean Baudrillard da parte di Bauman Z., op. cit., p. 36. 171 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 246. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
187
la morte di massa imposta dalla Prima guerra mondiale [eroismo collettivo] aboliva i confini fra cimitero e città, inaugurando un lutto senza fine. I monumenti commemorativi divenivano luoghi di cordoglio, perdendo quello spirito ottimistico, che era stato proprio della religione umanitaria.172
Una sorta di “ritorno dei morti” - segnato inesorabilmente, su scala internazionale, dalla calamità tutta artificiale della Prima guerra mondiale - si era già presentato all’incirca un cinquantennio prima di quest’ultima, con maggior precisione in Italia, in tempo di unificazione nazionale: “quello garibaldino è un eroismo di individualità, di eroi singoli dai forti tratti personali, benché spesso somiglianti a Garibaldi [...], a partire dalla camicia rossa e dalle virtù ribelli e d’intraprendenza”173. La seconda metà del XIX secolo vede, tra le altre cose, la nascita del cosiddetto corteo funebre che, all’incirca nelle forme in cui lo conosciamo oggi - e lo abbiamo conosciuto nel secolo scorso -, pare potersi considerare frutto delle sepolture civili, iniziate e diffusesi, per l’appunto, successivamente all’Editto di Saint-Cloud ed alla “grande laicizzazione” occidentale, frutti delle “illuminate” vicende settecentesche e del primo Ottocento. A ragione Maurice Agulhon aveva notato che il corteo [...] non esisteva prima della metà del XIX secolo. E faceva riferimento in particolare ai grandi cortei funebri del 1848 per i morti del 22-24 febbraio. Lo studioso ne precisava alcune caratteristiche, cioè l’insieme dell’accompagno musicale assolutamente profano, come l’uso del tamburo, della partecipazione della folla, che giungeva al cimitero dopo aver compiuto il giro della città, poi i discorsi di saluto.174
Da quei decenni in poi, il corteo funebre - anche detto italicamente “accompagno” - assume sempre maggior importanza e valore all’interno dei gruppi laici, e per credere questo basti tener presente una sola controprova: durante il periodo fascista, alla morte dei dirigenti del movimento operaio verrà interdetto loro - ed ai presenti al loro funerale - proprio l’accompagno funebre, dato il conosciuto potere unificante e aggregativo, nel cordoglio, di tale momento. “Il regime si preoccuperà di lasciare il corpo in solitudine controllando, per mezzo della polizia, l’accesso alla camera mortuaria [...], allontanando gli “estranei”, cioè i non famigliari”175 - ché così appositamente si macchiava, o profanava, il rispetto delle salme dei defunti antagonisti politici, che dovevano passare come indegni agli occhi 172 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 37. 173 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 86. 174 Mengozzi D., op. cit., p. 143. 175 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 147.
188
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
del popolo. Uno degli esempi più magniloquenti, a noi vicini, del sentire funebre e “cimiteriale” tardo-ottocentesco è costituito dal Cimitero Monumentale di Milano, costruito seguendo il progetto di Carlo Maciachini (1818-1899) a partire dal 1863 - successivamente al concorso indetto dal comune, da lui vinto l’anno precedente -, per essere aperto al pubblico ed alle inumazioni nel 1866, pur non completo in tutte le sue parti architettoniche. Queste finirono di essere costruite nel ventennio successivo: nel 1870 viene completato il recinto esterno in muratura, nel 1873 l’Ossario centrale ed infine, nel 1887, il Famedio che suggella il tutto, costituendo l’ingresso al cimitero stesso. Quella di Maciachini è un’opera eclettica nel gusto - sintassi archi-acute, polilobate e floreali si scambiano, nel guardarsi intorno, con archi a tutto sesto dalle ghiere alternate bianco-rosse, di chiara ispirazione ispanico-bizantina -, ma fondamentalmente “classicamente” rigida, oltre che di carattere simil-urbano, nell’impostazione [29]: infatti, dal mezzo del corpo a “C” (o più propriamente a “I” disposta in orizzontale) dell’ingresso parte il viale centrale principale che - in pianta - suddivide in due parti simmetriche (o quasi, data la presenza ad est della ferrovia) l’enorme lotto176. Queste due sezioni sono poi suddivise a loro volta in aree quadrangole più piccole da viottoli sempre ortogonali al viale centrale: l’impostazione è quella - anche urbana, all’epoca - del quadrillage, ancora una volta. Vera e propria normalizzazione geometrica all’elementare dello spazio. Da ciò, si può dire che il Monumentale di Milano è maggiormente interessante per altre due diverse questioni. La prima è il suo essere - e non è errato definirlo in questi termini - un vero museo a cielo aperto, accogliente parte del meglio della scultura italiana (ma non solo) alla fine dell’Ottocento: le soluzioni adottate per le lapidi ed i monumenti, da quelle nella fattispecie architettoniche fino a quelle prettamente ornamentali, sono variegatissime, alcune molto ricercate e scenografiche. Anche qui - com’è stato poi nello spirito del costruire del Maciachini - si affastellano lessici decorativi provenienti e mescolanti tutte le epoche storiche, in un eclettismo tutto italiano molto sentito a cavallo tra XIX e XX secolo. La seconda motivazione di sincero interesse nei confronti del Monumentale milanese sta tutta nella sua natura di parco pubblico - e ciò lo intromette nella tradizione secolare dei rapporti formali e simbolici tra giardino e cimitero177 - o, ancor meglio, di “salotto pubblico” della domenica: Philip176 Il Cimitero Monumentale di Milano è stato più e più volte ampliato nel corso degli ultimi centocinquant’anni, fino a raggiungere i complessivi venticinque ettari odierni. 177 Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
189
[29]
190
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
191
pe Daverio178 ben rende l’idea e lo descrive come il gemello del teatro La Scala. Così come il Teatro cittadino, anche il Cimitero è luogo - eterotopico, dirà Michel Foucault179 - dell’incontro, della socialità e della convivenza, non solo tra morti. E questa sua caratteristica non è per nulla scontata come si è potuto intuire nei discorsi sui “luoghi della morte” portati avanti fino qui. Il Monumentale di Milano rappresenta così un’intera società e la sua etica industriale e borghese, e si fa palcoscenico per la vita associata della stessa. Quasi un cimitero che diventa teatro - della socialità.
05.12 Il cadavere, lo specchio, il sesso - SPECCHIO. [...] Nei miti, appare talvolta come la porta attraverso cui l’anima può dissociarsi e «passare» dall’altra parte, tema ripreso da Lewis Carrol in Alice attraverso lo specchio. Soltanto questo può spiegare l’usanza di coprire gli specchi o di voltarli contro il muro in determinate circostanze, in particolare quando in casa muore qualcuno 180 *** Una delle più importanti riflessioni che aprono al Moderno architettonico - ovvero alla stagione della cosiddetta architettura contemporanea - è quella partorita da Adolf Loos181, ed a mio modo di vedere anch’essa è fortemente segnata dal tema della morte. Leggendo la sua opera in controluce - cioè considerandola in negativo, ovvero pensando a ciò che esclude -, Loos ci offre una rilevantissima lettura della morte e dei suoi luoghi, tra cui quello del cimitero. Difatti, dire che solamente sepolcro (Grabmal) e monumento (Denkmal), all’interno delle cose costruite dal Baumeister - questi i termini con i quali Loos parla della disciplina architettonica più propriamente definibile come tale -, possono raggiungere esiti artistici, sopportare cioè un “trattamento ar178 Tratto da Daverio P., Passepartout - I cimiteri, in Videografia. 179 Il riferimento è a ciò detto in Foucault M., Utopie, eterotopie, 1966. 180 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 430-431. 181 Per questa breve analisi si fa riferimento alla raccolta dei suoi scritti in Parole nel vuoto, 1972.
192
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
tistico”, differentemente da qualsiasi altra cosa costruita, significa affermare che le uniche vere architetture - intese come opere d’arte - possibili si hanno laddove scompare la funzione spaziale e di fruizione di queste (che è, poi, il grande tema di rivoluzione e dibattito del Moderno in architettura)182. Tra tutte le progettabili e realizzabili, sepolcro - cioè tomba - e monumento sono le due opere contemplative, e non meramente funzionali, e solo in forza di ciò leggibili come esito artistico183. E, forse non a caso, hanno queste “a che fare con la morte”. D’altronde, coloro vivi non usano un sepolcro, al massimo lo contemplano - vi stanno davanti; e sempre coloro che sono vivi non usano (persino grammaticalmente è questione errata) un monumento, al massimo, anche qui, lo contemplano - vi si stagliano di fronte. Su questi binari non v’è dubbio che il cimitero è con le Altre cose costruite, e non ha da collocarsi tra le “artistiche eccezioni” perché si usa, si vive: il luogo del cimitero non contempla in sè la morte, ma ospita al suo interno i luoghi della contemplazione - e può ospitare sia il sepolcro che il monumento. Lasciando ora da parte per un attimo le pretese fastose che spesso osserviamo nei luoghi d’inumazione: cos’è il sepolcro se non un monumento declinato al diminutivo singolare? - e cos’è il monumento se non un’accresciuta tomba per un evento eccezionale, che conta al plurale ben più di una singola dipartita? Il sepolcro sta alla morte del singolo come il monumento sta alle morti dei molti nella Storia - o, comunque, alle molte possibili “Morti” nella Storia. Ma la cosa rilevante è che entrambi stanno alla morte. La Stimmung loosiana (pathos o “emozionalità”), da ricercarsi in ogni opera architettonica come unico e vero fine per il Baumeister, sarà, nei due casi in questione, inevitabilmente legata al contemplativo e non alla fruizione, e sarà tale per il semplice e banale fatto che la morte non si può vivere. È così che in Loos, l’architettura è arte laddove “sta alla morte”. Ha considerato i campisanti luoghi particolari, in qualche modo distinti e da considerare all’interno della sua speculazione, anche Michel Foucault nelle cui parole ci siamo imbattuti già numerose volte, soprattutto riguardo alle tematiche più sociologiche e politiche - che, nella seconda metà del 182 “[...] Se per Loos sepolcro e monumento costituiscono delle “eccezioni”, ciò non significa che essi godano di alcun “privilegio”. In essi non vi è potenzialmente più pienezza di senso - più architettura - di quanta ve ne possa essere in qualsiasi altro Bau. Anzi, si potrebbe affermare che sepolcro e monumento, essendo liberi da funzioni, siano i soli in grado di “sopportare” un trattamento artistico, senza che ciò ne pregiudichi la possibilità di riuscita” (tratto da Biraghi M., Questa è architettura. Il progetto come filosofia della prassi, Einaudi, Torino, 2021, p. 22). 183 Si noti che la stessa radice tedesca del termine Denkmal (“monumento”) è Denk-, che significa “pensare”. Il monumento è lì - allo stesso modo della tomba - innanzitutto per farci pensare. Ed il pensare è statico e contrario al dinamico vivere o usare quella tal cosa costruita. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
193
Novecento, li presenta come eterotopie184. Ma cos’è, per Foucault, un’eterotopia? - e per che motivi il luogo del cimitero può essere considerato tale? Si tratta in qualche modo di contro-spazi. I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate [forma in contrapposizione di u-topia che la rende etero-topia]. L’angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e infine - il giovedì pomeriggio - il grande letto dei genitori. È in quel letto che si scopre l’oceano, perché tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perché sulle sue molle si può saltare; è il bosco perché ci si può nascondere; è la notte, perché fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perché al ritorno dei genitori si verrà puniti. Questi contro-spazi non sono, in verità, soltanto l’invenzione dei bambini; semplicemente perché i bambini non inventano mai niente; sono gli adulti, invece, che hanno inventato i bambini e sussurrato loro mirabili segreti, anche se poi restano sorpresi quando i bambini glieli urlano a loro volta nelle orecchie. La società adulta ha organizzato anch’essa, e ben prima dei bambini, i suoi contro-spazi, le sue utopie situate, i suoi luoghi reali fuori da tutti i luoghi. Ci sono i giardini, i cimiteri, i manicomi, le case chiuse, le prigioni185, i villaggi del club Méditerranée e molti altri.186
Tali sono le etero-topie (lett.: “spazi altri”): se le utopie sono luoghi univoci, ideali, ma senza un dove, quest’altre sono invece situate - ovvero possiedono una sede reale -, ma rimandano ad infiniti altri luoghi, sono equivoche ed ambigue, soffrono di personalità multipla, per la precisione sestupla: sei sono difatti le istanze ravvisabili come proprie delle eterotopie secondo Foucault, ed altrettanti i motivi che inquadra per includervi, in queste, i cimiteri. Innanzitutto, sono spazi in qualche maniera connessi e che sempre rimandano a molti altri: diedri di infinite sfaccettature che riflettono infiniti altri spazi, luoghi fatti di luoghi riflessi (è questo quello che il Nostro denota
184 La visione eterotopica di Foucault è criticata da Han per il suo porsi “in modo acritico” all’interno del “regime neoliberale” soprattutto in Eros in agonia (2012): ma tali discussioni non riguardano il discorso qui intrapreso, in quanto si vuole mettere in evidenza come, per il francese, i cimiteri abbiano un potenziale spculativo, sono luoghi differenti - per i motivi che saranno esposti. È per me interessante più il fatto che li consideri tra le sue eterotopie piuttosto della definizione - se ce n’è un’univoca - di queste. 185 Si noti come molti dei luoghi presentati da Foucault come eterotopie sono i luoghi da lui descritti come caratteristici del “grande internamento” settecentesco, quasi come questi dovessero per forza - esservi inclusi: concordi tutti sul teatro, la nave, il cimitero od il giardino, ma a che “spazi altri” - e con che forza - rimanda, ad esempio, il manicomio? 186 Tratto da Foucault M., Utopie, eterotopie, Cronopio, Napoli, 2020 (1966), edizione a cura di Moscati A., pp. 14-15.
194
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
come terzo principio187). Non a caso Foucault le lega all’oggetto dello specchio188, che si ritrova ad essere utopico-ed-eterotopico al medesimo tempo: [Primo principio] questi luoghi, che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò, in opposizione alle utopie, eterotopie; e credo che tra le utopie e questi luoghi assolutamente altri, le eterotopie, vi sia senza dubbio una sorta d’esperienza mista, mediana, come potrebbe essere quella dello specchio.189
Ecco che i cimiteri sono ravvisabili come luoghi eterotopici - al pari del teatro e della nave - perché sono posti al di là del quotidiano, e raccontano vicende che sono extra-ordinarie. Così come l’eterotopia richiama a sé infiniti spazi e va oltre, il cimitero è il luogo tangibile o manifestazione terrena dell’aldilà, monumento per chi è oltre. Le eterotopie, poi, possono cambiare durante il corso della storia, o rimanere le medesime ma funzionare in maniera diversa da quanto successo fino a quel momento: [Secondo principio] nel corso della sua storia, una società può far funzionare in modo molto diverso un’eterotopia che esiste e che non smette di esistere; in effetti, ogni eterotopia possiede un funzionamento preciso e determinato all’interno della società e la stessa eterotopia può, in base alla sincronia che possiede con la propria cultura, sviluppare un funzionamento piuttosto che un altro.190
Anche i cimiteri sono luoghi variati - oltre che di sede, di condizione - nel corso della storia: un tempo considerati al centro, letteralmente, della vita sociale ed influenzanti quest’ultima191, sono poi stati estromessi, e sono diventati “la città dei morti” in opposizione - e non più in unione e connes187 “Terzo principio. L’eterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. È così che il teatro realizza nel riquadro della scena tutta una serie di luoghi che sono estranei gli uni agli altri” (tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., pp. 27-28). 188 Lo specchio è, in Foucault, un’immagine - letteraria - importante: assieme al cadavere ed al sesso, è lo strumento tramite il quale tastiamo e testiamo la nostra corporeità: “È questo cadavere, quindi, anzi, sono il cadavere e lo specchio, che ci insegnano [...] che abbiamo un corpo, che questo corpo ha una forma, che questa forma ha un contorno, che in questo contorno ci sono uno spessore, un peso: insomma che il corpo occupa un luogo. Sono lo specchio e il cadavere che assegnano uno spazio all’esperienza profondamente e originariamente utopica del corpo [...]. È grazie a loro, è grazie allo specchio e al cadavere che il nostro corpo non è pura e semplice utopia” (tratto da Foucault M., Utopie, eterotopie, cit., pp. 43, 44). 189 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 24. 190 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 26. 191 Si veda Capitolo 03.3 Fondazioni. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
195
sione - alla “città dei vivi”. In ulteriore istanza, le eterotopie sono intimamente legate alle eterocronie (quarto principio): hanno infatti a che fare con la rottura rispetto al tempo canonico ed abituale, si cibano e - anche qui - riflettono tempi che non sono il solo presente. Basti pensare - è un suo esempio - alle biblioteche o ai musei, dove è accumulato il sapere conosciuto di tutti i secoli che c’hanno preceduto. Non è difficile traslare quest’assunto al camposanto: quanti tempi ospita il cimitero? Infatti, l’eterotopia si mette a funzionare a pieno quando gli uomini si trovano in una sorta di rottura assoluta con il loro tempo tradizionale; in base a ciò è possibile dedurre come il cimitero debba essere inteso come un luogo altamente eterotopico perché il cimitero dà luogo a questa strana eterocronia che è per un individuo la perdita della vita, e una quasi eternità dove non si cessa di dissolversi e di cancellarsi.192
Questi contro-spazi sono poi, in qualche modo, sacralizzati - nel senso che abbiamo fino ad ora adoperato in questa sede, ovvero distinti e segnati, recintati, dal resto: esempi tipici di questi spazi eterotopici sono soprattutto quelli legati agli stati di crisi (lett.: “rottura”), ovvero ai riti di passaggio. È il caso - nella storia passata più che in quella presente dove i passaggi tendono a sfumare - “degli adolescenti, delle donne nel periodo mestruale, delle partorienti, dei vecchi [...], il collegio [...] o il servizio militare”193. [Quinto principio] Le eterotopie presuppongono sempre un sistema di apertura e di chiusura che, al contempo, le isola e le rende penetrabili. In generale, non s’accede ad un luogo eterotopico come ad un mulino. O vi si è costretti, è il caso della caserma o della prigione, oppure occorre sottomettersi a riti e purificazioni. Non è possibile entrarvici se non si possiede un certo permesso e se non si è compiuto un certo numero di gesti.194
Ecco che anche il cimitero è sacralizzato, in quanto - come si è ripetuto numerose volte - esso è scisso e recintato dal resto dal momento della sua fondazione; anch’esso è attinente ad un rito del passaggio, l’ultimo - sia in rapporto al tempo delle nostre vite, sia al suo perdurare rispetto a tutti gli altri citati -: quello che si attiva alla morte di qualcuno, in quanto la morte è per definizione l’ultima nostra soglia - o passaggio. O, come direbbe Testoni195, momento simmetrico ed opposto rispetto al nostro primo vagito, 192 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 28. 193 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 25. 194 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 30. 195 Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia.
196
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
quindi ultima nascita. Il sesto ed ultimo principio che, secondo Foucault, contraddistingue questi luoghi è, poi, il fatto che sviluppano, rispetto agli spazi circostanti, una funzione: “esse hanno il compito di creare uno spazio illusorio che indica come ancor più illusorio ogni spazio reale”196. Creano uno spazio alternativo a quello reale - e quotidiano -, che noi tutti abitiamo, tale da indurci a credere che sia quest’ultimo quello “disordinato, maldisposto e caotico”197. Il cimitero è, in merito, solidale con tutti i luoghi della città, ha a che fare con tutti gli spazi cittadini: sia perché prima del XVIII secolo esso si trovava all’interno - quando non al centro - della città stessa, sia perché, anche ora che dall’urbe è escluso, riflette ed ospita le morti capitate in ogni dove. Cimiteri come eterotopie - ovvero, spazi di compensazione, più che d’illusione. In ultimo luogo, nell’odierna società occidentale, di matrice fortemente individualista, sono ben accetti gli ossari comuni ma non le fosse comuni (come abbiamo visto invece essere all’ordine del giorno fino a pochi secoli fa): la questione si inserisce all’interno delle, cosiddette, seconde esequie, sorta di secondo funerale che non è cosa solo contemporanea, ma caratteristica comune in quasi tutte le società fin tradizionali198. Dopo un’attesa che varia da alcune settimane a dieci anni, a seconda del gruppo etnico e dei mezzi di cui la famiglia dispone, ha luogo una cerimonia finale che conferma il defunto nel suo nuovo destino e conferisce ai suoi resti uno status definitivo. [...] Di regola, le ossa vengono riesumate e poi trattate in modi diversi a seconda delle tradizioni: lavate, asciugate, a volte coperte di ocra, vengono conservate come reliquie visibili, poste in contenitori, nuovamente seppellite o anche polverizzate e mischiate a bevande rituali. [...] Questo culto delle ossa, che viene genericamente definito come un culto degli antenati199, fiorisce presso gli Indiani d’America, in Cina e altrove e ha ancora il suo equivalente in Europa. È difficile individuare delle differenze tra il vecchio cinese che spazzola accuratamente le ossa del suo antenato e il lavoratore di scheletri dei cimiteri napoletani, che, due anni dopo la sepoltura, quando il cadavere è completamente essiccato, lava le ossa davanti alla famiglia, prima di porle in un’urna di marmo.200 196 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 31. 197 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 31. 198 Si intendano qui - in maniera ammessa abbastanza grossolana - per tradizionali le società, sostanzialmente, pre-moderne, ove la gran parte della popolazione è occupata nel cosiddetto settore primario (agricoltura ed allevamento). 199 Si veda Capitolo 05.5 Teschi ed effigi. 200 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 399. 05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero
197
Come si è detto anche in precedenza, nella nostra condizione sentiamo - ancora - il cadavere come doveroso della nostra cura: fino alla sua decomposizione rimane un qualcuno - più che un qualcosa - che, da sé, di sé non si riesce ad occupare - dappoi, ne vanno al massimo custodite le ossa, ma queste sono maggiormente accettate già come un qualcosa, anche se sempre da tutelare e maneggiare con discrezione.
198
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[30]
200
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
(Ef)fusione. Il cimitero come giardino
06
- CIPRESSO. Albero consacrato dai Greci alle divinità degli inferi. I latini ripresero questo emblema nel loro culto di Plutone e assegnarono all’albero l’epiteto di ‘funebre’, significato che conserva tutt’ora 1 *** Come si è già affermato nel corso del testo - ed ancora si avrà modo di affermare -, da sempre nella storia, il mondo vegetale è legato all’ambito del sacro, quest'ultimo da intendersi sia come religioso2 sia come laico (e quest'ultima differenziazione sarà ripresa, quindi indirizziamo per ora lo sguardo oltre la stessa). Il cimitero è un luogo sacro; il giardino è un luogo sacro. [30] Il focus, durante le righe di questo capitolo, è stato posto, quindi, proprio su questi due luoghi, che sono le due eterotopie per eccellenza in Foucault3, che costantemente - ed all'interno di numerose e diversificate tradizioni - si richiamano vicendevolmente: il luogo del giardino è stato accostato o, ancor meglio, sovrapposto a quello del camposanto; ch'è come dire viceversa, che il luogo del cimitero è stato sovrapposto al primo - in un'ideale calda (ef)fusione tra luoghi sacer. Tale (ef)fusione dura da secoli, se non millenni: i frammenti qui proposti si muovono a ritroso nel tempo - in un esercizio di zeviana memoria4, anche per ovviare alla meno seducente trattazione cronologica intrapresa, 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), pp. 146-147. 2 Basti anche solo pensare alla famosissima immagine del Giardino dell'Eden. 3 Si veda Capitolo 05. Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero. 4 È noto come Bruno Zevi (1918-2000) - architetto (poco), storico, critico d'architettura e saggista tra i più rilevanti del Novecento -, per affrontare i macro-temi del dibattito sull'arte e sull'architettura, chiedesse ai suoi studenti di partire dall'oggi ed andare a ritroso nel tempo, attivando ogni volta le facoltà della memoria visiva, della cultura storica e delle fonti scritte per ripercorrere i secoli, con gli occhi sempre rivolti al presente.
201
per forza di cose, nei capitoli precedenti -, a partire dalla contemporaneità, cercando di ritrarre, in ogni attimo, un'immagine degli innumerevoli modi di sovrapposizione - ed (ef)fusione - dei due luoghi. Giacché, in primissima istanza, così come in un giardino vivono le "invisibili" radici delle piante, anche i campisanti sono luoghi ctoni ed introversi, che si rifanno al sottosuolo, dove dormono - e ben più putridamente si decompongono anche - i compianti. Giacché, così come si attua la dispersione delle ceneri per dare l'ultimo saluto a coloro i quali sono stati cremati, anche all'interno del giardino l'atto della dispersione delle ceneri ha la sua rilevanza, ed è anche in questo caso legato ad un momento di passaggio e di nuova vita: atto, quasi, di metamorfosi5. Avvenuta (ef)fusione. Il cimitero come giardino - e viceversa.
2018 Per Byung-Chul Han, il suo giardino d'inverno - di cui è innamorato, si prende cura e parla nel suo Elogio della terra. Un viaggio in giardino (2018) ha molto a che fare con l'ambito cimiteriale. Infatti, afferma che: “Vedo il giardino d’inverno come sdoppiato: è un luogo simbolico di morte e resurrezione, un luogo per l’elaborazione metafisica del lutto”6. Il giardino d'inverno a cui pensa Han - la cui algida bellezza ritengo possa far parte di una specifica area di uno qualsiasi dei nostri campisanti, dato che di un'estetica associata al freddo e all'avverso, dal colore azzurro - è direttamente ripreso dal mondo romantico ottocentesco, ma non quello “passato alla storia”, fatto soprattutto di individuale esaltazione e patetici sentimentalismi, ma quello più sinceramente legato al mondo floreale ed ai suoi simboli: “Il giardino invernale è un luogo romantico. [...] Il fiore azzurro è il simbolo centrale del romanticismo”7. Tale romantico fiore azzurro8 ha numerose fonti letterarie: è ripreso in primo luogo dal Novalis (1772-1801) dell'Enrico di Ofterdingen (1802), nel quale
5 Il riferimento è al testo di Coccia E., Metamorfosi. Siamo un'unica, sola vita, 2020. 6 Tratto da Han B.-C., Elogio della terra. Un viaggio in giardino, Nottetempo, Milano, 2022 (2018), p. 20. 7 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 37. 8 Sul simbolismo nella tradizione del colore azzurro si sofferma anche Cirlot: "COLORE. [...] L'azzurro, colore del cielo sereno e dei vuoti spazi aerei, è il colore del pensiero [...]. L'azzurro, per il suo rapporto con il cielo e il mare [...], significa altezza e profondità, oceano superiore e inferiore. [...] L'azzurro a metà fra il bianco e il nero (giorno e notte), indica un equilibrio "variabile a seconda della sfumatura". [...] Fra gli Egizi, l'azzurro era il colore della verità" (tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 151, 152, 153).
202
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
compare in sogno al protagonista9; secondariamente, compare nella poesia Die blaue Blume (Il fiore azzurro, 1818) di Joseph von Eichendorff (17881857)10; in ultimo luogo, l'azzurro colpisce anche Goethe che lo definisce diversissimo da tutte le altre mescolanze cromatiche, come "un nulla eccitante"11. Han riprende il romantico fiore azzurro di questi autori quasi ad indicarci la via per transitare da un gusto per le lapidi - nella fattispecie nell'Europa meridionale12 - ancora molto legato ad un'idea romantica in parte falsata, verso un più sincero gusto romantico per il giardino. Forse non il pathos delle statue - ma il fiore azzuro ed il giardino, sono i più sinceri emblemi del romantico. Inoltre, Han sottolinea come siamo esseri che, da morti, tornano alla terra. In vita ce ne sentiamo così distanti. Liberi (ma) mortali. Le rose di Natale, per esempio, sono quasi immortali se le si lascia in pace. A loro non piace il movimento, non piace viaggiare. La mortalità è forse l’amaro prezzo che paghiamo per esserci separati dalla terra, per poterci muovere liberamente, per essere autonomi. Probabile quindi che la libertà sia mortalità13.
Ed il giardino è poi anche un luogo del silenzio, un recinto contemplativo: “Oggi abbiamo troppo da dire, troppo da comunicare, perché siamo qualcuno. Abbiamo disimparato sia il silenzio, sia il tacere. Il mio giardino è un luogo del silenzio. In giardino faccio silenzio”14.
2017 Mieko Kawakami in un bellissimo ed intensissimo racconto narra di una donna che, quasi per arrivare a purificazione e catarsi, “si lascia” sep9 "Ma ciò che soprattutto lo attrasse fu un altro fiore azzurro chiaro, che stava presso la fonte e lo sfiorava colle sue larghe foglie lucenti. [...] Ma lui non vedeva che il fiore azzurro, e a lungo lo contemplò con ineffabile tenerezza" (citazione dall'Enrico di Ofterdingen di Novalis ripresa in Han B.-C., op. cit., p. 38). 10 "Io cerco il fiore azzurro, / lo cerco e non lo trovo mai, / e sogno, che nel fiore / sbocci la mia felicità. [...] Io vago con l'arpa / per paesi, città e prati / ma da nessuna parte / si vede il fiore azzurro. [...] Io vago già da tanto tempo, / ho assai sperato, confidato / eppure ah, da nessuna parte / ho visto il fiore azzurro" (alcuni versi tratti dalla poesia Die blaue Blume di Eichendorff ripresi in Han B.-C., op. cit., p. 39). 11 Ripresa delle parole del Goethe de La teoria dei colori (1810) in Han B.-C., op. cit., p. 39. 12 Si veda Capitolo 05.10 Cambiare l'acqua ai fiori. 13 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 65. 14 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 134. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
203
[31]
204
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
pellire viva da un’altra donna - la nuova proprietaria della sua vecchia casa -; la scena avviene nel giardino fiorito della sua - ormai - ex dimora, ed è di una potenza ribaltante - ovvero che, letteralmente, “at-terrisce”, “trascina a terra” -, per la facilità con la quale la protagonista, da sola, si accomoda nella fossa per lei scavata dall’altra donna che, come una voce esterna, sembra quasi essere la sua coscienza, e pare, alla fine, una voce interiore più che esteriore. «[...] Qual è la cosa che preferisce, di questa casa?» [...] «Il giardino» mormorai, dopo un po’. [...] «Il giardino... sì, può funzionare» [...] «Sarà una specie di terapia. Ma più semplice ancora. Perché non diventa lei stessa il giardino?» [...] «Diventerà una cosa sola col suo giardino» ribattè, in tono glaciale «seppellendosi. Accanto a tutti i suoi preziosi fiori [...]». [...] La donna entrò nell’aiuola del timo. Con la punta della pala disegnò un perimetro nell’aria, a pochi centimetri da terra. [...] Iniziai a scavare nel punto che mi aveva indicato. [...] Obbedii e mi sedetti sul suolo scuro e umido, allungai le gambe e tenni le braccia lungo i fianchi. Respirai il profumo della dolce terra. Stia ferma, ora, disse la donna, che la seppellisco. Era quella voce. [...] Me ne stavo lì distesa in mezzo al giardino e la voce continuava a coprirmi di terra. [...] Le mie membra si fecero sempre più pesanti via via che la terra le spingeva verso il basso. [...] Che tu possa dar vita a uno splendido fiore. Che tu possa mettere radici. [...] Non potevo muovere braccia e gambe, e non riuscivo a respirare, ma senza sapere come, mi sentivo salire verso l’alto.15
Nelle parole della donna riecheggia una volontà primordiale di ri-accoppiamento con la terra, un’attrazione quasi carnale che la riporta all’humus dal quale viene. La scena di accomodamento nella fossa è viscerale, uterina; è come se tornasse nel caldo del grembo materno, unico drastico modo per far fronte agli insormontabili - per lei - problemi della vita. E tutto ciò avviene in un giardino, nel suo giardino fiorito.
1977 Nel film di Mario Monicelli (1915-2010) Un borghese piccolo piccolo (1977) v’è una scena in cui il protagonista, Giovanni Vivaldi (interpretato da Alberto Sordi) racconta alla moglie, Amalia Vivaldi (Shelley Winters), rimasta paralizzata dopo l’uccisione del figlio, che perlomeno la sua bara, con15 Tratto da Kawakami M., Il giardino fiorito, racconto in Freeman J. (a cura di), Freeman’s - Scrittori dal futuro, Black Coffee, Firenze, 2018 (2017), pp. 190, 191, 192. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
205
tenente la salma, è stata sistemata nel luogo migliore del cimitero: è questa raccontata però una menzogna bella e buona, anche se a fin di bene. I posti al camposanto in realtà non si trovano (e la situazione non è così distante da alcune attuali), nemmeno per un neo-massone come il protagonista, poiché la lista d’attesa è lunghissima. Lì, bare di legno ammassate alla meglio l’una sull’altra [31] a volte addirittura esplodono per colpa dei gas causati dal corpo in decomposizione, creando un putiferio all’interno degli stanzoni d’attesa, dove queste rimangono per tanto, tantissimo tempo, prima di trovare il buio della fossa. Ma le sembianze del tanto agognato luogo migliore del cimitero, oggetto della bugia a fin di bene del protagonista Giovanni alla moglie, sono quelle di un giardino rigoglioso: L’hanno sistemato proprio bene il nostro Mario... L’hanno messo in un posto tranquillo, tutto circondato dal verde... Ma non di cipressi eh! Di alberi, che vengono non so da dove... Lontano... [...] Questi alberi, che vengono forse dal Giappone dicono, chi lo sa, fanno dei fiori bellissimi! Tutti rossi, viola, gialli... Di tutti i colori!16
Il luogo migliore del cimitero è così figurato come giardino dell’Eden, al quale Mario è tornato - almeno per la madre.
1971 Ma non è forse stato lo stesso giardino dell’Eden il luogo della morte per eccellenza, il primo mortifero giardino? Se in Occidente l’Eden rappresenta tutt'oggi - anche - il Paradiso, a questo, però, non si accede che morendo. L’Eden sta alla morte - e noi siamo costretti a sognarlo. Penso di non dire nulla di nuovo: di fatto, è un ritaglio dalla poesia di Fabrizio De André: [...] Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo Nel giardino incantato lo costrinse a sognare A ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male. Quando vide che l’uomo allungava le dita, A rubargli il mistero di una mela proibita
16 Trascrizione personale del dialogo tra il protagonista Giovanni Vivaldi e la moglie tratto dal film in questione.
206
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Per paura che ormai non avesse padroni Lo fermò con la morte, inventò le stagioni. [...]17
Sempre nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo (1971), il brano Un medico fa riferimento al dolore ed alla morte tratteggiandole con “pennellate vegetali”, a disegnare un giardino d’alberi di ciliegio: Da bambino volevo guarire i ciliegi Quando rossi di frutti li credevo feriti La salute per me li aveva lasciati Coi fiori di neve che avevan perduti. Un sogno, fu un sogno, ma non durò poco Per questo giurai che avrei fatto il dottore E non per un dio, ma nemmeno per gioco Perché i ciliegi tornassero in fiore Perché i ciliegi tornassero in fiore. E quando dottore lo fui finalmente Non volli tradire il bambino per l’uomo E vennero in tanti e si chiamavano “gente” Ciliegi malati in ogni stagione. [...]18
1967 Anche Michel Foucault, nel suo parlare di eterotopie, si lascia trasportare da un certo fascino esotico del giardino che, non a caso assieme al cimitero, è annoverato tra questi “spazi altri” eterotopici: L’esempio più antico di queste eterotopie, in quanto forma di luoghi contraddittori, il più antico esempio è forse il giardino. Non bisogna dimenticare che il giardino, straordinaria creazione oramai millenaria, possedeva in Oriente dei significati molto profondi e sovrapposti. Il classico giardino dei persiani realizzava uno spazio sacro che doveva riunire all’interno del proprio rettangolo quattro sezioni che rappresentavano le quattro parti del mondo, e che a loro volta comprendevano uno spazio ancora più sacro degli altri, simile all’ombelico, il centro del mondo: nel centro del giardino (era lì che si trovavano la vasca e lo zampillo); e tutta la vegetazione doveva essere ripartita entro questo spazio, in questa specie di micro17 Terza e quarta strofe di De André F., Un blasfemo, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971. 18 Prime tre strofe di De André F., Un medico, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
207
[32]
208
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
cosmo. Quanto ai tappeti, in origine si trattava di riproduzioni di giardini [32] (il giardino è un tappeto in cui il mondo intero ha appena realizzato la sua perfezione simbolica, e il tappeto è una sorta di giardino mobile che attraversa lo spazio). Il giardino è la più piccola particella del mondo ed è anche la totalità del mondo. Il giardino rappresenta fin dalla più remota antichità una sorta di eterotopia felice e universalizzante [...].19
Il giardino, al pari del cimitero, è eterotopia sacer. Ed è proprio così: in generale si può dire che una sorta di adorazione della natura sia sempre stata insita nell’uomo, soprattutto nel primitivo, a mo’ di sentimento del sacro che può apparire e presentarsi sotto forma naturale20; la natura è spesso simbolo di luogo sacer, distinto dal comune. L’albero della vita o l’albero cosmico esprimono la sacralità dell’intero universo. Nei miti scandinavi troviamo l’esempio di Yggdrasil, l’albero cosmico che affonda le radici nella terra fino a raggiungere l’oltretomba [...]. Le divinità si ritrovano quotidianamente attorno all’albero per emettere le loro sentenze sull’andamento del mondo. [...] [E dall’altra parte della Terra, in Oriente] il racconto vedico e puranico della creazione identifica il loto a fior d’acqua con la manifestazione della divinità e dell’universo. Alberi miracolosi, fiori e frutti proclamano la presenza dei poteri divini. I riti di primavera sono spesso indirizzati a piante, rami o alberi ritenuti sacri. La fertilità del cosmo è simboleggiata dall’unione di piante maschili e femminili o dalla fioritura dei rami di una particolare specie di piante.21
Da sempre ci si esprime anche in termini vegetali qualora si voglia parlare del sacro.
1890 James George Frazer (1854-1941) nel suo libro Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione (1890) parla di come, in alcune culture arcaiche seppur molto distanti da quella occidentale, sia ricorrente l’ambito vegetale che af19 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S., p. 28. 20 Il sacro è poi, soprattutto in ambito arcaico, legato al potere. “C’è un profondo rapporto con la terra e la saggezza. Il saggio sa osservare e organizzare la natura: è un giardiniere. Secondo la testimonianza di Curzio Rufo, Alessandro il Grande, dopo aver conquistato Sidone, affida a Efestione la scelta di un nuovo re. Questi scelse un giardiniere per governare il Paese e Abdalonimo, distintosi per la cura e la difesa del suo giardino, divenne così il re della città” (tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, p. 65). 21 Tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), pp. 313-314. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
209
fianca quello del macabro e del cimiteriale. Banalmente - e l'opera di Frazer è stata messa in discussione più volte -, ci viene raccontato di come fosse molto diffusa la credenza arcaica secondo la quale le anime dei defunti, successivamente alla morte, trovassero dimora ultraterrena negli alberi. In alcune comunità tribali asiatiche e africane era assolutamente vietato tagliare, in parte, o abbattere, del tutto, alcune piante - solitamente alberi di alto fusto - in quanto ciò avrebbe causato una sorta di “maledizione dagli inferi” nei confronti della comunità dei vivi. Alquanto similmente, alcune popolazioni dell’antica Indonesia, nel mentre si avviavano a disboscare alcune aree intorno al villaggio per lasciare spazio a campi coltivati perlopiù a riso, costruivano piccole casupole in legno che avrebbero dovuto ospitare gli spiriti che negli alberi abbattuti vivevano, in modo da conceder loro un più comodo trasloco22.
1807 Anche Ugo Foscolo (1778-1827) nel carme Dei sepolcri (1807) si esprime attraverso parole botaniche e floreali per intendere e tratteggiare i luoghi del cimitero, delle lapidi e delle sepolture. [37] Dall’insultar de’ nembi e dal profano Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, E di fiori odorata arbore amica Le ceneri di molli ombre consoli.23
Nel paesaggio cimiteriale tracciato dal poeta vi sono alberi fioriti, che con la loro chioma proteggono amorevolemente le lapidi dei defunti. L’aria che spira al cimitero è profumata, odora di petali in fiore; si è come in un ideale Eden disseminato di “pietre” - le lapidi -, in cui ognuna di queste esclama: “Qui è sepolto qualcuno!”24. Ed ancora (i riferimenti nel carme del poeta sono molteplici e sono qui riportati solo i più evidenti): [64] Fra queste piante ov’io siedo e sospiro Il mio tetto materno. E tu venivi 22 Si veda il capitolo La città capovolta, in Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, pp. 69-84. 23 Tratto da Foscolo U., Dei sepolcri, 1807, vv. 37-40, i corsivi sono stati da me inseriti e segnalano i vari termini arborei, vegetali o botanici che mostrano e dipingono come un giardino il camposanto foscoliano. 24 Trovo che l’immagine del cimitero-giardino foscoliano sia molto simile a quella tracciata - in pochissime parole - da Antonio Vivaldi, protagonista del film Un borghese piccolo piccolo visto prima.
210
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
E sorridevi a lui sotto quel tiglio Ch’or con dimesse frondi va fremendo Perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio, Cui già di calma era cortese e d’ombre. [...] [114] [...] Ma cipressi e cedri Di puri effluvi i zefiri impregnando Perenne verde protendean su l’urne Per memoria perenne, e preziosi Vasi accogliean le lagrime votive. [...] [124] Le fontane versando acque lustrali Amaranti educavano e viole Su la funebre zolla; e chi sedea A libar latte e a raccontar sue pene Ai cari estinti, una fragranza intorno Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.25
Non solo elementi arborei e vegetali, ma anche animali riempiono poi questo Eden - simbolico - foscoliano, coabitato da flora e fauna, che, quasi come un bosco di “nordica” memoria26, accoglie i resti delle genti che furono: [78] Senti raspar fra le macerie e i bronchi La derelitta cagna ramingando Su le fosse e famelica ululando; E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna, L’ùpupa, e svolazzar su per le croci Sparse per la funerea campagna, E l’immonda accusar col luttuoso Singulto i rai di che son pie le stelle Alle obbliate sepolture. [...]27
All'algido Editto28, Foscolo oppone un romantico giardino.
25 Tratto da Foscolo U., op. cit., vv. 64-69, 114-118, 124-129. 26 Il luogo tratteggiato da Foscolo mi rimanda, per certi aspetti, dei quali soprattutto la sua rassomiglianza ad un giardino funerario ma abitato da piante e animali, al progetto di Lewerentz e Asplund per il cimitero Skogskyrkogården di Stoccolma, in Svezia (1917-1940). Si veda Capitolo 09.2 Il Nibelungo. 27 Tratto da Foscolo U., op. cit., vv. 78-86. 28 Il riferimento è al napoleonico Editto di Saint-Cloud, 1804. Si veda Capitolo 05.9 Formalizzazione di una svolta. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
211
1781 A fine Settecento, gli alberi, in particolar modo i cipressi, vengono nuovamente accolti all’interno del recinto cimiteriale, e ciò è confermato anche dal Milizia quando, prima di travestirsi nel più sincero Cinico29, scrive: “Ai quattro angoli dell’atrio scoperto, e in un certo sfondato, sieno tante catacombe colle aperture a tramontana, e co’ muri coronati di appoggi guarniti di urne sepolcrali e circondati da cipressi”30.
1717 Vi è affinità, ancora una volta, tra i due “mondi” del nostro globo, dato che il simbolismo funebre di piante e giardini è tipico anche in Oriente. Infatti, “in Cina il salice è un simbolo di immortalità; esso equivale perciò all’acacia nella Massoneria”31.
8 giugno 632 La figura del camposanto come giardino è da sempre presente anche nella tradizione musulmana, nella quale esso assume valenza civile ed urbana, oltre che funebre e religiosa, in una maniera molto più evidente e preponderante che nella cultura giudaico-cristiana occidentale32. Difatti: A questo proposito va elogiata la saggezza musulmana, grazie alla quale l’autentica struttura e funzione del cimitero mantiene uno stato di relativa osmosi tra i vivi e i morti. Il cimitero (maqbarah) viene spesso designato con il termine più eufemistico di rawdah («giardino»). Certamente, il suo suolo è spesso stato consacrato a quell’uso da una pia tradizione, ma non è chiuso. I morti riposano sulla nuda terra, in un semplice sudario, ritornando così agli elementi naturali. In entrambi i sensi del termine, è aperto alla natura. Ma è anche aperto alla società. Domina la credenza che esistano legami con i corpi dei defunti prima del Giudizio Finale e che per i vivi visitare le tombe sia un atto meritorio e, soprattutto, un’azione che sarà poi considerata a loro favore. Il cimitero è anche tradizionalmente un luogo per passeggiare: spesso le donne si incontrano qui di venerdì.33
29 Si veda Capitolo 05.8 Il Cinico “oltre i Lumi”. 30 Tratto da Milizia F., Principj di Architettura Civile, Serafino Majocchi, Milano, 1847 (1781), p. 331. 31 Tratto da Guénon R., La Grande Triade, Adelphi, Milano, 1980 (1957), p. 197. 32 Si veda Capitolo 09.1 La Mezzaluna. 33 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 405.
212
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[33]
06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
213
IV secolo a.C. Nell’antica Grecia, lo stesso Platone parla di un albero in luogo della stele, da piantarsi al momento della sepoltura in terra del defunto34, questione che sarà ripresa come riferimento, secoli e secoli dopo, anche dall’Alberti nel suo De re aedificatoria: “Fin dall’antichità le genti hanno stabilito di collocare come ricordo per le generazioni future una pietra oppure un albero (come piacque immaginare a Platone nelle sue Leggi) nel luogo in cui avevano sepolto il cadavere”35. In uno dei suoi ultimi lavori, dal titolo Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, il filosofo Massimo Venturi Ferriolo, ci ricorda quale importanza rivestisse la metafora - che non è solo tale - del giardino al tempo dei Greci, al tempo intimamente connessa alla figura - già vista anche in questa sede all’inizio del percorso - della Madre Terra: I Greci hanno ereditato dal mito preomerico la credenza di una Terra Madre, De Meter, Demetra, ricca di fiori e di creatività, concreto giardino delineato dalla poesia che precede la filosofia. Ci parla di un’ampia terra, carica di essenze vegetali, in cammino per insegnare ai governanti la giustizia con le sue regole di comportamento sacre e inviolabili da non profanare. Un profondo riverente rispetto della madre è la condizione della felicità umana.36
Ma la cosa ancor più interessante è come tale metafora vegetale del giardino sia, finanche dai Greci per l’appunto, legata alla nascita-e-mortalità della condizione umana. Una delle prime figure gemelle del giardino è, difatti, quella del grembo materno, o più precisamente del grembo della Grande Madre Terra, dal quale nasciamo ed al quale torniamo al termine del nostro percorso terreno. Nelle antiche lingue mediterranee un’unica parola nominava il giardino e il grembo femminile, recinto dell’amore e fonte della vita. Spazio della generazione e della corruzione, simbolo della totalità del cosmo, il giardino è il grembo della vita e si consolida custodia e salvaguardia dell’esistenza, ventre materno da rispettare. I Greci lo chiamavano kepos indicando contemporaneamente il giardino e il sesso femminile. [...] La generazione, Grande Madre fin dalle prime testimonianze letterarie risalenti a Sumer, è riflessa nel giardino fattosi mondo. Il primo modello è il
34 Si veda Platone, Leggi, Libro XII, IV secolo a.C., 947e. 35 Tratto da Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Libro VIII - L’ornamento degli edifici pubblici profani, Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V., p. 305. 36 Tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, p. 7.
214
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
grembo della terra come donna, la sua metafora autentica.37
Agli albori della nostra civiltà quindi, il giardino fu grembo, femmineo: caldo ventre materno della Grande Madre da cui nasciamo e presso il quale troviamo l’ultimo riposo38. [33]
580 a.C. Perfino nell’antica Persia, la tomba di Ciro I il Grande (640 a.C. - 580 a.C.) era in forma di vastissimo giardino, spazio verde e rigoglioso. Un luogo che la sola narrazione dell’Alberti, ancora una volta, fa immaginare ed apprezzare come profumato: Al contrario, è stata molto apprezzata l’opera di Ciro, re dei Persiani, e la sua morigeratezza fu preferita a tutte le esibizioni di opere colossali. Infatti a Pasargade [l’antica capitale del Regno di Persia] fu costruita per lui una piccola cella con pietre squadrate e copertura a volta, e con una porticina che misurava appena due piedi. All’interno, in un’urna dorata (come richiedeva la sua dignità regale) era conservata la salma di Ciro. Tutt’intorno a quest’edicola c’era un bosco ricco di ogni specie di albero da frutta e per un largo tratto si estendevano dei rigogliosi prati verdi, con rose dappertutto e ricchi di fiori, tutti profumati, belli e gradevoli. Tutto l’insieme era in armonia con l’epitaffio: «Io sono Ciro, figlio di Cambise che, ricordate, ha fondato l’impero persiano. Non invidiate, dunque, questa mia dimora».39
21 aprile 753 a.C. Nell’antica Roma l’albero di pino rappresentava il defunto Attis, e veniva, una volta l’anno, portato in processione nel tempio dedicato alla Magna Mater, in una forma di intenso lutto rituale. Assieme al cipresso, racconta anche Vitruvio nel suo De Architectura (I secolo a.C.), anche il pino era associato - in primis per le qualità fisiche del legno ricavatovi - all’eternità:
37 Tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, pp. 8, 9. 38 Tale questione è rimasta viva fino ai nostri giorni, basti pensare alla cinematografia contemporanea, nella quale in più di un’occasione il morente - o colui trovato defunto - richiama l’idea della ciclicità dell’esistenza e del ritorno al ventre materno assumendo una posizione fetale - o simil-tale - contorsione e piegamento introverso del corpo, che sempre e subito rievoca in noi l’immagine di una Madre Terra che ci partorisce ma allo stesso tempo sempre ci sopravvive, alla quale torniamo spirando. Tra gli altri, si veda di Wajda A., Cenere e diamanti, 1958, in Filmografia. 39 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 308. 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
215
[...] Non meno mirabile è il comportamento del cipresso e del pino, i quali avendo nella loro composizione abbondanza di umore, e gli altri elementi in dose eguale, messi in opera sogliono flettersi per la eccessiva umidità, ma durano eterni senza vizi [...]. Pertanto le opere e i mobili costruiti con questo legname sono eterni.40
Questa “eternità cipressina” è sottolineata anche nel successivo famoso trattato di architettura, il De re aedificatoria dell’Alberti (1404-1472), presentato a Roma a papa Niccolò V nel 1452: la descrizione delle ottime proprietà - rispetto agli altri tipi di legno - fa molto dilungare l’autore proprio durante il suo discorso riguardo al cipresso, nella tradizione associato anche all’ambito funerario e cimiteriale proprio in virtù di tali qualità. Non inferiore all’abete per la costruzione dei solai è il cipresso [...]. Infatti, gli Antichi lo consideravano tra le piante più nobili, non inferiore al cedro e all’ebano. In India il cipresso era venerato tra le piante aromatiche, e a ragione. [...] Si dice che il cipresso non sia per nulla infestato dai tarli né patisca per la vecchiaia, e che rimanga sempre liscio e compatto. Certamente per questo motivo Platone dispose che le leggi dello Stato e i decreti fossero scritti su tavolette di cipresso consacrate: perché pensava che fossero anche più resistenti del bronzo.41
Sempre l’Alberti lega a doppio filo con l’ambito vegetale - nella fattispecie floreale - la nascita del culto dei morti stesso: la stagione della fioritura è nostalgica, e riporta alla mente i cari defunti. Il passo in questione è - a mio modo di vedere - uno dei più dolci e raffinati dell’intera opera: Quando tornava la stagione dei campi in fiore e ricchi di frutti, come al tempo in cui i propri cari morirono, immancabilmente nei loro animi affiorava la nostalgia dei familiari defunti e, ricordando le loro parole e azioni, facevano loro visita onorandone la memoria come potevano.42
XII secolo a.C. Anche e soprattutto nella storia giudaico-cristiana, figure d’alberi e di giardini non mancano dagli albori della tradizione, nell’ambito delle “soglie tra mondi” o città, come ad esempio, nella tradizione ebraica, il luz (il mandorlo), alle cui radici è presente il varco che conduce ad una città nascosta 40 Tratto da Vitruvio M.P., Architettura - Libri I-VII (De Architectura - Libri I-VII), Rizzoli, Milano, 2015 (I secolo a.C.), edizione a cura di Ferri S. e Maggi S., p. 155. 41 Tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 60-61. 42 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 305.
216
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
chiamata per l’appunto Luz -, all’interno della quale “l’Angelo della Morte non può penetrare”43.
A ritroso. Mani A mio modo di vedere, il grande tema architettonico che accomuna, se si vuole ridurre all’osso questa parentesi del discorso, il luogo del giardino con quello del camposanto è sicuramente quello del recinto44, focus come si sa dell’architettura tutta [34] e non solo degli impianti cimiteriali o di giardino, ma che penso assuma rilevanza di prim’ordine soprattutto in questi due ambiti. Lo spazio sacro45 - e giardino e cimitero sono a loro modo sacri - è, per essere tale, separato, diviso, racchiuso rispetto all’Altro-da-sé, all’intorno. Sacer (radice di “sacro”, “sacrificio”, ecc.) significa letteralmente Altro-dagli-Uomini, ovvero, appartenente al divino46. Il muro, o generico recinto, ha quindi la doppia funzione di racchiudere il sacer, escluso, demarcandolo rispetto al resto. Definire e recintare significa quindi consacrare (lett.: cum-, “mettere insieme con”, e sacrum). Ed anche l’etimologia della parola giardino rimanda ad un luogo perimetrato e definito: la radice gart- (o gard-) è di origine indo-germanica, e significa letteralmente “cingere”, “circondare” (da cui i termini odierni tedesco, garten, ed inglese, garden)47.
43 Tratto da Guénon R., Il re del mondo, Adelphi, Milano, 1977 (1958), p. 70. Interessante notare come - nelle consequenziali ipotesi di Guénon - proprio da tale “originario” albero di mandorlo nascano importanti simbolismi: “Torniamo alla parola ebraica luz, [...]: la parola ha comunemente il significato di «mandorla» (e anche di «mandorlo», poiché designa, per estensione, sia l’albero sia il frutto) o di «nocciolo»; ora il nocciolo è quanto vi è di più interiore e di più nascosto, ed è completamente chiuso, dal che deriva l’idea di «inviolabilità». [...] Essendo imperituro, il Luz è nell’essere umano il «nocciolo d’immortalità» [...]” (tratto da Guénon R., op. cit., pp. 74, 75). Insomma, il mandorlo come albero simbolo di immortalità. 44 Similmente: “Templum è uno spazio riservato e deriva da tempus, che significa «divisione» o «sezione», e che a sua volta deriva dal greco temenos, area destinata a uno scopo particolare, come quello del servizio ad un dio” (tratto da Eliade M., op. cit., p. 36). 45 Voglio essere chiaro ancora una volta: si intenda la parola sacro (e derivati), qui come nel resto della trattazione, in maniera del tutto laica - soprattutto nel mentre si parla di giardini e campisanti - proprio memori dell’etimologia del termine qui ripresa, che non indica per forza uno spazio attinente alla religione, bensì ci suggerisce uno spazio escluso, altro dal circostante, delimitato. Come asserisce anche Malinowski B.K. in Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (1927), il sacro non appartiene di dovere alla religione. 46 Si veda, per l’approfondimento delle questioni inerenti, Agamben G., Homo sacer, 1995. 47 Anche un autore come Gilles Clément (n. 1943) - personalità di fondamentale importanza per quanto riguarda la progettazione di “giardini” - richiama, nel suo Manifesto del Terzo paesaggio (2004), la radice germanica del termine (si veda Clément G., Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2016 (2004), p. 14). 06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
217
[34]
218
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino
219
Il sacro, come il giardino, possiede un recinto48. Da ciò, si può dire che lo spazio del giardino è sacro in quanto il giardino possiede sempre un perimetro netto, tracciato, ben definito ed artificiale: ciò che è fuori è dis-ordinato, non regolato secondo la logica dell’interno; allo stesso modo - ed in maniera sicuramente ancora più prepotente - è sacro lo spazio del cimitero, che è innanzitutto la “città dei morti” distinta, attraverso alte mura come bene si confà ad una città, rispetto alla “città dei vivi”. Per concludere il discorso, un'osservazione, a mo’ di grande analogia, che riprendo dalla riflessione di Byung-Chul Han, l’autore tramite il quale si è aperta - e mi pare giusto che anche si chiuda - questa carrellata di “(ef) fusioni” tra giardini, vegetazione e campisanti. L’analogia in questione vuole che non solo i due luoghi considerati, ma anche i loro fautori e creatori si possano sovrapporre, “(ef)fondere”. Perché forse, il primo, divino - Grande - architetto fu giardiniere, dato che ancor prima della fatidica capanna adamea49, v’era il giardino dell’Eden: le mani del Dio sono quelle di un giardiniere, prima ancora che di un architetto. Queste due paia di mani non sono nemmeno così diverse, anzi. Entrambe toccano ciò che sarà a venire. Sono mani pazienti che sentono in lontananza. Le mani dell’architetto sono quelle del progetto, pro-jectum: “gettare davanti”. Le mani del giardiniere sono quelle che immaginano la fioritura, le successive stagioni, anche queste guardano oltre. “Rifletto sulla mano del giardiniere. Cosa tocca? Tocca ciò che non c’è ancora. Guarda in lontananza. In questo consiste la sua felicità”.50 L’architetto ed il giardiniere “guardano oltre”, in lontananza.
48 Si badi come il tema del sacro recinto sia universale, e non meramente occidentale: nel buddhismo, ad esempio, il concetto di sīmā (lett.: “frontiera”) ha la medesima rilevanza e significato. Il confine tra sacro e profano è sempre segnato. 49 Il riferimento è qui all’opera di Rykwert J., La casa di Adamo in Paradiso, 1972. 50 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 82.
220
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[35]
222
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
07
Prospettive. Sacro laico futuro
Più di una volta sinora durante il testo si è utilizzato il termine sacro - ed i suoi correlati - come indispensabile accompagnamento per parlare della “morte e i suoi luoghi” nel corso della storia. Ora, il capitolo a seguire non ha un vero e proprio fine - se non quello, esplicitato in introduzione al lavoro, di far comparire connessioni e nuovi significati tra le righe -, perché non ha una terminazione: invece, apre prospettive. L'unico punto fermo è quello del guardare al futuro, del tentare di scorgere alcuni bagliori, improvvise manifestazioni di un luogo-a-venire che ancora non c'è - in parte o del tutto. Un cimitero-a-venire che, forse, possiamo già immaginare. Quindi, dopo aver ripreso e meglio definito la questione della differenziazione tra sacro religioso e sacro laico, si tenterà di cercare luoghi futuri in parole già pronunciate. Nella fattispecie, i grandi temi "utili" al luogo urbano del cimitero saranno quelli della contemplazione e del silenzio (in una sua particolare declinazione); da ciò, in ultima analisi, si è tentata una sintesi ordinata delle parti in causa - ai fini della mera chiarezza testuale -, ordinando, come in un'ipotetica lista, i punti salienti del discorso intorno a questo luogo del cimitero-a-venire che, con tutta probabilità, si trasformerà, su tempi dilatati, in un qualcosa di diverso rispetto all'attuale. Ecco che, allora, di questo cimitero-a-venire forse non è poi così insensato provare a tracciarne una possibile, futura sagoma.
07.1
Sacro religioso e sacro laico - MURO. [...] Nel sistema geroglifico egizio è un segno determinativo che esprime l'idea di «elevare al di sopra del livello 223
comune». [...] Come parete che chiude uno spazio è il «muro del pianto», simbolo del mondo sentito come “caverna” [...]. Il muro che forma un recinto, invece, considerato dall'interno acquista un carattere di protezione [...] simbolo del materno, come la città o la casa 1 *** Molto si è già detto riguardo all'accezione da intendersi in questa sede del sacer, luogo sacro. Ciò su cui si è posta fondamentale attenzione è soprattutto il suo possedere - nelle diverse forme attuabili - un recinto di delimitazione rispetto al resto. Ma in ambito spaziale, un'altra caratterizzazione che può essere fatta, per capire ancor meglio la distanza - ed allo stesso tempo somiglianza - tra l'ambito del sacro religioso e del sacro laico è quella che riguarda la loro fisica sede. La prima cosa da dire è la seguente: per un luogo sacro2 - nell’accezione già sottolineata di sacer, ovvero recintato dall’Altro-da-sé -, nella fattispecie per un luogo “del silenzio” o, soprattutto, “della memoria” - come si sta iniziando a tratteggiare in questa occasione l’immagine laica del cimitero-a-venire futuro -, riveste fondamentale importanza la sede spaziale3, oltre alla sua solita delimitazione rispetto all’intorno. Da questo punto di vista il luogo del sacro laico penso debba ancora “imparare molto” dal più longevo sacro religioso. Il sacro religioso può ancora insegnarci qualcosa - prima di morire. Basti, per un momento, pensare a molte architetture sacre e, qui sì, religiose, della storia antica, degli albori di alcune tradizioni: a Gerusalemme, l’islamica Cupola della Roccia si trova nel punto esatto in cui, si crede, Maometto ascese al cielo (che è il medesimo al quale la tradizione ebraica aveva associato il Tempio di Salomone, la tomba di Adamo ed il biblico evento del sacrificio di Isacco); sempre nella stessa città, stavolta intorno al IV secolo, una delle architetture fatte edificare da Costantino aveva titolo di Martyrium (lett.: “testimonianza”), ed aveva sede nel punto in cui, si crede, 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), pp. 310, 311. 2 D’altronde, “come sostengono Moore [Sally Falk Moore, 1924-2021] e Myerhoff [Barbara Myerhoff, 1935-1985] [...] il sacro costituisce una categoria più generale del religioso” (tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), p. 97). 3 Si veda anche il paragrafo Contaminazione e mantenimento dei limiti sacri di Preston J.J. in Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 366.
224
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
avesse avuto luogo la deposizione e resurrezione di Cristo; ma ancora, cambiando credo, il Tempio di Mahābodhi, nello stato indiano di Bihar, ha sede di fronte all’Albero di Bodhi, al di sotto del quale, si crede, Gautama raggiunse l’illuminazione4. Ovviamente, come ho evidenziato nelle righe precedenti, quando si parla di luoghi sacri religiosi il “si crede” è d’obbligo: levato quello, il discorso cade. Ora, questi volevano essere solamente esempi, tra i più famosi, per concedere una riflessione riguardo all’importanza del vissuto e della memoria di un luogo anche in ambito laico, o sacro laico. Qualora noi togliessimo, dalle affermazioni precedenti, il “si crede”, daremmo consistenza storica - o comunque concederemmo una sorta di accettazione storiografica - ai fatti raccontati, cosa non del tutto sincera e scientificamente valida, dato che accertazioni sul fatto che quasi tutti i personaggi dei testi religiosi siano effettivamente esistiti non ne abbiamo, ma, allo stesso tempo, non ne abbiamo la perfetta smentita: proprio perché, trattandosi di questioni antichissime, non avremo mai prova - ma allo stesso tempo mai neppure totale smentita - dell’effettiva esistenza di Maometto, o Isacco, o Cristo (lasciando anche per un attimo da parte le loro azioni sovrannaturali), ecco che una narrazione creduta - seppur dubbia, ma non smentita - è sufficiente a dare un motivo del perché di una sede al posto che un’altra per un’architettura, monumento, o memoriale, o reliquiario che sia. Questo per far capire come, in ambito sacro religioso, per dotare di valore un luogo o una specifica sede, sostanzialmente serve molto poco: basta che ciò a cui si crede non sia del tutto smentito. Da questo punto di vista, il sacro religioso è furbo. Ebbene, spostandoci nel campo del sacro laico (dove abbiamo, ogni giorno di più, infinite accertazioni di fatti, documenti, questioni: la laicità investe tutti i luoghi della vita quotidiana, tutti fuorché i religiosi) allora mi domando: perché non viene sempre dato parimenti valore alla memoria del vissuto di luoghi che, pur non essendo stati sede di vicende connesse alle religioni, lo sono stati per storie civiche, laiche per l'appunto, connesse col profano religioso (der. da pro-fanum, lett.: “ciò che sta di fronte al Dio”, “ciò che sta fuori dal tempio”)? Perché al posto di sovrascrivere i luoghi su cui ci insediamo, come spesso accade, non sfruttiamo il loro vissuto, la loro memoria, per dar valore aggiunto a ciò che di nuovo vi inseriamo? Non per sovrascrivere i primi, bensì a scrivervi di fianco, sopra, sotto, di lato (nell'ottica del discorso, il 4 Si veda Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 40. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
225
tutto è da declinare all'ambito del cimiteriale). Il sacro laico dovrà farsi furbo al pari di quanto lo è stato - e in parte è ancora - il religioso. Insomma, è sì questa una riflessione in sé a latere, ma è un modo per dire che, forse, dovremmo esser più bravi a “rubare” al sacro religioso questa sua facilità di usare il vissuto - tra l’altro incerto - di alcuni luoghi per motivare e dare valore a ciò che questi diventano in futuro (Cupola della Roccia, Martyrium, Tempio di Salomone, tomba di Adamo, Tempio di Mahābodhi - e sono solo pochissimi tra tutti gli esempi possibili - hanno valore in primis - e solo - per la loro collocazione in riferimento ai sacri testi per islam, ebraismo e cristianesimo, od alle “sacre vicende” nel caso del buddhismo), in maniera tale da aumentare la rilevanza di molti luoghi del tutto laici, ma da un vissuto egualmente presente - e stavolta perlopiù accertato. Un esempio che mi viene da fare è quello del perfettamente sacro, ed anche perfettamente laico, cumulo di terra loosiano5. Ora, senza ripetermi troppo dato che l'Architettura che sta alla morte di Adolf Loos è già stata affrontata -: il cumulo di terra è perfettamente sacro perché delimitato (in quanto forma un “rialzato” rispetto al terreno circostante) e perché rapportato all'uomo (i lati del cumulo hanno misure in piedi, sono state cioè pro-gettate a terra); è poi, in seconda battuta, perfettamente laico perché senza alcun riferimento di carattere religioso (si potrebbe dire, un cumulo “liscio”) e ai margini di un bosco (ovvero, il selvatico, che è profano per eccellenza: luogo, anche nel comune parlare, “dimenticato da Dio”). Insomma, quello raccontato magistralmente da Loos è pur sempre solo e soltanto un cumulo di terra, ma che per come è descritto veramente ci fa subito pensare che “lì è sepolto qualcuno”. Una prima, flebile prefigurazione del sacro laico cimitero-a-venire.
07.2
Sacro laico futuro, o luoghi della contemplazione - CITTÀ. [...] Agli albori della storia, secondo René Guénon, esisteva una vera e propria «geografia sacra», tanto che la posizione di una città, la sua forma, il numero delle porte, la disposizione dei templi
5 Il riferimento è anche alla riflessione portata avanti in Biraghi M., Questa è architettura. Il progetto come filosofia della prassi, 2021.
226
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
e dell'acropoli, non erano mai arbitrarie e non venivano mai lasciate al caso o a criteri arbitrari 6 *** Ma che sembianze possiamo immaginarci per questo possibile luogo sacro laico di cimitero futuro? A mio modo di vedere, molti autori hanno parlato di cimiteri anche in alcune occasioni nelle quali non stavano esattamente trattando di cimiteri. I frammenti qui raccolti sono, chiaramente, frutto di una ricerca parziale: penso non si possano veramente cercare fonti per qualcosa del genere. Perlopiù fortuiti, sono inciampi in alcuni cimiteri-a-venire.
Dal 2018 Le possibili sembianze - benché parziali - di questi futuri luoghi del sacro laico le si possono in parte prefigurare guardando, oggi, ai luoghi della memoria collettiva. Mi spiego meglio: attuato quel “furto” - furbo - dal religioso di cui si è detto poco fa, il futuro sacro laico avrà a che fare soprattutto con la memoria. Il luogo del cimitero-a-venire è un luogo molto più simile agli attuali memoriali che non agli odierni luoghi del religioso - e da questi possiamo muovere per provare a tastarne l'essenza. Si dirà, laicizzare il luogo del cimitero: ma laicizzare, ovvero scollegare dalla matrice religiosa - di qualsiasi natura - il sepolcro, significa sostanzialmente effettuare un “esercizio di memoria”, non collettiva come nel caso dei Monumenti ai Caduti, per esempio, ma individuale. Un fascino di questo genere è quello che prova Antonio Piva di fronte alle uniformi distese dei cimiteri militari che, si badi, sono luoghi laici e civili della memoria collettiva prima che fenomeni del religioso: I cimiteri militari hanno sempre suscitato in me un sentimento di gratitudine: a volte sterminato campo di lapidi di pietra, altre volte di croci di legno tutte uguali, indistinguibili le une dalle altre, appaiono come una pagina di un libro i cui caratteri, messi insieme con ordine, descrivono un avvenimento tragico.7
6 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 147-148. 7 Tratto da Piva A., Il silenzio e lo spazio, Mimesis, Milano, 2018, p. 37. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
227
Dal 1979 Un episodio letterario che descrive una serena rassegnazione nei confronti della morte, è quello narrato da Peter Handke che, tra gli autori contemporanei, è uno di quelli che non esclude mai morte, dolore e macabro - oltre che grottesco - dai suoi testi, toccando vette altissime di “poetica prosa”. E in più occasioni affronta il tema della morte e del nostro rapporto con essa o, ancor meglio ai fini del nostro discorso, di come questo - forse - dovrebbe essere. All'interno de Il peso del mondo (1979), alcuni commenti sono lapidari e, forse, vogliono quasi tracciare una via futura: “Uno che piange a occhi chiusi, come il vecchio qui accanto a me, non può temere la morte, tutt’al più potrà dispiacergli di non ritrovarsi più insieme a coloro che ama”8. Bellissima è inoltre l’immagine usata da Handke, che accosta al popolo - e non alla più generica “società” - la figura del cimitero; quest’ultimo è quindi innanzitutto un luogo laico civile, prima ancora che sacro: “L’unica idea di popolo m’è venuta in mente finora in qualche cimitero di campagna”9.
Dal 1882 Anche in alcune parole di Friedrich Nietzsche (1844-1900) intravedo scenari di uno spazio sacro laico futuro, tale perché, al presente, non ancora realizzatosi nei termini che seguono: Bisognerà una volta, e probabilmente in un prossimo futuro, renderci conto di quel che manca soprattutto alle nostre grandi città: luoghi tranquilli e ampi, di grande estensione, per la meditazione, luoghi con lunghi loggiati estremamente spaziosi per quando c’è brutto tempo o troppo sole10, nei quali non penetra il frastuono dei veicoli e degli imbonitori, e in cui un più squisito rispetto delle convenienze vieterebbe anche al prete di pregare ad alta voce: costruzioni e giardini pubblici che esprimerebbero nel loro insieme la sublimità del meditare e del solitario andare. È passato il tempo in cui la Chiesa possedeva il monopolio della meditazione, quando la vita contemplativa11 doveva essere sempre in primo luogo
8 Tratto da Handke P., Il peso del mondo, Guanda, Milano, 2019 (1979), p. 53. Si noti come l’autore esprima il terrore condiviso della società attuale - che egli percepisce e mette in evidenza anche in altre occasioni - tramite la sua negazione in un’eccezione, quella di tale “vecchio”. Perché quest’eccezione serva da spunto per il resto della società, quasi a tracciare una via migliore. 9 Tratto da Handke P., op. cit., p. 173. 10 Si noti la somiglianza dello spazio qui descritto con l’idea sette-ottocentesca del “recinto” cimiteriale. 11 Questione ripresa da Han B.-C. nell’ultimo capitolo de Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, 2009.
228
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
vita religiosa: e tutto quanto la Chiesa ha costruito esprime questo pensiero. Io non saprei come potremmo accontentarci delle sue costruzioni, anche se queste fossero spogliate della loro destinazione ecclesiastica: queste costruzioni parlano un linguaggio anche troppo patetico e imbarazzato, in quanto case di Dio e sfarzose sedi di un commercio ultramondano, perché noi, i senza Dio, si possa qui dar vita ai nostri pensieri. Quando andiamo errando in queste logge e giardini, è noi che vogliamo aver tradotto in pietra e pianta, è in noi che vogliamo passeggiare.12
Quello qui tratteggiato è un luogo immaginario, è un frammento di calviniana memoria, non una città bensì un luogo della città invisibile, che è però descritto talmente candidamente e precisamente che ci pare di poterlo toccare. E io credo che qui il filosofo sia eccelso nell’esprimere quello che fino a qui abbiamo denominato come sacro laico, per uno spazio cimiteriale urbano del futuro.
Dal 2009 Riguardo a questo spazio, alle vivide parole di Nietzsche è forse solo da aggiungersi l’aroma contemplativo di cui parla in molti testi Byung-Chul Han13: lo spazio contemplativo - ovvero, seguendo Nietzsche, spazio sacro - è un luogo profumato. Difatti, prendendo le mosse dalla vicenda proustiana della madelaine14, Han racconta che: È interessante notare come l'inebriante profumo del tempo si dispieghi nel profumo reale. Si sa che l'olfatto è un organo della memoria e del risveglio: la mémoire involontaire viene attivata certo anche dall'esperienza tattile [...], acustica [...] e visuale [...], ma è proprio il ricordo suscitato dall'odore e dal sapore dell'infuso a emanare un profumo del tempo particolarmente intenso [...]. Profumi e odori giungono molto in profondità nel passato [...]. Ma il profumo è anche lento. [...] I profumi non possono succedersi l'uno all'altro alla stessa velocità delle immagini ottiche.15
In sintesi, lo spazio sacro laico del futuro cimitero è uno spazio contemplativo e lento, ovvero profumato - l’olfatto è un senso difficilmente accelerabile 12 Tratto da Nietzsche F., La gaia scienza e Idilli di Messina, Libro IV - Aforisma 280 - Architettura degli uomini della conoscenza, Adelphi, Milano, 2018 (1882), pp. 201-202. 13 Su tutti, si vedano Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, 2009, e Filosofia del buddhismo zen, 2002. 14 Il riferimento è alla famosa immagine letteraria in Proust M., Alla ricerca del tempo perduto, Vol. I - Dalla parte di Swann, 1913. 15 Tratto da Han B.-C., Il profumo del tempo. L'arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, Milano, 2021 (2009), pp. 53, 55. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
229
e trasferibile nello spazio, giacché i byte non trasmettono aromi.
Dal 1992 Le coordinate spaziali espresse da Nietzsche sono chiaramente, in seconda battuta, quelle di uno spazio pubblico, aperto nei confronti della città; immaginandoci questo come cimitero - nella proposta che ho esternato durante le righe precedenti -, possiamo allora credere che le nuove, future tombe assumano i caratteri di una pietra d’inciampo pubblica: è il corpo inumato, o la sua urna, assieme con la sua lapide che fa da monumento funebre. Di quest’ultimo, come lo conosciamo oggi, non ce ne sarà più bisogno: la lapide è già monumento - memento mori ora in pubblico, perché parte dell’urbano. Marc Augé, rivendicando una “nuova monumentalità”, parla in questo modo della relazione tra corpo e monumento: È allora che sullo stesso corpo umano si rendono visibili gli effetti di cui parliamo a proposito della costruzione dello spazio. [...] La mummificazione del corpo o l’edificazione di una tomba completano, per l’appunto dopo la morte, la trasformazione del corpo in monumento. [...] Al centro della città [di riferimento sono qui le città francesi], e sempre in prossimità della chiesa e del municipio, c’è anche il monumento ai caduti. Di concezione laica, non è veramente un luogo di culto, ma un monumento con valenza storica [...]: negli anniversari [...] le autorità civili e militari vi commemorano il sacrificio di coloro che sono caduti per la patria. Queste celebrazioni sono, come si dice, cerimonie del ricordo e corrispondono alla definizione allargata, cioè sociale, che Durkheim propone del fatto religioso. Senza dubbio esse traggono un’efficacia particolare nel situarsi in un luogo in cui, anticamente, si esprimeva in modo più quotidiano l’intimità dei vivi e dei morti: in certi villaggi si trova ancora traccia di una disposizione spaziale, che risale all’epoca medievale, quando il cimitero circondava la chiesa16, proprio nel mezzo della vita sociale attiva.17
Bisognerebbe, forse, quindi, in parte, ripensare al luogo cimiteriale in un modo molto simile - anche se logicamente aggiornato al XXI secolo - a quello che fu il camposanto medievale centro-cittadino, un luogo che facilmente si incontrava, senza per forza andarci. Uno spazio che si trovava nel mezzo della vita sociale attiva. 16 Ariès conferma tale affermazione. Si veda Ariès P., Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano, 2019 (1975), pp. 26-31. 17 Tratto da Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2020 (1992), pp. 82-83.
230
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Dal 1452 Una forma molto particolare di spazio sacro è quella descritta come luogo del passeggio - quindi, luogo contemplativo - da Leon Battista Alberti, che riprende l’uso “degli Antichi” del porticato coperto che opera una cesura - a fondamento del sacro - tra la corte interna ed il resto-da-sé. Il naturalista Celso diceva che all’aria aperta ci esercitiamo con più piacere che al chiuso. Affinché ciò sia possibile anche al coperto, si aggiungono a questi luoghi dei portici che racchiudono uno spazio aperto all’interno del loro perimetro. Alcuni lastricano questo ambiente con marmi e mosaici; altri gli conferiscono un aspetto verdeggiante e vi piantano mirti, ginepri, cedri e cipressi. In quest’opera i portici sono semplici, posti su tre lati [...]. Sul quarto lato, quello rivolto a mezzogiorno, il portico è duplice e molto più spazioso. [...] Ma non vedo perché non fare una copertura uguale in tutti e due i portici, di quelle piane. Sarebbe certo bella.18
Quello qui descritto è, a mio modo di intenderlo, un luogo molto simile ad alcuni spazi di cortile dei cimiteri settecenteschi - oltre che dei successivi -, ed anzi, in maniera ancor più interessante, è una “visione” stimolante per un futuro spazio sacro laico urbano, da utilizzarsi per le inumazioni, inserito all’interno della città, luogo di vita associata quotidiana molto più di quanto (non) lo siano gli odierni “luoghi del seppellire”. Attuali cimiteri, che sono pianeti extra-urbani a bassa gravità.
07.3
Sacro laico futuro, o luoghi del silenzio - SUONO. Vi sono [...] dottrine tradizionali che considerano il suono come la prima cosa creata che ha originato tutte le cose, a cominciare dalla luce o dall'aria e dal fuoco 19 ***
Dal 2021 Sempre Byung-Chul Han - rifacendosi, tra gli altri, all’italiano Giorgio 18 Tratto da Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Libro VIII- L’ornamento degli edifici pubblici profani, Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V., p. 336. 19 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 439. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
231
Agamben - afferma la silenziosità del sacro: “Il sacro è un fenomeno del silenzio”20. Essere all’interno di uno spazio sacro o, viceversa, farsi sacrali, significa innanzitutto stare in silenzio, quindi ascoltare, essere impressionabili ed allo stesso tempo affabili - ovvero ben disposti - rispetto a ciò che ci circonda, Altro-da-noi. Il sabato [inteso “festivamente”, ed anche il rito funebre è “festivo”, cioè d’interruzione] richiede silenzio, bisogna tenere chiusa la bocca. L’ascoltare in silenzio unisce le persone e crea una comunità senza comunicazione. [...] Il sacro richiede silenzio. [...] Myein, iniziare, significa etimologicamente “chiudere” - gli occhi, ma soprattutto la bocca. All’inizio dei riti sacri, l’araldo “comandava il silenzio” (epitattei ten siopen). Il silenzio fa ascoltare, va di pari passo con una particolare ricettività, con un’attenzione profonda e contemplativa.21
Assieme con il silenzio, affabilità diventa poi, in Han, la parola chiave nel cuore del discorso contemplativo, al centro del suo ragionamento: concetto che esprime il rendersi debolmente disponibili, essere attivamente passivi, ma recettivi, ed interessanti. Riprendendo il Nietzsche di Al di là del bene e del male (1886), il Nostro afferma che: Il «genio del cuore» nietzschiano non si produce, anzi si ritira nell’anonimato. La volontà di appropriazione quale volontà di potenza fa un passo indietro. Il potere diventa affabilità. Il «genio del cuore» scopre la forza della debolezza, che si manifesta come splendore del silenzio.22
Luoghi contemplativi permettono un sacro silenzio. In ultima istanza, sprecandosi in un’analogia spaziale, si può affermare che il silenzio, poi, è fratello del vuoto: non entità negative - ovvero nate dopo la negazione del contrario, dell’essere-rumore e dell’essere-pieno -, bensì intese come positive, poli opposti ed egualmente pesanti sulla bilancia dell’Essere. “Vuoto non significa che non vi è nulla nello spazio: è piuttosto un’intensità, una presenza intensa. È l’incarnazione spaziale del silenzio. Vuoto e silenzio sono affratellati”23.
20 Tratto da Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, Torino, 2022 (2021), p. 97. 21 Tratto da Han B.-C., La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano, 2021 (2019), pp. 54, 55 (comprensivo della Nota 4). 22 Tratto da Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, cit., p. 104. 23 Tratto da Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, cit., p. 108.
232
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Dal 2018 Questo silenzio, o - si potrebbe affermare - “introversione contemplativa” non per forza vuol essere inteso come un'assenza totale di rumore, bensì come rumore controllato o eliminato tramite il progetto24. Come afferma ancora Piva: Attorno a queste lapidi c’è silenzio e in genere non ho mai riscontrato vandalismi e degrado. [...] Il silenzio, nella maggior parte dei casi, vive dentro di noi quando il punto più alto di concentrazione stacca tutti i collegamenti con la stanchezza, i disagi del corpo, per lasciare campo libero all’anima. [...] Lo stesso silenzio del teatro, nel momento di avvio dello spettacolo, accentua la gravità di quanto sta accadendo.25
Dal 1906 Persino il grande Cézanne si ben dispose in silenzio nei confronti della montagna di Saint-Victoire26, “Cézanne vede nel fare silenzio il compito stesso del pittore. [...] Cézanne fa silenzio ritirandosi e diventando nessuno. Diventa una persona che sta in ascolto”27.
Dal 1992 L’atteggiamento silenzioso è prerogativa dell’atteggiamento contemplativo. Per riaprire appena lo scorcio verso culture Altre-da-noi come sono quelle estremo-orientali, mi viene da affermare che molto, dal punto di vista del silenzio contemplativo - e meditativo -, possa insegnarci il buddhismo, in particolare quello zen di matrice giapponese. Io credo che, così come l’Occidente tardo-moderno e contemporaneo sia stato molto più caratterizzato - quasi nel riflettersi in un immaginario specchio - dalla vicenda protestante che da quella cattolica (si pensi, e il titolo 24 "Rumoroso silenzio" voluto e ottenuto, ad esempio, da Gino Valle (1923-2003) nel Monumento alla Resistenza di Udine (1969): Valle annulla il rumore dell’intorno tramite il fruscìo dell’acqua e crea un luogo molto più sacro - spazio per la contemplazione - rispetto a moltissimi cimiteri pieni di "baccano", sia in senso figurato architettonico (di pastiche a perdita d’occhio) che reale e fisico (di onde sonore). È lo stesso tipo di "rumoroso silenzio" ottenuto negli stessi anni da Carlo Scarpa - in maniera esemplare - presso il Padiglione della meditazione del complesso di Tomba Brion a San Vito d'Altivole (si veda il Capitolo 09.3 Il Musico). 25 Tratto da Piva A., op. cit., pp. 37, 17, 10. 26 Il riferimento è all'opera di Cézanne P., La montagna Sainte-Victoire, 1906. 27 Tratto da Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, cit., pp. 97, 98. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
233
già ne rende atto, anche solo all’opera di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1905), ecco che l’Occidente dell’epoca attuale e quella prossima a venire sia quantomeno più affine alla sensibilità buddhista28 nella fattispecie zen - piuttosto che a quella del secolarizzato cattolicesimo, nelle sue diverse declinazioni29. C’è più Buddha che Cristo riflesso al nostro specchio30. Anche Zygmunt Bauman - richiamando Eliade - avalla tale ipotesi: A causa di tale risonanza, la mente postmoderna si apre al buddhismo con maggiore pienezza dei suoi predecessori. Nel processo essa può imparare qualcosa di sé. È questa l’impressione che si ricava rileggendo negli anni Novanta l’esposizione che Mircea Eliade fa del simbolismo indiano del tempo e dell’eternità [...]. Di continuo Eliade rammentava ai lettori i «tratti specifici» che differenziano «il mondo arcaico dalle nostre società moderne». Uno di questi tratti specifici (forse quello cruciale) era per Eliade il fatto che «nelle società tradizionali ci si sforzava, in modo conscio e deliberato, di abolire periodicamente il Tempo, di cancellare il passato e di rigenerare il Tempo». Era uno sforzo che andava classificato, naturalmente, tra i tratti di un’alterità strana e opaca [...]. Oggi, invece, il quadro che segue, dipinto scrupolosamente e con grande sforzo e gusto da Eliade, non offende né confonde. Apprendiamo così dalle scritture buddhiste che «ogni esistenza è precaria, evanescente, illusoria», al punto che «lo stesso universo è svuotato di realtà». [...] «La natura di ogni esistente è la sua istantaneità [...] di stasi e di distruzione», scrisse Çantaraksita, un saggio buddhista. La fluidità endemica nelle cose le priva di realtà; infatti, quella «fluidità corrisponde all’irrealtà». Per il Buddha (e dunque per i suoi discepoli) «non esiste né passato né avvenire», tutti i tempi «sono resi presenti». Il mondo buddhista è il mondo del «presente totale». [...] In una vita composta di momenti uguali, non ha senso parlare di direzioni, progetti o realizzazioni. [...] Con l’eternità decomposta in un movimento browniano di momenti passeggeri,
28 Un lavoro che rende molto chiaramente questa condizione attuale, sin dal titolo, è quello di Coccia E., Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, 2020. 29 Sulla questione, è interessante il commento di Han: “[...] Queste crisi rendono evidente che il capitalismo - in contrasto con l’opinione largamente diffusa (per esempio in Walter Benjamin) - non è una religione, perché ogni religione opera per mezzo di colpa e perdono. Il capitalismo è soltanto colpevolizzante. Non dispone di alcuna possibilità di espiazione che libererebbe il colpevole dalla sua colpa. L’impossibilità del perdono e dell’espiazione è responsabile, inoltre, della depressione del soggetto di prestazione. La depressione presente, insieme all’esaurimento (burnout), un fallimento irrimediabile del potere (Können), ovvero un’insolvenza psichica. “Insolvenza” significa, letteralmente, l’impossibilità di estinguere (solvere) la colpa” (tratto da Han B.-C., Eros in agonia, Nottetempo, Milano, 2019 (2012), pp. 29-30). 30 Il gioco di parole è in riferimento alla famosa opera di Hochswender W., Martin G. e Morino T., Il Buddha nello specchio, 2005.
234
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
nulla sembra più immortale. Ma nulla sembra nemmeno mortale.31
Ebbene, ecco che in una società i cui modi ed il cui sentire molto, a mio dire, stanno riprendendo e rideclinando modi di sentire tipicamente buddhisti, mi sembra di prim’ordine andare verso, anche in ambito funerario e cimiteriale, atteggiamenti di tal genere. D’altronde, io credo, le due opposte tradizioni di pensiero sono già state molto vicine, quasi a toccarsi, in alcune - altissime vette - esperienze del miglior nostro pensiero contemporaneo, in particolare di lingua tedesca e francese, che vede nel silenzio l’unico sincero da-farsi.
Dal 2013 Uno sugli altri, tra i protagonisti della poesia contemporanea in lingua francese, Yves Bonnefoy (1923-2016): Certi dicono, persi nel loro sogno, «un fiore», Ma significa non sapere che le parole tagliano, Se credono di designarlo, in quel che nominano, Trasmutando ogni fiore in idea di fiore. [...]32
Il non-nominare - fare silenzio di fronte alle cose - come più alta forma di accettazione, rispetto e comprensione del reale: per lasciare che le cose semplicemente siano.
Dal 1971 Ma tale elevatissima innominabilità è anche il silenzio ultimo proprio de Il suonatore Jones cantato da Fabrizio De André - su libera ripresa dell’Antologia di Edgar Lee Masters33 -, che vive libero e musico (e non bada alla terrena vanagloria e preoccupazioni "del giudice" e "del medico"34), e proprio per ciò accetta silenziosamente la morte. E nel farlo, ricorda il vecchio di Peter Handke, visto in apertura di capitolo. [...] Dov’è Jones il suonatore 31 Tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), pp. 222-223, 224, 225. 32 Tratto da Bonnefoy Y., L’ora presente, poesia Lo specchio, Mondadori, Milano, 2013. 33 Si veda Masters E.L., Antologia di Spoon River, 1914-1915. 34 Il riferimento è qui al titolo di due canzoni dell’album Non al denaro non all’amore né al cielo di Fabrizio De André (1971), ovvero Un giudice e Un medico. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
235
che fu sorpreso dai suoi novant’anni e con la vita avrebbe ancora giocato. Lui che offrì la faccia al vento la gola al vino e mai un pensiero non al denaro, non all’amore né al cielo. Lui sì sembra di sentirlo cianciare ancora delle porcate mangiate in strada nelle ore sbagliate. Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore “Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”35 --[...] Libertà l’ho vista svegliarsi Ogni volta che ho suonato Per un fruscio di ragazze A un ballo Per un compagno ubriaco E poi se la gente sa E la gente lo sa che sai suonare Suonare ti tocca Per tutta la vita E ti piace lasciarti ascoltare Finii con i campi alle ortiche Finii con un flauto spezzato E un ridere rauco E ricordi tanti E nemmeno un rimpianto.36
Dal 1903 Il tema del silenzio fa capolino - assieme con il già assaggiato tema del 35 Ultime quattro strofe di De André F., Dormono sulla collina, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971. 36 Ultime tre strofe di De André F., Il suonatore Jones, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971.
236
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
giardino - all’interno del componimento dannunziano Pioggia nel pineto (in Alcyone, 1903). Così recita la prima strofa: Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie lontane. [...]
Questa, che può essere sentita ed auscultata come vera e propria “elegia alla terra”, inizia con una parola, un dolce imperativo, “Taci”, che, muto, crea l’atmosfera che l’ode necessita - tanto quanto il luogo sacro del cimitero-a-venire. Qui, l'ultimo inciampo in cui ci siamo imbattuti vale per tutti, e ci dice, ora, di tacere.
07.4
Sacro laico futuro, una personale sintesi - VIAGGIO. Dal punto di vista spirituale, il viaggio non è mai un semplice spostamento nello spazio, ma la spinta alla ricerca e al cambiamento che determina il movimento e l'esperienza che ne deriva. Studiare, investigare, vivere intensamente ciò che è nuovo e profondo, sono tutti modi di viaggiare [...]. Nel suo significato primario viaggiare è ricercare 37 ***
Ora, durante le righe precedenti - ed in generale, come ho affermato nella sua apertura, nel tempo di questo capitolo - ho dapprima portato alla luce alcune delle considerazioni di importanti autori, contemporanei e non, che, dal mio punto di vista, delineavano in maniera preziosa al discorso fin qui portato avanti - anche senza che fosse nelle loro dirette intenzioni 37 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 487, 488. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
237
quelli che mi sembrano possano essere visti come spazi futuri del sacro laico e, nella fattispecie, di un cimitero. Se letti e tenuti a mente assieme, quindi, i sottocapitoli precedenti hanno cercato di delineare la mia idea di futuro cimitero per mezzo delle parole di chi, ben più di me, può avere “voce in capitolo”. Ho cercato di esprimere letteralmente questa loro autorialità, ed ho quindi inserito e commentato le loro “voci nel capitolo”. Detto questo, mi sia consentita una riflessione del tutto personale, in forma di sintesi a queste argomentazioni - oltre che a quelle toccate nel capitolo precedente in merito alla sovrapposizione dello spazio del cimitero con quello del giardino38. Mi si conceda l’andare per brevi punti, nel tentativo di tracciare un frammento di ipotetica città invisibile - ch'è ancora Eusapia? Forse no - futura, in maniera ancora una volta "calviniana". Ricercherò, nelle prossime righe, un’architettura di parole39, protesa a “giocare a fare” l’utopia [35], dato che, come dice Marc Augé, se per un verso l’architettura sostiene le illusioni dell’ideologia del presente, e partecipa all’estetica della trasparenza40 e del riflesso, dell’altezza e dell’armonia, all’estetica della distanza che, in maniera più o meno deliberata, incoraggia queste illusioni ed esprime il trionfo del sistema nei punti più forti della rete planetaria, allo stesso tempo l’architettura assume anche una dimensione utopica. In questo mondo saturo di immagini e di messaggi, le uniche vie di uscita e di speranza si trovano dalla parte dell’utopia.41
Questo ipotetico cimitero di parole - del e per il futuro - è pensato, ovviamente, all’interno di una società che lo riguardi: vuole essere allo stesso tempo, provocatoriamente, un mezzo per ambire a superare la “odierna nostra Eusonia” ma anche uno spazio figlio di ciò che sarà - della nostra vita nella città - oltrepassata la condizione della “odierna nostra Eusonia”42. Essa è ancora la città surmoderna dei nonluoghi, ed “il nonluogo è il contrario dell’utopia”43. Unica cosa certa è che, quindi, Eusonia non vedrà mai - o mai riuscirà a sopportare - questo cimitero di parole, tracciato nei termini che seguono, 38 Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 39 Il riferimento è all’opera di Mollino C., Architettura di parole. Scritti 1933-1965, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, edizione a cura di Comba M., e al testo di Dardi C., Architettura in forma di parole, Quodlibet, Macerata, 2009, edizione a cura di Costanzo M., i cui titoli sono di per sé eloquenti. 40 I termini usati da Augé per la società contemporanea sono gli stessi di Han ne La società della trasparenza, 2012, così come in molti altri suoi lavori. 41 Tratto da Augé M., op. cit., p. 18. 42 Si veda Capitolo 04. Intermezzo. Eusonia, o la società contemporanea. 43 Tratto da Augé M., op. cit., p. 121.
238
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
che non possono che rimanere alquanto vaghi - ed è proprio da questa condizione che proviene il loro fascino. O questo cimitero di parole aiuterà, insieme ad altre cose, a cambiare Eusonia verso l’utopia, oppure le rovine di Eusonia lasceranno spazio ad una nuova società che partorirà, insieme ad altre cose, un futuro - diverso - cimitero. Il tutto nella certezza che, finché Umani, periremo - per quanto tempo ancora resteremo tali? Dopotutto, utopie e rovine si assomigliano: nelle seconde “percepiamo l’impossibilità di immaginare completamente ciò che rappresentavano per coloro che le osservavano quando non erano rovine”44, ma lo stesso vale ugualmente nel caso delle prime, solamente che il tutto è declinato al futuro e non più al passato. Progetto è pro-jectum, “gettare avanti”: la volontà è quella, quindi, che questi segni architettonici non convenzionali - che sono le parole - imprimano la forza necessaria a questo movimento, seppur parziale. I. Luogo sacro Il luogo del cimitero, ancora più nel futuro di quanto non lo sia già tutt’ora e di quanto non lo è stato nello scorso secolo, sarà - io ritengo - l’ultima spiaggia del sacro nell’umano (e dico ciò senza alcun tipo di pessimismo: sono giunto a ritenerla una condizione del nostro tempo presente, e come tale qui neutralmente la tratto). Come si è ripetuto in più occasioni durante il percorso fatto, quella del sacro è condizione ben più ampia di quella del religioso: e tutt’oggi siamo ancora sulla strada per arrivare ad un lessico laico - ovvero non-religioso - del sacro. “Che la scienza abbia ucciso la divinità [ovvero il religioso], come si diceva coi positivisti, non significa che non fosse andata riformandosi una metafisica laica, bisognosa di sacralità”45. È esattamente su questa strada che, nei termini sottolineati più volte sin qui, dobbiamo continuare a camminare. II. Luogo corporeo e rituale Il cimitero futuro sarà uno spazio corporeo - e ce ne saranno sempre meno di tali spazi, in favore dei virtuali -, aggettivo che denota ciò che rimarrà della nostra condizione mortale, che cercheremo sempre più di superare (come ho qui già affermato, l’uomo che uccide la Morte non è più umano: in quel momento si aprirebbe un’altra storia, e ciò non vuole rientrare in 44 Tratto da Augé M., op. cit., p. 18. 45 Tratto da Mengozzi D., La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000, p. 99. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
239
questa trattazione). Quindi, sarà spazio corporeo nel senso rituale, in quanto - per ciò detto appena sopra - finché il nostro grande limite della morte permane, questo è fissità ed immutabilità nelle nostre vite. Come fissità e permanenza, nei suoi confronti si agirà ritualmente. E ritualmente continueremo a confrontarci con la morte: perché questa dovrebbe quindi protrarsi come tabù? - d’altronde non ci si può confrontare davvero ritualmente con qualcosa di proibito: il rituale avvicina in maniera fisica la cosa46, la proibizione cerca di allontanarla quanto più può. Nel romanzo La cittadella, Antoine de Saint-Exupéry descrive i riti proprio come tecniche temporali dell’accasamento: “E i riti sono nel tempo quello che la casa è nello spazio”. [...] I riti stabilizzano la vita. Parafrasando Antoine de Saint-Exupéry, potremmo dire che i riti sono nella vita ciò che le cose sono nello spazio. Per Hannah Arendt è la resistenza delle cose a offrire loro una “indipendenza dagli uomini”. [...] Le cose sono il punto fermo, stabilizzante della vita. I riti hanno la medesima funzione: stabilizzano la vita per mezzo della propria medesimezza (Selbigkeit), della loro ripetizione (Wiederholung).47
Da queste parole si capisce che l’Uomo è, anche se sempre più in minima parte, animale rituale: a favore di ciò, si pensi che la disposizione rituale dei defunti è fenomeno esclusivamente umano. Il rito da protrarsi nel cimitero futuro è del tutto dipendente dal soggetto umano che lo pratica: come abbiamo detto l’azione rituale è valida in sé, non è più da intendersi religiosa bensì laica. Ognuno possiede suoi riti e ciò non è per nulla invalidante il discorso. Ecco che, a ben pensarci, molte delle nostre abitudini “urbane” sono forse definibili come riti deboli - nel senso che non ci paiono come tali ma di fatto lo sono, inconsciamente -, forse perché devono ancora trovare degli spazi dove poter intenderli come tali, e perseguirli con maggior attenzione e completezza. Inoltre, è risaputo come l’atto del ricordo sia fortemente legato alle azioni fisiche in un dato tempo, all’interno di un dato spazio. Sono le azioni rituali - di qualsiasi tipo -, intorno ad un monumento od un memoriale, che lavorano a favore della memoria collettiva: le prime sono più importanti dei secondi al fine della commemorazione48.
46 “Il rito si concentra sul corpo [...]. L’io è prima di tutto un io corporeo. Di conseguenza, le esperienze e le azioni fisiche impegnano la coscienza in maniera più immediata e irresistibile e forniscono un un senso della realtà molto più intenso di qualsiasi filosofia mentale o affermazione di fede” (tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 409, 410). 47 Tratto da Han B.-C., La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, cit., pp. 13, 21. 48 “È attraverso le cerimonie, i rituali e i codici di comportamento e di ripetizione che le memo-
240
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
III. Luogo vissuto Il cimitero-a-venire futuro sarà, anche, il luogo del trionfo della vita come piena accettazione della mortalità: finché questa rimarrà tabù, e quindi non se ne vorrà parlare e non la si vorrà affrontare, essa sarà - riprendendo la concezione, già portata alla luce, di Ariès - proibita, o negata. E personalmente sono contrario a qualsiasi posizione proibizionista, poiché è ben poco razionale, immensamente inutile al progresso - non per forza tecnico - dell’Uomo49. Al “proibizionismo” attuale - o inibizione, per dirla con Ariès - riguardo al macabro, dovrà aprirsi un tempo di “discorso intorno alla morte”, al quale questo lavoro vuole contribuire, seppure in minima parte (e molto, come spero si sia in parte capito da questo approfondimento, si sta producendo già attualmente). Solo superato questo di tabù, allora sarà il momento di decretare la definitiva sconfitta del religioso - dalla quale, io credo e temo, siamo ancora distanti -: infatti, non è detto che a questo tabù non se ne sostituisca un altro, come d’altronde è stato per l’attuale (la morte) nei confronti dello scorso (il sesso)50. Accorgiamoci che, a ben vedere, il tabù è molto più religioso del sacro - da intendersi come sacro laico e riguardo al funebre. IV. Giardino profumato Il cimitero-a-venire futuro sarà giardino perché, primariamente, ci siamo forse scordati che lo è sempre stato, o che comunque i rimandi perlomeno simbolici ci sono sempre stati. Secondariamente perché il giardino è di per sé recintato ma non negato: il giardino è tale in quanto vivo-e-vissuto, esso è in qualche grado ordinato - ordinare è il primo modo di descrivere uno spazio, ancor prima di recintarlo architettonicamente -: da ciò, il cimitero futuro sarà un luogo ordinato (nel senso architettonico) e incredibilmente - rispetto al presente - aperto, fruibile, percorribile. Affabile, cioè che si concede - architettonicamente - molto più dei “luoghi del funebre” attuali51. rie collettive sono riprodotte tra i membri di una società e possono essere associate a luoghi specifici. Considerati in questa prospettiva, oggetti quali i monumenti ai caduti sono meno importanti rispetto alle cerimonie e alle attività che hanno luogo attorno a essi. E in realtà sperare di preservare socialmente i ricordi attraverso opere architettoniche è del tutto futile, tranne nei casi in cui queste siano coadiuvate da un qualche tipo di pratica incorporante” (tratto da Forty A., Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Pendragon, Bologna, 2015 (2000), pp. 224-225). 49 L’Uomo, così come lo si è inteso nel Capitolo 02.2 Sfruttamento, uso e concessione. 50 Si veda, come è stato anticipato anche al Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia, Geoffrey Gorer, The pornography of Death (in Appendice al suo libro Death, Grief and Mourning, Doubleday, New York, 1963). 51 Nella lettura di Han, un luogo affabile è un luogo che include più che escludere - non solo le 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
241
Inoltre, tale luogo del giardino è da intendersi come primariamente silenzioso-e-contemplativo52 - nelle accezioni viste fin qui -, quindi di raccoglimento ed unione delle qualità fatte proprie dell’ambito cimiteriale anche dagli autori citati in precedenza. Il giardino poi, come emblema di un luogo profumato. E dato che il cimitero futuro dovrà essere innanzitutto luogo sacro - ma urbano e vissuto - di ricentramento, ecco che dovrà comportarsi a mo’ di “fermo” (Halt) e pausa rispetto all’agire esterno da sè e quotidiano delle nostre vite. Ora, in servizio di ciò, i profumi: essi fermano, inducono a indugiare, a sostare - essi sono utili a farci ricordare ed essere rammemori, al pari delle azioni rituali viste prima. I profumi non si possono fotografare, non possono essere intascati ed esperiti in un luogo diverso da quello in cui li si trova; un luogo profumato induce alla permanenza in quel luogo, al vagare e vagabondare in quello spazio. Il profumo come rito laico di ricentramento, anche utile all’elaborazione del lutto all’interno del cimitero-a-venire, che sarà quindi uno spazio da vivere soprattutto perché non vi si può sfuggire, ci intrappola e ci circonda. V. Rito come “rammemorare” Il cimitero-a-venire futuro sarà il luogo sacro laico per eccellenza dedicato alla memoria, di coloro i quali sono ricordati nel privato e collettivamente. E ancora una volta, è rituale in quanto memoriale: rito è, innanzitutto, rammemorare azioni del primordiale. Una delle principali strategie impiegate dal rito [...] è la semplice rappresentazione, attraverso i corpi dei partecipanti, degli atti originari o costitutivi con i quali il cosmo venne all’essere. [...] Esistere autenticamente significa ricordare, e ancor più riprodurre, gli eventi della fondazione53.
Il luogo della memoria è un luogo di azioni rituali, che sono stabilizzatrici. In Francia, ad esempio, l'anniversario della Grande Guerra, della sua conclusione vittoriosa, è considerato come la festa dei soldati morti. La si commemora davanti al Monumento dei Caduti, che esiste in ogni villaggio francese, per quanto picco-
persone, ma anche differenti soluzioni spaziali, è un luogo ambiguo, vago, non fortemente caratterizzato -, ed il giardino è uno dei luoghi più affabili con cui possiamo venire in contatto. “Essere affabili significa anche [volendo, poter] includere tutto” (tratto da Han B.-C., Sano intrattenimento. Una decostruzione della passione al cuore dell’Occidente, Nottetempo, Milano, 2021 (2018), p. 138). 52 Come afferma Ferriolo: “Il giardino è quindi poetica vissuta tramite la contemplazione, esperienza priva di un criterio oggettivo della bellezza ma soggettivo, considerato perciò universale, differente dalle altre espressioni artistiche e sentimentali” (tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, pp. 90-91). 53 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 415.
242
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
lo. Senza il Monumento ai Caduti, non si può celebrare la Vittoria. Nelle città nuove, create dal recente sviluppo industriale, l'assenza del Monumento ai Caduti era quindi un grave problema. Lo si risolse annettendosi moralmente quello del piccolo villaggio vicino, ormai disertato. Il fatto è che questo monumento è una vera e propria tomba, vuota, è vero, ma che perpetua la memoria: un monumentum.54
La memoria fa sempre e comunque parte, d’altronde, anche dell’ambito del lutto: la gestione e la cessazione di questo necessitano un rammemorare. Gli esiti più recenti stanno già mettendo in luce quanto “il bisogno di trovare spazi adeguati per elaborare il lutto è ancora poco riconosciuto, perché permane un forte timore di affrontare la morte”55. Va quindi cercata risposta a questa richiesta: la strada è tracciata.
54 Tratto da Ariès P. op. cit., p. 63. 55 Tratto da Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, Bollati Boringhieri, Torino, 2015, p. 98. 07 - Prospettive. Sacro laico futuro
243
[36]
244
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Metamorfosi, o della putrefazione
08
Si è fin qui parlato della “morte e i suoi luoghi”, e ciò era nelle attese: l'ho reso evidente quasi fin da subito. Si è parlato di cimiteri passati e trapassati, di cimiteri mai esistiti così come di cimiteri-a-venire. Ebbene - e forse ce ne si è accorti -, tutto quanto ruota attorno ad un grande assunto di base - “l'elefante nella stanza” di questo discorso -, al quale per ora abbiamo prestato poca attenzione: qual è il motivo di fondo per il quale la Morte - con la “M” maiuscola, ovvero le sue infinite raffigurazioni passate e trapassate, mai esistite o a-venire, che ce ne siamo fatti - ha necessità di uno spazio? Perché mai la Morte dovrebbe avere dei luoghi? La risposta è sin troppo semplice, forse. La Morte possiede dei luoghi perché l'Uomo glieli assegna; e glieli assegna perché lui, in primis, l'Uomo, ne possiede uno, dalla nascita e fondamentale: il proprio corpo. Siamo fatti di carne. La carne occupa uno spazio. Siamo fatti di spazio. Occupiamo uno spazio - tanto nella “città dei vivi” quanto nella “città dei morti”. Che questo nostro corpo sia o meno un'eterotopia - l'eterotopia fondamentale - come ritiene Foucault, ora come ora non ci interessa. Ecco che, allora, in questo capitolo si affronterà il carnalissimo tema del corpo dopo la morte: perché noi moriamo, ma la nostra carne no, perchè questa non ha propriamente vissuto. Questa - la nostra carne, del nostro corpo -, al massimo, cambia forma: subisce, ma anche innesca, metamorfosi. È putrefazione. Giacché moriamo e non siamo più - ma il nostro corpo, esso ancora è.
245
08.1
Attirare o scacciare gli avvoltoi? - AVVOLTOIO. […] Secondo Jung, è alla necrofagia che l’avvoltoio egizio deve con ogni probabilità il suo significato simbolico di “madre”. Si credeva infatti che l’avvoltoio, nutrendosi di cadaveri, fosse in rapporto con la madre natura (e con la morte). I Parsi esponevano i loro morti in cima ad alte torri affinché gli avvoltoi li divorassero, nella convinzione che questo ne avrebbe facilitato la rinascita 1 ***
Che noi lo accettiamo o no, il grande limite che tutti ci accomuna è la morte: fino a quando ciò sussisterà, saremo tutti accomunati anche dal grande rito della sepoltura, da intendersi in senso lato, in tutte le sue più varie forme (in alcune delle quali risulterà pure arduo chiamarla in questi termini). L’Uomo è animale mortale, ma a differenza delle - pur sofferenti - belve, egli è anche animale rituale; e ciò è uno dei motivi, forse il maggiore, che da loro ci distingue2. Ora, secondo antropologi e studiosi delle civiltà e delle religioni, una netta distinzione di fondo, per quanto riguarda il seppellire ed i suoi modi, può essere fatta in base alla considerazione, “benevola” o “malvagia”, che nella storia i vari popoli hanno avuto per i defunti ed i loro corpi. Così, quando per i morti vi è affetto e venerazione, oppure si crede che dalla loro presenza derivi qualche vantaggio, la sepoltura avviene [si intenda, storicamente] all’interno dell’abitazione o della proprietà della famiglia [...]. Quando, al contrario, i defunti sono considerati oggetti di timore e la morte viene vista come una fonte di contaminazione per i vivi, il luogo della sepoltura è accuratamente separato e distinto e diventa esclusiva proprietà dei defunti.3
E ciò vale anche per i popoli che sono soliti praticare la cremazione da secoli - ben prima che la cosa diventasse di fatto abbastanza comune com'è attualmente anche in Occidente -, dato che anche in quel caso l’urna veniva spesso “seppellita” o, quantomeno, sotterrata. 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 108. 2 “La disposizione rituale dei defunti sembra essere un fenomeno esclusivamente umano” (tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), p. 523). 3 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 523.
246
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Nascita e morte sono, per l’Uomo, terragne - e in quest’ultima ha da compiersi in qualche modo il ritorno alla Terra. Metamorfosi4. Come si è introdotto, in alcune culture la necropoli è nefanda, da tenere distante - o perlomeno divisa, separata -: è questione ad esempio occidentale, ed i moderni cimiteri non sono altro che aggiornate necro-polis. Tutti i riti funerari, ed in particolar modo tutte le pratiche di inumazione del corpo dei defunti, trovano la loro motivazione di fondo nel ricercato controllo della putrefazione del cadavere, la sua decomposizione e ritorno alla terra [37]; ed a noi, sopravvissuti e sopravviventi al morto, questa risulta sgradevole, sia per una questione psicologica - dato il rispetto dell’identità del defunto nell’integrità e buona conservazione del suo cadavere -, sia per un fatto meramente corporale - la putrefazione produce dispersioni ed esalazioni di vario genere, in sé anche tossiche, e quindi da contenere e limitare -: questi due aspetti fanno della decomposizione un qualcosa che si deve cercare di controllare. Ma in che modo? Louis-Vincent Thomas (1922-1994) perviene alla definizione di quattro modi fondamentali di gestione della putrefazione5, alcuni di questi storicamente affermati, altri ben più rari ma comunque che sono stati o che sono ancora presenti in alcune parti del mondo6. Tali quattro modi fondamentali (o macro-gruppi) in sé contengono tutte le pratiche per mezzo delle quali, nella tradizione come ancora al giorno d'oggi - fatte salve rare eccezioni -, riconsegnamo il cadavere dei defunti alla terra. I. Putrefazione addomesticata o accelerata. Se addomesticata vengono scelte delle modalità di disfacimento corporale prevalentemente simboliche (lasciati alla luce del sole così come della luna, oppure accompagnati da del fumo). Se accelerata, il corpo viene sostanzialmente offerto, quasi concesso, in pasto ad animali o gettato in condizioni naturali avverse che ne consentono il rapido decomporsi (in più di una tradizione orientale, ad esempio, il corpo veniva lasciato in pasto ad animali carnivori: l’esempio più conosciuto è quello delle cosiddette Torri del Silenzio zoroastriane [36], in particolare iraniane del XVII secolo, dove i corpi venivano disposti concentricamente, 4 Il concetto di metamorfosi associato al "cambio di stato" indotto dalla morte è la questione - in un certo senso - al centro del libro di Coccia E., Metamorfosi. Siamo un'unica sola vita, 2020. 5 Soprattutto all'interno degli scritti dai titoli Cinque saggi sulla morte africana (1968), Antropologia della morte (1975) e Civiltà e divagazioni. Morte, fantasie e fantascienza (1979). 6 Si veda Thomas L.-V., sottocapitolo Controllo della putrefazione del capitolo Riti funerari, in Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 404-408, da cui ho ripreso gran parte delle caratteristiche delle successive descrizioni e differenziazioni dei metodi di inumazione storici qui presentati. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
247
[37]
248
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
08 - Metamorfosi, o della putrefazione
249
a seconda del loro essere uomini, donne o bambini, in alto su delle enormi piattaforme di pietra - dakhma - con un grande pozzo centrale. Qui i suddetti venivano smembrati e divorati dagli avvoltoi, l’animale delle carcasse per antonomasia: questo perché, nel culto zoroastriano era del tutto vietato lasciare il corpo a decomporsi nella terra, in quanto avrebbe provocato una sorta di contaminazione del creato. Gli avvoltoi erano difatti visti come gli animali della purificazione dalle “maledette carni” in putrefazione: le ossa venivano quindi periodicamente gettate nel grande pozzo dove, causa sole e calce, sarebbero divenute polvere). II. Putrefazione accettata ma nascosta. La forma più diffusa di questo nascondimento è il cimitero, per come lo conosciamo ancora attualmente: per mezzo della sepoltura - oppure tramite il depositare il corpo in una cavità naturale come piccole caverne o grotte -, si è restituiti alla ctonia Terra, che è una delle forme più emblematiche della Grande Madre7 in molte tradizioni e culture. In merito, basti rammentare come l’attaccamento alla Terra intesa come ventre materno8 si estenda, nella cultura occidentale, dagli albori del mito fino alla contemporaneità: emblematica la narrazione di Gaio Giulio Igino (64 a.C - 17 d.C) - resa nota ai più e consegnata alla storia della filosofia da Martin Heidegger con Essere e tempo (1927) - della nascita dell’Uomo dalla Terra, come essere cioè terragno: La “Cura”, mentre stava attraversando un fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La “Cura” lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsentì volentieri. Ma quando la “Cura” pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibí e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la “Cura” e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il suo proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fin che esso vive lo possiede la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è fatto con l’humus (Terra)”.9 7 Ctonio è, di fatto, connotato femminile: simbolicamente il riferimento alla Terra sempre richiama la cavità uterina, dalla quale nasciamo e, nel momento della morte, “torniamo”, per mezzo della sepoltura, questa da intendersi nella totalità delle sue diverse forme, che variano a seconda della cultura di appartenenza. 8 Si veda Capitolo 07. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 9 Citazione di Heidegger (come detto, tratta a sua volta da Igino) in Han B.-C., Filosofia del bud-
250
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Ora, se l’inumazione sembra attestarsi come usanza ben diffusa già durante il Paleolitico (all’incirca dai 2,5 milioni di anni fa al 10.000 a.C.), essa era praticata soprattutto all’interno di grotte ed anfratti; solo durante il Neolitico (10.000 a.C. - 3500 a.C. ca.) sembra affermarsi il tumulo, e da questo le varie tholos [38], le piramidi e dappoi la tomba come la conosciamo tutt’oggi: da questo periodo quindi, “la percezione della morte risulta caratterizzata non soltanto dal contenuto delle sepolture, ma anche da ciò che è visibile a coloro che sono ancora in vita”10. Con il tumulo, differentemente da quanto accadeva prima seppellendo all’interno delle grotte, il recinto sacro - a circondare la sepoltura - ha da farsi, lo farà l’homo, e ciò non capitava nel caso in cui il defunto fosse sistemato in anfratti naturali, dove quest’ultimi già escludevano l’intorno profano. Adolf Loos ha perciò perfettamente ragione quando scrive che: Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura.11
Inoltre, caratteristici di ciascuna diversa cultura e di ciascun popolo, sono la posizione e l’orientamento secondo i quali il defunto viene posizionato e restituito alla terra (ad esempio: seduto, disteso, in posizione fetale, sul ventre - come un tempo le donne adultere nella tradizione cristiana - o in piedi come per alcuni militari dell’America occidentale -, per quanto riguarda la posizione; verso il Paese d’origine - come per genti emigrate -, verso est - come nelle culture in cui si associa la morte al tramonto, quindi in posizione di rinascita -, verso ovest - come per molti cristiani che volevano essere rivolti verso Gerusalemme -, o puntando uno specifico luogo - come quello della Mecca per i musulmani -, per quanto riguarda l'orientamento). In alcune culture, in maniera opposta, la sepoltura come forma di accettazione ma nascondimento del processo di decomposizione delle carni non è utilizzata, ad esempio in India o in Nepal, dove i corpi sono cremati (si veda punto a seguire) e le ceneri gettate, solitamente, nei fiumi sacri. III. Putrefazione impedita. La decomposizione è talvolta impedita, in modo da evitare alla persona defunta il lento - e putrido - “tornare a far parte della terra”. Tale volontà è di per sé realizzabile in numerosi modi. a) Uno dei metodi più arcaici e - fortunatamente - perlopiù scomparso al presente - se non in remote comunità tribali di impianto societadhismo zen, Nottetempo, Milano, 2018 (2002), pp. 81-82. 10 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 524. 11 Loos A., Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 1992, (1972), p. 255. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
251
[38]
252
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
rio non-tradizionale -, è quello del cannibalismo, che altro non è, visto con occhi d'antropologo, che un’accelerazione della naturale mineralizzazione del corpo del defunto (la differenziazione successiva sarebbe quella che distingue l’endo-cannibalismo - che, in maniera molto semplificata, prevede il cibarsi unicamente di membri appartenenti alla propria tribù o clan ed è una forma di devozione della comunità di cui faceva parte il morto - dall’eso-cannibalismo - che prevede invece il cibarsi rituale di corpi altri rispetto alla propria tribù o clan, in forma di dissacrante maledizione ed attingimento della forza vitale del nemico all’interno del proprio corpo -, ma non sarà affrontata oltre in questa sede). b) Altra maniera di risparmiare del tutto la putrefazione al defunto è tramite l’utilizzo del fuoco12, in una tecnica che prende il nome di cremazione13. In quasi la totalità delle culture, il fuoco è simbolo di purificazione e, talvolta, di rinascita: da qui la volontà di affidare a questo elemento gli ultimi atti di permanenza terrena del corpo dell’estinto. Caratteristica della tecnica crematoria, oltre al suo essere una sorta di inumazione “provvisoria” nel senso di necessitante del cosiddetto doppio funerale, - e motivo di riflessione riguardo al suo utilizzo attuale, nel rapidissimo mondo in cui viviamo, sempre più diffuso14 - è la sua, per l’appunto, rapidità d'esecuzione: Coloro che cremano il cadavere trovano l’equivalente del primo funerale nei riti che accompagnano il trattamento del corpo durante il periodo generalmente breve che intercorre tra la morte e la combustione sulla pira. Le seconde esequie, che riguardano i resti carbonizzati e purificati, corrispondono ai riti di integrazione del morto nel suo status nell’aldilà, mentre per i vivi termina il lutto.15
12 Nel mito e nei testi sacri, l’elemento del fuoco - connesso con l’azione sua propria del bruciare o con la pratica, appunto, della cremazione - compare innumerevoli volte e possiede plurimi significati, anche se la gran parte di questi sono riconducibili al concetto di purificazione e rinascita, queste corporee e spirituali. “Secondo la mitologia greca, Eracle si allungò sulla pira del monte Età, mentre Zeus annunciava agli altri dei che Eracle stava per diventare un loro simile [quindi, fuoco come deificazione, innalzamento di grado]: il fuoco l’avrebbe liberato della sua parte umana, l’avrebbe reso immortale e divino. Lo stesso tema si trova nelle Upanishad, i testi classici dell’induismo” (tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 406). E ancora: “In questo ruolo di mediatore fra le forme in via di sparizione e le forme in via di creazione, il fuoco è simile all’acqua, simbolo di trasformazione e rigenerazione. [...] Frazer descrive molti riti nei quali a torce, falò, tizzoni e perfino alle ceneri è attribuita la virtù di provocare la crescita delle messi e la prosperità di uomini e animali. [...] Il trionfo e la vitalità del Sole (per analogia, spirito del principio luminoso) è una vittoria sul potere del male (le tenebre); la purificazione è il mezzo necessario per rendere possibile e certo questo trionfo” (tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 217). 13 La parola cremare ha origine latina (id., cremare), a sua volta la radice è di matrice sanscrita, e si ritrova in termini sanscriti come crati o crayati, lett.: “cuocere”. Della stessa derivazione originaria sono, ad esempio, i sostantivi ceramica o carbone. 14 Si veda Cremazione, in Sitografia. 15 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 406. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
253
Cosa molto interessante è che la cremazione è storicamente associata al nomadismo: il nomade consacra i cadaveri, ma si ritrova nell’impossibilità di fondare una necropoli - così come una polis, il nomade è a-polide -, così quindi usa cremare, e l’urna la tiene con sé o ne disperde le ceneri in un qualche luogo (e, a ben vedere, che al presente si stia molto diffondendo l’usanza della cremazione può essere letto come sintomo d'una mancanza di legame stabile, al risiedere in un determinato luogo, in forma di nomadismo globale e globalizzato contemporaneo). c) Terza maniera di conservare i corpi dal deperimento è quella della loro perfetta conservazione. Questa avviene ed avveniva, nella quasi totalità dei casi conosciuti, tramite imbalsamazione - tecnica ad esempio riservata ai regnanti faraoni dell’Antico Egitto -, per la quale, successivamente alle manipolazioni tecniche di sottrazione di alcuni organi del defunto, iniziava un lunghissimo cerimoniale fatto di letture, preghiere e rigide norme rituali; così come negli Egizi, l’imbalsamazione era utilizzata presso gli Inca dell’America meridionale, anche se con l’utilizzo di unguenti, fumi, oli ed affini di natura differente. IV. Putrefazione ritardata. La decomposizione del cadavere è passibile di ritardo unicamente tramite cure corporali: tali non sono qui state approfondite in quanto, nell’epoca di “grande medicalizzazione” della quale l’attualità fa ancora parte, queste tendono a confondersi e sfumarsi con tutte quelle pratiche che si attuano nel mentre la persona è ancora in vita, tese a ritardare il più possibile la sua morte - e quindi il suo fisico putrefarsi. Tutti questi elencati sono stati e rimangono modi di ristabilire, come ho già affermato in precedenza, una sorta di ordine nella comunità successivamente alla scomparsa di un suo membro, fatto che la sconquassa, più o meno gravemente. In aggiunta a questi, nell’odierno incomincio di terzo millennio, vi sono altre metodiche più sofisticate che verranno esposte successivamente. Insomma pare proprio che, da questo orrore - l’orribile decomposizione - traggono origine tutte le pratiche cui ricorse l’uomo, sin dalla preistoria, per accelerare e nascondere il processo di disfacimento: imbalsamazione, cremazione ed endocannibalismo per evitarla; inumazione e tumulazione per nasconderla in seno alla terra; l’abbandono in balìa delle acque e negli infiniti spazi dei deserti per allontanarla. Perché questa eliminazione si realizzi, come afferma Gaston Bachelard, “occorre restituire la carne a uno degli elementi originari, riconducendo la parte materiale del cadavere a una delle quattro patrie della morte: aria [esposizione del cadavere: le Torri del Silenzio], acqua [immersione e abbandono nelle acque], terra [sepoltura per inumazione]
254
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
e fuoco [cremazione: il fuoco purificante]”.16
Al giorno d’oggi poi, nell’estremamente algido apice - nei confronti della morte - raggiunto dalla società contemporanea, iper-individualista e consumatrice, c’è da dire che molte pratiche - o parti di esse - sono state abolite, pervenendo ad una perdita di raffinatezza, e quindi sensatezza, del rito funerario, ultimo dei grandi riti - intesi come storicizzati - a permanere, seppur in forma indebolita, al presente. Riassumendo ciò detto prima17 riguardo al rapporto contemporaneo con il macabro ed i suoi riti, le culture tradizionali possiedono risorse inesauribili di ricco simbolismo che il mondo moderno ha dimenticato. [...] La vita moderna, specialmente in un contesto urbano, comporta molteplici mutazioni che sul piano del rito sono probabilmente irreversibili e forse inquietanti per l’equilibrio psichico dei nostri contemporanei. Molte pratiche vengono semplificate oppure omesse: la veglia diventa impossibile in un ospedale o in piccoli appartamenti, le condoglianze e i cortei sono praticamente eliminati.18
Le pratiche attuali di inumazione si possono definire come semplificate rispetto a quelle del passato ma, in fin dei conti, tutto fuorché semplici, anzi: come si vedrà in coda a questo capitolo, viviamo oggigiorno nell’epoca in cui le maniere in cui vengono “inumati” - in senso lato - i cadaveri sono le più numerose di sempre, dato l’alto livello di specializzazione raggiunto dalla tecnologia. Prima, però, un appunto.
08.2
Il cadavere custodito - PUTREFAZIONE. Il simbolismo alchemico della putrefactio, che viene rappresentata graficamente per mezzo di corvi neri, di scheletri, teschi e altri segni funebri, allude - [...] - al principio della nuova vita 19 -
16 Tratto da Franciosini L. (a cura di), Cimiteri, Mancosu, Roma, 2011, pp. 10, 11. La citazione all’interno è a sua volta tratta da Bachelard G., La poetica dello spazio, Dedalo, Bari, 1975. 17 Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia e Capitolo 05.12 Il cadavere, lo specchio, il sesso. 18 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 407. 19 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 370. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
255
*** Tra la morte fisica di una persona e la sua inumazione intercorre un lasso di tempo durante il quale il cadavere viene custodito, ed una questione che interessa - anche e soprattutto nella condizione attuale - questo “momento transizionale” del corpo è quella dell’esposizione del defunto20. L’esposizione del cadavere riflette, di fatto, la volontà della sua valorizzazione, e questo in quanto, nella nostra odierna società, la morte è anche una questione di interesse pubblico, che interessa la comunità vicina al defunto. Ora, ciò che valeva per le cosiddette società tradizionali, vale in parte anche tutt’ora. L’esposizione del morto assolve a una doppia funzione: dimostrare al morto che gli si rende l’omaggio a lui dovuto consentendogli di apparire nel suo aspetto migliore e presentarlo come un modello del ruolo che egli ricopriva nel gruppo.21
Durante il Medioevo, ad esempio, il cadavere dell’illustre defunto veniva spesso truccato ed imbellettato subito dopo l'aver esalato l’ultimo respiro, in maniera tale da conservarne i tratti caratteristici del volto, al che questo non si sformasse prima del funerale: si tenta di sfuggire alla decomposizione durante la transizione. Ne si custodiscono le fattezze, in quanto il funerale è pur sempre l’ultimo appuntamento terreno del morto. Similmente, oggi in Occidente - soprattutto in America Settentrionale - non si fa altro che perpetuare tale modus operandi in versioni “aggiornate” e leggermente variate. Racconta Ariès: Nel 1900, l'imbalsamazione22 fa la sua comparsa in California. Si sa che oggi è divenuta una forma assai diffusa di preparazione dei morti, quasi sconosciuta in Europa23, e caratteristica dell'american way of death [lett.: “l'uso americano del morire”].
20 Si intenda qui l’esposizione nobile - e non di sconsacrazione - del corpo del defunto. L’esposizione può, e soprattutto poteva - storicamente -, essere, al contrario, punitiva: basti pensare ai vari casi, raccontati dal mito e dalla storia, di esposizione o addirittura maltrattamento e squartamento del cadavere; ad esempio, dell’avversario sconfitto in battaglia (nell’Iliade, Achille che fa strazio del cadavere di Ettore legato alla sua quadriga e strascicato a terra), o del dittatore spodestato (Benito Mussolini - assieme con Claretta Petacci, Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini ed Achille Starace - esposto, appeso per i piedi, in Piazzale Loreto a Milano, il 29 aprile 1945). 21 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 402. 22 L'imbalsamazione di cui sta parlando qui Ariès "non si tratta dell'imbalsamazione destinata a rendere il corpo imputrescibile, ma di un sistema di conservazione temporanea per prolungare un poco l'apparenza della vita" (tratto da Ariès P., Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano, 2019 (1975), p. 78, Nota 9). 23 Questo è vero, affidandosi alle parole di Ariès, negli anni Settanta del secolo scorso, quando scrive e pubblica il libro, ma non più molto valido al giorno d'oggi.
256
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[...] Non si vende facilmente ciò che non ha valore perché troppo familiare e comune, né ciò che fa paura, orrore o pena. Per vendere la morte, bisogna renderla attraente, ma si può pensare che i funeral directors [lett.: “direttori del funerale”] [...], non avrebbero avuto successo se l'opinione pubblica non fosse stata un po' complice. Essi si presentano non come semplici venditori di un servizio, ma come dei doctors of grief [lett.: “dottori del dolore”] che hanno una missione, come i medici e i preti, e questa missione, fin dall'inizio del secolo, consiste nell'aiutare i superstiti in lutto a tornare alla vita normale. Il nuovo funeral director [...] è un doctor of grief, an expert in returning abnormal minds to normal in the shortest possible time, member of an exalted, almost sacred calling [“dottore in afflizione, un esperto nel riportare alla normalità nel più breve tempo possibile lo spirito che ne è uscito, esponente di una professione stimata, quasi sacra”24]. [...] Si desidera, è vero, trasformare la morte, truccarla, sublimarla, ma non si vuol farla scomparire. Certo, sarebbe anche la fine del profitto, ma le alte tariffe dei mercanti di funerali non sarebbero tollerate, se non rispondessero a qualche bisogno profondo. [...] Con quella così caratteristica mescolanza di commercio e di idealismo, sono oggetto di una pubblicità vistosa, come qualunque altro oggetto di consumo, un sapone o una religione. Ho visto, per esempio, degli autobus di New York, nel 1965: The dignity and integrity of a Gawler. Funeral costs no more... Easy access, private parking for over 100 cars [“La dignità e l'integrità di un (funerale) Gawler. Le esequie non costano più di... Facile accesso, parcheggio privato per più di cento vetture”25]. Le funeral homes [lett.: “case del funerale”] sono annunciate sulle autostrade o sulle vie da una pubblicità vistosa e «personalizzata» (col ritratto del direttore). [...] Così, durante le veglie o le visite d'addio che sono state conservate, i visitatori si presentano senza vergogna né ripugnanza: il fatto è che non si rivolgono a un morto vero e proprio, come nella tradizione, ma ad un semi-vivo che, grazie all'imbalsamazione, è sempre presente, come se vi aspettasse per ricevervi o condurvi a passeggio. Il carattere definitivo della rottura è smussato. La tristezza e il lutto sono stati banditi da questa riunione rasserenante.26
Tali trasformazioni e mantenimenti fisici dei cadaveri raccontati da Ariés sono oggi possibili per mezzo della cosiddetta tanato-prassi, procedura complessa che sostanzialmente blocca il processo di decomposizione del corpo grazie all’iniezione di un fluido conservante all’interno delle arterie. L’imbellettamento fa invece parte della tanato-estetica, che si occupa - come si può indovinare anche solo dal nome datole - maggiormente dell’aspetto esteriore della salma, alla quale sono garantite “pulizia, toelettatura e vestizione, ma anche il make-up”27. 24 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 78, Nota 11. 25 Tratto da Ariès P., op. cit., p. 78, Nota 13. 26 Tratto da Ariès P., op. cit., pp. 78, 79-80. 27 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
257
Anche da queste derive, a mio modo di vedere forse poco eleganti nei confronti del defunto - a meno di tragici casi - ma, evidentemente, mediamente apprezzate, si può capire quanto già accennato riguardo al nostro rapporto con la morte: fatichiamo molto ad accettarla, in una maniera talmente forte che, quasi, pretendiamo di avere ancora per qualche giorno di fronte a noi la persona che non c’è più28. Pare che, la cosa essenziale è che la persona morta dovrebbe essere presente, riconoscibile per i suoi familiari (in una certa misura, un cadavere sfigurato equivale a un assente). La certezza della sua morte può essere sopportata più facilmente dell’incertezza che circonda la sua assenza e il suo silenzio. [...] Quando ci sono parenti in lutto [...], l’esposizione del morto facilita l’espressione sincera e organizzata delle emozioni attraverso l’elogio del defunto [...].29
Alla fine dei conti, l’uso ed il trattamento attuali della salma in vista del funerale altro non sono che l’estrema evoluzione di quell’imago - maschera funeraria - romana30 che avrebbe funzionato da effigie per il perpetuo ricordo, anche visivo, del defunto.
08.3
Scacciare gli avvoltoi ad Eusonia - CREMAZIONE. La morte sul rogo, la consumazione del sacrificio mediante il fuoco e, dal punto di vista mistico, ogni genere di cremazione sono simboli di sublimazione, ovvero di distruzione dell’inferiore per consentire l’avvento del superiore, la salvezza dello spirito per mezzo dello spirito. L’immolarsi di Ercole ha questo significato 31 ***
A ben vedere, quindi, il motivo primo e fondamentale dell’essere sepolti a
Milano, 2021, p. 131. 28 Si badi: va detto che tali tecniche, soprattutto della chirurgica tanato-estetica, risultano essere molto utili, appropriate e molto “umane” nei casi in cui il volto del defunto risulti sfigurato in seguito delle stesse, talvolta orribili, cause di morte. 29 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 403. 30 Si veda Capitolo 03.3 Fondazioni. 31 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 167.
258
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
terra all’interno di una bara32, è la nostra comune - quasi in tutti gli angoli del mondo - volontà di evitare, od al più ritardare, il fatto di diventare cibo per altri esseri viventi (cosa, di fatto, impossibile stando all’interno dell’atmosfera di Gaia): non ci piace l’idea di essere mangiati, più precisamente non la accettiamo minimamente33, non fa parte delle regole del gioco all’interno della nostra comune casa - in fin dei conti ci piace l'idea di mangiare ma non quella di essere mangiati. Così, nella sepoltura in una solida bara, possiamo vedere il bisogno di impedire al corpo umano [...] di diventare cibo per le altre specie. [...] La morte diventa così il pretesto per sottrarre [o quantomeno provarci, solamente, sapendo di fallire] il nostro corpo al ciclo di reciprocità che presuppone qualsiasi esistenza terrestre. Come se, fino alla morte, pretendessimo che la nostra umanità ci esentasse dall’essere una metamorfosi della carne e della vita degli altri esseri viventi, necessariamente costretti a metamorfizzarsi in altre forme di vita. Esiste una diffusa volontà di proteggerci gelosamente e di trarci in disparte, di rifiutare concettualmente di considerarci come esseri commestibili e di resistere a dare qualcosa in cambio, anche solo ai vermi e alla Terra che ci hanno nutriti.34
Ed allo stesso modo della sepoltura in terra, anche la cremazione è una strategia praticata, al fondo della questione - e più spudoratamente che in altre -, per sottrarci dall’essere potenziale cibo per le altre specie: Persino la cremazione sembra darci l’illusione che il nostro corpo resterà intoccabile, mentre, anche in questo caso, sarà cibo per altri - in primo luogo degli alberi che cattureranno il carbonio che si sprigionerà dal nostro corpo [tutto è metamorfosi]. [...] La vita di ciascuno di noi non è perfettamente adeguata al corpo che abita: aspetta solo il momento di trasformarsi in un altro corpo. Questo antico respiro, onnivoro e ibrido, si sta già preparando a migrare altrove. Più in generale, la mortalità è la dimostrazione che al cuore di ogni vita c’è una materia minerale, quella di Gaia [...]. La metamorfosi non è un destino di immortalità.35
Perché a diventare Altro siamo destinati - volenti o meno. Ora, la pratica crematoria, se osservata dal punto di vista meramente utilitaristico, offre oggettivi vantaggi - spaziali - rispetto alla gran parte delle altre pratiche, che già furono esposti ad inizio XX secolo dall’allora 32 Se fino alla fine dell’Ottocento si tende ad utilizzare quasi esclusivamente la bara in legno, con il XX secolo si aggiungono con frequenza i colombari e, soprattutto, le casse metalliche. 33 Sull’argomento si veda Plumwood V., The eye of the crocodile, 2012. Ne parla Venturi R. in In preda al coccodrillo, in Sitografia. 34 Tratto da Coccia E., op. cit., p. 102. 35 Tratto da Coccia E., op. cit., pp. 102, 131, 132. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
259
segretario della Federazione Italiana della Cremazione in merito alla vicenda, ancora viva dopo un trentennio, della voluta - nel suo stesso testamento - ma non realizzata cremazione del corpo di Giuseppe Garibaldi36, morto a La Maddalena (Isola di Caprera) il 2 giugno del 1882, e che dopo alterne vicende lì fu imbalsamato e sepolto. Se l’esumazione dopo un decennio condannava le ossa dei poveri all’anonimato dell’ossario, i cremazionisti avrebbero dovuto proporsi [...] di ottenere dai municipi un’urna per tutti e dunque un riparo alla memoria anche dei semplici. [...] [Sarebbero poi stati risparmiati] i terreni [...] per le case popolari, [ottenuto] il rispetto delle salme sottratte alle falde acquitrinose e alla verminazione.37
Argomenti - soprattutto il primo, ovvero il pretendere la democrazia assoluta nell’unico “campo” dove è realizzabile, cioè il camposanto - che, senza dubbio, possiedono rilevanza ancora tutt’oggi. Ma ora, allo stato attuale delle cose, quanti sono e che caratteristiche possiedono tutti i vari metodi conosciuti ed utilizzati per il nostro “addio al cadavere”? In che modi “scacciamo gli avvoltoi” nell'odierna nostra Eusonia? Proprio in merito a tale questione - ed in generale a quella affine, più vasta, della “morte e i suoi luoghi” - uno dei lavori attuali più interessanti e completi è quello portato avanti presso la newyorkese Columbia University nella sua sezione del DeathLAB (abbreviazione di Death Laboratories)38, dove da qualche anno si portano avanti gli ambiti dei cosiddetti Death Studies (DeSt) e della Death Education (DeEd) - soprattutto per quanto concerne la città di New York e la East Coast americana -, ai quali in questa sede abbiamo già in parte accennato per mezzo delle “interruzioni” testuali della Testoni39. Per questa breve digressione mi appoggerò in maniera abbastanza fedele 36 Oltre il danno, la beffa. Garibaldi nel suo testamento scrisse: “Siccome negli ultimi momenti della creatura umana [...] il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s’inoltra e, mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll’impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico. In conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete” (tratto da Sacerdote G., La vita di Giuseppe Garibaldi, Rizzoli, Milano, 1933, p. 943, citazione in Mengozzi D., La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000, p. 131). Queste sue ultime parole furono vane. 37 Tratto da Mengozzi D., op. cit., p. 118. 38 Si veda DeathLAB - Changing How We Live With Death in the City, in Sitografia. 39 Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia.
260
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
ora, quindi, agli esiti delle ricerche del DeathLAB newyorkese40. Ecco, ritorniamo alla carne. Ritorniamo al fatto che, tutti noi, occupiamo uno spazio: siamo fatti di carne e, da ciò, occupiamo una certa quantità spazio. Il 99% della massa corporea umana è costituita di soli sei elementi: ossigeno (65%), carbonio (19%), idrogeno (10%), azoto, calcio e fosforo [39]. Il corpo umano ha essenzialmente le stesse basi chimiche della terra - e perciò della Terra, Gaia - stessa, il che lo rende, in atto ed in potenza, idoneo a contribuire all'ecologia naturale. La narrazione della Cura di Gaio Giulio Igino, ripresa anche da Heidegger41, non è alla fine poi così lontana dal vero. Siamo umani perché fatti d'humus - metamorfosi di terra. Si diceva, poi: noi moriamo, la nostra carne no. Questa, più propriamente, inizia a decomporsi. Cerca di tornare alla terra, dato che di terra è costituita. Tale decomposizione - che è inizio di metamorfosi - trasforma le nostre carni in altre e diverse sostanze. Caro-decadimento. Nell'odierna nostra Eusonia gli “avvoltoi” li temiamo, non esponiamo le carni dei nostri defunti: gli “avvoltoi” li teniamo a bada per mezzo di diverse pratiche funerarie. Ognuna di queste ha a che fare con diverse sostanze, che produce o che sfrutta per permettere il corretto decadimento del corpo. Molte di queste pratiche si rifanno - aggiornandole - alle tecniche tradizionali osservate al primo punto di questo capitolo; altre, invece, sono spudoratamente attuali, ed hanno a che fare con la più avanzata nostra ricerca tecnologica. I. Sepoltura in terra, o inumazione. L'inumazione, come detto poco fa, fa parte del macro-gruppo delle putrefazioni accettate ma nascoste. Attualmente, per fornire un'ultima immagine desiderabile del defunto secondo quanto detto per mezzo delle parole di Philippe Ariès -, il cadavere viene disinfettato e gli occhi e la bocca vengono fissati, cuciti o sigillati. Per fare in modo che si conservi per il tempo del funerale e delle esequie, vengono iniettati dagli otto ai dodici litri di sostanze chimiche arteriose, mentre il sangue viene drenato. I gas e i fluidi corporei rimanenti vengono 40 In particolar modo ai testi di Rothstein K.M., The New Civic-Sacred: Designing for Life and Death in the Modern Metropolis, articolo in DesignIssues n. 34, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 2018, e di Rothstein K.M. e Staudt C., The Future of the Corpse. Changing Ecologies of Death and Disposition, Praeger, Santa Barbara (California), 2021. 41 Si veda Capitolo 08.1 Attirare o scacciare gli avvoltoi? 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
261
[39]
262
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
08 - Metamorfosi, o della putrefazione
263
aspirati od essiccati dagli organi interni: quest'ultimi vengono quindi anche iniettati e confezionati con fluidi per l'imbalsamazione, inclusi formaldeide, fenolo ed altre sostanze chimiche per “disinfettare”, oltre che ritardare la decomposizione. In seguito a questi meccanismi di conservazione - che includono coloranti per ripristinare la colorazione “naturale” ed umettanti per imitare l'idratazione “viva” -, il cadavere è sistemato, oltre che vestito, in una posizione di riposo in modo da presentarlo come stesse dormendo42. Secondo le stime proposte dal DeathLAB, ogni inumazione sfrutta all'incirca 300 kWh ed immette nell'atmosfera terrestre qualcosa come 160 kg di anidride carbonica (impatto medio). II. Cremazione La cremazione fa parte del macro-gruppo delle cosiddette putrefazioni impedite. In vista di tale pratica, il corpo viene preparato rimuovendo eventuali isotopi radioattivi (usati per il trattamento del cancro), protesi, protesi al silicone e dispositivi medici, che possono esplodere ad alte temperature. Un unico corpo all'interno di un contenitore infiammabile viene quindi immesso in una camera di pre-cremazione, simile nella costruzione ad un forno in mattoni. Una volta che l'inceneritore ha raggiunto i 1500 gradi Fahrenheit, le porte meccanizzate vengono aperte, consentendo al contenitore di legno o cartone di entrare nella camera di cremazione principale. Il corpo viene quindi bruciato dal busto verso l'esterno da una colonna di fuoco simile a un motore a reazione. Il corpo inizia a seccarsi, screpolarsi, carbonizzare e vaporizzare. L'osso si calcifica e si sbriciola, diventando cenere bianca. A seconda della massa corporea e della struttura scheletrica del defunto, il processo richiede dalle due alle tre ore e si traduce all'incirca in due/tre chili di cenere ossea43. Secondo le stime del DeathLAB, ogni cremazione sfrutta all'incirca 600 kWh ed immette nell'atmosfera terrestre 230 kg circa di anidride carbonica (impatto medio-alto). III. Idrolisi alcalina L'idrolisi alcalina - anche conosciuta con il nome di “cremazione chimica” - è una tecnica contemporanea che, ritengo, si può ricondurre al macro-gruppo delle putrefazioni impedite. Tale pratica comporta un processo accelerato di idrolisi, ottenuta ad alte temperature e pressioni per ridurre un cadavere, in estrema sintesi, allo stato liquido, assieme con una piccola quantità di residuo osseo secco 42 Si veda DeathLAB - Existing funerary practises: earthen burial, in Sitografia. 43 Si veda DeathLAB - Existing funerary practises: cremation, in Sitografia.
264
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
o cenere minerale. Il corpo viene posto in un sacco di seta e caricato in un risomatore, che viene riempito con una soluzione di idrossido di potassio, una base forte che scompone il cadavere nei suoi costituenti fondamentali. La soluzione viene riscaldata a una temperatura elevata (+160ºC / 350ºF) e ad alta pressione, che impedisce l'ebollizione. In circa tre ore, il cadavere viene dissolto nei suoi componenti chimici e frammenti ossei. Il risultato è una piccola quantità di liquido marrone-verdastro contenente amminoacidi, peptidi, zuccheri e sali, nonché resti di ossa. Il liquido effluente viene trattato e quindi rilasciato. Dei magneti vengono utilizzati per estrarre qualsiasi metallo dalla cenere ossea, dopodiché la polvere di colore bianco rimanente può essere sparsa o collocata in un deposito (del tutto similmente alla cremazione tradizionale)44. Secondo le stime del DeathLAB, ogni “cremazione chimica” sfrutta all'incirca 90 kWh ed immette nell'atmosfera 10 kg circa di anidride carbonica (impatto molto basso). IV. “Promession”, o cristallizzazione In America chiamata “promession”, la cosiddetta cristallizzazione è una tecnica contemporanea che, allo stesso modo dell'aggiornata idrolisi alcalina, penso si possa ricondurre al macro-gruppo delle putrefazioni impedite. Il defunto viene precongelato a zero gradi Fahrenheit (-18ºC). Questo processo richiede tra le ventiquattro e le quarantott'ore. Il corpo congelato viene quindi posto in un promotore sigillato dove si verifica la metamorfosi. Immerso in circa ottanta litri di azoto liquido (calibrato in base alle dimensioni corporee), il cadavere viene ulteriormente congelato a -321 gradi Fahrenheit (-196ºC) e si cristallizza. Dopo due ore l'azoto liquido evapora nell'atmosfera come gas azoto innocuo, che da solo costituisce il 78% dell'atmosfera terrestre. Sessanta secondi di vibrazione ultrasonica riducono i resti in polvere. Questi vengono quindi fatti passare attraverso una camera a vuoto, dove l'acqua congelata sublima e viene rilasciata sotto forma di vapore. Rimane una polvere secca e inodore, circa il 30% del peso corporeo originale. I metalli o qualsiasi altra sostanza estranea vengono separati selettivamente per mezzo di un magnete. Il compostaggio aerobico può ridurre ulteriormente la massa di un terzo in più rispetto all'originale. I residui organici possono essere collocati in un contenitore biodegradabile (in mais o fecola di patate) per essere poi interrati in terreno poco profondo o sparpagliati per la biodegradazione e il riassorbimento nell'ecosistema. La piccola dimensione delle particelle consente all'ossigeno e ai microrganismi nel terriccio di accelerare la decomposizione organica, che per un cadavere adulto sarà completa nel giro di sei/diciotto mesi45. 44 Si veda DeathLAB - Existing funerary practises: alkaline hydrolisis, in Sitografia. 45 Si veda DeathLAB - Existing funerary practises: promession, in Sitografia. 08 - Metamorfosi, o della putrefazione
265
[40]
266
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
08 - Metamorfosi, o della putrefazione
267
Secondo le stime del DeathLAB, ogni “promession”, o cristallizzazione, sfrutta all'incirca 130 kWh ed immette nell'atmosfera 15 kg di anidride carbonica (impatto basso). V. Bio-metanizzazione Ancora in fase di studio per quanto riguarda il suo utilizzo sulle salme umane, la cosiddetta bio-metanizzazione è una tecnica aggiornata - la più aggiornata di tutte - che da un lato sicuramente potrebbe essere inclusa nel macro-gruppo delle putrefazioni addomesticate o accelerate; allo stesso tempo però, questa potrebbe battezzare una nuova famiglia oltre alle quattro tradizionali, descritte in precedenza. Difatti, questa pratica permette, in linea teorica, di trasformare, in maniera del tutto controllata, i residui del naturale caro-decadimento (bio-gas, metano) della salma per ottenere energia, questa poi da utilizzarsi nei più diversi modi. Un nuovo (futuro) macro-gruppo di maniere di “gestione della putrefazione” potrebbe essere caratterizzato da un impatto zero - se non addirittura a rendimento positivo (sempre secondo le stime descritte dal DeathLAB) - a livello ecologico. [40] La produzione di bio-gas, o metanogenesi, è il naturale risultato finale di un processo a tre stadi di decadimento e decomposizione della biomassa, preceduto da idrolisi-liquefazione ed acidogenesi. Per trasformare i rifiuti animali in metano attraverso la digestione anaerobica, un processo privo di ossigeno scompone la materia organica e la converte in metano, anidride carbonica e un effluente ricco di sostanze nutritive. Questo processo può essere utilizzato come mezzo per smaltire le carcasse intere di animali ed è tipicamente impiegato nei casi di bestiame infetto, a causa del contenimento e della controllabilità del digestore. Simile alla produzione di bio-gas dai resti animali, anche i resti umani possono essere rapidamente decomposti dalla digestione anaerobica. La metanogenesi è il metodo dominante per abbattere la materia organica nello smaltimento in discarica ed è allo studio in dettaglio come mezzo per ridurre economicamente ed ecologicamente molte forme di rifiuti solidi urbani. Se accoppiato con un bioreattore a membrana anaerobico, può anche essere un'alternativa a basso consumo energetico al trattamento delle acque reflue urbane, consentendo alla “materia” del corpo di avere un impatto positivo. Assumendo una maggiore efficienza tecnologica di questo trasferimento di energia, l'energia prodotta dal cadavere, alla fine, potrebbe compensare parte dell'impronta di carbonio creata dalla persona durante la vita46. Perché la vita non è che costante metamorfosi - ed allora, cos'altro potrà mai seguire alla morte?
46 Si veda DeathLAB - Existing funerary practises: bio-methanization, in Sitografia.
268
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[41]
270
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09
Riferimenti. Quattro incontri
L’intento di questo breve capitolo è quello, in conclusione al lavoro, di presentare quattro riferimenti di carattere progettuale molto interessanti, a mio modesto giudizio, per il luogo del cimitero futuro, che ho cercato di tratteggiare nelle pagine precedenti, in seguito alla narrazione storica d’ambito funebre e, appunto, cimiteriale. Quattro diversi exemplum, parimenti validi anche se di anni differenti, di cui il primo non specifico ma generico (o “tipologico”), gli altri tre sono, al contrario, esempi discreti, progetti con un nome - che è quello del simbolo al quale li ho voluti ricondurre - ed un cognome - che è quello dei loro reali autori e progettisti -, pensati come incontri durante l’ultimo tratto di questa ricerca. [41]
09.1
La Mezzaluna - MEZZALUNA. Questo simbolo presenta un duplice significato. In quanto lunare, concerne il mondo delle forme mutevoli [...] l’elemento acquatico. Ma associato a una stella appare spesso negli emblemi occidentali del Medioevo come rappresentazione simbolica del Paradiso 1 ***
Per un pensare progettuale in direzione di un cimitero futuro inteso maggiormente vivo ed incorporato nella vita associata della città - episodio pubblico, per l’incontro o la contemplazione - rispetto alla condizione attuale, un riferimento interessante può essere dato dalla forma e dagli usi tradizionali del cimitero di cultura islamica dove da sempre la gente si incontra, è un luogo permabile e accogliente: difatti, questo, “è anche aperto alla
1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 301.
271
[42]
272
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09 - Riferimenti. Quattro incontri
273
società [...], tradizionalmente un luogo per passeggiare”2. L’intenzione, sia chiaro, è quella di andare oltre al fattore religioso: non è mio scopo soffermarmi ora sulle discussioni in merito alla costruzione - o meno, e la cosa di fatto mi pare insensata - di sezioni apposite all’interno dei cimiteri, ad esempio, europei progettate per essere utilizzate dalla popolazione di fede islamica. Dirò solo che la diversità ha sempre e solo “fatto miracoli” - giusto per rimanere, ma ora uscire, dall’ambito religioso. Le vere intenzioni sono invece quelle di un futuro cimitero laico, inteso come massimamente accogliente - od affabile, come si è detto prima -, il quale, per quanto riguarda l’aspetto di apertura nei confronti della vita associata quotidiana, ovvero per quanto concerne l’uso, così come per la forma, penso possa prendere spunto dal cimitero tradizionale islamico. Ora, il cimitero islamico è piatto, planare: gli unici elementi conficcati - e non distesi - nel terreno sono le piccole e sobrie pietre tombali, molto spesso di colore verde3, delle dimensioni di un libro. Non sono presenti fiori - sulla tomba, frequentemente crescono invece nell’intorno di questa, all’interno del cimitero - od immagini o fotografie del defunto. La salma è riposta nella terra avvolta da un semplice sudario bianco, dopo essere stata lavata e ripulita, con la testa rivolta in direzione della Mecca. Tutt’intorno cresce rigoglioso un giardino: alberi, arbusti e aree a prato fanno da cornice ai sepolcri [42]. Caratteristica di questi luoghi cimiteriali è che, nella maggioranza dei casi - le dovute eccezioni sono pur sempre presenti, soprattutto nei “luoghi del seppellire” islamico commisti ad altri culti e religioni -, costituiscono una sorta di clémentiano Terzo paesaggio4 sui generis, in quanto sono privi di particolari attenzioni e riguardi da parte della popolazione5; il fatto stesso che sulle tombe non si rechino fiori prevede una frequentazione del tutto passiva - termine da intendersi neutralmente - del cimitero. Questo si fa luogo altamente contemplativo - poco ossessionato da un’ordine alcune volte malsano -, completamente immerso in una natura lasciata libera di trasformarsi, senza troppe precauzioni e coercizioni. Un luogo sacro, a mo’ di socievole Terzo paesaggio funebre. 2 Tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), p. 405. 3 Il verde è colore sacro, associato alla religione islamica in ricordo dello stendardo verde della tribù a cui apparteneva il profeta Maometto; il colore compare tutt’oggi in quasi tutte le bandiere che presentano la mezzaluna islamica, talvolta con l’aggiunta di una o più stelle, anch’esse simbolo dell’islam. Il colore verde è poi, in più tradizioni, associato alla morte: “COLORE. [...] Il verde [...] è colore ambivalente, colore della vegetazione (vita) e dei cadaveri (morte); per questo gli Egizi dipingevano Osiride (dio della vegetazione e dei morti) di colore verde” (tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 154). 4 Il riferimento è a Clément G., Manifesto del Terzo paesaggio, 2004. 5 Da questo punto di vista, molto simile è la (minima) “gestione cimiteriale” in seno alla tradizione ebraica.
274
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09.2
Il Nibelungo - NIBELUNGHI. Si ritiene che i Niflungar, o Nibelunghi, dei due testi norreni noti come Edda, esprimano o simboleggino i morti, in particolare certi morti schiavizzati 6 ***
Il nome svedese del progetto è complesso, ai limiti dell’impronunciabile: Skogskyrkogården7. Letteralmente, in italiano sta per “Cimitero nel Bosco”, denominazione che già racconta gran parte dei commenti - perlopiù superflui, più che in molte altre architetture - che si possono fare a riguardo. Opera della prima metà del Novecento di due fra i maggiori architetti di sempre del Nord-Europa, ossia Erik Gunnar Asplund (1885-1940) e Sigurd Lewerentz (1885-1975), il Cimitero di Stoccolma è, in prima istanza, un bosco - od al più, con occhi da architetto, un vastissimo giardino funebre8. L’occasione di progetto nasce agli albori del XX secolo, intorno al 1914, quando l’amministrazione pubblica - data la scarsità dello spazio residuo presso l’allora cimitero cittadino - indice un bando di concorso per la progettazione e la successiva costruzione del nuovo camposanto della capitale svedese. Ciò che di molto accorto, soprattutto con il senno del poi, fa il comitato cimiteriale in quell’occasione è prendere parziali distanze dall’uso tipico continentale in ambito funerario (basato, come si è visto, sulle soluzioni tardo-settecentesche ed ottocentesche), facendosi ben più vicino al sentire nord-europeo, molto legato all’ambito naturale, molto più “dentro al bosco”: viene così acquistata, da parte del comune di Stoccolma, un’estesissima area, a sud della città, di circa ottanta ettari, interamente ricoperta di conifere alternate a consistenti aree sabbiose e ghiaiose, che nel recente passato era stata una grande cava. Dal concorso, che già prevedeva l’integrazione e convivenza massima tra futuro costruito e paesaggio circostante, escono vincitori, per l’appunto, Asplund e Lewerentz, con Tallum9 (termine svedese per definire l’albero di pino che, si è visto, è anch’esso albero associato al funebre ed alla morte, 6 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 318. 7 Al giorno d’oggi anche area protetta, classificata come sito UNESCO dal 1994. Si veda Skogskyrkogården, in Sitografia. 8 Si veda Capitolo 06. (Ef)fusione. Il cimitero come giardino. 9 Per un’introduzione “fotografica” all’opera si veda il capitolo Cimitero di Tallum in Franciosini L. (a cura di), Cimiteri, Mancosu, Roma, 2011, pp. 14-39; anche Covre F., Gunnar Asplund. Woodland Chapel - Skogskyrkogården, in Sitografia. 09 - Riferimenti. Quattro incontri
275
[43]
276
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09 - Riferimenti. Quattro incontri
277
al pari del cipresso), un progetto tutto incentrato - architettonicamente e letterariamente - sul mondo del bosco nordico. I lavori iniziano nel 1917: dapprima viene organizzata l’area delle future inumazioni a terra nel ventre del bosco di pini sul declivio [43], quindi costruita la Skogskapellet, cosiddetta “cappella nel bosco” (ultimata nel 1920), architettura disegnata da Asplund disposta rannicchiata tra le conifere ad alto fusto e dipinta bianca - come razionale opera dell’uomo, distinta ma racchiusa dal naturale -, luogo per le cerimonie funebri, spoglia di qualsiasi ornamentazione a meno della dorata statua - sul fronte esterno - di Carl Milles, il suo Angelo della morte. Di lì a pochi anni ne sarà costruita una seconda - per necessità aumentate -, stavolta da Lewerentz: la Uppståndelsekapellet, “cappella della resurrezione” (1925), opera forse meno interessante della precedente, dal gusto boriosamente “neoclassico” e storicista. È invece sempre figlia della mente di Asplund, e dal sapore stavolta molto più moderno e aggiornato, il crematorio (Skogskrematoriet), terminato di costruire nel 1940, l’anno della prematura dipartita dell’architetto, le cui spoglie trovano tutt’oggi riposo presso il suo “Cimitero nel Bosco”. Ma la vera qualità, ai fini del discorso, di questo progetto, il vero perché esso possa essere, a mio modo di vedere, considerato come exemplum progettuale per i cimiteri a venire, sta nella sua relazione con il paesaggio che lo accoglie, il suo essere paesaggio, caratteristica che si sposa alla perfezione alle aggiornate sensibilità ed istanze architettoniche del XXI secolo10, oltre che alle future - da me ipoteticamente previste, anche se in maniera volutamente vaga - condizioni del luogo urbano del cimitero futuro11. Ecco che, a questo proposito, nello Skogskyrkogården di Asplund e Lewerentz fondamentali sono i percorsi - che iniziano sempre solenni, portano ai luoghi fulcro, come le cappelle, e si concludono verso panorami più allietanti e piacevoli -, che si potrebbe quasi affermare tramutino in spazio fisico la tipica cerimonia funebre; viali alberati accompagnano verso i luoghi delle sepolture a terra, dove lapidi tutte uguali, a sottolineare l’uguaglianza, per ognuno di noi, dell’umana morte, scandiscono uno spazio preciso, senza essere forzatamente, geometricamente e “ottocentescamente” quadrettato12. L’approccio al luogo è solenne: un lungo dromos stretto tra due quinte murarie - da dove improvviso appare un ninfeo che stilla acqua sorgiva - introduce a una vasta apertura: prati, boschi, radure si distendono; la natura prende il sopravvento. Solo l’immagine di una grande croce, che si staglia sulla sommità della collina, una
10 Ad esempio, quella relativa al bosco - ed alle sue varie accezioni e declinazioni - è tematica architettonica molto diffusa ai giorni correnti. 11 Si veda Capitolo 07. Prospettive. Sacro laico futuro. 12 Il riferimento è qui al moderno quadrillage analizzato in precedenza.
278
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
pallida croce infissa che si leva dal verde dell’erba, quasi fosse parte del paesaggio naturale, introduce al tema rituale. [...] La foresta è santuario e asilo del sacro, essa è il luogo prescelto a contenere le sepolture a terra. Semplicemente contrassegnate da pietre tombali e da semplici croci infisse nel terreno, sotto le fronde che stillano luce, come fossero parti del paesaggio del sottobosco, diffondono un senso di serena e splendida solitudine.13
In ultimo luogo, poi, la magniloquente scalinata che, per mezzo di gradini via via più “leggeri” (la cui alzata si fa sempre meno impegnativa salendo), porta verso la cosiddetta Almhöjden, piccola collina, punto più in elevato della vasta area: è questo il ritiro ultimo del percorso, il luogo della meditazione da cui si riesce a traguardare il resto14, episodio che permette di abbracciare in un unico sguardo epifanico gran parte dell’intorno, così come il percorso compiuto per arrivarci. Punto dal quale abbracciare il “bosco nordico”.
09.3
Il Musico - MUSICO. Spesso simboleggia l’attrazione per la morte, personificata in Grecia da un adolescente. Il pifferaio di Hamelin, della nota fiaba, l’arpista o il citaredo del mito e del folclore alludono allo stesso simbolo. La musica costituisce una zona intermedia tra il differenziato (materiale) e l’indifferenziato (la “volontà pura” di Schopenhauer). Per questo è usata nei riti e nelle liturgie (come il fuoco e il fumo) 15 ***
Anche la questione sonora - o meglio, musicale - è fondamentale nell’opera ora presentata: il complesso della Tomba Brion presso San Vito d’Altivole, in provincia di Treviso16, progettata da Carlo Scarpa (1906-1978) a 13 Tratto da Franciosini L. (a cura di), op. cit., pp. 16-17. 14 Sono molti, nel caso della collinetta Almhöjden, i punti di contatto con il Padiglione della meditazione all’interno del complesso di Tomba Brion di Carlo Scarpa, oggetto della successiva analisi. 15 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., p. 313. 16 Per un’introduzione “fotografica” all’opera si veda il capitolo Tomba Brion in Franciosini L. (a 09 - Riferimenti. Quattro incontri
279
[44]
280
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09 - Riferimenti. Quattro incontri
281
partire dal 1969 e terminata di costruire - a meno di pochissime rifiniture - nell’anno della sua inaspettata morte. Scarpa pone a fondamento del progetto un gesto, quello del ritaglio dello spazio sacro, e lo fa disegnando un recinto che è il primo atto di delimitazione del sacro. Il progetto di Carlo Scarpa per la tomba della famiglia Brion si staglia nella campagna trevigiana, ritagliando un recinto tra i campi coltivati. I lunghi steli di mais nascondono il camposanto, mentre nelle stagioni dell’aratura il recinto si manifesta anche sulle lunghe distanze assumendo l’aspetto di un luogo murato. L’estensione dell’area sepolcrale permette a Scarpa di [...] lavorare su un sistema più articolato che vede i vuoti prevalere sui volumi.17
Ora, senza arrivare alla descrizione completa degli effetti sonori a cui Scarpa pensa e dà vita nel progetto, realizzati in maniera quantomai esemplare ed allo stesso tempo complessa - perché in questi ri-suonano, appunto, tutti gli altri elementi del progetto, soprattutto quelli luminosi e tattili; infatti, in tutte le realizzazioni scarpiane, i cinque nostri sensi giocano sempre assieme -, si può affermare che egli si ricordi della sacra musica, o della musica come (anche) sacra. La musica, ed in generale il “sonoro” al quale siamo abituati nelle nostre quotidianità, solo in tempi moderni sono diventati ciò che conosciamo, ovvero, principalmente, arte18 o intrattenimento (sottolineo che le due ambizioni non si escludono l’un l’altra: l’artistico può o meno intrattenere; l’intrattenimento può, talvolta, essere arte). Scarpa, al contrario, è come se sentisse - data la sua sensibilità fuori dall’ordinario - veramente propria la maniera arcaica di utilizzo della musica nello spazio sacro e per lo spazio sacro - quest’ultimo inteso come religioso il più delle volte nell’antichità, non per forza da intendersi come tale al giorno d’oggi. Ed il cimitero è un luogo sacro - ancor oggi, come abbiamo già sottolineato -, sacer. “I rumori di vario genere servono a richiamare l’attenzione della comunità su momenti particolari di un rituale”19. Inoltre, come racconta Ellingson, all’interno della raccolta “ritologica” di Mircea Eliade, “la musica è spesso usata [nell’antichità] come linea di decura di), op. cit., pp. 262-275; anche Famularo J., Carlo Scarpa. Tomba Brion through details, in Sitografia. 17 Tratto da Franciosini L. (a cura di), op. cit., p. 262. 18 “La concezione della musica come «arte», in effetti, comporta una esaltazione di certi aspetti che derivano da una ideologia, largamente diffusa in Europa, basata sulla sacralità dell’espressione in sé, su una forma di individualismo che ha le sue radici nella nozione ebraica e cristiana di «ego», di «sé» e di «anima». Per talune culture [quasi tutte quelle arcaiche, ad esempio], invece, la musica è del tutto antitetica rispetto alla nozione profonda di individuo, di personalità, di anima [ovvero ha ben poco di artistico]” (tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 291). 19 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 348.
282
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
marcazione dello spazio e del tempo rituali”20: cos’altro è se non, proprio, soglia sonora quel sobbalzo metallico che si fa sentire - perché così vuole Scarpa - mentre si cammina nel flauto d’ingresso verso il cosiddetto Padiglione della meditazione? [44] È sotto-lineatura (il rumore proviene da sotto, dal basso: è un suono ctonio, funebre, cupo) della soglia, del passaggio, apertura della cerimonia della meditazione. Continua difatti Ellingson: Nel luogo della cerimonia, la musica21 può provenire proprio dal centro esatto dell’azione, oppure gli esecutori possono trovarsi ai margini dello spazio rituale, creando così una zona di confine caratterizzata dal grado di massima stimolazione sensibile, attraverso la quale si passa per raggiungere la vera e propria area rituale. [...] Al livello più semplice, l’inizio e la fine di una esecuzione musicale possono coincidere con l’inizio e la fine di una performance rituale.22
Scarpa traccia e realizza (anche) segni musicali.
09.4
Il Leone - LEONE. Corrisponde principalmente all’oro, o «sole sotterraneo» , e al sole. [...] In contrapposizione ad altri tre animali, il leone rappresenta la terra [...]. Per Schneider il leone appartiene all’elemento terra, mentre il leone alato all’elemento fuoco. [...] La leonessa selvaggia è invece un simbolo della Magna Mater 23 ***
Come bene racconta Michael Jakob nell’articolo in cui parla dell’opera in questione, uno dei paradossi dell’architettura del paesaggio [cosiddetta] sta nel fatto che i 20 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 297. 21 Si intende qui per musica il generico aspetto sonoro di un’opera. Nello stesso Dizionario di Eliade, nel capitolo riservato a Musica e religione, si sottolinea come la prima non sia da intendersi “all’occidentale” moderna come mera esecuzione perfetta di uno spartito, bensì come un più generale “utilizzo degli aspetti sonori”, in tutta la loro varietà, semplicità o complessità. 22 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., pp. 297-298. 23 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 267, 268. 09 - Riferimenti. Quattro incontri
283
[45]
284
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
09 - Riferimenti. Quattro incontri
285
progetti di maggior successo sono anche quelli che saranno meno visibili. Laddove un sito accoglie le persone in modo apparentemente “naturale”, le difficoltà e gli interventi che hanno portato a questo risultato lasciano il posto a una realtà che viene accettata come tale. Mentre l’oggetto architettonico esibirà sempre l’artificialità del gesto a cui è dovuto (l’architettura porta con sé l’iscrizione: “I am a Monument”), ciò che si impone come risultato dell’architettura del paesaggio tenderà a far dimenticare l’intervento stesso.24
L’intervento appropriato nel e del paesaggio tenderà a far essere gli Altri abitatori, visitatori ed occupanti vari - dimentichi della sua natura complessa dal punto di vista progettuale, ma esso per nulla dimentico dell’intorno: segni poco impattanti sul paesaggio, ed avvaloranti quest’ultimo, non sono per niente facili. Sono semplici, e nascondono una progettazione attentamente complessa, il che è cosa alquanto differente. In ambito cimiteriale, nella fattispecie come progetto per un crematorio, una delle vicende contemporanee più interessanti è sicuramente quella del Crematorio di Aalst, ad opera di Kaan Architecten25, inaugurato nella prima periferia della città belga26 appena qualche anno fa, nel 2019. Il volume costruito, architettonico e stereometrico in senso forte, è di grande impatto [45]: la semplificazione è raffinata, il blocco parallelepipedo in calcestruzzo armato a vista - scavato in maniera regolare in più punti a formare delle corti chiuse, verso le quali affacciano distintamente distinti ambienti interni, da quelli legati al cerimoniale a quelli più propriamente cimiteriali e di sistemazione ultima delle urne - è capace di declinare al lessico contemporaneo una visione molto semplice, tipicamente nordica della morte. Gli squarci verso il paesaggio circostante sono calcolati, mirati (anche perché da una parte si ha vicino un complesso industriale), anche se quasi sempre concessi e raramente impediti, se non nei luoghi al cuore del volume, del tutto chiusi e refrattari alla luce esterna. All’interno però, oltre ai tradizionali luoghi di un crematorio, si aprono aule comuni, un bar ed un ristorante e ampi spazi aperti alla e per la convivialità: i soffitti alti concedono un respiro che fa percepire questo luogo come tutt’altro che macabro e “mortifero”, un luogo che, come tutti gli altri della vita associata, permette innanzitutto di essere vissuto. Il che non è scontato come premessa progettuale per un cimitero così come per un crematorio. Il Crematorio di Aalst è in prima istanza un luogo pubblico - e come tale è stato pensato e realizzato. Quindi, il gioco con il paesaggio circostante, reso tramite il costante dialogo 24 Tratto da Jakob M., Il Crematorio di Aalst, in Sitografia. 25 Si veda di Bossi S. e Van Damme S., Kaan Architecten. Crematorium Siesegem, in Sitografia. 26 Il simbolo del leone è stato scelto in apertura proprio in relazione allo stemma del Belgio, oltre che per essere associato, nella tradizione, al fuoco ed alla terra, elementi che hanno a che fare con, rispettivamente, la cremazione e le inumazioni.
286
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
permesso dai ritagli della cortina costruita, per mezzo delle corti interne ed esterne al volume, disseminate di piante floreali e bassi arbusti, che donano quell’aspetto “selvatico ordinato” al luogo, con sullo sfondo le nicchie delle sepolture, gesto architettonico reso ai minimi termini per l’ultima umana casa. Creato ad arte - a ricordare, in parte, la storica arte dei giardini - è anche lo stagno, elemento d’acqua che fa da contrappunto al litico dell’architettura assieme con l’irregolare profilo della vegetazione. Il tutto per uno spazio dove i percorsi non sono forzati, anzi, lasciati all’intraprendenza di colui che li percorre; luogo che permette il perdervisi. “Non è più la morte brutta, lurida, biologica, unheimlich, ma una morte che, per quanto terribile, non esclude la possibilità di essere iscritta nel contesto di una forma di dialogo con la natura”27. Raffinato recinto introspettivo - che si concede al paesaggio.
27 Tratto da Jakob M., op. cit. 09 - Riferimenti. Quattro incontri
287
Tutto inizia con un'interruzione. (Paul Valéry)
[46]
290
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
10
Appendice. Sospensioni
- CIGNO. [...] Il cigno era sacro ad Apollo, dio della musica, per la mitica credenza che poco prima di morire cantasse dolcemente. [...] Secondo Schneider, il cigno appare come cavalcatura funebre, in quanto i simboli del viaggio mistico nell’altro mondo (oltre alla barca dei morti) sono il cigno e l’arpa 1 *** I. Appendici Le appendici al testo, solitamente, possono essere di due tipi: direttamente utili a ciò detto in precedenza, e non. Mi spiego meglio. Appendici di immagini, schemi o grafici le definisco utili al testo, così come eventuali note cumulative riguardo ad un particolare argomento trattato in uno dei capitoli: le appendici di questo tipo sono in qualche modo attaccate a ciò che c'è prima, sono appendici appese. Al contrario, ci sono poi, forse meno frequenti, delle appendici che cercano di svincolarsi da ciò detto in precedenza, che rimangono all'interno dello stesso ambito di discussione ma non si sentono obbligate ad essere del tutto attaccate e dipendenti dal testo: come in un limbo, sono appendici sospese - sospese tra quello da cui pendono ed un altro, di testo. Quest'ultime sono interessanti, a mio giudizio, perché rinviano - chiudono-e-aprono al medesimo tempo - ad Altro. Quelle del primo tipo, invece, semplicemente sigillano. Quella a seguire ha la pretesa di essere un'appendice sospesa.
1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), pp. 145-146.
291
II. Premesse Ecco, sospensione. Sospensione è una parola che ben si confà ai grandi perturbanti della storia dell'uomo, ai grandi “terremoti mondiali” di nuove scoperte o crisi, ai momenti di svolta - e questi sono perlopiù imprevisti. Pensate a quanto poco sarebbe servita la vostra conoscenza del mondo per prevedere ciò che stava per accadere alla vigilia del 1914 (non imbrogliate utilizzando le spiegazioni che vi sono state inculcate dal vostro noioso professore delle superiori). E che mi dite dell'ascesa di Hitler e della guerra che ne seguì? E della rapida fine del blocco sovietico? E dell'affermazione del fondamentalismo islamico?2
E proprio perchè imprevisti, è come se ci lasciassero senza ossigeno, per un attimo, in apnea. Sospensioni. “Prendere un colpo”, essere spaventati. Il fiato si blocca, il respiro cede. E poi che riprenda pure il corso normale della nostra vita, che nella realtà dei fatti non è uguale a quella del giorno prima - è stata nel frattempo interrotta e variata. E della diffusione di internet? E del crollo del mercato nel 1987 (e della sua ancor più imprevista ripresa)? Manie, epidemie, mode, idee, nascita di generi e scuole artistiche, tutte seguono la dinamica del Cigno nero. [...] Ciò che qui chiameremo Cigno nero (con la maiuscola) è un evento che possiede le tre caratteristiche seguenti. In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile. Riassumo le tre caratteristiche: rarità, impatto enorme e prevedibilità retrospettiva (ma non prospettiva).3
La visione delle cose portata avanti da Taleb può essere interpretata come l’ultimo “aggiornato” approdo di quello che già in Lucrezio, nel De rerum natura (I secolo a.C.), era espresso come clinamen. Questo consiste di una sorta di imprevedibile, poiché autonoma, deviazione 2 Tratto da Taleb N.N., Il Cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano, 2014 (2007), p. 12. 3 Tratto da Taleb N.N., op. cit., p. 12, 11.
292
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
degli a-tomi - “in-divisibili” costituenti della materia tutta - nella loro naturale traiettoria che porta alle vicendevoli collisioni l’uno con l’altro, maniera di comparsa in essere delle cose del mondo4. Ciò che Lucrezio spiega parlando di clinamen è l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento mortale che ci attacca sul fronte che lasciamo sguarnito, senza esserne consapevoli. E poiché questo limite è l’inoltrepassabile, all’ultimo traguardo, senza poter sapere quando e come esattamente esso si annunci, bisogna - dice il poeta - giungere preparati.5
Queste parole, che riassumono quasi interamente il concetto e la portata dell’evento Cigno nero argomentato in numerosi modi e tramite differenziati esempi da Taleb, rimandano ad un grande tema - ed anche di stretta attualità nel momento in cui questo lavoro è stato portato a compimento -, ovvero quello della guerra. La guerra - da intendersi in senso lato6 -, che è riconducibile alla più generica violenza, è una condizione permanente, endemica della società: Ci sono cose che non scompaiono. Tra di esse vi è anche la violenza (Gewalt). L'avversione alla violenza non contraddistingue la modernità. La violenza è semplicemente proteiforme. A seconda della conformazione sociale cambiano i modi in cui si manifesta.7
La guerra, che sia quella per così dire “classica” - di uccisione umana, espressione della nietzschana volontà di potenza dell’uomo sull’uomo - così come la più contemporanea guerra medica “anti-virale” nei confronti di un virus, entità biologica non-umana, porta alla desacralizzazione della morte. In tempo critico - e cinico8 - di guerra, quando il perire diventa parte della quotidianità, l’aura della morte scompare, e questa non può più essere 4 Per certi versi la visione lucreziana è molto vicina - tenendo conto dei due millenni di distanza temporale - all’odierno relativismo scientifico, così come agli esiti più aggiornati della fisica subatomica, dove è confermato come costantemente - bilanciatamente - atomi e particelle compaiano e scompaiano dal e nel nulla in tutto l’universo. Pubblicazione interessante, ed accessibile, sull’argomento è quella di Capra F., Il Tao della fisica, 1975. 5 Tratto da Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, pp. 146-147. 6 Non si pensi solamente alla guerra come guerra armata, fucile alla mano e successivi trattati di pace. Il termine guerra è, in questa sede, da intendersi molto più largamente: la guerra come tempo fortemente a-normale, situazione di emergenza - come si vedrà -, quando non eccezione rispetto alla normalità. Od anche, guerra come sfortunata sospensione. La guerra cambia i connotati della quotidianità. 7 Tratto da Han B.-C., Topologia della violenza, Nottetempo, Milano, 2020 (2011), p. 9. 8 “Il cinismo di cui il desiderio di sopravvivenza è inevitabilmente, ancorché con vergogna, soffuso, esce vistosamente allo scoperto durante la guerra” (tratto da Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992), p. 46). 10 - Appendice. Sospensioni
293
vista come sacer - “separata” - rispetto alla normalità, perché è la normalità. Nel mondo in guerra, sacer - ovvero eccezione Altra-dal-quotidiano, con la “A” maiuscola - diventa la vita. E la morte diventa disumana, in quanto de-sacralizzata. La guerra - in senso lato - è un’insperata inversione. La guerra nega - in primis - il tempo della vita normale, della quotidianità pacifica, con la sua seppur minima ritualità. Questa temporalità concessa dal quotidiano e negata dalla condizione di guerra è quella che, di fatto, occorre al rito - tra tutti, quello funebre. Non esiste alcun rito a-temporale. Il rito funebre in tempo di guerra non ha tempo - ed affanna, nell'apnea della sospensione. A ciò segue la mancanza di spazio [46]: il comune affermare che “la guerra produce morti” significa - letteralmente - intendere che questa causa molti più morti della situazione pacifica, anche intesa come “normale”. È verissimo, seguendo le “lucreziane” indicazioni forniteci da Taleb, come - da esseri Umani quali siamo - non potremo mai prevedere con precisione gli aspetti veramente sconvolgenti della nostra vita e, ancor più in grande, della nostra storia - in quanto questa, come è già stato ripreso, non striscia bensì salta. Mai potremo, dunque, prevedere le future guerre, largamente intese. Difficilmente saremo consci dei sintomi, prima del loro manifestarsi, delle future emergenze. Possiamo però prevedere - poiché insito nel concetto emergenziale stesso di guerra, ovvero come situazione perturbante della normale pacifica convivenza - che questa causerà, dicevamo, più morti. A questo possiamo forse prepararci. Una sottolineatura: le vicende future non potranno al più essere previste, per cui non è detto che - in taluni, e più sfortunati casi - non si potrà avere a che fare con un cosiddetto “stato d’eccezione”. È molto più probabile, però, che ci si potrà imbattere in quelli che si sono definiti - da Carl Schmitt (1888-1985) tra i primi - nella contemporaneità come “stati di emergenza” (un esempio tra i più recenti quello della condizione emergenziale, appunto, dovuta alla pandemia di Covid-19). La fascinazione suscitata dalla teoria agambeniana della sovranità9 non dimostra che oggi lo stato di eccezione, come sostiene Agamben, rischi davvero di diventa9 Il riferimento è a ciò espresso da Giorgio Agamben in Homo sacer, 1995-2015.
294
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
re regola. Al contrario, essa sottolinea come oggi viviamo in una società dominata da un eccesso di positività in cui uno stato d'eccezione non è più possibile.10
Inoltre, concordando con quanto dicono Mariano Croce ed Andrea Salvatore in un recente lavoro a quattro mani, i due termini - emergenza ed eccezione - non sono sovrapponibili, e non devono essere fraintesi. Per certi versi, è vero, esprimono un concetto simile: La parola “eccezione” figura [...] come l’opposto di “normalità”: l’eccezione è la sospensione delle norme che regolano gli aspetti più o meno minuti della vita sociale [...] in breve, si sospende tutto ciò che rende le azioni umane prevedibili e che consente di risolvere pacificamente le controversie nel caso di situazioni conflittuali. Con l’emergenza, quindi, l’eccezione condivide l’aspetto di brusca irruzione dell’inatteso: ambo i termini individuano circostanze in cui, per accadimenti imprevedibili e dunque imprevisti, la vita quotidiana subisce un urto tale da non poter proseguire nella sua rituale, pacifica, spesso inconsapevole regolarità.11
Ma, dunque, visti ora gli aspetti accomunanti i due casi, cosa li divide e li contraddistingue veramente? Nota presto [anche lo stesso] Schmitt, [che] con “eccezione” non si sottolinea tanto l’aspetto emergenziale, quanto la finalità di portare ordine, di imporre cioè una circostanza in cui dal punto di vista giuridico esiste ancora in esso [nello stato di eccezione] un ordinamento, anche se non si tratta più di un ordinamento giuridico. [...] Lo stato di eccezione, pertanto, è una condizione ordinata [lo stato d’emergenza è, al contrario, per sua natura, dis-ordinato] perché, rispetto ai tempi normali, si introduce tutt’altro ordine, vale a dire la serie di misure eccezionali che il sovrano12 ritiene commisurate alla situazione che egli stesso determina come eccezionale. Sicché, il sovrano di Teologia politica è tale innanzitutto perché sospende un ordine, quello che vige nella normalità, per introdurre un ordine nuovo, quello dichiarato mediante la sua decisione sullo stato di eccezione. [...] Il sovrano cui dà vita lo stato di eccezione è allora quello che si direbbe un grammatico sociale: riscrive per intero le regole [...]. Lo stato di eccezione non è la semplice emergenza che sollecita all’utilizzo di strumenti straordinari ma pur sempre previsti in Costituzione, ma l’instaurazione di un ordine che sospende e sostituisce la Costituzione stessa.13
10 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 186. 11 Tratto da Croce M. e Salvatore A., Cos’è lo stato di eccezione, Nottetempo, Milano, 2022, pp. 78-79. 12 Si fa qui riferimento al termine sovrano adoperato come Carl Schmitt lo intende; la sua Teologia politica (1922) si apre con le seguenti parole: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. 13 Tratto da Croce M. e Salvatore A., op. cit., pp. 79, 80, 81, 82. 10 - Appendice. Sospensioni
295
III. Ricordare ciò che potrà accadere. Verso un cimitero d'emergenza Ecco, si pensi allora ad un luogo di cimitero d'emergenza, un futuro luogo cimiteriale che, al giorno in cui è costruito, è Altro. Un luogo da costruirsi oggi, ma non già come cimitero; un luogo che dobbiamo sperare, ambire e lottare perché non si trasformi mai in camposanto - ma che qualora ce ne sia bisogno (in un futuro ed imprevisto caso di stato d'emergenza, ennesimo perturbante Cigno nero) possa facilmente diventarlo. Un luogo già sacer - già fatto sacro -, che possa ospitare le spoglie di coloro che, in tempo e spazio de-sacralizzati dalla guerra o dall'emergenza, non sarebbero in grado di ricevere tali attenzioni. Una specie di - si potrebbe forse definire - cimitero-in-potenza; uno spazio semplice, quasi banale, ma che per “funzionare” dovrà essere alquanto diffuso, atto a rendere dignitosa la morte di qualsiasi persona in tempi d’emergenza o d’eccezione, anche di guerra. Questo cimitero d'emergenza è un luogo che nel frattempo sarà Altro, un giardino magari, ad ogni modo uno spazio pubblico, nel cuore delle città al pari del camposanto medievale. Un monumento-in-potenza, ovvero un essere monumento non per qualcosa che è già avvenuto (solitamente, i monumenti s'erigono quando i giochi della storia sono fatti), ma per qualcosa che, forse, avverrà (cioè mentre i giochi sono da farsi, o sono in corso). Un luogo vissuto, nella città, che ci serva da mònito per stare attenti e fare di tutto perché quel qualcosa non accada, o che accada il più in là possibile nel tempo. Un luogo vuoto. Un luogo profumato, che occorra alla contemplazione - qual è l'unico modo per dare vita ad un monumento? Contemplarlo e ricordare. Un luogo profumato che ci convinca, dolcemente, a permanere - perché mai ambire che questo si trasformi? Sarebbe un'orribile perdita. L'unico modo per far sì che esso rimanga tale è fare in modo che il motivo per cui esso è stato costruito mai si realizzi. Perché far sì che un giardino-e-basta diventi, per necessità di spazio in tempi avversi, un cimitero? Perché, quindi, non discutere riguardo ad un futuro cimitero-in-potenza come luogo di un futuro stato d’emergenza? [47][48] Per qualsiasi tempo e qualsiasi luogo nei quali un defunto sta per non trovare degna inumazione. Uno spazio degnamente sacro per un non meglio precisato tempo futuro.
296
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Un cimitero d'emergenza. Un monumento rivolto al futuro. Un cimitero-in-potenza.
10 - Appendice. Sospensioni
297
[47]
298
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
[48]
10 - Appendice. Sospensioni
299
Bibliografia
- LIBRO. È uno degli otto «simboli ordinari» cinesi, e rappresenta il potere di allontanare gli spiriti maligni. Il «libro scritto dentro e fuori» è un’allegoria del sapere esoterico ed essoterico, come la spada a doppio taglio che esce dalla bocca. In generale il libro si ricollega [...] al simbolismo della tessitura. [...] Il libro simboleggia il mondo 1 *** - Abrami M., Matanza G., Marchetti R., Testoni I., Il docente nella scuola dell’autonomia e la fondazione di una nuova appartenenza alla comunità scientifico-culturale, in Studium Educationis - Rivista per la formazione delle professioni educative, n. 3, pp. 759-777, 2003; - Agamben G., Homo sacer (Edizione integrale 1995-2015), Quodlibet, Macerata, 2021; - Agamben G., Il linguaggio e la morte. Un seminario sul luogo della negatività, Einaudi, Torino, 2008 (1982); - Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V.; - Anelli-Monti M., Fiorini M., L’età della profanazione, articolo in OFFICINA* n. 26 Sacro, Anteferma, Treviso, 2019, pp. 70-73; - Ariès P., Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano, 2019 (1975); - Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2020 (1992); - Basso A., Il dolore tra individui e popoli, articolo in La Chiave di Sophia n. 11, Nodo, Treviso, 2020, pp. 26-27; - Baudelaire C., I fiori del male, 1857; - Baudrillard J., Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1984 (1976); - Bauman Z., Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, Bologna, 2012 (1992); - Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2021 (2003); - Benasayag M., Del Rey A., Oltre le passioni tristi. Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, Feltrinelli, Milano, 2016 (2015); - Biraghi M., Questa è architettura. Il progetto come filosofia della prassi, Einaudi, Torino, 2021; 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 273.
303
- Bonesini A., Koinè profana, articolo in OFFICINA* n. 27 - Profano, Anteferma, Treviso, 2019, pp. 16-21; - Bonnefoy Y., L’ora presente, Mondadori, Milano, 2013; - Butler J., A chi spetta una buona vita?, Nottetempo, Milano, 2013 (2012), edizione a cura di Perugini N.; - Butler J., Vite precarie. I poteri del lutto e della violenza, Postmedia Books, Milano, 2013 (2004), edizione a cura di Guaraldo O.; - Caffo L., Essere giovani, Ponte alle Grazie, Milano, 2021; - Calasso R., L’innominabile attuale, Adelphi, Milano, 2017; - Calvino I., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2021 (1972); - Camerotto A., L’Odissea del dolore. Sopportazione, nostalgia e ricordo nei poemi omerici, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 60-62; - Cannatà M., Utopie per frammenti, articolo in Mosco V.P., Triassi C. (a cura di), Viceversa n. 6 - L’attualità dell’utopia, LetteraVentidue, Siracusa, 2017, pp. 30-31; - Caracciolo L., Cose dell’altro mondo, premessa editoriale in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. 1/2022 - L’altro virus, GEDI, Torino, 2022, pp. 7-30; - Catucci S., Introduzione a Foucault, Laterza, Bari-Roma, 2019 (2000); - Chanson de Roland, XI secolo. - Chivu M., Corto n. 5, racconto breve in Freeman J. (a cura di), Freeman’s - Scrittori dal futuro, Black Coffee, Firenze, 2018 (2017), pp. 30-34; - Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969); - Clément G., Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2016 (2004); - Coccia E., Metamorfosi. Siamo un’unica, sola vita, Einaudi, Torino, 2022 (2020); - Collectif Malgré Tout / Collettivo Malgrado Tutto, Piccolo manifesto in tempi di pandemia, Nottetempo, Milano, 2020, fanno parte del gruppo gli autori francesi e italiani Benasayag M., Cany B., Cohen T., Del Rey A., Musso M., Nicotra M., Padovano R., Portonero D. e Rivière M.; - Croce M., Salvatore A., Cos’è lo stato di eccezione, Nottetempo, Milano, 2022; - D’Annunzio G., La pioggia nel pineto (in Alcyone), 1903; - Dardi C., Architetture in forma di parole, Quodlibet, Macerata, 2009, edizione a cura di Costanzo M.; - De André F., Non al denaro non all’amore né al cielo (album), 1971; - De André F., Tutti morimmo a stento (album), 1968; - De André F., Volume III (album), 1968; - De La Boétie É., Discorso della servitù volontaria, Feltrinelli, Milano, 2020 (1550 circa), edizione a cura di Donaggio E.; - De Martino E., Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Einaudi, Torino, 2021 (1958); - De Ruvo G., Il virus del Metaverso. Se l’America fugge dall’inferno della Storia, articolo in Limes. Rivista italiana di geopolitica, n. 1/2022 - L’altro virus, GEDI, Torino, 2022, pp. 41-46; - Décret impérial sur le sépoltures (Editto di Saint-Cloud), 12 giugno 1804; - Eliade M. (a cura di), Dizionario dei luoghi del sacro, Jaca Book, Milano, 2019 (19861993); 304
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
- Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993); - Eliade M., Ries J. (a cura di), Dizionario della vita, morte ed eternità, Jaca Book, Milano, 2021 (1986-1993); - Elias N., La solitudine del morente, Il Mulino, Bologna, 1982; - Flaubert G., Bouvard e Pécuchet, Feltrinelli, Milano, 2021 (1881); - Florenskij P.A., Stratificazioni. Scritti sull’arte e la tecnica, Diabasis, Parma, 2008, edizione a cura di Misler N.; - Forty A., Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Pendragon, Bologna, 2015 (2000); - Foucault M., Utopie, eterotopie, Cronopio, Napoli, 2020 (1966), edizione a cura di Moscati A.; - Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S.; - Franciosini L. (a cura di), Cimiteri, Mancosu, Roma, 2011; - Frazer J.G., Il ramo d’oro. Studi della magia e la religione, Bollati Boringhieri, Torino, 2012 (1890); - Gentile A., Apparizioni, Nottetempo, Milano, 2020; - Gilman S.L., Difference and Pathology: Stereotypes of Sexuality, Race and Madness, Cornell University Press, Ithaca (New York), 1985; - Girard R., Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 2020 (1982); - Girard R., Il sacrificio, Raffaello Cortina, Milano, 2004 (2002); - Giuffrè M., Mangone F., Pace S., Selvafolta O. (a cura di), L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città - 1750-1939, Skira, Milano, 2007; - Gombrich E.H., La storia dell’arte, Phaidon, New York, 2008 (1950); - Guarnieri C., Il monumento funebre di Francesco Dandolo nella Sala del Capitolo ai Frari, in Corsato C. e Howard D. (a cura di), Santa Maria Gloriosa dei Frari. Immagini di devozione, spazi della fede, Centro Studi Antoniani, Padova, 2015, pp. 151-162; - Guénon R., Il re del mondo, Adelphi, Milano, 1977 (1958); - Guénon R., La Grande Triade, Adelphi, Milano, 1980 (1957); - Han B.-C., Che cos’è il potere?, Nottetempo, Milano, 2019 (2005); - Han B.-C., Elogio della terra. Un viaggio in giardino, Nottetempo, Milano, 2022 (2018); - Han B.-C., Eros in agonia, Nottetempo, Milano, 2019 (2012); - Han B.-C., Filosofia del buddhismo zen, Nottetempo, Milano, 2018 (2002); - Han B.-C., Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, Milano, 2017 (2009); - Han B.-C., L’espulsione dell’Altro, Nottetempo, Milano, 2017 (2016); - Han B.-C., La salvezza del bello, Nottetempo, Milano, 2019 (2015); - Han B.-C., La scomparsa dei riti. Una topologia del presente, Nottetempo, Milano, 2021 (2019); - Han B.-C., La società della stanchezza, Nottetempo, Milano, 2012 (2010); - Han B.-C., La società della trasparenza, Nottetempo, Milano, 2014 (2012); - Han B.-C., La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Einaudi, Torino, 2021 (2020); Bibliografia
305
- Han B.-C., Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Einaudi, Torino, 2022 (2021); - Han B.-C., Nello sciame. Visioni del digitale, Nottetempo, Milano, 2015 (2013); - Han B.-C., Psicopolitica, Nottetempo, Milano, 2016 (2014); - Han B.-C., Sano intrattenimento. Una decostruzione della passione al cuore dell’Occidente, Nottetempo, Milano, 2021 (2018); - Han B.-C., Topologia della violenza, Nottetempo, Milano, 2020 (2011); - Handke P., Il peso del mondo, Guanda, Milano, 2019 (1979); - Haroutunian J., Life and Death Among Fellowmen, in Scott N.A., The Modern Vision of Death, John Knox Press, Richmond (Virginia), 1967. - Hölderlin F., Sul tragico, Feltrinelli, Milano, 2017 (1980); - Huizinga J., Autunno del Medioevo, Rizzoli, Milano, 1998 (1919); - Iaquinta T., Nominare il dolore per educare alla sofferenza, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 12-14; - Illich I., Convivialità, KKIEN International, 2021 (tit. or.: Tools for Conviviality, 1973); - Jankélévitch V., Pensare la morte?, Raffaello Cortina, Milano, 1995 (1994); - Kaczynski T.J., Schiavitù tecnologica - Volume 1, Ortica, Latina, 2022; - Kawakami M., Il giardino fiorito, racconto in Freeman J. (a cura di), Freeman’s - Scrittori dal futuro, Black Coffee, Firenze, 2018 (2017), pp. 173-192; - Lao Tzu, Tao Te Ching, Feltrinelli, Milano, 2020 (2011), edizione a cura di Sabbadini A.S.; - Latouche S., Limite, Bollati Boringhieri, Torino, 2012; - Lévinas E., Dio, la morte e il tempo, Jaca Book, Milano, 1996 (1993); - Liguori R., Il linguaggio del dolore. Il viaggio di Salvatore Natoli nel giardino delle parole, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 56-57; - Loos A., Nudità, Giometti&Antonello, Macerata, 2021; - Loos A., Parole nel vuoto, Adelphi, Milano, 1992 (1972); - Lopez B., Quattordici declinazioni di potere, in Freeman J. (a cura di), Freeman’s - Potere, Black Coffee, Firenze, 2019 (2018), pp. 109-117; - Lucrezio, De rerum natura, I secolo a.C.; - Maragliano R., Pedagogia della morte, Doppiozero, Milano, 2012; - Masters E.L., Antologia di Spoon River, 1914-1915; - Mengozzi D., La morte e l’immortale. La morte laica da Garibaldi a Costa, Piero Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 2000; - Metta A., Il paesaggio è un mostro. Città selvatiche e nature ibride, DeriveApprodi, Roma, 2022; - Metta A., Olivetti M.L., La città selvatica. Paesaggi urbani contemporanei, Libria, Melfi, 2019; - Milizia F., Principj di Architettura Civile, Serafino Majocchi, Milano, 1847 (1781); - Mollino C., Architettura di parole. Scritti 1933-1965, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, edizione a cura di Comba M.; - Morin E., Il cinema o l’uomo immaginario, Feltrinelli, Milano, 1982 (1956); 306
Morin E., L’uomo e la morte, Meltemi, Roma, 2002 (1951); La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
- Mosso C., Testoni I., Dai gruppi alla comunità. Problemi umani e società inclusiva, UTET, Torino, 2015; - Mudu S., Sacri rituali in spazi profani, articolo in OFFICINA* n. 27 - Profano, Anteferma, Treviso, 2019, pp. 22-27; - Nietzsche F., La gaia scienza e Idilli di Messina, Adelphi, Milano, 2018 (1882); - Palmieri V., La permanenza dello spazio sacro dell’architettura, articolo in OFFICINA* n. 26 - Sacro, Anteferma, Treviso, 2019, pp. 6-9; - Panatero M., Pecunia T. (a cura di), Bushido. La Via del guerriero, Feltrinelli, Milano, 2020 (2013); - Pasqualotto G., Viaggio nelle Quattro Nobili Verità. Il dolore negli insegnamenti del Buddha, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 35-37; - Pearce D., The Hedonistic Imperative, David Pearce, 2015 (1995); - Piva A., Il silenzio e lo spazio, Mimesis, Milano-Udine, 2018; - Platone, Leggi, Libro XII, IV secolo a.C.; - Plumwood V., The eye of the crocodile, Australian National University Press, Canberra, 2013 (2012), edizione a cura di Shannon L.; - Popper K.R., Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano, 2019 (1957); - Rykwert J., La casa di Adamo in Paradiso, Adelphi, Milano, 2005 (1972); - Rothstein K.M., The New Civic-Sacred: Designing for Life and Death in the Modern Metropolis, articolo in DesignIssues n. 34, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 2018; - Rothstein K.M., Staudt C., The Future of the Corpse. Changing Ecologies of Death and Disposition, Praeger, Santa Barbara (California), 2021; - Ruskin J., Le Pietre di Venezia, Rizzoli, Milano, 2020 (1851-1853); - Saramago J., Le intermittenze della morte, Feltrinelli, Milano, 2013 (2005); - Seligman M.E.P., Helplessness. On development, depression & Death, MacMillan, New York City, 1992. - Sennett R., L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano, 2019 (2008); - Sennett R., L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2020 (1998); - Serughetti G., Democratizzare la cura / Curare la democrazia, Nottetempo, Milano, 2020; - Severino E., Il parricidio mancato, Adelphi, Milano, 1985; - Severino E., La morte e la terra, Adelphi, Milano, 2011; - Severino E., La strada, Rizzoli, Milano, 1983; - Severino E., Oltrepassare, Adelphi, Milano, 2007; - Simmel G., Metafisica della morte e altri scritti, SE, Milano, 2012; - Sozzi M., Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia, Laterza, Bari-Roma, 2009; - Tagliapietra A., L’enigma del dolore. La sofferenza come via d’accesso alla singolarità, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 32-34; - Taleb N.N., Il Cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Milano, 2014 (2007); - TECHNE. Journal of Technology for Architecture and Environment n. 10 - Rigenerazione urbana (rivista della SITdA - Società Italiana Tecnologia dell’Architettura), Firenze University Press, Firenze, 2015; Bibliografia
307
- TECHNE. Journal of Technology for Architecture and Environment n. 12 - Architettura Memoria Contemporaneità (rivista della SITdA - Società Italiana Tecnologia dell’Architettura), Firenze University Press, Firenze, 2016; - Testoni I., Autopsia filosofica. Il momento giusto per morire tra suicidio razionale ed eternità, Apogeo, Milano, 2007; - Testoni I., Dopo la notizia peggiore. Elaborazione del morire nella relazione, Piccin Nuova Libraria, Padova, 2011; - Testoni I., Il dio cannibale. Anoressia e culture del corpo in Occidente, UTET, Torino, 2001; - Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021; - Testoni I., La penetrazione dell’anima. Ipnosi e rappresentazioni della salvezza oltre la morte, in Casiglia E. (a cura di), Trattato di ipnosi e altre modificazioni di coscienza, CLEUP, Padova, 2015; - Testoni I., L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education, Bollati Boringhieri, Torino, 2015; - Testoni I., Psicologia palliativa. Intorno all’ultimo compito evolutivo, Bollati Boringhieri, Torino, 2020; - Thomas L.-V., Antropologia della morte, Garzanti, Milano, 1976 (1975); - Tieppo A., Un uomo a cavallo del dolore, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 23-25; - Tolstoj L.N., La morte di Ivan Il’ič, Tre morti e altri racconti, Adelphi, Milano, 2021 (risp. 1886 e 1858); - Tonon A., L’uomo di fronte al dolore, articolo in La Chiave di Sophia n. 11 - Vivere il dolore, Nodo, Treviso, 2020, pp. 20-22; - Triassi C., L’utopia del panottico rovescio, articolo in Mosco V.P., Triassi C. (a cura di), Viceversa n. 6 - L’attualità dell’utopia, LetteraVentidue, Siracusa, 2017, pp. 50-51; - Valéry P., Il cimitero marino (Le Cimetière marin), 1920; - Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019; - Vitruvio M.P., Architettura - Libri I-VII (De Architectura - Libri I-VII), Rizzoli, Milano, 2015 (I secolo a.C.), edizione a cura di Ferri S. e Maggi S.; - Vovelle M., La morte e l’Occidente. Dal 1300 ai giorni nostri, Laterza, Bari-Roma, 2000 (1983); - Vovelle M., Luoghi e riti funebri dal XIX secolo ai nostri giorni, in Vovelle M., Immagini e immaginario nella storia. Fantasmi e certezze nella mentalità dal Medioevo al Novecento, Editori Riuniti, Roma, 1989.
308
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
Sitografia
- RETE. La rete è la forma estrema dell’intreccio e del viluppo, per questo è intimamente associata ai simboli di avvolgimento e divoramento. [...] La correlazione cielo-rete può essere spiegata dal seguente versetto del Tao tê ching: «La rete del cielo (stelle, costellazioni) è grande; sebbene le sue maglie siano allentate, nulla sfugge a essa». Questo simbolismo esprime con la massima acutezza l’idea che non è possibile uscire di propria volontà dall’universo 1 *** - aa.vv., Gran Bretagna, Cimiteri nei boschi: cresce la richiesta di sepolture ecosostenibili, tratto da La Repubblica - Green&Blue, https://www.repubblica.it/green-and-blue/2021/05/10/news/ gb_cimiteri_nei_boschi_cresce_la_riechiesta_di_sepolture_ecosostenibili_-300278033/, articolo del 10.05.2021, data di ultima lettura: 23.07.2021; - Agamben G., Il volto e la morte, tratto da Una voce (rubrica online), https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-il-volto-e-la-morte, articolo del 30.04.2021, data di ultima lettura: 26.07.2021; - Bacialli B., Arborvitae, il cimitero del futuro è un bosco urbano, tratto da LIFEGATE, https://www.lifegate.it/arborvitae-cimitero-del-futuro, articolo del 27.12.2016, data di ultima lettura: 23.07.2021; - Bendinelli S., Unabomber: che cosa resta oggi di Ted Kaczynski, tratto da the submarine, https://thesubmarine.it/2017/12/12/unabomber-che-cosa-resta-oggi-di-ted-kaczynski/, articolo del 12.12.2017, data di ultima lettura: 20.04.2022; - Bossi S., Van Damme S., Kaan Architecten. Crematorium Siesegem, tratto da Divisare, https://divisare.com/projects/423238-kaan-architecten-sebastian-van-damme-simone-bossi-crematorium-siesegem, articolo del 31.03.2020, data di ultima lettura: 26.04.2022; - Buongiorno F., Elogio della distanza. Intervista a Byung-Chul Han. Informazione, potere, neoliberalismo, tratto da La macchina sognante. Contenitore di scritture dal mondo, http://www.lamacchinasognante.com/intervista-di-federica-buongiorno-allo-scrittore-e-filosofo-coreano-byung-chul-han/, 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 381.
309
articolo del 30.12.2015, data di ultima lettura: 26.03.2022; - Caffo L., Byung-Chul Han, la natura, i vaccini, le vite virtuali: «Un giardino è meglio di uno schermo», tratto da Corriere della Sera, https://www.corriere.it/sette/comportamenti/22_febbraio_27/byung-chul-han-natura-vaccini-vite-virtuali-un-giardino-meglio-uno-schermo-057b1572-929f11ec-8b82-9c9a53609f22.shtml, articolo del 27.02.2022, data di ultima lettura: 20.04.2022; - Candiani C.L., La morte non può farmi male, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/la-morte-non-puo-farmi-male, articolo del 24.11.2020, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Casagrande D., Studio sull’interpretazione anassimandrea della morte, tratto da La Chiave di Sophia, http://www.lachiavedisophia.com/blog/studio-sullinterpretazione-anassimandrea-della-morte/, articolo del 15.03.2017, data di ultima lettura: 19.07.2021; - Cimitero Monumentale di Milano (pagina web), https://monumentale.comune.milano.it; - Cimitero Monumentale di Staglieno (pagina web), http://www.staglieno.comune.genova.it; - Citati P., Tolstoj e il mistero di “Tre morti”, tratto da La Repubblica, https://www.repubblica.it/cultura/2021/08/29/news/tolstoj_e_il_mistero_di_tre_morti-315786675/, articolo del 29.08.2021, data di ultima lettura: 19.02.2022; - Codeluppi V., La morte si fa social, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/ rubriche/1919/201810/la-morte-si-fa-social, articolo del 25.10.2018, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Covre F., Gunnar Asplund. Woodland Chapel - Skogskyrkogården, tratto da Divisare, https://divisare.com/projects/386787-gunnar-asplund-federico-covre-woodland-chapel-skogskyrkogarden, articolo del 28.05.2018, data di ultima lettura: 26.04.2022; - Cremazione (pagina web), https://www.uaar.it/laicita/cremazione/; - Dall’Aglio M., Vivere con i nostri morti, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/ materiali/vivere-con-i-nostri-morti, articolo del 04.04.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - DeathLAB - Changing How We Live With Death in the City, Columbia University (pagina web), http://deathlab.org; - De Pace P., Vitale E. (a cura di), #Ilovemyjob, puntata n. 01 del podcast online Il lavoro non ti ama, https://open.spotify.com/episode/5laTlONmqJxVjZezvnW072?si=I6mmg93ySpqSjO950Nmg7Q, puntata del 19.04.2022, data di ultimo ascolto: 24.04.2022; - De Pace P., Vitale E. (a cura di), Algocrazia, puntata n. 02 del podcast online Il lavoro non ti ama, https://open.spotify.com/episode/2f6ZztbL3HbnNDeWssYpni?si=PhhDIRVMSU6GuqzwuG6vaQ, puntata del 19.04.2022, data di ultimo ascolto: 24.04.2022; - Depentor G. (a cura di), Camposanto (podcast online), https://open.spotify.com/show/7F0d70epppxx45TaTwaRq2?si=67861e655add451d; - Donghi P., Curare e prendersi cura, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/curare-e-prendersi-cura, articolo del 23.12.2021, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Famularo J., Carlo Scarpa. Tomba Brion through details, tratto da Divisare, https://divisare.com/projects/347852-carlo-scarpa-jacopo-famularo-tomba-brion-through-details, articolo del 04.07.2017, data di ultima lettura: 26.04.2022; - Germinario F., Il culto politico della morte, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero. com/dossier/cultura-di-destra/il-culto-politico-della-morte, articolo del 13.06.2011, data di ultima lettura: 23.04.2022; 310
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
- Giacometti A., L’arte cinese della sepoltura, tratto da La Chiave di Sophia, http://www. lachiavedisophia.com/blog/larte-cinese-della-sepoltura/, articolo del 31.01.2019, data di ultima lettura: 19.07.2021; - Guzzoni M., Bosch. Visioni di un genio, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/ materiali/bosch-visioni-di-un-genio, articolo del 30.03.2016, data di ultima lettura: 09.05.2022; - Iconologia di Cesare Ripa (pagina web), http://www.labirintoermetico.com/04iconologia/iconologia_ripa_immagini/index.html; - Il rumore del lutto (pagina web), http://www.ilrumoredellutto.com; - Jakob M., Il crematorio di Aalst, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/il-crematorio-di-aalst, articolo del 05.03.2022, data di ultima lettura: 09.03.2022; - Jakob M., L’isola di Rousseau, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/ lisola-di-rousseau, articolo del 23.04.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - John Ruskin. Le Pietre di Venezia (pagina web), https://palazzoducale.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/mostra-ruskin/2018/02/18857/le-pietre-di-venezia/; - Kester E., Making Light of Death, tratto da Columbia Magazine, https://magazine.columbia.edu/article/making-light-death, articolo della primavera 2016, data di ultima lettura: 23.07.2021; - La Bella C., Cimiteri sempre più pieni, addio ai loculi: ecco cosa accadrà in futuro al corpo dei defunti, tratto da UrbanPost, https://urbanpost.it/cimiteri-sempre-piu-pieni-addio-ai-loculi-ecco-cosa-accadra-in-futuro-al-corpo-dei-defunti/, articolo del 15.02.2019, data di ultima lettura: 23.07.2021; - La Certosa (pagina web), https://www.bolognaservizicimiteriali.it/la-certosa; - Màdera R., Caos, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/caos, articolo del 21.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Màdera R., Sentire-pensare la ferita, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/sentire-pensare-la-ferita, articolo del 18.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Magistroni M., Cimiteri sovraffollati? C’è una nuova proposta per seppellire i morti lungo le strade, tratto da Wired, https://www.wired.it/scienza/ecologia/2019/07/15/cimiteri-sovraffollati-proposta/?refresh_ce=, articolo del 15.07.2019, data di ultima lettura: 23.07.2021; - Mangiapane F., L’utopia di Walt Disney, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/ materiali/lutopia-di-walt-disney, articolo del 03.03.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Marchente A., Jacques Derrida sulla pena di morte, tratto da Doppiozero, https://www. doppiozero.com/materiali/teorie/jacques-derrida-sulla-pena-di-morte, articolo del 18.06.2014, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Marinescu I., Johan Celsing Arkitektkontor. The new crematorium at the Woodland Cemetery, tratto da Divisare, https://divisare.com/projects/268719-johan-celsing-arkitektkontor-ioana-marinescu-the-new-crematorium-at-the-woodland-cemetery, articolo del 05.09.2014, data di ultima lettura: 26.04.2022; - Martellotta M., L’insostenibilità dei cimiteri. Quale futuro per l’edilizia cimiteriale?, tratto da architetturaecosostenibile, https://www.architetturaecosostenibile.it/architettura/criteri-progettuali/ insostenibilita-cimiteri-futuro-edilizia-cimiteriale-987, articolo del 16.10.2012, data di ultima lettura: 23.07.2021; - Martino D., Moriremo tutti!, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/ Sitografia
311
moriremo-tutti, articolo del 17.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Masetti L., L’antologia di Spoon River e De André, tratto da altervista, http://maso.altervista. org/percorsi_incrociati/spoonriver/index.php, articolo del: data non specificata, data di ultima lettura: 21.04.2022; - Mininni G., Punti su un cerchio. Il cammino comune di Cristianesimo e Islam, tratto da La Chiave di Sophia, http://www.lachiavedisophia.com/blog/punti-un-cerchio-cammino-comune-cristianesimo-islam/, articolo del 19.04.2019, data di ultima lettura: 19.07.2021; - Monti G., 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/50-tentati-suicidi-piu-50-oggetti-contundenti, articolo del 21.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Montieri G., José Saramago, Le intermittenze della morte, tratto da Doppiozero, https://www. doppiozero.com/materiali/jose-saramago-le-intermittenze-della-morte, articolo del 05.03.2018, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Necropoli rupestre di Norchia (pagina web), https://www.beniculturali.it/luogo/necropoli-rupestre-di-norchia; - Pampaloni M., Il cerchio, i raggi, l’amore, tratto da Vocazioni, https://rivistavocazioni.chiesacattolica.it/2019/12/10/il-cerchio-i-raggi-lamore/, articolo dell’edizione novembre-dicembre 2019, data di ultima lettura: 19.07.2021; - Pavesi L., Tra consumismo e fuga dalla morte, con “Le città invisibili” Calvino predisse la società di oggi, tratto da The Vision, https://thevision.com/cultura/citta-invisibili-calvino/, articolo del 17.11.2021, data di ultima lettura: 07.12.2021; - Pesare M., Le periferie come “spazi altri”. Psicopedagogia delle eterotopie in Michel Foucault, tratto da MeTis, http://www.metisjournal.it/metis/anno-iii-numero-2-dicembre-2013-le-periferie-delleducazione-temi/106-saggi/532-le-periferie-come-spazi-altri-psicopedagogia-delle-eterotopie-in-michel-foucault.html, articolo del dicembre 2013, data di ultima lettura: 20.04.2022; - Piramide di Caio Cestio (pagina web), https://www.soprintendenzaspecialeroma.it/schede/piramide-di-caio-cestio_3006/; - Pizzati C., L’intervista. Il filosofo Byung-Chul Han: “I rischi di un’era in cui non si vive ma si digita”, tratto da La Repubblica, https://www.repubblica.it/cultura/2022/02/04/news/l_intervista_ il_filosofo_byong-chul_han_i_rischi_di_un_era_in_cui_non_si_vive_ma_si_digita_-336470816/, articolo del 04.02.2022, data di ultima lettura: 20.04.2022; - Porro M., François Jullien, sul vivere, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/francois-jullien-sul-vivere, articolo del 27.09.2021, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Pratesi L., La società senza dolore. Attualità e futuro secondo il filosofo Byung-Chul Han, tratto da Artribune, https://www.artribune.com/editoria/2021/03/societa-senza-dolore-libro-byung-chul-han/, articolo del 30.03.2021, data di ultima lettura: 26.03.2022; - Rapini F., Parole & Suoni, De André incontra Lee Masters a Spoon River, tratto da The Walk of Fame, https://www.thewalkoffame.it/blog/de-andre-lee-masters-spoon-river/, articolo del 04.11.2021, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Sepolcro di Marco Virgilio Eurisace (pagina web), https://sovraintendenzaroma.it/i_luoghi/ roma_antica/monumenti/sepolcro_di_marco_virgilio_eurysace; - Ronchi R., Il paradigma immunitario, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/il-paradigma-immunitario, articolo del 07.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; 312
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
- Rothstein K., Staudt C., Living death: confronting mortality and associated practices of care, tratto da The Architectural Review, https://www.architectural-review.com/essays/death/living-death-confronting-mortality-and-associated-practices-of-care, articolo del 24.03.2021, data di ultima lettura: 08.05.2022; - Sisto D., Covid-19: il tabù della morte, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/covid-19-il-tabu-della-morte, articolo del 23.10.2020, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Sisto D., La morte al tempo del Covid-19, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero. com/materiali/la-morte-al-tempo-del-covid-19, articolo del 25.03.2020, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Skogskyrkogården (pagina web), https://whc.unesco.org/en/list/558/; - Stefi A., Adolescenti senza parole: l’età tradita, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero. com/materiali/adolescenti-senza-parole-leta-tradita, articolo del 13.12.2021, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Tercatin R., Egitto, spianata la Città dei morti: l'ultimo sfregio del Cairo per fare posto a un ponte, tratto da La Repubblica, https://www.repubblica.it/cronaca/2022/04/26/news/egitto_ spianata_la_citta_dei_morti_lultimo_sfregio_del_cairo_per_fare_posto_a_un_ponte-346909380/, articolo del 26.04.2022, data di ultima lettura: 10.05.2022; - Testoni C., 10 cimiteri contemporanei d’autore, da Aldo Rossi a Toyo Ito, tratto da Domus, https://www.domusweb.it/it/architettura/gallery/2021/10/14/10-cimiteri-da-aldo-rossi-a-toyo-ito. html, articolo del 29.10.2021, data di ultima lettura: 24.04.2022; - Tonon A., È la morte che dà senso alla vita?, tratto da La Chiave di Sophia, http://www. lachiavedisophia.com/blog/e-la-morte-che-da-senso-alla-vita/, articolo del 14.01.2019, data di ultima lettura: 18.07.2021; - Venturi R., Incontrare l’orso, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/ incontrare-lorso, articolo del 08.01.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Venturi R., In preda al coccodrillo, tratto da Doppiozero, https://www.doppiozero.com/materiali/in-preda-al-coccodrillo, articolo del 04.02.2022, data di ultima lettura: 23.04.2022; - Zabban A., L’eterotopia nel pensiero di Foucault, tratto da il Becco, https://www.ilbecco.it/ leterotopia-nel-pensiero-di-foucault/#post-18144-footnote-ref-2, articolo del 28.10.2021, data di ultima lettura: 20.04.2022.
Sitografia
313
Videografia e filmografia
- RETTANGOLO. È la più razionale, sicura e regolare delle forme geometriche; come è confermato empiricamente che, in ogni tempo e luogo, l’uomo tende ad applicarla a tutti gli spazi e gli oggetti utili per la vita. [...] Forme come il trapezio o altri quadrilateri ancora più irregolari sono sentite come anomale, dolorose, e simboleggiano la sofferenza e lo squilibrio interiore 1 *** - Agamben G., L’archeologia, tratto da YouTube, conferenza del 09.05.2019, https://youtu. be/Qkvlp4hUpL4, video caricato il 14.07.2019, data di ultima visualizzazione: 25.07.2021; - Agamben G., Butler J., Eichmann. Diritto e giustizia (Parte 1 e segg.), tratto da YouTube, conferenza del settembre 2009, https://youtu.be/ySu0HYfx2VY, video caricato il 10.09.2009, data di ultima visualizzazione: 20.04.2022; - Arcand D., Le invasioni barbariche, Canada-Francia, 2003, durata: 99’, trama fondamentale: “Non c’è scampo per il gaudente professore cinquantenne malato di cancro e indulgente nei confronti di ogni forma di compiacimento intellettuale e fisico, così come non c’è scampo per tutto quel mondo leggero e scanzonato di vivere che sembra essere crollato assieme alle Torri Gemelle. Tanto vale accettare serenamente la fine. A questo provvede in modo accorto (e inizialmente barbaro) il figlio, attraverso la messa in scena via via più affettuosa di un’anomala e laicissima cerimonia alla quale prendono parte vecchi e nuovi compagni di vita del morente. Sarà questi stesso, ormai rasserenato, a porre fine alla rappresentazione” (sinossi tratta da Maragliano R., Pedagogia della morte, Doppiozero, Milano, 2012, p. 42); - Augé M., Marc Augé: “I nonluoghi vent’anni dopo”, tratto da YouTube, conferenza del 23.05.2015, https://youtu.be/Uh1Ht_oieXg, video caricato il 29.05.2015, data di ultima visualizzazione: 14.10.2021; - Bergman I., Il settimo sigillo, Svezia, 1957, durata: 96’, trama fondamentale: il tutto ha inizio in un Nord Europa dove imperversano peste e disperazione. Qui tornano dalle crociate in Terra Santa il cavaliere Antonius Block (Max von Sydow) ed il suo scudiero 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 381.
315
Jöns (Gunnar Björnstrand). Sulla spiaggia, al suo ritorno, il cavaliere trova ad attenderlo niente meno che la Morte (interpretata da Bengt Ekerot), che ha scelto quel momento per portarlo via. Block decide di sfidarla a scacchi, per rimandare la sua dipartita, e la Morte acconsente al rinvio. Da questo gioco iniziale traggono vita tutte le vicende ed i successivi incontri dei due personaggi; - Cave S., Let's talk about death, tratto da YouTube, conferenza TEDxBratislava dell'agosto 2013, https://youtu.be/B0E_VNX1-Yk, video caricato il 28.08.2013, data di ultima visualizzazione: 10.05.2022; - Daverio P., Passepartout - Cimiteri, tratto da YouTube, puntata del 31.10.2004, https://youtu.be/5vHbr8ct3go, video caricato il 07.01.2014, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Daverio P., Passepartout - La danza macabra, tratto da YouTube, puntata del 05.03.2006, parte 1: https://youtu.be/lRf6AcyOcic - parte 2: https://youtu.be/h4Z2Yanssa0, video caricati nel 2014, data di ultima visualizzazione: 11.03.2022; - Disney W., Silly Simphonies - The Skeleton Dance, tratto da YouTube, canale Walt Disney Animation Studios, https://youtu.be/vOGhAV-84iI, corto animato originale del 1929, video caricato nel 2016, data di ultima visualizzazione: 11.03.2022; - Fabik T., Effetti pericolosi, Svezia, 2004, durata: 90’, trama fondamentale: “La classica situazione di passaggio: l’inizio dell’adolescenza, l’uscita dalla condizione infantile e dalla dipendenza familiare, l’ingresso nella scuola superiore. La protagonista del film sente il bisogno di entrare a far parte della comunità dei compagni, di essere grande, ma soffre anche di profonde insicurezze. Ubriaca per un miscuglio di liquori bevuto a casa, viene fotografata in atteggiamenti sconvenienti durante una festa dai suoi stessi compagni, e diventa rapidamente lo zimbello della comunità. Abbandonata e incompresa da tutti tenta seriamente il suicidio. Un’amica l’aiuta ad uscire dal tunnel” (sinossi tratta da Maragliano R., op. cit., pp. 44-45); - Han B.-C., La società della stanchezza, tratto da YouTube, conferenza del 19.10.2021, https://youtu.be/VxGNF_S8C_Y, video caricato il 05.11.2021, data di ultima visualizzazione: 20.04.2022; - Lav Diaz, From What is Before (Mula sa Kung Ano ang Noon), Filippine, 2014, durata: 338’, trama fondamentale: Filippine, 1972. In uno sperduto barrio accadono cose misteriose: le balene cominciano a sentirsi dalle foreste, muoiono delle mucche, un uomo è trovato in fin di vita accanto ad una strada e delle case vanno inspiegabilmente, a prima vista, a fuoco. Inoltre, Ferdinand Marcos (1917-1989, fu presidente-dittatore delle Filippine dal 1965 al 1986) proclama la validità della legge marziale in tutto il paese (21 settembre 1972); - Larsson H., Retegan A., STIRring Together: Peering into the Hospital of the Future with OMA, tratto da YouTube, https://youtu.be/w8cP3fw3jss, video caricato il 17.09.2021, data di ultima visualizzazione: 20.11.2021; - Malick T., The tree of life, USA-Italia, 2011, durata versione commerciale: 138’, durata versione estesa: 188’, trama fondamentale: “Una normale famiglia del Texas degli anni Cinquanta: lui militarista domestico, lei dolce e affettuosa e tre figli maschi, uno dei quali destinato a morire segnando per sempre la memoria e la vita stessa del fratello sopravvissuto posto al centro della storia. Inserita tra un prologo di stampo ad un tempo biblico 316
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
e darwiniano e un epilogo in pretto stile new age, dove tutti, i vivi e i morti, si ritrovano a passeggiare sulle soglie del mare, la storia si sgrana liberandosi da ogni vincolo sequenziale e rispondendo allo sguardo carezzevole e sognante di un autore che con gli occhi di un bambino cerca risposte visive e sonore alle domande primordiali sull’uomo, la sua provenienza, il suo destino” (sinossi tratta da Maragliano R., op. cit., p. 43); - Marazzi A., Un’ora sola ti vorrei, Italia-Svizzera, 2002, durata: 55’, trama fondamentale: “Un delicato e struggente cesello di frammenti cinematografici, foto, pagine di diario, lettere, cartelle cliniche, ed anche suoni attraverso cui la regista ricostruisce a dà concretezza al volto e alla storia della madre, morta suicida quando lei aveva sette anni, e dell’ambiente familiare entro cui era cresciuta. Tra fiction e documentario, proiezione e decantazione, è testimonianza di come sia possibile, nell’evitare di offendere chi abbia assunto una decisione così terribile, ridare vita e amore a quel doppio che è anche parte di se stessi e nello stesso tempo inserire una vicenda così privata nello spazio denso della storia pubblica” (sinossi tratta da Maragliano R., op. cit., p. 44); - Monicelli M., Un borghese piccolo piccolo, Italia, 1977, durata: 118’, trama fondamentale: il protagonista, Giovanni Vivaldi (interpretato da Alberto Sordi), impiegato ministeriale da più di trent’anni, fa di tutto per far ereditare il posto pubblico al figlio, Mario, giovane rampollo di casa. Questi viene ucciso il giorno del concorso da dei ladri di banca in fuga, sotto gli occhi del padre. La moglie di Giovanni, madre del ragazzo, rimane da quel momento paralizzata, costretta sulla sedia a rotelle. Il giorno dell’uccisione del figlio è il punto di svolta nel comportamento di Giovanni, che da lì farà di tutto per vendicare il giovane (il film è tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, pubblicato nel 1976); - Natoli C., Byung-Chul Han e “La società senza dolore”, tratto da YouTube, https://youtu. be/428R9Ke7Y7I, video caricato il 06.07.2021, data di ultima visualizzazione: 11.10.2021; - OMA (Rem Koolhaas) nelle persone di: de Graaf R., Larsson H. e Retegan A., con Bovingdon-Downe M., Gatti B., Hosszufalussy S., Versari E., Hospital of the future (video-installazione per la “Biennale Architettura 2021”, https://www.oma.com/projects/the-hospital-of-the-future), Venezia, 2021; - Severino E., Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi alla gioia, tratto da YouTube, https://youtu. be/4u2b3yEZZGI, video caricato il 20.11.2017, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Severino E., Il divenire e la morte: cosa vuol dire “l’eternità di tutte le cose”, tratto da YouTube, https://youtu.be/_vZyuwmiBsI, video caricato il 25.08.2021, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Sisto D., La morte al tempo dei social, tratto da YouTube, conferenza TEDxDarsena dell’agosto 2019, https://youtu.be/bfK1R6Xv4Ls, video caricato il 20.08.2019, data di ultima visualizzazione: 20.04.2022; - Sisto D., La vita infinita: il sogno dell’immortalità, tratto da YouTube, conferenza Popsophia 2019, https://youtu.be/mzHhyAIYHAo, video caricato il 24.07.2019, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Sisto D., Post mortem, tratto da YouTube, conferenza Festivalfilosofia 2019, https://youtu. be/1sCP5Jo-Hkg, video caricato il 04.12.2019, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; -
Testoni I., Agonie dell’identità. Vivere e morire tra sacralità, religiosità e laicità, tratto da You-
Videografia e filmografia
317
Tube, conferenza presso il Master di Death Studies & the End of Life all’Università degli Studi di Padova, https://youtu.be/jIlxxsPS2ng, video caricato il 27.03.2018, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Testoni I., Death Education: una sfida nella società della rimozione, tratto da YouTube, conferenza TEDxBarletta, https://youtu.be/QYvgd2JYEQ0, video caricato il 22.10.2020, data di ultima visualizzazione: 21.04.2022; - Testoni I., Rabbia (ira) e terrore della morte, tratto da YouTube, conferenza TEDxTreviso del giugno 2021, https://youtu.be/ZsovYZxBk3U, video caricato il 30.06.2021, data di ultima visualizzazione: 20.04.2022; - van Sant G., L’amore che resta, USA, 2011, durata: 95’, trama fondamentale: “Due adolescenze bloccate. Lui, soffocato dal senso di colpa per la morte dei genitori e in continua comunicazione con un suo doppio rappresentato dalla figura immaginaria di un kamikaze, frequenta con assiduità ogni cerimonia funebre che gli capiti. Lei, che lo incontra in una di queste occasioni, nessuno dei due essendo lì per una qualche relazione con il defunto, ha un cancro e pochissimo tempo da vivere. Il loro amore rappresenta il centro di una cerimonia dell’addio scandita dai tempi dell’affetto, del gioco, della messa in scena, del rito, del ricordo. Maestro di cerimonia è lei. La sua è una declinazione al moderno del mito di una morte addomesticata che, nel suo farsi e realizzarsi, riesce ad addomesticare e quindi definitivamente rasserenare anche lui, che le sopravvive” (sinossi tratta da Maragliano R., op. cit., pp. 42-43); - von Trier L., Melancholia, Danimarca-Germania-Francia-Svezia-Italia, 2011, durata: 130’, trama fondamentale: il film è diviso in due parti - Justine e Claire - e ruota attorno al rapporto conflittuale, ma nello stesso momento estremamente intimo, tra due sorelle molto diverse tra loro, il tutto mentre il pianeta Terra è minacciato da una catastrofe, a causa dell’imminente collisione con il pianeta Melancholia; - von Trier L., Nymphomaniac, Danimarca-Germania-Regno Unito-Belgio-Francia, 2013, durata versione breve: 240’, durata versione estesa: 330’, trama fondamentale: Joe viene trovata sanguinante e priva di conoscenza in un vicolo da tale Seligman, un pensionato dalla vita tranquilla che decide di portarla a casa propria e di curarla. Joe decide di raccontargli tutta la sua vita, fortemente segnata da un ipererotismo che ne ha dominato quasi tutti i tempi e gli spazi, complicando e danneggiandone i rapporti sociali, familiari, affettivi e lavorativi. La storia viene narrata con una serie di flashback, non sempre in ordine cronologico, suddivisi in otto capitoli, tutti aventi come titolo un particolare oggetto o nome proprio che contraddistingue la vita di Joe in quel momento della sua vita; - Wajda A., Cenere e diamanti, Polonia, 1958, durata: 103’, trama fondamentale: le vicende narrate prendono il via l’8 maggio 1945 - giorno in cui la Germania s’arrese ufficialmente - in una piccola città polacca, dove due soldati dell’esercito Armia Krajowa (l’esercito nazionale polacco) di nome Maciek (interpretato da Zbigniew Cybulski) e Andrzej (Adam Pawlikowski) devono assassinare il commissario comunista Szczuka: i due falliscono, uccidendo invece due innocenti operai di una fabbrica. Viene così data loro una seconda possibilità; - Wenders W., Il cielo sopra Berlino, Germania Ovest-Francia, 1987, durata: 128’, trama fondamentale: la sfondo è la Berlino degli anni Ottanta. Due angeli chiamati Damiel 318
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
(Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander) vagano nella città, ma sono invisibili: osservano i berlinesi e hanno la facoltà di ascoltare i loro pensieri. Tra i molti che incontrano nel loro girovagare c’è un uomo anziano di nome Homer (Curt Bois), che come il poeta greco Omero sogna la pace e cerca la Potsdamer Platz, divelta dalla Seconda guerra mondiale: al suo posto trova una spianata incolta, una specie di terra di nessuno, e il Muro coperto di graffiti. Damiel, percorrendo la città, arriva in un circo dove vede e si innamora di Marion (Solveig Dommartin), trapezista che vive da sola in un camper, balla sulla musica dei Crime & The City Solution, e vaga per la città. Un regista americano, Peter Falk (l’attore interpreta se stesso), arriva a Berlino per girare un film: in passato è stato anch’egli un angelo, ma ha rinunciato alla sua immortalità. Conoscendolo - e da innamorato della seducente Marion - anche Damiel decide così di diventare uomo: ma a che prezzo? - Wenders W., Lighting Over Water - Lampi sull’acqua, Germania Ovest-Svezia, 1980, durata: 91’, trama fondamentale: visitato sul letto di morte dall’amico e regista tedesco Wim Wenders, Nicholas Ray vuole documentare con lui gli ultimi giorni della propria vita, filmando ogni istante. Ray accetta, quindi, di vivere i suoi ultimi giorni davanti alla cinepresa di Wenders, sapendo fin dall’inizio che cosa metterà fine alle riprese ed allo stesso film: la propria morte.
Videografia e filmografia
319
Copyright delle immagini
- IMMAGINE. Insieme di forme e figure dotato di unità e di significato. Come indica la teoria della forma, e come avviene per la melodia musicale, il tutto è più della somma delle parti, essendo in un certo senso la loro origine e giustificazione. [...] Per alcuni psicologi è proprio la modalità superiore in cui si presenta il sapere, giacché ogni conoscenza tende, per sintesi, ad andare verso il visivo 1 *** [01] Un generico bugiardino. © copyright: https://www.socialfarma.it/il-foglio-illustrativo-aggiornatouna-possibile-fonte-di-sanzioni-disciplinari/.
[02] Caravaggio, Incredulità di san Tommaso (particolare), 1600-1601. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Incredulità_di_san_Tommaso_(Caravaggio)#/media/File:Caravaggio_incredulity.jpg.
[03] Venere di Willendorf (recto e verso, parziale). © copyright: https://www.preistoriainitalia.it/segnalazioni/un-nuovo-metodo-di-ricerca-mostra-che-la-venere-willendorf-proviene-probabilmente-dal-nord-italia/; [04] Vaso greco del XIII secolo a.C. raffigurante delle donne alle prese con un lamento funebre durante un cerimoniale (particolare). © copyright: https://i.pinimg.com/ originals/de/55/06/de550674acf73394ceb8e6616e6cf8cd.jpg; [05] Regnault J.-B., L'origine della pittura (particolare), 1785. © copyright: http://www. tuttomondonews.it/wp-content/uploads/2015/01/Jean-Baptiste-Regnault-The-Origin-of-Painting-. jpg; [06] Ingres J.-A.-D., La morte di Leonardo da Vinci, 1818. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/La_morte_di_Leonardo_da_Vinci#/media/File:Jean-Auguste-Dominique_Ingres_-_François_Ier_reçoit_les_derniers_soupirs_de_Léonard_de_Vinci_-_PDUT1165_-_Musée_ 1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), p. 249.
321
des_Beaux-Arts_de_la_ville_de_Paris.jpg; [07] Stampa raffigurante la danza macabra ritratta sotto le arcate del parigino Cimitero degli Innocenti (al di sopra, la sistemazione dei comuni ossari). © copyright: https:// it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_degli_Innocenti#/media/File:Charnier_at_Saints_Innocents_Cemetery.jpg; [08] Stampa raffigurante la situazione del Cimitero degli Innocenti di Parigi intorno al 1550. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_degli_Innocenti#/media/File:Saints_Innocents_1550_Hoffbauer.jpg; [09] Bosch H., La nave dei folli (particolare), 1494 circa. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Nave_dei_folli_(Bosch)#/media/File:Jheronimus_Bosch_011.jpg; [10] Bernini G.L., Estasi di santa Teresa d'Avila (particolare), 1642-1652. © copyright: https://artslife.com/2019/10/16/lomaggio-di-marina-abramovich-a-santa-teresa-alla-pinacoteca-ambrosiana/; [11] Bonomini P.V., Il tamburino della Cisalpina (particolare), 1797. © copyright: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/39/Bonomini_il_tamburino_della_Cisalpina. JPG; [12] Foto di una scena di vita quotidiana nella Comunità di Oneida (particolare). © copyright: https://www.bostonglobe.com/arts/books/2016/04/28/from-free-love-utopia-corporate-powerhouse/Zt4aS3UpWqbhArduzXZNlK/story.html; [13] Accettare la fine: l'archetipo richiamato da von Trier è quello della primordiale capanna lignea - il principio della casa -, al di sotto della quale i protagonisti si sistemano, in posizione quasi-meditativa, ad attendere l'imminente fine. La loro morte, la morte del pianeta: fine di tutte le cose. © copyright: von Trier L., Melancholia, Danimarca-Germania-Francia-Svezia-Italia, 2011; [14] Mappa della distribuzione su scala mondiale delle principali malattie tropicali. © copyright: https://curtiswrightmaps.com/product/world-map-of-the-major-tropical-diseases/.
[15] Piranesi G.B., Veduta del Mausoleo di Cecilia Metella a Roma (particolare), 1762. © copyright: https://artslife.com/2017/09/25/roma-tra-sogno-e-visione-nelle-incisioni-di-piranesi/.
[16] Necropoli di Pantalica. © copyright: https://catania.liveuniversity.it/necropoli-pantalica/; [17] Monumento funebre di Antioco I a Nimrud-Dagh (attuale Turchia), I secolo a.C. © copyright: https://www.vanillamagazine.it/gli-dei-del-monte-nemrut-il-tesoro-del-regno-perduto-di-commagene/; [18] Tomba del Fornaio Eurisace a Roma, I secolo a.C. © copyright: https://www. flickr.com/photos/dealvariis/albums/72157615298653315/; [19] Piranesi G.B., Piramide di Caio Cestio (particolare), 1756. © copyright: https:// www.pierotrincia.it/it/2426/Piramide-di-Caio-Cestio---GB-Piranesi.html; [20] Autore ignoto, Monumento funebre al doge Michele Morosini presso la basilica dei santi Giovanni e Paolo, Venezia, 1382. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_ 322
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
dei_Santi_Giovanni_e_Paolo_(Venezia)#/media/File:Choir_of_Santi_Giovanni_e_Paolo_(Venice)_-_Monument_to_doge_Michele_Morosini.jpg; [21] Tullio Lombardo, Monumento funebre al doge Andrea Vendramin presso la basilica dei santi Giovanni e Paolo, Venezia, 1480 ca. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_dei_Santi_Giovanni_e_Paolo_(Venezia)#/media/File:Monument_to_doge_Andrea_Vendramin.jpg; [22] Holbein H. il Giovane, Ambasciatori (particolare), 1533. © copyright: https:// it.wikipedia.org/wiki/Ambasciatori_(Holbein_il_Giovane)#/media/File:Hans_Holbein_the_ Younger_-_The_Ambassadors_-_Google_Art_Project.jpg; [23] Interno della cappella ossario di San Bernardino alle Ossa, Milano. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Bernardino_alle_Ossa#/media/File:Ossario_di_ San_Bernardino_parete_destra.jpg; [24] Fuga F., Pianta, taglio e abaco del Cimitero dell'Archiospedale di Santo Spirito in Saxia di Roma, 1745. © copyright: Firenze, Museo degli Uffizi, Gabinetto delle Stampe; [25] Ortofoto del Cimitero delle 366 Fosse, Napoli. © copyright: Google Earth; [26] Boullée É.-L., Cenotafio per Newton (particolare della sezione, di giorno), 1784. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Cenotafio_di_Newton#/media/File:Étienne-Louis_ Boullée,_Cénotaphe_de_Newton_-_04_-_Coupe,_représentation_de_jour_avec_effet_intérieur_de_ nuit.jpg; [27] Ledoux C.-N., Cimitero per la città di La Chaux (particolare della sezione), 1785. © copyright: https://www.pinterest.it/pin/746049494507751575/; [28] Ortofoto del Cimitero Monumentale di Staglieno, Genova. © copyright: Google Earth; [29] Ortofoto del Cimitero Monumentale di Milano. © copyright: Google Earth;
[30] Vredeman de Vries J., Progetto per un giardino ornamentale (particolare), 1576. © copyright: https://pixels.com/featured/design-for-an-ornamental-garden-1576-hans-or-jan-vredeman-de-vries.html; [31] Antonio Vivaldi mentre imbocca la moglie paralizzata. © copyright: Monicelli M., Un borghese piccolo piccolo, Italia, 1977; [32] Tappeto Serapi (particolare), proveniente dalla regione di Heriz (Persia nord-occidentale), 1875 circa. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Tappeto_orientale#/media/ File:Antique_Serapi_carpet,_Heriz_region,_Northwest_Persia,_9ft_11in_x_12ft_10in,_circa_1875,.jpg; [33] Il soldato che, in punto di morte, si racchiude in posizione fetale. © copyright: Wajda A., Cenere e diamanti, Polonia, 1958; [34] Ortofoto del Tempio di Bel, a Palmira, prima della sua distruzione causata dall'ISIS nel 2015. © copyright: https://www.nytimes.com/2015/09/01/world/middleeast/isis-militants-severely-damage-temple-of-baal-in-palmyra.html.
[35]
Utopiae Insulae Figura, xilografia dalla prima edizione dell'opera Utopia di Thomas
Copyright delle immagini
323
Moore, 1516. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Utopia_(Tommaso_Moro)#/media/ File:Isola_di_Utopia_Moro.jpg.
[36] Stampa raffigurante l'interno di una Torre del Silenzio zoroastriana (autore ignoto). © copyright: http://www.circolodeldesign.it/whats-on/WPAC/a-cura-di-wpac-1302d6a33866-4211-8db5-50ad481fd09c; [37] Mylius J.D., La bara di cristallo, 1622. © copyright: https://wordsnwands.wordpress. com/2018/04/29/cela-32/johann-daniel-mylius-philosophia-reformata-1622-le-cercueil-de-cristal/; [38] Tomba a tholos nei pressi del Palazzo di Nestore, a Pilo di Messenia. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Thòlos_(tomba)#/media/File:Pilo004.jpg; [39] Elementi chimici costitutivi del corpo umano. © copyright: http://deathlab.org/ body-composition/; [40] Piano per la futura gestione delle salme per mezzo dio bio-metanizzazione e bio-conversione anaerobica. © copyright: http://deathlab.org/anaerobic-bio-coversion/.
[41] Bosch H., Il viandante (verso del Trittico del Carro del fieno), 1516 circa. © copyright: https://it.wikipedia.org/wiki/Trittico_del_Carro_di_fieno#/media/File:The_Pedlar,_closed_state_of_The_Hay_Wain_by_Hieronymus_Bosch.jpg; [42] Tombe del cimitero islamico di Hammamet, Tunisia. © copyright: https://youtu. be/Zes4Syb8IcU; [43] Sepolture tra gli alberi dello Skogskyrkogården di Stoccolma. © copyright: https:// tonio2693.wordpress.com/2014/07/09/cimitero-e-crematorio-di-woodland-stoccolma-skogskyrkogarden/; [44] Il Padiglione della meditazione di Tomba Brion a San Vito d’Altivole, Treviso. © copyright: https://divisare.com/projects/383354-carlo-scarpa-federico-covre-il-padiglione-sull-acqua#lg=1&slide=0; [45] Fronte esterno e paesaggio all’intorno del Crematorio di Aalst, in Belgio. © copyright: https://www.doppiozero.com/materiali/il-crematorio-di-aalst.
[46] 09.03.2022. Cadaveri sono gettati in una fossa comune alle porte di Mariupol, Ucraina. © copyright: https://www.instagram.com/corriere/; [47] Schizzi personali. Un cimitero d'emergenza futuro, un cimitero-in-potenza, è possibile? Dove nelle città? [48 Schizzi personali. Un cimitero d'emergenza futuro, un cimitero-in-potenza, è possibile? Che tipo di luogo sarebbe?
324
La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia
«Tu, mio buon amico, che sei pratico di queste cose, mi dirai come devo fare». L’uomo rispose: «Dopo aver bevuto, bisogna camminare finché le gambe si fanno pesanti, poi coricarsi, e il veleno agirà». Così dicendo, egli porse la coppa a Socrate, il quale [...] portò la coppa alle labbra e serenamente, senza esitare, bevve il veleno. Fino allora molti di noi avevano dominato il proprio dolore, ma quando lo vedemmo bere e ci accorgemmo, poi, che aveva bevuto il veleno fino all’ultima goccia, non potemmo resistere più a lungo. E anche a me, contro la mia volontà, sgorgarono a fiotti le lacrime, e nascondendomi il volto, piangevo. Piangevo me stesso e non certo lui, ma al pensiero della mia disgrazia, per aver aver perduto un simile amico. Critone, ancora prima di me, si era alzato, perché non poteva più trattenere le lacrime. Allora Apollodoro, che aveva lagrimato fino a quel momento, scoppiò in un grido, che ci avvilì. Socrate solo mantenne la sua calma: «Che cos’è questo grido?» egli chiese. [...] «State, dunque, tranquilli e abbiate pazienza». A queste parole noi ci vergognammo e cessammo di piangere; egli continuò a camminare finché le sue gambe cominciarono a mancargli, [...] allora si coricò supino, secondo quanto gli avevano suggerito. Colui che gli aveva portato il veleno gli guardava ora i piedi, ora le gambe; dopo qualche minuto, gli premette forte un piede, chiedendogli se sentisse dolore, e Socrate rispose: «No». Poi l’altro premette la gamba, e sempre più su, facendoci sentire che era fredda e irrigidita. Socrate si toccò e disse: «Quando il veleno arriverà al cuore, sarà finita». Egli cominciava già a sentire il gelo della morte all’inguine, quando si scoprì la faccia (che aveva coperto) e disse, e queste furono le sue ultime parole: «Critone, guarda che son debitore di un gallo a Esculapio; ti ricorderai di pagare questo mio debito?». «Il
debito sarà pagato» rispose Critone; «hai altro da dirmi?» La risposta non venne; ma due minuti dopo si notò sotto il lenzuolo un lieve tremito; il servo lo scoprì: aveva gli occhi fissi; Critone gli chiuse gli occhi e la bocca.
La morte di Socrate (in Platone, Fedone - 117B-118)
.
*** Immagine di copertina: opera di Damien Hirst, For the Love of God, 2006 (a lato dell’opera, la firma dell’autore) — © copyright: https://en.wikipedia.org/wiki/For_the_Love_of_God