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esperienze di conservazione e restauro • giuseppe alberto centauro
vista etico e deontologico, al medico di base che ha pronunciato il giuramento di Ippocrate prima di iniziare l’esercizio della professione, quale che sia la sua futura specifica qualifica. Da questo punto di vista la consapevolezza del ruolo che l’architetto è, o dovrebbe essere, in grado di svolgere per la salvaguardia del patrimonio culturale resta un requisito essenziale dello stesso progettista che pure si muove sul piano dell’invenzione e della creatività, facendo di queste doti le ragioni primarie della propria attività futura. Nella formazione dell’architetto lo sviluppo tecnologico, una volta rispettate le convenzioni, si rivolge – come abbiamo osservato in precedenza – più al progetto compositivo che al restauro in quanto tale, anche perché la scienza della conservazione è parzialmente ‘passata di mano’ ad altri soggetti tecnici e professionali. Ma se il progettista è già tale quando è ancora alle prese con gli studi iniziatici, posto di fronte al foglio bianco sul quale abbozzare l’idea, così come il pentagramma vuoto lo è per il compositore, la carta da spolvero o la tela per il pittore, o il quaderno ancor intonso per lo scrittore, deve essere concesso al neofita del restauro di potersi confrontare con l’oggetto del suo operare quale esso sia. L’importanza della formazione è dunque per tutti questi soggetti vitale nella delicata fase di apprendimento, ed anche per questo la didattica dovrà corrispondere in modo adeguato a questa imprescindibile esigenza. Il percorso formativo Il percorso della conoscenza che attiene al progetto di conservazione e restauro segna sempre una precipua complessità che presuppone la capacità di assolvere alle problematiche tecniche in un ambito di ricerca da sviluppare coerentemente nei confronti dell’oggetto o del campo dell’intervento sia che si operi nella manutenzione preventiva come nella riabilitazione funzionale. Inoltre, per soddisfare il binomio conservazione/valorizzazione s’impone per il progettista una doppia verifica di congruità e di fattibilità da presentare alla committenza. Questa narrazione mette alla dura prova la capacità dell’architetto di costruire in parallelo all’intervento una comunicazione in grado di mettere in evidenza il plusvalore derivante dalla sua azione di restauro. In questo percorso il restauratore oltre ai benefici propri dell’intervento può eventualmente esaltare anche le “verità nascoste” che sono emerse durante lo studio del manufatto, o direttamente nel cantiere, come coagulo culturale di nuove conoscenze. Tuttavia, occorre in primo luogo che questi fornisca specifiche giustificazioni (o motivazioni) circa la compatibilità e l’efficacia delle scelte adottate in relazione alla valorizzazione e fruibilità futura del bene restaurato nella sua valenza culturale. «La coscienza che le opere d’arte debbano essere tutelate in modo organico e paritetico» (Brandi C. 1963, ried. 1977, p. 7) rappresenta da tempo il fondamento dell’operare nel restauro che «costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro» (ibidem, p. 133).