Premiata Salumeria Italiana 3-2021

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 3 Maggio-Giugno 2021

€ 6,70



LA

BRESAOLA

RICC A

SAPERE

DI

S A PE R E /sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze. 6LJQLÀFD HVVHUH WUDVSDUHQWL LQ FLz FKH VL ID Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

PAGANONI.COM



N. 3

€ 6,70 Anno XXXIII Maggio-Giugno 2021

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni)

Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne EURO ANNUARIO CARNE 2021

Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Premiata Salumeria Italiana, 3/21

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

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N. 3

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 80.

In questo numero:

Immagini

L’olivo

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Tendenze

Quando il packaging design fa la differenza

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Finto maki di Bresaola della Valtellina IGP Rigamonti

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Sembrano veri – Enzo Mari per gli arredi salumieri – Viva i caratteri mobili e la salsiccia

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Salumi & Co.

Brevi storie di cibo lento Prosciutto di Parma ti voglio bene a velocità contemporanea

Premiata Salumeria Italiana, 3/21

Alessia Morabito

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Il food in rete Aziende

Social food

Elena Benedetti

20

Arra, ripartire dal territorio

Guido Guidi

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Bordoni, l’arte multiforme della bresaola Il Maiale Tranquillo , nuova filosofia con radici antiche ®

Speciale olio

30 Giovanni Ballarini

32

Olio extravergine d’oliva: utile imparare a sceglierlo

Riccardo Lagorio

40

Il filo d’oro dell’olio evo

Federica Cornia

44

L’extravergine conquista il mondo Salumi e formaggi sottolio

48 Giovanni Ballarini

50

Le salsicce sottolio

Nunzia Manicardi

54

Sottolio Gran Tour

Federica Cornia

58

Progettare il cibo

A 15 minuti da te, a 15 minuti dalla tua salumeria

Francesca Monti

63

Prodotti tipici

La salsiccia siciliana dal gusto barocco

Chiara Papotti

66

La lughénia da pàssola di Livigno

Roberto Villa

68

Carne salada, carne fumada, salumi storici del Trentino

Giovanni Ballarini

72

A punta di coltello

Nunzia Manicardi

74

A pagina 66.

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 3 Maggio-Giugno 2021

€ 6,70

In copertina: la splendida coppa di testa della Macelleria Marini di Agliana, Pistoia (photo © Massimiliano Rella).

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Curiosità

La melata di nocciolo

Riccardo Lagorio

76

Mercati

Bresaola della Valtellina IGP, segnali di ripresa

Belle Botteghe

I cinghiali di Manuele

Massimiliano Rella

Sicurezza alimentare

Mangiare crudo senza rischi

Josette Baverez Blanco 86

Il gusto di camminare

Sul sentiero dei poeti

Elena Simonini

88

Pasta

Il fusillo di Felitto

Chiara Papotti

92

Vino

Il vino di Vo’ e dei Colli Euganei

Gian Omar Bison

94

I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: bombette pugliesi

Laura Franchini

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Bevande

Uno Zero che fa tendenza

78 84

102

A pagina 26.

A pagina 92.

A pagina 54.

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 8

Premiata Salumeria Italiana, 3/21


Il calore di casa in ogni momento

Qualità

Famiglia

Tradizione

ANTICO MAGNO COSCIA ARROSTO

DA SUINI NATI E ALLEVATI IN ITALIA

COTTURA LENTA A BASSE TEMPERATURE

www.anticafoma.com

SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE

SENZA GLUTINE


A pagina 102.

A pagina 124.

A pagina 20.

Aceto

Ecco l’Aceto Balsamico DOP

Riccardo Lagorio

L’Aceto Balsamico del Duca compie 130 anni

104 108

Sono 180 grammi, lascio?

Bacon, non pancetta

Giovanni Papalato

110

Fiere

Con MEAT-TECH e HostMilano, Tuttofood 2021 ancora più hub internazionale per i salumi

114

Tecnologie

La tradizione del Macello Bosia incontra la tecnologia di CSB-System

118

Storia e cultura

L’oste del cinema italiano

Riccardo Lagorio

122

Salse di pesce, dal garum alla colatura di alici

Giovanni Ballarini

124

www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 10

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IMMAGINI

L’olivo è una delle piante più coltivate al mondo, con circa 810 milioni di esemplari, l’88% dei quali si trova nell’area del Mediterraneo. Esso si adatta a condizioni di scarsa disponibilità idrica e nutrizionale, riuscendo a vegetare e a produrre anche su terreni dove ogni altra coltura arborea risulterebbe impossibile. La pianta ha poi un valore ecologico, di conservazione dei terreni fortemente declivi e un valore paesaggistico non trascurabile, grazie alle caratteristiche dei tronchi e del fogliame. Da pagina 40 trovate il nostro “Speciale Olio”, con contenuti e materiale che rendono onore a questa pianta straordinaria (photo © Fotoschlick – stock.adobe.com).

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TENDENZE Quando il packaging design fa la differenza

Il packaging design è il modo con cui vengono confezionati e venduti i prodotti e attraverso il quale si trasmette la brand identity dell’azienda. Un packaging ben progettato aumenta l’attrattività e le vendite. Questo perché siamo sempre più “visuali”. Lo sa bene l’azienda pugliese Latorrata, che per Vento del Sud, il nuovo olio d’oliva ispirato alla vera essenza della Puglia, ha creato come contenitore un vero oggetto di design. «Volevo creare un oggetto che fosse bello da vedere, per allietare l’atmosfera casalinga, riservando allo stesso tempo uno sguardo alla sostenibilità e all’ambiente» ha dichiarato LUDOVICA LATORRATA, founder del brand. La bottiglia di Vento del Sud è infatti concepita come connubio tra cibo e arte: un packaging accattivante che contribuisce a conservare l’olio in modo ottimale aiutando a mantenerne inalterate le qualità organolettiche, ma che può essere trasformato anche in oggetto di design. Una piccola opera d’arte che rappresenta una finestra sulla Puglia più vera: il vetro azzurro come il cielo estivo, il candore del bianco, le tinte pastello di nuvole, dune, spiaggia e mare che si colorano al tramonto. Bravissimi! (photo © latorrata.com).

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Finto maki di Bresaola della Valtellina IGP Rigamonti

Una preparazione leggera e originale: un finto maki realizzato con pane per tramezzini, verdure sottaceto croccanti, olive nere rigorosamente denocciolate, formaggio spalmabile e Bresaola della Valtellina IGP dell’azienda Rigamonti, leader di settore nella produzione di questo salume, il quarto tra i salumi DOP e IGP in Italia per valore alla produzione che per il GRUPPO RIGAMONTI vale il 50% del fatturato. Per preparare i maki vi basterà inumidire leggermente il pane per tramezzini con degli spruzzi di acqua, appiattire le fette col matterello e spalmare un sottile strato di formaggio su un lato del pane. Aggiungerete poi le fette di bresaola su tutta la superficie e al centro, allineate, le verdure sottaceto. Con la pellicola occorrerà a questo punto creare un rotolo arricciando il lato lungo, poi chiudere i lati a caramella prima di trasferire in frigorifero per due ore. Con un coltello affilato bisognerà poi tagliare dei cilindri alti 4 cm, spalmare l’esterno con il formaggio e poi passarli nel sesamo nero. I finti maki freddi sono pronti per essere serviti subito. La Bresaola della Valtellina IGP Rigamonti è prodotta ormai esclusivamente con la punta d’anca taglio di prima scelta. Si presenta con un bel colore rosato a cui fa da contrappunto la presenza di rare striature di grasso. All’olfatto i profumi ricordano il fieno e la carne cruda, mentre all’assaggio è subito evidente la tenerezza delle fette. A caratterizzarla inoltre è la leggerezza: un sapore elegante e non troppo persistente, ben bilanciato nella sapidità e con note lievemente fruttate (photo © Rigamonti).

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Siamo gli specialisti del San Daniele DOP Il segreto è tutto łāķķÖ łŋŭŶũÖ ƩķĢāũÖ

Allevamenti menti rietà di proprietà Le carni dei nostri ostri prosciutti di San Daniele DOP a suini nati e cresciuti nei sei provengono da ella famiglia Aimaretti allevamenti della osamente selezionati. o da siti rigorosamente

Solo le cosce migliori I nostri mastri salu salumieri mettono al primo posto la genuinit genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto s sano e naturale.

Benessere ere animale e dÖ ŭÖķŽŶā ƩŭĢóÖ ā ťŭĢóŋķŋėĢóÖ Ö ā ťŭĢóŋķŋėĢóÖ ono una priorità. dell’animale sono I nostri allevatori tori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano o spaziosi cono al e areati e riducono minimo lo stress ess del suino.

Prosciutto di San Daniele DOP Etichetta Nera SanDan. Inimitabile. www.sandanprosciutti.com

Con pa pazienza, secondo tra tradizione La salatura, rigorosamente a mano, e la l stagionatura mini minima di 18 mesi, danno vi vita ad un crudo d dal gusto unico, natura naturalmente buono.


SALUMI & CO.

Sembrano

veri

AUFSCHNITT BERLIN (aufschnitt.net) è uno studio di design di oggetti tessili unico nel suo genere che progetta collezioni premium di tagli di carne e salumi. Per arredare casa, ufficio e bottega con fantasia e creatività (photo © instagram.com/ aufschnittberlin).

Enzo Mari per GLI ARREDI SALUMIERI Ecco uno stupendo poster d’arte firmato da ENZO MARI e denominato “Diciotto, il Porcello”. “Esponente di punta dell’arte programmata e cinetica, teorico della Funzione della ricerca estetica, creatore dell’autoprogettazione in kit di montaggio, vincitore di quattro Compasso d’Oro di cui uno alla carriera, presente coi suoi progetti al MoMA di New York, Mari è un personaggio complesso e straordinario, figura nobile e poliedrica come non se ne vedevano, forse, dai tempi del Rinascimento”. Il poster da mettere in bella vista in macelleria o in ufficio lo trovate (forse) su yoox.com (photo © yoox.com).

Viva i caratteri mobili

E LA SALSICCIA

Metti insieme la famiglia di macellai norcini Falaschi con Martina Vincenti, giovane tipografa e titolare della TIPOGRAFIA TOSCANA, entrambi a San Miniato (PI) ed ecco che nascono idee straordinarie. “Coltivare e diffondere la cultura della tipografia artigianale nel 2021 significa sperimentare nuove forme di comunicazione, dove le parole vivono in equilibrio perfetto tra passato, presente e futuro” scrive Martina su latipografatoscana.it. Opere uniche e straordinarie con una tecnica di stampa antichissima. Disponibili anche on-line!

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ph: Franceschini Vincenzo

Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.

FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it


BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

Prosciutto di PARMA ti voglio BENE di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

C

e l’hai il coraggio di dire “ti voglio bene”? E che genere di persona sei? Una di quelle senza troppe sovrastrutture, che non si vergogna ad esternare i sentimenti e che spera che un “ti voglio bene” ben assestato sia un momento di conforto intimo come un bacio e fortificante come una busta di magnesio in estate? Oppure una di quelle che “ti voglio bene” è un esercizio di autocompiacimento, una esternazione narcisistica, un gesto egoista, una concessione di status? Il bene a volte è lavoro, a volte invece è riconoscimento, entrambi hanno la stessa dignità, per entrambi non bisogna non sentirsi grati, non fortunati. Sono cinica, nei bilanci della mia età c’è la verifica dei “ti voglio bene” ricevuti, compresi quelli ascoltati nei silenzi fisici del non detto e l’analisi di come mi sento nei loro confronti. È quest’analisi continua che sostiene amicizie trentennali, frequentazioni assidue o saltuarie, colpi di fulmine, simpatie ed alcune collaborazioni. Sono cinica, ho verificato controvoglia che esistono circostanze dove “ti voglio bene” non fortifica un bel nulla, dove le persone combattono una lotta silenziosa contro una parte di loro e quel “ti voglio bene” cade, senza colpa di nessuno, in un tonfo sordo. Proteggere ed avere cura sono lontani da possessività ed esclusivismo. Non mi convincerete mai che il bene si misura con la paura che hai di perderlo, per non fare introspezione darò la colpa al mio esser nata nel segno dell’Acquario. Crescere con un’affettività sana è la grande guerra interiore dei secoli nei secoli, genetica, imprinting, storia personale si intrecciano in maniera ingarbugliatissima e definiscono sentimenti ed azioni, ma, ad un certo punto della propria storia, bisogna scegliere che tipo di persone essere e lavorare sodo per asciugare, dare forma, stagionare, autodeterminarsi avendo chiari i propri valori fondanti, si chiama maturità. Alcuni invece invecchiano proprio rancidi, con quel continuo senso di abbandono dal quale, in fondo, non vogliono emanciparsi. Per tutto questo il Prosciutto di Parma è la parabola dell’affettività umana ideale. Si dice “buono come il prosciutto” come metafora di semplicità, schiettezza, genuinità come se non fossero caratteristiche sulle quali lavorare. Dolce, intenso, sapido con grazia, bellissimo e profumato, il Prosciutto di Parma è plurisecolare, senza conservanti, la semplicità di due ingredienti, la carne di maiale e il sale, e una raffinatissima gestione del tempo che nessuna amicizia sarà in grado di replicare. Dovremmo affrontare la vita pensando di stagionare, non di invecchiare. Prosciutto di Parma, ti voglio bene.

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena 1. Consorzio Cacciatore Italiano, nuovo sito È live il nuovo sito del Consorzio Cacciatore Italiano, disponibile al link salamecacciatore.it, che dal 2003 è impegnato nella tutela e promozione dei Salamini Italiani alla Cacciatora DOP con un design completamente rinnovato: fresco e moderno, che rappresenta lo spirito senza compromessi del prodotto. Il sito ha un’anima educational, con news, ricette e info dei progetti editoriali. Bello anche il profilo instagram.com/ consorziocacciatoreitaliano (photo © instagram.com/consorziocacciatoreitaliano).

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2. Birre e lattine I fotografi californiani JULIA STOTZ e BRIAN GUIDO, dalla loro base a Los Angeles, gestiscono e aggiornano l’account instagram. com/dads.cans nel quale caricano immagini di lattine di birra. Può sembrare apparentemente banale ma nella realtà si tratta di un progetto artistico che evidenzia l’elemento strategico del design nel packaging (photo © instagram.com/dads.cans).

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FOOD Benedetti 4. Il booking per il picnic 3. Battilani Sapori Ecco un bell’esempio di omnicanalità con Battilani Sapori, quattro punti vendita, uno shop on-line su www.battilanisapori.com e la presenza sui social. Quest’azienda umbra, sul confine con la Toscana, produce salumi e insaccati da oltre 50 anni, tra cui i cojoni di mulo, capocolli, porchetta, guanciali e le salsicce secche qui in foto (photo © www.instagram.com/ battilanisapori_/?hl=it).

È il primo booking per picnic, nato da un’intuizione di ANTONIETTA ACAMPORA, cresciuta a “pane e picnic”, inteso come stile di vita all’aperto: è Picnic Chic, picnicchic.it, portale che permette di vivere una food experience picnic style e di approfondire la conoscenza dei prodotti locali, delle tradizioni e della cultura di un territorio attraverso un cestino intrecciato. Ma non solo. Picnic Chic è una filosofia e offre un’idea, una nuova occasione di convivialità a contatto con la natura, per regalarsi un piccolo momento di felicità (photo © instagram. com/picnic_chic).

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Cibovagare, il nuovo progetto di Davide Paolini Rispetto per l’ambiente, tutela della biodiversità, lotta allo spreco, supporto a pratiche agricole e zootecniche ragionevoli. Accantonato il Gastronauta, DAVIDE PAOLINI ha lanciato un nuovo portale, Cibovagare.it, che propone news su cibo, vino e sui protagonisti del settore, con un’attenzione alla sostenibilità alimentare e agricola. «Metto in soffitta il mio abito da gastronauta e torno a essere Davide Paolini. Il motivo del cambiamento, che non tocca solo il web e i social, ma tout court il mondo del Gastronauta, è conseguenza delle mie riflessioni durante il lungo periodo di lockdown e di pandemia. Mi sono reso conto che l’attività incentrata soprattutto sulla ricerca e sulla valorizzazione dei giacimenti gastronomici, iniziata negli anni Ottanta (culminata con la realizzazione della poderosa Garzantina dei prodotti tipici), è arrivata a un punto di non ritorno. Ormai tanto è stato scoperto, in tanti se ne occupano, a proposito e a sproposito. È arrivato il momento di guardare oltre. La riflessione ha spostato il mio interesse a ciò che ci circonda: l’ambiente dove prende vita il cibo. Così l’impegno futuro di Cibovagare sarà anche di occuparsi di materie prime e prodotti sostenibili che non provocano inquinamento» (in foto, il Prosciutto Saint Marcel dalla Valle d’Aosta; photo © instagram.com/cibovagare_official).

È on-line il nuovo shop de La Granda La Cruda con una spolverata di sale, il Ragù di carne macinata di razza Piemontese, cotto per ore come da tradizione, il Patè di Fassona al passito da accompagnare con un crostino di pane, l’Hamburger, meglio conosciuto come Giotto, il Brodo in Carne e Ossa, da servire in una tazza con una spruzzata di pepe e Parmigiano, oppure utilizzato come base per innumerevoli ricette, dal risotto al brasato. Sono solo alcune delle oltre cinquanta referenze — tra carni, salumi e pronti La Granda — che oggi entrano direttamente nelle case degli italiani, grazie al nuovo e-commerce lagrandashop.it. Tutti gli articoli sono confezionati sottovuoto, per garantirne una perfetta conservazione, prolungarne nel tempo la durata ed essere eventualmente già pronti per essere refrigerati e utilizzati in seguito. I consumatori si stanno dimostrando sempre più attenti al consumo di un cibo di qualità, proveniente da uno standard produttivo elevato, che può derivare solo da una buona agricoltura, perché se la terra è “buona” ne beneficia tutta la filiera. Il modello che si applica è quello dell’agricoltura simbiotica, che rispecchia la biodiversità del suolo, difende e potenzia le radici attraverso le micorrize, arricchendo la pianta di quei microrganismi essenziali alla sua crescita e sviluppo (nella foto patè di Fassona; photo © La Granda)».

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La delivery box che unisce sapori e profumi della Val di Chiana col miglior panino d’Europa e il London Dry Gin di Sabatini Si chiama Porcobrado Gin Box ed è la prima delivery box 100% toscana. In arrivo in tutta Italia, nasce dalla collaborazione tra le due realtà cortonesi Sabatini Gin e Porcobrado, che uniscono il primo London Dry Gin toscano — tra i più affermati a livello internazionale — e il miglior panino d’Europa, farcito con sole carni di Cinta senese e Grigio chianino, specie antiche recuperate dall’azienda agricola di Angelo Polezzi e allevate allo stato brado. Nella special box disponibile su porcobrado.com c’è tutto l’occorrente per preparare due panini, farciti di fettine, pezzetti e sfilaccetti di carne cotta, marinata e affumicata con legno di melo e ciliegio, e due Gin Tonic, con i mignon di Sabatini Gin e le toniche toscane de Le Spume del Papini. Come per Sabatini Gin anche per Porcobrado il legame con “la terra di nascita” la fa da padrone: carne di alta qualità che proviene dai pascoli della fattoria cortonese e un procedimento di lavorazione che dura più di 100 ore, con le carni che vengono prima affumicate con legna da frutto, poi salate, marinate e cotte lentamente per 18 ore prima di essere affumicate nel barbecue al legno di quercia; pane che viene ottenuto con la farina di grano di Verna, antico grano aretino particolarmente digeribile; salse che sono preparate seguendo ricette a base di prodotti locali. La filiera è a km 0, tutto viene prodotto dall’azienda, dall’allevamento al pane alle salse di accompagnamento (photo © instagram.com/porcobrado_official).

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AZIENDE

ARRA, RIPARTIRE DAL TERRITORIO Un omaggio alla Sardegna, ma soprattutto all’Italia: sono i Malloreddus tricolore del pastificio I Sapori d’Ogliastra di Lanusei. Il formato più noto di pasta isolana viene proposto anche in verde, rosso e bianco, a richiamare i colori di una nazione che, pur nelle enormi difficoltà del momento storico odierno, deve trovare la forza per reagire e rialzarsi di Guido Guidi 26

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A sinistra: i Malloreddus tricolore, nuovo prodotto dell’azienda I Sapori D’Ogliastra, realizzati con spinaci, carote, pomodoro e zafferano. A destra: Vito Arra, titolare del pastificio, accanto ad una delle specialità più tipiche regionali e aziendali, i Culurgionis ogliastrini. Unici nel loro genere, con l’elegante spiga stilizzata a chiudere il fagottino ripieno, si gustano con semplice sugo di pomodoro e pecorino oppure fritti.

uella di VITO ARRA è una delle rare versioni di Malloreddus freschi confezionati facilmente reperibili nelle principali insegne della Grande Distribuzione Organizzata, tanto in Sardegna, quanto oltre Tirreno. Il catalogo aziendale, caratterizzato principalmente da produzioni tipiche locali, si arricchisce di un nuovo prodotto, realizzato con spinaci, carote, pomodoro e un pizzico di zafferano. Una nuova versione dei classici Gnocchetti sardi, che sta incontrando il favore del mercato. Una specialità che si associa ai Ravioli classici alla ricotta e spinaci o alle patate, agli Gnocchi di patate, alle Coccoi Prena, alle Pardule, ma soprattutto alle Sebadas e ai Culurgionis d’Ogliastra IGP. Questi ultimi, fagottini ripieni di formaggi e patate, sono un prodotto particolarmente pregiato che deve la propria notorietà ad un gusto unico sigillato in una sfoglia chiusa a mano, con un’inconfondibile cucitura a spighetta.

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I Culurgionis ogliastrini, unici nel loro genere, vantano una lavorazione che richiede particolari abilità e destrezza. Si tratta di un primo piatto raffinatissimo, dal gusto singolare, talvolta aromatizzato alla menta, nato per celebrare le festività più importanti, ma oggi anche particolarmente rispondente alle esigenze della vita quotidiana. Necessitano infatti, di pochissimi minuti di cottura dal momento in cui l’acqua raggiunge l’ebollizione e sono eccellenti con un sugo leggero o semplicemente con burro e salvia. Oggi vengono però proposti in una nuova veste: fritti e serviti come antipasto o piatto unico, semplicemente con un pizzico di sale o con delle salse, a piacimento. A conferma, semmai ce ne fosse bisogno, del fatto che la pasta, soprattutto quella fresca, si presta a molti utilizzi in cucina e permette di portare in tavola un menu completo. Di questo sono altresì testimonianza le Sebadas, ravioloni tondi, ripieni di formaggio e aromi che si servono,

sempre previa frittura, come un dessert. Quest’altra specialità, al pari dei Culurgionis d’Ogliastra IGP, si realizza unicamente in Sardegna e la tradizione vuole si gusti coperta da una montagna di miele locale o di zucchero bianco. Ma le Sebadas si prestano, in una versione più attuale, ad essere consumate con marmellate o creme, a seconda delle preferenze. Un piatto talmente caratteristico e legato a questa regione che un gruppo di produttori sardi ha ritenuto, di recente, di doverlo tutelare facendo istanza al Ministero delle Politiche Agricole dell’Indicazione Geografica Protetta. Non c’è niente di semplice nel produrre in una zona della Sardegna che, per il suo atavico isolamento, è considerata un’isola nell’isola. Lontana dalle principali arterie stradali, da porti e aeroporti e dai maggiori punti di snodo, l’Ogliastra sconta difficoltà e distanze che si ripercuotono sul piano commerciale di ogni azienda che qui opera.

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Sebadas, il tipico dolce ogliastrino si serve solitamente ricoperto da miele locale o zucchero bianco. Ma quella che per anni è stata insignita del titolo di più bella provincia d’Italia, da parte delle più autorevoli riviste nazionali, trova proprio in questa sua distanza dal resto del mondo gli elementi vincenti che la rendono unica. Sarà il paesaggio mozzafiato, uno scenario senza pari, dove terra e mare si incontrano in un connubio incomparabile o forse la qualità della vita e i ritmi lenti di un tempo, ma l’Ogliastra è considerata una perla unica nel Mediterraneo. Il segreto della longevità dei numerosissimi ultracentenari che abitano questa zona, in una percentuale significativamente maggiore rispetto alla media del

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Paese e della stessa Sardegna, non è noto. In tanti però sono pronti a scommettere che le ragioni dimorino tanto nell’ambiente, quanto nel cibo. Quel cibo tipico, su cui anni fa Vito Arra ha voluto puntare, nella consapevolezza che per essere vincenti in un mercato globalizzato e ricco di ogni cosa l’unica carta da giocare, per chi non ha numeri e sconta problemi logistici e strutturali enormi, fosse proporre un prodotto fortemente identitario e strettamente legato al territorio. Non bisognava dunque inventarsi niente, ma continuare a fare bene, ciò che si sapeva già fare per averlo appreso dalle proprie nonne.

Su questi presupposti Arra ha avviato nel 2004 un’azienda che coniuga perfettamente tradizione e innovazione e che, a dispetto dell’isolamento in cui si trova, opera prevalentemente con il mercato extraregionale. Un’impresa indissolubilmente legata alla Sardegna, che si muove nel mercato con lo sguardo al resto del mondo e con un occhio al futuro, nel realizzare specialità tradizionali così come ci sono state consegnate dalla storia, proponendole nella versione classica, ma anche in alcune varianti che non solo non le snaturano, ma le valorizzano ulteriormente. Guido Guidi

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Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni O.W.

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Bordoni,

l’arte multiforme della bresaola Da piccola macelleria di famiglia a grande realtà aziendale: ripercorriamo insieme la storia della famiglia Bordoni, che ha fatto della produzione di bresaola una vera e propria forma d’arte, in continua trasformazione 30

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Nel 1964 Pietro Bordoni dà avvio alla sua personale produzione di bresaola nella macelleria di famiglia. Il successo è immediato. La stessa passione e professionalità la ritroviamo oggi, con la seconda e terza generazione a portare avanti i valori che hanno caratterizzato il passato e rappresentano il futuro dell’azienda.

a storia del marchio Bordoni inizia nel 1964 quando PIETRO BORDONI, nonno Piero, avvia la sua personale produzione di bresaola nella macelleria di famiglia, creando il marchio che porta il suo nome. Il forte legame col territorio, l’alta qualità delle materie prime e la passione per il mestiere, rendono in brevissimo tempo la bresaola Bordoni una delle eccellenze della Valtellina. Col tempo la famiglia si allarga: a nonno Piero subentrano prima i tre figli, DARIO, PAOLO e GIANPIERO e, successivamente, BARBARA e GIORG IA (figlie di Dario) e i cugini PIERO e STEFANO. Nel 1997 il piccolo salumificio diventa un vero e proprio stabilimento produttivo, con dipendenti e una rete di vendita ben avviata, che porta in luoghi sempre più lontani il gusto unico e inimitabile di Bordoni. Una bresaola IGP ottenuta esclusivamente dai tagli più nobili, lavorati attentamente da mani esperte che miscelano le spezie secondo l’antica ricetta di famiglia. Le radici dell’azienda, dunque, sono nel territorio valtellinese, ma lo sguardo è rivolto al mondo: fin dall’inizio della sua storia, infatti, Bordoni ha saputo rivolgersi a target e mercati sempre nuovi, trovando soluzioni sorprendenti. E mentre La Storica e La Granfetta, fiori

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all’occhiello del salumificio, diventano prodotti di riferimento per clienti nazionali e internazionali, la bresaola Bordoni si prepara a raggiungere il consumatore finale: nel corso del 2020 viene infatti lanciata sul mercato una prima referenza in vaschetta, Love Bresaola. L’arte della bresaola arriva sullo scaffale con un piccolo capolavoro di arte contemporanea: un packaging firmato dallo street artist MASSIMO SIRELLI, caratterizzato da divertenti icone pop che premia la riconoscibilità del brand. Ma Love Bresaola non costituisce l’unica espressione artistica della famiglia Bordoni: l’arte della bresaola diventa anche poesia, attraverso l’operato dello chef CRISTIAN BROGLIA che per Bordoni crea un’esclusiva collezione di ricette. Attraverso una pluralità di approcci, Broglia valorizza ed esalta il sapore unico di Bresaola Bordoni, consegnando al consumatore una serie di piatti ricchi di gusto e colore, accompagnati da un originale ricettario in rima. Le nuove generazioni della famiglia Bordoni hanno dunque saputo raccogliere l’eredità di nonno Piero, portando avanti, con sperimentazione e creatività, i valori che hanno caratterizzato il passato e che rappresentano il futuro dell’azienda Bordoni, ovvero tradizio-

ne, qualità e arte del gusto. Intanto il Salumificio Bordoni non arresta la sua corsa e celebra importanti traguardi: già membro del Consorzio di tutela della Bresaola della Valtellina, oggi può vantare importanti certificazioni internazionali (IFS International Food Standard, BRC Global Standard for Food Safety, Certification of Halal Products, UNI ISO 14001:2015 e UNI ISO 45001:2018) che attestano la qualità e genuinità della bresaola Bordoni e l’impegno per la sostenibilità e per la sicurezza sul lavoro dell’azienda. Dal 1964, una qualità a regola d’arte da cui ci aspettiamo ancora molte altre gustose sorprese.

Salumificio Bordoni Srl Via Padellino 44 23030 Mazzo di Valtellina (SO) E-mail: info@bresaolabordoni.it Web: www.bresaolabordoni.it

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IL MAIALE ® TRANQUILLO , NUOVA FILOSOFIA CON RADICI ANTICHE di Giovanni Ballarini

Giuseppe e Stefano Bettella, padre e figlio. Insieme hanno sviluppato la produzione di salumi della famiglia.

olto, anzi, moltissimo è stato detto del maiale, anche da GIULIO CESARE CROCE (1550-1609), nato vicino a Bologna, a San Giovanni in Persiceto, da una famiglia di fabbri. Fabbro a sua volta, Croce lascia gradualmente l’arte familiare per fare il cantastorie, acquisendo fama raccontando le sue storie per corti, fiere, mercati e case patrizie, accompagnandosi anche con un violino

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e lasciandoci una vasta produzione letteraria che comprende un trattatello1 sull’eccellenza del porco. In questo elogio, l’autore immagina che “avendo madre natura prodotto un gran numero di animali e vedendo che tutti avevano qualche mancamento e qualche difetto, chi era amaro, chi insipido, chi aspro, chi dolce e, in conclusione non ve n’era alcuno che fosse compitamente perfetto… per provvedere a questo disordine

creò il maiale”. Un animale che ha tante ottime e utili denominazioni, ma non ancora quella di essere tranquillo. Tranquillo, calmo, sereno, dal latino trans e quies, al di là e oltre la quiete, è una splendida parola che dipinge la tranquillità come una serenità superlativa, condizione che è bello poter riservare a casi eletti come una polla d’acqua cristallina e indisturbata che si allarga nel primo corso del torrente,

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l’umile capanna dell’asceta, il sonno meritato dopo una buona giornata e, perché no?, un piacevole rapporto con animali che tranquillamente ci danno cibi di eletta qualità. Tranquillo come un allevamento di maiali e i salumi che se ne ricavano nella cascina Casamento di Gabbioneta, in provincia di Cremona. Il Maiale Tranquillo® della famiglia Bettella Con 130 anni di storia alle spalle, e diversi passaggi da Rovato a Pessina e poi a Gabbioneta, l’azienda agricola Bettella alleva maiali e ne trasforma le carni in pregiati salumi, occupandosi del processo di alimentazione degli animali, macellazione e trasformazione, con la collaborazione di validi artigiani salumieri. Il tutto avviene con la speciale filosofia allevatoriale del Maiale Tranquillo® — marchio registrato —, un modo di vita degli animali oggi messo in pratica da Giuseppe, Stefano e Mario Bettella e riassunto nell’idea che un grande salume nasce da un grande maiale che vive bene, in un ambiente confortevole, con una buona e sana alimentazione e con buone relazioni sociali con i suoi congeneri, ma anche con l’uomo. Il Maiale Tranquillo® è un grande maiale dal colorito rosa pallido, selezionato dalla famiglia Bettella a partire da razze tradizionali. Un animale che cresce lentamente e viene lasciato vivere principalmente all’aperto, nutrito con un’alimentazione a base di cereali in gran parte coltivati nei terreni agricoli del Nord Italia che circondano l’azienda. Portato, come un tempo, fino all’età di circa due anni e con un peso di 300 kg, dà carne soda e ben aromatizzata, con un generoso strato di grasso. In azienda si stabilisce un rapporto quasi personale tra gli animali e l’uomo che li accudisce, evitando ogni stress; attenzione che si ha anche per la macellazione, che avviene con cura al fine di assicurare alle carni le migliori condizioni di maturazione e stagionatura necessarie per avere salumi eccellenti, una trentina di tipi, compresi prosciutti, coppe, culatte, mortadelle, salami di formati e qualità diverse. Le carni del Maiale Tranquillo® sono inviate ad alcuni dei migliori artigiani d’Italia nelle zone in cui sono nati i migliori salumi, per poi tornare nel

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In alto: grande nella taglia come nel sapore e nel valore è il Prosciutto Crudo Bettella XXL, realizzato con le zampe posteriori dei Maiali Tranquilli® di almeno 22-24 mesi e di oltre 300 kg di peso. In basso: la Coppa XXL Bettella.

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Lo staff dell’Azienda Agricola Bettella. luogo d’origine dei maiali in provincia di Cremona: nell’Alta Val Parma per il prosciutto crudo, nella Bassa Parmense per il culatello, a Piacenza per la coppa e la pancetta, a Bologna per la mortadella… Qui, utilizzando le ricette sviluppate dai Bettella, e sfruttando l’abilità e l’esperienza di maestri salumieri tradizionali, la carne di maiale è salata e stagionata prima di tornare al luogo di nascita ed essere venduta, in un’unione straordinaria che vede cooperare il contadino, l’allevatore e l’artigiano per ottenere salumi insuperabili. Passato e presente Fondata da Angelo Bettella nel 1885, nel Duemila è gestita dai nipoti di Angelo, Giuseppe e Mario, e alleva un gran numero di maiali secondo i metodi industriali e intensivi sviluppati alla fine del XX secolo. Inseguendo il sogno di tornare ai metodi tradizionali, usando un numero minore di animali di razze all’antica e non sprecando nessuna parte dell’animale, nel 2010 Giuseppe, coi figli Stefano e Mario, e Ada, moglie di Mario, dà avvio a qualcosa di completamente nuovo ma dal sapore antico, il Maiale Tranquillo®.

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Un cambiamento enorme e con tanti rischi, ammette Stefano Bettella, anche perché si tratta di allevare animali grandi dimensioni e per i quali non vi sono i macchinari industriali, progettati invece per maiali di minori dimensioni. Nell’azienda agricola si alleva un minor numero di maiali; avere meno animali ha un significativo impatto sull’ambiente, la qualità del suolo migliora enormemente e l’intero ecosistema ne trae beneficio, unitamente alla qualità del paesaggio e della natura circostante. Soprattutto importanti sono i comportamenti dei maiali che possono vivere in modo naturale, grufolare nella terra in cerca di larve, socializzare tra loro. I maiali non hanno paura dell’uomo, non scappano quando sono avvicinati e vogliono anche giocare. Per tutto questo si usa il termine “tranquillo”, quiet pig in lingua inglese. L’allevamento del Maiale Tranquillo® è un esempio di agricoltura umana sostenibile, non un esercizio intellettuale di quello che sembra essere il futuro di un’agrozootecnia rispettosa della terra e degli animali, che inizia dall’attenzione ai dettagli in ogni fase produttiva, dai

ritmi di vita dei maiali, con la necessaria pazienza per i lunghi tempi di stagionatura, avendo per obiettivo principale non il profitto ma la qualità e un futuro ecosostenibile duraturo, nel quale il terroir è essenziale nella sua combinazione di suolo, topografia, clima e attività umane. Carni, salumi e terroir Sistema di allevamento e alimentazione, linea genetica e morfologia somatica, età e peso di macellazione determinano la qualità e i caratteri delle carni. La carne più grassa ha i suoi vantaggi, ha meno umidità e nella sua lavorazione bisogna usare meno sale, ma ha anche caratteristiche molto diverse dagli animali magri allevati in modo intensivo. Per questo diviene importante la competenza degli artigiani coinvolti nella lavorazione e stagionatura dei salumi, che acquisiscono il sapore del terroir, una parte del loro carattere. Ecco perché, quando gli animali raggiungono la fine della loro lunga e pacifica esistenza, le carni del Maiale Tranquillo® prendono strade diverse. Ogni categoria di salume riceve infatti trattamenti differenti da parte di norcini

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con competenze acquisite da tradizioni secolari di un luogo o una zona ben precisa. Il prosciutto crudo ottenuto dalla coscia posteriore del maiale e stagionato per almeno 16 mesi per ingredienti ha solo carne di maiale, sale marino e l’aria fresca, secca e aromatica della regione che gli conferisce la sua caratteristica dolcezza. Un artigiano di Parma che sala il prosciutto e lo stagiona per circa 20 mesi restituisce un prosciutto che può essere ancora stagionato per dieci anni e un Prosciutto XXL Riserva, stagionato per più di 36 mesi, è un’opera d’arte gastronomica, con un perfetto equilibrio, ricco e complesso tra il dolce e l’intensamente saporito e, per quanto riguarda il grasso, una inimitabile delizia di seta e alabastro. Futuro La storia del Maiale Tranquillo® non è solo quella di un animale e di una famiglia ma anche quella di un cambiamento, di un progresso, la speranza di un futuro con solide basi in una antica e collaudata tradizione. È per questa ragione che i Bettella per il 2021 hanno ricevuto il riconoscimento Respected by Gaggenau, attraverso il quale, dal 2019, Gaggenau promuove artigiani, agricoltori e produttori in Europa per i quali la qualità è al primo posto nei campi della cucina e della gastronomia, della viticoltura e del design. I Bettella sono stati premiati perché “La qualità e il benessere vengono prima del profitto e i maiali, conosciuti con la definizione di Maiale Tranquillo, conducono una vita naturale, felice e senza stress”. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Azienda Agricola Bettella Loc. Polo Nord, Cascina Casamento 26030 Gabbioneta-Binanuova (CR) Telefono: 0372 844464 E-mail: info@salumibettella.it Web: salumibettella.it Note 1. CROCE G.C., L’eccellenza, et Trionfo del porco. Discorso piacevole, di Giulio Cesare Croce, diviso in cinque Capi, Con un capitolo alle Muse, invitandole al detto trionfo, in Ferrara: per Vittorio Baldini, 1594 (copia anastatica Pendragon, Bologna, 2012). • Photo © Davide Dutto.

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CLAI campione italiano di sostenibilità nella categoria “Carni & Salumi” A segnalarlo è la ricerca pubblicata sull’ultimo numero di Affari & Finanza, l’inserto economico de La Repubblica, che indica quali sono le “Green Stars 2021” del nostro Paese nei diversi settori dell’economia. Lo studio condotto dall’Istituto tedesco Qualità e Finanza, in collaborazione con l’Istituto per Management e Ricerca economica di Amburgo, ha utilizzato il metodo del social listening. Per capire il livello di reputazione sono state infatti raccolte oltre un milione di citazioni sul web di 2.000 imprese monitorate e soltanto 200 sono state alla fine “premiate” dalle valutazioni on-line. Si tratta della più grande ricerca di questo tipo mai realizzata in Italia sulla sostenibilità. Le imprese considerate operano i settori centrali come: alimentari e bevande, automotive, meccanica ed elettronica, beni di consumo, commercio, finanza, materiali e materie prime, servizi e trasporti. In un campo strategico a livello nazionale come quello di Alimentari & Bevande, nella categoria delle Carni e dei Salumi, spicca il nome di CLAI: l’importante realtà agroalimentare di Imola si piazza alla prima posizione di questa classifica, con un punteggio di sostenibilità pari a 100, il massimo raggiungibile. Seguono la Levoni, al secondo posto con un punteggio pari a 73,4, e Rovagnati, con 66,3. «Siamo soddisfatti di questo riconoscimento» sottolinea Giovanni Bettini, presidente CLAI. «Si tratta di una conferma che il nostro grande impegno nel campo della sostenibilità sta dando i suoi frutti. CLAI crede fortemente nel modello d’impresa sostenibile e da anni si impegna per rendere meno impattante la sua presenza sul territorio. Del resto, nessuna impresa oggi può pensare di creare vero valore senza fare i conti con l’eredità che lascerà a livello ambientale ai suoi figli e ai figli dei suoi figli. Ogni nuova decisione che assumiamo in CLAI tiene sempre conto del suo livello di sostenibilità. Un concetto che a noi piace però considerare in termini più ampi, includendo anche la sostenibilità sociale: la crescita di un’azienda è anche la conseguenza del grado di attenzione che rivolge alle persone con cui è in contatto nel quotidiano: dipendenti, fornitori, consumatori… CLAI è una comunità fatta di persone, per le persone di oggi e di domani». Obiettivo spreco zero con impianti di biogas e di cogenerazione, pannelli fotovoltaici e progetti a favore di comportamenti virtuosi Tra le diverse attività implementate da CLAI per favorire un rapporto più sano con l’ambiente c’è l’impianto di biogas (in foto) costruito nel 2012 a fianco dello stabilimento produttivo di Sasso Morelli, che, in ossequio al principio dello “scarto-zero”, accoglie sottoprodotti delle varie lavorazioni, liquami degli allevamenti e parte degli scarti di macellazione. Tutto materiale che dovrebbe essere buttato perché ormai privo di valore. A Sasso Morelli, spiega il responsabile di stabilimento Rudy Magnani, viene invece «“mescolato” al mais per essere pastorizzato e poi subire un processo batterico di fermentazione, grazie al quale si genera gas utilizzato per produrre energia elettrica». Si tratta di un processo talmente efficiente che l’energia viene prodotta in eccesso rispetto alle esigenze dell’intero impianto. Oltre all’energia si genera anche calore, sfruttato all’interno del salumificio CLAI. Il risparmio di metano è notevole, viene coperto circa l’80% del fabbisogno. Ciclo concluso a questo punto? No, perché dal processo di fermentazione rimane un ulteriore scarto di lavorazione, il digestato, che CLAI valorizza utilizzandolo come fertilizzante per i propri campi. Da tempo CLAI ha inoltre adottato l’uso di pannelli fotovoltaici, sistemati sui tetti degli impianti, e realizzato nella struttura di Faenza un nuovo impianto di cogenerazione. Il suo funzionamento è semplice: viene bruciato gas per produrre energia elettrica e calore. «L’impianto è in fase di ottimizzazione del suo ciclo di funzionamento — spiega Massimiliano Ceroni, responsabile dello stabilimento CLAI di Faenza —, ma è operativo già al 100% e consente di coprire una quota di fabbisogno energetico superiore al 65%». In ogni momento l’impianto “capisce” quanta energia è necessaria per lo svolgimento delle diverse attività e si autoregola di conseguenza. Grazie a questa tecnologia viene prodotto anche calore, ottenuto come “scarto di prodotto” dell’energia elettrica: in questo caso il processo permette di garantire una percentuale superiore al 75% del fabbisogno di acqua calda. La sostenibilità ha però bisogno anche di iniziative di sensibilizzazione sul territorio. Per questo motivo CLAI ha preso parte al progetto “A scarto zero”, assieme al comune di Imola e al ristorante stellato San Domenico. L’obiettivo è promuovere comportamenti virtuosi a favore della riduzione degli sprechi alimentari domestici. «Iniziative di questo tipo vanno sostenute perché contribuiscono a rafforzare la rete di attenzione e consapevolezza nei confronti di temi centrali per tutti» ha commentato Giovanni Bettini. «Alle volte basta davvero poco per modificare un comportamento sbagliato. Dobbiamo imparare tutti a considerare ogni scarto come una possibile risorsa». >> Link: www.clai.it

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CHEESES WITH PROTECTED DESIGNATION OF ORIGIN (PDO) AND PROTECTED GEOGRAPHICAL INDICATION (PGI)

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San Simón da Costa

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13. Queso Nata de Cantabria 14. Queso Camerano 15. Idiazabal

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23. Queso Manchego 24. Queso de Murcia 25. Queso de Murcia al Vino

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26. Queso Palmero Queso de La Palma 27. Queso Majorero 28. Queso de Flor de Guía Queso de Media Flor de Guía Queso de Guía

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Los Beyos

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Picón Bejes-Tresviso

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Queso Palmero Queso de La Palma CANARIAS (DOP)

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SPECIALE OLIO

OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA: UTILE IMPARARE A SCEGLIERLO di Riccardo Lagorio

on ciclicità ossessiva le associazioni di categoria portano alla ribalta il problema relativo alla contraffazione dell’olio extravergine di oliva. Un’operazione da qualche centinaio di milioni di euro, di cui annualmente si parla, si scrive, ma che alla fine rimane confinata nel limbo dei problemi irrisolti. Forse proprio a causa delle somme di denaro che la manovra muove. NAS e Ispettorato centrale repressione frodi fanno ciò che possono per arginare il problema e, quantunque i loro sforzi si rivelino utili, il consumatore non ha strumenti che lo rendano capace di tutelarsi. Almeno un consumatore generico, che non ha accesso a laboratori d’indagine chimico-fisica e che è privo di competenze d’analisi organolettica specifica, sommariamente capace di interpretare etichette poco leggibili (e che bisognerebbe essere in grado di interpretare) e strumenti legislativi capziosi. Ha fatto scalpore lo scorso autunno un caso di ricettazione di grandi quantità di olio di semi di soia contraffatto; olio che, adulterato con clorofilla e betacarotene, era stato spacciato come olio extravergine di oliva pugliese. Ma

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cosa ne sa il consumatore di clorofilla e betacarotene? E che pensare di chi parla del livello di acidità, dimenticandosi con disinvoltura che tale parametro può essere appurato solo con strumentazioni costose e indisponibili al consumatore (e che ovviamente nulla ha a che fare con il concetto di gusto acido che conosciamo)? Chi fa la spesa al supermercato ha davvero poche armi a sua disposizione per verificare se ciò sta mettendo nel carrello è olio lampante (l’olio che veniva usato per mantenere vive le lampade), vietato per uso alimentare, a cui si aggiunge una percentuale di olio di oliva. O olio di sansa, residuo della lavorazione delle olive, rettificato con prodotti chimici e mischiato con minime percentuali di olio di oliva o olio extravergine. Viene in soccorso l’etichetta. Deve riportare l’origine dell’olio: comunitaria, extracomunitaria o di miscele comunitarie ed extracomunitarie. L’indicazione della DOP, sinonimo di origine certa, dà poca certezza sulla bontà dell’olio contenuto nella bottiglia, che dipende dal metodo di raccolta delle olive, ottenimento e conservazione dell’olio.

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Altre indicazioni come la tecnica utilizzata per la spremitura delle olive o la certificazione di prodotto biologico, se riportate, possono essere utili per raccogliere elementi sul pregio dell’olio, ma non su cosa si cela in realtà nella bottiglia. Descrizioni generiche con aggettivi enfatici e abusati (gusto tradizionale, deciso, di famiglia e così via) servono solo a depistare il consumatore poco avvezzo a orientarsi tra le etichette. Il prezzo è facilmente manipolabile: si alza e si abbassa in base alle necessità di smercio e dipende molto da dove si è effettivamente prodotto. In regioni dove la produzione abbonda, il prezzo è ragionevolmente più contenuto. Alcuni autori riportano che il prezzo non dovrebbe scendere sotto gli 8 euro al litro. Tuttavia, se venduto in taniche da 2 o 5 litri, presso il frantoio si riesce a trovare buon olio extravergine di oliva anche a 5,50 euro. Al contrario, si può trovare olio irrancidito (a causa delle cattive condizioni di trasformazione, conservazione o del deprecabile stato di raccolta e mantenimento della materia prima) prodotto in aree considerate di pregio venduto anche a 20 euro il litro.

Che fare quindi per portare in tavola un olio extravergine di oliva? Esistono parametri che ciascuno di noi può imparare e che non sono derogabili, ma non esiste una regola a priori. E l’olio si deve prima comperare: a meno che non si possa assaggiare e fare seguire l’acquisto, una volta messo nel carrello è vostro e ve lo tenete com’è! L’assaggio va fatto versando una piccola dose di olio in un bicchiere dall’imboccatura non troppo larga. Una mano deve essere appoggiata su di essa e con l’altra il bicchiere va fatto roteare, portando il contenuto a temperatura corporea. Mai lasciarsi condizionare dal colore: l’aggiunta di sostanze chimiche inodori possono modificare le sfumature del liquido da più giallo a più verde. L’odore invece offre il primo indizio sulla bontà dell’olio. Deve ricordare l’odore dell’erba quando la tagliate nel vostro giardino o passate in campagna al momento dello sfalcio. Si possono percepire anche ricordi di carciofo, di erbe aromatiche (soprattutto timo), di mela verde o di mandorla. Caratteristiche negative sono l’odore di rancido, di fermentato, solvente, vinoso o d’aceto.

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Raccolta delle olive (photo © Angelo Chiariello – stock.adobe.com). Versato in bocca, l’olio va aspirato e spruzzato tra guance, denti e lingua. Tre attributi non possono mancare, con diversificati gradi di presenza. Il sapore amaro dipende dalla varietà utilizzata (in Italia se ne contano quasi 500), dal luogo di raccolta, ma anche dal livello di maturazione delle olive, che non deve essere eccessivo (la raccolta va effettuata appena prima che le drupe stiano cambiando colore) e la frangitura va eseguita in tempi utili per non fare fermentare le drupe (di solito non oltre le 5 ore dalla raccolta, ma dipende dalla temperatura esterna. Ultimamente si registrano esperienze di refrigerazione per permettere di allungare il periodo tra raccolta e frangitura). A differenza di quanto il consumatore spesso pensa, una vena d’amaro è necessaria. Anche le note piccanti, leggermente pungenti, devono essere presenti. Questa caratteristica non ha nulla a che fare con l’acidità di cui si scriveva prima. Un olio extravergine non può infine mancare di una nota fruttata (ananas, mela verde, banana, melone sono quelli il cui ricordo appare più evidente). Ca-

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ratteristiche che devono apparire decise, ben presenti e possibilmente intense. A coloro che sofisticano l’olio costerebbe troppo dovere approntare un liquido con queste caratteristiche. Pertanto, se non si riscontrano, è molto probabile che non si tratti di olio extravergine di oliva. Coloro che giocano ai piccoli chimici che si divertono alle spalle del consumatore si dividono in due categorie: chi pratica frodi sanitarie, le più gravi e pericolose, e chi si applica nelle frodi commerciali, assai diffuse e che creano perdite economiche al consumatore senza però danneggiare la vita. Le prime si possono suddividere in adulterazioni (si modifica la composizione di un alimento: l’olio extravergine si allunga con olio di altra natura: di semi o non extravergine), alterazioni (processi degenerativi spontanei, spesso causati da una conservazione errata) o sofisticazioni (quando si aggiungono sostanze estranee come clorofilla per fare assumere un invogliante colore verde). Le frodi commerciali si traducono in contraffazioni (si fa sembrare un cibo più pregiato rispetto a ciò in realtà

è: l’olio vergine di oliva è venduto per olio extravergine di oliva) e falsificazioni (l’olio è sostituito da uno meno pregiato: vendo olio di semi per olio di oliva). L’olio extravergine di oliva, che è il più pregiato in assoluto, può essere manipolato miscelandolo con altri oli vegetali meno pregiati (girasole, soia) o sansa che vengono deodorati e deacidificati risultando neutri. Ad essi si aggiungono piccole quantità di olio extravergine di oliva e coloranti come la clorofilla o il betacarotene di cui si scriveva all’inizio e il gioco è fatto. Un altro caso abbastanza frequente è quando l’olio di oliva è venduto per extravergine d’oliva. Non mancano casi in cui si commercializzano oli DOP ottenuti da olive raccolte in zone esterne all’area deputata dalla tutela o in cui l’etichettatura è fallace per quanto riguarda le caratteristiche reali. Come si vede, un triste primato per un prodotto dalle numerose caratteristiche salubri. Prima di suggerire alcuni oli extravergini d’oliva che abbiamo provato e dei quali siamo certi, bisogna segnalare

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Frantoio (photo © Riccardo Bruni – stock.adobe.com). la meritoria associazione Opera Olei (operaolei.it), costituita da sei produttori italiani che hanno creato un cofanetto di altrettanti oli extravergini che coprono l’intera Penisola e per completo il ventaglio di sensazioni che gli extravergini possono regalare. Riccardo Lagorio LE NOSTRE SCELTE Numero Uno Azienda Agricola Comincioli, Puegnago sul Garda (BS). Alle due varietà prevalenti sulla sponda bresciana del lago di Garda, negli uliveti sono presenti altre cultivar come Gargnà, Cornaröl e un’altra mezza dozzina. Denocciolate e lavorate separatamente vengono riunite in un unico olio dal profumo di erba appena sfalciata, origano e lavanda. Erbaceo e vegetale in bocca, è sostenuto da una nota amarognola decisa che chiude ricordando il pinolo. • www.comincioli.it Frà Bernardo Società Agricola Il Conventino di Monteciccardo, Monteciccardo (PU). Si

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estrae da Ascolana Tenera. L’apertura al naso di mela lascia via via il posto a carciofo e foglia di pomodoro, in lungo uno spettro organolettico ampio che si riscontra anche sul palato. Il piccante di pepe bianco è infatti ben presente e continuo durante l’assaggio: si combina con l’ammandorlato e un bagliore fruttato di kiwi che dichiara la vitalità e la complessità dell’olio. • conventinomonteciccardo.bio Le Ceppaie Azienda Agricola Casamenti, Seggiano (GR). Olio extravergine di oliva Seggiano DOP ottenuto da Olivastra Seggianese e, per il 5%, da Correggiolo. È connotato da profumo intenso d’erba falciata or ora e vibrazioni di maggiorana e rosmarino. In bocca svela note di rucola, rosmarino e timo in continui rimandi tra piccante e amaro, decisi e netti. • www.oliocasamenti.com Senza nome Società Agricola Eredi di Seatzu Mario, Valledoria (SS). Benché privo di nome, è olio extravergine ricco di caratteri

che lo contrassegnano come uno dei migliori prodotti nel panorama nazionale. Non viene imbottigliato e anche questa sarebbe un’anomalia per i puristi. La scelta di ROSANNA SEATZU è di proporre la spremuta di Bosana in latte da 2 e 3 litri. Al naso si fanno largo profumi di carciofo e foglia di pomodoro. All’assaggio il primo contatto è con la banana, che lascia spazio a una lunga serie di amari e piccanti aggrovigliamenti. Monocultivar Nasuta Azienda Agricola Paglione, Lucera (FG). La varietà caratterizza l’agro lucerino ma non è facile trovarla spremuta per ottenere un olio extravergine monovarietale. Rivoli di erba fresca si intrecciano a un denso profumo di frutta dove alla mela verde si vanno sostituendo con il tempo la banana e il mango, dallo spirito balsamico. Corrispondenza che si ritrova in bocca, dove le note fruttate, fresche ed eleganti ma persistenti, giocano a rincorrersi con le note amare di mandorle e rimandi di pepe nero. • www.agricolapaglione.com

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Il filo d’Oro dell’Olio Evo di Federica Cornia

Photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com

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olitamente, e metaforicamente, è rosso il filo conduttore che nei discorsi collega tra loro cose, fatti, eventi, ma qui cambia colore: è dorato intenso e può tendere al verde brillante. E non unisce due anime gemelle destinate prima o poi ad incontrarsi e a sposarsi, come nella leggenda popolare che dalla Cina è passata al Giappone, da cui pare tragga origine il modo di dire, né aiuta per districare le gomene di una nave, pratica marinara che ne segna un’ulteriore ipotesi di derivazione, ma disegna un percorso tutto italiano nel mondo della produzione dell’olio d’oliva extravergine e tocca aziende pluripremiate a livello mondiale e nazionale. Aziende presenti su guide dedicate, come Flos Olei, per dirne una, la guida mondiale all’olio extravergine di oliva di qualità curata dal giornalista, critico enogastronomico ed esperto assaggiatore MARCO OREGGIA.

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Azienda Agraria Viola Marco Il nostro viaggio inizia dall’Umbria. Da distese di ulivi. Ulivi, ulivi e poi ancora ulivi. Dall’aspetto maestoso. Tanto maestoso che sono stati accolti nella lista FAO dei Sistemi del Patrimonio Agricolo di rilevanza mondiale1. Siamo nelle colline del Folignate, tra Assisi e Spoleto, una delle aree italiane più importanti per la produzione di olio di oliva, la prima a venire ufficialmente inclusa nel programma della FAO che mira a mettere in risalto sistemi agricoli unici che le comunità rurali nel mondo hanno creato nel corso di generazioni per promuovere sicurezza alimentare, mezzi di sussistenza sostenibili, ecosistemi resilienti e una ricca biodiversità. Qui, tra gli ulivi con le radici affondate nella roccia e tra i canti delle contadine, è cresciuto MARCO VIOLA, e con lui il suo amore per l’attività di famiglia che oggi, dopo oltre 150 anni dagli inizi, porta avanti servendosi delle più moderne tecnologie. Ci troviamo nell’Azienda Agraria Viola Marco. Sulla proprietà di 14 ettari di terreno l’azienda conta circa 5.000 ulivi a conduzione diretta, nelle varietà Moraiolo, Frantoio e Leccino. Con la collaborazione di alcuni olivicoltori locali, ha ampliato la produzione di olive arrivando ad un’estensione di 60 ettari, circa 22.000 piante. È da

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qui che prende corpo la linea degli oli Viola. Una linea dai nomi evocatavi. Ci sono l’olio Nuovo, il primo che esce dalla filiera, il Tradizione, multivarietale di Moraiolo, Frantoio, Leccino e altre varietà minori, buono per la tavola di tutti i giorni, il Costa del Riparo, blend biologico di Frantoio e Moraiolo, i toni leggeri dell’Inprivio, ovvero l’impronta della produzione olivicola che segna il passaggio della tradizione da padre in figlio, l’amaro e il piccante del Colleruita, l’intensità del Sincero, monocultivar di Moraiolo ottenuto da piante secolari legate al territorio. Oltre all’olio, la cui produzione biologica è certificata, l’azienda produce anche cereali, legumi e farine (di farro, ceci e castagne) tutti bio (www.viola.it). Frantoio Franci Passiamo in Toscana, zona Maremma, bella e selvatica, e facciamo tappa a Montenero d’Orcia, nel Grossetano, al Frantoio Franci, che riceverà anche quest’anno il “Bicchiere rosso” riservato alle aziende nella Hall Of Fame della Flos Olei 2021, l’Oscar dell’eccellenza. Un traguardo per nulla scontato dato che sono circa 500 le aziende selezionate nel mondo e solo sei quelle che entrano nella Hall of Fame. Un riconoscimento, questo, che si meritano coloro che nel tempo hanno ricevuto premi quali Azienda dell’Anno, Miglior Olio dell’Anno, Miglior Metodo Produttivo, Premio alla Qualità nel Tempo (per la presenza continua nei “The Best”, le 20 migliori aziende dell’anno secondo Flos Olei). Insomma, ci vogliono dedizione, costanza e tempo per un riconoscimento di questo tipo. E coraggio. Il coraggio di scegliere la strada della qualità. Erano gli anni ‘50 quando sulla collina di Montenero d’Orcia, all’ombra del Monte Amiata, un piccolo fienile cambia destinazione d’uso e diventa un frantoio. È da lì che inizia l’avventura dei FRATELLI FRANCI, FRANCO e FERNANDO, con l’acquisto dell’oliveto chiamato Villa Magra. E nel ‘95 la svolta, quella vera, con la esse maiuscola, all’insegna della qualità assoluta e senza compromessi, risposta all’ambizioso progetto di far conoscere i propri extravergine lontano dal luogo di produzione. Per cui può accadere che le annate fruttino in modo più o meno abbondate, a seconda delle

variabili legate alla stagione, ma la qualità non ne risente perché la filosofia dell’azienda prevede che gli oli che non rispondono a determinate caratteristiche organolettiche e parametri chimici vengano declassati. Non è dunque un caso che Franci sia stato protagonista di un evento del tutto eccezionale col quale si equiparava l’eccellenza dell’olio a quella di un vino davvero molto speciale, come il Bordeaux: era il 2003 e 100 delle bottiglie numerate di olio “Villa Magra Gran Cru”, extravergine ottenuto da una microzona di oliveto particolare, trattatto con estrema attenzione e cura e prodotto solo nelle migliori annate, venivano scambiate con 100 bottiglie di grandi Bordeaux. Sono quelli gli anni in cui al concetto di qualità si aggiungono quelli di selezione e terroir, gli anni in cui nasce Villa Magra dei Franci, il primo olio extravergine commercializzato in bottiglia, capostipite delle successive etichette. Oggi anche sede didattica dell’Università di Scienze Gastronomiche, al Frantoio Franci è possibile fare degustazioni e visite guidate su prenotazione (www.frantoiofranci.it). Tenuta Pennita Seguendo il filo dorato dell’olio extravergine, arriviamo in Romagna, in provincia di Forlì Cesena, dalle parti di Castrocaro Terme, e approdiamo sulle colline dove sorge Tenuta Pennita, azienda agricola che produce olio e vino. Vicina alla città Fortezza Terra del Sole, l’azienda ne riecheggia la planimetria nel logo in etichetta, a simboleggiare quanto la sua attività affondi le radici in quella humanitas che ispirò il Rinascimento italiano, in quell’ideale di attenzione e cura benevola tra gli uomini che portò alla progettazione e creazione della vicina Eliopoli. In questo senso la linea di cosmetici realizzata dall’azienda con prodotti di scarto, e che comprende tonici, latti detergenti, creme per viso, corpo e capelli, manifesta e riflette il prolungamento ideale di quella humanitas rinascimentale. Ma torniamo alla produzione dell’olio, che si è affiancata a quella dei vini nel 2002, quando, a seguito di una ristrutturazione, GIANLUCA TUMIDEI decide di acquistare un piccolo frantoio. Decisivo è poi l’incontro con ALINA che, con la sua provenienza da una famiglia da sempre

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Oliveto nelle colline intorno ad Assisi (photo © Andriy Blokhin – stock.adobe.com). dedita alla produzione dell’olio d’oliva, ha fatto da propulsore e stimolato la sperimentazione. È da olive raccolte a mano e sottoposte a frangitura nell’arco di sei ore che prendono vita gli oli Selezione Alina, un monocultivar da Nostrana lavorata in purezza, Poggio al Monte, olio extra vergine di oliva blend di Correggiolo, Nostrana e Ghiacciola e Valdoleto, monocultivar da Ghiacciola. Tutti hanno ottenuto numerosi riconoscimenti e da anni sono citati dalle più importanti guide del settore enogastronomico (www.lapennita.it). Frantoio Sommariva Ad Albenga, Città delle cento torri in provincia di Savona, c’è un frantoio che lavora da 106 anni, che di generazione in generazione porta avanti la tradizione ligure e frantuma drupe di Taggiasca maturate a 400 m slm. È il frantoio della FAMIGLIA SOMMARIVA che, oltre all’olio extravergine d’oliva, produce altri prodotti tipici liguri come il pesto genovese bio, le olive in Salamoia, i carciofini sottolio, il Caviale del Centa (crema di olive taggiasche, acciughe e capperi) e la crema di acciughe, tanto per dirne alcuni. L’amore per il proprio territorio e la tradizione Sommariva li sente, ci sono eccome e si vedono traslati non solo nei

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vasetti di conserve e nella selezione dei vari prodotti, ma soprattutto nelle tecniche di coltivazione biologica dei terreni dell’azienda nella piana di Albenga e nelle colline della Val Lerrone. Certificata bio da più di quarant’anni, Sommariva è stata una delle prime aziende italiane a chiedere e ottenere la certificazione biologica nel 1972 e il suo impegno per l’ambiente lo ha rinnovato con la certificazione Carbon Trust Standard, con la quale si impegna a ridurre le emissioni nell’atmosfera di carbonio e gas a effetto serra grazie anche alla scelta di partner green. Tra gli oli segnaliamo il Maina, da selezione di sole olive Taggiasche (www.oliosommariva.com). Azienda Agricola Titone Gennaio 2021, Guida Oli d’Italia 2021: Titone è il migliore olio DOP della guida Gambero Rosso. La guida ha premiato il DOP Valli Trapanesi Bio con le Tre Foglie e il Premio Speciale Miglior Olio DOP, olio che si è aggiudicato anche il titolo di miglior olio Sicilia assoluto 2021 da AIRO – Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio, associazione che ha lo scopo di portare sulle tavole l’olio extravergine di oliva di eccellenza e valorizzarne l’uso nella ristorazione. Siamo tra gli uliveti delle terre di Sicilia, intorno a Trapani, Erice alle

spalle. Qui nasce l’olio extravergine di ANTONELLA TITONE. Incarnazione di quell’amore filiale che si fa carico di un’eredità paterna trasformando un’attività collaterale in una professione –– anche ben riuscita –– alla soglia dei quarant’anni, partendo da zero e studiando tantissimo. E se il primo olio completamente biologico l’ha creato il padre, la DOP Valli Trapanesi, invece, nasce con lei, che cura fin la selezione delle olive, che aspira a creare un olio elegante, equilibrato, che segue l’attività con passione e più con piglio da profumiera che da produttrice di olio, un olio povero di polifenoli, che col suo passato da farmacista è ben lontana dal considerarlo un rimedio curativo. Una delle prime aziende in Sicilia a convertirsi all’agricoltura biologica, oggi Titone produce due tipi di olio, l’olio extra vergine di oliva biologico e l’olio evo bio DOP Valli Trapanesi, ottenuti da olive delle cultivar Cerasuola, Nocellara del Belice, Biancolilla raccolte a mano e molite dopo poche ore nel frantoio aziendale. La sansa, l’acqua di vegetazione, i residui di potatura vengono riciclati; per esempio la sansa si usa per alimentare la caldaia. E per rendere più efficiente la produzione biologica, è nata la collaborazione con l’Università di Palermo (www.titone.it). Federica Cornia Nota 1. Il programma GIAHS (Globally Important Agricultural Heritage Systems), avviato dalla FAO, ha come obiettivo quello di individuare a livello mondiale alcuni paesaggi particolarmente ricchi in biodiversità che derivano dal coadattamento di una comunità antropica con l’ambiente circostante e che si manifestano con il mantenimento di paesaggi di particolare interesse estetico e storico-culturale grazie alla continuità di tecniche agricole tradizionali (fonte: www.landscapeunifi.it). Per ulteriori informazioni si può visitare il sito ufficiale del progetto: www.fao.org/giahs/en Ringraziamenti Un ringraziamento particolare va a STEFANO MONTANARI, agente di commercio Top Food Quality, per le preziose indicazioni grazie alle quali è stato possibile realizzare l’articolo.

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Nasce il Competence Centre for olive oil L’UE produce circa il 67% dell’olio di oliva mondiale, dove Italia e Spagna sono i principali consumatori europei mentre la Grecia registra il più grande consumo pro capite dell’UE. In totale, l’UE rappresenta circa il 53% del consumo mondiale. A livello commerciale, l’Unione Europea rappresenta circa il 65% delle esportazioni mondiali di olio d’oliva, destinate prevalentemente verso USA, Brasile e Giappone (fonte: Commissione europea). Del migliaio circa di cultivar presenti nel mondo, l’Italia ne conta il maggior numero, che porta a una produzione di olio importante e variegata che si colloca al secondo posto a livello mondiale subito dopo la Spagna e prima della Grecia, ma al primo per oli di qualità riconosciuti dalla UE, con 42 prodotti DOP e 6 IGP. Secondo la normativa di riferimento UE (Reg. CE 2568/91 e successive modificazioni), l’olio di oliva viene classificato in base ai risultati delle analisi fisico-chimiche e della valutazione organolettica oltre che dei metodi utilizzati per la sua estrazione dalle olive (meccanici, fisico/ chimici, raffinazione). Vi sono numerose e variegate tipologie: dall’olio evo (extravergine) a quello di oliva semplice, di sansa e di oliva lampante, raffinato o grezzo. A livello extra-CEE non esiste uno standard riconosciuto. Il Codex Alimentarius prevede delle specifiche in linea con quelle messe a punto dall’IOC (International Olive Oil Council, massima autorità internazionale nel campo oleicolo) ma con alcune differenze nella classificazione dei tipi di oli, nella loro definizione e nelle procedure per le analisi. In mancanza di standard internazionali si supplisce con specifiche nazionali. La normativa internazionale riconosciuta e le legislazioni nazionali sono costantemente soggetti a variazioni e aggiornamenti per contrastare le frodi che colpiscono soprattutto gli olii più pregiati. Agli standard sovranazionali possono essere inseriti disciplinari specifici come quelli per DOP o IGP o quelli per il biologico. Purtroppo, le frodi in questo settore sono ampiamente diffuse anche perché attuabili in diverse modalità: dalla vendita di extravergini che in realtà sono miscele di oli di varia qualità alla mendace dichiarazione di provenienza dell’olio, fino ad arrivare alla vendita di olio di oliva falso. «Nella maggior parte dei casi, la qualità dell’olio d’oliva non è riconoscibile a prima vista» afferma Filippo Venturi, direttore tecnico dei laboratori pH. «Una data frode può essere dimostrata solo da esperti con l’aiuto di analisi avanzate che hanno come punti di partenza le prove sulla composizione chimica, lo studio delle caratteristiche organolettiche e del profilo sensoriale». Per far conoscere e promuovere i servizi e le analisi che aiutano a discriminare l’olio di alta qualità, TÜV SÜD e pH Labs hanno creato il Competence Centre for olive oil, un centro di competenza internazionale per l’olio di oliva con sede nei Laboratori pH in Toscana. Tra i servizi offerti per le aziende della filiera oleicolo, l’analisi per la determinazione delle caratteristiche di qualità e di purezza degli oli di oliva (Reg. CEE n. 2568/91 e successive modificazioni), la valutazione organolettica per la classificazione degli oli di oliva, la ricerca di contaminanti, come pesticidi, plastificanti, metalli pesanti, diossine, ecc… >> Link: www.tuvsud.com

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L’EXTRAVERGINE CONQUISTA IL MONDO AUMENTANO VENDITE ED EXPORT, CON UN MERCATO GLOBALE DA 1,8 MILIARDI DI DOLLARI NEL 2026 (+24%)

olio extravergine d’oliva mette d’accordo tutti: fa bene alla salute, è sempre più richiesto all’estero ed è un simbolo della qualità made in Italy che fa bene alle vendite delle aziende. Nel 2020 sono cresciuti sia i consumi in Italia (+7,4%) sia l’export globale (+15,6%) e intraeuropeo (+24,7%), mentre sul lungo periodo il mercato dell’olio extravergine arriverà a valere oltre 1.815 milioni di dollari entro il 2026 (in crescita rispetto ai 1.465 del 2020). Con l’emergenza sanitaria e le conseguenti restrizioni imposte a ristoranti e locali, le famiglie italiane sono tornate a cucinare a casa e a fare scorte di

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prodotti made in Italy: creme, salse, vellutate, biscotti, grissini, taralli, cracker, soprattutto quelli preparati con olio evo. A testimoniarlo un recente report della Commissione europea, che, per quanto riguarda l’Europa, ha registrato un +15,6% nelle esportazioni verso i Paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020, in particolare verso Australia (+37,5%), Brasile (+31%) e Canada (+28,1%). Relativamente all’Italia, invece, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7%. Un export dinamico quindi che, insieme al +7,4% di vendite alla GDO dei primi undici mesi del 2020 registrate dall’ISMEA, ha compensato le

perdite dovute alla chiusura del canale della ristorazione. Basti pensare che in Italia 9 famiglie su 10 consumano olio extravergine d’oliva tutti i giorni secondo COLDIRETTI. Con questi ritmi il mercato globale dell’olio extravergine, che nel 2020 valeva 1465,5 milioni di dollari, secondo WMFJ arriverà a valere oltre 1,8 miliardi di dollari entro il 2026, con un CAGR del 3.6%. In un recente studio pubblicato da ABC NEWS si legge che l’olio evo, ricco di composti come fenoli e grassi monoinsaturi, può diminuire il grado d’infiammazione e il livello di grassi nel sangue, aumentando invece la quantità di HDL, il colesterolo “buono” che aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiache.

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«Le proprietà benefiche dell’olio extravergine sono legate principalmente alla sua composizione» ha confermato la dott.ssa ALICE PARISI, biologa nutrizionista. «L’alta concentrazione di polifenoli e tocoferoli, infatti, contrasta l’ossidazione delle macromolecole biologiche, ovvero DNA, proteine e lipidi, e aiuta a prevenire cancro, diabete e numerose malattie cronico-degenerative. Io ne raccomando il consumo a crudo, in quanto le alte temperature degradano i composti dell’olio». Non è quindi una

sorpresa che la Dieta Mediterranea, di cui l’olio evo è uno dei cardini principali, si sia classificata come migliore dieta al mondo del 2020 secondo US News & World Report. Per il 2020, ISMEA ha registrato un calo della produzione italiana del 30% rispetto allo scorso anno. I motivi sono da ricercarsi nelle anomalie climatiche e nella Xylella che hanno devastato gli ulivi del Sud e in particolare della Puglia, regione responsabile del 51% della produzione italiana. Tuttavia, il

clima più mite che si è registrato nel nord della Penisola ha permesso di assistere a incrementi sostanziali per quanto riguarda alcune regioni settentrionali e centrali come Toscana (+31%), Umbria (+70%) e Liguria (+100%), a testimonianza del fatto che quando si tratta di agricoltura è fondamentale adattare le coltivazioni al clima. Fonte: Espresso Communication Srl Nota Photo © Lucio Patone x unsplash.

L’olio fa bene al cervello, la scienza lo conferma Nel cervello dei mammiferi, in particolare nell’ippocampo, vengono prodotti nell’arco di tutta la vita nuovi neuroni. Questo processo denominato neurogenesi è indispensabile per la formazione della memoria episodica, come hanno dimostrato recenti ricerche: i nuovi neuroni dell’ippocampo vengono generati a partire da cellule staminali e durante l’invecchiamento ha luogo un calo progressivo di entrambi, all’origine di una drastica riduzione della memoria episodica. L’idrossitirosolo, composto naturalmente presente nell’olio extravergine di oliva, ha forti capacità antiossidanti e protettive sulle cellule, ed è noto che diversi fattori, tra i quali la dieta, sono in grado di stimolare la neurogenesi adulta. Un team di studiosi guidati da Felice Tirone, in collaborazione con Laura Micheli, Giorgio D’Andrea e Manuela Ceccarelli dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del CNR-Ibbc, ha dimostrato in un modello animale anziano che l’idrossitirosolo reverte il processo di invecchiamento neurale. Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Faseb Journal (D’Andrea et al. 2020, Hydroxytyrosol stimulates neurogenesis in aged dentate gyrus by enhancing stem and progenitor cell proliferation and neuron survival, Faseb J.;00:1–15, doi.org/10.1096/fj.201902643R). «L’assunzione orale di idrossitirosolo per un mese conserva in vita i nuovi neuroni prodotti durante tale periodo, sia nell’adulto che ancor più nell’anziano, nel quale stimola anche la proliferazione delle cellule staminali, dalle quali vengono generati i neuroni», spiega Tirone. «Inoltre l’idrossitirosolo, grazie alla sua attività antiossidante, riesce a “ripulire” le cellule nervose, perché porta anche ad una riduzione di alcuni marcatori dell’invecchiamento come le lipofuscine, che sono accumuli di detriti nelle cellule neuronali». «Abbiamo poi verificato, grazie ad un marcatore di attività neuronale (c-fos), che i nuovi neuroni prodotti in eccesso nell’anziano vengono effettivamente inseriti nei circuiti neuronali, indicando così che l’effetto dell’idrossitirosolo si traduce in un aumento di funzionalità dell’ippocampo», prosegue Micheli. «La dose assunta quotidianamente durante la sperimentazione equivale alle dosi che un uomo potrebbe assumere con una dieta arricchita e/o con integratori (circa 500 mg/die per persona). Comunque l’assunzione di idrossitirosolo avrebbe un’efficacia anche maggiore se avvenisse mediante consumo di un cibo funzionale quale è l’olio di oliva». Questi risultati confermano gli effetti benefici della Dieta Mediterranea, in particolare per l’anziano, e aprono ad un potenziale risvolto ecologico. «I residui della lavorazione delle olive, molto inquinanti, contengono una grande quantità di idrossitirosolo: migliorare le procedure di separazione delle componenti buone nella lavorazione consentirebbe di ottenere idrossitirosolo e ridurre l’impatto nocivo», conclude Tirone. Allo studio hanno partecipato ricercatori dell’Università della Tuscia: Carla Caruso, Dipartimento di scienze ecologiche e biologiche, e un team del Dipartimento di Scienze agrarie e forestali composto da Roberta Bernini, Luca Santi e Mariangela Clemente, che ha sintetizzato l’idrossitirosolo con una nuova procedura brevettata (fonte: ufficio stampa CNR; photo © Roberta Sorge x unsplash).

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Salumi e formaggi sottolio di Giovanni Ballarini

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on solo l’uomo, ma anche alcune specie animali conservavano il cibo da consumare successivamente. Molto probabilmente conservare un alimento non interessava i primi esseri umani, mentre diventò una necessità quando da nomade e raccoglitore l’umanità si trasformò in stanziale, iniziando l’attività agricola di produzione vegetale e l’allevamento animale. Non possiamo conoscere quale popolo o chi abbia sviluppato i processi di conservazione degli alimenti — congelamento, essiccazione, salatura e affumicamento — ma dobbiamo ritenere che questi procedimenti, che stanno alla base di tecniche tuttora utilizzate, risalgano alla preistoria dell’uomo. Sicuramente è la natura che indica le possibilità di conservazione: la frutta che resta sugli alberi e si secca, gli animali sepolti sotto la neve e il ghiaccio o i pesci che rimangono inclusi nelle saline naturali sono i primi esempi di conserve. Il commercio del pesce salato, salato e affumicato, si fa già nell’antico Egitto e presso i Fenici ed è noto ai Greci e ai Romani. Senza entrare in una storia della conservazione degli alimenti e dei numerosi metodi usati, tra questi non bisogna dimenticare quello della conservazione nell’olio d’oliva.

Prosciutto sottolio (photo © www.cottoepostato.it).

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Conservazione sottolio La conservazione sottolio degli alimenti molto probabilmente origina dall’osservazione che l’olio di per sé si conserva per diverso tempo e quindi è facile pensare possa conservare anche altri alimenti vegetali e d’origine animale. Successivamente, l’uomo si accorge che, per conservarli, è importante isolare gli

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Tradizione e genuinità dal 1910

Prosciutto di Modena Dop un capolavoro del gusto italiano

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Per questo non è prudente consumare prodotti che si trovano all’interno di contenitori che sfiatano all’apertura. La conservazione sottolio è particolarmente diffusa in ambito casalingo. Ricordiamo che è necessario utilizzare sempre barattoli perfettamente puliti e chiuderli ermeticamente per procedere alla fase di sterilizzazione, in pentole in cui i contenitori sono immersi nell’acqua bollente. Il grande vantaggio delle conserve sottolio è la possibilità di avere a disposizione i prodotti durante tutto l’anno. Due sono invece gli svantaggi: la perdita di alcune sostanze nutritive, prime tra tutte le vitamine, e l’alto contenuto di grassi, perché, per quanto il prodotto sia sgocciolato dall’olio di conserva, ne assimila molto. La conservazione con olio è tipica degli ortaggi come carciofini, funghetti, piselli, peperoni, ma si pratica anche per alcuni pesci e tipico è l’esempio del tonno. Le prime conserve di tonno in olio d’oliva fanno la propria comparsa nella Spagna del XV e nella cucina sivigliana dove si usa la ventresca, la parte più pregiata del tonno, conservata sottolio dopo essere stata sbollentata in acqua di mare e ben asciugata. Salumi sottolio e strutto Come avviene per altri mezzi di conservazione degli alimenti, anche per i salumi conservati sottolio la finalità è anche quella di ottenere prodotti con caratteristiche migliori o diverse dall’originale non conservato. Per quanto riguarda i salumi, e tra questi soprattutto quelli di maiale, una parte speciale hanno le salsicce fresche e i salumi stagionati. Formaggio sottolio con olive taggiasche (photo © peperoniepatate.com). alimenti dal contatto con l’aria ma, solo la seconda metà del XIX secolo, saranno le conoscenze microbiologiche a confermarci che in questo modo si inibisce la proliferazione di batteri aerobi, ovvero i microrganismi che si sviluppano con l’apporto dell’ossigeno. L’olio non inibisce però lo sviluppo dei batteri anaerobi, tra cui si annovera il famoso botulino, che produce pericolose tossine; inoltre, al contrario di sale e zucchero, l’olio non ha un’azione diretta sull’acqua presente negli alimenti, dove i batteri si sviluppano.

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Perciò questa tecnica è sempre associata ad altri metodi di conservazione come una precedente cottura o salagione dei cibi, che in seguito possono anche essere sterilizzati. Infine, spesso si aggiunge anche la refrigerazione (in ambito domestico, la conservazione dei prodotti in frigorifero). È inoltre molto importante che gli alimenti siano immersi completamente nell’olio, evitando che alcune parti possano entrare a contatto con l’aria, rendendo inefficaci i precedenti processi antibatterici; anche le bolle d’aria possono risultare dannose.

Salsicce di maiale e di cinghiale sottolio o sotto strutto La salsiccia, nell’uso popolare di alcune regioni italiane detta anche salciccia, è un insaccato di carne fresca o a breve stagionatura diffuso in tutto il mondo. In Italia, secondo gli ingredienti e le zone dove è prodotta, assume varie denominazioni come luganega, salamella, salamina, salamino, salametto, bardiccio, rocchio, zazzicchia, ecc… Un tempo era disponibile soltanto nelle settimane e nei mesi successivi alla macellazione invernale del maiale e per questo veniva conservata sottolio

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o sotto strutto. Raggiunta la consistenza desiderata, le salsicce sono poste in vasi di vetro sterilizzati con olio extravergine di oliva oppure con lo strutto di maiale, avendo cura di non creare bolle d’aria. Per questo occorre coprirle completamente d’olio, versandolo lentamente, poi, col manico di un cucchiaino, occorre girare delicatamente i salumi per fare uscire altra eventuale aria. Meglio anche battere il contenitore su un piano e, quando in superficie non sale più nessuna bollicina di aria, chiudere bene. Il barattolo così preparato va conservato al riparo dalla luce e da eventuale polvere, coprendolo con un canovaccio pulito, in luogo fresco e asciutto. Meglio preferire vasi piccoli che, una volta aperti, devono essere consumati in breve tempo. Le salsicce così conservate durano a lungo e si possono consumare per tutto l’anno dopo averle opportunamente sgocciolate o private dello strutto.

Prosciutto crudo campano sottolio Il prosciutto crudo sottolio è una tipica preparazione della Campania nella quale si usa soprattutto la parte finale o gambetto tagliato in cubetti di circa tre centimetri di lato conservati in olio condito con aglio e pepe nero e rosa. Formaggi sottolio La conservazione sottolio si presta soprattutto per i formaggi stagionati, durante la loro maturazione, a maturazione già avvenuta e che non si vuole prolungare o per dare al formaggio aromi e gusti particolari. La tecnica di è analoga a quella usata per i salumi. Maturazione sottolio del formaggio Il formaggio, soprattutto pecorino, fresco o durante la sua maturazione, è tagliato in cubetti e immerso in vaso contenente

olio extravergine d’oliva aromatizzato con spezie. Continuando la maturazione si ottiene un’importante evoluzione di aromi e sapori. Conservazione sottolio del formaggio I formaggi, soprattutto pecorini, che non possono essere conservati a lungo è possibile mantenerli sottolio. Questo modo di conservare il pecorino è tipicamente abruzzese e di tradizione contadina, per conservare il formaggio fatto nella bella stagione per l’inverno. Secondo la ricetta originale il pecorino a stagionatura intermedia, senza crosta e tagliato a cubetti, deve essere immerso nell’olio con erbe aromatiche a scelta per circa sei mesi, ma è sufficiente anche un mese per dare sapore al formaggio. Aromatizzazione sottolio del formaggio Conservare il formaggio sottolio con aggiunta erbe aromatiche (origano, ginepro, peperoncino se gradito o tartufo) permette di ottenere formaggi con nuovi aromi e gusti. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Salumi sottolio Avanzi di salame o di altri salumi (prosciutto, coppa, ecc…) possono essere

conservati sottolio dopo averli tagliati a pezzetti in modo analogo a quanto si fa con le salsicce. Il vantaggio è che i salumi sottolio non si asciugano, anzi, possono diventare più morbidi senza perdere di aroma e di sapore.

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Preparazioni casalinghe, con buoni ingredienti e un po’ di pazienza

LE SALSICCE SOTTOLIO È un antico modo di conservazione, del tutto naturale, che permette di gustarle a lungo e in qualsiasi momento come se fossero fresche. In Abruzzo continua anche la tradizione di metterle sotto strutto di Nunzia Manicardi

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Preparare in casa delle buone salsicce non è difficile come si possa pensare. E se avete intenzione di conservarle per periodi piuttosto lunghi la cosa migliore è optare per la conservazione sottolio. Lo stesso procedimento può essere fatto con lo strutto di maiale o sugna, esaltandone il sapore

Le salsicce secche di maiale sottolio sono ancora oggi uno dei salumi più diffusi e amati d’Abruzzo, dalla tradizione risalente all’epoca romana. Sono prodotte a partire da spalla, collo e pancetta suina insieme a pepe, peperone dolce e altre spezie. Introdotte in appositi barattoli di vetro e ricoperte di olio preservandole dalla luce, le salsicce conservano sapore e morbidezza

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e salsicce fresche, si sa, devono essere conservate in frigorifero e consumate entro due giorni al massimo. Per conservarle più a lungo si possono congelare, all’interno di una busta per alimenti e, ancora meglio, se prima le abbiamo messe sottovuoto. In questo modo sono disponibili per parecchi mesi. Ma si possono conservare anche sottolio o sotto strutto, come si faceva ai tempi antichi. Questi ultimi due metodi sono particolarmente graditi al palato perché ci forniscono una salsiccia ancora fresca ma ulteriormente impregnata di aromi ed estremamente tenera.

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Si preparano anche in casa Innanzitutto occorre, ovviamente, avere a disposizione le salsicce. Si può prepararle anche in casa, anzi, volendo conservarle a lungo è preferibile avere la certezza che siano a regola d’arte a partire dalla freschezza degli ingredienti. La preparazione non dovrebbe essere difficile, a quanto raccontano quelli che si sono già cimentati. Più che altro ci vuole della buona volontà e, naturalmente, una materia prima di suino che sia di qualità alta, al di sopra di ogni sospetto. La salsiccia viene prodotta riempiendo un budello naturale di suino o di montone con un misto di parti magre e parti grasse tagliate a dadini oppure tritate e mescolate con sale. Fondamentale per una buona riuscita è il perfetto equilibrio tra parti magre e grasse. Quest’ultime costituiscono circa il 20% del totale e sono indispensabili per dare morbidezza all’impasto e legarlo bene. Altrettanto importante è la concia, cioè la miscela di aromi che variano a seconda del gusto personale e che conferiscono alle salsicce quel profumo particolare che le contraddistingue fra tutte e che è la firma del norcino che le ha preparate. Per la parti magre, le carni vere e proprie, si sceglieranno spalla, prosciutto o collo; per quelle grasse, pancetta senza cotenna, lardo o capocollo. Tutte le parti devono essere dissanguate, scotennate, disossate e pulite. Si procede tritando la carne e il grasso, più o meno grossolanamente, col tritacarne a disco grosso e poi si mettono tutti i pezzi insieme in un contenitore capiente. Lì dentro vanno mescolati bene e di nuovo passati nel

tritacarne per amalgamarli al meglio. Spesso si aggiunge il vino: rosso, bianco o marsala superiore secco. Pesare il sale marino, con molta attenzione, e aggiungerlo insieme con il pepe nero (macinato al momento o anche in grani interi), che ha pure una funzione disinfettante. È il momento di preparare la concia, unendo le spezie al composto tritato e mescolandolo bene con le mani o con l’aiuto di una forchetta in modo che il condimento si distribuisca uniformemente. Nella concia ci si sbizzarrisce come si vuole: c’è chi ci mette dei semi di finocchietto, chi aglio in polvere o chiodi di garofano, peperoncino, peperone, semi di coriandolo macinati e perfino buccia d’arancia tritata. Lasciate riposare il composto per un’ora, dopo di che potreste già utilizzarlo per sughi, polpette o hamburger. Se invece volete metterlo alla brace dovete insaccarlo. In tal caso procuratevi delle budella di suino (calibro da 14 a 32 mm) o, se proprio non le trovate o non le gradite, delle budella sintetiche. È anche dello spago grosso. Sciacquate accuratamente il budello con aceto e limone (se state usando quelle naturali) e ripetete l’operazione più volte per garantire lo sgrassaggio e una perfetta pulizia. Strizzatele bene e allargate con le dita la parte iniziale. Dopo aver legato una delle estremità con lo spago, infilate il budello in un apposito imbutino per insaccamento, inserite la carne nell’imbuto e spingete fino a riempire il budello stesso. Esiste anche l’insaccatrice, che facilita l’operazione. Essa è dotata di un vaso contenitore in cui metterete il composto. Dopo aver preparato il budello come è stato spiegato prima, e dopo averlo legato ad un’estremità, lo infilerete nel cannello per insaccare. Basterà girare la manovella o azionarla se è elettrica. Fate attenzione mentre riempite il budello a sostenerlo con la mano libera e ad aiutare l’operazione con una leggera pressione. Durante il riempimento praticate dei fori con un ago in modo da far fuoriuscire l’aria, altrimenti il budello potrebbe rompersi. Una volta insaccato tutto il composto, il lungo salsicciotto che ne è risultato verrà diviso con lo spago in parti uguali, formando le singole salsicce. Disponete le salsicce nei barattoli da conserva con

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Salsiccia nello strutto (photo © www.poderesantalucia.eu). molto olio extravergine d’oliva fino a riempirli un bel po’ al di sopra. Chiudete ermeticamente e conservate in frigo o in una cantina molto fresca purché al buio. L’olio e il freddo permetteranno di conservarle diversi mesi. Saranno ottime

sia come antipasto che come secondo piatto, pronto in ogni occasione e tanto, tanto gustoso. Abruzzo sotto strutto In Abruzzo è tuttora viva la tradizione

di conservare le salsicce sotto strutto oltre che sottolio. Si preparano nel solito modo, dando loro circa 12 cm di lunghezza e 4 di diametro. Vengono fatte essiccare per un paio di settimane in luogo caldo e, successivamente, trasferite in zone più fresche. Quando sono consistenti al punto giusto significa che è ora di riporle nei contenitori. Si useranno vasi di vetro colmi di olio extravergine oppure di strutto di maiale ottenuto secondo il metodo antico, lasciando cioè sciogliere a fuoco lento le parti grasse dell’animale. Si tengono i vasi, come di consueto, al fresco e al riparo dalla luce. Le salsicce, anche con lo strutto, dureranno a lungo e saranno sempre a portata di mano per quelle merende o colazioni abruzzesi tradizionali che, accompagnate da una bella fetta di pane casereccio, fino a non molto tempo fa erano la gioia di grandi e piccoli e di cui ancora oggi si cerca di conservare l’usanza. Gli adulti troveranno ulteriori motivi di godimento nell’utilizzarle per le tipiche bruschette, in questo caso con l’accompagnamento di un buon bicchiere di vino rosso locale. Nunzia Manicardi Nota A pagina 54, salsicce sottolio (photo © abruzzoturismo.it).

Salsiccia di fegato aquilana sottolio Prodotto tipico e oggi Presidio Slow Food, in Abruzzo anche la salsiccia di fegato di maiale finisce sottolio. Detta localmente cicolana, la salsiccia di fegato è un insaccato storico della provincia de L’Aquila. Si prepara prevalentemente con fegato, cuore e lingua di maiale e l’aggiunta di un po’ di carne magra e grasso, sempre di suino. La tradizione comprende due tipologie, entrambe confezionate da novembre ad aprile: la ricetta classica prevede il condimento delle carni con pepe, peperoncino e aglio, mentre nella salsiccia di fegato dolce si condisce l’impasto con una minima quantità di pepe e il miele, per ingentilirne il sapore. Nelle case aquilane è tradizione consumare la salsiccia dolce la mattina di Pasqua, a colazione, insieme alla pizza pasquale, ad una pagnotta semidolce e alle uova sode. Le dosi esatte della speziatura delle due salsicce sono custodite gelosamente da ogni norcino e tramandate in famiglia. L’impasto, una volta insaccato nel budello naturale, viene legato a mano: grazie a un’abile torsione al centro della salsiccia si conferisce la caratteristica forma a ferro di cavallo. Come la speziatura, anche la tecnica di legatura è frutto di saperi passati di padre in figlio. Le salsicce sono mantenute in ambiente caldo per circa una settimana, in prossimità di una stufa o di un camino, e infine appese ad asciugare su una pertica per una trentina di giorni in ambiente fresco e non termocondizionato (fonte: Fondazione Slow Food; photo © www.transumanze.net).

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com

Sottolio Gran Tour In conserva sottolio non finiscono solo verdure, ma anche salumi e formaggi. Un po’ in tutta Italia, dal Sud al Nord di Federica Cornia

el grigio di certe giornate invernali, se il colore degli orti si distribuisce sul piatto è anche merito dell’olio. Da sempre la conservazione sottolio è uno dei metodi migliori per avere disponibili tutto l’anno ingredienti di stagione. Certo, è un procedimento delicato che richiede alcuni accorgimenti. Perché se è vero che l’olio è in grado di isolare gli alimenti dall’aria conservandoli più a lungo, se è vero che blocca i batteri aerobi, è anche vero che non blocca quelli anaerobi, come il botulino, bat-

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Nel vasetto finiscono il prosciutto crudo, a dadini o straccetti, le salsicce di razze italiane come la Mora romagnola o il Nero d’Abruzzo, salsicce di fegato e ventricina, il filetto di maiale, il pecorino del Gran Sasso e di Farindola, quello di Montone e di Atri terio pericoloso per la nostra salute. Per questo la tecnica della conserva sottolio va sempre associata alla cottura o alla salagione. Una volta sterilizzati i

barattoli di vetro in acqua bollente, gli ingredienti, cotti e lasciati poi asciugare, vanno messi nel recipiente, ricoperti bene d’olio, controllando che vi siano

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


In alto: prosciutto sottolio della Macelleria Properzio di Alanno Scalo (PE). In basso: pecorino sottolio di Piccioni La Bottega delle Carni di Mosciano S. Angelo (TE).

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immersi completamente per evitare la formazione di muffe, e che siano assenti bolle d’aria. Poi si sterilizza di nuovo il tutto per creare il sottovuoto. Alla domanda quale olio sia meglio usare, risponde anche il Ministero della Salute nelle “Linee guida per la corretta preparazione delle conserve in ambito domestico”: l’olio deve essere di primissima qualità e si raccomanda l’utilizzo di olio extravergine di oliva. Ecco in breve la genesi delle mitiche conserve sottolio, dell’esercito di quei vasetti che si schierano sugli scaffali di certe dispense domestiche e gastronomie. Al fatto che funghi, melanzane, carciofini, zucchine, fagiolini, peperoni finiscano nel piatto tutto l’anno e ci delizino il palato siamo abituati. Ma in conserva sottolio non ci finiscono solo i vegetali: nell’olio si immergono anche salumi, carni e formaggi. Un po’ in tutt’Italia. In provincia di Pescara, ad esempio, a Macelleria Properzio (www.macelleriaproperzio.it), oltre alle salsicce, mette sottolio il prosciutto a dadini, pronto per l’aperitivo, solo da adagiare su pane tostato o da utilizzare come condimento per primi piatti. Sempre in Abruzzo Piccioni La Bottega delle Carni (www.piccionicarni.com), oltre il prosciutto crudo tritato finemente e condito con prezzemolo, mette sottolio — olio di produzione propria —, le salsicce di Mora romagnola, le salsicce di suino Nero d’Abruzzo e le salsicce di fegato teramane, quest’ultima specialità tradizionale tipica della zona. Di lavorazione artigianale, le salsicce sono realizzate con carne suina e fegato, sale, pepe ed aromi naturali. Gli animali provengono tutti da piccoli allevamenti della provincia di Teramo. Altra specialità tipica del Teramano, nonché presidio Slow Food, che Piccioni mette sottolio è la ventricina. La lavorazione, nel rispetto delle tradizioni contadine abruzzesi, prevede l’uso di pancetta, ritagli di prosciutto e di lombate. Il tutto tritato finemente, insaporito con rosmarino, aglio, buccia d’arancia, spezie ed erbe aromatiche. Il risultato è un impasto saporito e leggermente piccante che stuzzica il palato. In bottega inoltre non manca, immerso nell’olio insieme ai sottili fili di zafferano, l’altra specialità della zona: il pecorino stagionato del Gran Sasso.

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Sempre sotto il massiccio montuoso più alto d’Italia finisce sottolio il Pecorino di Farindola, presidio Slow Food, formaggio speciale, unico nel suo genere, vuoi per la lavorazione fatta completamente a mano da donne, come tradizione vuole, vuoi per il connubio di pecora e maiale, perché il latte appena munto, filtrato con una tela di lino, è fatto cagliare con un estratto naturale di stomaco di suino allevato in casa. E la ricetta del caglio varia di casa in casa. In questa regione dalla cultura così legata alla pastorizia c’è poi il pecorino di Montone, il cui nome deriva dal paese d’origine, in cui si riconosce in conserva sottolio il pecorino di Atri stagionato almeno 30-40 giorni, altro presidio Slow Food della regione. Una regione poco più su, nelle Marche, c’è anche chi, come la Salumeria Country Pig, fedele alla tradizione locale e famigliare, le salsicce le immerge in olio di semi di girasole, più neutro, e lo profuma con una foglia di lauro tra le note di pepe (www.countrypigshop.com). In Toscana, nella città della torre pendente, ci imbattiamo nei vasetti di carne sottolio della Macelleria Ciampalini (www.ciampalinicarni.it), preparazione tradizionale delle campagne e reminiscenza di quella cultura contadina che puntava a ridurre gli scarti al minimo. Come si legge sul loro sito, quando moriva un lattonzolo (piccolo di suino non ancora svezzato), i contadini per conservarne la carne la mettevano prima nel sale e, una volta fatta spurgare, la cuocevano nel vino (non quello d’annata e buono a bersi, ma vino vecchio e inacidito) con l’aggiunta di bacche di alloro. Lasciata a raffreddare nel brodo veniva poi messa in conserva sottolio. La carne nel vasetto di oggi non è però quella di lattonzolo ma filetto di maiale. Messa in sottovuoto con olio d’oliva, sale, pepe, ginepro e limone, dopo una cottura di sette ore a bassa temperatura per non disperderne il sapore, viene poi conservata in olio di semi. Salendo al Nord, nel Padovano, si ritrova il prosciutto crudo sottolio sotto forma di straccetti del Salumificio Brianza (www.salumificiobrianza.it), confezionato in vasetti da 80 o 200 grammi. Federica Cornia

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PROGETTARE IL CIBO

A 15 MINUTI DA TE, A 15 MINUTI DALLA TUA SALUMERIA LO SVILUPPO DEL COMMERCIO DI PROSSIMITÀ NEL POST COVID-19 di Francesca Monti

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A sinistra e a pagina 63: “Le Paris du quart d’heure Paris en commun”, ovvero la proposta di “Città da un quarto d’ora” del sindaco di Parigi, Anne Hidalgo (fonte: annehidalgo2020.com).

nuovi sviluppi del mondo del lavoro iniziano a riconfigurare un modello di città differente. Come si insedia il commercio in questa nuova prospettiva, quel è il suo ruolo e quali le linee guida per i commercianti della post Covid Era? Oggi il disegno delle città è in trasformazione, si intuiscono i futuri trend del mercato e diventano sempre più chiari i valori che guideranno gli stili di vita delle persone. Il mondo è in continuo cambiamento, forse ne siamo più consapevoli, non del tutto lucidi, ma certi che qualcosa si sta modificando in modo profondo. Le nostre abitudini, i nostri approcci, anche al consumo. Il cambiamento delle abitudini lavorative delle persone, ovvero del 15% della vita degli esseri umani, è un fattore sociale determinante per lo sviluppo futuro del commercio. CARLOS MORENO, il direttore scientifico dell’Università Sorbona di Parigi, ha lanciato l’idea di una “città da 15 minuti”, in cui tutti i servizi siano a disposizione dei cittadini ad una distanza massima di 15 minuti in bicicletta o a piedi. A Milano il modello è stato rilanciato da CRISTINA TAJANI, assessore alle Politiche

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del lavoro, Attività produttive e Risorse umane del Comune di Milano. Se da un lato emergono ragioni ecologiche legate alla riduzione dell’inquinamento, dall’altro l’obiettivo è un aumento del benessere delle persone e della qualità della vita, che si accosta ad un rinnovato senso delle zone periferiche in cui trova spazio il tema dell’inclusione e della coesione sociale. Decentralizzando la vita cittadina, le aree attive e i quartieri dormitorio inizieranno a compensarsi e i borghi urbani ritroveranno una vitalità nuova. Dunque potremmo assistere nei prossimi mesi ad una riscoperta del vivere la città all’interno di nuovi spazi fisici e temporali, quelli flessibili del lavoro agile, che

permettono di gestire la giornata fuori dagli slot standardizzati a cui eravamo abituati qualche mese fa. Le ore di strada nel traffico o sui mezzi per raggiungere il luogo di lavoro diventano tempo di qualità, quello di una passeggiata, tempo per accompagnare i figli a scuola e per gli acquisti, più lenti, consapevoli e relazionali. Si tratta di compensazione, la quotidiana socialità legata all’ufficio viene compensata anche grazie alle relazioni di prossimità col macellaio e il salumiere. Nuovi approcci relazionali che delineano un’idea di comunità in cui l’isolamento viene ridotto e aumenta la diffusione delle possibilità per persone e commercianti al di fuori dei centri urbani.

NON È SUFFICIENTE ADEGUARSI A NUOVE DINAMICHE DI VENDITA COME L’E-COMMERCE MA È INVECE FONDAMENTALE RIUSCIRE A TRASMETTERE SE STESSI, LA PROPRIA IDENTITÀ, DOSARE VERITÀ E FICTION, CREARE NUOVI TIPI DI RELAZIONI E INTERAZIONI

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FEDERICO PAROLOTTO, esperto di mobilità e trasporti, parla di ritrovare la dimensione contemplativa. Se viviamo in un ambiente di qualità siamo più propensi a spostarci in bici o a piedi per raggiungere luoghi di interazioni. Per i commercianti, sviluppare questo tipo di riflessioni aiuta a trovare le chiavi di forza del proprio business per adattarlo al nuovo contesto. In questa logica, il commercio di vicinato, come già abbiamo avuto modo di provare durante le chiusure più o meno rigide degli ultimi mesi, si è posizionato come punto di riferimento per i paesi e i quartieri. C’è un discorso di fiducia, di protezione, di sicurezza che oggi lega il cliente al proprio macellaio. C’è anche una dimensione di prossimità, vicinanza e relazione che porta le persone a sentirsi parte di una comunità. Quando la paura lascia spazio alla speranza, alla fiducia e alla reciprocità allora lì che nasce la possibilità, anche per il mondo della salumeria, spesso legato ad una visione tradizionale, in cui le persone che vi operano hanno

soglie di cambiamento alte. Le soglie di cambiamento, spiegano gli studiosi CRISTINA BICCHIERI e CASS SUNSTEIN, esperta di comportamenti sociali la prima e economici il secondo, individuano il numero di persone che devono attivare un nuovo comportamento prima che lo faccia tu stesso. Chi ha soglia 0 si muove da solo, chi ha soglia 1 aspetta che una persona si agisca prima di lui, e così via. Oggi la soglia si è abbassata: da un lato, chi ha una forte propensione al rischio ha trovato un ambiente favorevole all’ideazione e alla creatività, influenzando e attivando altri, con soglie di cambiamento più alte. Così non solo il commercio si è velocemente trasformato, ma anche le abitudini delle persone. Avvicinarsi al mondo digitale resta uno step fondamentale per la nuova era di commercianti e macellai, ma richiede molta attenzione. Il digitale ha una forte componente di fiction da gestire a cui per sua natura il piccolo commercio locale non è abituato. Non è sufficiente adeguarsi

alle nuove dinamiche di vendita come l’e-commerce, ma ciò che è fondamentale è riuscire a trasmettere se stessi e la propria identità, dosare verità e fiction e creare nuovi tipi di relazioni e interazioni. Più che coerenza si tratta di corrispondenza tra l’essere fisico in un contesto di vicinato, virtuale attraverso la vendita e relazionale in entrambi i casi, con modalità differenti ma capaci di trasmettere gli stessi valori. E se lo stile di vita del domani sarà a 15 minuti, macellai e salumieri tocca a voi. Questo è il momento di costruire un nuovo modo di approcciarsi alla salumeria o bottega di generi alimentari che sappia tener conto delle trasformazioni del mondo del lavoro, che generi valore all’interno del quartiere, che informi persone, le quali oggi sono disposte ad ascoltare, a lasciarsi coinvolgere, a tessere nuovi incontri verso una dimensione condivisa di acquisto consapevole. Francesca Monti Selezione e lavorazione carni www.monticarni.it


PRODOTTI TIPICI

LA SALSICCIA SICILIANA DAL GUSTO BAROCCO A Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il presidio Slow Food che vive di tradizione norcina di Chiara Papotti 66

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A sinistra: Basilica di San Sebastiano a Palazzolo Acreide (photo © Alessandro Neri Immagineria). A destra: la Salsiccia di Palazzolo Acreide (photo © terramadresalonedelgusto.com).

ra Ragusa e Siracusa pulsa il cuore della Sicilia barocca. Opulente cattedrali, palazzi ornati di aquile, cavalli e grifoni, balconi rigonfi di ringhiere panciute. Le città qui mostrano un volto ricco e nobile, profumano di note agrumate, di pistacchio, sesamo e cannella, risplendono nei colori caldi della frutta Martorana, restituiscono al palato l’amaro del cioccolato di Modica e la dolcezza delle mandorle di Avola. Ma l’anima della Sicilia ha anche un altro aspetto golosamente barocco. Tra le pendici dei Monti Iblei un presidio Slow Food sposa la delicatezza del finocchietto selvatico alla forza del peperoncino, i sentori dell’Oriente agli aromi del Mediterraneo. A Palazzolo Acreide, un piccolo comune dalle radici greche, si è conservata nel tempo una lunga tradizione norcina che merita la nostra attenzione. Fin dall’epoca romana in ogni casa si allevavano piccoli suini. A Palazzolo, in particolare, ogni famiglia accudiva uno o due suini neri da cui si ricavava il necessario per vivere. La preparazione più pregiata era la salsiccia perché

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garantiva un doppio consumo: si mangiava fresca per insaporire i piatti e alla brace, oppure si essiccava, per conservarla più a lungo e consumarla tutto l’anno. Nel corso del tempo la tradizione norcina è stata conservata e ancora oggi un piccolo gruppo di produttori mantiene viva la produzione della salsiccia seguendo la ricetta originale. I tagli anatomici utilizzati per la produzione della salsiccia di Palazzolo Acreide sono: gola e guanciale, lardo, coppa, lombo o lonza, spalla, zampino, pancetta e coscia. Il grasso viene aggiunto in una percentuale non superiore al 25%. La carne viene accuratamente tagliata a coltello con grana medio grande e insaporita con sale marino siciliano, peperoncino, finocchietto selvatico degli Iblei e vino rosso della Val di Noto. L’impasto così ottenuto viene insaccato in budelli di origine animale e legato in modo da ottenere la classica forma a salsiccia. Il presidio viene quindi affumicato in appositi locali di stagionatura, rivestiti in legno di ulivo, con lo scopo di esaltare i profumi di vino e finocchietto.

D’altronde si sa, la Sicilia è un trionfo di sapori. Qui tutto è più dolce e più salato. Più corposo e più intenso. Ottima se cotta alla cenere, la salsiccia di Palazzolo viene servita nei ristoranti locali anche in variazioni e declinazioni territoriali, come al Nero d’Avola o in Agrodolce con miele degli Iblei. Molto apprezzata anche secca, come antipasto o per accompagnare un aperitivo, insieme ai pomodorini di Pachino caldi di sole, al Caciocavallo ragusano dal gusto pungente ed abbinata ai vini della Sicilia meridionale, robusti e ad elevata gradazione alcolica. Negli ultimi anni, purtroppo, la tradizionale produzione si sta perdendo. Sono sempre meno i maestri delle carni che seguono la tradizionale tecnica del taglio a mano delle carni e gli allevamenti di suini neri siciliani sono in continua decrescita. Oggi l’associazione Slow Food ha riunito una decina di professionisti per tutelare il presidio: allevatori, macellai, norcini, ristoratori. Il fine è duplice: sostenere la tradizione norcina del paese e divulgare la storia agricola di questa straordinaria terra dal volto barocco. Chiara Papotti

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LA LUGHÉNIA DA PÀSSOLA DI LIVIGNO Antico salame di rape e lardo per superare il rigido inverno, è riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale lombardo di Roberto Villa

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A destra: la tipica lughénia da pàssola (photo © ilgustodelgusto.blogspot.com). In basso: Livigno. Situato vicino al confine svizzero, nel cuore delle Alpi Italiane, sulla sponda del fiume Spöl, è un vero e proprio angolo di paradiso (photo © oreundici – stock.adobe.com).

Il “piccolo Tibet”, terra di passaggio a cavallo delle Alpi ra le Retiche selvose, oltre il passo di Foscagno ed il passo d’Eira ad ovest di Bormio, s’apre, dentro il lunghissimo solco dell’azzurro Spöl, la valle di Livigno. È il Piccolo Tibet di Valtellina questo singolare angolo di mondo che s’allunga per 23 chilometri dalla Forcola e dal Vago a sud, fino al Ponte del Gallo a nord. Un reticolato di creste, di corni, di guglie difende la pace perennemente limpida di quest’altipiano, dal vento, dalla tormenta e dalle cose inutili e chiassose!”. Così la descriveva ALFREDO MARTINELLI (Davos 1909 – Sondrio 1988), valtellinese appassionato della sua terra che decantò in centinaia di articoli, racconti e libri; fu lui l’inventore nel 1967 dell’espressione “piccolo Tibet”, poi divenuta famosa grazie all’espansione turistica che ha contrassegnato quell’e-

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stremo lembo di Lombardia e d’Italia negli ultimi decenni. Anche se pochi sanno che la ricchezza dei livignaschi è arrivata negli anni ‘50 del secolo scorso grazie alla costruzione della diga e del lago artificiale a totale carico della Svizzera per la produzione di energia idroelettrica; da quel momento, con un consistente gruzzolo andato a beneficio della comunità, le famiglie si sono rimboccate le maniche e hanno cominciato a realizzare il piccolo paradiso turistico che tutti oggi conoscono. Questa lunga valle, tributaria del bacino fluviale del Reno e non del Po, è caratterizzata da un clima alpino rigido dettato dall’ubicazione e dall’altitudine oltre i 1.800 metri sul livello del mare, condizioni che risultano proibitive per la maggior parte delle attività agropastorali: la breve stagione favorevole alla crescita dei vegetali — qui non crescono nemmeno segale, grano saraceno e patate, comuni nella Bassa e Media Valtellina — consente unicamente

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Le pàssole, piccole rape saporite (photo © www.livinglivigno.com). di coltivare cavoli e rape accanto ai pascoli e ai prati permanenti dai quali si ottiene un solo sfalcio all’anno, per il fieno da somministrare al bestiame nel periodo dall’autunno alla primavera. Rape, lardo, aglio e un salamino da mangiare spezzato con le mani Le rape costituiscono l’ingrediente principale della lughénia (voce dialettale che sta per lucanica). Si tratta delle rape più piccole e saporite, da essiccare, le pàssole, come le chiamano appunto nel curioso dialetto livignasco, un misto di lombardo occidentale (comasco-lecchese-valtellinese) e ladino dei Grigioni svizzeri con qua e là qualche termine di derivazione squisitamente germanica. La rapa ha rappresentato per interi secoli la fonte vegetale principale per la piccola comunità che rimaneva isolata per oltre sei mesi all’anno e con essa venivano preparati numerosi piatti: semplicemente lessata, oppure affettata e rosolata al burro, trasformata in gnocchi, nella minestra di latte, nel pan da carcént (un pane con rape essiccate, cotte, tritate e miscelate alla farina). E infine miscelata con grasso suino per creare questo salame di piccolo calibro e di lunga durata, idoneo da portare in estate nei pascoli.

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Nella tradizione le rape vengono seminate piuttosto fitte alla fine di maggio col seme delle piante lasciate fiorire l’anno precedente, in modo da avere radici più piccole rispetto alle rape seminate a maggiore distanza. In settembre, dopo la fienagione dell’unico taglio annuale dei prati, si procede alla raccolta, alla legatura in mazzi dell’intera pianta e all’essiccazione appese all’aria nei fienili; dopo tre mesi circa le radici vengono separate dalle foglie ormai secche e riposte in sacchi in attesa della lavorazione. L’uccisione del maiale avviene, altra particolarità rispetto alle zone di pianura, nel mese di marzo e in questo periodo si realizza la produzione familiare della lughénia. La cottura delle rape, ben mondate da terra ed eventuali parti ammuffite, ha luogo in una grande caldaia di rame per due o tre ore senza lasciare disfare la polpa; alla fine le radici raddoppiano il loro peso grazie all’assorbimento di acqua. Raffreddate e pelate, le rape sono aggiunte al lardo in rapporto da due a uno (66%) fino ad uno a uno (50%), macinate nel tritacarne con una granulometria media e mescolate a mano in un recipiente, tipicamente la conca del porcel, insieme a sale, aglio, pepe e, al giorno d’oggi, anche

con cannella, noce moscata e chiodi di garofano; per insaporire di più l’impasto può essere usata anche della pancetta oppure qualche ritaglio di carne magra di suino. L’insacco nel budello di maiale o di pecora lavato in acqua e aceto consente la realizzazione di salsicce lunghe approssimativamente tra i 30 e i 40 cm, che non vengono legate con lo spago ma semplicemente piegate a ferro di cavallo e lasciate ad asciugare nei solai arieggiati per almeno quindici giorni. Li lughénie possono essere consumate anche quando sono ancora morbide, passate in padella oppure rese croccanti nel forno; più tipicamente sono lasciate appese sino a fine primavera, quando comincia la stagione del pascolo dei bovini. Si mangiano a pezzi, rompendole con le mani e non tagliandole con il coltello, senza levare il budello. La consistenza è quasi friabile, asciutta, con un sapore netto di rape e di aglio ed una rotondità conferita dal lardo. Oggi i produttori sono pochi, il consumo è quasi tutto locale mentre i turisti sono nutriti con pizzoccheri, polenta taragna, sciàtt ed altre specialità che poco hanno a che vedere con la povera ma saggia tradizione culinaria livignasca. Con cosa abbinarla Gustata con del pan da carcént insieme ad un tagliere di formaggi freschi o semi-stagionati come lo Scimudìn, il Valtellina Caséra Dop e una locale formaggella d’alpeggio, vede nel vino Rosso di Valtellina Doc1 l’abbinamento perfetto, il meno impegnativo fra i vini a base di Chiavennasca, la varietà locale di Nebbiolo coltivata sui terrazzamenti della media valle. Un abbinamento autoctono consigliato è quello con la birra del Birrificio 18162, il birrificio più alto d’Europa che ha sede proprio nel comune di Livigno: si può tentare con la Smoked, birra affumicata stile rauchbier di Bamberga, ideale per bresaola e speck e che ben si accompagna senza sovrastarlo al gusto dolciastro della lughénia. Roberto Villa Note 1. www.vinidivaltellina.it 2. www.1816.it

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CARNE SALADA, CARNE FUMADA, SALUMI STORICI DEL TRENTINO di Giovanni Ballarini

arne salada e Carne fumada sono due salumi caratteristici del Trentino generalmente preparati con tagli di manzo o bovino (fesa, sottofesa e magatelli), lingua di vitellone o coscia di cavallo.

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I tagli, ripuliti dalle parti grasse e tendinose, sono cosparsi con una miscela di sale e altri ingredienti e disposti in un contenitore dove rimangono dalle due alle cinque settimane a seconda delle dimensioni. Durante il periodo di

maturazione la carne è conservata in locali bui ad una temperatura massima di 12 °C e massaggiata ogni 2/3 giorni. La Carne salada è un prodotto di cui si trova traccia scritta già nel 1400 nel Libro de cosina composto et ordinato

Carne salada (photo © convivium.it).

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per lo hegregio homo Martino de Rubei de la Valle de Bregna, coquo dell’illustre Signore Johanne Jacobo Trivulzio. In seguito non mancano citazioni in libri ora riediti come quelli di GIULIA LAZZARI TURCO (1848-1912, Piccolo Focolare, riproposto ne L’antico focolare. 690 ricette dell’Ottocento da riassaporare, Editore Reverdito) e di ANNA LUCIA e CARLO ALBERTO BAUER (Il Bauer. Cultura, tradizioni, ricette della cucina trentina, Editore Reverdito). La conservazione delle carni di bovino si deve probabilmente alla loro abbondanza, come riferiscono MICHEL’ANGELO MARIANI nel 1671 nel volume Trento con il Sacro Concilio et Altri Notabili (Ariete, 1970) e ALDO BERTOLUZZA in Casa e cucina trentina in otto secoli di principato: usi costumi folclore nella nota della spesa (Dossi Editore, 1972). Sale, nitriti e fumo Nella Carne salada la salagione è a secco, a volte seguita a salagione in salamoia. L’uso del sale secco o in soluzione (salamoia) e del fumo nella conservazione della carne è pratica molto antica. L’uomo ha imparato fin dagli albori della sua esistenza l’arte di conservare il cibo. Fu la natura a insegnare come procedere: freddo e il calore — affermava BACONE — sono le due mani della natura a disposizione dell’umanità, insieme a poche altre sostanze quali il sale, l’olio, l’aceto, l’alcool, la cenere, le spezie... I conservanti divennero indispensabili in cucina per aiutare a superare i lunghi inverni, sopperire alle calamità naturali e alle devastazioni belliche. Oggi sappiamo che il sale inibisce la crescita dei microrganismi e che concentrazioni fino al 20% di sale marino o di miniera sono necessarie per uccidere la maggior parte delle specie dei batteri indesiderati, mentre i fumi di legno aggiungono sostanze chimiche alla superficie della carne che riducono la concentrazione di sale necessaria alla conservazione. Antico è anche l’uso dei nitrati, originariamente presenti come impurità nei sali usati per la conservazione alimentare. La conservazione delle carni con il sale era nota agli antichi Egizi, ai Greci e ai Romani e in passato la carne salata è stata un alimento base della dieta di popolazioni di molti Paesi di Europa,

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Carne fumada, prodotto tipico del comune di Siror, in provincia di Trento. La Macelleria Bonelli di Primiero di Siror la produce con il girello di manzo, che, introdotto in una rete tipo arrosto, è posto in una vasca e cosparso di sale, pepe, alloro, ginepro, rosmarino per 15 giorni. Viene poi asciugato, affumicato in forno con segatura di legno di latifoglie e rami di ginepro e infine posto nel locale di stagionatura per un periodo di almeno due mesi. La sua ricetta è stata inserita nell’Atlante dei prodotti tipici trentini (photo © www.trentinosalumi.it). Asia, Africa e Americhe, soprattutto dei marinai. Nella Carne fumada si usa l’affumicamento, tecnica di conservazione della carne utilizzata già nella preistoria e che consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione del calore e del fumo. Il calore e il fumo sono sprigionati dalla combustione di alcuni legni, in particolare faggio, castagno e quercia, ma anche ulivo, il cui fumo conferisce ai cibi aromi particolari. Per le carni si usa soprattutto l’affumicatura a freddo (20 ° – 45 °C), dove il fumo penetra lentamente nell’alimento, mentre l’alimento è appeso ad una distanza e protetto dal calore diretto della brace. Dura a lungo, secondo le dimensioni dell’alimento. L’effetto antisettico dell’affumicamento avviene per diversi fattori che determinano l’inattivazione dei microrganismi: calore, disidratazione, mancanza di ossigeno, presenza di sostanze antibatteriche nel fumo, tra cui la formaldeide. Il fumo può contenere idrocarburi policiclici aromatici riconosciuti come cancerogeni e per questo motivo in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, è consentito l’utilizzo di prodotti aromatizzanti che simulano l’affumicatura, ma che non consentono di ottenere i risultati delle

tecniche tradizionali. Per diminuire la formazione degli idrocarburi è preferibile l’affumicatura a freddo. Per quanto nella carne, come nella Carne fumada, l’affumicamento spesso si accompagna alla salagione, generalmente effettuata prima dell’azione del fumo, cui segue un processo di stagionatura. Carne salmistrada o fumada della Valle di Cembra Nella Val di Cembra, al confine con l’Alto Adige e la Val di Fiemme, la Carne salada diventa Carne salmistrada, ottenuta dai quarti posteriori di animali diversi quali suino, cavallo, asino, castrato, capra, cervo o capriolo. Se viene sottoposta ad affumicatura prende il nome di Carne fumada. Usi in cucina In origine Carne salada e Carne fumada erano adoperate per realizzare dei bolliti, ma nei secoli il perfezionamento delle tecniche produttive ha permesso un utilizzo molto più vario e oggi abbiamo piatti tradizionali con Carne Salada e Carne Fumada cotte, saltate in padella o grigliate, e servite con insalata di fagioli, oppure crude, come carpaccio o tartare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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A PUNTA DI COLTELLO È il taglio tipico di alcune varietà di salsiccia e salami che costituiscono il vanto dei salumificatori più esperti. Sono diffuse dal Sud al Nord d’Italia, con tante particolarità locali che conservano le tradizioni più antiche di Nunzia Manicardi 74

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ià la definizione “a punta di coltello” fa venire l’acquolina in bocca, rimandandoci l’idea di un prodotto naturale, campagnolo, da gustare sull’aia di una cascina in mezzo al verde. In effetti il taglio a punta di coltello caratterizza una tecnica artigianale di realizzazione di salami e salsicce e una particolare cura nella scelta degli ingredienti che dovrebbero anche essere a garanzia di una maggiore genuinità ed appetibilità tant’è vero che, se sono davvero freschi, non necessitano dell’aggiunta di salnitro. Per il resto non si differenziano molto dagli altri salami e salsicce. Quello che cambia è la lavorazione, che deve fornire una grana grossolana ma facilmente percepibile al palato in tutte le sfumature gustative. Per questo motivo la carne, nella consueta mescolanza di parti magre e parti grasse, dovrà essere davvero magra mentre il grasso dovrà essere lardo di schiena privo di infiltrazioni. Molto importante sarà poi anche l’inserimento delle spezie locali, che andranno sapientemente a caratterizzare i prodotti in base alle preferenze delle singole zone di produzione. La produzione di questo tipo di salumi è quindi, come facilmente comprensibile, riservata ai salumificatori esperti. L’impasto a grana grossa è ottenuto tagliando col coltello dapprima a striscioline e poi a dadini molto piccoli delle parti di suino integre, mai tritate in precedenza, perché altrimenti il calore sprigionato dalla macchina guasterebbe l’impasto e quindi anche il sapore dell’insaccato. Questo è il motivo per cui si usa il coltello (o due coltelli in azione alternata): per preservare la freschezza. La salsiccia così lavorata è ottima sia fresca (ma bisogna essere davvero sicuri della provenienza!) che cotta alla brace (preferibile, a nostro avviso) o anche in padella. Dal punto di vista tecnico la difficoltà maggiore nella lavorazione a punta di coltello è quella di evitare che all’interno del prodotto si formino bolle d’aria che ostacolerebbero una corretta stagionatura. Successivamente bisogna massaggiarlo bene e legarlo strettamente e poi, se si tratta di salsiccia, dopo qualche giorno di riposo è già pronta per il consumo mentre, nel caso del salame, esso viene stufato per circa un giorno, dopo di che rimane per almeno

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CHI LA FA DA PROTAGONISTA NELLA LAVORAZIONE A PUNTA DI COLTELLO È SICURAMENTE LA SALSICCIA. DIFFUSA DAL SUD AL NORD DELLA PENISOLA, SI PRESENTA IN TANTE VARIETÀ LOCALI, OGNUNA CON UNA SUA PARTICOLARE RICETTA, CON CARNI, DOSAGGI E SPEZIE MOLTO DIVERSI FRA LORO 60 giorni in camera di stagionatura. Chi la fa da protagonista nella lavorazione a punta di coltello è sicuramente la salsiccia. La salsiccia a punta di coltello è diffusa dal Sud al Nord della nostra Penisola, dove si presenta in tante varietà locali, ognuna con una sua particolare ricetta, con carni, dosaggi e spezie molto diversi fra loro. Queste ultime, in particolare, cambiano a seconda delle zone di produzione, però le caratteristiche di base rimangono le medesime: carne di maiale di qualità e senza aggiunta di conservanti, artigianalità e spezie locali. In Sicilia la salsiccia viene preparata mischiando le parti grasse del suino con quelle magre, come coscia, pancetta e spalla, e ottenendo un prodotto morbido e molto gustoso anche perché, prima di consumarla, la si lascerà riposare quanto necessario dopo averla speziata con finocchietto selvatico, sale e pepe nero. In Puglia molto apprezzata e conosciuta è la salsiccia a punta di coltello dell’Alta Murgia, di antiche origini, la cui peculiarità è la presenza del prosciutto. Si presenta di colore rosso cupo su cui spiccano le parti bianche del lardo, ha una consistenza pastosa e un sapore dolciastro, con aggiunta di finocchietto selvatico e peperoncino. L’impasto, insaporito con vino bianco e lasciato riposare per 2-3 giorni, viene insaccato in budella naturali e legato con lo spago per la stagionatura di 20-40 giorni. Sempre in Puglia, ma nel Salento, si utilizzano il controfiletto, il capocollo e il lardello. In Basilicata (Lucania) è addirittura possibile trovare le origini della salsiccia stessa che dal nome degli abitanti, lucani, prese il nome di lucanica (luganega). Qui pure viene preparata a punta di coltello.

In Campania la salsiccia si presenta di diametro compreso fra 2,5 e 3,5 cm, lunghezza del budello variabile da 5 cm fino al metro senza legatura (che viene effettuata con spago per alimenti) e aggiunta di pepe nero in grani o macinato oppure semi di finocchio o peperoncino macinato, dolce o piccante. Esistono versioni con vino bianco o rosso, formaggi (provola, mozzarella, caciocavallo), friarielli già cotti e altro ancora. Nelle Marche la lavorazione è pressoché simile a quelle già descritte, con la particolarità dell’aggiunta del vino bianco locale di qualità Verdicchio e la presenza dell’aglio. In Veneto si usano solo la spalla e la pancetta con l’aggiunta, anche in questo caso, del vino bianco locale, il Prosecco. C’è anche la variante stagionata per oltre un mese. Inoltre qui la salsiccia in genere è più salata e può presentare l’inserimento del tartufo. In Trentino Alto Adige viene prodotta con spalla, lardo, pancetta e coscia dei maiali neri dell’Aspromonte e si condisce con sale, pepe e aglio. Il gusto tipico della salsiccia di questa regione è quindi dovuto alla qualità della carne di suino. Insomma, la si può trovare ovunque e, attualmente, anche presso i supermercati ma, se è possibile, è preferibile rifornirsi da un macellaio di fiducia che possa darvi il meglio del prodotto artigianale del posto. Nunzia Manicardi Nota A pag. 74, salsiccia a punta di coltello dell’Alta Murgia; è caratterizzata dalla presenza del prosciutto nell’impasto (photo © www.facebook.com/ Salsiccia-a-Punta-di-Coltello-dellAltaMurgia-109298512513135/photos/109299269179726).

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CURIOSITÀ

LA MELATA DI NOCCIOLO di Riccardo Lagorio

agine e speciali dedicati al miele sono stati pubblicati più volte su questo dorso e da ultimo sul numero 5/2020 (LAGORIO R., Scoprire il Roero e le sue Rocche sulla Strada del Miele, pag. 68) ci si è concentrati su una particolare area, il Roero, dove la produzione di miele disegna il territorio. In quei giorni (luglio 2020) non era ancora stata divulgata la notizia che proprio nel Roero si era messo a punto un miele… nuovo. In verità una melata, la melata di nocciolo. Il miele viene generato dalle api che, dopo aver tratto il nettare dai fiori, lo elaborano grazie ai propri enzimi e lo lasciano maturare negli alveari. La melata deriva invece da

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Un’autentica rarità. Nella prima campagna produttiva il colore è brillante e si colloca tra il rosso mattone e il ruggine. Il profumo ricorda la susina essiccata. In bocca il rimando più diretto è al caramello, con una sapidità finale assai persistente, quasi salina una sostanza dolce che viene prodotta da alcuni insetti (che suggono la linfa dei vegetali) e che le api trovano sulle foglie o sulle cortecce degli alberi. Le api ricorrono a questa fonte zuccherina quando la fioritura è scarsa in quanto ci si trova in zone boschive o non vi sono

fioriture significative. «Qui nel Roero, grazie alla conformazione geologica e morfologica del territorio, è ancora possibile ottenere mieli monoflorali: le colline scoscese impediscono la coltivazione a vigna o nocciola e quindi vi sono numerose essenze arboree. In aree

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In alto: i coniugi Elena Fantinato e Cristiano Rabino. A sinistra: noccioleto. In basso: la melata di nocciolo Mieli Roche (photo © www.mieliroche.it). caratterizzate da monocoltura ciò non è più vero» svela CRISTIANO RABINO, che nel 2012 ha fondato Mieli Roche a Vezza d’Alba, prediligendo l’apicoltura ad un tranquillo lavoro in banca. «Il salto sarebbe stato impossibile senza il contributo di mia moglie ELENA FANTINATO», dice con orgoglio. Un’esperienza quasi decennale che gli è servita per capire che qualcosa stava accadendo durante la primavera. «Da tre anni notavo che, verso il termine di aprile, tra la fine della fioritura di tarassaco e ciliegio e l’inizio della fioritura dell’acacia, le api frequentavano le coltivazioni di noccioli. Tuttavia nessuno avrebbe mai pensato a selezionare questo loro raccolto. Già nel 2019 avevamo notato un colore anomalo nel miele di acacia, aranciato. Così abbiamo dedotto che la presenza nei noccioleti delle api poteva avere una relazione diretta col colore del miele. E nel 2020 abbiamo provato a isolare il lavoro delle api a fine aprile, a cavallo delle fioriture canoniche». In verità la melata è stata ottenuta grazie a particolari circostane come le condizioni climatiche favorevoli e l’azione combinata con i corilicoltori, che si sono astenuti da copiose aspersioni di insetticidi dannosi per le api, utilizzando solo zolfo, che su di esse non sortisce nessun danno. Sì, perché gli insetti che fanno da ponte tra il nocciolo e le api vengono considerati dei parassiti spesso dannosi. Spesso da sopprimere. Ma l’altro aspetto che rende particolarmente interessante la nascita della melata di nocciolo è che solitamente la

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cocciniglia vive in giugno: è plausibile che l’aumento delle temperature abbia permesso lo sviluppo dei parassiti in questo periodo propizio per il lavoro delle api. «Spostiamo gli alveari in diversi luoghi del Roero, in particolare vicino alle Rocche, ricche di boschi, a seconda delle fioriture utili per la produzione dei mieli di tarassaco-ciliegio, acacia, castagno, tiglio e melata di bosco. Da ora in avanti avremo un occhio di riguardo ai noccioleti» spiegano Cristiano ed Elena. Proprio per la novità che rappresenta, non esiste ancora una descrizione ufficiale della melata di nocciolo. Nella prima campagna produttiva il colore è brillante e si colloca tra il rosso mattone e il ruggine. Trascorso un anno dalla raccolta non si è cristallizzato e la viscosità è simile a quella delle altre comuni melate. Il profumo ricorda la susina essiccata. In bocca il rimando più diretto è al caramello, con una sapidità finale assai persistente, quasi salina. «Per poter creare una schedatura dovremo continuare la raccolta per qualche anno», precisa Cristiano Rabino. Intanto l’abbiamo azzardata noi. Per la gioia dei nostri lettori che ora sanno di più di questa autentica rarità. Riccardo Lagorio Mieli Roche Apicoltura del Roero Via Castagnito 14-B 12040 Vezza d’Alba (CN) Telefono: 333 8447993 E-mail: info@mieliroche.it Web: mieliroche.it

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MERCATI

Bresaola della Valtellina IGP, SEGNALI DI RIPRESA

Photo © acrogame – stock.adobe.com

a un anno a questa parte la pandemia ha insidiato da più fronti l’economia del Paese. Per la Bresaola della Valtellina IGP è stato un anno complicato, in linea con l’andamento dei salumi di alta fascia. Nonostante le evidenze di crescita del 2019 e di inizio 2020 parlassero di un settore in piena salute, lo scenario è cambiato con l’inizio del lockdown anche per questo salume che pure riscontra da parte del consumatore un evidente apprezzamento. Il comparto,

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caratterizzato anche dalla variabilità di prezzo della materia prima, soprattutto nei primi mesi dell’emergenza è stato, infatti, tra i più penalizzati all’interno di un alimentare dinamico. E i dati del 2020 lo confermano: la produzione complessiva di Bresaola della Valtellina IGP riferita alle 16 aziende certificate si è attestata a 12.600 tonnellate (–8,78% sul 2019). La produzione riferita alle aziende associate costituisce la quasi totalità della produzione di Bresaola della

Valtellina IGP certificata dall’organismo di controllo CSQA. In totale, sono state avviate alla produzione di Bresaola della Valtellina IGP poco più di 35.000 tonnellate di materia prima (per il 90% di taglio punta d’anca), di selezionata provenienza europea e mondiale, con percentuali diversificate da produttore a produttore. Sul fronte consumi, in graduale espansione da 20 anni, il comparto ha segnato un valore di 454 milioni di euro (–7,59% sul 2019) con un impatto di

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«La riduzione dei consumi fuoricasa e le mutate abitudini del consumatore ci hanno penalizzato, ma il nostro comparto si conferma di notevole impatto economico e, soprattutto, ci sono segnali di ripresa confortanti» sostiene il presidente del Consorzio Franco Moro. «Guardiamo al futuro con ottimismo e la volontà di far ripartire il settore, con lo sforzo di utilizzare tutta la materia prima italiana possibile, compatibilmente col Disciplinare e gli standard di qualità necessari per produrre la Bresaola della Valtellina IGP

assoluto rilievo sulla provincia di Sondrio di 214 milioni di euro (–8,78%), per un settore che conta 1400 occupati. Lato distribuzione, la GDO si conferma il principale canale di vendita. L’export rappresenta il 7% della produzione, con un valore di 18.500 milioni di euro. Sono state esportate poco meno di 900 tonnellate di Bresaola della Valtellina IGP, un dato significativo anche se in calo oggettivo, causa pandemia, rispetto al 2019 (–29%), di cui il 72% nei Paesi UE (Austria, Belgio,

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Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, San Marino, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Spagna Ungheria) e il 28% nei Paesi extra UE (Albania, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Gran Bretagna, Hong Kong, Kazakistan, Kenya, Kuwait, Libano, Moldavia, Qatar, Serbia, Seychelles, Svizzera). «Il 2020 non è stato un anno semplice — commenta FRANCO MORO, presidente del Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina — dopo un secondo trimestre dell’anno preoccupante (in corrispondenza del primo lockdown), nel corso dell’estate (già a partire da giugno) c’erano stati segnali promettenti di ripresa. Poi, col ritorno della seconda ondata di ottobre, i numeri sono tornati in calo. Tra le cause ovvie c’è soprattutto l’importante riduzione dei consumi fuoricasa e, più in generale, le mutate abitudini del consumatore che, a causa dell’impatto significativo che l’emergenza ha avuto a livello economico e di reddito, ha optato per altre scelte d’acquisto e per altre referenze di salumi dal prezzo medio più basso». Secondo l’analisi del Consorzio, inoltre, alla base della riduzione dei volumi c’è anche la limitazione degli acquisti al banco taglio: per diminuire i contatti ravvicinati con gli altri clienti nei supermercati si è preferito evitare il banco assistito. Mentre l’acquisto del prodotto in vaschetta, già predominante negli anni precedenti, è cresciuto in termini assoluti (+2,3% sul 2019), con oltre 6.000 tonnellate, cioè il 50% della

produzione totale di Bresaola della Valtellina IGP. «Siamo tenaci e positivi — continua il presidente Moro — cominciamo a riscontrare lievi segnali di ripresa e confidiamo che, appena sarà possibile allentare le misure di restrizione e stabilizzare le riaperture, anche i consumi di bresaola torneranno a crescere, vista la fiducia e l’apprezzamento che il consumatore riserva al nostro prodotto unico nel suo genere. Guardiamo al futuro con ottimismo e con la volontà di far ripartire il settore, nonostante le difficoltà legate agli elevati e variabili costi della materia prima bovina. Come Consorzio, abbiamo ridefinito la strategia e le linee di azione, prestando particolare attenzione al territorio e alla sua valorizzazione, con un approccio sempre più consapevole verso la sostenibilità, elemento irrinunciabile a cui siamo molto sensibili. Come produttori di bresaola abbiamo intensificato l’impegno di utilizzare tutta la carne italiana disponibile, registrando un incremento del +17% rispetto al 2019 della bresaola fatta partendo da carne italiana. Certo, i numeri sono ancora molto limitati, soprattutto per la Bresaola a marchio IGP, tenuto conto dei requisiti di idoneità previsti dal Disciplinare e degli standard qualitativi richiesti che sono un parametro oggettivo. Detto questo, siamo disponibili a valutare ogni possibile collaborazione con la filiera italiana, che riesca a garantire una materia prima idonea alla trasformazione secondo Disciplinare». >> Link: bresaolavaltellina.it

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La prima Carta delle Bresaole di Rigamonti Rigamonti punta sempre di più su qualità totale, filiere certificate e diversificazione di gamma. Dopo la sinergia avviata con Coldiretti per valorizzare l’oro rosso piemontese all’interno della filiera 100% italiana, il leader mondiale della Bresaola ha lanciato la sua prima “Carta delle Bresaole”: un vademecum dedicato ai consumatori, per scoprire il mondo della bresaola a partire da origine, gusto e caratteristiche delle carni in base alle razze, con schede di degustazione, abbinamenti e ricette. Il vademecum, scaricabile dal sito www.rigamontisalumificio.it, è stato realizzato in collaborazione con il giornalista enogastronomico MARCO BOLASCO, che ha curato il panel sensoriale delle bresaole, e ANGELA SIMONELLI, food designer che ha firmato le dieci ricette inedite. Uno strumento che invita alla sperimentazione di un salume versatile, declinabile in numerose varianti. Quali? Innanzitutto la Bresaola della Valtellina IGP (quarto tra i salumi DOP e IGP in Italia per valore alla produzione, per il Gruppo Rigamonti vale circa il 50% del fatturato), particolarmente apprezzata dagli Italiani per la sua magrezza e il suo sapore distintivo, e nel caso di Rigamonti realizzata per il 90% con un taglio di prima scelta: la punta d’anca di Zebù sudamericano, ma anche Bresaola certificata 100% italiana 4 IT da razze nostrane (come Bruna Alpina e presto la Fassona) con caratteristiche note speziate e pepate e da gustare in fette più spesse. Per chi cerca sapori più decisi c’è Bresaola di Black Angus — da Australia, USA o UK — più marezzata (con un pizzico di “grasso” in più) e per questo ancora più gustosa, corposa e avvolgente. Ma anche quella sudamericana di Angus, con note erbacee e lievemente speziate, perfetta in abbinamento a una marmellata di arance amare. Infine, la Gran Fesa Rigamonti da bovini di razze europee Charolaise e Limousine, equilibrata e dal finale sapido e lievemente amaro, da gustare magari accanto a miele, caprino e erba cipollina sorseggiando una birra in stile blanche. Al vademecum si affianca una campagna social sui canali Facebook e Instagram di Rigamonti e una pagina ad hoc sul nuovo sito web dell’azienda. Per CLAUDIO PALLADI, AD Rigamonti: «Con questo vademecum vogliamo far conoscere ai consumatori in maniera piena e trasparente la nostra gamma di bresaole e la loro origine, le loro differenti caratteristiche e le sfumature di gusto, a seconda delle razze bovine utilizzate e della loro provenienza. È fondamentale in questo senso non demonizzare la provenienza estera della materia prima: i quantitativi di carne italiana destinati alla Bresaola — oggi pari a 700 tonnellate, 500 delle quali acquistate da Rigamonti — non saranno mai in grado di soddisfare l’intero mercato. Senza la materia prima estera non esisterebbe la bresaola. Quello che conta è il percorso di qualità totale intrapreso nella selezione della carne estera, nella scelta di fornitori certificati, unito alla ferma volontà di proseguire nella valorizzazione delle razze italiane. Questi due concetti non sono in antitesi ma vanno di pari passo. Ad oggi siamo gli unici sul mercato a visitare personalmente le fazendas in Brasile e ad attuare per la carne sudamericana un controllo di filiera certificato CSQA per l’allevato pascolo e all’aperto, che nel 2020 ha registrato un +10%. Così come siamo gli unici a produrre in accordo con Coldiretti la Bresaola da filiera 100% italiana (4IT), con animali nati, allevati, macellati e lavorati in Italia: una nicchia cresciuta del 20% nell’ultimo anno ma che può e deve crescere ancora». >> Link: www.rigamontisalumificio.it

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International Food Fair

fieramilano 22-26 October 2021

Adding value to taste #BetterTogether


Salame Felino IGP: comparto in salute, nonostante la pandemia Nonostante le inevitabili complicazioni legate all’emergenza sanitaria da Covid-19, il comparto del Salame Felino IGP — che raggruppa 14 aziende parmensi, per un totale di circa 500 addetti, considerando anche l’indotto — si conferma in buona salute. Il fatturato al consumo ricalca quello del 2019, superando di poco quota 75 milioni di euro. Il quadro fotografato da ECEPA – Ente di Certificazione di Prodotti Agroalimentari è complessivamente positivo: negli ultimi 12 mesi crescono sia la quantità di materia prima lavorata (+2,7%), sia le produzioni etichettate (+2,1%). Dall’analisi dei dati di mercato, la GDO si conferma il principale canale di commercializzazione. Il Salame Felino IGP viene premiato in particolare nel libero servizio e non viene penalizzato dal calo del banco taglio, che ha interessato altri salumi: questo perché in genere viene acquistato intero o in tranci. La crescita più significativa riguarda il segmento del preaffettato, che fa registrare un +8,4%. Il canale più penalizzato è l’Ho.re.ca., con un andamento delle vendite che è stato uno specchio dei periodi di lockdown: nei momenti di apertura dei locali, comunque, le vendite si sono attestate sui livelli del 2019. Complessivamente, però, il calo dell’Ho.re.ca. è stato compensato dai buoni risultati in GDO. Sul piano dell’export, il comparto del Salame Felino Igp ha saputo reagire all’emergenza Covid-19, facilitato dal fatto che l’83% delle esportazioni sia realizzato nei Paesi dell’area UE. «Possiamo considerarci soddisfatti. Per il 2021, il sentimento prevalente è quello di un cauto ottimismo, per quanto sia azzardato fare previsioni: confidiamo nella graduale riapertura di bar e ristoranti, in modo tale da tornare a crescere nel segmento Ho.re.ca.» spiega Umberto Boschi, presidente del Consorzio di Tutela del Salame Felino IGP. «Col progredire della campagna vaccinale, anche l’export dovrebbe tornare a far registrare un segno positivo. Non desta particolari preoccupazioni l’uscita del Regno Unito dalla UE: il quadro normativo è in continua evoluzione, rimaniamo vigili. Passando al mercato domestico, intravediamo potenzialità di crescita nel segmento della marca del distributore, che, secondo le ultime rilevazioni The European House – Ambrosetti, pesa oggi per l’8% dell’industria alimentare italiana. Sempre più l’offerta private label si sta differenziando, col lancio di nuove linee premium: una nicchia perfetta per il Salame Felino Igp, prodotto unico per tradizione e per le sue caratteristiche di artigianalità e di eccellenza qualitativa». Per quanto riguarda la comunicazione, nell’impossibilità di prevedere la partecipazione a manifestazioni fieristiche o eventi, che in futuro torneranno a essere il principale veicolo di promozione, il Consorzio è orientato a esplorare le potenzialità del web e degli strumenti digitali (photo © Infraordinario Studio).

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Salame di Varzi DOP, il confezionato raddoppia

In un anno caratterizzato dalla crisi pandemica, il Salame di Varzi DOP ha registrato un significativo aumento delle vendite, con una particolare performance nel segmento del prodotto confezionato. Nel 2020 sono stati certificati 634.000 kg di Salame di Varzi DOP, con una crescita del 4,2% rispetto all’anno precedente. «Un dato che supera di gran lunga le aspettative — commenta Fabio Bergonzi, presidente del Consorzio di tutela del Salame di Varzi, recentemente riconfermato alla guida del Consorzio per il triennio 2021-2023 — tenendo conto soprattutto della forte contrazione del settore della ristorazione che costituisce un importante canale di vendita. Questo vuol dire che la crescita è stata trainata dalle vendite al dettaglio, GDO e dal maggiore ricorso al canale e-commerce. In altri termini, è aumentata la fascia di pubblico che apprezza il Salame di Varzi per il suo gusto unico e l’alta qualità che lo contraddistingue e, inoltre, è cambiata la frequenza e la modalità di acquisto del prodotto. A conferma di ciò, si registra la notevole crescita dell’affettato, formato di acquisto particolarmente apprezzato durante il lockdown per la praticità d’utilizzo e la maggiore conservabilità. Basti pensare che nel 2020 sono state prodotte e commercializzate 451.807 confezioni rispetto alle 197.475 dell’anno precedente, con un incremento del 128%. I dati positivi registrati nel 2020 sono una conferma del lavoro svolto dal Consorzio costantemente impegnato ad ampliare la diffusione del Salame di Varzi in Italia e all’estero». Il Salame di Varzi deve la sua qualità al dosaggio ottimale degli ingredienti accuratamente scelti, alle tecniche di lavorazione contadina che si sono affinate attraverso i secoli, pur mantenendo la loro originalità, e anche alla conformazione del territorio, favorito da quel micro-clima montano tipico della Valle Staffora tra la brezza marina ligure e l’aria fresca di montagna. L’insieme di queste condizioni ha permesso ai produttori di sfruttare l’instaurarsi di particolari processi enzimatici e la trasformazione biochimica del prodotto per il quale vengono utilizzate le parti più nobili del maiale, secondo le proporzioni stabilite dal Disciplinare di produzione. Salame a grana grossa, compatta, con la parte grassa ben bilanciata e di colore bianco, questa eccellenza per essere degustata al meglio, deve essere tagliata a fette spesse per cogliere a pieno l’aroma fragrante, leggermente speziato, così come la sua morbidezza, la delicatezza e dolcezza.

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BELLE BOTTEGHE

I cinghiali di Manuele di Massimiliano Rella

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alsicce, carni e prosciutti di cinghiale del Parco Nazionale del Circeo e da qualche mese anche del Parco della Riviera di Ulisse, una quarantina di chilometri a sud, verso Formia, in odore di Campania, ma siamo ancora nel Basso Lazio. La parabola della Macelleria e Norcineria Avagliano, di Sabaudia,

provincia di Latina, si arricchisce così di un nuovo tassello, l’unica impresa autorizzata alla cattura dei cinghiali nei due Parchi. «La sera facciamo pasturazione con granoturco per avvicinare gli animali ai chiusini, che sono delle gabbie di cattura triangolari di 7 metri per lato. In questo modo il cinghiale rimane vivo, non subisce choc e la

mattina viene trasportato in mattatoio in casse di legno e non metalliche (per il benessere animale). Qui è macellato come avviene coi maiali, cioè muore per choc elettrico, poi dissanguato, per evitare il sapore forte dovuto all’adrenalina in circolazione nel sangue e ottenere una carne più delicata, proprio per il processo di macellazione. Una

Manuele e il papà Vincenzo Avagliano davanti al banco della loro macelleria a Sabaudia (LT).

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carne che può andare in cottura senza bisogno di marinature», ci spiega MANUELE AVAGLIANO, 37 anni, titolare col padre VINCENZO e la sorella FRANCESCA del negozio con laboratorio su Corso Vittorio Emanuele II, aperto dal lontano ‘66 per volere dello stesso Vincenzo, ex pugile professionista di Cava dei Tirreni, Caserta. L’idea di sviluppare una linea di carni, salumi e insaccati con i cinghiali del Parco del Circeo nasce sei anni fa in seguito ad un progetto di contenimento della popolazione, voluto dall’Ente Parco, che ha permesso di “abbattere” finora oltre 200 capi. La partecipazione alla gara voluta invece dal Parco della Riviera di Ulisse, con sede a Gianola, avrà validità di tre anni e permetterà di ampliare numero e quantità di prodotti trasformati. Gli animali, una volta catturati con la tecnica della pasturazione come detto, sono appunto trasportati in gabbie di legno (materiale che attutisce gli urti meglio del metallo) direttamente al mattatoio di Torrice (Frosinone), l’unico autorizzato sul territorio per la macellazione dei selvatici. «Si tratta di cinghiali di razza Maremmana, con pezzatura massima di 150 kg da vivi» continua Manuele. «I piccoli sono portati nel nostro allevamento vicino Sabaudia, dove abbiamo una cinquantina di capi allo stato semibrado». Nel laboratorio sul retro del negozio la carne di cinghiale è lavorata per farne gustosi prodotti: coppa di testa, ragù per condimenti, bistecche, salsicce fresche e stagionate, guanciale, corallina e prosciutto. Quest’ultimo arriva a costare tre volte il “normale” prosciutto di coscio suino poiché, asciugandosi, cala di peso di almeno il 55-60%. La stagionatura delle pezzature più piccole, compresi i salami, viene fatta direttamente nei locali della macelleria, mentre i cosci più grandi sono portati in stagionatura a Bassiano (LT), il paese dei Monti Lepini che dà il nome a un rinomato prosciutto laziale. Gli Avagliano, c’è da aggiungere, avevano sperato in un’operazione analoga anche con i daini del Circeo, ma il costo proibitivo di 60.000 euro solo per partecipare al bando ha fatto arenare ogni speranza. Eppure, secondo stime di pochi anni fa si contava una popolazione di ben 1.300 daini.

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Prosciutto (in alto) e guanciale (in basso) di cinghiale Maremmano del Circeo. Il cinghiale rimane una nicchia per questa azienda familiare che ha in realtà un business principale (del 70%) nei prodotti norcini fatti in casa. I suini sono in parte allevati dagli stessi Avagliano a ridosso del Parco Nazionale del Circeo con incroci di Cinta senese e Nero casertano: una trentina di capi allo stato semibrado alimentati di ghiande e fioccato (cereali essiccati e pressati); solo cibo asciutto. L’approvvigionamento si completa coi suini di un allevamento di Pomezia (Roma) e per la carne vaccina,

in preferenza Frisone, da vari allevatori dell’Agro Pontino. Massimiliano Rella Macelleria Avagliano dal 1966 Corso Vittorio Emanuele II 26 04016 Sabaudia (LT) Telefono: 0773 515254 E-mail: info@avaglianocarni.it Web: www.avaglianocarni.it Nota Photo © Massimiliano Rella.

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SICUREZZA ALIMENTARE

MANGIARE CRUDO SENZA RISCHI di Josette Baverez Blanco

iviamo oramai da un anno e mezzo in una sorta di bolla e persino il passare delle stagioni rischia di sfuggirci di mano. Tutto è precario, provvisorio,

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la nostra vita è da reinventare cercando di darle un minimo di stabilità, laddove ci viene imposto di stare fermi per la nostra sicurezza. Abbiamo certamente perso tanta libertà, parola magica in

questo momento storico, ma ci siamo adeguati, modificando anche il nostro approccio all’alimentazione. Si è cucinato molto di più in casa per obbligo a volte diventato piacere, ci siamo

Panino con Salsiccia di Bra, formaggio Bra DOP e falde di peperone arrostito. Il Cuneese è conosciuto per moltissimi prodotti ma la Salsiccia di Bra, consumata fresca tutto l’anno, è il vero fiore all’occhiello della provincia, essendo un prodotto antico, ricercato e, soprattutto, tutelato, con le carni utilizzate per la sua preparazione che provengono dalla pregiata razza bovina Piemontese. Un tempo questa salsiccia veniva preparata solo con carne bovina, poiché nel vicino comune di Cherasco esisteva un’importante comunità ebraica che si approvvigionava presso il mercato braidese ed esigeva insaccati senza carne di maiale. Oggi il suo impasto è costituito all’80% da carne bovina e per il restante 20% da pancetta suina (photo © flawless.life).

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fatti servire maggiormente a domicilio e abbiamo imparato a bere il caffè nel bicchierino di carta. Ora, con la primavera si sono risvegliati desideri che sbocceranno compiutamente con l’aumento delle temperature e uno di questi è il mangiare crudo. Non tutti fanno questa scelta di gusto che può risultare un piacere salutare frenati un po’ dal timore di incorrere in problematiche di tipo sanitario, a volte perché inconsciamente rappresenta un’involuzione, un ritorno ad uno stadio meno evoluto, più selvatico e primitivo. Ma se la psiche non sempre si controlla, la tutela della nostra salute deve invece sempre avere la priorità. Quindi, se fate la scelta del crudo, attenti alla conservazione e alla preparazione dei cibi esenti da cottura, a favore di sapori netti e di pregi nutritivi preservati al massimo. In Italia, tra le nostre tradizioni gastronomiche più radicate si mangia crudo, dalla pasta alla carbonara al carpaccio di vitello. Quest’ultimo nasce da un’abitudine legata alla tradizione contadina formalizzata nel 1950 da GIUSEPPE CIPRIANI, ristoratore e fondatore del celebre Harry’s Bar a Venezia, che con questo nome volle omaggiare VITTORE CARPACCIO, pittore celebre per la particolare tonalità di rosso che adoperava per dipingere i suoi quadri. O la Salsiccia cruda di Bra, prodotta anticamente con carne bovina per soddisfare la comunità ebraica del vicino comune di Cherasco, autorizzata nel 1847 con una particolare concessione regia di Casa Savoia a firma del Re Carlo Alberto (che ne proibiva invece l’uso in tutto il resto del territorio italiano). La carne cruda alla piemontese, battuta al coltello con senape, limone o l’uovo derivata dalla tartare francese e diffusa principalmente in Belgio e nei Paesi Bassi ma inventata anticamente dai Tartari (tartare e battuta sono lo stesso piatto, con la carme tritata rigorosamente al coltello, a differenza della carne trita macinata meccanicamente e più finemente). Da sempre anche si sono mangiati crostacei crudi se freschissimi ma è molto più recente la moda della cucina giapponese che ha avvicinato al

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crudo un sempre crescente numero di estimatori. Però attenzione! Non prendiamo in considerazione le carni crude conservate con vari processi, salatura, affumicatura, essiccamento, speziatura, disidratazione per pressatura... Stiamo parlando di carni crude fresche morbide proveniente da animali giovani, sedentari, scegliendo in particolare i muscoli scheletrici meno soggetti a stress come il filetto. Per loro, la mancanza dell’azione purificatrice della cottura comporta alcuni rischi, specie se non sono rispettate le regole indispensabili per preservare la salubrità dei cibi, di qualsiasi animale si tratti. A causa del suo contenuto di proteine, zuccheri e grassi, la carne cruda è un terreno ideale per la crescita di batteri e parassiti. Soprattutto col caldo in arrivo, evitiamo di entrare in contatto con potenziali agenti patogeni, toxoplasmosi, trichinellosi, stafilococchi, Listeria ed Escherichia coli soprattutto per la carne, botulino o Anisakis e salmonella per il pesce crudo. Possono sorgere tossinfezioni più o meno gravi. I sintomi più frequenti sono dolori e crampi allo stomaco e all’addome, nausea, diarrea e a volte febbre anche alta. Come difendersi quindi da questi pericoli? In Italia esistono leggi severe che tutelano la sicurezza alimentare, sia all’origine (mercato all’ingrosso del pesce e delle carni) sia negli esercizi pubblici (sistemi di autocontrollo HACCP). Per la carne, ad esempio, è obbligatoria la tracciabilità che consente di ricostruire l’origine e la storia del taglio; per il pesce, pur non essendoci regole specifiche per individuare quello destinato ad essere consumato crudo, sono previsti frequenti controlli sui luoghi di pesca e all’arrivo sui mercati generali. Un veterinario responsabile della sicurezza visita la merce prima che sia messa in vendita. Tocca poi al consumatore finale rispettare certe regole di corretta conservazione del cibo in casa, in particolare per il pesce. Sappiate che il suo congelamento scongiura il rischio di infezioni da Anisakis: il batterio, infatti, muore se si tiene il pesce per almeno 24 ore a –20 ºC. Josette Baverez Blanco


IL GUSTO DI CAMMINARE

Sul sentiero dei POETI CAMMINANDO, VISTA MARE, SUL GOLFO DI LA SPEZIA, DA PORTO VENERE A BOCCA DI MAGRA di Elena Simonini

un’altra estate è arrivata. Arriva sempre l’estate, quando l’aspettiamo, impazienti di toglierci di dosso i vestiti pesanti e la fatica di un lungo inverno, ma anche quando non ci pensiamo, e lei entra improvvisamente e sfrontatamente dalle finestre, ancora timidamente socchiuse, invadendo ogni cosa con il suo sorprendente carico di luce e calore.

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Insomma, l’estate è arrivata anche quest’anno, mettendo (speriamo) fine a molte e interminabili settimane, necessariamente trascorse, per la maggior parte del tempo, tra le mura di casa. E allora, per celebrare l’arrivo di questa nuova e bella stagione, il mio consiglio è sempre e ancora una volta lo stesso: infiliamo le nostre amate scar-

pette da trekking, e poi mettiamoci in cammino, aggiungendo semmai nello zaino, tra gli oggetti indispensabili, un costume da bagno! Non importa andare lontano e nemmeno prevedere molti giorni di viaggio, restiamo anzi in Italia, che è senza dubbio il più bel posto del mondo, talmente ricco e vario che forse non lo si conosce mai abbastanza. E andia-

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In alto: Lerici, definita “la perla del Golfo dei Poeti”, e un caratteristico scorcio “in salita” tipico dei borghi liguri (photo © Simona Casetta). In basso e a sinistra: Portovenere e il particolare della cupola del santuario della Madonna Bianca o chiesa di San Lorenzo (photo © Massimo Parisi e Aliaksandr – stock.adobe.com).

mo quindi a srotolare in leggerezza i nostri passi sopra ad un meraviglioso itinerario, tutto vista mare, il quale si sviluppa sul Golfo dei Poeti di La Spezia, letteralmente immerso tra colori pastello e molti e inconfondibili profumi che si mescolano tra di loro in un indimenticabile tripudio sensoriale. Il Sentiero dei Poeti, detto anche Alta Via del Golfo, si dispiega in circa 45

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km di strepitoso cammino panoramico, percorribile tutto sul crinale del Golfo, circoscritto tra le due estremità rappresentate dalle stupende località di Porto Venere e Bocca di Magra. Si tratta di un tracciato relativamente semplice e senza particolari difficoltà tecniche, caratterizzato da un dislivello complessivo di 1.700 metri. Il percorso si può completare in 3/5 giorni, a seconda

del tempo che avrete a disposizione e del vostro grado di allenamento, ma il mio consiglio è di prendervi il vostro tempo, di andare anche lentamente, e, quando possibile, di godere delle giuste soste, lasciandovi rapire dal canto delle cicale e dalla vista di un davvero suggestivo paesaggio, tratteggiato da olivi, pini, vigneti, boschi, e poi ancora orti, giardini, e inoltre dalle mille varietà

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La Salsiccia di Pignone La produzione salumiera in Liguria non è particolarmente ricca, fatto derivante da una scarsa attenzione all’allevamento del maiale. Tuttavia, come per qualsiasi altra regione del nostro incredibile Paese, anche in terra ligure si trovano alcuni prodotti degni di assoluta considerazione, come la Testa in cassetta, il Salame genovese ottenuto da carni miste di suino e bovino, la Mostardella, un insaccato tipico a metà strada tra salame e salsiccia, o la Prosciutta castelnovese. Nella provincia di La Spezia, nel piccolo comune di Pignone, nel territorio del Parco di Montemarcello-Magra-Vara, attraversato dal nostro Sentiero dei Poeti, si produce l’omonima salsiccia, un insaccato di carne suina aromatizzato con sale, pepe e aromi naturali come la noce moscata, la cannella e i chiodi garofano. La Salsiccia di Pignone si presenta sotto forma di salamelle, insaccate in budellina naturale, della lunghezza di circa 10-12 cm e di colore rosa con striature bianche date dalla presenza della pancetta. Quella della lavorazione della salsiccia è una tradizione antica di Pignone: fino a qualche decennio fa, infatti, tutte le famiglie allevavano uno o più maiali. La produzione dell’insaccato ha acquisito un aspetto commerciale con l’attività di una famiglia di salumai locali, anche se il prodotto era comunque destinato a un mercato locale. La Salsiccia di Pignone è ottima consumata cruda in mezzo alla focaccia genovese oppure cotta sulla piastra arrotolata e steccata e profumata da foglie d’alloro (photo © Salumificio Pignone, www.salumificiopignone.it).

Olio DOP Riviera Ligure Duemila anni di storia. È questo il punto di partenza per capire cosa è l’olivicoltura in Liguria. I Liguri conoscevano l’olio, prodotto nelle colonie greche in Italia, commercializzato dagli Etruschi, pilastro della cultura mediterranea. Conoscevano anche l’olivastro, il cugino selvatico dell’olivo domestico. La colonizzazione romana ha imposto le prime forme di coltivazione dell’olivo in Liguria: ne sono prova l’azienda agricola del Varignano, non lontano da La Spezia, nella regione lunense e gli studi paleobotanici del professor Daniele Arobba del Museo Archeologico del Finale. La zona di produzione e trasformazione dell’olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP interessa l’intero territorio della regione Liguria. Il prodotto è ottenuto dai frutti dell’olivo delle varietà Taggiasca, Pignola, Lavagnina, Razzola e cultivar locali autoctone. La denominazione deve essere accompagnata da una delle seguenti menzioni geografiche aggiuntive: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese, Riviera di Levante. Le menzioni si differenziano per l’area di produzione e per la diversa percentuale negli oliveti delle specifiche varietà di olivo. La raccolta delle olive deve concludersi entro il 31 marzo di ogni anno. I terreni idonei sono in pendenza più o meno accentuata, con disposizione a terrazze e con una formazione geologica che varia dal Ponente al Levante ligure. L’olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP si caratterizza per un livello di acidità massima totale che varia fra 0,5 g (Riviera dei Fiori e Riviera del Ponente Savonese) e 0,8 g (Riviera di Levante) per 100 g di olio. >> Link: oliorivieraligure.it

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di flora della macchia mediterranea, il tutto incorniciato, in lontananza, dalle spiagge e dal blu intenso e vivido del mare. Incamminandovi su questo bel sentiero avrete l’opportunità di addentrarvi nella tipica natura del luogo, e attraversare tre importanti parchi (il Parco Naturale di Porto Venere, il Parco Nazionale della Cinque Terre e il Parco Naturale Regionale di Montemarcello Magra-Vara), nonché di visitare i borghi, i paesi e le località tanto amate da molti poeti e scrittori (BYRON, D’ANNUNZIO, SHELLY, MONTALE e SOLDATI, per citarne alcuni) che ebbero l’occasione di restarne affascinati e di soggiornarvi, e grazie ai quali il Golfo dei Poeti deve la propria denominazione. È possibile suddividere l’incantevole itinerario sul golfo spezzino in alcune tappe ideali, con partenza dal meraviglioso borgo marinaro di Porto Venere e quindi con arrivo, passo dopo passo, ad altrettanto belle e graziose località, quali Campiglia, La Foce, Buonviaggio, Lerici e, infine, alla meta finale, Bocca di Magra.

Come avrete modo di constatare con i vostri occhi, la sola partenza dalla stupenda Porto Venere, con l’immancabile passeggiata dentro alle strette stradine del centro e con l’imperdibile ascesa alla rocca del Castello Doria, sarà già immediatamente in grado di restituirvi un degno assaggio di tutta la bellezza che incontrerete lungo questo sentiero. Allontanandovi da Porto Venere e salendo di quota, in un dolce e non troppo impegnativo saliscendi, camminerete tra piccoli vigneti terrazzati, i quali vi sembreranno miracolosamente aggrappati tra terra e mare, e quindi, all’improvviso, rimarrete affascinati da straordinari scorci mozzafiato, caratterizzati dalla vista, in lontananza, della falesia del Monte Muzzerone e delle isole Palmaria, Tino e Tinetto. Avvicinandovi poi nei pressi di La Foce, il vostro sguardo potrà abbracciare l’intero golfo, incorniciato dalle Alpi Apuane, con le sue mille insenature, e ammirare nell’insieme tutta la città di La Spezia, con l’imponente Arsenale Militare Marittimo.

Proseguendo infine il cammino verso il delizioso borgo di Lerici, con la sua torre imponente che si staglia in lontananza, e quindi avviandovi verso la meta finale di Bocca di Magra, noterete lungo tutto il percorso l’intensificarsi della presenza di meravigliosi e antichi oliveti, i quali conferiscono al Parco di Montemarcello-Magra una sua tutta tipica e specifica conformazione, strettamente legata ad uno sviluppo di agricoltura sostenibile nell’ambito della conservazione del patrimonio naturale del parco stesso. Durante ognuna delle tappe di questo incantevole Sentiero dei Poeti, avrete certamente modo di ristorarvi dalle fatiche e di rinfrancare degnamente fisico e spirito grazie alla degustazione dei molti prodotti tipici che la meravigliosa terra ligure, tenacemente arroccata sul mare, puntualmente produce. Una terra davvero splendida, attraverso la quale, con le nostre amate scarpe da trekking, possiamo ancora camminare, in questa bella e nuova estate che ci aspetta. Elena Simonini

Passeggiate & buon gusto. Tra borghi, ulivi e fattorie: esperienze tra natura, cultura ed enogastronomia in Umbria “Passeggiate & buon gusto. Tra borghi, ulivi e fattorie” è il nuovo format di esperienze tra natura, cultura ed enogastronomia in Umbria, nato dalla collaborazione tra la Strada dell’olio evo DOP Umbria e due associazioni umbre che si occupano di escursioni a piedi, “L’Olivo e la Ginestra” e “I Tuoi cammini” di Assisi. Il progetto volto ad evidenziare l’indissolubile connubio tra la valorizzazione dell’olio extravergine di oliva e del paesaggio da cui proviene, gli oliveti umbri, simbolo identitario della cultura regionale, prevede un calendario settimanale per i mesi di maggio, giugno e luglio di passeggiate accompagnate da guide ambientalistiche ed escursionistiche, che porteranno i visitatori alla scoperta dei borghi umbri ad alta vocazione olivicola, tra gli ulivi e nelle aziende agricole e frantoi associati alla Strada dell’olio evo DOP Umbria, luoghi in cui poter fare degustazioni di olio evo in abbinamento agli altri prodotti di eccellenza locali ed esperienze dirette nei luoghi di produzione. La partecipazione è su prenotazione alla e-mail: info@stradaoliodopumbria.it (info: www.stradaoliodopumbria.it).

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PASTA

Il Fusillo di Felitto È TRA LE GRANDI PASTE ARTIGIANALI D’ITALIA di Chiara Papotti

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Preparazione dei fusilli di Felitto con l’utilizzo del ferro (photo © www.cookist.it).

a pasta. Ogni riferimento alla sua italianità suonerebbe banale: esiste forse un alimento che esprima meglio la nostra cultura gastronomica? La pasta nasce quando, circa 7.000 anni fa, l’uomo cominciò a praticare l’agricoltura e coltivare cereali. Da allora l’evoluzione di questo prodotto va di pari passo con quella del grano: l’uomo ha posto le basi per lo sviluppo di un prodotto che, ancora oggi, mantiene nella semplicità degli ingredienti uno dei suoi tratti più caratteristici. Sarebbe un errore, però, far corrispondere all’essenzialità delle materie prime l’idea della pasta come alimento “semplice”, omogeneo nella qualità e nel gusto. In Campania, nel comune di Felitto, in provincia di Salerno, si porta avanti da generazioni il segreto per preparare un particolarissimo tipo di pasta, il fusillo, oggi unica varietà di pasta che ha ottenuto il Presidio Slow Food. Quando si parla di fusillo, non si deve pensare alla classica pasta corta presente in commercio, ma ad una pasta appartenente alla famiglia dei maccaruni pertusati, ovvero i maccheroni forati. La storia del fusillo di Felitto ha origini antiche. Preparata storicamente per le grandi occasioni come Pasqua, Natale, Carnevale, festa della Madonna e San Vito, il patrono del paese, oggi la produzione rischia di scomparire. Una tradizione secolare, tramandata oralmente di madre in figlia fino ai giorni nostri. La preparazione è molto lunga e laboriosa, poche sono le donne

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che ancora oggi la preparano in casa secondo il metodo tradizionale e poche sono le aziende agricole e i privati che hanno fatto della produzione dei fusilli il loro business principale. L’obiettivo di Slow Food è quello di far uscire la preparazione dalla sfera casalinga trasformandola in fonte di reddito per le donne e le aziende felittesi. Gli ingredienti per fare i fusilli di Felitto sono la semola di grano duro e una grande quantità di uova, da 6 a 8 per ogni chilogrammo di farina. Non è prevista l’aggiunta di acqua, ma solo un filo di olio extravergine di oliva per ungere le mani nell’ultima fase dell’impasto. Tradizione vuole che, dagli inizi del ‘900, venga utilizzato il grano duro Senatore Cappelli e, grazie al sostegno di Slow Food, oggi diversi ettari di terra a Felitto sono dedicati alla coltivazione di questa varietà. Il grano duro, dalla spiga più tozza e con chicchi più grossi, ha un aspetto interno uniformemente vitreo e traslucido. Mentre dal grano tenero si ottengono farine fini, particolarmente indicate per produrre pane e lievitati, dalla macinazione di quello duro si ottiene una semola ricca di sostanze proteiche in grado di sostenere la cottura in acqua. L’abilità delle donne di Felitto è quella di lavorare a lungo e con tenacia l’impasto, modellarlo a occhio e tagliarlo in strisce sottili che vengono cinguliate, ovvero passate tra le mani fino ad ottenere dei cordoni di forma cilindrica pronti per la lavorazione finale a ferro. Il ferro utilizzato per la produzione dei

fusilli è in acciaio e presenta una sezione quadrata spessa un millimetro; viene prodotto esclusivamente da artigiani del posto in quantità limitate e sostituisce i ferri dei vecchi ombrelli che venivano utilizzati in passato per la preparazione della pasta. Con gesti rapidi lo si preme sulle strisce di pasta fino a farlo entrare all’interno e raggiungere la lunghezza di 20 centimetri e oltre. Una volta che il fusillo è sfilato dal ferro, viene steso per l’asciugatura e lasciato essiccare all’aria. Durante tutto l’anno il Presidio si può degustare nei ristoranti e negli agriturismi locali, oppure nel mese di agosto nella tradizionale Sagra del fusillo che si tiene a Felitto dal 1976. Pochissimi, purtroppo, i rivenditori autorizzati alla vendita dei fusilli freschi. La ricetta tradizionale li vede protagonisti con condimenti a base di castrato di capra o pecora e una spolverata di pecorino o cacioricotta di capra cilentana. Nei mesi invernali si possono trovare abbinati a funghi porcini e salsiccia di cinghiale. In Campania, oltre ai fusilli di Felitto, sono tanti i sapori conosciuti ed apprezzati già sulle tavole degli antichi che si incontrano ancora oggi viaggiando tra i confini regionali. Riscoprirli e valorizzarli significa ritrovare intatta l’essenza di una terra senza tempo, strettamente legata al suo passato e alle sue tradizioni. Chiara Papotti Nota A pag. 92, photo © www.vicceria.com

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VINO

IL VINO DI VO’ E DEI COLLI EUGANEI di Gian Omar Bison

ici Vo’ e subito viene alla mente il piccolo comune padovano dei Colli Euganei dichiarato prima “zona rossa” in Italia allo scoppio della pandemia. Un trauma, commemorato dal presidente della Repubblica SERGIO MATTARELLA durante l’inaugurazione di apertura dell’ultimo anno scolastico, che

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ha lasciato il segno tra la popolazione e ha messo in difficoltà per qualche tempo le attività produttive. Eppure, ben prima della pandemia e pure adesso, Vo’ era e resterà uno dei territori viticoli più importanti d’Italia, con vini, rossi in particolare, capaci di esprimere livelli di complessità, intensità, struttura e finezza come pochi.

A questa eccellenza la Cantina Colli Euganei (cantinacollieuganei.it), società cooperativa, con i suoi 550 aderenti, quattro milioni di bottiglie e 16 milioni di euro di fatturato, ha voluto restituire il ruolo che merita nel panorama vitivinicolo nazionale attraverso una campagna di comunicazione mirata che è anche un progetto solidale ad hoc: la vendita

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Nei Colli Euganei i vigneti degradano dolcemente sulle colline sino ai margini dei boschi: produrre vino qui è da sempre un’arte, sostenuta dalla natura favorevole, dalla morfologia delle vigne e dai fattori climatici. Tra i vini locali più rappresentativi troviamo il Serprino, il Colli Euganei rosso, i bianchi a base di Moscato e il Fior d’Arancio nelle tre versioni secco, spumante e passito.

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progetto che è valso alla Cantina la vittoria del premio di categoria al Gist Travel Food Award 2020 di Rimini come Miglior progetto italiano per il rilancio del territorio e dell’enogastronomia. Alla data del 26 febbraio 2021 erano stati raccolti 128.930 euro.

Cantina Colli Euganei è un’azienda certificata che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. di oltre centomila bottiglie, negli scaffali della distribuzione organizzata, di due vini caratteristici del territorio, il Serprino Spumante DOC Colli Euganei e il Rosso DOC Colli Euganei, ad un prezzo stan-

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dard (€ 4,95). Per ogni bottiglia venduta € 1,00 andrà in dono all’Università di Padova per la ricerca sul Covid e 10 centesimi al Comune per finanziare la ripresa economica del territorio. Un

La storia Cantina Colli Euganei ha una lunga storia alle spalle, se pensiamo che la cooperativa è nata nel 1948. Parliamo di un’azienda certificata, che impiega tecnologie all’avanguardia in tutte le fasi della lavorazione. E che, in ogni caso, come per le altre aziende euganee, è socia del Consorzio di tutela Vini Colli Euganei e si trova a lavorare uve di prim’ordine cresciute su pendii collinari di origine spesso vulcanica dove si pratica la viticoltura da secoli. Un territorio riconosciuto DOC dal 1969 e DOCG dal 2011 con il Fior d’Arancio (Moscato giallo). Uve coltivate nelle aziende agricole dei comuni di Vo’, Rovolon, Torreglia, Galzignano Terme, Lozzo Atestino, Cinto Euganeo, Arquà Petrarca, Este, Baone, estese su una superficie vitata di 700 ettari composta per lo più da Pinella e Serprina, Moscato bianco e

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giallo, Merlot, Cabernet franc e Cabernet Sauvignon. Per quanto riguarda la certificazione, la Cantina adotta lo standard BRC, riconosciuto in Inghilterra ed in rapida diffusione in molti Paesi europei, e IFS, che ha lo scopo di facilitare la selezione dei fornitori food a marchio della GDO sulla base della loro capacità di fornire prodotti sicuri, conformi alle specifiche contrattuali e ai requisiti di legge. «Il 75% della produzione è destinata al mercato italiano, mentre il restante 25% va all’estero — spiega il direttore della cantina sociale NICOLA ZANDONÀ — e per il 2020 abbiamo raggiunto una chiusura di bilancio in tenuta nonostante la crisi rispetto ai risultati del 2019». Il Consorzio Istituito a Padova nel 1972, il Consorzio volontario per la tutela della Denominazione di Origine Controllata dei vini Colli Euganei venne fondato da 47 soci con 43 aziende vitivinicole, un commerciante, due industriali e la Cantina Sociale di Vo’. Tra i progetti più significativi si devono ricordare: il lavoro di zonazione, che si può considerare il Piano Regolatore Generale del vino che ha consentito un significativo aumento del livello qualitativo di prodotto, l’ottenimento della DOCG per il Fior d’Arancio, l’allestimento del museo del vino e un continuo e costante lavoro di ricerca e promozione. Il Consorzio vanta anche un laboratorio analisi accreditato, che offre servizi a soci e non soci, dalla curva di maturazione delle uve all’analisi dei mosti e dei vini finiti, attestando parametri come il grado alcolico, l’acidità, gli zuccheri, per permettere al viticoltore di ottenere prodotti qualitativamente sempre più elevati. Il laboratorio del Consorzio oggi rappresenta un’eccellenza nel settore delle analisi enologiche, essendosi dotato nel tempo della più moderna strumentazione e raggiungendo nel 2001 il marchio di accreditamento, allora SINAL, oggi Accredia. È un punto di riferimento per tutta la zona e per tutte quelle aziende che vogliono ottenere prodotti di alta qualità. Il museo Il MUVI – Museo del Vino Colli Euganei è allestito nella sede del Consorzio di tutela Vini Colli Euganei, nel centro

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Situato nella sede del Consorzio di tutela, il MUVI – Museo del Vino Colli Euganei è suddiviso in 24 aree tematiche e si articola in pannelli illustrativi ed oggetti che permettono di scoprire curiosi ed insoliti aspetti della cultura vitivinicola della zona. di Vo’. Il percorso museale ripercorre attraverso documenti, fotografie, testi ed alcuni oggetti la storia della viticoltura nell’area euganea, dalla genesi ad oggi. All’ingresso suggestioni vulcaniche di esplosioni sottomarine catturano il visitatore, comunicando una delle caratteristiche principali del terroir che si va raccontando. Il percorso continua mostrando le tappe della coltivazione della vite e della produzione del vino nel tempo: dai primi insediamenti dei Veneti antichi al Medioevo, dall’Illuminismo e la Serenissima all’Ottocento, narrando la rivoluzione della viticoltura. Il visitatore scopre come l’antica origine della cultura dell’uva si fondi nel mito e si sviluppi nel tempo. Al piano terra è dedicata una sezione al territorio fertile che dà origine ai vini euganei, raccontandone clima, terroir e caratterizzazione pedologica. Una sezione è ovviamente dedicata al Parco Regionale dei Colli Euganei, flora, fauna, bellezze architettoniche e prelibatezze enogastronomiche. Si completa la visita degustando i vini dei Colli Euganei nella sala emozionale costruita per degustazioni guidate, laboratori e convegni. In quest’ultima sezione possiamo conoscere le tipologie di vino prodotte nei Colli Euganei ed imparare a scoprire le loro qualità olfattive e gustative grazie agli originali strumenti

creati appositamente per questa curiosa sala. Il MUVI, con tutte le limitazioni che in questo periodo comporta la pandemia, apre dal lunedì al venerdì, dalle 9:00 alle 18:00. Gli altri giorni è possibile visitarlo su appuntamento. 2020, annata splendida Il 2020 per il vino di Vo’ e dei Colli Euganei è stata un’ottima annata dal punto di vista della qualità di prodotto. Un paradosso se si pensa alla situazione dal punto di vista sanitario, ma le condizioni climatiche registrate durante l’anno hanno permesso una vendemmia di altissima qualità. «È stata una vendemmia da incorniciare; le vigne non sono praticamente mai andate sotto stress» rimarca DANIELE STENICO, enologo del Consorzio. «Il clima ha favorito massimamente la produzione di uve sane. I bianchi che andranno sul mercato tra pochi mesi sono molto profumati mentre dai rossi, viste le condizioni di maturazione dell’uva, ci aspettiamo molto. La qualità dei vini c’è, ora speriamo che riparta bene anche il mercato». Fior d’Arancio D OCG , Serprino e poi le varietà bordolesi (Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet franc, Carmenere) sono i vini caratteristici di questo territorio collinare di origine vulcanica. Gian Omar Bison

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: bombette pugliesi di Laura Franchini

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erra straordinaria quella di Puglia, sotto tanti aspetti. Una natura rigogliosa e un mare cristallino, antiche tradizioni e località colme di arte e storia, nonché una gastronomia poliedrica e diversificata, ricca di piatti del costume contadino come di moderni locali e ristoratori giovani e geniali, proposte ricche di pesce e di carne ma anche di moltissime verdure ed erbe aromatiche, per chiudere in bellezza con dolci rinomati e gustosissimi come i pasticciotti e i mostaccioli. E se è il pesce uno degli indiscussi protagonisti delle tavole pugliesi, particolare nota merita la tradizione macellaia della regione, particolarmente importante soprattutto in alcune zone, come la Valle d’Itria. Qui assistiamo alla nascita di un piatto molto amato e conosciuto: le bombette. Le bombette pugliesi sono involtini di

piccole dimensioni, intorno aii 3/5 ccm, d di carne di maiale, ripieni di formaggio, il più delle volte si utilizza il Caciocavallo Podolico del Gargano o il Canestrato pugliese, spezie ed erbe aromatiche. Vengono poi cotte alla griglia o alla brace, ma si può azzardare anche una cottura casalinga, al forno o al sugo. Alle ricetta originale si sono affiancate diverse versioni, con pancetta, speck, mozzarella, solo per citarne alcune. Versioni forse non sempre nel solco della tradizione, ma non per questo meno gustose. Le troviamo come cibo di strada, nelle tante sagre di paese, servite in coni alimentari e accompagnate da una fetta di pane abbrustolito, o mangiate direttamente nelle macellerie con cucina. Ottime accompagnate da una buona birra ghiacciata, vi proponiamo alcuni vini che saranno perfetti in abbinamento.

LE BOMBETTE SONO UN PIATTO DI CARNE TIPICO DELLA PUGLIA, UNA DELLE REGIONI PIÙ CARNIVORE D’ITALIA. DORATE FUORI, DAL RIPIENO SAPORITO E FILANTE, SONO COME LE CILIEGIE, UNA TIRA L’ALTRA

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Bo omb bet ette te pug u lilies e i pic es icca cant ca ntii se nt serv rvititte conn fifiam co a ma viv am iva a e pa pata tate ta te fri rittttt e (p pho hoto to © Vi V nncce ennzo VAD A – st stoc o k. oc k ad a ob obe. e.co c m). co )

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Puglia IGT Rosato Spumante Extra Dry Galetto Colli della Murgia Siamo nel territorio dell’Alta Murgia, detto anche il cuore di pietra di Puglia, area ricchissima di formazioni carsiche e rocciose più recenti, tufi e argilla, sabbie e depositi alluvionali che, misti a humus e terre rosse, rendono il terreno perfetto per la coltivazione della vite. La cantina segue la filosofia della biodiversità ambientale e si fregia della certificazione biologica dal 1996. Il calice in degustazione è prodotto con uve Aglianico in purezza, raccolte a mano e pressate direttamente, evitando la pigiatura. Successivamente viene effettuata la decantazione statica a freddo e la fermentazione a 16° per due settimane. La presa di spuma è effettuata utilizzando il metodo Charmat, in autoclave, a temperatura controllata. Si presenta di un bel rosato chiaro, definibile come “buccia di cipolla”, brillante. Al naso sprigiona sentori di frutta rossa fresca e frutti di bosco, con ricordi floreali e vegetali. La sorsata è morbida, perlage persistente ma non sgarbato, fine. Armonico ed equilibrato, va servito fresco.

Cantina Colli della Murgia Contrada Zingariello 70024 Gravina in Puglia (BA) Telefono: 080 3261271 E-mail: sales@collidellamurgia.it Web: collidellamurgia.it

Salento IG T Rosato Five Roses Anniversario 2020 Leone De Castris Tre secoli di storia per questa iconica cantina la cui commercializzazione inizia nel 1928 con PIERO e LISETTA LEONE DE CASTRIS. Nel 1943 nasce il Five Roses, il prodotto più conosciuto dell’azienda ed il primo vino rosato d’Italia, da subito esportato negli Stati Uniti. Nel nome l’eco di una contrada nel feudo di Salice Salentino, “Cinque Rose”, ma anche il fatto che per molte generazioni ogni Leone de Castris ha avuto cinque figli. Sul finire della guerra il generale CHARLES POLETTI, commissario per gli approvvigionamenti delle forza alleate, chiese una grossa fornitura di vino rosato. Italiano sì, ma con un nome inglese. Così nacque il Five Roses. Nel 1993 venne prodotta la versione “Anniversario” del Five Roses per festeggiare i 50 anni di vita del primo rosato imbottigliato nel Belpaese. Rispetto al Five Roses tradizionale, il Five Roses Anniversario ha l’80% di uve Negroamaro (a fronte del 90% che di solito lo contraddistingue) e il 20% di Malvasia (a fronte del 10%). Il calice è brillante di mirtilli e ribes, con note floreali, estremamente armonico e poliedrico negli abbinamenti.

Leone de Castris 1665 Via Senatore de Castris 26 73015 Salice Salentino (LE) Telefono: 0832 731112 E-mail: info@leonedecastris.com Web: www.leonedecastris.com

Mania 2020 Paglione Azienda agricola bio dal 1994, quella della Paglione è soprattutto la storia delle famiglie FACCILONGO e ALBANO, da sempre agricoltori, che iniziano con BENIAMINO e MARIA COSTANZA la conversione in biologico. Una realtà ben radicata nel territorio ma che commercializza i suoi prodotti bio in tutta Italia, dal vino all’olio di oliva, pomodori, salse, conserve e sfiziosità. Questo calice è prodotto con uve Nero di Troia, Sangiovese, Montepulciano e Bombino bianco in diverse percentuali ed esegue la fermentazione alcolica spontanea in vasche d’acciaio, con macerazione breve sulle bucce. Visivamente si presenta di un bel rosa chiaretto, mentre al naso propone note delicate di frutta rossa, ciliegie e marasche, con punte speziate e ricordi floreali. Al palato è equilibrato di freschezza e sapidità, rotondo con brio, buona la tessitura e la struttura, di classe. Un vino armonico, da servire fresco, che si presta all’aperitivo come al tutto pasto, da provare con le bombette della tradizione.

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Azienda Agricola Paglione Biologica dal 1994 Contrada Perazzelle – SP 116 km 9,8 71036 Lucera (FG) Telefono: 366 9907771 07771 E-mail: info@agricolapaglione.it olapaglione.it p g Web: www.agricolapaglione.com lapaglione p g e.com

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Castel del Monte Bombino Nero DOCG Pungirosa 2020 Rivera

Azienda Vinicola Rivera Spa SP 231 km 60,500 76123 Andria (BT) Telefono: 0883 569510 / 569501 E-mail: info@rivera.it Web: www.rivera.it

SEBASTIANO DE CORATO fondò l’Azienda Vinicola Rivera nell’omonima tenuta di famiglia alla fine degli anni ‘40 col preciso intento di valorizzare l’enorme potenziale qualitativo della vitivinicoltura della zona circostante il Castel del Monte. Negli anni ‘80 SEBASTIANO e MARCO, figli di CARLO e nipoti del fondatore, apportarono innovazioni sia in cantina che in vigna, sostenendo e aumentando i già cospicui successi dell’azienda. Il Pungirosa è prodotto con uve Bombino nero provenienti dalla zona più tipica di Castel del Monte. La macerazione sulle bucce avviene a bassa temperatura per 24 ore, fermenta a 18-20 °C per 12-14 giorni e affina in vasche di cemento vetrificato per 2/3 mesi. Visivamente si presenta color rosa “buccia di cipolla” con riflessi violacei, mentre al naso regala intense note fruttate di ciliegia, ricordi di rosa canina e fiori di campo. Al palato è armonico, con una bella spalla acida, bilanciata con morbidezza e sapidità. Finale lungo, bilanciato, accattivante. Ottimo come aperitivo, perfetto anche a tutto pasto.

Gioia del Colle DOC Primitivo Riserva 1821 2013 Tenuta Patruno Perniola

Tenuta Patruno Perniola Contrada Marzagaglia 2603 70023 Gioia del Colle (BA) Telefono: 338 3940830 E-mail: info@tenutapatrunoperniola.it Web: www.tenutapatrunoperniola.it

Una realtà vinicola che vede iniziare le sue attività nei primi anni del 1800. Già da allora la proprietà si spende ed impegna nella valorizzazione del vitigno Primitivo di Gioia del Colle, di cui si trovano tracce risalenti ai tempi dei Peuceti. Una terra particolarmente vocata, grazie alla posizione collinare, a circa 350 m slm e all’ottima esposizione. Questo calice è prodotto con uve Primitivo provenienti dai vigneti di Contrada Marzagaglia di Gioia del Colle, vendemmiate manualmente nelle primissime ore della giornata, le più fresche, poi pigiate, fatte macerare a temperatura controllata e fatte fermentare per circa 20 giorni. Affina poi in acciaio per circa 2-3 anni e in botti di rovere francese lievemente tostate per 8-12 mesi, successivamente in bottiglia per altri 6 mesi. Ne risulta un vino intenso e avvolgente, di grande eleganza e fascino, che sprigiona intensi profumi di frutta scura e carrube, sandalo e cannella, spezie e bacca di cacao, liquirizia e anice. Vino da meditazione, adatto a piatti di carne strutturati e alla brace.

Salice Salentino DOC Negroamaro Riserva 2017 Vereto Agricole Vallone

Azienda Agricola Vallone Via XXV Luglio 7 73100 Serranova (BR) Telefono: 0832 308041 E-mail: info@agvallone.it Web: www.agricolevallone.com

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AGRICOLE VALLONE è una storica cantina pugliese, fondata nel 1934 e oggi condotta da una squadra di giovani e brillanti professionisti sotto la guida di FRANCESCO VALLONE. Vanta una vasta proprietà di terreni che comprende uliveti, seminativi, orti e 170 ettari di vigneto, distribuiti nelle tre tenute: Iore, nel territorio di San Pancrazio Salentino, Flaminio a Brindisi, dove ha sede la moderna cantina, e la tenuta del Castello di Serranova a Carovigno, sede storica della famiglia, immersa nella Riserva di Torre Guaceto, un’oasi naturale affacciata sul mare. Un calice intenso già dal colore, rubino con riflessi violacei, che si esprime subito con carattere alla degustazione olfattiva. Sono note di frutta accompagnate di tinte balsamiche e speziate, ricordi salmastri e di cuoio, punte agrumate. La sorsata è morbida ed equilibrata, buona la forza acida, in armonia. Consistente e lungo, si presta all’abbinamento con piatti strutturati e di carne alla griglia alla brace. g ia e al

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BEVANDE

Bacio della Luna, Spritz Zero Alcol

UNO ZERO che fa tendenza I

l nuovo Bacio della Luna Spritz Zero Alcol entra nella gamma degli aperitivi frizzanti disponibili nei locali italiani come un’alternativa gustosa, originale e dissetante. Le persone che scelgono di non bere alcol o che non possono assumere alcolici sono sempre di più e stanno diventando una nicchia molto interessante sia per il mercato italiano che per quello estero. Se nei supermercati e nei locali la presenza delle birre analcoliche è ormai certa, non si può dire la stessa cosa degli aperitivi senza alcol. È da questa consapevolezza che Bacio della Luna, azienda produttrice di prosecco e

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spumanti della Valdobbiadene, ha deciso di introdurre nella propria gamma anche un prodotto dealcolato: lo Spritz, il re dell’aperitivo italiano. Dealcolato, frizzante, originale Bacio della Luna Spritz Zero Alcol è una bevanda frizzante ideale come aperitivo, ma anche come base per i mocktail, drink analcolici o dal basso grado alcolico. La rivalutazione qualitativa dei drink a zero gradi è in grande ascesa, soprattutto quando il prodotto nasce da un processo di vinificazione e successiva dealcolizzazione che conserva aromi e profumi. Grazie al metodo delle colonne

a cono rotante, Bacio della Luna Spritz Zero Alcol mantiene il gusto e la struttura originale del vino, comprese le bollicine. I mocktail sembrano essere sempre più richiesti e compaiono sempre di più all’interno delle liste dei bar. Grazie agli aperitivi zero alcol o a bassissimo grado alcolico, si può mantenere uno stile di vita equilibrato e scegliere una bevanda con pochissime calorie. Limiti? Zero! Tra i vantaggi di scegliere un aperitivo analcolico c’è quello di poterlo bere in qualsiasi occasione: in pausa pranzo, al lavoro, al bar con gli amici, a casa Premiata Salumeria Italiana, 3/21


come aperitivo, durante un picnic, al mare sotto l’ombrellone, dopo un allenamento e prima di mettersi in macchina. Ordinare lo Spritz Zero Alcol è scegliere un nuovo stile di consumo: piacevole, senza alcun rischio e salutare. Ed è così che nasce il concept della campagna pubblicitaria di lancio del prodotto “Limiti? Zero”. Lo porti dove vuoi, lo bevi in qualsiasi occasione, non hai problemi di zuccheri aggiunti. I testimonial Grazie alle sue caratteristiche, Bacio della Luna Spritz Zero Alcol è l’aperitivo analcolico frizzante preferito dagli sportivi. I piloti di Moto2 e Moto3 del Team Federal Oil Gresini, i cestisti dell’Allianz Trieste e i Cavaliers, giocatori di Hockey Unterland, lo hanno scelto come dissetante post allenamento, gara e partita. La ricetta Il consiglio è quello di berlo seguendo la ricetta originale proposta dalla casa madre Bacio della Luna: • ghiaccio; • 2/3 Spritz Zero Alcol; • 1/3 acqua frizzante; • 1 fetta d’arancia. Bacio della Luna Spritz Zero Alcol è nei migliori locali e su vineria43.it

Tanti i testimonial sportivi di Bacio della Luna Spritz Zero Alcol, dai piloti del Team Federal Oil Gresini ai cestisti di Allianz Trieste, ai giocatori di Hockey Unterland Cavaliers. Premiata Salumeria Italiana, 3/21

>> Link: baciodellaluna.it 103


ACETO

TRADIZIONALE E REGGIANO.

ECCO L’ACETO BALSAMICO DOP di Riccardo Lagorio

radizione e tradizionale sono due termini spesso abusati. Esistono, tuttavia, circostanze in cui l’aggettivo tradizionale fa davvero la differenza: un esempio è la DOP Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia (d’ora in avanti: ABTRE) e la diversità sta proprio in quel tradizionale che indica il metodo di ottenimento del prodotto, frutto di una secolare esperienza. Si ritiene nientemeno che a questo figlio del territorio reggiano si riferisse il benedettino DONIZONE, biografo di MATILDE DI CANOSSA, citando il dono di BONIFACIO, il padre di lei, all’imperatore ENRICO III. Correva il 1046 e tre decenni più tardi il castello di Canossa diventerà teatro del celebre pentimento di Enrico IV. La visita all’Acetaia San Giacomo di Novellara si rivela un’epifania sul mondo ABTRE: ANDREA BEZZECCHI ha organizzato l’acetaia evidenziando

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Degustazione di Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia (photo © www. facebook.com/abtredop).

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In ogni goccia un “tesoro”. La batteria di botticelle per la preparazione e l’invecchiamento dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia sono da sempre uno dei tesori più preziosi delle genti delle valli dell’Enza, del Crostolo, del Tresinaro e del Secchia, tanto da essere da essere indicata nel testamento. Un legame indissolubile con il territorio, la casa e le generazioni precedenti ABTRE Bollino Oro (photo © www.facebook.com/abtredop).

Quello col Parmigiano Reggiano resta uno degli abbinamenti migliori dell’Aceto Balsamico Tradizionale (photo © www.facebook.com/abtredop).

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tramite pannelli e illustrazioni le fasi e gli elementi naturali necessari per ottenere la produzione. Il fattore tempo segna una fondamentale differenza con altri prodotti. «L’ABTRE è il risultato di una doppia fermentazione di mosti di uve reggiane, cotti per almeno 12 ore. Questi, ricchi di sostanze aromatiche e zuccherine, subiscono una prima fermentazione alcolica e vengono travasati nelle badesse, le gradi botti dove si sviluppa la fermentazione acetica» chiarisce. «Il lunghissimo invecchiamento, di decenni, e i travasi in botticelle di dimensioni sempre più piccole costruite di svariati legni, la batteria, sono il cuore del procedimento per ottenere l’ABTRE». Non distante dalla zona golenare del Po, a Gualtieri, FABIO SIMONAZZI dell’Acetaia Al Livel, è uno storico produttore che aderisce al Consorzio di tutela. Coltiva numerose varietà di uva

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La ceralacca sulle bottiglie di ABTRE Dop (photo © www.facebook.com/abtredop). che verranno trasformate dall’uomo e dal tempo in ABTRE. È convincente nello spiegare che «anche la terra ha un valore centrale nell’ottenimento dell’ABTRE poiché Lambruschi, Trebbiano e Spergola assicurano le caratteristiche ideali al mosto da lavorare, in particolare l’apporto acido. Alle varietà più diffuse io affianco la Fogarina, l’uva resa celebre dal canto popolare».

Alla scoperta del complesso mondo dell’ABTRE, nell’Acetaia Lica di STEFANO CORTESI, sulle colline di San Polo d’Enza, è il fattore F, Fuoco e Famiglia, a contrassegnare la sosta. Direttamente dal vigneto di 1.000 m2, il mosto passa nel calderone di rame e viene fatto addensare a fuoco diretto, perdendo anche il 40% del volume iniziale. Il mosto cotto è poi trasferito nella badessa. «La batteria è un bene di famiglia e in

Numeri utili Acetaia Al Livel Az. Agr. di Simonazzi Fabio Via Pieve 94/a 42044 Gualtieri (RE) Telefono: 338 9241240 E-mail: acetaialivel@gmail.com Web: www.facebook.com/ AcetaiaAlLivel Acetaia Lica Località Macigno Montemoro 3 42020 San Polo d’Enza (RE) Telefono: 0522 1841045 348 7306777 E-mail: info@macigno.it Web: www.macigno.it

Acetaia Giordano-Braglia Via Aristide Gabelli 8/1 42122 Reggio Emilia Telefono: 348 8537994 Acetaia Razzoli Contrada Razzolo 42030 Villa Minozzo (RE) Telefono: 333 9949736 Acetaia San Giacomo Strada Pennella 1 42017 Novellara (RE) Telefono: 0522 651197 E-mail: info@acetaiasangiacomo.com Web: acetaiasangiacomo.com

Consorzio per la Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Via Josip Broz Tito 11D 42100 Reggio Emilia Telefono: 0522 381289 Web: acetobalsamicotradizionale.it

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alcuni casi rappresenta l’eredità che si passa da una generazione all’altra, come ho fatto io con i figli Lisa e Luca». Nell’ultima botte, quella più piccola e da cui di attinge l’ABTRE, si preleva al massimo il 15% l’anno: «vi rimane quindi un quantitativo antico, l’anima della famiglia», racconta mostrando le batterie che riposano nel caratteristico solaio. Il succedersi delle escursioni termiche delle estati sempre più calde e di inverni umidi sono infatti un’altra condizione del tutto naturale che garantisce l’ottenimento dell’ABTRE, come dimostra l’esperienza dei fratelli GIULIANO e GIORDANA RAZZOLI, che hanno ripristinato l’acetaia di famiglia a 600 metri di altitudine. Una delle batterie presenti nell’acetaia è il regalo della loro madre, simbolo dell’unità familiare. «L’evaporazione può rivelarsi più lenta, ma il clima più asciutto dell’alta collina compensa in parte le temperature più elevate della pianura, così che il risultato è pressoché uniforme» rispondono alla domanda se la collocazione montana influisca sulle proprietà dell’ABTRE. Il percorso verso il capoluogo attraversa calanchi e tocca castelli, come quello di Carpineti, rilevante nella narrazione dell’ABTRE per essere una dei manieri abitati da Matilde di Canossa. Già in Reggio Emilia, i coniugi ANTONIO GIORDANO e ADELE BRAGLIA, per anni gestori di uno storico ristorante del centro, dinanzi alla propria collezione di batterie insegnano a consumare l’ABTRE sempre a crudo: «L’abbinamento migliore rimane quello col Parmigiano Reggiano o per condire un risotto alla zucca». Non distante, nella sede del Consorzio di tutela, i cinque mastri acetai stanno terminando la degustazione dei campioni che porterà all’assegnazione della DOP nei tre livelli: aragosta, argento e oro, nel rispetto delle diverse caratteristiche organolettiche. Così si apprende che densità e viscosità sono solo alcune delle proprietà per stabilire l’appartenenza ad una categoria assieme a colore, persistenza, armonia e mezza dozzina di altri parametri. Una volta indicata la classe di appartenenza un ente terzo super partes provvederà a sigillare con ceralacca le bottiglie di ABTRE DOP. L’affidabilità di essere tradizionale. Riccardo Lagorio

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le più importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre più all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

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L’Aceto Balsamico del Duca compie 130 anni Sarebbe un ottimo risultato se riscoprissimo alcuni degli elementi indispensabili per ottenere un buon Balsamico — pazienza, cura e passione — e li utilizzassimo nella nostra quotidianità Adriano Grosoli (1929)

Una limited edition celebrativa entotrenta bottigliette di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP Extravecchio, una per ogni anno di attività della FAMIGLIA GROSOLI nel campo delle eccellenze gastronomiche. È così che l’Aceto Balsamico del Duca, storica azienda di Spilamberto (MO), ha scelto di celebrare i 130 anni della piccola bottega di famiglia alle porte di Modena, dove la gente del paese poteva trovare prodotti freschi e genuini, rigorosamente artigianali. Oggi, 130 anni dopo, l’atmosfera familiare permea

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ogni goccia del Balsamico che esce dalle pregiate botti. «Ciò che racchiude questa bottiglietta limited edition — spiega MARIANGELA GROSOLI, titolare dell’Aceto del Duca e rappresentante della quarta generazione di imprenditori del settore — non è soltanto l’oro nero dal sapore intenso ed armonico: è la storia stessa del fondatore ADRIANO, la passione di suo figlio MARIO, la lungimiranza del nipote ADRIANO, mio padre, nonché la mia tenacia e la dedizione di mia figlia LUCIA. È il racconto di cinque generazioni, che hanno portato l’Aceto Balsamico del Duca sulle tavole di tutto il mondo e hanno reso onore a ciò che la terra di Modena dona loro ogni giorno». Una bottiglia di Tradizionale DOP Extravecchio per ogni anno di attività di Aceto del Duca Ognuna corredata da un elegante cofanetto personalizzato in legno, le 130 bottigliette di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP Extravecchio

prodotte a Spilamberto per celebrare questo traguardo sono quindi anche un promemoria per non dimenticare mai i valori che — per dirla con le parole di Adriano Grosoli, ultimo rimasto in vita degli imprenditori che crearono il “mito” del balsamico — ci insegna l’oro nero: la pazienza, la cura e la passione.

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Pegno Rotativo: accordo per l’Aceto Balsamico di Modena Novità sul fronte del credito per i produttori di Aceto Balsamico di Modena. Nelle scorse settimane Crédit Agricole Italia ha siglato un accordo di collaborazione con il Consorzio di Tutela Aceto Balsamico di Modena, atto a consentire alle imprese associate l’utilizzo del Pegno Rotativo per la prossima campagna di commercializzazione. L’introduzione di tale nuovo strumento finanziario si propone di facilitare l’accesso al credito ai produttori di Aceto Balsamico di Modena IGP. Per loro, ma in generale per tutte le imprese coinvolte nella produzione di alimenti che completano il proprio ciclo produttivo con processi di invecchiamento o stagionatura, il Pegno Rotativo rappresenta la soluzione ottimale per una migliore gestione finanziaria. I soci del Consorzio potranno avvalersi di prodotti e servizi di finanziamento a condizioni vantaggiose da parte di Crédit Agricole Italia, basate sulla possibilità di prestare garanzia avente forma di Pegno Rotativo a favore della Banca, in relazione alla concessione di facilitazioni creditizie. Ciò significa che, da ora in poi, grazie alla possibilità di costituzione delle scorte in pegno presso il produttore, la Banca sarà in grado di avviare pratiche di affidamento per generare liquidità, con le dovute garanzie a copertura del rischio. Un accordo che rappresenta l’evoluzione sostanziale nell’applicazione della norma già introdotta lo scorso anno e apre le porte ad un rinnovato dialogo tra banche e aziende con l’intento di ottenere un consolidamento del tessuto produttivo locale e, al contempo, sviluppare i rapporti commerciali con le aziende supportate; un’intesa fortemente perseguita e raggiunta dal Consorzio in un momento particolarmente delicato per il mondo produttivo del Balsamico, con molte imprese che hanno affrontato e stanno ancora affrontando difficoltà legate al perdurare dell’instabilità economica causata della pandemia (photo © Infraordinario Studio).

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO? Sign O’ The Times, Prince

BACON, NON PANCETTA E IL SEGNO DEI TEMPI PER PRINCE di Giovanni Papalato

ra gli argomenti di natura gastronomica che risultano più divisori e forieri di accese discussioni c’è sicuramente chi non fa differenze tra pancetta e guanciale. Pagine su internet e pugni sui tavoli se qualcuno con nonchalance dice che “nella carbonara una o l’altro è uguale”… Premesso che ultimamente ho sentito qualcuno che ci mette la panna, sicuramente nei paesi anglosassoni si litiga meno sull’utilizzo del bacon, che qui erroneamente qualcuno si ostina a chiamare “pancetta fritta”. Ma una è pancia di maiale che viene squadrata e rifilata, mentre l’altro comprende anche altre parti dell’animale. Senza contare le differenti lavorazioni che definiscono ancora di più i prodotti finali, già in partenza diversi. Stagionato o affumicato, in migliaia di film e canzoni inglesi e statunitensi ci sono riferimenti al bacon, come in un pezzo di PRINCE in uno dei suoi album più belli e famosi, “Sign O’ The Times”.

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“What a lovely walk we’ve taken Let us dine on beans and bacon So the ducky and the little browny (Say it, y’all) Mousey and the beetle dined And danced upon their heads Till they toddled to their beds” (It’s Gonna Be a Beautiful Night) Gustoso e veloce da preparare, comfort food ad aprire una bellissima

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Scrambled bacon & eggs, ovvero uova strapazzate e bacon, rappresentano la classica prima colazione americana ed anglosassone, usata spesso anche per il brunch (photo © Anton – stock.adobe.com). serata piena di passione e divertimento, It’s Gonna Be A Beautiful Night è il penultimo brano del doppio album. All’inizio doveva essere la conclusione di Crystal Ball, un triplo LP, ma la casa discografica decise di pubblicare il lavoro riducendo le tracce e cambiandone la sequenza. Otto minuti di jam, registrati in un live del tour di “Parade” nell’estate del 1986 allo Zénith di Parigi, sono la base strumentale su cui poi sono state sovraincise le voci e i cori pochi mesi dopo al Sunset Sound, in California. Tra queste anche il transmississippirap di SHEILA E, una lettura parziale del poema The Table And The Chair di EDWARD LEAR, chiamato così perché Prince lo registrò al telefono dall’altra parte del fiume. Tutto insieme, palco e studio di registrazione, un disco frutto della smania organizzata di Prince, il talento e la tecnica. Non aveva nemmeno trent’anni nel 1987 e aveva già dimostrato la imprevedibilità stilistica di cui era capace e di cui aveva bisogno. Dall’esordio con “For You” nel 1978, passando al doppio “1999” quattro anni e tre dischi dopo, arrivando

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alle chitarre affilate di “Purple Rain”. Mollando tutto di nuovo per abbracciare prima la colorata psichedelia di “Around The World In A Day” e, a seguire, le sofisticate derivazioni Jazz di “Parade”. Poi, come sovraccarico, scioglie “The Revolution” la band che lo aveva accompagnato fino ad ora proprio mentre stava finendo un doppio album, ora recuperabile come Bootleg, chiamato “Dream Factory”. Interrompe anche il progetto Camille, in cui cantando in falsetto e raddoppiando la velocità delle tracce vocali avrebbe dato vita ad una sua versione femminile.

Tutto questo porta ad avere tantissimo materiale che, come abbiamo raccontato sopra, è diventato, tra scelte e tagli,“Sign O’ The Times”. La tensione principale era come conciliare l’eterogeneità di brani che avevano dinamiche e origini estremamente differenti, evitando di connotare il lavoro come una raccolta senza continuità. Paradossalmente fu proprio questa trasversalità stilistica che, associata ad un’incredibile eccellenza qualitativa, gli donò una naturale organicità che lo liberò da preconcetti. Un artwork altamente simbolico in cui Prince non è al centro della scena,

Sign O’ The Times rimane a distanza di più di trent’anni un disco imprescindibile, non solo riferendosi alla produzione di Prince. Un album in cui convivono soul, funk, jazz, pop ed elettronica in un modo così intenso e perfetto che lo rendono un modello assoluto per molti imitatori, qualche bravo discepolo e pochi eredi del piccolo grande principe

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Prince sulla copertina della rivista musicale Rolling Stones dell’aprile del 1985. Nel 1984 l’artista aveva ottenuto il successo mondiale con Purple Rain, raggiungendo contemporaneamente la prima posizione nelle classifiche dei singoli, degli album e dei film. Prima di lui c’erano riusciti solo i Beatles. Il film omonimo vinse anche l’Oscar per la miglior colonna sonora con canzoni originali (photo © www.today.it). ma allo stesso tempo ne è il protagonista perché ne sta uscendo. Si muove, la sua immagine è sfocata, si lascia alle spalle la band e tutti i simboli di tour passati, i palchi e le insegne luminose, ma allo stesso tempo li mette in primo piano. Musica al centro di tutto. Un disco che comincia col brano omonimo, capolavoro nel capolavoro, un punto di svolta, una nuova strada. La musica è minimale e complessa, sa di blues e funk e di sintetico, viene fuori quasi tutta da un synth Fairlight. Il riff di tastiera principale, i bassi non sono frutto di programmazione, ma sono tutti presi dall’archivio dei suoni campionati di default. Lo spoken word contribuisce a renderla ipnotica e seducente. Il resto lo fa il testo che tratta di olocausto nucleare, povertà, AIDS e diseguaglianze razziali nell’era Reagan. Un brano che anche nel video segna un deciso focus sulla sua essenza perché il testo e il ritmo sono messi in scena attraverso una rappresentazione

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grafica essenziale, non ci sono trucchi o distrazioni. Il disco poi inizia a correre tra momento di intimità, divertimento, sesso e ovviamente amore, attraverso filtri musicali che spaziano dal solare rock‘n’roll di Play in the Sunshine, al rap di Housequake per poi arrivare al soul di The Ballad of Dorothy Parker, solo stando nel primo lato del primo disco. Si ricomincia con It, che sta di diritto tra classici del genio di Minneapolis, muovendosi tra synth e chitarra elettrica in una dinamica perfetta di alternanza e commistione. L’ottimo esercizio di pop psichedelico di ispirazione beatlesiana di Starfish and Coffee precede il raffinato jazz di Slow Love, agli antipodi della carnale Hot Thing, funky ed elettronica in un modo così personale che ha fatto scuola per la generazione a seguire. Ma oltre a innovare sa anche mettere in pratica le influenze più importanti come la ricchezza melodica di STEVIE WONDER in Forever In My Life.

Il secondo disco parte con il pop di U got the Look, cantata in duetto con SHEENA EASTON, interprete scozzese con cui aveva già collaborato in precedenza. Troviamo invece le tracce dell’alter ego femminile Camile nei giochi vocali che si snodano lungo il fresco R’n’B di If I was Your Girlfriend. Se Strange Relationship è un altro gioiello pop, I Could Never Take the Place of Your Man è un altro giro di rock’n’roll dove è però chiara la matrice jam da cui è nata. Nei quasi sette minuti del brano, si succedono parti strumentali e cantate in misura uguale, svelandosi in una varietà che racconta di improvvisazione. L’ultimo lato si apre con la preghiera gospel elettrificata di The Cross, per poi esplodere in It’s Gonna Be a Beautiful Night, ibrida e viva tra live e studio. La conclusiva Adore si colloca tra le più iconiche canzoni di Prince, sensuale tra fiati e falsetto, chiude un disco immenso in maniera magistrale unendo soul e new jazz. Quello che è chiaro e prezioso di questo album, uscito nella seconda metà di un decennio spesso furbo e ingannevole, è la forte identità artistica del suo autore. Prince ha codificato un suo linguaggio, fatto di autogestione e tecnica. Perché il suo talento è grande ma non gli basta, così lo studio di registrazione è un altro strumento per sperimentare e realizzare, non solo un mero luogo di cronaca analogica o digitale. Un’emancipazione che porta in questa occasione all’avvio di un progetto fondamentale nella sua vita e nella discografia da lì a venire: Paisley Park, un complesso di studi di registrazione e sale prove dove scrivere, sviluppare e registrare audio e video, in totale indipendenza. “Sign O’ The Times” rimane ancora oggi a distanza di più di trent’anni un disco imprescindibile, non solo riferendosi alla produzione di Prince. Un album in cui convivono soul, funk, jazz, pop ed elettronica in un modo così intenso e perfetto che lo rendono un modello assoluto per molti imitatori, qualche bravo discepolo e pochi eredi del piccolo grande principe di Minneapolis scomparso purtroppo nel 2016. Giovanni Papalato Nota A pagina 110, photo © Lucio Pellacani.

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blickdesign.it

www.marca.bolognafiere.it COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA


FIERE

Con MEAT-TECH e Host Milano, TUTTOFOOD 2021 ancora più hub internazionale per i salumi ome si è evoluto il mercato dei salumi nell’anno che ha cambiato tutto? Secondo il Rapporto Coop, tra giugno e fine agosto 2020 i salumi affettati pronti all’uso hanno messo a segno un +13,7% grazie soprattutto ai cambiamenti nelle abitudini di consumo: più eco, healthy e free from, con una crescita nell’interesse dei consumatori per i prodotti confezionati, mentre è calato quello per il banco servito. Buoni anche i numeri

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dell’export, che guarda sempre più anche ai mercati emergenti. O oramai ex emergenti, come la Cina, puntando in particolare sulla breve stagionatura. Per cogliere appieno tutte le opportunità della ripresa occorre dunque sintonizzarsi sulle nuove tendenze e guardare ai mercati in un’ottica di sempre maggiore internazionalizzazione. Il luogo migliore per farlo? Tuttofood 2021, che si terrà a fieramilano dal 22 al 26 ottobre prossimi. Ulteriore valore aggiunto

dell’edizione di quest’anno, la manifestazione si terrà in contemporanea con Host Milano e MEAT-TECH, con accesso per i buyer e visitatori professionali ai tre eventi: un’occasione importante per moltiplicare i momenti di networking anche con nuovi interlocutori italiani ed esteri, oltre a consolidare il rapporto con quelli esistenti, integrando la tradizionale attenzione di Tuttofood per il mondo GDO e retail con il focus su ristorazione e fuoricasa di Host Milano.

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Forte anche per questa edizione della partnership con ASS.I.CA., grazie a queste sinergie nel 2021 Tuttofood rafforzerà ulteriormente il proprio ruolo di manifestazione di riferimento anche per il settore carni e salumi, dove alle produzioni di eccellenza italiane si affianca il meglio dell’offerta internazionale per un incontro domanda-offerta realmente globale. Punto focale per il settore sarà l’area dedicata Tuttomeat, uno dei punti di forza storici di Tuttofood grazie alla completezza dell’offerta merceologica combinata alla contiguità con le filiere affini, che genera sempre nuove opportunità di business. Altro grande valore aggiunto per il settore carni e salumi — che solo Tuttofood può offrire — sarà la contemporaneità con la terza edizione di MEAT-TECH, la fiera di IPACK-IMA dedicata alle soluzioni di processing e packaging per l’industria delle carni, dei derivati e dei piatti pronti. Tra le altre novità della manifestazione spicca Tuttofruit, e si segnala la crescita organica degli ultimi settori lanciati — Tuttowine, Tuttodigital e Tuttohealth — oltre al consolidamento dei settori tradizionali. Di grandissimo rilievo come sempre anche il palinsesto di eventi. In particolare, Tuttofood 2021 sarà ancora di più anche un luogo dove parlare, vedere, toccare tutto ciò che riguarda l’innovazione con Evolution Plaza, l’arena dedicata alla trasformazione digitale e anima dell’area Tuttodigital. Di grande rilievo anche lo spazio Innovation Area, che presenterà il nuovo concorso di Tuttofood dedicato all’innovazione. Ritorna anche la Retail Plaza, il palcoscenico dove si confrontano i protagonisti del mondo del Retail e della GDO. Sempre in tema di innovazione, le soluzioni digitali avanzate di Fiera Milano Platform permetteranno di interagire con i propri stakeholder in modalità ibrida, integrando i contatti in presenza — compreso il matching — con quelli in digitale anche da remoto.

>>Link: www.tuttofood.it

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Punto focale per il settore carne e salumi sarà l’area Tuttomeat, mentre nell’area Tuttodigital, oltre ai grandi player, attenzione puntata sulle start-up innovative.

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Identità Golose Milano, 25–27 settembre 2021 per “Costruire un nuovo futuro: il lavoro” L’edizione numero sedici della grande kermesse dedicata ai protagonisti della cucina e della pasticceria d’autore sarà organizzata come di consueto a Milano, negli spazi del Mi.Co., durante un periodo insolito per il congresso che, fin dal suo esordio, si è sempre tenuto nel primo trimestre dell’anno. Una scelta obbligata dalla necessità di pianificare l’evento in sicurezza, senza rinunciare agli elementi che l’hanno sempre caratterizzato. Obiettivo sarà dare voce al mondo della ristorazione quando la pandemia che ha invaso le nostre vite avrà smesso – si spera e si prevede – di mordere, “per riscoprire nei ristoranti non solo luoghi in cui le relazioni possono avvenire in sicurezza, ma in cui talenti, professionalità ed eccellenze del territorio devono continuare ad essere coltivati e valorizzati”. Un evento, un piatto Per parlare e ricordare la grande bellezza dell’alta ristorazione abbiamo scelto la “ricetta della rinascita 2021” di DONATO DE LEONARDIS, chef del ristorante Don Alfonso 1890 al San Barbato Resort di Lavello (PZ), “Puzzle di mare”, un piatto che, con i suoi cromatismi, ci invita a guardare al futuro con ottimismo e fiducia. “Questo piatto nasce dall’idea dei colori che hanno caratterizzato e limitato le nostre giornate fino ad oggi e non si sa fino a quando lo faranno ancora. È come rivivere quelle giornate grigie di pioggia che ci costringono in casa e fanno passare la voglia di fare qualsiasi cosa, perdendo cosi i legami con le altre persone. Non dimentichiamo però, che dopo la pioggia esce sempre il sole e in alcuni casi, anche un grande arcobaleno colorato. In questo piatto si esprimono con forza due concetti: la voglia di riunirsi in un forte abbraccio potendo stare vicini, e la bellezza dei colori dell’arcobaleno che ricorda che a tutto c’è una fine” (photo © instagram.com/identitagolose e @donatodeleonardis_chef). >> Link: www.identitagolose.it

Champagne Experience a Modena il 10 e 11 ottobre Sarà ancora Modena a ospitare l’attesa quarta edizione della kermesse più importante d’Italia dedicata allo champagne organizzata da Società Excellence, realtà che riunisce diciotto tra i maggiori importatori e distributori italiani di vini e distillati d’eccellenza. Il protrarsi dell’emergenza sanitaria e le conseguenti norme per fermare il contagio da Covid-19 non consentono di organizzare la tappa prevista a Roma a maggio, come precedentemente comunicato. «Le motivazioni che ci avevano spinto l’anno scorso a posticipare la tanto attesa edizione nella Capitale sono le stesse che ci hanno convinto al suo spostamento al 2022» spiega LORENZO RIGHI, organizzatore della manifestazione e direttore di Società Excellence. «Si tratta di un arrivederci, quindi, non di un addio». La manifestazione si svolgerà dunque quest’anno nella sede storica delle precedenti edizioni di Champagne Experience, domenica 10 e lunedì 11 ottobre, sempre negli spazi di Modena Fiere: una location già rodata che permette un’ampia flessibilità e una maggiore confidenza nel riprogettare spazi e dettagli della kermesse. «Siamo già al lavoro con l’ente fieristico per organizzare nel miglior modo possibile e in totale sicurezza l’edizione 2021» conclude il direttore di Società Excellence. «Ampliando gli spazi dedicati alla manifestazione consentiremo un maggiore distanziamento delle postazioni. Punteremo a garantire ai visitatori un’esperienza di grande valore, nel rispetto degli accorgimenti resi necessari dalla pandemia». >> Link: www.champagneexperience.it

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MarcabyBolognaFiere, appuntamento a gennaio 2022 Il perdurare dell’emergenza sanitaria, nonostante le campagne vaccinali in atto sul territorio nazionale stiano lentamente invertendo la curva dei contagi, richiede agli organizzatori fieristici massima flessibilità e una continua valutazione delle opportunità di rimodulazione dei calendari espositivi, con l’obiettivo di assicurare le migliori condizioni per lo svolgimento degli eventi e di assecondare le esigenze delle aziende impegnate a far fronte alla pandemia. È nato anche da queste riflessioni il confronto fra organizzatori dell’evento — BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — e gli espositori, per individuare la miglior data per lo svolgimento della prossima edizione di MarcabyBolognaFiere. Dopo il successo riscosso da Marca Digital Session, la piattaforma digitale di incontro fra produttori e la filiera della GDO (attivata dal 15 al 25 marzo 2021) — che ha visto la presenza di 325 aziende produttrici MDD partner, la realizzazione di 4.000 incontri, 9.000 presenze, l’intervento di 175 buyer stranieri di importanti insegne estere, la presenza di insegne da Europa, USA, Canada, Sud America, Asia e Medio Oriente e di 100 buyer italiani delle insegne top del comitato di MarcabyBolognaFiere — si è reso necessario valutare l’opportunità di confermare lo svolgimento dell’evento come pianificato inizialmente a giugno 2021 o riproporla nella naturale data di svolgimento, il mese di gennaio, puntando direttamente al 2022. La scelta degli espositori ha privilegiato la seconda opzione, sulla quale confluisce, da un lato, la certezza del consolidamento degli effetti delle campagne vaccinali in atto e, dall’altro, il riposizionamento di MarcabyBolognaFiere nel periodo più funzionale alle aziende partecipanti per la pianificazione delle strategie commerciali. «Siamo certi che il riposizionamento a gennaio 2022 sia la migliore soluzione per la ripartenza, a pieno ritmo, del business e per sostenere il trend di attenzione degli operatori internazionali sempre più proiettati a sviluppare collaborazioni commerciali con le imprese italiane che avranno, così, più tempo per organizzare al meglio la partecipazione all’evento» ha dichiarato GIANPIERO CALZOLARI, presidente di BolognaFiere». «Posizionare MarcabyBolognaFiere a gennaio 2022 ci è parsa la soluzione migliore per consentire alle aziende partecipanti di concentrare i loro sforzi nella gestione dell’emergenza tuttora in atto e prevedere la ripartenza a quella data» conferma MARCO PEDRONI, presidente ADM. «Ci conforta il fatto che la sessione digitale svolta a marzo abbia dato ottimi risultati di partecipazione degli operatori, sia MDD partner che distributori; questo ribadisce l’importanza crescente che la Marca del Distributore ha sul mercato e la necessità di proseguire i lavori di innovazione e sviluppo della stessa» (photo © www.marca.bolognafiere.it). >> Link: www.marca.bolognafiere.it

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TECNOLOGIE

La tradizione del Macello Bosia incontra la tecnologia di CSB-System l Macello Bosia rappresenta una realtà storica a Bascapè, in provincia di Pavia, ed è sinonimo di valori, tradizioni e dedizione da sempre orientati alla qualità e alla soddisfazione del cliente. L’attività iniziata dal padre GIAN CARLO BOSIA negli anni ‘60, è cresciuta fino ad oggi con

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la passione dei figli STEFANO, responsabile della produzione, e GIAN LUCIO, responsabile amministrativo. «Siamo una piccola azienda a conduzione familiare — spiega Gian Lucio — ma non abbiamo mai subito rallentamenti nel nostro lavoro, neanche in questo periodo di pandemia. Il nostro segre-

to? Siamo sempre rimasti al passo coi tempi, senza mai trascurare l’eccellenza delle nostre carni. I collaboratori sono regolarmente formati in materia di sicurezza sul lavoro, gli ambienti di lavoro sono confortevoli e i macchinari all’avanguardia; il parco macchine è composto da una flotta di autocarri

Il team al completo. Il quinto da destra è il dottor Gian Lucio Bosia; alla sua destra, il fratello, Stefano Bosia.

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refrigerati e trasporto bestiame in grado di gestire tempestivamente le consegne e i trasporti giornalieri». Vien da sé che una così attenta organizzazione aziendale ha presto sentito la necessità di un supporto gestionale affidabile e sicuro. «Conoscevamo la CSB-System — interviene Stefano — così al momento giusto li abbiamo contattati». Il CSB-System: ERP completo e modulare La copertura offerta dall’ERP CSBSystem, gestionale specifico per il settore alimentare, è completa e spazia dagli acquisti alla macellazione e sezionamento, dall’ottimizzazione ricette alla produzione, dalla peso-prezzatura integrata fino all’efficiente preparazione ordini e alla rintracciabilità completa, senza tralasciare la contabilità analitica e industriale, EDI, Business Intelligence, Archiviazione documentale e tanto altro. «Noi abbiamo scelto il CSB ERP con i moduli Acquisti, Macellazione, Sezionamento, Vendite, Magazzino e Contabilità nei quali abbiamo integrato tutte le funzioni aziendali. Il lavoro di implementazione del nuovo software è durato relativamente poco,

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In alto: veduta aerea del Macello Bosia. In basso: il punto vendita al dettaglio del Macello Bosia per clienti privati e famiglie. permettendoci di sfruttare fin da subito i vantaggi derivanti dall’ottimizzazione del processo produttivo». CSB-System a supporto del processo produttivo L’azienda macella e seziona bovini, suini, equini, ovicaprini e soddisfa i

requisiti comunitari previsti per i macelli CE. Il bestiame è selezionato con grande cura e attenzione in allevamenti che garantiscono un elevato livello qualitativo e il rispetto del benessere degli animali. I dati presenti sull’auricolare sono inseriti nel CSB-System al momento dell’ingresso del capo vivo, e sono alla base del Si-

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propria produzione, commercializza prodotti avicunicoli e di salumeria. «Ultimamente, nell’ottica di fornire un servizio di alta qualità e professionalità e per far fronte ai disagi causati dalla pandemia — spiega Gian Lucio — vi abbiamo aggiunto un servizio di consegna a domicilio di generi alimentari: carni, formaggi, salumi, conserve, frutta e verdura». CSB-System anche in amministrazione Tutte le funzioni di gestione merci del CSB-System sono direttamente integrate nel modulo Contabilità CSB. Qui si gestiscono il controllo automatico delle fatture, le registrazioni clienti/fornitori, i diversi pagamenti, la liquidazione IVA, la stesura di bilanci e rendiconti mensili, estratti conto, e così via. Il modulo Contabilità, con la gestione della contabilità analitica dei centri di costo, fornisce in ogni momento alla direzione informazioni sulla situazione contabile, sulla liquidità e sulla redditività dell’azienda.

Qualità e soddisfazione del cliente sono valori essenziali per i fratelli Bosia. stema Informativo Lotti che assicura una gestione puntuale della tracciabilità a tutela della sicurezza dei consumatori; affiancata questa, anche dall’adozione di un articolato piano HACCP. I dati della macellazione sono trasmessi alla banca dati nazionale del bovino tramite EDI gestito dal CSB-System. Dopo la macellazione e il sezionamento il prodotto etichettato è destinato a macellerie, dettaglianti e canale HO.RE. CA. Il CSB-System gestisce in maniera flessibile etichettature personalizzate per cliente, per pezzo e per cartone. L’azienda lombarda, infatti, commercializza mezzene o parti di essa con osso e tagli anatomici sottovuoto.

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La produzione è orientata ad una clientela del territorio. «Grazie al modulo Vendite del CSB-System siamo in grado di gestire listini personalizzati e diverse tipologie di scontistica: una flessibilità che ci è molto utile visto che lavoriamo con prodotti freschi!» afferma Stefano. Tramite gestionale, il Macello Bosia può mantenere una gestione accurata della quantità di merce presente in magazzino, utilizzando più unità di misura, quali pezzi, kg e cartoni con relative date di scadenza interne ed esterne. Parallelamente all’attività all’ingrosso, il macello si avvale di un punto vendita al dettaglio per clienti privati e famiglie, dove oltre ai prodotti di

Per concludere Col supporto del CSB-System il Macello Bosia ha raggiunto un controllo trasversale su tutta l’azienda e continua a fornire ottimi prodotti come vuole la tradizione, ma con un’efficienza moderna. Ne sono certi i fratelli Bosia: «La nostra lungimiranza è stata premiata. Mai come in questo periodo è vantaggioso avere a disposizione in azienda il gestionale giusto: lavoriamo con maggiore efficienza, flessibilità e competitività, tenendo sempre sotto controllo i costi e senza mai tradire la qualità dei nostri prodotti».

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Formaggi d’eccellenza: dalla ricerca, l’arma del DNA per difenderli da imitazioni e adulterazioni. Il caso Grana Padano DOP I formaggi italiani, con oltre 15 miliardi di fatturato nel 2019 e 52 DOP e 2 IGP, sono un fiore all’occhiello del made in Italy e fra i più imitati al mondo. Per difenderne qualità ed autenticità la ricerca è scesa in campo col progetto “New technologies for cheese production – NEWTECH”, coordinato da CREA Zootecnia e Acquacoltura e col supporto del Consorzio Grana Padano nella raccolta e fornitura dei campioni di formaggio sottoposti ad analisi nel corso del progetto. Gli obiettivi sono stati, da una parte, l’ottimizzazione di metodi analitici sensibili per distinguere l’origine geografica del Grana Padano Dop e, contestualmente, cercare di differenziare il formaggio Dop da prodotti similari, e, dall’altra, invece, la valutazione dell’impatto di alcune tecnologie (come l’uso di latte in polvere in prodotti industriali o l’introduzione di sistemi di valutazione rapida dei tempi di coagulazione dei formaggi) nella standardizzazione di processi e prodotti. I risultati suggeriscono che, attraverso l’analisi del DNA vegetale e microbico in latte e formaggi, è possibile sviluppare una metodologia rapida per distinguere il Grana Padano da prodotti duri similari, le cui ricadute per i consumatori consisteranno nella difesa dell’origine e dell’autenticità dei formaggi di eccellenza nazionale, a tutela e garanzia della qualità dei prodotti. «Abbiamo valutato la diversità microbica e mappato il formaggio Grana Padano attraverso metodi di analisi molecolare» ha dichiarato GIORGIO GIRAFFA, dirigente di ricerca del CREA Zootecnia e Acquacoltura, coordinatore scientifico del progetto. «Abbiamo, inoltre, studiato l’impatto del latte in polvere sulla resa casearia e sulla qualità dei prodotti. Infine, è stata messa a punto una sonda per monitorare, in modo oggettivo e riproducibile, il tempo di coagulazione del latte in caldaia, una fase estremamente delicata nelle trasformazioni casearie in quanto la sua stima precisa, spesso ancora affidata alla “sensibilità” del casaro, è necessaria per ottenere una standardizzazione delle successive fasi di processo e, quindi, una maggiore costanza nella qualità dei prodotti». Una volta ulteriormente sviluppate queste tecniche, sia i produttori di latte che l’industria ne potranno disporre per la mappatura e la tracciabilità di tutta la filiera, perseguendo al contempo un’ulteriore valorizzazione di prodotti e processi produttivi. Le ricadute ambientali, soprattutto in relazione alla ottimizzazione delle fasi di processo, consisteranno in una riduzione degli sprechi e in una maggiore sostenibilità delle produzioni casearie (fonte: CREA; photo © irinagrigorii – stock.adobe.com). >> Link: www.crea.gov.it – www.granapadano.it

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STORIA E CULTURA

L’OSTE DEL CINEMA ITALIANO Cesare Zavattini, in primis, ma anche Bernardo Bertolucci e attori come Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Dino Risi. E poi Gianni Brera e Valentino Bompiani: Arneo Nizzoli è l’oste che nella Bassa Mantovana ha sfamato il miglior cinema italiano, mettendo a tavola classici della cucina padana come rane e lumache di Riccardo Lagorio 122

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Lumache e rane, maiale e zucca: fuori da qualsiasi itinerario, e quindi da conquistare eleggendolo a meta di turismo enogastronomico del cuore, il ristorante Nizzoli a Villastrada di Dosolo propone una cucina saporita legata alle stagioni e ai prodotti della campagna occidentale mantovana, in un contesto pittoresco

Arneo Nizzoli è stato definito da Cesare Zavattini il “Picasso della gastronomia naïve” e pare che dal Nizzoli fosse doveroso passare almeno una volta nella vita per sapere davvero cos’è la cucina padana. Spalla cotta, tortelli di zucca, risotto o zuppa con le rane, lumache fritte in salsa di grana, sbrisolona e torta di tagliatelle

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C’

è un museo-non-museo dedicato a CESARE ZAVATTINI a Villastrada, borgata di Dosolo, nel Basso Mantovano. Lettere, documenti, libri, ricette, quadri e persino la bicicletta del poeta, scrittore e scenografo reggiano li ha raccolti ARNEO NIZZOLI, cuoco e proprietario dell’omonimo riconosciuto ristorante che solo il corso del Po separa dal paese natale dell’artista. Molti cimeli sono conservati all’interno del locale, che Zavattini frequentò dal 1963 al 1988, apprezzando l’arte culinaria e la simpatia dell’oste mantovano. A poco più di trent’anni dalla scomparsa, Nizzoli ha ricordato i primi momenti dell’incontro con Zavattini. «Il primo maggio 1963 prelevai il bar ristorante di Dosolo e a metà giugno entrò nel locale un tizio che portava il basco in testa. Io non lo conoscevo, ma alcuni amici mi dissero chi fosse. Si presentò con richieste ben chiare che seppi accontentare. “A me piace il salame con l’aglio mantovano, la spalla cotta bollente con polenta bruciata che tinga la bocca, riso di zucca al triplo brodo all’onda con tanto burro e grana, rane fritte e brasato di manzo o di carne equina”. Si espresse così» racconta Nizzoli. Uomo di cinema e di teatro, di editoria e inventore di fumetti, la pittura naïf e LIGABUE devono molto a Zavattini. Molte opere fanno parte dell’arredamento del ristorante. Il grande esponente del Neorealismo era bevitore esigente: «In tavola voleva almeno tre bottiglie di Lambrusco diverse, apparecchiate con grandi bicchieri: chiaro, scuro e amabile. Quando non c’erano i suoi amici registi, vino in tazza, soprattutto Lambrusco di Viadana, con tanta schiuma. Era uno sceneggiatore anche a tavola, Zavattini. Voleva che dalla zuppiera uscisse un grande vapore, come per i taiadéli (sottili tagliatelle) in triplo brodo di gallina, maiale e manzo, che amava particolarmente» narra Arneo, definito il Picasso della gastronomia naïf. Del resto Arneo Nizzoli è l’oste che nella Bassa Mantovana ha sfamato il miglior cinema italiano. BERNARDO BERTOLUCCI con tutti gli attori di Novecento, VITTORIO DE SICA, DINO RISI, ma anche GIANNI BRERA e VALENTINO BOMPIANI. Causa ed effetto, ai suoi tavoli da oltre 40 anni si susseguono durante le

diverse stagioni dell’anno curiose celebrazioni dedicate al porco (le celebri maialate), alle rane, alla zucca e alle lumache. Liturgie laiche paragonabili alle prescrizioni imposte da Zavattini per la “perfetta cottura della spalla cotta, prima lasciata in bagno per 24 ore, poi lessata e fatta raffreddare nella sua acqua o per la preparazione delle cotolette, che dovevano essere cucinate con l’aggiunta di due interi panetti di burro”. Za, come era amichevolmente denominato, aveva un debole per le rane, portata da palude desueta sulle tavole contemporanee. «Caratterizzava le portate della primavera, da aprile in avanti»: la zuppa di rane è tuttora una delle pietanze favorite dagli ospiti, poi la frittata di rane, il risotto con le rane. In compagnia di artisti, intellettuali, attori e registi come ETTORE SCOLA, MARIO MONICELLI e GÉRARD DEPARDIEU, «Za sosteneva un altro prodotto di culto della nostra pianura, le lumache. Non tanto alla bourguignonne, quanto in versione padana. Così sono nati piatti come La lumaca nello spaghetto, le Lumache fritte in salsa di grana, le Lumache in umido con polenta e funghi chiodini». Nei menu di oggi dedicati alla lumaca, che si tengono nel mese di maggio, il più gettonato è la Vellutata di lumache con uovo di quaglia e crema di tartufo, una squisitezza che rende questo locale fuori da qualsiasi itinerario un luogo da conquistare eleggendolo a meta stessa di turismo. Come ricorda la targa dedicata a Cesare Zavattini affissa fuori dal Nizzoli. Riccardo Lagorio Ristorante Nizzoli Via Giuseppe Garibaldi 18 46030 Villastrada di Dosolo (MN) Telefono: 0375 838066 E-mail: ristorantenizzoli@gmail.com Web: ristorantenizzoli.com Nota A pagina 122, Arneo Nizzoli ritratto da DAVID MAIALETTI. La foto è tratta dal volume “Un altro sguardo. Luzzara, Another Look”, edito nel 2018 dalla Fondazione Un Paese. Un progetto fotografico sugli abitanti di Luzzara frutto di quattro anni di lavoro del fotografo americano (photo © www.reggiosera.it).

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Paese che vai, fermentato che trovi

Salse di pesce, dal garum alla colatura di alici di Giovanni Ballarini

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a quando l’uomo si è trovato di fronte alla necessità di conservare gli alimenti, si è accorto che quel particolare processo che oggi noi chiamiamo fermentazione cuoce il cibo senza aver bisogno di nessuna fonte di energia, lo preserva e lo conserva, allungandone la vita. Ogni cultura, accanto ad altri sistemi di conservazione (essiccamento, affumicamento, salagione, congelamento, ecc…), ha sviluppato la fermentazione degli alimenti a lei più consoni. Le culture della Mezzaluna Fertile hanno maturato e perfezionato la fermentazione dei cereali, dei frutti e del miele per ottenere birra, vino e idromele; le culture celtiche la fermentazione del latte e della carne per ottenere yogurt, formaggi e salumi; le culture asiatiche, e soprattutto quelle del Pacifico, hanno sviluppato le fermentazioni degli animali acquatici, che, peraltro, sia pure in linea minoritaria, sono presenti anche in altre culture a contatto col mare e i fiumi. Ogni cultura ha le sue fermentazioni e i suoi alimenti fermentati, con aromi e sapori graditi ai suoi popoli, ma che possono non esserlo per altri, con variazioni che cambiano col trascorrere del tempo. Non bisogna quindi stupirsi che quando nel 1944 reparti di giovani soldati americani allevati e nutriti con latte e formaggi freschi, sbarcati in Normandia ed entrati in cantine di maturazione dei suoi celebri formaggi, Camembert, Livarot, Neufchâtel e PontL’Evêque, nauseati da quell’odore che ritennero di putrefazione, siano arrivati a distruggerli coi lanciafiamme. In modo analogo avviene per i pesci fermentati, che emanano aromi e hanno sapori che sono graditi ai popoli che li conoscono e sgraditi a chi non ne è abituato.

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Prodotti ittici fermentati e salse di pesce La fermentazione è un metodo di conservazione tradizionale del pesce prima di refrigerazione, congelamento e surgelamento, inscatolamento e altre tecniche, migliorate nell’epoca contemporanea con sistemi di bioconservazione che usano anche batteri lattici aggiunti al prodotti da fermentare, producendo antimicrobici attivi quali lattico e acido acetico, perossido di idrogeno, batteriocine e nisina, un conservante particolarmente efficace.

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La preparazione della colatura di alici nel terzigno, con i pesci sistemati a strati alterni col sale (photo © www.grandchef.net). Tra i diversi prodotti ittici ottenuti per fermentazione, le salse di pesce tipiche della cucina asiatica trovano grande diffusione nelle preparazioni culinarie di tutto il mondo. Il termine “salsa” deriva dal latino salsus, che significa salato. La salsa è un condimento di cucina formato da un legante e da un sapore più aromi e/o spezie, con consistenza pastosa, cremosa o semiliquida. Il suo scopo è quello di legare insieme tra loro alimenti diversi, fornendogli una consistenza più compatta e uniforme. Accompagnando carni, pesci, pasta o verdure, la salsa dà loro sapore, esaltandone le caratteristiche organolettiche e soprattutto gustative. “Le salse sono un’idea astratta di sapori compositi che ha preso vita per mano di cuochi pigmalioni”, afferma il gastronomo italiano LIVIO CERINI DI CASTEGNATE, per il quale “l’idea di salsa deve essere nata quando l’uomo preistorico portò per caso alle labbra un dito intinto in quel qualcosa che colava da un agnello allo spiedo e avendolo trovato piacevole pensò di raccogliere quel qualcosa e di versarlo sulle lumache cotte nella cenere”. Ricette di salse vi sono nelle culture antiche dei Sumeri, Egizi, Caldei, Dorici, Assiri, Ebrei, Greci e Romani. Questi ultimi mescolano il sale con

erbe aromatiche e aromi come timo, cumino, zenzero, pepe, apio, aneto, croco, nardo e lo usano in cucina, ma soprattutto i Romani del periodo imperiale conoscono e diffondono il garum, il condimento di pesce fermentato più noto nell’antichità. MARCO GAVIO APICIO, nel suo trattato di gastronomia De re coquinaria del I secolo d.C., descrive molte salse da lui inventate, tra cui l’esca Apicii, ovvero il “cibo di Apicio”, da cui deriva il moderno escabeche, in italiano “scapece”, presente in varie forme nelle cucine regionali di diversi Paesi. Ketchup, salsa di pesce che diviene salsa di pomodoro Molto complesso e variabile è il mondo delle salse, come dimostra il caso del ketchup. È questa una salsa originaria della Cina meridionale costiera; gli ideogrammi del suo nome significano “salamoia” e “succo di pesce” e nella ricetta originale ha infatti una base di pesce fermentato. I Cinesi diffondono la salsa nel Sud-Est asiatico dove prende il nome di kecap o kicap, divenendo in lingua inglese ketchup. Quando nel 1600 questa salsa arriva in Europa, i cuochi la modificano utilizzando svariati ingredienti tra cui ostriche, funghi, noci e limone. Nel 1700 nell’America settentrionale alcuni cuochi modificano

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La sardella calabrese, conosciuta anche come “caviale dei poveri”, è una salsa tradizionale a base di pesce e peperoncino piccante. Non poteva quindi che essere presente in menu da Sbunda, locale in via Paolo Sarpi a Milano che propone panini e altre specialità in puro stile calabrese. Questo è ad esempio è riccamente farcito con sardella di Crucoli, patate, peperoni e provola di latte fresco (photo © www.facebook.com/Sbunda.paninidicalabria). ulteriormente la salsa utilizzando il pomodoro. Nel 1812 il primo tomato ketchup (ketchup di pomodoro) è prodotto a Philadelphia da JAMES MEASE e nel 1869 HENRY JOHN HEINZ sviluppa la ricetta del ketchup che tutti ora conoscono. In Italia, durante il periodo fascista, il ketchup di pomodoro deve cambiare nome e diviene salsa rubra, con una composizione che si avvicina a quella del bagnèt ross presente sui maggiori ricettari piemontesi fin dalla fine del 1700.

dalle “piscine” destinate ai pesci, come indica la loro denominazione, e non come oggi al nuoto dei loro padroni. In questo quadro solo accennato un posto principale hanno le conserve di pesce e tra queste il garum, o forse sarebbe meglio dire i garum, perché ve ne erano di molte varietà e “qualità”, secondo le diverse specie ittiche usate nella sua preparazione, metodo e luogo di produzione e infine destinazione, dal garum di alta qualità per la gastronomia a quello d’infima qualità per gli schiavi.

Salse di pesce italiche, italiane ed europee Nell’Italia antica i reperti archeologici (resti di lische e di vertebre di pesci, immagini di pesca) testimoniano che si mangiava pesce e alcuni testi di epoca imperiale riportano diverse ricette. Il successo del pesce nella cucina della Roma imperiale è testimoniato anche dalle navi che trasportano il pesce vivo in “vasche” comunicanti con il mare e

Garum Salsa liquida ottenuta dalla fermentazione di interiora di pesce, pesce e sale che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti piatti. La consuetudine sembra sia stata acquisita dalla cucina dei Greci, come indica l’etimologia del termine garum, che deriverebbe dal greco garos o garon (γάρον), ovvero il nome del pesce i cui intestini sono originariamente usati nella

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produzione dei condimenti. Il garum di qualità era conservato e distribuito in anfore particolari che, come avviene per il vino, ne riportavano l’origine. A Pompei, un mosaico della Casa di AULUS UMBRICIUS SCAURUS raffigurante un’anfora per il garum, riporta la scritta G(ari) F(los) SCAM(bri) SCAURI, ovvero il nome del produttore della salsa. A Baelo Claudia (Alumbrada), a una ventina di chilometri da Tarifa, in prossimità del villaggio di Bolonia, nella provincia di Cadice, nel sud della Spagna, è stata individuata una fabbrica di garum con le vasche di fermentazione del pesce. Si ritiene che qui si usasse in particolare il tonno, da cui si otteneva il garum di migliore qualità. Benché abbiamo solo notizie frammentarie e talvolta contraddittorie — di conseguenza c’è incertezza su cosa fosse e come si preparasse esattamente —, si ritiene che il garum potesse essere un liquido più o meno denso della salamoia delle acciughe e altro pesce sotto sale simile alla Colatura di alici di Cetara o al Nuoc Mam e altre salse similari tipiche dell’Oriente. Quasi certamente ogni regione dell’Impero aveva la sua variante, anche in base al pescato. APICIO, nel De re coquinaria, usa il garum in almeno venti ricette; se ne ritrovano poi citazioni nelle Geoponiche, di autore ed epoca ignoti, in QUINTO GARGILIO MARZIALE, PLINIO IL VECCHIO (23 d.C.-79 d.C.) in Naturalis Historia, LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA (4 d.C.–70 d.C.) in De re rustica, LUCIO ANNEO SENECA (4 a.C.-65 d.C.) in una sua lettera, GAIUS PETRONIUS ARBITER (27 d.C.-66 d.C.) nella descrizione della cena di Trimalcione, MARCO VALERIO MARZIALE (38 d.C.-104 d.C.) nei suoi epigrammi, ISIDORO DI SIVIGLIA (560 d.C.-636 d.C.). Colatura di alici Diffusa nel Salernitano e in particolare a Cetara, la colatura è una preparazione a base di alici. Il pesce è messo sotto sale e poi ricoperto con dischi di legno dal peso via via decrescente, per una pressatura che favorisce la fuoriuscita del liquido, che è poi esposto al sole e infine nuovamente conservato in botti di legno dalle quali cola lentamente (di qui il nome). Più in dettaglio, le alici fresche sono eviscerate e private delle teste, quindi sistemate in un barilotto di legno di rovere detto terzigno, perché ha

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la capacità di un terzo di botte, a strati alterni di alici e sale. Il contenitore viene poi coperto con un disco in legno detto tompagno fermato con grosse pietre. Sotto la pressatura e la maturazione delle acciughe in superficie affiora un liquido che è prelevato ed esposto alla luce del sole estivo. Dopo quattro o cinque mesi il liquido è nuovamente versato nel terzigno, dove si trovano le acciughe sotto sale, per essere poi recuperato attraverso un foro praticato al fondo della botticella e essere infine imbottigliato come un distillato di acciuga e usato anche al posto del sale per insaporire le verdure fresche o lessate e alcuni piatti di pasta o di pesce. La salsa liquida prodotta dal tradizionale procedimento di maturazione delle alici è trasparente, dal colore ambrato. Lo scorso ottobre la Colatura di alici di Cetara ha ottenuto il riconoscimento europeo della DOP, la Denominazione di Origine Protetta. Sardella Salsa tipica della cucina calabrese, soprattutto di Crucoli (KR), Cirò Marina (KR), Trebisacce (CS) e Cariati (CS). Si ottiene miscelando peperoncini rossi con pesci bianchetti di piccolissima taglia, sale e semi di finocchio. Pasta d’acciughe Ricetta semplice e antichissima, si prepara pestando nel mortaio acciughe dissalate fino ad ottenere una salsa densa. Condimento rudimentale, si è raffinato nel 1800 quando sono cominciate ad essere pubblicate le cuciniere in vari Paesi. Nel 1885 famosa è la pasta d’acciughe fatta da BURGESS, confezionata in vasetti in stile vittoriano e oggi ricercati dai collezionisti. In Piemonte la pasta di acciughe è arricchita aggiungendo un tuorlo d’uovo sodo, capperi e mollica acetosa di pane ed è alla base del bagnèt verd, nel quale entra anche una buona quantità prezzemolo. Alcuni aggiungono l’aglio, altri i pinoli, quindi si passano tutti gli ingredienti nel mortaio fino ad ottenere una pasta omogenea che si serve in una ciotolina. La pasta d’acciughe in tubetto è prodotta per la prima volta verso il 1850 dal toscano CESARE BALENA, in Peretola, Firenze. La pasta d’acciughe può essere utilizzata per la preparazione di un antipasto o una merenda salata.

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Acciugata L’acciugata (anchoïade) è una salsa tipica della Provenza a base di acciughe, aglio, olio, aceto e erbe provenzali a piacere. Un tempo si usavano le acciughe salate di barile che andavano dissalate nell’acqua o nel latte e poi spinate. Patum peperium Ricetta inglese messa a punto nel 1828. Si tratta di una salsa densa e salata preparata unendo acciughe, burro e erbe (timo, rosmarino, origano, basilico, santoreggia, menta, maggiorana, salvia, finocchio). Si gusta spalmata sul pane tostato oppure come guarnizione di piatti di carne o patate. Salse di pesce asiatiche Le salse di pesce ottenute da un lungo processo di fermentazione sono un ingrediente essenziale in molti piatti, zuppe e curry delle cucine vietnamita, tailandese, laotiana, cambogiana, filippina, cinese e di altri Paesi del Sud-Est Asiatico. Queste salse possono essere aggiunte a qualsiasi piatto durante il processo di cottura o mescolate ad altri condimenti in differenti maniere a seconda degli usi locali di ogni Paese menzionato, col pesce, i crostacei, i molluschi, il pollo e tutti i tipi di carne. Nella Cina del Sud le salse di pesce sono usate spesso nella zuppa, nel brodo e per la casseruola. Tra le molte varietà di queste salse ve ne sono di forti e meno forti; alcune sono fatte con pesce crudo, altre con pesce essiccato, alcune con vari tipi di pesce, altre con solo una varietà, composte solo dalle viscere o di solo sangue, al naturale o più o meno salate, con o senza erbe e o spezie e talune piccanti. Nel Sud-Est asiatico la salsa di pesce è spesso composta da acciughe o seppie, sale e acqua, il tutto è messo in casse di legno a fermentare e pressato lentamente fino a fare fuoriuscire il liquido chiamato diversamente secondo i luoghi e usato con moderazione perché dal sapore piuttosto intenso. Nel Laos e nella regione del Nord-Est tailandese al confine laotiano si produce una salsa densa che ha un sapore e odore molto forti ottenuta con una lunga macerazione di pesci d’acqua dolce. La salsa semisolida-pasta di acciughe indonesiana trasi, la cambogiana prahok, le malesi

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La Nuoc cham è una salsa vietnamita con la quale si condiscono molte ricette tradizionali locali, apprezzata variante del Nuoc mam (photo © Alleko). krill, belacan o budu e la filippina patis sono varianti sullo stesso tema. Nelle Filippine, Laos e Isan la salsa di pesce si usa spesso da sola come condimento delle verdure crude, a volte amalgamata con acqua e qualche volta intiepidita. In Thailandia le varianti sono usate per cucinare e come condimento. Alcune di esse meritano un breve cenno. Nuoc mam Salsa di pesce del Vietnam dove costituisce l’insaporitore per eccellenza. Il pesce di mare e di lago, fresco o essiccato, è fermentato a lungo in casse di legno con acqua e sale, insieme a crostacei, visceri, sangue e spezie che variano a seconda delle ricette e che sempre contengono il peperoncino. Nuoc cham È la più celebre e apprezzata variante del Nuoc mam e il gusto del pesce fermentato è attenuato dal succo di lime e ingentilito dallo zucchero. Fish sauce Una salsa liquida di acciughe, sapida, versatile, tipica della gastronomia asiatica e usata di solito per marinare carni e pesci e insaporire insalate. Padaek Molto usata in Thailandia e Laos, è una salsa dall’odore forte, preparata

con pesci di lago, crusca di riso e sale fermentata per almeno sei mesi, preferibilmente un anno. Sambal Terasi Salsa indonesiana utilizzata per insaporire insalate e stufati preparata con acciughe, peperoncini piccantissimi, zucchero di canna, succo di lime e mescolata con una pasta densa a base di gamberetti essiccati e fermentati. Bagoòng Condimento diffuso nelle Filippine preparato con una grande varietà di pesci, in particolare acciughe, persico, aringhe, ma anche vongole, gamberetti e ostriche. Unitamente al sale, la fermentazione dura dai due a tre mesi; spesso il tipico colore rosso è conferito dall’aggiunta di colorante. Patis È una salsa densa delle Filippine ottenuta da pesce, soprattutto gamberetti, e sale, con una fermentazione durante la quale eventualmente si aggiunge salamoia e che dura da sei mesi ad un anno. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 124, fabbrica di garum a Baelo Claudia, Spagna (photo © Álvaro Germán Vilela – stock.adobe.com).

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