UN GIRO IN MACCHINA 2019
AUTO DIESEL, OVVERO. L’AUTOLESIONISMO DELL’EUROPA I veicoli nuovi hanno emissioni irrilevanti. Il problema sono quelli vecchi. Perché allora accanirsi su tutti in modo indistinto danneggiando assieme produttori e consumatori?
“A
nziano si frattura femore ma lo operano alla gamba sbagliata”. Una notizia, fortunatamente rara, di mala-sanità, che torna molto utile per descrivere, in maniera sintetica ed efficace, il dibattito sulle auto. Le automobili inquinano? Sì. C’è un problema, un femore fratturato. Tutte, indistintamente? No. Quelle nuove, le Euro 6d, hanno emissioni trascurabili: i femori sono due, ed uno è sano. Ma allora, ha un senso intervenire sulle auto nuove, in termini di immatricolazione e circolazione? Come vendetta, sì. Come soluzione del problema, no: è la riparazione dell’arto sbagliato. Eppure, le cose stanno proprio così. Verso la fine del secolo scorso, l’UE iniziò a imporre dei limiti alle emissioni delle auto, a salvaguardia dell’aria e del clima. In realtà, del clima se ne stavano già occupando da decenni i vari governi nazionali, incentivando fiscalmente le vetture diesel, poiché emettono meno CO2 – ma lasciamo perdere. Dicevamo dei limiti. L’industria ha fatto ogni sforzo possibile per stare dentro i parametri fissati, che dal 1993 ad oggi si sono via via abbassati, da Euro 1 fino a Euro 6d, diminuendo le sostanze inquinanti circa del 95%. Si può fare di meglio? Sempre. È il massimo che si poteva ottenere? Sì, in condizioni normali, ossia restando nella produzione e distribuzione di massa. Il contesto è un fatto rilevante. La sfida non è un’auto ottimale, ma un’auto ottimale che sia compatibile con le strutture esistenti e alla portata del consumatore medio. Il miglioramento sulle sostanze inquinanti è 84