MEDIEVAL SOCIETY

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XXI. LA SCOPERTA DELL’ASIA

XXI. LA SCOPERTA DELL’ASIA

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15. Marco Polo varca un ponte su un fiume cinese. Particolare di una miniatura dal Livres des Merveilles, fine XIV-inizio XV secolo. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

dal nuovo papa Gregorio X, che pure riponeva nei mongoli grandi speranze missionarie. Stavolta essi viaggiarono più a lungo e il figlio di Nicolò, Marco, che era con loro, rimase in Cina alla corte e al servizio del Gran Khan fino al 1292, narrando le sue esperienze in quel libro, Il Milione, ch’è senza dubbio uno dei capolavori della letteratura europea di viaggio del medioevo. EUROPEI E CRISTIANESIMO IN ASIA Al di sotto dell’enorme terrore sollevato, la comparsa dei mongoli aveva rinverdito le illusioni escatologiche sul misterioso popolo cristiano d’Oriente che già l’Europa conosceva polarizzate nel mito del Prete Gianni. La stessa avanzata di Batu Khan, che a un certo punto era sembrato puntar deciso verso le valli del Reno e del Danubio, era stata interpretata da alcuni come la rivendicazione delle spoglie dei Re Magi, che i mongoli avrebbero considerato gli antenati regali del loro popolo e che avrebbero voluto strappare alla città di Colonia e portare con sé. Queste leggende creavano un diffuso senso di speranza e di volontà d’intendersi con gli uomini delle steppe, sfruttando i legami della comune fede cristiana, vera o supposta che fosse. Il nuovo papa Innocenzo IV, pur accennando più volte alla crociata contro i tartari, era nei loro confronti orientato piuttosto verso la penetrazione pacifica e i rapporti diplomatici. La notizia che presso i mongoli avessero grande credito i membri della Chiesa nestoriana, per quanto esagerata in parte dagli ambienti nestoriani stessi, in parte dall’eccessivo ottimismo degli occidentali, aveva un suo nucleo di verità. Per stringere rapporti con loro, si pensò di penetrare nell’Asia mongolica per due vie: a sud attraverso il khanato di Persia, a nord per la strada della Russia e delle steppe dell’Asia centrale. L’incarico per queste spedizioni, ch’erano

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16. Bahram Gur uccide il drago, miniatura mongola dal grande poema epico persiano Shah-nama, 1335 circa. The Cleveland Museum of Art.

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al tempo stesso diplomatiche e missionarie (ma che in parte dovevano anche servire a rendersi conto dell’effettiva potenza mongola), venne affidato a frati domenicani o francescani, i quali scrissero, sulle loro esperienze, alcuni interessanti diari di viaggio che in qualche modo – come nella Historia Mongolorum di Giovanni del Pian del Carpine – sono ancora oggi strumenti fondamentali nella conoscenza storico-geografica dell’Asia. Oltre al papa, anche il re di Francia Luigi IX – molto interessato in particolare ai mongoli di Persia, dai quali sperava di ottenere aiuto contro i musulmani durante una spedizione crociata che egli aveva organizzato nel 1248 – inviò messi al Gran Khan: si trattava di due francescani, Guglielmo di Rubruck e Bartolomeo da Cremona, che per il loro viaggio da Acri in Palestina e ritorno impiegarono circa tre anni (1253-1256). Tuttavia, alla fine del XIII secolo, sia i mongoli dell’Orda d’Oro, sia quelli del khanato di Persia, si convertirono all’Islam. Restava ancora il Gran Khan, che da imperatore «cinese» propendeva semmai per una sorta di conciliazione tra buddhismo e taoismo. Nel 1294 era a Pechino Giovanni da Montecorvino, frate francescano, il quale fondò il primo vescovato latino nell’impero sino-mongolo, e ai primi del Trecento altri francescani lo seguirono. L’attività ecclesiale e missionaria di questi religiosi fu ampia e generosa: ma la caduta degli imperatori sino-mongoli, nel 1368, portò la Cina a chiudersi per reazione su se stessa e in modo particolare a chiudersi agli occidentali, tanto più malvisti in quanto non solo «barbari», ma anche stranieri favoriti dagli odiati Yuan. L’Occidente si trovò così precluso il mondo estremo-orientale per via di terra: ma continuò a cercarlo, tentando di circumnavigare Africa e Asia per giungere di nuovo alle Indie. Alla fine del Quattrocento, Cristoforo Colombo avrebbe sperato ancora di mettersi in contatto con il Gran Khan.

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17. Ritratto della fine del XIX secolo del fiammingo Guglielmo di Rubruck, ambasciatore del re di Francia Luigi IX presso la corte dei mongoli nel XIII secolo.

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