Capitolo XXII
SCIENZA E MAGIA
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LA RINASCITA MAGICO-FOLKLORICA A partire dai secoli XI e XII il rinnovamento della vita sociale concise con la reintroduzione in Occidente di branche della cultura scientifico-filosofica di matrice classica o tardoantica, veicolata dalla riscoperta di molti testi greco-latini, passati magari attraverso elaborazioni e traduzioni arabe ed ebraiche. Nella conoscenza di questi testi l’Italia giocò un ruolo importante: tra i secoli XI e XII erano fioriti numerosi centri di traduzione dal greco e dall’arabo. A Montecassino e a Salerno erano stati volti in latino numerosi trattati di medicina; in Sicilia, presso la corte di Guglielmo I si erano avute traduzioni di Platone, Aristotele, Tolomeo e Diogene Laerzio; all’incirca nello stesso periodo, cioè verso la metà del XII secolo, Giacomo Veneto compiva la più ampia traduzione latina del corpus aristotelico, mentre pochi anni più tardi Gerardo da Cremona traduceva dall’arabo una settantina di opere, fra cui numerose di argomento astrologico. In certi ambienti, come la scuola di Chartres, l’interesse per la filosofia – questa volta soprattutto neoplatonica – si accompagnava all’indagine nel campo delle discipline «magiche», intese come più profondi metodi di ricerca delle cause occulte che producono i fenomeni naturali. L’eredità della scuola di Chartres in materia di magia naturale trovò in seguito numerosi cultori: nel XII secolo si deve ricordare soprattutto Giovanni di Salisbury; nel successivo, almeno Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno, Ruggero Bacone. Nei loro scritti, accanto all’apprezzamento per la magia naturale, compariva per la prima volta una chiara distinzione fra questa e la magia di tipo cerimoniale, inficiata dalla minaccia demoniaca e dunque ovviamente illecita. Giovanni di Salisbury, per esempio, nelle pagine del Policraticus condannava la divinazione, in quanto essa si avvaleva dell’intermediazione dei demoni. La distinzione fra magia naturale – lecita – e magia cerimoniale – illecita perché demoniaca – non era però sempre facile. Ruggero Bacone dedicò un trattato – intitolato Segreti dell’arte della natura e confutazione della magia – alla distinzione tra i due ambiti e alla condanna della magia cerimoniale, considerata essenzialmente come una truffa; al contrario, egli valutava in modo positivo quelle figure di guaritori e guaritrici tradizionali, esperti di una medicina naturale che si basava su antiche conoscenze empiriche. Gli enciclopedisti duecenteschi come Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno partecipavano in pieno alla grande scoperta delle corrispondenze tra uomo e natura; con questa giustificavano e facevano proprie, ad esempio, le credenze del mondo tradizionale circa i poteri delle pietre (quali il corallo, la malachite, il diamante, l’ambra – anch’essa annoverata fra le pietre) sorretti in questa loro convinzione da testi antichi – e su tutti la Storia naturale di Plinio – o dagli enciclopedisti altomedievali che ne avevano epitomizzato le conoscenze. Nel XII secolo Marbodo di Rennes scrisse un celebre «lapidario», ossia una trattato sulle proprietà delle pietre, denso di informazioni sulle virtù magico-terapeutiche delle gemme, ripreso successivamente tanto da Alberto Magno (nel suo scritto Sui minerali) quanto da Vincen-
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1. L’universo come appare in un disco usato per la formulazione degli oroscopi, anche in caso di malattia, dal Dragmaticon Philosophiae Magistri Choncis, XIII secolo. Bibliothèque de la Faculté de Médecine, Montpellier. 2. Vincenzo di Beauvais, Speculum Naturale.
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