XXVI. VERSO IL RINASCIMENTO
XXVI. VERSO IL RINASCIMENTO
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la prima età moderna corrispondente grosso modo al XVI secolo (ma in parte già avviato nel secolo precedente) e in cui – dopo la parentesi di torpore e di barbarie del «medioevo» – sarebbero rinate civiltà, cultura, arte antiche, animate naturalmente da un soffio innovatore. Sebbene questo schema sia oggi ampiamente superato, non v’è dubbio che, già dagli ultimi decenni del Trecento e poi nel corso del Quattrocento, molte cose nella vita e nella cultura europee mutarono profondamente.
4. Piero di Cosimo (1462-1521), Venere, Marte e Amore, particolare, 1490 circa. Gemäldegalerie, Berlino. 5. Foglio di un’edizione del 1460 dell’Eneide di Virgilio. Bibliothèque Nationale de France, Parigi.
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LA CULTURA UMANISTICA Si è abituati a definire «umanistica» la cultura italiana del Quattrocento, caratterizzata da una volontà di distacco rispetto alle tradizioni medievali e da un rapporto privilegiato con la civiltà classica greco-romana, intesa come modello al quale ispirarsi, anche se non da imitare pedissequamente; e nell’umanesimo si è abituati a vedere il momento preparatorio del Rinascimento. Termini come umanesimo, umanista e umanistico sono naturalmente moderni: essi hanno tuttavia la loro radice primaria nel culto delle humanae litterae, cioè della cultura propriamente filosofica e letteraria maturata soprattutto nella Roma della cosiddetta «età aurea», vale a dire tra I secolo a.C. e I secolo d.C.; la ricerca di un modello stilistico preciso – che era anche modello etico – implicava una scelta e degli scarti. Insieme con la restaurazione di una lingua latina letteraria più bella e corretta – la lingua di Cicerone e di Virgilio –, si guardava evidentemente ai valori morali e politici che gli autori della latinità «aurea» avevano proposto. Conseguentemente ci si ispirava a un ideale umano di moderazione e di serenità e a un ideale politico di aristocratica libertà che era del resto molto adatto a essere apprezzato dalle élites delle città italiane tre-quattrocentesche, le quali – non diversamente, almeno in apparenza, dalla Roma del I secolo a.C. – erano incerte tra forme di governo repubblicano e soluzioni signorili-principesche. Al di là delle premesse ideali e delle realizzazioni intellettuali dell’umanesimo, la nuova cultura non fu priva di compromessi. Anzitutto, con le strutture gerarchiche e dogmatiche della Chiesa. Gli umanisti sono sovente sacerdoti, e
pongono le loro conoscenze anche al servizio della fede; la loro stessa investigazione scientifica non giunge mai – almeno esplicitamente – a intaccare il dogma religioso. Anche il rapporto tra virtus e fortuna finisce con l’esser vissuto in modo del tutto antifatalistico (dal momento che fatalismo e predestinazione sono valori contrari al dogma cristiano dell’onnipotenza di Dio e del libero arbitrio dell’uomo), come un’esaltazione volontaristica delle migliori doti umane: l’intelligenza, l’audacia, la sapienza. Il continuo riferimento alla mitologia antica, indispensabile in una letteratura e in un’arte che si giustificano attraverso il modello classico, si accorda con il cristianesimo attraverso la lettura allegorica dei simboli e dei miti, che rinvia regolarmente a valori cristiani. Non mancano, certo, voci rigoristiche contro il «paganesimo» della moda umanistica: esse avranno fortuna nel secolo successivo e saranno elemento non di piccolo peso nella diffusione della Riforma luterana. Ma, in pieno Quattrocento, si può dire che gli stessi papi e perfino molti spiriti pii aderiscano senza problemi di coscienza alla moda e ai valori culturali che essa suggerisce. Inoltre, il lavoro degli umanisti non è né gratuito, né disinteressato. Al contrario, proprio in quanto artisti e studiosi sono talvolta persone di umile origine, essi necessitano di mezzi e di serenità sia professionali sia interiori, e si volgono dunque alla ricerca di mecenati e di protettori; che trovano, regolarmente, nei grandi principi del tempo. Una protezione, quella di tali personaggi, sovente generosa, ma non gratuita. Dal poeta e dall’architetto che egli protegge e finanzia, il principe si aspetta celebrità e gloria: la maggior parte delle opere d’arte del Quattrocento, le migliori incluse, è difatti costituita da opere celebrative fatte su commissione.
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L’ETÀ DELLE INNOVAZIONI Il pensiero umanistico è ricco pertanto di realizzazioni pratiche: raramente lo studioso è un puro intellettuale da tavolino, più sovente è anche artigiano, e nel suo lavoro arte e tecnologia s’incontrano. Il pittore quattrocentesco sa di matematica poiché deve impostare le sue opere secondo le norme della prospettiva, ma anche di merceologia e di chimica in quanto deve acquistare le materie prime per fabbricare i colori e studiarne il comportamento a contatto con le tavole di legno o le mura degli affreschi; lo scultore conosce le norme della geometria, ma anche le regole dell’arte degli scalpellini e i segreti della struttura della pietra; il fonditore getta in bronzo statue, ma anche campane e cannoni. Il mondo intellettuale del Quattrocento non ha nulla di astratto e di libresco: è un mondo di artigiani che lavorano e vivono a contatto con la loro gente e i loro problemi. Questo legame fra cultura umanistica ed esercizio del potere spiega come, nel corso del Quattrocento, si sia affermata una serie di invenzioni e di scoperte che hanno cambiato la faccia di quello che fino allora era stato il mondo conosciuto. La polvere da sparo era conosciuta da molti secoli in Cina, dove però non serviva a scopi militari; in Europa era usata fin dal Trecento per rudimentali bombarde che lanciavano palle di pietra; furono però i principi del Quattrocento e i loro ingegneri a perfezionare l’arma da fuoco sino a farne uno strumento d’assedio tanto efficace da obbligare l’architettura militare a inventare tutta una serie di nuovi accorgimenti protettivi. Anche la stampa era usata già da prima del Quattrocento per la riproduzione rudimentale di brevi scritti o disegni, che venivano incisi su matrici di legno e poi impressi su fogli: fu tuttavia a partire dal Quattrocento – e soprattutto da quando, intorno al 1455, Johann Gensfleisch, detto Gutenberg, ebbe inventato i caratteri mobili – che essa divenne un nuovo formidabile strumento di diffusio-
6. Antonio del Pollaiolo (1431-1498), Ercole e Anteo, 1475 circa. Galleria degli Uffizi, Firenze. 7. Il torchio di Gutenberg a Magonza.
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