Accademia di Belle Arti di Carrara Diploma Accademico di secondo livello Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte Prof. Domenico Quaranta
Diploma Accademico di II livello
TESI
DO I NUMERI tra ARTE e MATEMATICA
Tesi di Tiziana Pavone Matr. AM8116
Relatore: Prof. Massimo Cittadini Correlatore: Prof. Clemente Pestelli A.A. 2020/2021
Sessione autunnale INDICE Premessa …………………………………………………………………………. pag. 4 Introduzione e obiettivi della ricerca …………………………………………….. pag. 6
cap.1 - Le domande degli uomini ……………………………………………….. pag. 7 cap.2 - Arte e Matematica …………………………………………………… …. pag. 16 2.1 Da un sogno la preistoria che accomuna i segni ……………… pag. 16 2.2 I Greci – il numero aureo ……………………………………… pag. 20 2.3 I Solidi Platonici ………………………………………………. pag. 26 2.4 Gli arabi ……………………………………………………….. pag. 28 2.5 La successione di Fibonacci …………………………………... pag. 30 2.5.1 La Natura …………………………………………….. pag. 31 2.6 La prospettiva …………………………………………………. pag. 33 2.7 Leonardo ………………………………………………………. pag. 39 2.8 Scoperte per Rivoluzioni ……………………………………… pag. 44 cap.3 - La Bellezza – Vincolo tra Matematica e Arte …………………………. pag. 55 cap.4 - Artisti matematici - Matematici artisti ……………………………….. pag. 67 4.1 Rappresentazione della relazione …………………………….. pag. 68 4.2 Matematici artisti ……………………………………………... pag. 75 4.2.1 Albrecht Dürer …………………………………….... pag. 75 4.2.2 Vasilij Kandinskij …………………………………… pag. 80 4.2.3 Maurits Cornelis Escher ………………...................... pag. 85
4.3 Avanguardie Matematiche …………………………………... pag. 93 4.3.1 Pablo Picasso …………………………………….. pag. 95 4.3.2
Kazimir Malevič …………………………………. pag. 97
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4.3.3 Giacomo Balla ……………………………………. pag. 98 4.3.4 Piet Mondrian …………………………………….. pag. 98 4.3.5 René Magritte …………………………………….. pag. 99 4.3.6 Salvador Dalì ….………………………………….. pag. 103 4.3.7 Marcel Duchamp …………………………………… pag. 107 4.3.8 Roman Opalka …………………………………….... pag. 109 4.3.9 Tobia Ravà ………………………………………….. pag. 109 4.3.10 Jasper Johns ……………………………………….. pag. 110 4.3.11 Mario Merz ………………………………………... pag. 112 4.3.12 Jackson Pollock …………………………………… pag. 113 4.3.13 Max Bill …………………………………………… pag. 117 4.3.14 Oscar Reutersvard …………………………………. pag. 119 4.3.15 Sol LeWitt …………………………………………. pag. 120 4.3.16 Lucio Saffaro ………………………………………. pag. 122 cap.5 - Era digitale ……………………………………………………………….... pag. 129 5.1 La Logica …………………………………………………….... pag. 132 5.2 La macchina …………………………………………………… pag. 139 5.3 Il pensiero codificato .…………………………………………. pag. 147 5.3.1
Linguaggio ad Arte ……………………………….. pag. 151
5.3.2
Pionieri …………………………………………… pag. 154
5.4 Arte generativa - programmare ad Arte ……………………… pag. 168 5.4.1 Processing e p5.js …………………………………. pag. 175
Conclusioni e presentazione progetto ………………………………………….… .pag. 203
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A chi dall’alto mi guida suggerendomi i numeri e a chi, al mio fianco, chiude il cerchio.
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PREMESSA Oggi come mai prima, di fronte all’ultimo sforzo da compiere in questa fase della mia vita, ho capito una cosa di me, che è caratteristica degli inquieti e curiosi e forse insoddisfatti, che ben viene descritta da un grande matematico Carl Friedrich Gauss, probabilmente anch’egli affetto e mosso dagli stessi sentimenti: “Non
è la conoscenza, ma l'atto di imparare; non il possesso ma l'atto di arrivarci, che dà la gioia maggiore. Quando ho chiarito e esaurito un argomento, mi ci allontano, per tornare nell'oscurità; l'uomo non soddisfatto è così strano, che se ha completato una struttura non ce la fa a restarci in pace, ma deve iniziarne un'altra”. (1) Ecco, ora, come sempre, mi sento invasa e confusa dal sentimento sopra descritto. Quasi giunta a meta, dopo aver raccolto dati, fatto ricerche, approfondito, studiato, dato esami, giocato col pc (la mia creatività si esprime come un gioco), faccio, disfo, ricomincio… e sul più bello (forse), comunque quando ritengo che il cammino sia terminato, ho un unico desiderio: girar pagina ed iniziare un altro percorso ancora. Così è stata ed è la mia vita. ..e non levo la polvere, per cui tutto rimane inalterato fino al momento del mio ultimo sguardo. Tutto è lì, fermo, ormai intoccabile perché il desiderio si è spostato. Ed io con lui. Quindi la casa non è mai pulita, non c’è tempo per il godimento dei risultati ottenuti, essendo che già un altro desiderio è pronto a spingere il mio corpo nel mondo verso una nuova avventura. Che dire, io vivo e mi diverto durante il processo! E quindi, percorrendo strade e giocando sempre con questo metodo assurdo dell’accumulo di vita, vorrei ora andare avanti per un nuovo cammino. Sarà paura della morte? ..si credo di si. Un’inconscia certezza simile al chi si ferma è perduto, ma anche una curiosità famelica che mai mi ha fatto rimanere ferma pettinando bambole. Comunque, non faccio morire nulla, tutto ciò che è stato ha senso, ma non permetto che comprometta il futuro. A pro della mia forse “malsana” abitudine, rilevo, però, che la vita non mi da torto per averla così condotta: son arrivata fino a qui, sto bene, sono abbastanza soddisfatta delle mie conquiste ed anche dei miei supposti errori di cui non mi affliggo pur pagandone le conseguenze. Le strade son state tante e da ognuna ho preso ciò che mi ha permesso di essere ora qui, umilmente appagata dai miei risultati. E, forse perché ormai indiscutibilmente matura, questa volta con determinazione decido di cambiare strategia ed arrivare alla fine non stabilita da me, riconoscendo comunque gratitudine al mio personale modo di affrontare la vita. Quindi, ora, devo apportare un cambiamento al mio metodo e mi è di aiuto l’argomento scelto per la fine di questo percorso, quello a cui sono in procinto di dedicarmi, che coincide con uno desiderio disatteso, quello mio da ragazza di studiare matematica. Non sarà questo testo una prova delle mie conoscenze della somma materia, di cui purtroppo conosco ben poco, ma una tesi a dimostrazione dell’importanza che la Matematica ricopre nella vita degli umani insieme all’Arte. Ricordo il prof. Boccardo, il prof. di matematica alle superiori, a cui, entro già la prima ora delle due concesse, consegnavo il mio compito. Pulito, ordinato, corretto al limite del
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perfetto...e poi, nell'ora rimasta libera per me, ci si metteva a chiacchierare di cose “strane”: gli ufo, la teosofia, i poteri delle persone, i viaggi astrali. Anche li vedevo numeri, conoscenze superiori linkate tra loro, un irradiarsi di misteri che legavano tra loro i numeri e la realtà. Ero brava, mi piaceva e mi divertivo. Ma l’amore è stato bloccato: non potevo andare all’università ed in seguito il troppo impegno per il lavoro e per le battaglie a cui mi son dedicata per la mia indipendenza e per una giustizia sociale, …., mi hanno tenuta lontana dallo studio. Gli anni son passati, tanti, finché ho capito che la vita può e deve essere tante cose: ho trovato la forza di lasciare il lavoro scoprendomi sempre più coinvolta dall’Arte e, per riempire il vuoto che sentivo e considerato che il tempo che si ha a disposizione deve essere riempito di cose belle, ho fatto il passo. Come tante donne mature a cui piace l’Arte e con qualche talento ormai desueto e poco coltivato anch’esso, mi son iscritta all’accademia di Belle Arti, indirizzo pittura. Pensavo che le mie giornate si sarebbero riempite di colori, tele e pennelli...invece ho scoperto, anzi riscoperto un mondo, il mondo dei numeri, anche se solo 2, zero e uno, che insieme fanno miracoli fino a far apparire nuovi mondi nell’Arte e soprattutto a cambiare il mondo conosciuto. Posso meglio ora comprendere la preferenza mia di iscrivermi alla specialistica di Nuove tecnologie dell’Arte per la scelta della specializzazione accademica: perchè qui c’è la matematica, almeno più che in altre scuole d’Arte. Si, la matematica è ovunque, coi suoi numeri, geometrie e teoremi, seppur non ci sia consapevolezza della sua presenza. Ma ad uno sguardo più consapevole appaiono anche nel Partenone, piuttosto che nell’Ultima Cena di Leonardo, in opere di Durer e di Kandinskij e in tante altre opere d’Arte. E soprattutto nella Natura. Son voluta tornare dove quel desiderio era rimasto disatteso, frustrato, dimenticato per riattivare quindi l’antico amore verso la Matematica accompagnato da quello più recente per l’Arte, che nell'approfondimento della mia tesi sono insieme, in un abbraccio creativo, l’oggetto della mia ricerca. Per questo ultimo rush finale ho scelto di dare i numeri, tanto per non smentirmi, fedele alla linea che mi vuole ostinata e contraria, senza trattare di teoremi o assiomi, ma provando a spiegare (anche a me) la magia seduttiva che la matematica ha sempre esercitato su tanti artisti nel passato e nel presente, sapendo già che la matematica è un elemento essenziale di tutte le culture, non solo quella scientifica, una ricchezza fondamentale dell’Umanità.
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INTRODUZIONE Ci cibiamo anche di matematica, meglio dire che la mastichiamo, ma ha un gusto che ai più pare cattivo, assimilabile ad altri ma di difficile digestione. Non va giù! Nei primi anni di scuola non piace quasi a nessun bambino e viene reputata arida, piena di calcoli complicati, un insieme di astratte e noiose regole, mentre coloro a cui invece piace sembrano dei piccoli marziani con la testa nelle nuvole fatte di numeri e simboli strani. I professori di matematica sono i più odiati e le loro lezioni le più “saltate”. Meglio andare a giocare…. . Ma, qualcuno ha detto che la Matematica è il gioco più bello del mondo, fatto di intuizioni, fantasie, astrazioni e regole. Già sembra un rebus! e pur non sapendo spiegarmelo facevo parte di questa categoria di bambini. Mi piaceva e quel qualcosa di magico e di ignoto, quel qualcosa che sfuggiva ai sensi mi portava ai quei segni che combinavo con miei disegni ossessivi di figurine alte e sottili con un look adeguato ad un’ora, ad un numero. E come tutti i bambini mi approcciavo alle domande, che poi scoprirò si fanno tutti, sulla vita, sulla Legge, sull’infinito, sul senso dell’essere e sulla verità a cui si prova a dare risposte. E’ un bisogno umano a cui risposte qualcuno è riuscito a darle valide, certe, definitive : i matematici. E se ciò è vero, ho la follia necessaria (da qua il titolo “DO I NUMERI”) per dimostrare che l’Arte coadiuvata dalla Matematica ha dato da sempre il suo apporto fondamentale alla ricerca primaria ed assoluta di ogni essere umano: conoscere ed essere felice. Inizia così questa avventura in un terreno quasi sconosciuto come la Matematica, perché raramente frequentato ed approfondito nonostante la passione, che non mi impedirà comunque di elaborare mie personalissime congetture a supporto di tesi di illustri Maestri, che assurgono la Matematica a regina del sapere e della ricerca della verità, dell’ignoto e di ciò che c’è anche se non si vede. Non ultimo, l’Arte con la Matematica sono le fonti da cui trarre a dimostrazione della mia abilità a dare i numeri.
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CAPITOLO 1°
LE DOMANDE degli UOMINI
Dai tempi più remoti gli umani si sono posti domande sul perché ed il percome della vita, sul senso della loro esistenza, sul destino ultimo e sul principio del Tutto, l’archè: fin dall’inizio, alcune nozioni matematiche elementari hanno offerto le prime risposte insieme alle prime forme di arte rupestre, lasciando un segno di quelle prime ricerche. Poi, ancora per lungo tempo, tutte le civiltà hanno sviluppato le loro peculiari risposte attraverso segni, numeri ed idee, finché è nata la scrittura ed è rimasta memoria di quel che era solo un verbalizzato pensiero. I nostri antenati in tutto il pianeta, senza esclusione di aree, migliaia e migliaia di anni fa hanno sentito il bisogno di scandire il tempo per organizzare le loro giornate, per difendersi e per procurarsi il cibo. Gli esseri umani hanno imparato a segnare il tempo e determinare gli spazi con l’utilizzo di ossa o pietre allungate incise attraverso tacche, raggruppate su più righe. Ne sono dimostrazione reperti archeologici risalenti a tempi lontanissimi (anche a -100mila anni fa), come sassolini allineati uno dietro l'altro e fili annodati con un intervallo di spazio costante tra un nodo e l’altro, stabilendo successioni. Da queste successioni è nato il numero. Questo trovava già applicazione concreta in tutti i fenomeni dell’universo essendo le leggi numeriche a regolare i tempi stessi: gli anni, le stagioni, lo sviluppo della vita, la regolarità dei moti celesti. Già i Sumeri circa 5.000 anni fa avevano la nozione di numero utile per i primi conteggi riguardanti la realtà naturale (branchi, cibo, fasi lunari) ed insieme agli Assiri ed ai Babilonesi utilizzavano tavolette su cui annotare i conti; si hanno, poi, le testimonianze degli Egizi che avevano anche una dea dedicata alla matematica, Matt, e che conoscevano ed utilizzavano le quattro operazioni matematiche, le frazioni, l’algebra e benissimo la geometria e che riconoscevano alla matematica sia il valore di speculazione astratta che di strumento per la conoscenza della natura. Si ricorda un documento risalente al -1650, il papiro di Ahmes, detto anche papiro di Rhind (che, a sua volta, cita una fonte più antica del -2650), che contiene tabelle di frazioni, problemi aritmetici, geometrici ed algebrici e inizia con questa affermazione: "Il calcolo accurato è la porta d'accesso alla conoscenza di tutte le cose e agli oscuri misteri” (2)
Fig. 1 Dettaglio Papiro di Rindh
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Se ne deduce che il sapere matematico fosse, fin da subito, un fare di conto e uno svolgere corrette operazioni per la formulazione corretta di domande intorno al senso dell’universo. Anche in Oriente, da tempo immemore i Cinesi e soprattutto gli Indiani e, successivamente, gli Arabi sapevano come utilizzare i numeri e dall’altra parte dell’oceano i Maya e gli Inca conoscevano i calcoli per lo studio del palco celeste. Tuttavia, coloro che nella storia della nostra civiltà e non solo hanno maggiormente influito per la conoscenza e l’uso della matematica sono i Greci. Certamente i loro saperi erano una sintesi di tutto ciò che all’epoca si conosceva. Nella terra della filosofia tanti filosofi erano matematici e viceversa e spesso la matematica finiva lei stessa per essere una forma di filosofia. I Greci ritenevano che con i numeri si potessero risolvere problemi di ordine pratico, come stabilire quantità certe in qualsiasi ambito, ed anche ricercare verità tutt'altro che evidenti che rispondevano ad esigenze immateriali, la cui natura normalmente si ritiene oggetto di studio filosofico. Andando per ordine, Talete fu il primo filosofo-matematico greco che visse intorno al -600 ed era noto come uno dei Sette sapienti nel mondo antico. Nemmeno un secolo dopo fece la sua comparsa sulla Terra il filosofo matematico Pitagora (circa -580/-495), il cui pensiero viene sintetizzato nel suo detto “tutto è numero”, intendendo la matematica coi suoi numeri un linguaggio universale da utilizzare in ogni campo dello scibile. Per Pitagora, infatti, la Natura ed il pensiero erano due facce d'una stessa medaglia e la Matematica col suo linguaggio esatto era la chiave che apre la porta della conoscenza. La sua Archè (origine, principio di tutto ciò che esiste) non è un principio fisico, come il fuoco, la terra, l’aria, l’acqua, ma matematico, perché in tutte le cose esiste una regolarità matematica. Tramite il numero, dunque, si può ricavare la struttura di tutta la realtà. Determinante, a sostegno della sua teoria, fu le scoperta dei suoni e degli intervalli della musica, alla quale i suoi allievi continuarono a dedicare grande studio attraverso l’applicazione di principi matematici. Pitagora ha, anche, lasciato all’Umanità l’indimenticabile teorema che prende il suo nome, quello che tuttora può risultare ostico a tanti bambini, che ha aperto orizzonti a successive scoperte. Un filosofo prestato alla matematica e/o viceversa! Il pensiero pitagorico per cui “il numero è il principio” da cui si può ricavare la struttura della realtà, diede i suoi primi frutti quando il matematico nonché filosofo, Eratostene (-280/-200), qualche secolo dopo Pitagora, ma mille e seicento anni prima di Cristoforo Colombo, riuscì a calcolare il valore della circonferenza della Terra in modo molto preciso, sicuramente più esatto del famoso esploratore delle Americhe. Anche Platone (circa -428/ -348) si avvalse della matematica, pur essendo lui un filosofo, sostenendo che le sensazioni possono ingannarci, mentre la matematica ci dà certezze inconfutabili, sino a sostenere che la realtà è interpretabile in termini matematici. Insomma, gli studiosi, coloro che cercavano la verità, ricorrevano alla Matematica per conoscere e scoprire i segreti del mondo che vivevano e per viverci in armonia.
Fig. 2 Pentagono Stellato di Pitagora
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Contemporaneamente, operò Euclide, nato ad Atene verso il -330, anche lui matematico e filosofo, colui che ci ha lasciato un testo che ancora oggi è alla base di ogni studio, anche non strettamente legato alla matematica: “Gli Elementi”, il libro più letto al mondo dopo la Bibbia. Qui Euclide riassunse ed ampliò ciò che fino a quel tempo era conosciuto circa la Matematica, anche attraverso gli “appunti” di un altro grande matematico greco, Ippocrate di Chio (-470/-410), con definizioni, postulati, assiomi, teoremi, proposizioni. Una summa di geometria e algebra come mai se ne era viste prima e per secoli ancora. Euclide studiò, insegnò e diffuse poi il suo sapere ad Alessandria d’Egitto, città crocevia di moltissime culture. Ma, nonostante si fosse intrapreso il cammino verso la conoscenza attraverso la matematica come strumento per formulare le domande e trovare le risposte sui perché e sui percome del mondo, il pensiero filosofico di Aristotele (-384/-322) ha frenato questo indirizzo nella storia della cultura dell’uomo occidentale, rallentando di fatto la ricerca matematica. Egli sosteneva che il linguaggio matematico fosse poco adatto a descrivere i fenomeni terrestri e il pensiero dovesse basarsi su osservazioni qualitative e dirette. Mentre Platone ed i matematici tutti rivolgevano il loro sguardo alle idee, perfette ed immutabili, l’oggetto della ricerca per Aristotele era la realtà presente, fonte della sostanze delle cose tutte, una sostanza materiale. Fu senz’altro nel primo Medio Evo la mancanza di strumenti materiali idonei ad essere concausa dell’arresto degli studi matematici, insieme alla caduta dell’Impero romano che lasciò alla Religione il compito di dare un unico grande principio ordinatore ed al pensiero di Aristotele che prevalse nella evoluzione della nostra cultura dall’inizio del primo millennio. A parte la parentesi neo-platonica di Agostino ( 354/430), da metà del 300 saranno offuscate le idee di Pitagora e Platone fino in epoca tardo medievale e, a ridare luce alla Matematica nell’occidente europeo, furono gli Arabi, che ordinarono tutti i saperi che hanno i numeri e la geometria come base. Ne riparleremo a suo tempo. Nel Rinascimento con il recupero dell’antichità e la generale condanna dell’Evo medio si tornarono a studiare i numeri. Gli studi matematici furono riattivati nel XV secolo dalla figura di Niccolò Cusano (1401/1464), nato a Kues, in Germania. Questi riportò in evidenza il motto socratico del “So di non sapere” sostenendo che “sapiente non è colui che possiede la verità, ma colui che conosce la propria ignoranza, ed è quindi consapevole dei propri limiti e limitatezza nei confronti della “Verità”. (3) Filosofo, matematico e astronomo, Cusano si pose in un costante sforzo teso alla totale conoscenza, che per Cusano era Dio, dove il suo essere finito è teso alla sua completezza e l’infinito è volto a dissolversi in esso. Per meglio illustrare la sua tesi utilizza la figura geometrica di un poligono inscritto in un cerchio, dove, aumentando i lati della prima forma, questa si avvicina a quella del cerchio, senza mai risultare uguale, pena la sparizione, l’annullamento nel cerchio stesso, nell’infinito. Scrive Cusano: “Ed ha con la verità un rapporto simile a quello del poligono col circolo: il poligono inscritto, quanti più angoli avrà, tanto più risulterà simile al circolo, ma non si renderà mai uguale ad esso, anche se moltiplicherà all'infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo.” (4)
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Ciò per dire che nella cultura Rinascimentale attraverso Cusano si ritorna ad attribuire un valore sostanziale alla Matematica, coi suoi numeri e le sue forme geometriche, per arrivare a verità che vanno oltre il reale, verità che si possono giustamente definire metafisiche, dopo la constatazione che il vero mondo è quello intelligibile delle idee. Per la ricerca della comprensione del mondo, nella formulazione delle domande e l’attesa per le risposte, nel Rinascimento si torna alla filosofia di Platone e di Pitagora, attribuendo maggior valore ai numeri rispetto alla sostanza delle cose. Ora, è chiaro che questo mio testo non è esaustivo di nulla e non ha pretese di completezza e tanto meno di verità. Anzi, mi pare sia evidente la mia ossessione nel tentar di dimostrare che la Matematica è alla base di ogni cosa conosciuta (e non) e il mio mettere in evidenza alcune teorie piuttosto che altre sia il frutto della stessa. Sono le mie idee da cui non ho intenzione di discostarmi poiché, non tanto col ragionamento, bensì con la mia umile intuizione, so essere vere, o per lo meno lo sono per me che mi trovo in ottima compagnia. Sono innamorata, quindi cieca, quindi sostengo che la Matematica sia alla base della conoscenza dell’Universo e lei stessa può darci le risposte a cui aneliamo. Del resto l’universo, secondo ciò che rivela continuamente di se stesso, sottostà alle stessi Leggi a cui noi umani non siamo esentati. La filosofia vuole spiegare ciò che per la Matematica è già! Tanti, anche tra filosofi, son giunti alla stessa conclusione ed ho scelto di occuparmi del loro pensiero in quanto sento facenti parte della mia sponda, mentre l’Arte è sempre lì a scrutare, a volte anticipare, i tentativi dell’uomo per meglio esprimere ciò che sente e vede per la sua evoluzione. Giunse il tempo di esplorare, di vedere oltre viaggiando su astronavi mentali tra infiniti mondi con Giordano Bruno (1548/1600) che ritorna anch’egli su percorsi platonici, facendo a suo modo ordine sulla qualità delle cose da trattare per la comprensione del Tutto. La quantità dell’oggetto, misurabile ed oggettiva, è più importante, è fondamentale e senza di lei la sola qualità, in quanto soggettiva e determinata dai sensi (di ognuno...quindi migliaia, milioni, ora possiamo dire miliardi di differenze sensoriali), non è in grado di raggiungere l’assoluto, la verità, la comprensione del Tutto: “Tutti gli esseri viventi sono fenomeni diversi di un'unica sostanza universale; traggono dalla stessa radice metafisica, e la loro differenza è quantitativa, non qualitativa.” (5) Dal Rinascimento il metodo matematico, che pareva il più appropriato, fu quindi rivalutato e con Galileo Galilei (1564/1642), filosofo-matematico, attraverso i suoi studi e sperimentazioni, si modernizzò dando inizio ad una vera e propria rivoluzione scientifica aprendo nuove vie per la conoscenza. Dopo quasi due secoli in cui la Matematica sembrava in attesa di essere baciata da un principe per riattivare il suo risveglio orgoglioso, ecco giungere un principe con la testa tra le nuvole che, anziché un bacio, dona all’Umanità uno scrollone per farla risvegliare ad un nuovo mondo, tra rapporti, analogie, prove rivelatrici attraverso il palcoscenico della nostra vita, la Natura. «La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i
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caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.» (6) In una forma chiara e semplice Galilei afferma che la Natura e l’intero universo sono come un libro scritto in un linguaggio il cui alfabeto sono numeri e figure geometriche e che per comprenderlo bisogna impadronirsi e conoscere questo linguaggio che è la Matematica. Già Pitagora disse che la Natura è scritta col linguaggio della Matematica, sintetizzando in “tutto è numero” e Platone nel “Filebo” scrisse: «La bellezza della forma, non è come la gente normalmente crede, quella degli esseri viventi e dei dipinti che li raffigurano, bensì quella rettilinea e circolare delle figure piane e solide che si ottengono mediante compasso linea e squadra, perché queste cose sono belle non come le precedenti in maniera relativa ma in se stesse e per la loro propria natura». (7) Anche Galilei, quindi, rivalutò le originarie idee di Pitagora e Platone e con lui furono tantissimi i filosofi-matematici che nei secoli fino ad oggi le abbracceranno trovando certezza nell’affermazione dell’esistenza effettiva dei numeri nella realtà che, non essendo pure e semplici "invenzioni" della mente umana, sono i naturali mezzi per la comprensione della realtà stessa, di cui fanno effettivamente parte, come una misteriosa struttura razionale e dotata di senso. Saranno anche le idee alla base del pensiero di Cartesio (1596/1650), Pascal (1623/1662) e Spinoza (1632/1677), che all'etica applica il metodo matematico e nella sua opera più importante "Etica dimostrata con metodo geometrico" (1677) formulò la sua teoria della beatitudine umana attraverso teoremi, definizioni e metodo matematico. Anche Keplero (1571/1630), conscio dell’Intelligenza che sta dietro ai numeri che fanno le Leggi del mondo, chiamò queste “i pensieri di Dio” (8) e secoli dopo anche Einstein si prodigò nella stessa affermazione. Leibniz (1646/1716) ebbe l’ambizione di creare una “lingua universale esatta”, “Characteristica universalis”, con cui ricondurre ogni idea a “una sorta di alfabeto dei pensieri umani”, per poter scoprire le verità mediante “una specie di calcolo”. Scrisse che “quella lingua vera potrebbe essere o una Cabala dei vocaboli mistici o un’aritmetica dei numeri pitagorici, o una caratteristica dei maghi, cioè dei sapienti”. (9) Anche Isaac Newton (164/1726), suo avversario per il primato della scoperta dell’analisi infinitesimale, sentì forte la presenza di un ordine dato dai numeri come elementi assolutamente certi, poiché a priori e dunque non smentibili. Troviamo anche Charles Hermite (1822/1901), matematico francese, che ebbe a scrivere il seguente pensiero: “Esiste, se non sono in errore, tutto un mondo che è l’insieme delle verità matematiche nel quale non possiamo accedere che con l’intelligenza, così come esiste il mondo delle realtà fisiche; ambedue indipendenti da noi, ambedue di creazione divina“. (10) E Leopold Kronecker (1823/1891), logico-matematico tedesco, che riteneva che la ricerca potesse essere interamente fondata sui numeri interi, convinzione rappresentata dal suo noto aforisma: "Dio fece i numeri interi; tutto il resto è opera dell'uomo". (11) Bertrand Russell (1872/1970) sosteneva che la matematica nasce con Pitagora e che è ciò su cui sostanzialmente poggia la “fede in una eterna ed esatta verità, nonché in un mondo
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intelligibile al di sopra dei sensi, dove gli oggetti matematici, come i numeri, anche se del tutto reali, sono eterni e fuori del tempo”. (12) Nel bel film di Matt Brown “L’uomo che vide l’infinito”, il protagonista, il geniale matematico indiano Srinivasa Aiyangar Ramanujan (1887-1920) invitato da Godfrey Harold Hardy al Trinity College (13) presso l’università di Cambridge nel 1914 e divenuto suo membro nel 1918, lascia stupefatto lo spettatore per le sue intuizioni e convinzioni matematico-spirituali, che possiamo racchiudere in una frase pronunciata durante il film: “un’equazione per me non ha senso, se non rappresenta un pensiero di Dio”.(14) Ramanujan sosteneva di essere in contatto con la Dea protettrice della sua famiglia, in grado di fornirgli tutte le verità matematiche che nei pochi anni della sua vita egli enunciò. L’Universo fatto di numeri comunicava col geniale giovane matematico tramite una Dea in grado di tradurre e consegnargli i segreti del mondo da diffondere tra gli umani. Ludwig Wittgenstein (1889/1951), nel suo Tractatus, non sottovalutando l’aspetto misterioso della vita, definì quel qualcosa che esiste anche se non può essere visto né detto come "ineffabile, il mistico", come l'esistenza di una dimensione universale e non accessibile empiricamente. (15) Werner Heisenberg (1901/1976), ripercorrendo la storia dei rapporti tra la filosofia e la scienza, ricorda che presso la scuola pitagorica “si stabilì quella connessione tra religione e matematica che da allora esercitò sempre la sua fortissima influenza sul pensiero umano”.(16) Ed il suo pane era la fisica quantistica.… . Kurt Godel (1906/1978), che sempre avvertì l’urgenza di trovare un ordine logico-matematico da porre a fondamento dell'esistenza dell'universo, nel suo teorema di incompletezza sostiene, tra l’altro, che Dio deve rappresentare quella Verità che non dipende da calcoli umani ed è perciò assoluta e non relativa e che “la visione platonista” è l’unica sostenibile. (17) E per ultimo, ma non per importanza, il premio nobel Richard Phillips Feynman (1918/1988) che ebbe a dire : “Le regole che descrivono la natura sembrano essere matematiche. Questo non è il risultato del fatto che è l'osservazione ad essere giudice, e non è una caratteristica necessaria della scienza il suo essere matematica. Succede semplicemente che si possono enunciare delle leggi matematiche, almeno per la fisica, che riescono a fare previsioni fantastiche. Perché la natura è matematica, è, ancora una volta, un mistero”. (18) Come se il Logos non fosse il «discorso», la «parola», il Verbo che sta all'inizio del tutto, ma fosse il Numero. I destini della filosofia e della matematica si sono intrecciati e confusi a tal punto che l'una non esisterebbe senza l'altra. Il filosofo definisce ed argomenta la vita, l’essenza, l’origine e la fine, e le sue parole possono non essere più vere dopo secoli. Il matematico invece scopre le verità intrinseche nella Natura, nel tempo e nello spazio attraverso logica, deduzioni, astrazioni, e queste, attraverso i secoli, pur rimanendo vere, assodate ed identiche, si moltiplicano in infinite altre possibilità da scoprire. Le domande continuano a sottoporci a dubbi amletici mentre le risposte trovano nuove fonti per accedere alle risposte, considerato che con l’avvento del metodo scientifico inaugurato con Galilei, si verificherà come una classificazione, come non era mai stata prima, tra differenti, ma dalla base comune, discipline che si occupano del sapere.
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La matematica madre dell’ingegneria, della fisica, della chimica, dell’astronomia, della logica filosofica...e della sua figlia più bella, l’Arte.
Fig. 3 Raffaello Sanzio, da La Scuola di Atene, 1509/11 - Dettaglio della figura rappresentante Pitagora
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NOTE del CAPITOLO 1 (1) Da una lettera di Carl Friedrich Gauss a Wolfgang Bolyai, Briefwechsel zwischen Carl Friedrich Gauss und Wolfgang Bolyai (Scambio di lettere tra Carl Friedrich Gauss e Wolfgang Bolyai, Gottinga, 2 settembre 1808) - a cura di Franz Schmidt e Paul Stäckel, B. G. Teubner, Lipsia, 1899, p. 94. (2) Giuseppe Valerio, Genesi ed evoluzione della matematica - vol.1, ed. Youcanprint, 2017 (Papiro di Ahmes (-1650 circa, XV dinastia). (3) Nicola Cusano, La dotta ignoranza, Lib. II, cap. XIII, 1440 - pag. 175. (4) Nicola Cusano, De docta ignorantia, Lib I, cap. II, 1440 - p. 10. (5) Giordano Bruno, De la causa, principio et Uno, 1584. (6) Galileo Galilei, Il Saggiatore, cap. VI, per iniziativa dell’Accademia dei Lincei, Roma, 1624 - pag. 232. (7) Citato da P. Odifreddi, “Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico”, Ed. Laterza, Roma-Bari, 2005 - pag 54. (8) Johannes Keplero, “Mysterium Cosmographicum” , Tubinga, 1596. (9) Gottfried Wilhelm von Leibniz, “De arte combinatoria”, Lipsia, 1666. (10) K. Godel, Scritti scelti. Il percorso di ricerca del padre fondatore della logica matematica contemporanea, Ed. Bollati-Boringhieri, Torino, 2011. (11) Da Midhat Gazalè, Il numero – Dalla matematica delle piramidi all'infinito di Cantor, Ed. Dedalo, 2001 - p. 183. (12) Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Ed. Tea, Milano, 1991 - pag 49. (13) https://en.wikipedia.org/wiki/Trinity_College,_Cambridge. (14) Matt Brown, L'uomo che vide l'infinito, 2016 - Film. (15) Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Ed. Einaudi, 1998. (16) Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, ed. Il Saggiatore, Milano, 2003 - p.84. (17) K. Godel, Scritti scelti. Il percorso di ricerca del padre fondatore della logica matematica contemporanea, Ed. Bollati-Boringhieri, Torino, 2011. (18) Richard Philips Feynman (1918-1988), The Uncertainty of Science - in The Meaning of It All , Ed. Penguin, 2007, pag. 24.
TESTI Francesco Agnoli, Il misticismo dei matematici. Da Pitagora al computer, ed. Cantagalli, Siena, 2017. P.G. Odifreddi, Penna, pennello e bacchetta. Le tre invidie del matematico, ed. Laterza, Bari, 2006.
SITOGRAFIA (Tutti i siti sono stati consultati tra Novembre e Dicembre 2020) https://www.studenti.it/pitagora-biografia-filosofia.html Storia Pitagora https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_matematica Storia Matematica https://www.cuboparma.com/magazzino-cubo-8/la-profondita-delle-figure-piane Filebo
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Platone https://www.istitutocalvino.edu.it/blog/2012/12/galileo-galilei-la-matematica-basta-per-capire -la-natura/ Galielo Galilei http://www.filosofico.net/filos52.htm Rapporto filosofia-matematica http://www.filosofiaescienza.it/misticismo-dei-matematici-2/ Misticismo matematico http://www.libertaepersona.org/wordpress/2019/11/il-misticismo-dei-matematici-3/ https://www.thewisemagazine.it/2017/01/01/storia-del-pensiero-filosofico-pitagora/ Pitagora http://disf.org/galileo -libro-natura Galileo Galilei https://roma.repubblica.it/dettaglio/i-numeri-di-eco-sono-un-umanista-scientifico/1433604 Pensiero U.Eco http://www.raiscuola.rai.it/articoli-programma-puntate/nautilus-filosofia-michele-emmer/190 01/default.aspx parole su Matematica di Michele Emmer http://www1.mate.polimi.it/~bramanti/testi/bramanti%20n.%2017%20mc2.pdf Marco Bramanti, Cosa è la matematica FILM Matt Brown, L'uomo che vide l'infinito, 2016
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CAPITOLO 2
ARTE e MATEMATICA Quando il mondo cessa di essere il luogo dei nostri desideri e speranze personali, quando l'affrontiamo come uomini liberi, osservandolo con ammirazione, curiosità e attenzione, entriamo nel regno dell'arte e della scienza. Se usiamo il linguaggio della logica per descrivere quel che vediamo e sentiamo, allora ci impegniamo in una ricerca scientifica. Se lo comunichiamo attraverso forme le cui connessioni non sono accessibili al pensiero cosciente, ma vengono percepite mediante l'intuito e l'ingegno, allora entriamo nel campo dell'arte. (1) Albert Einstein Le idee che stanno alla loro base derivano dalla mia ammirazione e dal mio stupore nei confronti delle leggi che regolano il mondo in cui viviamo. Chi si meraviglia di qualcosa si rende consapevole di tale meraviglia. Nel momento in cui sono aperto e sensibile nei confronti degli enigmi che ci circondano, considerando e analizzando le mie osservazioni, entro in contatto con la matematica. Anche se non ho avuto un'istruzione o conoscenze in scienze esatte, mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti. (2) Maurits Cornelis Escher
2.1 DA UN SOGNO LA PREISTORIA CHE ACCOMUNA I SEGNI Avvolta dal mistero misterioso che traspare dalla mia esposizione apologetica della Matematica (pur non essendo un matematico!), quasi metafisica e/o mistica, tra logica e deduzioni, dubbi e conferme, mi accingo a scoprire la “magia” che lega la Matematica all’Arte, la disciplina, antica anch’essa quanto l’Umanità, che nei secoli e millenni non è stata a guardare, ma ha seguito, spesso anticipato, il percorso del cammino umano, in ogni area del Pianeta ed in ogni tempo, in sinergia con le altre forme di conoscenza per anch’essa dare il suo contributo all'evoluzione e la ricerca dell’ uomo. E lo faccio raccontando un sogno: “Faceva freddo ed il sole stava calando. Ci eravamo tutti rifugiati in una grotta protettiva prima che il buio ci inghiottisse. Anche dentro la caverna era buio ed il più vecchio tra noi, colui che aveva maggior abilità a maneggiare il fuoco, con due pietre, sfregandole, ne aveva fatto uno piccolo, il dono all’Umanità da parte del Dio che poi voi chiamerete Prometeo.(3) Così ci potevamo scaldare e ricordarci insieme delle ore di luce che avevamo goduto fino a poco prima. Cosa abbiamo fatto oggi? Dovesiamo stati? Chi abbiamo incontrato, con cosa ci siamo nutriti? Comunicavamo con dei gesti delle mani e smorfie del viso, qualche suono usciva dalle nostre bocche ed anche qualche urlo quando volevamo manifestare un accadimento pericoloso o di allegria. E c’era chi era abile nel tradurre le nostre vicissitudini
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attraverso dei segni sulle pareti della grotta che ci ospitava. Avevamo già imparato a raccogliere della particolare terra che ci eravamo accorti avere un colore più acceso quando veniva spalmata ad ”arte” da chi era capace a farlo e a tutti piaceva quel suo modo di raccontarci, traducendo in quella modalità visiva il nostro essere. C’erano anche delle foglie di un verde intenso, ma anche l’avanzo del fuoco andava bene, come la resina di quell’albero dall’alto fusto e anche quelle bacche che quando le spaccavamo rilasciavano un bel colore forte e vero come il sangue. Forse, oltre al fuoco, avevamo “inventato” i colori. E quello che veniva riprodotto su quelle fredde pareti non erano invenzioni, era la nostra, seppur frammentata, vita. Così il nostro amico si rivolgeva di fronte alla parete scelta ed iniziava a muovere le sue mani e da loro uscivano fuori come dei segni magici che ci riportavano alla realtà appena vissuta. Apparivano animali, anche quel bisonte che poi abbiamo mangiato in mezzo alla radura, ed anche quelli che abbiamo visto correre via spaventati almeno quanto noi. Apparivano i nostri archi e le nostre frecce. A volte disegnava tanti segni insieme ed al finale risultavano essere noi, intenti a danzare o pronti per la caccia. Dalle mani uscivano anche delle forme mai viste, con degli angoli, delle linee e dei punti a chiuderle, dei labirinti come quello, forse, in cui ci trovavamo allora. Lui era simpatico e ci voleva coinvolgere tutti, ancor di più di quanto già ci riuscisse. Infatti un giorno aveva chiesto alle donne di immergere le loro mani dentro l’incavo di una pietra che precedentemente aveva scavata con un attrezzo che aveva costruito, e poi riempito con una miscela di terre e bacche. Intinte le mani nella mistura, le donne dovevano subito dopo poggiarle sulle pareti che il tipo aveva precedentemente pulito. Risultò uno spettacolo!!! La nostra grotta ora era personalizzata, firmata, potevamo proprio dire che era casa nostra. Pensando a quei momenti devo dire che son stati i più belli vissuti insieme e mi vien da dire che anche in quelle occasioni abbiamo inventato qualcosa che parlava di noi, delle nostre giornate a cercar cibo e difenderci, a fare il fuoco per scaldarci il corpo, a invocare le forze dell’universo per aiutarci nel prosieguo. Abbiamo inventato un qualcosa che ci riguardava, che ci fa avrebbe fatto ricordare chi siamo anche in un futuro, che ci mostrava anche qualcosa che altrimenti non sapremmo come dircelo, qualcosa di noi da tramandare. Era come un calore che prendeva da dentro e ci scaldava fino a sentirci soddisfatti di essere lì, immortalati sulla parete che ora era diventata viva come noi. Questi ricordi non potrò dimenticarli mai. Ma come si chiamerà questa cosa che ha iniziato a fare il nostro amico, praticamente da sempre? Questa attività che serve per dirci, raccontare e comunicare, per ricordarci ed imparare, per sentirci vicini, uniti da un destino comune che in parte vediamo svolgersi ogni giorno nella prateria e nei cieli durante la notte, ed in parte è misterioso ed unico perché vive esclusivamente dentro ognuno di noi? Secondo me si chiama Arte e lui è stato il primo artista. Ma, ho scoperto, poi, molto molto molto poi, che lui non era solo, perché in ogni latitudine sotto l’immenso cielo che si perde nella notte, c’erano altri artisti che raffiguravano i loro compagni e altri animali, insieme a tanti segni per rendere, anche, più ospitale una caverna altrimenti angosciosa. Infatti, c’era come un bisogno in ogni uomo di fare, di esprimersi, di creare qualcosa che prima non c’era per portare una testimonianza e renderla piacevole agli occhi ed al cuore. E questa necessità superava quelli che poi voi avete chiamato confini, ed anche il tempo, considerato che ancora oggi il lavoro del mio amico è tuttora importante, almeno quanto lo fosse per noi. Il mio amico aveva imparato anche ad usare una pietra, dopo averla lavorata 17
per renderla appuntita, per incidere altre pietre. La pressione della pietra appuntita scheggiava la pietra-parete-tela creando dei piccoli solchi che pian piano prendevano forma restituendoci altri disegni che parlavano della nostra vita. Ricapitolando questa attività ora è oggetto di studio prevalentemente per l’archeologo, ma anche per l’antropologo e per i più moderni artisti, perché nata da un bisogno sia di ordine pratico, che di ordine estetico e spirituale. Pratico perché, nello stesso lontanissimo tempo, oltre a produrre segni su pareti ne venivano apposti altri per necessità, per misurare le cose che conoscevamo. Sulle ossa rimaste del nostro bisonte mangiato a pranzo, c’era chi faceva dei segni, più regolari rispetto a quelli fatti dall'artista, come delle tacche a definire le quantità di ciò che utilizzavamo per vivere. Quanti passi per arrivare là? Quante ore prima del buio spettrale? Quanto bacche? Quante radici? Quanti figli? Quanti colori? Quindi gli inizi del contare coincidono con quelli di fare Arte. Arte per passare insieme la notte come ho raccontato all’inizio, ma anche Arte per invocare le forze dell’universo affinché ci affiancassero nei giorni futuri. Per questi altri incontri, che si svolgevano in maniera un pò diversa, avevamo trovato una grotta quasi inaccessibile e l’avevamo violata perché sentivamo una forza che ci attraeva a lei. All’interno avevamo paura, ma c’era l’artista che riusciva a mettersi in contatto attraverso i suoi segni coi mondi sconosciuti. Era un artista sciamano, direte voi oggi, e ci conduceva attraverso questi mondi che riusciva a vedere e ce li mostrava attraverso le nude pareti coi suoi disegni. Questi incontri li desideravamo tanto e li organizzavamo per bene poiché dalla loro riuscita dipendeva il nostro futuro. Abbiamo iniziato così a compiere i primi riti di iniziazione per i più giovani, per propiziare la salute, la caccia, la fertilità. Erano incontri importanti e l’artista che meglio di chiunque altro conosceva quel luogo, riusciva, attraverso i suoi segni che diventavano disegni, ad innalzare il nostro spirito attingendo da essi una potenza spirituale. Alla fine della cerimonia dimostravamo la nostra riconoscenza ponendo le nostre mani su una parete della caverna e su questa vi soffiavamo una mistura di polveri colorate; quando staccavamo le nostre mani, la loro immagine rimaneva impressa sulla parete a dimostrazione del nostro essere che permaneva attraverso l’impronta come un segno unico del nostro passaggio nei mondi così conosciuti. Quelli che poi voi avete chiamato affreschi ed incisioni, come già detto, sono stati ritrovati migliaia e migliaia di anni dopo in tutte le aree della Terra: la maggior concentrazione è stata scoperta in Spagna e nel sud della Francia, ma anche in Argentina, nel nord Europa, in Australia e nelle Americhe e in Africa. Certo non ci siamo mai incontrati con gli altri abitanti della Terra, ma ora sappiamo che tra il -30mila anni fino a -5000, in tutte le latitudine gli uomini sulla Terra esprimevano gli stessi bisogni, paure e soluzioni. Ma in Africa, ho scoperto recentemente, precisamente in Botswana nella pianura del Kalahari interrotta da 4 colline dette di Tsodilo con innumerevoli grotte, sono state rinvenute recentemente pitture ed incisioni risalenti a -90/-100mila anni fa. Sono così tante, 4.500 reperti, che voi oggi chiamate il sito il “Louvre preistorico del deserto” (4) : le colline e tutto il territorio antistante erano un luogo mistico e sacro e dopo tanti secoli e millenni trascorsi sotto lo stesso cielo eravamo anche noi, millenni dopo, a compiere gli stessi loro rituali, ora necessari anche a voi che ci studiate perché siamo la vostra Storia. Ho anche saputo che, col tempo, non tanto ma abbastanza da far comprendere agli altri del gruppo che, chi di noi era capace di 18
riprodurre la nostra vita con i segni ed i colori, era una figura importante per la nostra comunità e meritava un trattamento diverso. Era giusto che fosse esonerato dai compiti a cui necessariamente dovevamo dedicarci quotidianamente. La sua attività non era necessaria perché non ci nutriva e nemmeno scaldava, ma, a differenza di qualcuno che ai vostri tempi l’ha contraddetto, la sua arte ci nutriva eccome, anche se il suo era un nutrimento che soddisfaceva ciò che noi non sapevamo ancora di avere, l’anima. Così l’artista non andava a cacciare, ma si costruiva gli attrezzi per poter meglio esprimersi: coi peli degli animali si creava i pennelli, trasformava le conchiglie in raccoglitori per i colori che si procurava macinando fino a polverizzare pietre, rami, foglie, carbone. Certo la sua grotta, posta davanti all’oceano, doveva essere proprio bel posto, ed anche stimolante per le sue fantasie da proporre ai suoi amici al ritorno da una faticosa giornata. Il suo atelier vista mare l’avete scoperto recentemente, pochi anni fa, a Blombos, 250 km a est di Città del Capo, nel sud dell’Africa davanti all’oceano Indiano. Chissà che ispirazioni!”. Il sogno è finito...ma il nostro avo chiacchierone è riuscito a raccontarmi come sia nata l’Arte, come e perchè noi umani abbiamo sentito da sempre l’urgenza di comunicare tra noi e con l’ignoto attraverso segni, divenuti poi pitture. Qualcosa che ci riguardava collettivamente, ma manifestato in una forma unica, propria dell’artista, come espressione del suo essere profondo. E di come sia nata la matematica, attraverso lo stesso procedimento di lasciare segni, ma questi più ordinati e rigorosamente precisi, legati alla quantità delle cose con cui gli avi entravano in contatto. Ora, grazie al racconto giunto col sogno, posso affermare che la nascita dell’Arte coincide con la nascita della Matematica e che i due eventi risalgono a tantissimi anni fa, c’è chi sostiene anche oltre 100mila anni fa. Due bisogni umani soddisfatti da due azioni distinte, che possiamo ora analizzare perché sono azioni dell’uomo concretizzate in oggetti e/o in pareti dipinte. Gli oggetti per contare erano generalmente costituiti da pietre o ossa incise da una sequenze di tacche come primordiali macchine da computo, per tenere a conto diverse quantità di oggetti di natura diversa. Per l’utilizzi di questi strumenti si adottava un sistema a base cinque, dove cinque tacche, o gruppi suoi multipli, erano disposti su cinque righe. Considerando che le dita di noi umani sono sempre state cinque, ...quindi, a dire il vero, la prima calcolatrice, come ancora ai nostri giorni, è stata la nostra mano. Inoltre, sulle pareti dei nostri antenati e in seguito sui loro oggetti quotidiani e di culto, oltre a dipingere animali o scene riconducibili alla quotidianità, venivano dipinte anche figure astratte, quelle che per noi ora sono figure geometriche, ad esempio la spirale ed il labirinto. La spirale, una curva che si arrotola su se stessa, a simboleggiare la Natura, l’Universo, la coreografia anche dei nostri avi per l’infinito tempo.
Fig.1 Pitture rupestri in Val Camonica, Brescia, Italia, risalenti a -6000/-8000 anni fa. Segni realistici ed astratti
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Fig. 2 Cueva de las manos a Tehuelche in Argentina - Pitture rupestri risalenti a -9.300/-13.000 anni fa
2.2 I GRECI – IL NUMERO AUREO Giungiamo più vicini ai nostri giorni, quando l’Arte e la Matematica lavoravano insieme per costruire grandi opere, riconducibili sempre alla Natura, anche ultraterrena. Grazie alle prime civiltà, quella Sumera, Babilonese ed Egizia (per rimanere vicini ai nostri confini), questi popoli sentivano l’urgenza di esprimersi per attraversare i confini del percepibile: l’aldilà e l’infinito. E per farlo hanno costruito prima le Ziqqurat (collina visibile a distanza) e poi le Piramidi per il culto dei morti, utilizzando, come mai prima, la ruota per il trasporto delle pietre che daranno vita alle creazioni dell’uomo più imponenti della Storia antica. Già queste popolazioni facevano calcoli anche complicati per immaginare prima e realizzare dopo le loro strabilianti costruzioni. Gli egizi tra tutte le divinità del loro “Olimpo” contemplavano anche la dea della Matematica, Maat (5), personificazione della verità, della giustizia, dell'armonia e dell'ordine cosmico, in antitesi con il dio Isfet, personificazione del caos.
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Fig. 3 Dea Maat
La necessità di ordine e metodo per la realizzazione delle piramidi è evidente, e veniva espressa attraverso la piuma che la dea Maat portava sul capo, con cui effettuava le misurazioni per ottenere le corrette misure di ogni singola pietra o altro manufatto contenuto nei colossi piramidali. E chi si è fatto carico degli abbellimenti in essi contenuti, tenendo conto che il termine arte non esisteva nemmeno nella lingua dei faraoni? Non esistevano ancora gli artisti come li intendiamo noi, ma vi erano coloro che erano in grado di materializzare, rendere visibili e tangibili i simboli di cui la cultura egizia si era dotata, attraverso dipinti, sculture, fregi, stele e rilievi. Nei secoli, non solo i faraoni continuarono a costruire le loro monumentali tombe, ma anche i privati cittadini egizi facoltosi e poderosi desiderarono averne una loro privata, per la cui realizzazione necessitarono di teste e braccia di uomini che conoscevano sia i misteri della dea Maat che i colori e gli scalpelli del dio ancora senza nome. 21
Ed in quella che è la culla della nostra civiltà, la Grecia, la mente sublime di Pitagora potè vedere cose che non tutti gli umani erano e sono in grado di vedere, nonostante la loro esistenza, e le ha rese comprensibili attraverso i numeri che stabiliscono le Leggi del mondo. Individuò in un numero, definito poi aureo, ciò che rende sensibile ai nostri sensi la bellezza e l’armonia nelle proporzioni. Uno dei simboli propri della scuola di Pitagora fu il pentagono stellato, un pentagono regolare i cui 5 vertici vengono uniti attraverso 5 diagonali a formare una stella a 5 punte. Ora, andando a misurare il punto in cui un segmento ne incontra un altro, si scopre magicamente che l'intersezione determina il rapporto aureo dei segmento stesso. E quindi di tutti e 5. E si manifesterà la stessa magia all’infinito, quando creando un cerchio all’interno del pentagono e di seguito disegnando un altro pentagono di dimensioni inferiori, le sue diagonali, incontrandosi, genereranno altri rapporti aurei. E’ da questa constatazione che Pitagora comprese l’esistenza di questo numero che riflette la sua realtà in tutto l’Universo. La magnificenza greca è tutta in questo numero che ha del magico: 1,6180339887….. e che dalla scoperta di Pitagora in avanti ha dato conferma dell’esistenza di un rapporto tra macrocosmo e microcosmo, tra Dio e l’uomo, l'universo e la Natura. Un rapporto tra il tutto e la parte, tra la parte più grande e quella più piccola che si ripete all’infinito e si mostra nelle forme più disparate presenti nell’Universo. 1 : x = x : (1-x) x2 = 1 - x x2 + x - 1 = 0 x = (radice quadrata di 5 – 1) / 2 Φ= 1,6180339887… Ma il fatto di non conoscere il magico numero non significa che non si sia “utilizzato” prima della scoperta di Pitagora. Ci sono studi, per esempio, che hanno dimostrato che la piramide di Cheope, realizzata tra il -2600 ed il -2500, quindi oltre 2000 anni prima di Pitagora, unica delle 7 meraviglie del mondo antico rimasta ai nostri giorni, sia stata costruita rispettando le sue proporzioni in base al numero aureo.
Fig. 4 Maschera funeraria di Tutankhamon
Anche Erodoto (-484/- 430), che ci ha riportato tutti i dettagli dell’immane opera, non ne parla nei suoi testi e non la fa citare nemmeno da chi l’ha progettata. Come dire che inconsapevolmente gli Egizi dell’epoca hanno assegnato dimensioni auree alla grande piramide. Secoli dopo, anche la maschera egizia del faraone Tutankhamon (-XIV) avrà 22
proporzioni auree: in questo caso la maschera è perfettamente inscrivibile in un pentagono e segue le diagonali che formano il pentagramma di Pitagora. Forse la dea Matt ci mise lo zampino mentre si iniziava ad ideare, progettare e realizzare la più affascinante e misteriosa piramide. Magia egizia, magia dei numeri! Ma ancora più esterrefatti si rimase quando si scoprì che in luoghi lontanissimi, in sud America in Bolivia, vi è un tempio chiamato la Porta del sole, risalente a tempi tuttora incerti (circa dal -1500 al 500), che ha tutte le sue parti “divinamente proporzionate”. Certo che in quella epoca nemmeno poteva essere nei sogni di Pitagora la sezione aurea, figuriamoci nella testa di un popolo, quello di Tiahuanaco, destinato a soccombere per mano degli Inca e di cui si son perse quasi tutte le tracce, tranne quella del loro tempio più importante, che racchiude, inconsapevolmente, le Leggi che regolano il mondo nel segno della bellezza e dell’ armonia. Ma questo accade tuttora, compiendo azioni apparentemente senza significato particolare e, a dimostrazione, si può portare un esempio banalissimo e sperimentabile da tutti. Si è in un parco e c’è una panchina vuota dove si decide di sedersi. Dove ci si siede? La scelta che accomuna tutti è di sedersi vicino al centro, un po' spostati verso uno dei due estremi. È un fatto accertato, un atto inconsapevole, naturale, ed anche evidentemente rispettoso di una armonia che ci vincola a nostra insaputa. Come un meccanismo nascosto e sconosciuto che “ci obbliga” a scegliere una certa cosa, una posizione, una misura nel rispetto di un qualche ordine superiore. E se ci si fa almeno una domanda, perché ci si è seduti lì, piuttosto che là?, in nostro soccorso giunge il numero magico che stabilisce che la perfetta armoniosa collocazione per il nostro sedere corrisponde alla nostra scelta. Ora, se misurassimo la panchina scopriremmo che la seduta armoniosa è misurabile attraverso una semplice equazione che da come risultato 1,61803, che è il numero divino legato misteriosamente al concetto di bellezza e perfezione. Possiamo dire che la Sezione Aurea è una costante numerica universale perfetta per tutti gli oggetti ed i sistemi e che consente lo sviluppo degli esseri viventi e dei processi nel modo più efficiente e, sicuramente non casualmente, stabilisce un legame tra armonia e proporzione. Come voler dire che naturalmente l’Universo poggia su regole basate sulla bellezza e sull’armonia e quando l’uomo non le segue è in disequilibrio con l’universo e se stesso. Le scelte che rispettano queste “regole”, che sono al di là dell'umana comprensione, e sono già e per sempre esisteranno, sono belle e fanno stare bene come se riconoscessero di essere una parte del tutto in una giusta proporzione e collocazione. Quando con i numeri si giunge a queste conclusioni, non si capisce dove la matematica ci può condurre, ma sicuramente in un viaggio tra i misteri, che pronti per essere svelati, illuminano e stimolano il rispetto e l’amore verso la Matematica. E a partire da quel momento, il numero e conseguente rapporto aureo, si manifesterà consapevolmente nell’Arte, e diventerà la “matrice” da cui partire per la creazione di sculture e monumenti che nella bellezza delle proporzioni e delle forme evocano il mito di Apollo. I Greci volevano comprendere se il concetto di “bello” fosse condiviso, oggettivo, universale e se si potesse spiegare e calcolare. Raggiunsero le vette artistiche su cui ancora oggi volteggiano le loro opere classiche, facendo sempre più ricorso alla matematica. La formula stabilisce che la relazione e il rapporto tra la parte più piccola e la parte più grande della forma siano uguali alla relazione e al rapporto tra la sua parte più grande e l’insieme. Questi 23
dati sono validi anche nell’Arte e definiscono con precisione dove collocare ogni singolo elemento in un dipinto e stabiliscono le corrette proporzioni del corpo umano in una scultura, al fine di rendere l’insieme dell’opera armoniosa e gradevole alla vista, e di non sbagliarsi nella ricerca del bello. Ci sono due grandi artisti greci, due scultori e non solo, Policleto (attivo tra il -460 e il -420) e Fidia (-480/-430), che faranno di questa magia matematica la base di ogni loro opera e che avranno in comune l’intento di ricercare l’equilibrio ed il bello ideale. Quasi contemporanei, -V secolo, furono entrambi gli artefici che resero l’Arte greca classica portatrice di nuovi modelli poi ripresi nel Rinascimento ed in ogni altra epoca che abbia avuto necessità di ricollegarsi alla bellezza ideale nelle creazioni artistiche. Nessuna loro opera è rimasta a noi, ma per comprendere la loro sapienza artistica possiamo ammirare loro copie riprodotte nei secolo successivi. Le loro sculture hanno fatto scuola, da seguire con meticolosa applicazione matematica. Policleto scrisse anche un suo trattato sulle proporzioni del corpo umano, “Il Canone” (anch’esso andato perduto), in cui stabilì le regole fondamentali secondo cui la statua deve essere proporzionata nell’insieme e nelle parti ed anche nella distribuzione delle tensioni. Amava infatti soprattutto scolpire figure umane e solitamente giovani atleti erano i suoi modelli, sulle cui figure applicava i suoi canoni che davano nuova vita alle statue finora concepite. Infatti, prima di lui, le opere scultoree riproducenti figure umane, immortalavano queste sempre rigide, frontali, con le gambe chiuse e le braccia lungo il corpo. Lui assegnò ai suoi corpi le proporzioni ideali secondo i calcoli dei suoi canoni, infondendo naturalezza alla posa eretta. Su una gamba poggia il corpo, mentre l’altra è leggermente flessa e posta poco indietro, e le braccia riprendono la posa delle gambe secondo una precisa simmetria. Le sue opere, per esempio il Discoforo e il Doriforo, incarnano l'ideale classico di bellezza realizzando la perfetta applicazione pratica delle sue teorie nella rappresentazione del corpo umano. Le proporzioni delle parti anatomiche furono studiate attentamente attraverso calcoli matematici e stabilirono che la testa dell’uomo deve corrispondere ad un ottavo della sua altezza, ... e di seguito; contemplò anche le pose che devono reggersi su un perfetto gioco di equilibri, soprattutto estetici, ed il volto ad esprimere calma e serenità in armonia con gli ideali della Cultura greca del momento. Policleto, sempre immerso nei calcoli oltre che dalle sue opere, affermò “l’uso di molti numeri porterebbe la scultura alla perfezione” (6) ed il suo canone persistette nei millenni tra numeri a determinare la bellezza. Di Fidia ci rimangono solo delle copie riprodotte più tardi ed i marmi del Partenone, essendo lui l’ideatore, l'esecutore ed il supervisore del massimo monumento greco quando Pericle, a capo della grande Atene, faceva le prime prove di una possibile democrazia. Mentre Policleto arrivò fino al margine dell’astrazione matematica per le sue opere, manifestazione visibile del bello ideale ed assoluto, Fidia vidi la realtà come un divenire più che un essere immutabile, e pertanto nelle sue opere venne espresso decisamente un dinamismo maggiore. La sua Arte celebrò i valori più alti della cultura classica, che oltre alla bellezza ideale contemplava anche i valori più alti in una perfetta coincidenza tra bellezza e virtù morali, tra etica ed estetica. E l’estetica virtuosa, come detto prima, si fonda sul rapporto aureo, che Fidia fedelmente manifestò in ogni singola dettagliata parte di ogni sua opera, sia scultorea che architettonica. Per tutto ciò Fidia, la sua Arte e la sua persona, furono legate indissolubilmente al magico numero, e furono omaggiate nel 1918 dal matematico Mark 24
Barr che iniziò, con approvazione e seguito dei colleghi, ad introdurre l’uso della lettera iniziale del nome del grande scultore (phi), in greco Φ, per indicare in simbolo matematico la magica sezione.
Φ
Fig. 5 Policleto, Doriforo, copia antica da un originale in bronzo del 450-445 a.C. Marmo, altezza 2,12 m. Napoli, Museo Archeologico nazionale.
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2.3 I SOLIDI PLATONICI Un’altra scoperta nata dalla mente di Pitagora furono i solidi, poi detti platonici, di cui il grande “illuminato” si occupò in tempi successivi. Queste forme geometriche a tre dimensioni esistono in Natura, ma all’epoca erano di difficile osservazione, perché quasi microscopiche essendo cristalli di minerali. La pirite, presente nei territori della Magna Grecia del -VI secolo, può cristallizzarsi assumendo le forme di un esaedro, di un ottaedro e di un dodecaedro irregolare. Anche il cloruro di sodio, anch’esso diffuso in Grecia, si dispone in cristalli cubici, mentre il fluoruro di calcio, si presenta in forma di ottaedri regolari. Sono molti i cristalli che si dispongono seguendo composizioni e varianti dei solidi platonici, a significare che i rispettivi reticoli cristallini presentano spiccate proprietà di simmetria. E’ certo che il ritrovamento di tali forme in natura rafforzò la teoria pitagorica sul significato dei Numeri, ovvero della loro doppia natura di principio universale e di entità fisiche, forme costituenti l’Universo. Il filosofo prestato alla Matematica, Platone, si dedicò allo studio di queste forme perfette, che all’epoca risulteranno essere 5, poi ampliate o scoperte da Euclide, quelle regolari, e da Archimede, quelle irregolari. Platone (-428, -348), associò a queste cinque figure i quattro elementi fondamentali, acqua, aria, fuoco, terra, e la quinta al cosmo intero, facendo loro ricoprire un ruolo importante nella sua filosofia e nella sua idea del mondo. La corretta rappresentazione di ciò che i Greci chiamavano "idee", tradotte in forme, che sono la vera essenza di questo mondo visibile come perfetta geometria: le figure geometriche con i numeri sono origine delle cose, del cielo e del tempo, e Platone nel suo “Timeo”, attraverso i suoi poliedri, presenta la sua idea dell’Universo descrivendo le forme che lo compongono. Alla Terra Platone assegna la forma dell’ Esaedro (cubo), al Fuoco il Tetraedro, all’ Aria l’ Ottaedro, all’Acqua l’ Icosaedro, ed all'Universo il Dodecaedro.
Fig.6 Solidi platonici
Sarà un'idea che percorrerà tutta la filosofia, la scienza e l’arte occidentale, soprattutto da quando, a livello sia microscopico che macroscopico, si scopriranno tante strutture che posseggono la forma dei solidi platonici. In verità può sembrare che l’Arte qui c’entri poco, ma avremo modo di smentire il dubbio, in quanto nei secoli, a partire dal Rinascimento, saranno tantissimi, fino ai nostri giorni, gli artisti che nelle loro opere rappresenteranno le figure armoniche dei poliedri, ed i matematici e gli scienziati saranno al loro fianco per
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scoprire ulteriori loro proprietà. Vedremo in seguito gli artisti ed i matematici che vi si sono applicati, mentre riecheggiano i pensieri di Platone espressi nel suo Timeo circa le forme dell’Universo: “Non accorderemo a nessuno che vi siano corpi nell’universo più belli di questi”. E ricordiamo, inoltre, colui che Galileo definì il suo Maestro, Archimede (-287/-212), che tra innumerevoli esclamazioni di “eureka”, determinate dalle sue scoperte circa corpi galleggianti, quadrature del cerchio attraverso “numeri magici” come il 3,14159 2653.., leve, macchine belliche, ottica, geometria, spirali, planetari…, si occupò anche di poliedri irregolari, 13, che lui scoprì e che furono valorizzati come pure forme ricche di simmetrie da tanti artisti a partire dal Rinascimento. «In realtà, quando Archimede racchiuse in una sfera i movimenti della luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso che colui che nel Timeo edificò l'universo, il dio di Platone, e cioè che un'unica rivoluzione regolasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità. E se questo non può avvenire nel nostro universo senza la divinità, neanche nella sfera Archimede avrebbe potuto imitare i medesimi movimenti senza un'intelligenza divina.» (7) Quasi contemporaneo di Platone, un grande scultore e bronzista, Lisippo (-390/-306), diede nuovi input all’Arte greca nella transizione alla sua fase ellenistica, con ritratti scultorei di Alessandro Magno, e non solo, che rappresentavano il “grande condottiero” in modo originale e innovativo. La figura umana veniva ora da lui proposta con nuove regole e queste, pur riprendendo il canone di Policleto, apportarono alcune modifiche per cui le sculture assunsero maggior realismo perdendo l’aurea idealizzata del bello. I suoi numeri e le proporzioni non cercavano le forme ideali di esseri umani in avvicinamento agli Dei, ma rispettavano ciò che si vedeva, mentre la bellezza classica si scoprì in pose e sguardi dell'uomo comune. Le proporzioni della testa rispetto al corpo erano leggermente inferiori, il corpo era più snello, variavano anche le pose degli arti, i calcoli e il senso della realizzazione dell'opera stessa. Infatti Lisippo affermava di voler rappresentare gli uomini "come appaiono all'occhio", mutevoli a seconda della luce e della visuale, nel variare continuo della realtà. L'idealizzazione classica venne completamente superata, ma i numeri mantennero la loro importanza nella creazione di queste innovative opere. In una di queste sue “Apoxyomenos” (- 330/-320), una statua bronzea andata perduta, ma ancora visibile in copie in marmo realizzate successivamente, Lisippo riprodusse un atleta. Questi, però, non fu rappresentato in una posa gloriosa, ma in un gesto assolutamente comune a tutti gli atleti, vincitori o sconfitti, mentre si detergono il sudore a fine prestazione con uno strumento utilizzato all’epoca; veniva, quindi, rappresentato il corpo di un uomo normale, alle prese con problemi comuni ai mortali. L’amore tra Arte e Matematica sembrò sfumare a cavallo del nuovo millennio, ma a Roma all’epoca dell’imperatore Giulio Cesare prima e Ottaviano Augusto poi, è di memorabile importanza l’opera di Marco Vitruvio Pollione (-80/-15), il primo e più famoso teorico dell'architettura di tutti i tempi che ci lasciò “De Architectura”. E’ un trattato profuso in 10 volumi scritto in latino che costituisce una delle fonti principali sui metodi costruttivi degli antichi romani e sulla progettazione di strutture, sia grandi (acquedotti, edifici, bagni, porti) che piccole (macchine, strumenti di misurazione, utensili) e il fondamento teorico dell'architettura occidentale dal Rinascimento fino alla fine del XIX sec.. Nel libro terzo dedicato ai templi, Vitruvio, oltre a sostenere che questi dovevano essere regolati dai principi di armonia, ordine e proporzione tra le varie parti della costruzione, descrisse anche le 27
proporzioni del corpo umano (canone vitruviano), di cui Leonardo da Vinci quasi 1500 anni dopo ne fece la rappresentazione grafica, immortalata nel suo famosissimo disegno chiamato l’Uomo Vitruviano, raccogliendo ed elaborando le parole del suo ideatore: “senza simmetria e senza proporzione non può esistere alcun tempio che sia dotato di una buona composizione e lo stesso vale per l’esatta armonia delle membra di un uomo ben proporzionato”. (8) 2.4 GLI ARABI Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476) molte biblioteche, come quella di Alessandria, andarono distrutte e gran parte della Matematica greca andò persa con l’Arte da lei scaturita. La civiltà romana dal canto suo aveva accolto e fatta sua l’Arte classica, mentre non manifestò mai un atteggiamento di interesse verso la Matematica, tanto che il testo per eccellenza all’epoca, insieme alla Bibbia, “Gli Elementi” di Euclide, non fu tradotto da loro in latino. Ci penserà secoli dopo Gherardo da Cremona (1114/1187) e prima di lui i volumi di Euclide furono resi fruibili ai dotti ed ai matematici grazie agli Arabi che li tradussero nella loro lingua già all’inizio del primo millennio, mentre il primo occidentale a far conoscere l’essenziale testo fu un matematico inglese Adelardo di Bath (1080/1152) che prima di Gherardo da Cremona tradusse i 10 volumi di Euclide, ma dall’arabo in latino. Possiamo comprendere da questi pochi dati che gli arabi furono i continuatori della tradizione matematica greca in un sincretismo proficuo con quella orientale. Sempre gli arabi, attraverso le traduzioni, la catalogazione e la diffusione delle conoscenze greche, salvarono e tramandarono i saperi matematici, tesori dell’Umanità, che altrimenti sarebbero andati persi. Gli Arabi furono il ponte tra le culture matematiche orientali e quella greca ed anche furono in grado di tradurre, conservare ed assimilare l’eredità di quest’ultima. Come per miracolo, dei popoli che fino a pochi secoli prima vagavano errabondi nei deserti, incapaci di organizzarsi in una qualsiasi forma sociale, dopo la nascita di Maometto (570/632), grazie alle sue predicazioni, riuscirono a risvegliare le loro energie sopite, che così rigenerate crearono la forza e la fede per costituirsi in un popolo unito. In pochi anni conquistarono territori immensi che andavano da quelli bagnati dal Mediterraneo fino a quelli bagnati dall’Indo. Nelle loro conquiste certo non potevano proporre una cultura che ancora non possedevano, ma assorbirono quelle dei popoli che sottomettevano. Erano pluralisti, accettavano altri usi e costumi, non imponevano la loro religione e durante i loro viaggi e nel loro fare commercio impararono ed elaborarono i saperi “occidentali” e quelli orientali, diffondendo questi per arricchire di concetti nuovi la Matematica e di conseguenza anche l’Arte. Dai contatti con gli indiani gli Arabi appresero il sistema posizionale dei numeri a base 10, la conoscenza e successivo uso dello zero, gli inizi di quella che sarà l’algebra, i procedimenti per la soluzione di equazioni di primo e secondo grado e molto altro. E nella loro incredibile conquista di Paesi e territori giunsero in Spagna, precisamente nel suo sud, l’Andalusia, dove l’invasione iniziò al termine del 7 secolo, ma i loro insediamenti più importanti, Siviglia, Cordova e Granada, furono conquistati e ben governati, tra cultura ed Arte in fermento, nei secoli successivi. E proprio a Granada gli arabi diedero prova della loro incomparabile abilità artistica esaltata dalla conoscenza della Matematica. Bisogna ricordare che il testo sacro delle tre religioni monoteiste, il Vecchio Testamento, nega ai seguaci la possibilità di rappresentare figure umane, men che meno esibire raffigurazioni di Dio e nemmeno di tutto ciò che splende nel cielo e sulla Terra. Possiamo dire ora che, con 28
nostra grande fortuna, i Cristiani ben si guardarono dal rispettare questo comandamento, aprendo la strada ad artisti straordinari le cui opere ancora oggi arricchiscono il nostro Paese e la nostra Cultura. Forse andremo all’inferno, ma nel frattempo continuiamo a vivere in un paradiso dell’Arte! Invece gli Arabi, come gli Ebrei, ritennero di non poter rappresentare in nessuna forma il mondo circostante compresi gli esseri viventi e crearono una loro Arte, frutto di una fantasia dirottata dal mondo reale a quello fantastico delle loro menti per produrre Arte fatta di linee, colori e geometria. L’esempio più interessante e fantastico, tanto che nei secoli successivi nessuno si è permesso di deturpare un capolavoro così significativo, è l’Alhambra, il palazzo reale del sultano regnante a Granada, testimonianza del fasto, della raffinatezza e della potenza del popolo arabo. Oltre alla grandezza architettonica dei palazzi, l’Arte araba nella Alhambra si esprime ad un livello altamente artistico matematico nelle sue piastrellature che ne rivestono tutti gli interni e parte degli esterni.
Fig. 7 Arte Araba: esempi di piastrellatura dell'Alhambra a Granada
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Come mosaici composti da piastrelle dai disegni rigorosamente geometrici con simmetrie ripetute e trasformabili in 17 isometrie nel momento in cui si varia la rotazione, la direzione della traslazione e l’incidenza dei multipli del disegno originario. Per la realizzazione di questi “ mosaici” gli artisti arabi si son serviti di calcoli algebrici e conoscenze delle proprietà dei poligoni (solo tre in grado di coprire completamente un piano: il triangolo equilatero, il quadrato e l’esagono), di calcoli e di composizioni diversificate che hanno reso all’Umanità una grande opera del genio umano. Un'opera che descrive le aspirazioni dell’uomo verso il divino attraverso la smaterializzazione dell’immagine per giungere ad astrazioni soprannaturali, proprie delle menti e della fantasia degli artisti che conoscevano le regole della Matematica. Dobbiamo essere riconoscenti agli Arabi per aver riportato in auge le opere matematiche greche e averci fatto conoscere la sapienza dei numeri degli Indiani. Tutto ciò ha permesso una rigenerazione totale delle stesse e delle Arti che di a li a poco vivranno il loro magnifico periodo rinascimentale. 2.5 LA SUCCESSIONE DI FIBONACCI Tutto scorreva nell’indifferenza circa la Matematica in quella che oggi è l’Europa, senza nessuna traduzione dei testi greci, Euclide in primis, ed ignari delle conoscenze orientali. Tranne che per un matematico di Pisa, Leonardo Pisano detto Fibonacci (1170/1242), che per sua sorte ebbe a vivere nel nord-Africa. La sua storia e passione matematica inizia infatti a Bugia presso Algeri, dove il padre lavorava come doganiere per i mercanti pisani dell’epoca e dove il giovane Leonardo entra in contatto con la Cultura araba. Rimase impressionato dalle conoscenze matematiche che questa portava e le assimilò facilmente osservando e praticando il nuovo modo di contare che usavano gli arabi. Infatti ad Algeri, già si era abbandonato l’abaco, il più antico strumento di calcolo, utilizzato sin dal -XXI secolo in Cina, nella Mesopotamia, in Egitto e dai Greci ed i Romani (tale uso durò in Europa fino all’ l'inizio del XVIII, dopo l'introduzione definitiva dei numeri arabi). Ad Algeri i commercianti già usavano la numerazione araba di derivazione indiana e da lì nacque la passione in Fibonacci per i numeri che lo portò ad essere il primo in Europa ad esporre il concetto dello zero, del nuovo sistema numerico indiano con la relativa numerazione posizionale a base 10, sistema superiore a ogni altro per praticità ed efficacia, le regole di calcolo per radici quadrate e cubiche ed i principi di matematica commerciale (l’odierna ragioneria). Dopo aver imparato l’arabo e viaggiato in Egitto, in Siria, in Grecia ed in Sicilia per incrementare il suo sapere circa la matematica araba, esporrà tutto il suo sapere nella sua opera composta da 15 volumi, “Liber abbaci”, il testo attraverso il quale si diffonderà la matematica araba in Europa. Lo pubblicò una prima volta nel 1202 (edizione andata persa) e poi successivamente nel 1228 con l’inserimento di nuovi concetti fondamentale per la Matematica, la Natura e l’Arte, il più importante dei quali è la sequenza che prende il suo nome. La seconda rinnovata pubblicazione avvenne dopo che l'imperatore Federico II, cultore dell’opera di Fibonacci, lo volle incontrare e lo invitò a partecipare ad un incontro tra matematici che si sarebbe tenuto a Pisa. Durante tale convivio ci fu una gara di abilità per risolvere un quesito posto dell’imperatore stesso, circa la prolificità dei conigli in cattività. La conoscenza dei numeri indo-arabi fu fondamentale per Fibonacci per arrivare velocemente alla soluzione. 30
Fn = Fn−1 + Fn−2. Tanto velocemente che qualcuno sospettò che il torneo fosse truccato, ma egli seppe dimostrare l’esattezza del risultato ottenuto che, secondo i suoi calcoli, consisteva in una sequenza di numeri, nonché di coniglietti nati mese dopo mese. (9) Tale sequenza si sviluppa attraverso uno schema astratto che mette uno dopo l’altro i numeri che indicano le coppie di conigli nella gabbia alla fine di ogni mese dall’inizio dell’esperimento: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, … . Tale successione di numeri rivelerà una magia che ha a che fare col numero aureo 1,6180339… , scoperto secoli e secoli prima da Pitagora. Tale sequenza porta in sé diverse proprietà, tra cui le più importanti sono: 1) ogni numero della sequenza è il risultato della somma dei due numeri precedenti e questa proprietà si estende all’infinito; 2) il rapporto tra un numero ed il suo successivo si avvicina sempre più al numero aureo man mano che i numeri della sequenza si fanno maggiori. 13/8 = 1,625 89/55 = 1,618181818 233/ 144 = 1,618055555555 377/233 = 1,618025751072961 La scoperta della successione fu quindi casuale e non compresa totalmente nella sua grandiosità da Fibonacci stesso ed è necessario quindi aggiungere che, solo secoli dopo, un altro matematico nonché frate Luca Pacioli (1445/1517), nel suo più famoso testo, Il “De Divina Proportione” (1509), arricchito da incisioni di Leonardo da Vinci, ne parlerà come l'esistenza di un numero con numerose particolari proprietà a cui assegnò per la prima volta il nome di “proporzione divina”. Sarà comunque Giovanni Keplero (1571/1630) quasi 100 anni dopo a scoprire la relazione tra il numero aureo e la serie di Fibonacci, rimasta ignota anche a Luca Pacioli. Pian piano la cultura occidentale riprese contatto con la sua fondamentale parte fondatrice greca e, nonostante i testi di Fibonacci non abbiano all’inizio trovato favorevole accoglimento nelle corti e nei centri culturali europei, si deve al grande matematico un importante insegnamento per la necessaria diffusione della cultura matematica che adottiamo ancora oggi. La sua curiosità per il diverso da sé gli permise di lasciarsi contagiare dalla cultura islamica a sua volta contagiata dalla cultura indiana e cinese. Fibonacci, quindi, diede nuova linfa alla cultura occidentale fermatasi a metodi poco efficienti circa la pratica matematica ed ebbe almeno due grandi meriti che vanno oltre la matematica: dimostrò che non c’è Scienza-Conoscenza-Arte senza comunicazione e condivisione delle stesse e non c’è cultura senza contaminazione. 2.5.1 LA NATURA Abbiamo già detto che fu Keplero a scoprire il valore più profondo della successione di Fibonacci che considerò come uno dei principali strumenti della creazione divina dell’Universo. Ed è certo che anche noi, oggi come ieri, possiamo sostenere che abbia ragione in quanto davanti ai nostri occhi possiamo vedere quotidianamente in Natura manifestazioni evidenti della magica successione. Possiamo partire dall'Universo come Keplero ed osservare la nostra galassia attraverso un moderno telescopio. Questa ha la forma 31
ellittica, una spirale logaritmica o detta di Fibonacci, che, misurata, ha il magico numero di Fidia, ϕ, ad incrementare il suo raggio, generando così una spirale aurea. Il libro della Natura, come scrisse Galileo, ha il suo linguaggio dove i numeri e le figure geometriche costituiscono il suo alfabeto e per comprenderlo bisogna quindi conoscere la Matematica. Ma, al di là della nostra comprensione e conoscenze del suo linguaggio, la Natura si lascia osservare mostrando nelle sue forme la sua essenza matematica. Quindi, guardiamoci intorno! Rimanendo fluttuanti nell’aria possiamo verificare che anche i cicloni tropicali, come gli uragani, diventano sempre più spaventosi man mano che la progressione dei numeri e conseguente sua forza aumenta, manifestando la sua forma di spirale aurea. Scendendo sulla Terra, in un bosco, troviamo le piante organizzate nel modo più efficiente per crescere. Troviamo una pigna la cui forma a spirale logaritmica le permette di contenere un numero maggiore di semi; possiamo osservare le piante ancora tenere, le cui foglioline spuntano dallo stelo in una particolare sequenza: prima una foglia, poi un’altra, poi due nello stesso tempo, poi tre, poi,cinque, poi otto,… e siamo di fronte all’applicazione della Natura della sequenza Fibonacci; osserviamo anche che le stesse piante crescendo distribuiscono le foglie intorno al fusto in modo da permettere che queste non si coprano fra di loro e che ognuna riceva il massimo possibile di luce e di pioggia per scoprire che anche questa strategia botanica rispetta lo stesso principio matematico. Guarda che bel girasole, guarda il suo centro, il suo capolino che assume la forma perfetta di una spirale che rimanda sempre all’aurea sequenza, come quel frutto di ananas e quel cavolo verde cimoso ed anche quel gruppo di piante grasse i cui “numeri” permettono un’organizzazione ottimale dello spazio oltre alla visualizzazione della sequenza magica; come anche le conchiglie dei molluschi, soprattutto quella del nautilus e le corna di quel cervo. Ed ancora l’estremità delle foglie di felce e la coda del camaleonte e del ippocampo seguono l'andamento della spirale logaritmica e nel loro volo notturno gli insetti si avvicinano a una sorgente di luce realizzando col loro volo la stessa spirale.
Fig. 8 Manifestazione della sequenza Fibonacci in natura nel fiore del girasole - foto di T.Pavone
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Se ci dotassimo di uno strumento adeguato potremmo vedere come anche il nostro corpo sia organizzato rispettando la sequenza Fibonacci. La molecola del DNA, che ha una struttura a doppia elica, costituita da due spirali che si intrecciano, misura in lunghezza 34 angstrom e in larghezza 21 angstrom (unità di misura adottata per le molecole), due numeri consequenziali della magica sequenza che troveremmo anche misurando le frequenze delle vibrazioni elettriche del nostro cervello per scoprire che queste hanno una intensità pari a 1,62 hertz (molto vicino al 1, 618) quando il nostro cervello sperimenta una condizione di benessere e leggerezza, come dire, quando si è in armonia con l’ambiente circostante e l’Universo tutto. Oltre alla sezione aurea, alle spirali, alle eliche e tutte le forme geometriche che posseggono caratteristiche dettate dalla sequenza Fibonacci e di conseguenza portatrici del numero aureo, esistono altri esempi in Natura di come e quanto la Matematica sia presente e detti le sue regole. Penso alle api ed alle loro celle perfettamente esagonali, agli stessi esagoni cesellanti le loro testoline, al loro volo che disegna nell’aria messaggi cifrati; penso ai fiocchi di neve con simmetrici inediti disegni, ai cristalli, alle forme dei nuclei degli atomi che ricordano poliedri platonici e archimedei, alle bolle di sapone capaci di moltiplicarsi nella loro estrema fragilità per comporre agglomerati di sfere mobili ed alle infinite possibilità di forme frattali in scale diverse. Ed alla Musica…, ma rimando ad un’altra tesi la trattazione di questo vasto tema artistico-matematico. La Natura sembra agire con regole armoniche ed assolute adottando forme che sono sempre la soluzione più efficiente per l’oggetto interessato inserito in un sistema universale che porta in sé il codice del tutto, scaturito dalla Matematica. Come un codice fondamentale che muove il sole e l' altre stelle e che è alla base dell’esistenza di ogni cosa cosa conosciuta, che raccoglie in sé l’armonia, la bellezza, il passato, il presente, il futuro, ogni spazio, ogni forma ed ogni desiderio.
2.6 LA PROSPETTIVA L’eredità lasciata di Fibonacci aprì finalmente le porte rimaste troppo a lungo chiuse della ricerca matematica anche in Europa. Mentre gli studiosi ed i sapienti cercavano di assorbire tutte le novità arabe ed anche quelle greche, considerato che da ben poco tempo circolava la traduzione in latino de “Gli Elementi” di Euclide, la raccolta per eccellenza di tutti i saperi matematici greci e non solo ai suoi tempi, si creava il giusto humus per quello che da lì a poco, soprattutto, in Italia, diventerà il periodo storico più sinergicamente ricco di ingegno artistico-matematico, il Rinascimento. Ma, mancava ancora un tassello alla pienezza della conoscenza per meglio riprodurre un ambiente credibile a livello pittorico: la prospettiva, intesa come mezzo rigoroso e scientifico per imprigionare in un dipinto la realtà con i suoi volumi e i suoi spazi. La prospettiva sarà nel Rinascimento, un importante punto di incontro tra teoria e pratica, tra Arti figurative e Matematica. Tutti gli artisti sanno sulla loro pelle e tela l’importanza che riveste la prospettiva in ogni singola loro opera, certamente se l’intenzione è restituire una immagine realistica di ciò che l’occhio umano può vedere nella sua interezza: figure solide su diversi piani traslati con un centro (punto di fuga) da cui partono tutte le linee del disegno preparatorio per rappresentare la realtà.
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Già in tempi assai remoti la rappresentazione tridimensionale su supporti bidimensionali era stato oggetto di studi e riflessioni sia da parte degli artisti che dei matematici. A guardar bene anche i nostri antenati preistorici nelle loro pitture su pareti rocciose si erano posti il problema e a loro modo affrontato, ma dovranno passare millenni per giungere a documenti che testimoniano l’attenzione che gli studiosi ed artisti vi hanno posto. E troviamo tentativi di prospettiva in alcune opere di origine assira, babilonese ed egizia e naturalmente greche, già prima che Euclide elaborasse il suo fondamentale testo specificatamente sul tema della prospettiva: l’ “Ottica”. Necessario è citare l’importanza che ebbe il teatro greco, meglio le scenografie per l’allestimento di tragedie, nell’elaborazione di tecniche che rendessero la scena teatrale più consona ad un ambiente reale. Eschilo (-525/-456) si appoggiava al pittore Agatarco per creare ambientazioni credibili per le sue tragedie e secoli dopo fu un altro pittore Apollodoro (-180/-110) che diede un grande apporto alla evoluzione della prospettiva, in quanto egli dipingeva le luci e le ombre, affinando una tecnica che ora chiamiamo chiaroscuro, che aiuta l’occhio a percepire la tridimensionalità. Ma tornando ad Euclide, il suo “Ottica” , diversamente dagli “Elementi”, dove raccolse e rielaborò lo scibile matematico disponibile fino all’ora, si rivelò un’opera del tutto originale dove affrontò sia problematiche legate alla visione che alla prospettiva, ed è probabilmente il primo trattato di ottica geometrica che sia mai stato scritto. Ma questo testo ebbe una sorte complicata, come del resto molti altri testi greci, compreso “Gli Elementi”, dovuta alla tarda traduzione, alla sua presunta distruzione ed all’ incertezza della autenticità dell’opera. Ora, al di là delle “disavventure”, possiamo affermare che Euclide, all’interno della sua opera propose un’originale teoria sulla visione della realtà di tipo emissivo, secondo la quale dall’occhio partono dei raggi che si diffondono nello spazio fino ad incontrare gli oggetti. E gli arabi, prima di chiunque altro, tradussero e studiarono anche questa sua opera e ne approfondirono alcuni aspetti. Il contributo più prezioso fu dato da un matematico-astronomo, Alhazen (965/1039), uno tra i più importanti scienziati musulmani, che con precisione descrisse la fisiologia dell’occhio e formulò un’altra ipotesi sulla visione, smontando la teoria di Euclide circa la propagazione della luce. Egli sosterrà, ed oggi possiamo dire a ragione, che i raggi visivi partono dall’oggetto osservato per arrivare all'occhio e non viceversa. Di lì in seguito tanti furono gli studiosi anche in Europa ad appassionarsi a questa disciplina, traducendo ed ampliando trattati in arabo, per, pian piano, permettere una rappresentazione verosimile della realtà nelle opere artistiche affidandosi alla Matematica, in particolare alla geometria, e ciò sarà una costante che segnerà l’Arte rinascimentale. Ma anche prima del periodo magnifico possiamo osservare che diversi pittori si approcciarono nelle loro opere a ipotesi di prospettiva per meglio rendere la loro rappresentazione della realtà tridimensionale. Si possono riscontrare in affreschi presenti in numerose ville a Pompei (-900 /79) e in dipinti su vasi dell’epoca romana in cui visse Vitruvio. Questi anche si occupò nei suoi studi di scenografia e dell'immagine apparente in un dipinto, che, secondo le sue parole, deve soddisfare l’occhio mettendo parti del quadro in una posizione che queste sembrino rientrare o sporgere dal piano del quadro stesso. Seppur nel Medioevo i soggetti più importanti dei dipinti erano rappresentati in dimensioni maggiori, come le Madonne e i Gesù in croce, senza tener in conto qualsiasi ipotesi di visione prospettica, già qualche pittore osava proporre nelle sue opere una visione differente esponendo immagini che davano un senso, seppur erroneo, di prospettiva. Venivano dipinte 34
con dimensioni inferiori le colonne che si trovavano più indietro rispetto alle altre, le figure nelle folle venivano poste una di fianco all’altra, anche in profondità, ma mantenevano le stesse proporzioni, i tavoli venivano dipinti portando il piano quasi rovesciato a 70° per permettere la visione di ciò che vi era posto sopra. Insomma, ci provavano, ma mancavano gli strumenti matematici per compiere il passo per non “fare errori”. E in Italia ecco il primo artista che, prima sbagliando e poi correggendosi, arriva a soluzioni che, seppur senza ancora appropriate conoscenze matematiche, rendono perfettamente l’idea della profondità. E’ Giotto (1267/1337), l’uomo capace di disegnare cerchi perfetti, che nel suo dipinto “L’Annuncio di sant’Anna”(1305) svela la sua applicazione nel fare calcoli nell’esecuzione della sua opera, lasciando entusiasti i suoi committenti e l’intero mondo dell’Arte del presente e del futuro. E non fu il solo pittore concentrato, oltre che sul disegno e sui colori, allo studio delle regole precise matematiche: mi piace ricordare Cimabue (1240/1302) ed i fratelli Lorenzetti, che operarono intorno all’inizio dell’anno 1300 e che continuarono a cercare in forma empirica la soluzione all’arcano.
Fig. 9 Ambrogio Lorenzetti, Effetti del Buon Governo in città, 1338-1339, affresco. Siena, Palazzo Pubblico, Sala della Pace
Circa cent’anni dopo furono tre gli artisti-matematici che diedero la svolta decisiva e che tramutarono la necessità di rappresentazioni pittoriche veritiere in un organico sistema di regole matematiche: Filippo Brunelleschi (1377/1446), Leon Battista Alberti (1404/1472) e Piero della Francesca (1417/1492), entrambi toscani. Il Rinascimento è esploso in tutta la sua magnificenza artistica e di ricerca scientifica ed umanistica soprattutto in questo territorio baciato dalla saggezza e dalla ricerca della bellezza. Un ineguagliato tempo in cui gli artisti per ideare, progettare e realizzare le loro opere fecero ricorso allo studio di tante altre discipline, soprattutto la Matematica, per offrire al mondo capolavori d’Arte inestimabili. Filippo Brunelleschi superando il concetto euclideo secondo il quale sono i raggi visivi che partendo dall’occhio arrivano a colpire l’oggetto, suggestionato dalle innovazioni matematiche arabe e recuperati tanti concetti vitruviani, elaborò per la prima volta studi a dimostrazione del concetto di piramide visiva e di punto unico di fuga. Il suo capolavoro, la 35
cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, ha dell’incredibile, almeno per l’epoca, non essendoci mai state prima opere simili, anche perché fu costruita senza l'ausilio delle tecniche tradizionali finora utilizzate. Questa fu realizzata in muratura e rimane tuttora la più grande cupola in muratura mai costruita, per la cui costruzione Brunelleschi si avvalse di tutte le conoscenze matematiche che potè reperire, di tanto intuito ed abilità artistiche. La cupola ha una base ottagonale e si esprime in una curva che nei secoli successivi è stata oggetto di studi da parte di tanti importanti matematici che la definirono catenaria e che fu poi ripresa nel ‘900 da un altro architetto, lo spagnolo Antonio Gaudi (1852/1926). Prima ancora di ammirare la perfezione della prospettiva, al termine dell’esecuzione dell’opera, sono da apprezzare gli studi, i disegni ed i prospetti che Brunelleschi fece prima della costruzione della cupola che lasciano meravigliati per l’originalità nell’impiego delle formule matematiche adottate, tanto che riesce difficile immaginare come abbia potuto realizzarli non essendoci ancora un trattato teorico matematico completo su cui appoggiarsi. Fatto sta che i geni vedono cose che gli umani normali non riescono nemmeno ad immaginare e lui ha visto prima e creato poi anche gli strumenti e le macchine, carrucole, argani e prototipi di gru (quelle che costantemente da oltre un secolo circondano la Sagrada Família a Barcellona), senza le quali la costruzione (forse) non si sarebbe potuta alzare. Nel 1420 iniziarono i lavori dopo anni di progetti, idee innovative, altri progetti, disegni, altri disegni, errori, correzioni, calcoli e calcoli e finalmente nel 1436 il progetto geniale della più strana cupola al mondo finalmente fu terminato e l’Umanità potè meravigliarsi per sempre di uno dei tanti simboli della Firenze che tutto il mondo adora. Brunelleschi non lasciò nessun trattato circa i suoi approfonditi studi sulla prospettiva, ma ci pensò il più grande, diremmo ora, intellettuale della scena fiorentina del momento, Leon Battista Alberti. Questi infatti nel 1436 pubblicò il trattato “De pictura” dove sono enunciate, codificate ed ampliate le idee del suo amico Brunelleschi; il testo sarà la prima, seppur non esaustiva, teorizzazione della prospettiva lineare, mentre egli immaginava il quadro come una finestra aperta nello spazio. Il testo ancora era condizionato dall' empirismo del procedimento e non produsse una sintesi teorica rigorosa, ma tuttavia fu un documento prezioso per conoscere come affrontare le problematiche teoriche nella pittura. Soprattutto fu fondamentale per aver inserito l’Arte del pennello tra gli strumenti di ricerca intellettuale e culturale. Del resto L.B.Alberti fu una figura di primo piano del Rinascimento, proprio per la sua attitudine a spaziare tra le diverse discipline del sapere, considerandole tutte come i frutti di una sola unica Cultura. Si prodigò nella letteratura, con innumerevoli testi su tematiche più disparate, nell’architettura, realizzando importanti palazzi che testimoniano la volontà dell’artista di conciliare la matematica con il senso estetico del tempo. Ricoprì anche una figura di primo piano nella ricerca storica dell’Arte ed anche nell’approfondimento di questioni scientifiche matematiche, geometriche, tecniche, a volte poste in forma ludica, superando l’approccio distaccato e freddo tipico di Euclide e del metodo matematico normalmente così inteso, per stimolare la curiosità e l’interesse verso la materia che anche allora era considerata ostica. Geniale! Un artista intellettuale dedito a 360° alla Cultura in ogni manifestazione, capace di spaziare tra discipline apparentemente discordanti tra loro e di trovare il senso unificatore del tutto. E mentre Brunelleschi studiava come stupire il mondo col suo ingegno artistico-matematico, ed Alberti progettava palazzi e riempiva libri di tutto lo scibile riscontrabile in Firenze, 36
nasceva poco distante dalla magnifica città, un altro geniale matematico, nonché bravissimo pittore dal nome Piero della Francesca. Un pittore eccezionale che nei suoi dipinti esprime e contempla l’Umanesimo più profondo dell’epoca, per lui una esigenza interiore a sostenere l’importanza della spiritualità nell’uomo. Tutte le sue opere sono il frutto di uno straordinario rigore geometrico, di una rara esattezza matematica ed una estrema precisione nella ricerca prospettica oltre che di una perfezione estetica sublime, a dimostrazione delle capacità intellettuali e spirituali dell’essere umano ora centro del mondo con lo sguardo divino a supportarlo. Sono da ricordare assolutamente alcune sue opere che meglio testimoniano la sua Arte realizzate con linee, compasso e dedizione ai canoni greci: del 1455 circa, “La Resurrezione di Cristo” tra il 1450 ed 1463, “Flagellazione di Cristo” del 1470 circa, “Madonna con Bambino e Santi” (Pala di Brera) del 1469/1474 circa. Ma soprattutto Piero della Francesca è da ricordare anche come un grandissimo matematico, le cui conoscenze ben si manifestarono nelle sue opere pittoriche per rivelarle poi attraverso tre trattati matematici, ispirato e motivato dai Greci e dagli Arabi. Il primo è il "Trattato dell'Abaco" del 1450, che è un manuale di matematica elementare, ma con elementi molto dettagliati e originali scritto dopo aver copiato ed illustrato un trattato di Archimede sulla spirale. Il secondo, il più importante per la tematica della prospettiva, è "De prospectiva pingendi", scritto intorno al 1480, quando ormai pare avesse perso quasi completamente la vista, per cui impedito alla dedizione della pittura. Qui Piero della Francesca detta le regole della moderna prospettiva, apportando notevoli novità al punto da poterlo definire uno dei padri della nuova scienza e del moderno disegno tecnico. Teorizza e disegna il cono visivo culminante nel punto in cui guarda l’occhio, così affermando che tutte le linee dello spazio perpendicolari al piano del quadro dovevano concorrere a un unico punto, il “punto centrico”, oggi detto punto di fuga. Il trattato organico, completo e teoricamente esaustivo che mancava agli artisti fu così accessibile, e con le sue teorizzazioni e dimostrazioni matematiche impeccabili sulla prospettiva aprì la porta alla realizzazione di fantastici capolavori rinascimentali. Il testo è anche ricco di disegni per insegnare ai pittori i segreti della prospettiva: come disporre nello spazio le figure, come colorarle e come ridurre all'essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinita varietà degli oggetti possibili del dipinto. Ancora al giorno d’oggi questo testo ed i disegni contenuti rimangono alla base di qualsiasi trattazione circa la prospettiva, anche in sede universitaria, e sono una dimostrazione del genio meticolosamente matematico di Piero. Nel terzo trattato, “Libellus de quinque corporibus regularibus”, sempre scritto negli ultimi anni della sua vita, Piero della Francesca approfondì ciò che fu già oggetto di studio di Pitagora e Platone, la geometria dei solidi detti appunto platonici. Nella stesura del testo viene seguito un ordine logico tipico di Euclide per indicare ai lettori, geometri ed architetti, l’esatta applicazione dei teoremi necessari per la risoluzione di problemi tecnici quando si è in presenza di solidi. Oltre allo studio dei poliedri regolari, Piero della Francesca fu il primo che li disegnò nel suo testo, spiegando anche le diverse relazioni matematiche che intercorrono tra essi. A questo punto, gli artisti ebbero quindi a disposizione tutti gli strumenti necessari per la traduzione del reale tridimensionale su un piano, attraverso opportune “degradazioni e deformazioni” degli oggetti, come ebbe a dire Piero della Francesca, che aiutano l’occhio a vivere pienamente l’illusione prospettica. La prospettiva ebbe il suo trattato, i pittori non 37
potevano più sbagliare ed il Rinascimento esplose magnificamente in un’Arte che si avvalse di numeri, di calcoli, di figure geometriche che sottendono la realtà.
Fig. 10 Piero della Francesca, Resurrezione di Cristo, tra 1450/1463, Museo Civico, Sansepolcro
Una produzione pittorica come non se ne era vista in precedenza, di opere sostenute da uno studio accurato della prospettiva matematica ed anche dalla consapevolezza, derivata dagli antichi greci, che la Matematica è l’essenza del mondo fisico. Tra i più significativi esempi di dipinti realizzati con l’ausilio di calcoli in base alle indicazioni di Piero della Francesca mi piace ricordare: “Consegna degli schiavi a San Pietro” del 1481 di Perugino, “La città ideale” di artista ignoto, dipinto modernissimo del 1470 circa, “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio del 1509/11, “La Nascita di Venere” di Sandro Botticelli del 1482/1485 ed il più originale in assoluto, “Lamento sul Cristo morto” di Andrea Mantegna del 1475/8, che sconvolge ancora oggi per la visione inaspettata che il pittore ha voluto imprimere alla figura di Gesù. Inoltre, a dimostrazione che la matematica circolava nelle vene di tutti gli artisti rinascimentali, porto a testimonianza un mosaico marmoreo che rappresenta un dodecaedro che tutt’ora si può ammirare nella Basilica di San Marco a Venezia, realizzato nel 1420 da Paolo Uccello, un altro grande pittore che della matematica ha fatto il suo mantra.
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Fig.11 Andrea Mantegna, Lamento sul Cristo morto, 1475-1478, tempera su tela 68×81 cm, Pinacoteca di Brera, Milano
Possiamo affermare che tutti i pittori e gli architetti hanno fatto grande utilizzo durante il Rinascimento non solo della prospettiva, che era studiata, ricercata ed applicata nella realizzazione di ogni opera, ma anche del numero aureo, in tutte le sue manifestazioni (rapporto, sezione, spirali,…. ). Al pari dei Greci gli artisti rinascimentali ricercarono l’aurea perfezione nelle loro opere lasciandoci capolavori che sono belli, oltre che nei colori, nei soggetti, nella fattura, anche nella ricerca spasmodica delle proporzioni belle che donano alle opere stesse una estetica ideale e armoniosa: la Matematica, ormai, è riconosciuta come la essenziale componente di ogni opera d’Arte.
2.7 LEONARDO L’idea di questo testo è quella di contemplare in un prossimo capitolo i matematici artisti e gli artisti matematici, ma giunti ora al periodo più proficuo di questa relazione, non posso esonerarmi dal citare e conoscere colui che rappresentò il genio indiscusso dell’epoca rinascimentale e forse di ogni epoca: Leonardo da Vinci (1452/1519 ). Anche egli toscano, di Anchiano, sobborgo di Vinci vicino a Firenze, ebbe l’occasione di conoscere un altro conterraneo matematico a Milano, Luca Pacioli (1445/1517). La sorte volle che questi nacque a Sansepolcro, la cittadina che diede i natali circa trent’anni prima 39
anche a Piero della Francesca. Non si sa bene se i due si conoscessero, forse Pacioli frequentò la bottega del più anziano Maestro, ma avvenne che il giovane matematico rampante scrisse dopo la morte di Piero della Francesca un testo il “De Divina Proportione” che lo stesso Giorgio Vasari (1511/574)) nel sue “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori” dichiarò essere un plagio del “De prospectiva pingendi” del matematico-pittore ormai defunto. … L’argomento dell’opera fu soprattutto la proporzione divina e le sue applicazioni che il matematico e frate Pacioli riteneva necessarie per tutti gli uomini di ingegno, sia che fossero interessati alla filosofia o alle arti, all’architettura o alla matematica; l’altro argomento dominante del testo è la prospettiva, con tutte le considerazioni che Piero della Francesca già espresse nel suo trattato. E’ importante anche rilevare che per illustrare la sua opera Luca Pacioli si avvalse dell’ingegno di Leonardo da Vinci che disegnò 60 tavole riproducenti i poliedri regolari vuoti e pieni, costruiti a partire dalla sezione aurea: grazie al gioco della prospettiva e dei colori, il risultato fu un’affascinante serie di figure geometriche tutte accomunate dall’idea della perfezione.
Fig. 12 Illustrazioni di Leonardo da Vinci per il “De Divina Proportione” di Luca Pacioli, 1509
Certamente, comunque, Pacioli era un matematico e lo testimoniano altre sue opere, come l’importante “Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità” dove anche qua scopiazza ciò che era nativo di Vitruvio e di G.B.Alberti. Comunque, con questa opera porterà a termine un immane lavoro di organizzazione e divulgazione dei saperi matematici allora dispersi in mille rivoli, creando una vera enciclopedia utilissima per i matematici e gli artisti nel prossimo futuro e dove esporrà sue idee originali circa la gestione della contabilità (partita doppia) e la invenzione di alcuni giochi topologici. Ha il merito di aver dato visibilità e circolazione alle idee e soluzioni matematiche di Piero della Francesca e di Leonardo Fibonacci e sicuramente per essere stato l’insegnante di matematica di Leonardo. Il genio Leonardo curioso insaziabile amava la matematica quanto la pittura, tanto da affermare che un pittore necessita della matematica che appartiene alla pittura; ma i suoi studi abbracciarono anche la filosofia, l’architettura, la scultura, l’anatomia, la botanica, l’idraulica, l’ingegneria, la musica, l'astronomia, la geologia, che ancora non esisteva, l’invenzione di ciò che non c’era, ... incarnando lo spirito più alto del pensiero rinascimentale che vuole 40
realizzare l’universalità ed unità dei saperi. Da umile incredibile autodidatta spinto da una forte volontà di conoscere e sapere, seppe sperimentarsi in una moltitudine di discipline per divenire l’artista-scienziato che tutto il mondo continua ad ammirare ed a invidiarci. Qualsiasi fosse l’oggetto dei suoi studi applicò sempre un suo metodo basato sulla osservazione dei fatti naturali, sulla sperimentazione che si fa esperienza e sulla ragione. La Matematica fu alla base di ogni suo progetto, qualsiasi fosse l’oggetto dello studio. Riteneva che un pittore al pari di uno scienziato ha l’esigenza di osservare, indagare, riflettere e nello specifico studiare le proporzioni dell’oggetto nel suo insieme per riprodurlo, cogliendo la sua struttura più profonda da ricondurre alla Matematica, intesa non solo come tecnica di calcolo ma come garanzia di certezza, di principio di ordine della realtà. La sua vita fu complicata ed errabonda, con poche risorse finanziare e tanti ostacoli dovuti a coincidenze storiche conflittuali che lo portarono a lavorare in molte corti italiane: a Firenze, a Milano, a Mantova e Venezia, di nuovo a Firenze e poi ad Urbino, ancora a Milano, poi a Roma e poi in Francia per essere accolto, già anziano e malato, nella corte di Luigi XII fino alla sua morte. Inoltre, oltre alla sfortuna, Leonardo lasciò molti lavori incompiuti ed altri non realizzati perfettamente a causa di scelte che si rivelarono errate durante la realizzazione delle commissioni. (Sperimentando si fanno tentativi, si può anche sbagliare, con l’intento superiore di conoscere). Basti pensare a quella del Cenacolo (1494-1498), dove Leonardo sperimentò un intonaco che gli permettesse una asciugatura, secondo le sue previsioni, più lenta per poter esprimersi pittoricamente alla sua maniera e che invece, anche a causa dell’umidità eccessiva del refettorio affrescato, si rivelò non idonea, tanto che ben presto l’opera iniziò a perdere il colore e le sue caratteristiche sfumature. Ma rimanendo a questo capolavoro, si rileva che Leonardo per realizzare l’intera opera abbia fatto ampio uso sia delle divine proporzioni che della più accurata prospettiva nonché di una originalissima disposizione dei dodici commensali. La sua presenza in ogni corte per cui lavorò era auspicata sia per le sue capacità artistiche di pittore e di scultore che per le sue abilità di progettista, di ingegnere idraulico, di architetto, di inventore, di disegnatore di mappe,…., sempre dimostrando un’ acutezza intellettuale fuori dell’ordinario, nonostante gli errori in cui cadeva per troppa esuberanza sperimentale. Leonardo deve essere ricordato anche per i suoi infiniti disegni e studi sui fenomeni naturali: guardava, pensava, ed alla fine disegnava tutto ciò che suscitava la sua curiosità analitica-scientifica-artistica: vortici d’acqua, piante e fiori, animali, soprattutto gli uccelli ed il loro volo. Era un suo sogno di bambino quello di volare e, appena gli fu possibile, progettò e realizzò una macchina che potesse permettere all’uomo di librarsi nell’aria, chiamata“Il Grande Nibbio”. In fase di collaudo, però, il suo amico che sperimentò per primo il volo meccanico, dopo pochi metri di volo planato, picchiò a terra rompendosi una gamba. La passione per Leonardo per il volo degli uccelli lo indusse a scriverne anche un trattato, ”Il Codice sul volo degli uccelli”, dove ne approfondì il concetto e la meccanica, attraverso l’osservazione del volo naturale dei pennuti unita alle sue capacità ingegneristiche. Il testo oltre alla spiegazione del progetto, è riccamente illustrato con disegni del “Grande Nibbio”, il suo grande sogno di bambino che portò a termine vedendolo alzarsi da terra. Un’altra grande ossessione di Leonardo fu lo studio dei corpi e dei volti degli umani, da quelli dei ricchi e potenti a quelli dei più umili e fisiognomicamente particolari. Leonardo voleva andare a fondo di ogni cosa, e le fattezze umane non furono escluse: voleva 41
comprendere il perché ed il percome di ogni singola fibra del corpo umano, studiandolo anche dal vivo attraverso la sezione di cadaveri. Voleva carpire i segreti delle forme e della meccanica dei muscoli, delle ossa, del cervello, delle vene, delle arterie e dei capillari, intuendo anche le possibili variazioni di questi determinate dall’invecchiamento, di tutti gli organi e soprattutto del cuore che per primo comprese essere un muscolo, degli occhi, scoprendo l’esistenza della retina e del nervo ottico. Tutti i suoi studi furono corredati da disegni in cui illustrò ciò che vedeva e ne spiegò il funzionamento. Una delle sue tavole più sconvolgenti tra quelle dei suoi studi anatomici riguardano i disegni di un feto prima della nascita e per l’epoca indubbiamente furono immagini scioccanti. Oltre all’aspetto scientifico, l’osservazione e l’indagine del corpo umano per Leonardo fu anche oggetto di studio per la riproduzione del corpo umano ideale, basato non sulla copia del reale, ma sull’applicazione rigorosa di regole matematiche. Il Rinascimento recuperò tutti gli insegnamenti dei Greci rispetto al concetto del bello ideale, proporzionato ed armonico, secondo i canoni adottati da Policleto e Fidia, e soprattutto in base alle proporzioni scaturite dal numero aureo. Leonardo, per le sue opere, oltre che dai testi greci attinse anche dal trattato di Vitruvio “De Architectura”, e ne è testimonianza insuperabile la realizzazione dell’opera più emblematica nella storia dell’Arte in cui viene rappresentato un corpo umano, qua inserito in un quadrato ed in un cerchio.
Fig. 13 Studi anatomici e Uomo Vitruviano di Leonardo
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E’ il famoso disegno l’ ” Uomo Vitruviano” del 1490 in cui anche, con la sua caratteristica calligrafia speculare, Leonardo spiega passo per passo le misure e le proporzioni adottate per ogni singola parte del corpo. Sono importanti anche gli studi e soprattutto i disegni che Leonardo produsse durante tutto l’arco della vita relativi alla figura umana non ideale, ma oggettiva. Questi comprendono sia l’analisi dell’anatomia umana che della fisiognomica, intendendo questa come lo studio della parte esterna del corpo dell’uomo atta ad indicarne le caratteristiche psicologiche, il tutto attraverso una ricerca che è sia scientifica che artistica. “Farai le figure in tale atto il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile” - “Siano le attitudini degli uomini con le loro membra in tal modo disposte che con quello si dimostri l’intenzione del loro animo”.(10) E certamente Leonardo per la realizzazione di tutti i suoi ritratti si basò sui suoi studi diventati certezze scientifiche riuscendo ad imprimere nelle sue tele, oltre ai volti, la presenza che sembra reale della persona ritratta, con l’intenzione di riportare nel dipinto un mondo in cui tutte le cose si sentissero vivere, non solo come superficie, ma come oggetti essi stessi facenti parte di un mondo governato da Leggi naturali e quindi matematiche. In tutti i suoi ritratti, che fossero di nobili o di persone umili, Leonardo riuscì a restituire all’osservatore volti che affascinano per il loro sguardo, realizzando quell’Arte sua suprema di trasformare gli occhi del soggetto in finestre che si aprono sul suo animo. Ponendoci davanti alle sue opere ci si sente interrogati dall’immagine rappresentata, come se questa vibrasse di vita propria, come se potessimo interagire con essa. Cito alcuni dei suoi ritratti più significativi, constatando che anche solo attraverso una fotografia o uno schermo, questi producono una attrazione magnetica che lascia pervasi da emozioni inquiete in divenire: la “Dama con l’ermellino” del 1488/90, la “Belle Ferronnière” del 1490/95, la “Gioconda” 1503/13 e la “Scapigliata” del 1508 circa. E, necessario è aggiungere che l’ingegno di Leonardo si espresse in tutte le sue opere anche nella meticolosa perfezione della applicazione della sezione aurea e delle regole matematiche per attuare la più realistica impressione di profondità. Inoltre Leonardo abbina alla matematica l’utilizzo di tecniche pittoriche sperimentali, grazie alle quali compie sapienti sfumature e chiaroscuri che restituiscono un dipinto dalla vibrante atmosfera dove il soggetto si fonde col paesaggio e noi con esso in un profondo richiamo ad una ricerca interiore, come una trasposizione della prospettiva nell’animo umano. Per Leonardo la pittura è la più universale delle Arti e, come per le altre discipline, convogliò i suoi pensieri in tanti appunti che lasciò ad un suo giovane allievo, che anni dopo, intorno al 1540, li unificò in un Codice, “Il Libro della Pittura”. Leonardo pensò e nei suoi scritti intese dimostrare come la pittura sia l’Arte superiore, come una scienza, superiore alla scultura ed alla poesia perchè non rifiuta nessuna delle cose che si vedono nell’Universo in quanto si nutre della stessa sua sostanza, la Natura e la Matematica. La pittura di Leonardo assomiglia al mondo poliedrico della Natura e lui riuscì a raffigurarlo grazie al suo genio ed alla contemporanea comprensione delle Leggi superiori, per cui il risultato desiderato ed ottenuto sarà la riproduzione dell’Universo. Leonardo, cosa che auspicò nei suoi appunti per tutti gli artisti, riuscì a far si che la sua pittura fosse lo strumento per ritrarre il miracolo della Natura, sintetizzandolo in una proporzionata armonia in divenire. Leonardo, fa miracoli 43
anche lui e lascia sempre dietro di sé un mistero che ci rimanda a molteplici considerazioni sull’ Universo e sull’Umano stesso. Leonardo non finisce mai di stupire e di lasciare a chiunque si avvicini alle sue opere un senso di immanenza, di partecipazione, di unione nella frammentazione della vita, come la percezione di una realtà che si manifesta con le stesse regole sia nei fenomeni particolari che universali, sia dentro che fuori di noi.
Fig. 14
Leonardo da Vinci, Studio di una testa d’uomo o autoritratto, 1515/1517 circa
2.8 SCOPERTE per RIVOLUZIONI La pittura del Rinascimento italiano e quella che ne seguì, insieme anche a quella di altri artisti di altre nazionalità e formazione, di alcuni dei quali parlerò in seguito, renderanno l’Arte sempre più ricca, più misteriosa e legata a ciò che dominerà il pensiero che sta ribollendo: la rivoluzione scientifica indissolubilmente legata al nome di Galileo Galilei. L’ossessione per il bello e per la conoscenza dei segreti della Natura portarono già durante il Rinascimento alla realizzazione di capolavori straordinari ed anche a scoperte sensazionali, amplificando i rapporti tra matematica teorica e matematica applicata. La necessità dell’ uomo di conoscere e di migliorare le condizioni della propria vita portarono Galileo Galilei, che evidentemente ne sentiva più di altri l’urgenza, ad introdurre un nuovo modo di operare, senza dimenticare coloro che prima di lui, a causa delle loro idee lontane dal pensiero
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corrente, furono emarginati e/o condannati a morte, a memoria, per tutti, Giordano Bruno (1548/1600). Le ipotesi, teorie, prove, esperimenti ed invenzioni di Galileo sono collegati tutti all’uso sistematico della Matematica e della Logica, riuscendo egli ad unire le correnti del sapere del pensiero greco basate una sullo studio delle quantità e l’altra delle qualità. Si inaugura con Galileo la sperimentazione scientifica attraverso le “sensate esperienze” unite alle “dimostrazioni necessarie” a prova che entrambi i metodi siano validi e necessari per la ricerca: c’è bisogno sia delle intuizione che delle idee, sia delle prove empiriche che della dimostrabilità, il tutto sotto le regole della matematica, quale unica conoscenza umana efficace nella descrizione del mondo fisico. La matematica si rivela quindi la madre delle scienze e queste nascite hanno permesso un suo grande sviluppo grazie a nuovi stimoli e motivazioni e soprattutto al riconoscimento del suo quasi magico valore di “irragionevole efficacia”(11) ed indispensabilità. La spinta è vicendevole tanto che nascono nuove discipline ognuna delle quali ha per oggetto un campo specifico di studio dei fenomeni della realtà fisica e per ognuno dei quali la matematica è sempre lì a sostenerne gli sforzi nella ricerca: fisica, ingegneria, economia, biologia, ...informatica, giungendo al giudizio inequivocabile per cui ciò che la scienza sostiene è determinato da indagini scientifiche che si affidano alla matematica, senza la quale non si potrebbe formulare nessuna legge o teoria scientifica.
Fig. 15 Galileo Galilei, disegni preparatori per Sidereus Nuncius pubblicato nel 1610. Le osservazioni delle fasi lunari furono effettuate nel novembre-dicembre 1609 (manoscritto cartaceo autografo, disegni in acquerello su carta, 33 x 23 x 1,7 cm; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
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Per quanto riguarda la relazione oggetto di questo capitolo e tesi, è da considerare l’importanza fondamentale che ricopre l’ottica nell’Arte, anche se, come già detto, sia gli artisti greci che quelli rinascimentali avevano già potuto avvalersi degli studi matematici dei loro avi e dei contemporanei in merito. Sarà il matematico, fisico Isaac Newton (1642/1726), colui che scoprì la Legge di gravitazione universale e che, insieme a Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646/1716), si contese il primato dell'innovazione matematica del calcolo infinitesimale, ad apportare nuova linfa a questo campo di studio approfondendo la ricerca sul fenomeno della luce e sui colori nelle pagine del suo “Principia Mathematica”. Intuì per primo che la luce è costituita da raggi colorati dotati di angoli di rifrazione differenti e dimostrò, servendosi di un prisma triangolare, come la luce bianca possa venire scomposta nei colori dello spettro. Dimostrò anche che i colori non sono una modificazione della luce bianca ma, al contrario, la compongono e che questi hanno una proprietà reversibile (tutti insieme danno il colore bianco). A questa sua scoperta relativa all’ottica, si deve aggiungere quella di un chimico francese Michel Eugène Chevreul (1786/1889) che espose il principio del contrasto simultaneo dei colori, secondo il quale ogni colore su un campo bianco appare circondato da una tenue aureola del suo colore complementare e che tutti i colori risultano più brillanti se accostati al proprio complementare. La scoperta di Newton unita allo studio di Chevreul fu fondamentale per l’avvento della pittura moderna, come anche l’invenzione dei colori ad olio in tubetti di stagno, senza i quali la pittura en plain air, tipica dell'Impressionismo, non sarebbe potuta esistere. Quindi, i pittori impressionisti si avvalsero delle nuove conoscenze sulla luce insieme a quella sui colori per cogliere l’attimo fuggente creato dalla luce stessa, mentre l’originale Seurat (1859/1891), pittore della stessa epoca impressionista, anche egli così definito per via dei soggetti ritratti, adottò una sua tecnica particolare derivata dallo studio specifico di Chevreul. Le opere di Seurat rappresentarono la sperimentazione di queste teorie che coniugavano la complementarietà cromatica alla mescolanza retinica, ed i cui risultati, che non furono apprezzati all’epoca perchè troppo innovativi, possedevano una luminosità ed intensità decisamente superiore rispetto a quelli ottenuti con le altre tecniche. A questa sua nuova tecnica e corrente artistica verrà dato il nome di “Divisionismo” o “Puntinismo”, mentre Seurat aveva assegnato quello di “Cromo-luminarismo” e sarà considerata la versione scientifica dell’Impressionismo, in quanto, come per la fotografia, nata qualche decennio prima, esisteva una tecnica che dava precisione di rappresentazione della realtà, ora anche la pittura si dotava di una tecnica altrettanto puntuale sulla base di postulati scientifici. Il Divisionismo rappresentò una vera e propria svolta rivoluzionaria nell'Arte col riconoscimento di come lo spazio geometrico sia costituito da punti così come lo spazio pittorico sia composto di punti colorati coi quali è possibile ridurre ogni forma. Mentre in contemporanea i matematici ei fisici decostruivano le curve geometriche in funzioni sinusoidali e gli atomi in particelle elementari, anche l’Arte metteva in atto una medesima riduzione della realtà a fenomeni ondulatori (ottici, trigonometrici in seguito anche quantistici) rimasti fino ad allora nascosti, ma promettenti una quasi ormai svelata dinamica essenza del divenire dietro la statica apparenza dell'essere. Questa invenzione pittorica unita alle scoperte scientifiche successive, possiamo dire ora essere la versione analogica nei nostri odierni pixel.
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Fig. 16 Georges Seurat, La Parade, 1888, cm. 150 * 99,7, olio su tela, Metropolitan Museum of Art a NYC
Dopo Galilei, oltre a Newton e Chevreul, furono molti i matematici che con i loro studi, forse in modo inconsapevole, produssero molte scoperte che si rivelarono utilissime per l’espressione dell’Arte futura, intendo quella dei nostri giorni. Si deve a Keplero (1571/1630), ben poco interessato all’Arte, la definitiva scoperta della risultante aurea scaturita dal rapporto fra due numeri consecutivi della successione di Fibonacci, ma definitivamente formulata da Jacques Binet (1786/1856) un bel po' di anni dopo. A René Descartes, per noi Cartesio, (1596/1650), si deve l’idea di stabilire la posizione di un punto su una superficie usando due rette ortogonali che intersecandosi ne danno l’esatta posizione su un piano e da cui è possibile trarre la corretta distanza dagli assi, dando origine così ad un nuovo strumento di misura che chiameremo coordinate geometriche (assi cartesiani: ascissa e ordinata ). Descartes darà il via così alla geometria analitica e ne spiegherà i concetti in un suo saggio ”Geometria”, inserito nel suo testo più illuminante “Discorso sul metodo”, ed anche quelli per riunire l’algebra e la geometria, trasformando i problemi di geometria in equazioni algebriche. L’Arte che seguirà farà gran uso di queste nuove conoscenze, come anche quella del matematico svizzero Leonhard Euler, (Eulero) (1707/1783), che introdusse tantissimi concetti matematici innovativi, tra cui quello di funzione, postulando quelle trigonometriche del seno e coseno, e, importante per la futura rete che quotidianamente percorriamo e navighiamo, risolse un problema matematico e pratico legato ai passaggi possibili da effettuarsi per l'attraversamento dei sette ponti della città di Königsberg. Risolvendo il quesito in termini logici diede origine alla Teoria dei Grafi, grazie alla quale si potè constatare che molte tra le diverse “strutture reali” possono essere schematizzate utilizzando i grafi: una rete stradale, un programma di calcolo o ad una struttura dati. Per quella che sarà l’informatica, questa scoperta è di fondamentale 47
importanza, in quanto si renderà indispensabile per la progettazione e la rappresentazione efficiente di reti di computer, per realizzare una mappa concettuale o per un dotarsi di uno schema per rappresentare il flusso di informazioni. Sempre a favore di questa nuova branca della geometria, la topologia, il grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss (1777/1855) fu il primo ad imbattersi in una strana figura geometrica e ne suggerì ai suoi allievi l’approfondimento. Toccò quindi a Ferdinand Möbius (1790/1868) lo studio di questa forma assai insolita, chiamata poi il Nastro di Möbius, che gli artisti nel prossimo futuro adotteranno per le loro opere. Per esempio, interessante notare, come l’artista svizzero Max Bill (1908/1994) per proprio conto, circa 70 anni dopo, scoprì la stessa forma senza mai averla incontrata nelle sue ricerche e senza quindi conoscere il nome del suo scopritore. Max Bill, scultore, utilizzò questa forma così singolare e magica nella sua semplicità, in moltissime sue opere già dal 1935, per farlo diventare il suo, si potrebbe dire, marchio di fabbrica.
Fig. 17 Max Bill, Unidade Tripartita, 1948/49
Nella prima metà dell’Ottocento la geometria venne travolta da profonde rivoluzioni che sconvolsero il millenario equilibrio instaurato da Euclide. Il suo famoso 5° postulato inserito negli Elementi era da oltre duemila anni oggetto di studio e critiche da parte di matematici che invano cercarono di dimostrarne la validità. Dopo tentativi durati 2000 anni pare che Gauss fosse giunto alla sua comprensione, ma non divulgasse la scoperta per questioni di opportunità o opportunismo, ma altri due matematici János Bolyai, ungherese, (1802/1860) e Nikolaj Lobačevskij, russo, (1792/1856) giunsero quasi in contemporanea allo stesso risultato adottando come modello di dimostrazione quello definito “per assurdo” e inaugurando la geometria iperbolica. Ancora meglio fece, con una più strutturata ricerca, il matematico tedesco Georg Riemann (1826/1866) che col suo trattato "Sulle ipotesi su cui si fonda la geometria" getterà le basi per un approccio ad altre geometrie, geometria ellittica, adottando le curve al posto delle rette e relegando così la geometria euclidea alle sole superfici piane. A Riemann si deve
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inoltre la scoperta della possibilità di aggiungere nuove dimensioni alle tre note. Grazie alla sua intuizione la matematica liberò l’uomo dagli opprimenti limiti delle tre dimensioni, permettendogli di spostare il pensiero verso mondi dalle infinite misure, mentre gli artisti del XIX secolo faranno loro questo ardito pensiero promuovendo Arte che nulla avrà più a che fare col reale conosciuto. Basti pensare solo a Duchamp (1887/1968), ai suoi studi appassionati della 4° dimensione e a tutto ciò che dopo di lui l’Arte ha generato come creazioni, soprattutto idee. Nel campo della geometria non euclidea, un’importante scoperta fu il frattale, che è un oggetto geometrico dotato di una proprietà per la quale la sua forma si ripete allo stesso modo su scale diverse, ottenendo sempre una figura simile all'originale. I primi studi sono da collegarsi a differenti matematici di diversa nazionalità operanti a partire dal 1872, tra cui anche un italiano, Giuseppe Peano (1858/1932), che si occupò anche di calcolo vettoriale e fu ideatore di una curva che prende il suo nome. Ma bisognerà attendere un secolo quando nel 1975 il matematico polacco Benoît Mandelbrot (1924/2010), dopo osservazioni effettuate sull’ambiente circostante coniò il termine “frattale” (dal latino fractus: frantumato) ad indicare quelle forme presenti in Natura che si ripetono ogni volta che si aumenta la scala di ingrandimento. Tali forme dimostrarono l’aspetto irregolare della geometria, in antitesi con le teorie euclidee, da cui l’Arte trarrà infinite possibilità di espressione attraverso queste figure che si moltiplicano all’infinito rimanendo simili.
Fig. 18 Rappresentazione dell'insieme di Mandelbrot - Z(n+1) = Z(n)^2 + Z0
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Bene sapere che la prima realizzazione di una macchina automatica per il calcolo aritmetico viene attribuita a Blaise Pascal (1623/1662), filosofo, matematico francese, che nel 1643 realizzò la prima calcolatrice, detta Pascalina. Ma la scoperta che interessò maggiormente l’Arte di fine ‘900 e del nuovo millennio ha le sue origini nella mente e nella pratica del matematico filosofo tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz che prima, e per primo, rappresentò e descrisse esaurientemente il sistema binario usando esclusivamente solo i numeri “zero” e “uno”, stimolato dalla conoscenza dall’uso che i cinesi fecero in un loro testo fondamentale “I Ching” (libro dei Mutamenti), dove venivano usati solo due fattori, “-” e “ - -” (linea e linea spezzata). Poi inventò la prima calcolatrice meccanica che permetteva di fare calcoli con le 4 operazioni, adottando il detto sistema e chiamandola “Stepped Reckoner”(organo traspositore), primo esempio di calcolatrice meccanica, attraverso ingranaggi, in grado di eseguire tutte e quattro le operazioni aritmetiche in modo facile, veloce e affidabile. Fu un altro matematico, inglese, Charles Babbage (1791/1871), un secolo dopo Leibniz, ad avere l’idea di un calcolatore programmabile e realizzò una prima macchina, detta differenziale ed una seconda solo la progettò, la macchina analitica, che sarebbe dovuta funzionare grazie a leve ed ingranaggi mossi da un motore a vapore . Con quest’ultima non intendeva limitarsi al solo sviluppo di calcoli matematici, ma il progetto presupponeva che la macchina potesse elaborare complessi "ragionamenti", prendendo ad esempio il telaio programmato di Joseph Marie Jacquard (1752/1834), inventore francese il cui telaio costituisce il primo esempio di applicazione pratica delle schede perforate. La sua macchina infatti permetteva la realizzazione di disegni su tessuti creati con l’utilizzo di dette schede che, in base alla disposizione dei fori ed il “programmato” passaggio attraverso questi dagli aghi, realizzava il disegno e le trame della tessitura desiderata. Con la macchina analitica di Babbage, presentata nel 1821 alla Royal Astronomical Society di Londra, si ebbe il primo progetto di macchina dotata di un'unità di memoria e di un'unità di calcolo. Dopo la presentazione del progetto, questo fu oggetto di spiegazioni per il suo funzionamento ed un ingegnere italiano produsse un articolo in merito che necessitava di una traduzione per poter essere diffuso in terra natia. Babbage affidò questo compito ad una sua allieva, la matematica inglese Ada Lovelace (1815/1852). Si erano conosciuti da poco, ma subito l’eminente matematico rimase folgorato dalla brillante mente della giovane donna, che stranamente si occupava di numeri e di ignote possibilità. La traduzione di Ada divenne molto più ampia dell’originale italiano, avendo lei inserito nel testo anche tante note di suo pugno che si rivelarono illuminanti. Tutto questo lavoro di traduzione ed ampliamento fecero sì che Babbage considerò la sua allieva ormai una sua indispensabile collaboratrice, che amava apostrofare “incantatrice di numeri”. Ada, nelle sue note aggiuntive, seppe prevedere molte delle future applicazioni dei computer moderni, calcolare ed elaborare anche informazioni non numeriche, aggiunse anche nozioni su ciò che sarà l’intelligenza artificiale ed ideò e descrisse anche un nuovo algoritmo per il calcolo dei numeri di Bernoulli (una serie di numeri dall’aspetto complicato) riuscendo a sviluppare il primo programma per un calcolatore. Riuscì cioè a realizzare il primo esempio di software della Storia gettando le basi della moderna informatica. Dagli studi di Ada Lovelace tutti i matematici del XX secolo, interessati a questa nuova branca della
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matematica, compreso Alan Turing (1912/1954), prenderanno l'ispirazione necessaria per costruire i primi computer. In suo onore e memoria, nel 1979 il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, finanziò un progetto per la realizzazione di un nuovo linguaggio di programmazione che unificasse quelli esistenti a cui verrà dato il nome Ada. “L’immaginazione è principalmente la facoltà della scoperta, la scienza matematica mostra ciò che è. Anche l’immaginazione mostra ciò che esiste, ma oltre i nostri sensi. Per questo è la facoltà che deve maggiormente coltivare chi si vuole dedicare alla scienza.” (12)
Fig. 19 Alfred Edward Chalon, Ritratto di Ada Lovelace (dettaglio), 1840, Science Museum di Londra
Dai primi anni ‘50 del secolo scorso gli artisti visuali iniziarono a sperimentare l’uso di ogni nuovo strumento messo a loro disposizione dalle crescenti scoperte matematiche-scientifiche oltre che dalla vita quotidiana. Il computer coi suoi annessi fisici e virtuali fu (e sarà) il medium creativo per eccellenza utilizzato dagli artisti determinando tante nuove pratiche che hanno almeno quattro caratteristiche: la multimedialità, l’interattività, la variabilità e 51
l’universalità, essendo lo strumento computer adattabile e le sue possibilità in continuo divenire e accessibile a tutti, come nei sogni di chi lo progettò.deeeeeeeeeeeeeeeeeee Nel pieno della rivoluzione digitale la liaison tra Arte e Matematica non si ferma e non smette di stupirci. Le Leggi del mondo sono sempre più svelate e noi umani possiamo ampliare la nostra conoscenza scoprendone di nuove e dalle quali gli artisti fanno emergere aspetti che, al pari delle scoperte stesse da cui nascono, daranno scrolloni al mondo affinché si sposti, un po' più avanti, sempre alla ricerca della verità. L’Arte con la Matematica ha in comune la necessità di conoscere ed allargare la visione che l’uomo ha del mondo. Di proporsi, di esporsi, di svelare ciò che ancora non si sa o non è ancora stato detto o… fatto. Partono entrambe da una esigenza, da un bisogno di rendere la vita migliore e più bella, degna di essere vissuta nella ricerca perpetua di ciò che possa appagare la nostra sete e fame di conoscenza e di felicità. Partendo da pure astrazioni ed idee a volte anche astruse, utilizzando gli stessi strumenti intellettuali, sempre la fantasia, atti coerenti ed un rigore ineccepibile, gli artisti ed i matematici realizzano nelle loro menti pioniere ciò che prima o poi si vedrà materializzato; sono come scopritori di formule magiche e creatori di mondi possibili, indagando o copiando quel che c’è o quel che potrebbe essere. Hanno viaggiato insieme per millenni per condurci sempre più vicino ai misteri che albergano intorno e dentro di noi con magie di numeri e forme, e opere che parlano di noi e del nostro passaggio sulla Terra.
Fig. 20 Olia Lialina, Summer, 2013 - Screenshot di un frame dell'animazione GIF visualizzata in più siti Web.
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NOTE del CAPITOLO 2 (1) Albert Einstein, Il lato umano, ed. Einaudi 2005 - pp. 35-36 ; Pensiero di Einstein scritto la prima volta nel gennaio 1921, pubblicato su una rivista tedesca di arte moderna. (2) Maurits Cornelis Escher, Grafica e disegni, Taschen, Köln, ed. Benedikt Taschen, Berlino, 1990/1992, p. 6. (3) https://it.wikipedia.org/wiki/ (4) https://www.ormesulmondo.com/il-louvre-del-deserto-alle-tsodilo-hills/ (5) https://www.treccani.it/enciclopedia/maat/ (6) Bruno D’Amore, Arte e Matematica, ed. Dedalo, Bari, 2018, pag. 140. (7) Cicerone, Tusculanae disputationes, Libro I, Roma, -45, pag.63 (8) Marco Vitruvio, De Architectura, libro III, Roma, -15. (9) https://mathbox.latteseditori.it/divulgazione-scientifica/l-enigma-dei-conigli-del-fibonacci. Episodio per cui Fibonacci “utilizzò” i coniglietti per dimostrare la sequenza che prende il suo nome. (10) Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, condotto sul Cod. Vaticano Urbinate 1270, Volume I, Parte III, cap. 290 e 233, Unione Cooperativa Editrice, Roma 1890. (11) Titolo parziale del testo di Eugene Paul Wigner, “L'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”, ed. Adelphi eBook, Milano, 2017. (12) Betty Alexandra Toole, Ada, the Enchantress of Numbers: Poetical Science , 2010.
TESTI Bruno D’Amore, Arte e Matematica, ed. Dedalo, Bari, 2018 (prima. ed. 2015). Chiara Valerio, La matematica è politica, ed. Giulio Einaudi, Torino, 2020.
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CAPITOLO 3
LA BELLEZZA Vincolo tra Matematica e Arte
La bellezza salverà il mondo. (1) Fëdor Dostoevskij
Le scienze matematiche esibiscono in particolare ordine, simmetria e limitazioni e queste sono le forme massime della bellezza. (2) Aristotele
Non sembra vero poter accostare ciò che si riconosce attraverso i sensi a ciò che è pura razionalità, eppure l’Arte e la Matematica hanno in comune un aspetto, una tensione che li lega e li condiziona nel loro essere: la bellezza. Dal punto di vista biologico è attraverso i sensi, soprattutto la vista, che si stabilisce ciò che è bello, ma ciò che lo è per me può non esserlo per te, poiché non lo riconosci o perché lo conosci troppo. E, mentre si elucubra, l’occhio ha già passato l’informazione ricevuta al nostro cervello dove si trovano altre informazioni radicate nel tempo e nelle esperienze. L’incontro e la elaborazione, al di là della nostra volontà, portano alla nascita di una emozione, che non sarà mai uguale per l’uno e per l’altro. La Storia personale di ognuno di noi come la Storia che ci accomuna hanno lasciato segni, seppur inspiegabili, mappe, modelli, schemi, esperienze che dettano le condizioni per valutare se l’oggetto in esame è bello o no, se piace o meno. La Cultura, possiamo dire ed il vissuto personale stabiliscono ciò che ci fa emozionare o no e modificano nel tempo ciò che era dato per assoluto. Ma ci sono oggetti che non fanno cambiare la nostra emozione, in quanto posseggono qualità grazie alle quali viene evocato dentro di noi vivo il senso di assoluto, di armonia, di completezza, di bello come un anelito alla perfezione che ci porta a vibrare in risonanza emotiva come una eco di esperienze lontanissime. Sono oggetti belli che permettono di farci entrare in vibrazione con essi risvegliandoci all’aspirazione della bellezza da cui la vita quotidiana ci ha allontanati facendoci percorrere la strada piatta del comune vedere, assorbire, giudicare. Sono le forme, i paesaggi e gli oggetti intrinsecamente portatori di bellezza ideale.
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Dai Greci per giungere al Rinascimento l’Arte si è nutrita del bello ideale, quello che sempre sarà un anelito alla perfezione possibile anche sulla Terra. Alla bellezza delle forme simmetriche e proporzionate si uniscono le qualità che possiedono intrinsecamente: le virtù, le cose belle dell’anima rispecchiate poi nelle azioni. A questa definizione di bellezza i Greci e poi i rinascimentali giunsero attingendo dalla Matematica. Prima dei Greci, gli Egizi usavano creme, belletti e trucchi per rendere il loro corpo e volto più attraenti, e ciò è dimostrato dai reperti archeologici recuperati nelle loro tombe, ma per i Greci non erano sufficienti questi orpelli fittizi a testimonianza del bello. Il loro intento fu quello di scoprire le Leggi che lo determinano in termini assoluti ed ideali e le scoprirono nei numeri, nelle simmetrie, nei rapporti e nelle proporzioni delle parti e le applicarono stabilendo per sempre l'idea di bellezza. E l’idea si concretizzò nell’applicazione delle Leggi nella materia del marmo e del bronzo, nei palazzi e nelle pitture. Ricordiamo il modello geometrico ed il numero magico di Pitagora e le sue conseguenti divine proporzioni scoperte da Fibonacci applicate nelle opere di artisti che ci restituirono opere belle per sempre, come i capolavori di Fidia, Policleto, Mirone e nel Rinascimento delle opere di tutti gli artisti imbevuti della cultura classica. La figura umana rappresentata doveva riflettere sia le sue qualità fisiche ideali, una riproposizione degli dei sulla Terra, che quelle morali, le virtù, come il coraggio, l’impegno, la bontà, il rispetto e la volontà di partecipare al compimento della Storia giungendo al concetto di bello sinonimo di buono. Inoltre gli artisti dal Rinascimento cambieranno il loro status da bravi artigiani esecutori ad intellettuali. Le città rinascimentali ne avranno almeno uno a corte che, oltre ad avere capacità e genio nel creare coi colori, saranno dotati anche di talento nelle esplorazioni di nuove idee e tecniche, nelle invenzioni e nelle visioni da promuovere durante la partecipazione attiva alla vita culturale della città (i già citati Brunelleschi, G.M. Alberti, Piero della Francesca e Leonardo da Vinci e tanti altri), dove la bellezza sarà il dono al mondo in cambio della loro commissione. Ma il buono nel mondo sembra scarseggiare e la realtà, che tanto si amava rappresentare offre altri panorami non proprio ideali. E un po' per i cambi di paradigma succeduti nei secoli e soprattutto per la natura propria dell’ artista, il canone ideale sembra essere messo lì per essere violato. Gli artisti questo fanno, contravvengono alle regole per crearne altre aprendo nuove strade con nuovi modelli da loro anticipati o suggeriti dalla Storia. La bellezza nasce col mondo essendo da sempre la qualità principale della scenografia naturale degli uomini, coi suoi colori come nelle sue forme, manifestata senza sosta intorno a noi, senza dover soccombere al potere dell’uomo: una rosa alba non si può comprare, come nemmeno un rosso tramonto, una verde prateria, un azzurro cielo, un mare blu intenso, una gardenia profumata, un albero antico, un gatto che fa le fusa. Il bello è ovunque e come diceva qualcuno “la bellezza è negli occhi di chi guarda” (affermazione attribuita sia a Oscar Wilde, che a Wolfgang Goethe, che a André Gide) e per goderla è necessario avere gli occhi adatti, pronti, allenati per vedere oltre l’apparenza nella ricerca del bello. Il bello appagante non sarà solo retinico, ma andrà oltre un bel volto, oltre un bel corpo, oltre una bella storia ed anche oltre una bella equazione. In quell’oggetto, quel dipinto, quel paesaggio o algoritmo che sia, c’è la racchiusa la verità. Pertanto necessitiamo di occhi e cuori buoni, capaci di vedere attraverso ed oltre ciò che l’occhio osserva, o un oggetto presumibilmente bello
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rimarrà solo una decorazione, un abbellimento, una sequenza di numeri, segni e simboli senza senso. Inoltre la bellezza è una categoria estetica mutevole e in perenne cambiamento e, tornando al canone violato nell’Arte, si possono notare i cambiamenti dei rapporti delle forme apportati dagli artisti nei secoli, soprattutto nei soggetti femminili: i corpi delle donne verranno ritenuti belli se avranno rotondità evidenti, poi saranno delicati ed aggraziati e nei secoli successivi, dovranno avere caratteristiche ammalianti e seduttive. Il corpo degli uomini sarà rappresentato per quello che è: grasso o magro, prestante o annichilito, agghindato da velluti e oro se nobile, con stracci e difetti fisici se di umili origini. Nel ‘900 le Avanguardie rappresenteranno attraverso le loro opere il corpo come luogo del disagio umano e del male di vivere ed il bello si perde per riscoprirsi in forme anche antiestetiche, ma veicolanti quel bello interiore ricercato anche dagli antichi. Il canone estetico matematico non ha più senso, ma ne ha la ricerca matematica per un’Arte che non vuole più essere solo bella per soddisfare l’occhio, ma indagatrice, pulsante di nuovi stimoli e valori da ricercare nell’interiorità dei soggetti ritratti. Un’Arte comunque bella perché si apre al mondo, alle sue diversità, alle sue potenzialità, al suo inconscio, all’essere partecipata e vissuta come la vita stessa. Sono messaggi per esaltare la bellezza dell’essere in sé, della vita e del suo palcoscenico. Viene interpellata a far la sua parte anche la bruttezza, il sangue e le ferite sul corpo diventato tela, i dubbi, i tormenti e le idee per giungere a vette più alte. La Matematica è sempre lì, al fianco dell’Arte, quando i corpi delle donne saranno una massa di quadrati, di sfere o spigoli da decifrare, di linee asciutte, di simboli ed anche soprattutto di nuove aperture. Ora, il bello è lì, dove c’è la volontà ed il coraggio di cercare ancora senza dispersioni autoreferenziali, sempre con l’intento di indagare, scoprire, vivere e far vivere il desiderio più alto. L’arte e la Matematica hanno in comune il bisogno di andare oltre e di cercare ciò che ancora non si conosce nel possibile e non: nelle pieghe di un tessuto dipinto come nell’elaborazione di un teorema. Tanto è difficile definire cosa sia l’Arte, altrettanto e sempre più complesso è definire la bellezza, ma ognuno di noi saprà di averla vicino, nel momento in cui i nostri occhi la scorgeranno in una opera, in un fiore, in un tramonto mentre il cervello già starà elaborando quel fremito nel corpo e nel cuore suscitato dalla visione: sarà bella e sarà Arte perché ci entusiasma, ci commuove, ci induce a riflessione e dubbi o ci inorridisce. Forse i Greci sono ancora vicini a noi mentre risuona l’idea di Platone ed Aristotele, secondo la quale il bello equivaleva oltre che al buono anche al vero, al ciò che è, alla Natura, anche quella umana. Questa sempre più tesa nella complessità del mondo con le sue energie ancora da svelare ma onnipresenti e condizionanti il suo essere nel bene e nel male. In un anelito profondo vacillante tra la realtà quotidiana e quella sognata, intuita, ora possiamo dire anche virtuale, percepita nella sua totalità di bianchi e neri sempre ricercando quel che non si conosce, ma esiste: un arcobaleno di possibilità. Nel tempo che stiamo vivendo avremmo bisogno di tornare ad associare al concetto di bello quello di bontà e di vero, per veramente riappropriarci della nostra vita, del suo senso più profondo, che esiste nonostante noi, lasciando per sempre, a triste memoria, la ricerca spasmodica e folle di una bellezza superficiale solo fisica, una sovrastruttura finta, spesso di plastica, un innesto su un essere totale dimenticato a favore di uno tronfio nella sua banalità e volgarità.
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Fig. 1 La bellezza della Natura nelle ali di un pappagallo, foto di Tiziana Pavone
Fig. 2 La bellezza della Natura nelle ali di una farfalla Morpho Patroclo, foto di Tiziana Pavone
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E la bellezza nella Matematica, riconosciuta ed esaltata da tanti matematici, ha anch’essa bisogno di occhi speciali per esser goduta ed apprezzata, per far si che attivi emozioni davanti ad una formula matematica. Perché di emozioni ne provoca eccome: di avversità e di rifiuto ai più per via della non comprensione, o di gioia a chi ha scoperto o comprende, in tutta la sua peculiarità e potenza, una nuova “rivelazione”. E’ un avvicinamento alla verità che si manifesta in una breve sequenza di numeri e simboli che ci propone un’altra versione della bellezza, un’altra possibilità di sua percezione. In poche righe viene svelato un mistero del mondo e chi ha occhi buoni ne comprende anche il contributo alla bellezza. Ma è necessario possedere un grado alto di conoscenze matematiche e ben si sa che per acquiṡirle sono necessari anni ed anni di studi in un infinito mare di numeri, di geometrie e di particelle. Molti di coloro che hanno avuto questa esperienza, avendo dedicato l’intera vita al mondo dell’astrazione, reputano la bellezza necessaria per il risultato delle loro ricerche.
Fig. 3 Identità di Eulero: l’equazione più bella della matematica. L’identità di Eulero in matematica è un caso particolare della formula di Eulero in cui la variabile è uguale a π. Questa equazione è ritenuta da molti la più bella della matematica, perché mette in relazione i numeri fondamentali della disciplina, 0,1,i,e,π
Paul Dirac, fisico-matematico inglese (1902/1984), premio Nobel per le sue scoperte fondamentali sulla teoria atomica nel 1933 e per i suoi risultati riguardanti la relatività speciale e l'antimateria e sue proprietà, ed anche gran giocatore con le equazioni, nel suo saggio “La bellezza come metodo” spiega ampiamente come sia fondamentale la bellezza nella ricerca fisica-matematica, come se l’esistenza di un principio di bellezza facesse da guida durante tutti i passaggi del lavoro. Sostiene che un ricercatore che tenti di scoprire le Leggi fondamentali della Natura "deve mirare soprattutto alla bellezza matematica" (3) azzardando anche a dire che "è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti"(4), in quanto è la bellezza a determinare la direzione e le priorità della ricerca e sarà sempre lei a dare credibilità nella valutazione del risultato. A supporto della sua tesi circa il ruolo fondamentale che gioca il principio di bellezza matematica nella ricerca scientifica, Dirac porterà l’esempio della teoria della relatività (ristretta e generale) di Einstein (1879/1955): “Einstein era guidato solo dal requisito che la teoria avesse la bellezza e l'eleganza che ci si aspetta di trovare in una descrizione fondamentale della Natura. Il suo lavoro muoveva esclusivamente dall'idea di come la Natura dovrebbe essere e non dalla necessità di dar conto di certi risultati sperimentali. ... Il risultato di questo modo di procedere è una teoria di grande semplicità ed eleganza nelle sue idee di base. Ne deriva la netta convinzione che i suoi fondamenti devono essere corretti, del tutto indipendentemente dal suo accordo con le osservazioni.” (5) E sorge spontanea la domanda per sapere in cosa consista la bellezza in una teoria o legge matematica. Dirac non esita a rispondere che nella definizione di bellezza per una teoria si 59
incontrano le stesse difficoltà in cui ci si imbatte per definirla in un'opera d’arte. Ma a differenza della bellezza artistica, la bellezza matematica trascende i fattori personali ed è la stessa in ogni luogo ed in ogni tempo. Per Dirac, la bellezza di una teoria come quella di Einstein deve possedere alcune caratteristiche, oltre all'eleganza ed alla “semplicità”, che richiamino un ordine dato da rispettare, meglio dire da emulare: “...è bella (la teoria di Einstein) agli occhi del fisico e del matematico perché combina due proprietà: è dettata da un principio di ordine superiore (una simmetria, l'invarianza generale di coordinate) ed è la più semplice legge compatibile con tale principio. Essa possiede dunque un elevato grado di necessità, o inevitabilità (non potrebbe essere diversa da come è), e di semplicità (descrive con il minimo numero di concetti un'ampia varietà di fenomeni). Sono questi gli ingredienti della bellezza costitutivi delle teorie fisiche dotate di bellezza.” (6) Per Dirac il vero è bello, la Natura è bella e la Matematica anche, perché con le sue equazioni armoniose non potrà essere mai in contraddizione con il libro che vuole comprendere, la Natura. “Non solo la matematica è la chiave per descrivere e interpretare la Natura, ma il progresso della fisica richiede continuamente l'uso, o l'invenzione, di nuove matematiche, nuovi formalismi e sistemi assiomatici con cui rappresentare il reale”. (7) Anche un altro matematico, Godfrey Harold Hardy (1877/1947), seppur caratterialmente completamente diverso da Dirac, era anch’egli certo che la scienza dovesse obbedire a rigorosi canoni estetici e volle dichiarare il suo amore alla sua Arte, la Matematica, attraverso un testo che è una vera dichiarazione d’amore “Apologia di un matematico”. Qui sostiene con la forza di un innamorato che non c’è differenza tra i modelli di un matematico e quelli di un artista, perché entrambi devono essere belli. “Il matematico come il poeta è un creatore di forme. Se le forme che crea sono più durature delle loro è perché le sue sono fatte di idee. ... le idee, come i colori o le parole, devono legarsi in modo armonioso. La bellezza è il requisito fondamentale: nel mondo non c'è posto perenne per la matematica brutta.” (8) Nel suo inno alla bellezza della matematica pura Hardy inserisce due dimostrazioni di suoi studi (sull'infinità dei numeri primi e sull'irrazionalità della radice quadrata di 2), “solo” come esempi di bellezza matematica, e seppur con umiltà ammette di non saper definirla, accompagna la sua tesi con quelle che ritiene essere le caratteristiche che rendono un teorema bello: la serietà, l’inevitabilità e l’economia. “ La miglior matematica non solo è bella ma è anche seria, importante ...una idea matematica è significativa se la si può collegare in modo naturale e illuminante ad una vasta rete di altre idee matematiche”. (9) La sua serietà, quindi, porterà altri progressi in campi matematici e scientifici ed ancor di più si manifesterà quando l’idea sarà accompagnata dalla forma bella e semplice della sua 60
esposizione. Semplice perchè “economica”, cioè sviluppata col minimo di passaggi e collegata a concetti logici concepiti anche da altre menti superiori nei tempi; inevitabile, perché è già, e quindi capace di resistere nel tempo, con la sua qualità di eternità: “Archimede sarà ricordato quando Eschilo sarà dimenticato, perché le lingue muoiono ma le idee matematiche no”. (10) Consapevole e senza falsa modestia della posizione raggiunta nell’olimpo degli artisti e dei matematici che hanno contribuito più di altri alle conoscenze del mondo, con grande gioia determinata dalla appagante bellezza dei suoi risultati, rivolge a tutti un invito a partecipare al gioco dello svelare il mondo, sempre adottando la bellezza come maestra: “Ho aggiunto qualcosa al sapere e ho aiutato altri ad aumentarlo; il valore dei miei contributi si differenzia soltanto in grado, e non in natura, dalle creazioni dei grandi matematici, o di tutti gli altri artisti, grandi e piccoli, che hanno lasciato qualche traccia dietro di loro.” (11) Per lui fu fondamentale anche la collaborazione coi suoi colleghi, come se scoprire le Leggi insieme fosse ancora più bello perchè si da vita ad una bellezza condivisa che amplia le vedute per meglio assistere al miracolo della bellezza; Hardy collaborò soprattutto con il matematico indiano Ramanujan(1887/1920), ed insieme, anche perchè il matematico indiano proveniva da un’altra cultura dedita fortemente alla spiritualità, crearono un’armoniosa e proficua collaborazione dedita ai calcoli dall’approccio assai diverso, capace questo di generare bellezza e correttezza nei risultati e nella loro relazione. Tra i matematici che sapranno riconoscere il valore estetico della Matematica, c’è da ricordare Morris Kline, matematico statunitense, (1908/1992), che ebbe a dire : "la matematica essendo una realizzazione incomparabilmente raffinata, offre soddisfazioni e valori estetici almeno pari a quelli offerti da qualsiasi altro settore della nostra cultura" e “una dimostrazione matematica eseguita con eleganza è una poesia in tutto, tranne che nella forma in cui è scritta.”(12) Max Bill (1908/994), artista svizzero, sosteneva indispettito di fronte a chi riteneva che la Matematica niente avesse a che fare con l’Arte, che la Matematica non è una materia arida e puramente intellettuale e: “Come nelle arti, ogni particolare dell’opera finale non è scoperto ma composto. Il processo creativo deve ovviamente produrre un’opera che possegga disegno, armonia e bellezza. Queste qualità sono presenti anche nella creazione matematica”. “...se non è interessante, in questo ambito, discutere le idee sull’arte dei matematici, vale la pena invece mettere in evidenza come questa aspirazione artistica sia diffusa nella comunità matematica”.(13) Anche il matematico ungherese Paul Erdős, (1913/1996), quando si imbatteva in una dimostrazione particolarmente elegante, pulita e ben fatta era solito affermare che essa venisse direttamente dal Libro, che lui, pur essendo ateo, considerava solo alla portata di
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Dio. A suo dire “il libro”conteneva tutte le dimostrazioni sviluppate nei secoli dai matematici enunciate nella loro forma più bella. Paul Erdős, inoltre, si rese protagonista di un aneddoto quando ad una domanda sulla bellezza dei numeri, rispose : “Perché i numeri sono belli? È come chiedere perché la Nona Sinfonia di Beethoven sia bella. Se tu non capisci il perché, non te lo può dire qualcun altro. Io so che i numeri sono belli. Se non fossero belli niente lo sarebbe”. (14) János Bolyai, già incontrato a proposito della sua enunciazione circa una non ancora scoperta geometria non-euclidea, scrivendo al padre quando pensava di aver risolto il famoso arcano del V postulato, disse : "Dal nulla ho tratto un nuovo mondo", lasciando intendere la stessa forza e gioia creatrice tipica di un artista quando è pienamente soddisfatto della sua opera. Come anche Karl Weierstrass, (1815/1897), matematico logico tedesco che ebbe a dire che "Un matematico il quale non abbia in sé nulla di poetico non sarà mai un matematico completo". (15) Hermann Weyl, (1885 /1955), matematico tedesco, uno dei primi ad ammettere la possibilità di combinare la relatività generale con le leggi dell'elettromagnetismo, affermava che nelle sue ricerche si sforzava di unire il bello al vero, e nel dubbio optava sempre per il primo. (16) Werner Karl Heisenberg (1901/1976), tedesco, premio Nobel per la fisica nel 1932 in una sua ultima conferenza nel 1970 sul tema “Il significato del bello nelle scienze”, espressamente fece riferimento al pensiero platonico-pitagorico affermando che la bellezza è la giusta armonia delle parti fra di loro e rispetto al tutto, come se l’ordine matematico fosse il principio fondamentale con cui spiegare la complessità dei fenomeni naturali. (17)Ancora, Paul Lockhart, matematico statunitense contemporaneo, che nel suo libro “Lamento di un matematico”, tradotto in italiano col titolo “Contro l’ora di matematica”, somigliante nella passione con cui tratta l’argomento al libro di Hardy, sostiene che essere un matematico non significa possedere una spiccata intelligenza, ma piuttosto possedere una sensibilità estetica e un gusto raffinato. Nel mentre ci consegna due sue regoline: 1 - l’ equazione matematica = noia + fatica, è falsa, 2 - non esiste nulla di più idealistico e poetico, nulla di più radicale, sovversivo e psichedelico della matematica. (18) E sostando ancora dall’altra parte dell’oceano giunge a noi la citazione del matematico statunitense Carl Benjamin Boyer, (1906/1976) : ”Può darsi che l'interesse dell' uomo preistorico per concezioni e relazioni spaziali sia stato originato dal suo senso estetico e dal piacere provato per la bellezza della forma, motivi che spesso stimolano anche i matematici del nostro tempo. (19) E come dimenticare il premio Nobel Richard Feynman, (1918/1988), che ci ha lasciato nel suo “The Character of Physical Law” una massima che riecheggia nel tempo, fino a risalire ai tempi di Galileo Galilei:
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“A quelli che non conoscono la matematica è difficile percepire come una sensazione reale la bellezza, la profonda bellezza della natura ... Se volete conoscere la natura, apprezzarla, è necessario comprendere il linguaggio che essa parla”. (20) Dopo aver “ascoltato” alcune riflessioni di chi conosce e per questo sa riconoscere la bellezza nelle sue o altrui formulazioni matematiche, è da sapere che se ne possono inserirne molte altre, considerato che sono tanti i matematici che ritrovano nella loro disciplina, che molti chiamano Arte, quella bellezza riconducibile ad un’opera d’Arte. Anche voci fuori dal coro della specifica matematica hanno però lo stesso timbro valoriale: George Bernard Shaw (1856/1950) scrittore irlandese sosteneva che il matematico è affascinato dalla meravigliosa bellezza delle forme che costruisce perché nella loro bellezza scopre verità eterne; il poeta tedesco Novalis,(1772/1801), nonostante la sua propensione romantica sa cogliere l’aspetto estetico della Matematica, come anche i poeti francesi Isidore Lucien Ducasse (1846/1870), e Paul Valéry (1871/1945). Questi in una mattina autunnale a Genova, sente il bisogno di adottare un nuovo linguaggio lontano da quello impreciso della letteratura per adottare quello della matematica, che riteneva essere la via dello spirito. Ed ancora Robert Musil, scrittore austriaco, (1880/1942), autore di “L’uomo senza qualità” il cui protagonista è un matematico, e Lewis Carroll,(1832 /1898), Jorge Luis Borges,(1899/ 1986), e tanti altri. Il piacere estetico provocato dall'astrazione, dal vedere prima dentro se stessi ciò che non esiste ancora, o non si era ancora in grado di scorgere, e dalla sua materializzazione ha la stessa natura sia che si tratti di una formula matematica che di un dipinto. Il pittore, come il matematico, ricorre sempre alla sua capacità di astrarre ed attraverso questa crea concetti ed ideali che trasferisce sulla tela. O meglio traduce. Questa operazione già è intrisa di bellezza perché porta in essere qualcosa che non c’era, almeno alla vista. E’ sempre bella una nascita! E bello sarà anche il risultato, sempre dipendendo dalla capacità di comprendere il valore della nuova creatura. Così come una equazione è bella per chi la formula perché generatrice di gioia, di soddisfazione per la scoperta finalmente palesata che racchiude in sé la formulazione precisa delle idee del matematico, che sono del Mondo. E maggiore sarà la bellezza quando la scoperta sarà anche accompagnata da una dimostrazione impeccabile. Bello è un quadro che ci emoziona, bella è una equazione che ci apre a mondi nuovi. Sappiamo che naturalmente siamo attratti da forme armoniose, rispettose di proporzioni “divine” insite anche in noi e che queste le annoveriamo da sempre nel nostro concetto di bellezza, come un patrimonio genetico, ma nel tempo abbiamo incorporato anche, come suo sinonimo, il concetto di “buono” e quello di “vero”. Possiamo aggiungere anche quello di semplicità ed essenzialità a cui si giunge nella espressione matematica quando questa porta in luce una parte mancante alla nostra completezza intellettuale. Ciò che rimane inalterata è l’armonia generata dalle diverse parti che compongono l’oggetto da ammirare o da dimostrare, che interagendo tra loro suscitano un senso di ordine e di misura, emozionandoci. Ma l’idea che si ha della bellezza, come tutto, è suscettibile di cambiamenti, di aggiornamenti, di pensiero rinnovato anch’esso modificante a sua volta la nostra idea o solo la percezione. La Matematica cambia, mantenendo fermi ed irremovibili suoi concetti assoluti, producendo nuove conoscenze di cui si alimenta per allargare il suo orizzonte e per 63
offrire all’Umanità nuove possibilità, anche di bellezza. E la Natura, grande nostra maestra, ha già tutto in sé e lei cambia rimanendo se stessa e ci assiste nelle metamorfosi che compiamo per non farci perdere la strada che porta a lei, la bellezza suprema. Altresì è da considerare quanto il cammino verso la metà sia ancor più importante della meta stessa, per cui la bellezza dovrebbe farci da accompagnatrice, come un Virgilio a supportarci quando smarriamo la retta via, la bella via, la vera via. Avere la bellezza sempre al nostro fianco mentre compiamo il nostro passaggio sulla Terra, immersi in un mare di bellezza infinita, è come avere la certezza di non sbagliare mai nel riconoscerla, nel rispettarla, nell’ amarla.
“LA BELLEZZA SALVERÀ IL MONDO? ” (21)
Fig. 4 Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1483/1485, tempera su tela cm.278* 172 cm., Galleria degli Uffizi, Firenze
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NOTE del CAPITOLO 3 (1) Cvetan Todorov, La bellezza salverà il mondo, Wilde, Rilke, Cvetaeva, (titolo originale Les Aventuriers de l'absolu), trad. Emanuele Lana, ed. Garzanti,Milano, 2010. Il titolo in italiano riprende una frase, in verità una domanda che il giovane tormentato Ippolit rivolge al protagonista, il principe Miškin, del capolavoro di di Fëdor Dostoevskij “L’idiota”: ” Quale bellezza salverà il mondo?». (2) Yamada Takumi, La bibbia del calcolo mentale rapido: Trasforma il tuo cervello in un calcolatore elettronico e trionfa in qualunque sfida, XI capitolo, ed. Lulu.com, 2014 (e-Book,); All’inizio dell’XI capitolo, l’autore cita una frase di Aristotele, tratta dal suo Metaphysica. (3) Paul A.M. Dirac, La bellezza come metodo, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2019, pag. 18. (4) ivi, pag.18 e 19 (5) ivi, pag.19 (6) ivi, pag.24 (7) ivi, pag. 26 (8) G. H.Hardy, Apologia di un matematico, ed.Garzanti, Milano, 2002, pag. 66/67. (9) ivi, pag. 69. (10) ivi, pag. 65 (11) ivi, pag.105 (12) Atti del convegno Matematica e cultura, Venezia, 2007. .https://link.springer.com/bookseries/7316 https://link.springer.com/search?facet-series=%227316%22&facet-content-type=%22Book% (13) M. Emmer, Visibili armonie: arte, cinema, teatro e matematica, ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2006. (14) Keith Devlin, Do Mathematicians Have Different Brains?, ed. Basic Books, New York 2000, p. 140. (15) Franco Ghione, Laura Catastini, Matematica e Arte:Forme del pensiero artistico, Ed. Springer Verlag Italia, Milano, 2010. (16) Hermann Weyl, Das Kontinuum: Kritische Untersuchungen Über Die Grundlagen Der Analysis, ed. Forgotten books, Londra, 2018. (17) Felice Cimatti, Bollettino Filosofico XXIV, Linguaggio ed emozioni, ed. ARACNE, Roma, 2009. (18) Paul Lockhart,(Traduzione di Fausta Zibetti), Lamento di un matematico, articolo pubblicato in XlaTangente; http://www.xlatangente.it/page.php?pid=2760 . (19) Carl.B Boyer, Storia della matematica, cap.VI, ed. Mondadori, Milano,1990. (20) Richard P. Feynman, Robert B. Leighton, Matthew Sands, La fisica di Feynman, ed. Zanichelli, Loano, 2017; lezioni registrate alla Cornell University nel 1964 : https://www.openculture.com/2012/08/the_character_of_physical_law_richard_feynmans_leg endary_lecture_series_at_cornell_1964.html . (21) ibid
TESTI Godfrey Harold Hardy, Apologia di un matematico, ed.Garzanti, Milano, 2002 Paul A.M. Dirac, La bellezza come metodo, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2019 65
SITOGRAFIA (Tutti i siti sono stati consultati tra Gennaio.Febbraio 2021) https://www.matematicamente.it/cultura/riflessioni-sulla-scienza/la-bellezza-della-matematic a/ La bellezza della Math https://www.matematicamente.it/cultura/matematica-e-arte/matematica-e-arte/ Arte e Math https://filosoficamente.altervista.org/eros-bellezza-nel-simposio-platone/ Bellezza per Platone http://www.freeartgallery.it/news/arte-e-bellezza-al-centro-della-riflessione-filosofica/ Arte e bellezza http://www.benessere.com/bellezza/arg001/arte_bellezza.htm Bellezza https://www.corriere.it/native-adv/illy-longform01-la-bellezza-salvera-il-mondo.shtml Bellezza ora cosa è? http://rivista.math.unipr.it/fulltext/2000-3s/05.pdf Creatività nella Matenmatica Mathhttps://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_tra_arte_e_matematica Arte e Math https://it.wikipedia.org/wiki/Bellezza_matematica Bellezza dei numeri http://disf.org/degiorgi-valore-sapienziale-matematica Saggezza Matematica https://zebrart.it/bellezza-nell-arte-e-il-canone-estetico/ Bellezza e canoni http://www.mamianilab.it/files/ArteMatica-2015.pdf Bellezza della Math http://rivista.math.unipr.it/fulltext/2000-3s/06.pdf Bellezza della Math
VIDEO https://www.youtube.com/watch?v=HQHq-M6ifpA C.Bartocci - L'irragionevole bellezza dei numeri https://www.youtube.com/watch?v=j3mhkYbznBk “The Character of Physical Law”: Richard Feynman’s Legendary Course Presented at Cornell, 1964
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CAPITOLO 4
ARTISTI MATEMATICI - MATEMATICI ARTISTI Il matematico, come il pittore o il poeta, è un creatore di forme. E se le forme che crea sono più durature delle loro è perché le sue sono fatte di idee. (1) Godfrey H. Hardy
Il cammino dell’Uomo verso il suo futuro, è stato costruito-delineato secolo dopo secolo, scoperta dopo scoperta, passo dopo passo dalle menti eccelse degli Uomini più di altri desiderosi di svelare ad ogni passo e sguardo la Verità. I protagonisti determinanti del passato, armati di righello e compasso, cercatori di verità, mai svincolata dalla bellezza e dal buono, li abbiamo già incontrati nel mondo dell’antica Grecia, con Policleto e Fidia a ricordarci anche la magia dei numeri. Abbiamo anche contemplato gli sforzi dei primi Umanisti attraverso le cui parole, opere e visioni hanno promosso la rinascita della Cultura mediante la riscoperta del mondo classico, recuperando tutto ciò che durante il Medioevo era stato abbandonato. Col recupero da parte degli Arabi delle conoscenze matematiche più antiche, quelle egizie e greche unite a quelle provenienti dall’oriente, nascerà un uomo nuovo in grado di capire le Leggi della Natura e di intervenire in modo consapevole e razionale nella Storia. E nascerà un nuovo artista. Questi dovrà possedere notevoli competenze tecniche e matematiche, e sarà in questo preciso momento storico che l’artista rivendicherà il suo ruolo primario nello sviluppo della società. La posizione che la sua Arte, finora contemplata come artigianato, dovrà rivestire sarà al pari di quelle che fino ad allora erano considerate le Arti Liberali: la grammatica, la retorica, la logica, l’aritmetica, la geometria, l'astronomia e la musica. Leonardo da Vinci (1452/1519) è pienamente consapevole della nuova dignità dell’artista non più solo artigiano, perché la pittura è conoscenza e per Leonardo è anche superiore alle altre arti liberali, in quanto è superiore alla matematica e alla geometria perché può dare una descrizione visibile del mondo, ed è superiore alla poesia perché non è limitata da barriere linguistiche. Si creano le prime accademie del disegno, a Firenze nel 1562, con l’intento di svincolare le arti dalle pratiche di bottega e di dare un’organizzazione in corporazioni per codificare il sapere artistico come un sapere intellettuale. La pittura è un’astrazione mentale, che si sviluppa prima nella mente dell’artista dotato di conoscenze matematiche, tecniche e filosofiche e si manifesta nella sua opera a testimonianza dei suoi passi fatti verso la verità ogni volta sempre più accresciuta. I dipinti, infatti, sono documenti storici che ci parlano dell’evoluzione dell’uomo in tutti i suoi ambiti, comprese chiaramente le scoperte matematiche e scientifiche. Da un dipinto possiamo 67
comprendere quanto e come una nuova idea scientifica sia stata capita e divulgata in un particolare momento storico. Leonardo fece studi straordinari elaborando idee altrettanto potenti, ma certo alla sua epoca nessuno o pochissimi ne erano a conoscenza. Fu il suo amico e matematico Luca Pacioli (1447/1517) ad avere più influenza in campo scientifico avendo avuto la capacità di divulgare il suo e l’altrui pensiero. E attraverso la pittura rinascimentale possiamo capire come e quanto le scoperte che si man mano si avvicendavano, cambiavano la vita delle persone e di conseguenza l’Arte. Le opere erano un richiamo costante a ciò che si sapeva in quel momento circa le Leggi matematiche: ogni artista adottava nella realizzazione di un’opera la proporzioni aurea, reiterata all’infinito nella sua persistenza nel mondo naturale, e si dilettava con le regole della prospettiva; ogni artista studiava prima di approcciarsi ad una tela e l’esecuzione era il frutto del sapere acquisito. Ma non tutti gli artisti erano matematici al pari dei grandi Leonardo da Vinci e Piero della Francesca, le cui vite furono interamente dedicate alla matematica ed alla pittura, come la manifestazione evidente del progresso conoscitivo, la testimonianza tangibile che l’Arte e la Matematica hanno viaggiato insieme nella Storia dell’Uomo per dotarlo di conoscenze a verità. 4.1 RAPPRESENTAZIONE DELLA RELAZIONE Non tutti gli artisti furono matematici, ma indistintamente tutti adottarono per i loro quadri la stessa impostazione radicata nei numeri. Alcuni di essi preferirono cogliere nell’oggetto della nuova idea o scoperta il soggetto della loro opera, rappresentando nei loro dipinti le scoperte matematiche e scientifiche che man mano venivano portate alla luce dai Giganti. Gli artisti non si appoggiavano sulle loro spalle, ma inseriti nel contesto storico culturale del loro tempo, di questo volevano rappresentare i cambiamenti sociali e culturali che le innovazioni producevano.
Fig. 1 Jacopo de' Barbari, “Doppio ritratto”, 1495
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Ritornando a Pacioli, è lui il frate-matematico il soggetto del quadro “Doppio ritratto” di Jacopo de' Barbari, (1460/1516), pittore ed incisore veneziano. Questi, nel suo dipinto eseguito nel 1495, mostra al mondo l’artefice della diffusione delle nuove conoscenze in campo matematico-artistico intento a dimostrare un teorema di Euclide. Inoltre nel dipinto sono raffigurati insieme allo studioso di proporzioni e geometria un suo allievo e molti “attrezzi” del suo lavoro: una lavagna, un gessetto, una quadra, un dodecaedro ed un poliedro irregolare, un compasso, una bussola e un trattato dello stesso Pacioli. Tutti questi oggetti matematici erano gli elementi fondamentali ed indispensabili per promuovere e diffondere la rinascita della rinnovata cultura greca che voleva recuperare i valori dell'uomo classico, inteso nella sua integralità di spirito, intelletto e materia. Il Matematico è al lavoro, la conoscenza è in fermento, l’Arte si rinnova e l’uomo anche! E’importante ricordare l’opera che più di ogni altra è lo specchio dei tempi: l’affresco “La Scuola di Atene” da Raffaello (1483/1520), realizzato tra il 1509 e il 1511 in una sala del Vaticano; da considerare, con grande rammarico, che per volontà del committente Papa Giulio II, fu distrutta l’opera precedentemente assegnata ed in parte eseguita da un altro grandissimo, anche matematico, Piero della Francesca. Immersi in una grandiosa architettura di stile classico, espressa con una perfetta prospettiva, sono rappresentati i pensatori, i filosofi e i matematici più celebri dell'antichità, intenti a dialogare tra loro. Come un manifesto della concezione antropocentrica dell'uomo rinascimentale, Raffaello mette in scena l’uomo classico che, attraverso le sue facoltà intellettive, si arricchisce nel tempo delle conoscenze necessarie per ritenersi, secoli dopo, il centro del mondo, almeno quello occidentale, pronto a nuove sfide intellettuali. Le figure umane sono 58 e ad alcune di queste Raffaello fa assumere i connotati di suoi contemporanei, altrettanto all’altezza dei Giganti dell’antichità. Infatti, Platone al centro con Aristotele, ha le sembianze di Leonardo da Vinci che tiene in mano il “Timeo” e sembra ricercare un dialogo col suo interlocutore tra le conoscenze umanistiche e matematiche, ad indicare la complementarità tra la scuola platonica e quella aristotelica, perché la conoscenza non ammette separazione.
Fig. 2 Raffaello, La Scuola di Atene, 1511
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Si possono riconoscere Anche Pitagora, Socrate, Euclide, Claudio Tolomeo,.. . Importante ricordare anche Giuseppe Arcimboldo, (1526/1593), pittore milanese, che abbandona la frutta e le verdure per rappresentare il nuovo uomo fatto di conoscenza e metodo. Il suo dipinto “Bibliotecario” risale al 1566 quando con la diffusione della stampa i libri divennero il pane accessibile a chiunque volesse conoscere il Mondo e le sue Leggi.
Fig. 3 Arcimboldo, Bibliotecario, 1566
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L’eliocentrismo aveva fatto la sua entrata stravolgendo la visione che l’uomo aveva di sé nel mondo e prontamente Niccolò Tornioli, (1598/1651), pittore toscano, dipinse nel 1645 “Gli Astronomi” intenti a studiare e guardare il cielo con gli strumenti inventati da Galileo e Copernico, insieme ad altri Giganti a farne buon uso.
Fig. 4 Niccolò Tornioli, Gli Astronomi, 1645
Sempre in riferimento all’astronomia, interessante è la serie delle “Osservazioni Astronomiche” che un illuminato conte bolognese commissionò nel 1711 al pittore Donato Creti, (1671/1749), con l’intenzione di convincere il Papa dell’importanza degli studi astronomici. Il nobile in seguito fece dono alla Santa Chiesa delle opere e raggiunse il suo scopo, in quanto con il sostegno di Papa Clemente XI venne inaugurato poco dopo a Bologna il primo osservatorio astronomico pubblico d'Italia. Sono otto le tele raffiguranti il sistema planetario allora conosciuto, con il Sole, la Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e una Cometa, insieme agli strumenti per l’osservazione, telescopi e diversi altri strumenti ottici. Un altra importante testimonianza di come l’Arte fosse attenta e partecipasse all’ evoluzioni dettate dalle scienze è il dipinto “Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica” risalente al 1768 e compiuto dal pittore inglese Joseph Wright of Derby (1734/1797). La struttura del dipinto fa pensare alle scene storiche e religiose oggetto nel passato recente della stessa forma di rappresentazione. Ma questa volta il soggetto è la scienza, ed il pittore riuscì, come era sua intenzione, a mettere su tela lo spirito della Rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche dell’epoca.
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Vi sono rappresentati uno scienziato, che assomiglia più ad uno stregone, nel suo ambiente di studio e lavoro, con collocata su un tavolo la pompa pneumatica che aveva lo scopo di dimostrare l’importanza dell’ossigeno per la vita degli esseri viventi.
Fig. 5 Donato Creti, Osservazioni Astronomiche, Giove, 1711
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Fig. 6 Joseph Wright of Derb, Esperimento su un uccello nella pompa pneumatica, 1768
Lo scienziato autodidatta Alessandro Volta (1745/1827) aveva il “pallino” dell’elettricità e sosteneva che questa era legata al contatto tra due metalli diversi. Per dimostrarlo, il fisico mise a punto uno strumento che sarebbe poi stata chiamata “pila di Volta”. Alternativamente sovrappose strati di rame a strati di zinco e a strati di panno inzuppato in una soluzione salina, dimostrando poter produrre corrente elettrica regolare e creando così la prima batteria a fornire quantità regolare e costante di elettricità.
Fig. 7 Giuseppe Bertini, Volta espone la pila a Napoleone, 1891
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Era il 1800 e Napoleone, estimatore della ricerca scientifica, fu entusiasta della scoperta, tanto che pochi mesi dopo la volle festeggiare invitando Volta a corte affinché ripetesse l’esperimento per assistervi. Il dipinto “Volta espone la Pila a Napoleone” eseguito dal pittore Giuseppe Bertini, (1825/1898), quasi un secolo dopo, nel 1891, rappresenta quell’esatto momento storico, immortalato con pennelli e colori a testimonianza dell’interesse crescente dell’Arte per le scoperte che presto cambieranno anche i suoi fondamenti. Come non ricordare il sodalizio creativo tra il pioniere della scienza moderna, Galileo Galilei (1564/1642), e la pioniera dell’Arte al femminile italiana, Artemisia Gentileschi (1593/653). La ragazza ribelle nonché pittrice conobbe Galilei, il promulgatore della nuova visione del mondo, quando questi fu in visita a Roma nel 1611 per promuovere il suo pensiero attraverso l’ultimo suo trattato il “ Sidereus Nuncius”. Il Papa lo accolse con tutti gli onori come anche tutti i matematici religiosi in Roma. (Peccato che nel 1633 lo stesso trattato porterà Galilei, per mano della Chiesa, a processo con l’accusa di contraddire le Sacre Scritture ed alla condanna per eresia e a rinnegare il suo pensiero). Galilei visitò anche l’ Accademia dei Lincei e qui incontrò anche il famoso pittore Orazio Gentileschi (1563/1639) e la sua giovane figlia, Artemisia, all’epoca diciottenne. Nel 1613 Galilei entrò a far parte dell’Accademia fiorentina delle Arti del Disegno, presso cui in gioventù aveva studiato, dove incontrò nuovamente la giovane pittrice che intanto si era trasferita a Firenze. Nacque una amicizia fortificata dall’interesse di Artemisia rivolta ai chiaroscuri lunari che Galileo aveva eseguito per illustrare il suo trattato astronomico “Sidereus Nuncius” (fig. 15, Cap.2). Ci furono scambi di consigli sulla tecnica del disegno ed anche, da parte di Galileo, la volontà di consegnare all’artista nozioni di geometria e astronomia. Artemisia entusiasta delle nuove conoscenze acquisite attraverso colui che stava rivoluzionando il mondo, non si limitò al chiaroscuro, ma nelle sue opere successive desiderò esprimere nelle tele tutto ciò che la aveva interessata delle nuove scoperte. Ne sono la prova gli zampilli di sangue che sgorgano dalla gola di Oloferne, che Artemisia eseguì proprio nel 1613, che sembrano seguire le traiettorie dei moti parabolici calcolati da Galileo e le luci presenti nell’opera “Betsabea al bagno”, (data incerta, dal 1640 al 1650), dove Artemisia sembra spostare sulla tela le diverse fasi lunari sui corpi delle figure femminili ritratte. L’amicizia continuò epistolarmente tra i due, entrambi capaci di spalancare l’Universo ad una nuova visione di se stesso, sia nella scienza che nell’Arte, sia nella vita di ogni uomo che in quella di ogni ragazza desiderosa di diventare pittrice. Pionieri che spostano il mondo!
Fig. 8 Artemisia Gentileschi, Betsabea al bagno, tra 1640/1645
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4.2 MATEMATICI ARTISTI Continuiamo l'indagine contemplando ora altri artisti la cui sapienza è parimenti imbevuta della conoscenza dei numeri che di quella dei pennelli e che con indiscussa maestria hanno saputo creare una relazione simbiotica tra le diverse competenze per trasferire sulle loro tele e nei loro trattati pagine di Storia e verità, alla cui base c’è sempre la Matematica. Non sono molti i matematici anche artisti, cultori dell’armonia dei numeri e delle forme, che possono essere annoverati in entrambe le categorie. Oltre ai già citati Leonardo e Piero della Francesca, ecco gli uomini geniali, matematici artisti, che han saputo dare forma concreta ai loro astratti pensieri, frutto di applicazione e studio dell’Arte dei numeri e delle geometrie. 4.2.1 ALBRECHT DURER Il primo è Albrecht Dürer e lo presentiamo con un brano tratto da una bozza di un suo testo sulle proporzione umane: …Non ho trovato nessuno che abbia scritto qualcosa sui canoni delle proporzioni umane, eccetto un uomo chiamato Jacob, nato a Venezia e pittore affascinante. Mi mostrò le figure di un uomo e una donna, che realizzò in base a dei canoni matematici di proporzione, così ebbi modo di vedere ciò che intendeva, anche se egli non volle mostrarmi completamente i suoi principi, come intesi chiaramente. (2) Le riflessioni di Durer ci fanno intendere l’importanza che la prospettiva rivestiva per lui come per tutti gli artisti dell’epoca e le difficoltà a reperire i giusti insegnamenti per un suo corretto approccio. Si noti che Durer, nel suo testo, si riferisce all’artista Jacopo de' Barbari che dipingerà il famoso ritratto di Luca Pacioli (fig. 1 cap. 4) e alle difficoltà incontrate per avere informazioni esatte circa le nuove teorie sulla prospettiva. Nato a Norimberga in Germania, (1471/1528), Albrecht Dürer, pittore, incisore e matematico tedesco, si può considerare come il “primo artista del nord Europa” quando ancora la figura dell’artista non era contemplata al Nord del vecchio continente. Fu infatti il primo a realizzare opere senza che queste venissero commissionate dalla Chiesa o da qualche potente ed il primo, anche, ad arricchire le sue opere di un senso più profondo, come aveva già fatto Leonardo da Vinci, corredando le sue opere di trattati. Iniziò il suo apprendistato nella bottega del padre, anch’egli incisore, dove apprese i segreti di questa arte che permette di moltiplicare le opere. Durer, infatti fu anche il primo, resosi conto che le sue stampe incontravano il favore del pubblico, a riprodurre le sue opere cominciando a lavorare autonomamente scegliendo i soggetti che potessero incontrare maggiormente il gusto del pubblico che utilizzava le sue opere d’arte come abbellimenti dell'arredo delle ricche case del tempo. Queste nuove mode, significarono l’inizio di ciò che ora chiamiamo marketing, dove l’artista studia il mercato per anticiparne le richieste (anche se un’opera oggi che segue questo sistema non la considero Arte). Ma all’epoca di Durer questa possibilità di mercato fu un grande passo avanti per il riconoscimento di ogni artista. E Durer, dalla fantasia infinita, oltre a soddisfare i desideri dei futuri acquirenti, poté anche dar forma alle sue molteplici idee senza essere ostacolato dai desideri dei committenti, essendo che questa produzione libera da vincoli rappresentò per lui anche un successo finanziario, riuscendo ad unire l’utile al suo piacere.
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Terminato l’apprendistato la sua curiosità lo porterà a viaggiare verso città del nord Europa, spinto a visitare quei centri dove era più facile trovare impiego nei campi in cui aveva familiarità e dove l’Arte esprimeva le opere più interessanti in quel periodo glorioso. Tornato a Norimberga si sposò, ma dopo pochi mesi di matrimonio, con la scusa che Norimberga era infestata dalla peste, partì, nuovamente da solo, con l’intenzione di visitare l’ artisticamente vulcanica Italia, dove da quasi un secolo regnava un clima culturale effervescente determinato dalla riscoperta del mondo classico e di cui si parlava in tutta Europa. Arrivò all’inizio dell’autunno del 1994 a Venezia dove avrebbe voluto apprendere i principi della costruzione prospettica, ma fu attratto dalla vita multiculturale della città lagunare e da aspetti naturalistici della stessa non presenti nella sua Germania. Disegna e disegna mantenendosi vendendo le sue opere ed iniziando a conquistare una discreta fama. Rimase folgorato dalla qualità e quantità di opere presenti ogni dove a Venezia, soprattutto dalle opere di Giovanni Bellini (1427/1516), da cui riprese la vivacità dei colori e l’attenzione al dettaglio, da quelle di Andrea Mantegna (1431/1506), per i soggetti mitologici e la sua conoscenza della prospettiva, ma principalmente dalla figura del grande Leonardo, di cui Dürer amava l’approccio matematico e naturalistico e da cui trasse la consapevolezza che l’artista è molto più di un semplice artigiano. Un altro tema che lo interessò molto, legato anche agli interessi di Leonardo, fu la rappresentazione del corpo umano in base ai canoni classici, soprattutto alle proporzioni dettate da Vitruvio. Nella primavera del 1495 Durer fece ritorno a Norimberga ed aprì la sua bottega, finalmente dedicandosi alle sue incisioni su legno e metallo ed ebbe inizio il suo successo inarrestabile e la messa in opera di tutto ciò che dalla “vacanza italiana” aveva imparato. La sua Arte era cambiata, sia nell’incisione che nella pittura, e Durer per 10 anni realizzerà una infinità di capolavori, soprattutto frutto di incisioni, più redditizie perché riproducibili, che lo faranno ascendere nell’olimpo dell’Arte. Da ricordare il suo ambizioso progetto di realizzare una edizione illustrata dell'Apocalisse di Giovanni concepito all’inizio nel 1496 e portato a termine con la realizzazione di 15 xilografie, che nel 1498 furono stampate in due edizioni, una in latino e l’altra in tedesco. La fine di ogni secolo porta con sé sempre una certa inquietudine legata all’apocalisse che potrebbe verificarsi, e quale migliore scadenza poteva scegliere Durer per la pubblicazione del suo progetto? L’opera fu realmente innovativa in quanto fu il primo libro ad essere ideato, progettato e pubblicato per iniziativa personale di un artista: Durer infatti ne disegnò le illustrazioni, ne incise le xilografie e ne fu anche l'editore. Le stampa delle xilografie, precedentemente eseguite su una tavola verticale e concepite con un forte contrasto di bianco e nero, furono realizzate a piena pagina con il testo nella pagina successiva, creando un originale libro dove in parole e in immagini veniva spressa l’Apocalisse di San Giovanni.
Fig. 9 Firma di Albrecht Durer
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Fig.10 A. Durer, I quattro cavalieri dell'Apocalisse, tavola da Apocalisse di Giovanni, 1496/98
La coincidenza della fine del XV secolo, l’originalità dell’opera e la sua bellezza procurò a Durer il suo primo meritato successo in tutta Europa a cui ne seguiranno molti altri. Negli stessi anni intraprese un altro progetto, sempre un libro con illustrazioni xilografiche, che aveva come tema la Passione di Cristo. Il progetto non riscosse però lo stesso successo anche a causa della prematura visibilità delle stampe oggetto del libro prima che questo fosse pubblicato. Riprese il pennello ed iniziò ad avere commissioni importanti di ritratti di aristocratici e giunse ad eseguire anche il suo nel 1498 “Autoritratto con guanti”, dove si ritrasse come un elegante gentiluomo, appartenente ad un'aristocrazia borghese dallo spirito elevato, che si riflette nell'abbigliamento curatissimo e nei modi sicuri. Da questo dipinto si evince che Dürer conoscesse ed apprezzasse la pittura italiana, superando le tecniche tipiche dell’arte tedesca dell’epoca, mettendosi in aperto rapporto con la grande pittura rinascimentale italiana. Questo autoritratto seguiva ad un primo eseguito a matita quando aveva solo 13 anni, ed a un altro, dipinto, che Durer eseguì a 22 anni “Autoritratto con fiore d'eringio. 77
Ne precedette un altro ancora, più famoso, eseguito nel 1500, “Autoritratto con pelliccia”, dove si raffigurò come un Cristo sereno ed imperturbabile, inserendo anche nel dipinto una scritta : “Io, Albrecht Dürer di Norimberga, all'età di ventotto anni, con colori appropriati ho creato me stesso a mia immagine". Scrisse “creato” e non “dipinto” assumendo su di sé la capacità di creare al pari del Creatore, che, a detta del Vecchio Testamento, ci vuole a sua immagine e somiglianza. Ma nelle parole di Durer non c’era presunzione ma la consapevolezza del suo valore come artista e cultore della Matematica, riconoscendosi la capacità di partecipare da vicino al potere creativo divino, essendo investito del suo talento da Dio stesso. Inoltre, nel testo c’è un particolare che rinvia alle problematiche geometriche legate alla circonferenza del cerchio: l’iniziale del suo nome, la lettera A, viene scritta a forma di π (Pi Greco) con la D, iniziale del suo cognome, al suo interno. Piccoli segni a rappresentare il pensiero più intimo dell’Artista, sempre legato al potere magico delle forme e dei numeri. Negli anni successivi, oltre ad ottenere importanti commissioni, Durer si dedicò moltissimo alla rappresentazioni della Natura, disegnando e dipingendo animali, vegetazione e fiori eseguiti con un realismo che ha del fotografico: “Leprotto”, 1502, “La grande zolla”,1503, “Il rinoceronte”, (realizzato negli anni successivi). Nel 1505 ripartì per l’ Italia con l’intento rinnovato di ampliare le sue conoscenze della prospettiva e di ripetere la full immersion nella cultura artistica italiana. Giunto in Italia Durer non era più il giovane artista sconosciuto di dieci anni prima, ma un artista conosciuto e apprezzato in tutta Europa, soprattutto grazie alle sue incisioni, così quotate e copiate. Fece ritorno a Venezia e si immerse nella vita cosmopolita della città, facendo nuove conoscenze e ristabilendo i contatti del passato e soprattutto ricevendo diverse commissioni sia dal doge, che lo avrebbe voluto come pittore della sua corte, che dai nobili desiderosi di essere da Durer ritratti. Tutte le opere di questo periodo, quasi esclusivamente di pittura, furono apprezzate anche dagli artisti presenti a Venezia, e in tutte si poteva riscontrare la sempre più aderenza alla pittura italiana rinascimentale da parte dell’artista di Norimberga. Ma la vicenda che maggiormente ci interessa è che Durer volle andare anche a Bologna per conoscere di persona Luca Pacioli e per effettuare studi nell’Università più antica del mondo sulla forma geometrica come rappresentazione del Divino. Il soggiorno italiano arrivò alla fine e nel 1507, tornato a Norimberga, Durer sentì il bisogno di ripercorrere la strada di Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci, cioè di scrivere anch’egli un suo trattato sulle conoscenze acquisite sull’Arte e sui suoi legami con la Matematica. Convinto che il segreto della vera bellezza risiedesse nella teoria delle proporzioni matematiche, riuscì nell’ impresa dedicando vent'anni della sua vita a scrivere la sua tesi più importante sull'argomento "Hierinn sind begriffen vier bücher von menschlicher Proportion" (Quattro libri sulla teoria della proporzione) stampato e pubblicato dopo la sua morte a Norimberga nel 1528. Infatti Durer quasi ultimata la stesura della sua opera, si rese conto che sarebbe stata di difficile comprensione per chi fosse stato a digiuno di tanta conoscenza. Quindi si misi a scriverne un altro, più accessibile, di geometria elementare "Underweysung der Messung mit dem Zirkel und Richtscheyt" (Istruzione nella
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misurazione con riga e compasso), (1525), con l’intento di fornire ai pittori le corrette istruzioni elementari su come disegnare poligoni regolari con riga e compasso e soprattutto come approcciare le proporzioni del corpo umano (partendo da Vitruvio ed apportando sue modifiche al canone romano).Trattò anche il tema della prospettiva, ben specificando che la struttura prospettica di un quadro non deve essere eseguita a mano libera, ma deve essere ricavata attraverso studi e procedimenti matematici. E’ importante rilevare che questo suo fu il primo libro di matematica vera e propria stampato e pubblicato in tedesco, e in seguito, considerato il successo, ristampato in latino. Mentre lavorava sui suoi trattati, Durer ormai affermato, si dedicò a sue produzioni pittoriche su commissione della corte asburgica, eseguì molti ritratti, viaggio ancora nel nord Europa, si avvicinò alla dottrina protestante e produsse le opere di incisione per cui maggiormente è conosciuto. Sono tre opere allegoriche realizzate tra il 1513-1514: “Cavaliere, la morte e il diavolo”, “San Girolamo nella cella” e “Melencolia I", che rappresentano tre esempi diversi di vita, legati rispettivamente alle virtù morali, intellettuali e teologiche. Le tra tavole infatti fanno parte di un trittico, detto “Meisterstiche” (Incisioni Maestre), che rappresentano la fede, la meditazione e l’immaginazione: il Cavaliere si farebbe interprete delle virtù morali, il San Girolamo di quelle teologiche e la Melencolia I delle virtù intellettuali. Soprattutto l’ultima, è un vero e proprio compendio del pensiero dell'artista sull'Arte, sull'animo umano e sull’importanza della Matematica come via per la conoscenza. Melencolia I rappresenta una figura celestiale con aria pensosa circondata da tanti “attrezzi” utili alla sua ascesa spirituale: sono simboli alchemici in grado di trasmutare il piombo in oro, di elevare l’uomo dalla sua condizione oscurata alla piena luce spirituale. Sono presenti anche vari elementi matematici quali un compasso, un poliedro tronco e una sfera a rappresentare le basi matematiche dell’Arte per creare sulla Terra ed un quadrato magico, che ha del magico veramente. Infatti il quadrato magico di Durer, composto di 4 per 4 cifre, quindi 16 in totale, oltre a permettere di ottenere come risultato il numero 34 dalla somma di tutte le cifre presenti nelle righe orizzontali e verticali, da lo stesso numero anche dalla somma delle cifre poste nelle linee diagonali. E meraviglia della magia, nella riga inferiore, le caselle interne sono occupate rispettivamente dai numeri “15” e “14”, che unite danno la data dell’esecuzione dell’opera.
Fig. 11 A. Durer, Quadrato Magico, particolare da Melencolia I, 1514
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Melencolia I è certamente una delle opere di Dürer che più è in relazione con i suoi studi matematici ed anche ermetici, a dimostrazione di quanto la vita di Durer per sua volontà fosse intrisa di tutto ciò che era (é) utile all’uomo per la sua evoluzione. Al pari di un artista rinascimentale italiano, avendo come modello il grande Leonardo, Dürer fu, oltre che un ottimo pittore, un formidabile disegnatore e un insuperabile incisore, un artista curioso, in continuo movimento, legato al classico ed alla Natura, ricercatore attraverso queste, delle profonde verità accessibili solo attraverso l’applicazione delle Leggi matematiche. Un rinascimentale del nord Europa, fiero della sua città e contemporaneamente di esser parte di un mondo più vasto legato all’Arte e alla conoscenza delle sue Leggi dettate dai numeri e dalle forme geometriche. Un matematico consegnatosi all’Arte, o un artista in connessione con l’Universo. 4.2.2 VASILIJ KANDINSKIJ Un grandissimo artista che ha fatto della sua Arte l’astrazione più pura, espressione del suo pensiero, meglio dire, della sua anima, fu Vasilij Kandinskij (1866/1944). Moscovita di nascita, studiò Diritto ed iniziò da subito una brillante carriera che lo portò ad ottenere una cattedra universitaria in una provincia del nord della Russia settentrionale. Ma i colori furono la cosa che fin da piccolo lo entusiasmano maggiormente, tanto che quelli vivi delle abitazioni e dei costumi delle popolazioni nordiche furono un’esca formidabile per riportare il giovane Vasilij agli antichi amori giovanili. Un altro fondamentale input gli fu dato dalla sua partecipazione ad una Mostra degli impressionisti tenutasi a Mosca nel 1895, dove dal vivo poté ammirare le opere degli artisti contemporanei parigini. Fu la serie di 25 quadri di Monet, (1840/1926) ,“I covoni”, realizzata tra il 1888 ed il 1891, rappresentante covoni di grano dipinti con piccole pennellate di colore, che variano a seconda dell’ora e del mese della esecuzione, che lo sconvolse, fino alla decisione, nel 1896, di abbandonare la sua promettente carriera di giurista. Kandinskij iniziò a frequentare l’accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera, e da quel momento la sua vita fu solo pittura, colori, geometria e spirito. In un ambiente universitario effervescente teso all’allontanamento dalla tradizione e alla introduzione delle pratiche artistiche tipiche delle avanguardie francesi (impressionismo e neo-espressionismo), Kandinskij ben si introdusse negli ambienti più attenti alle novità e strinse una profonda amicizia col pittore tedesco Franz Marc (1880/1916) col quale nel 1911, dopo aver abbandonato gli studi, fondò il gruppo “Blaue Reiter” (Cavaliere azzurro), il cui nome è preso dal titolo di un’opera in stile impressionista dello stesso Kandinskij realizzata nel 1903. Al gruppo aderirono altri pittori, tra gli altri lo svizzero Paul Klee, (1879/1940), a cui era stata negata la partecipazione ad una mostra svoltasi a Monaco a causa delle loro scelte pittoriche innovative che si rivolgevano alla forza gioiosa dei colori dei Fauves. Gli aderenti al “Blaue Reiter” credevano fermamente che la pittura non fosse un mezzo di rappresentazione ma di conoscenza, non mera visione ma ricerca dell’essenza. Per loro ogni cosa nell’Universo è creata con un involucro, l'apparenza, in cui è racchiuso un nocciolo, l’anima, ed è a questa parte che l’Arte doveva rivolgersi esprimendola. Non a caso il nome ebbe origine dalla passione di Kandinskij per il colore blu, che per lui era quello relativo alla spiritualità, che più è scuro e più risveglia l'umano desiderio per la
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conoscenza e l’eternità. Il gruppo organizzò diverse mostre in Germania ed in Russia dando inizio al successo per ogni singolo aderente. Di importanza vitale per tutta la sua opera fu la conoscenza del compositore austriaco Arnold Schönberg (1874/1951), conosciuto dopo aver assistito ad un suo concerto all’inizio del 1911 ricordato con un dipinto “Impressione III: Concert “, dove sono ancora riconoscibili gli oggetti e i soggetti della scena. Kandinskij rimase profondamente colpito dalla sua musica, tanto da scrivere al musicista manifestando apprezzamento per le composizioni e entusiasmo per la comunanza profonda che egli avvertiva tra le loro diverse modalità di esprimersi per un’Arte che intendeva parlare all’anima.
Fig. 12 V. Kandinskij, Impressione III (concerto), 1911, olio su tela, 77,5 cm × 100 cm, Städtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco.
Nel 1912 Kandinskij pubblicò il suo primo saggio “Lo spirituale nell’Arte” dove teorizzò ciò che stava sperimentando attraverso i colori e i pennelli, cioè il rapporto tra la forma ed il colore, alla base di ogni astrazione. Chi approfondisce i segreti tesori interiori della sua arte collabora ammirevolmente a costruire la piramide spirituale che giungerà al cielo. (3) Nel suo saggio Kandinskij auspica un movimento di artisti ed intellettuali in grado di imprimere una svolta in senso spirituale al mondo, essendo il cambiamento alimentato da un principio di necessità interiore vivo in ciascun Uomo. Scorrendo le riflessioni ed i pensieri di Kandinskij, la nuova epoca di grande spiritualità necessitava del contributo reale di tutti gli artisti di ogni Arte, per imprimere così una accelerazione al processo atto a svelare la bellezza interiore di ognuno, attraverso i colori, le pennellate, le poesie e la musica. Per Kandinskij ciò che ogni artista riporta sulla tela, la sua anima, non ha solo un effetto visivo ma anche uditivo in quanto l’Arte della pittura risveglia nell’intimità soggettiva una impressione che è anche
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musicale, generando un rapporto di sinestesia tra le vibrazioni delle note musicali e quelle determinate da ogni colore. Infatti Kandinskij riteneva che un dipinto potesse produrre due distinti effetti sullo spettatore: un “effetto fisico”, basato su sensazioni superficiali determinate dalla retina e un “effetto psichico”, determinato dalla vibrazione dello spirito che il colore stimola quando raggiunge la forza psichica dell’uomo. Secondo la teoria di Kandinskij ad ogni colore è associata una emozione che viene risvegliata alla sua presenza e ad un suono in perfetta sinestesia. Il giallo, colore caldo, vitale e squillante, indica eccitazione ed è associato al suono di una tromba; il rosso è caldo ed avvolgente ed al contempo vitale ed irrequieto, e ben si accosta al giallo; emozionalmente ci accompagna alla consapevolezza interiore e si associa al suono di una tuba; l’azzurro e il blu chiaro, sono colori freddi, come un cielo sgombro da nubi, e stimolano le emozioni di apatia e di indifferenza e si accostano al suono di un flauto; mentre il blu scuro, colore intenso e profondo, vibra al suono di un organo, risvegliando le profondità dell’animo. Ma ci sono tante sfumature di azzurro che vanno al blu che possono portare l’uomo verso la quiete, la riflessione sull’infinito e sullo spirito. Il colore bianco, ottenuto dalla somma di tutti i colori dell’iride, esprime il silenzio dove le emozioni sono sedate e che riprendono energia dipendendo dal colore affiancato. Viene associato alla pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale, che anticipa altri suoni; il colore nero, indica la mancanza di luce, un non-colore, come la morte delle emozioni e la fine e di un brano musicale. Per Kandinskij, quindi, il colore è una vibrazione che tocca le corde dell’anima attraverso le emozioni e le sensazioni, trasmutate in strumenti musicali capaci di generare una melodia che arriva dritta al cuore di chi lo osserva. Ed anche le forme posseggono una qualità in grado di far suscitare emozioni, pertanto le immagini suggeriscono emozioni specifiche a seconda della combinazione tra colore caldo o freddo e le forme. Possiamo affermare che “Lo spirituale nell’Arte” sarà il punto di partenza per una nuova concezione dell'Arte, in quanto Kandinskij pose le premesse di un’Arte nella quale l’immaginazione dell’artista sarebbe stata sostituita dalla concezione matematica. L'artista deve cercare di modificare la situazione riconoscendo i doveri che ha verso l'arte e verso se stesso, considerandosi non il padrone, ma il servitore di ideali precisi, grandi e sacri. Deve educarsi e raccogliersi nella sua anima, curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia come il guanto perduto di una mano sconosciuta, una vuota e inutile apparenza. L'artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto. (4) Nel 1913 Kandinskij realizzerà quello che sarà considerata la sua prima opera realmente astratta “Linee Nere” dove il colore e la linea esprimeranno già di per loro tanta autonoma espressività da non ritenere esserci un modello da rappresentare. Infatti l’Astrattismo metterà a fuoco il processo già iniziato dagli Impressionisti ed Espressionisti, di proiettare sulla tela le proprie sensazioni ed emozioni senza alcun riferimento alla realtà circostante. Fu il testo ”Astrazione e Empatia”dello storico dell’Arte Wilhelm Worringer, pubblicato nel 1908, a stimolare Kandinskij verso l'astrazione. L’autore nel saggio dichiarò che per l’Arte del ‘900 non era più da considerare valida la gerarchia dei valori tramandati dal Rinascimento,
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in quanto ogni tempo e Cultura riflette la propria Arte. Inoltre riflettè sul fatto che molti artisti contemporanei, pur creando partendo da una immagine della realtà, realizzavano le loro opere assecondando un impulso interiore che sulla tela risultava un segno astratto frutto di un bisogno di spiritualità. Tale necessità umana, secondo Kandinskij, trovava maggiori possibilità di esprimersi nelle società meno materialiste, dove con più facilità si poteva trovare lo spazio e l’apertura necessari per la ricerca di una realtà essenziale nascosta dietro le apparenze di ogni rappresentazione. Ma da lì a breve, la prima guerra mondiale fece irruzione nel mondo, e Kandinskij, dopo aver viaggiato per il nord Europa, tornò a Mosca e fu segnato da una profonda crisi da cui si libererà grazie all’entusiasmo che lo coinvolse per la Rivoluzione Russa (1917) e “per la quale” ebbe un incarico come educatore popolare presso l’Istituto per la Cultura artistica di Mosca. Dopo aver ricevuto critiche per il suo lavoro nel 1921 fece ritorno in Germania per insegnare al Bauhaus dove sognava di poter realizzare i suoi progetti di un mondo nuovo sotto il segno della spiritualità. Fu insegnante di pittura murale sia a Weimar che a Dessau, quando la scuola venne trasferita, ebbe occasione di rinforzare la sua amicizia con Paul Klee, anch’egli docente e pubblicò un suo secondo saggio “Punto e linea e superficie” nel 1926, fondamentale scritto per l’accesso alla comprensione dei simboli e delle forme matematiche nell’Arte.
Fig. 13 V.Kandinskij, Giallo rosso blu, (1925)
Con l’avvento del Nazismo la scuola del Bauhaus fu costretta a chiudere nel 1933 e Vasilij a trasferirsi nei pressi di Parigi (dove morirà nel 1944), mentre 50 dei suoi quadri nel 1937 furono esposti a Monaco alla “Entartete Kunst” (arte degenerata), mostra voluta da Hitler
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nel 1937 per annunciare la fine “dell’abbruttimento e dell’annientamento della cultura” del popolo germanico. La Mostra d'Arte degenerata, che di fatto si proponeva di condannare le nuove avanguardie artistiche, in verità fu un volano straordinario per tutta l’Arte astratta perchè permise a oltre tre milioni di persone di conoscere i nuovi pittori che più di altri esprimevano il loro senso di libertà nell'espressione artistica personale. A differenza del suo primo trattato, più mistico che estetico, “Punto e linea e superficie” si presenta come un’opera più fredda e tecnica, con l’intento dichiarato di voler fondare una rigorosa scienza dell’Arte.
Fig. 14 V.Kandinskij, illustrazione per la pagina iniziale di “Punto, linea, superficie”, 1926
Kandinskij analizzò tutti i problemi che un artista deve affrontare che, secondo la sua visione, si sarebbero potuti risolvere matematicamente e tale sarebbe stato il destino dell’Arte futura, affidarsi alla matematizzazione. Così facendo il trattato fu nel medesimo tempo sia di pittura che di geometria. Vasilij nell’esposizione descrisse e commentò ogni singolo suo passaggio allo stesso modo in cui Euclide introdusse, all’inizio degli “Elementi”, gli enti fondamentali della geometria: presentò in forma rigorosa ogni elemento, con la sua descrizione e le specifiche proprietà, individuando anche nuove regole della ricerca compositiva. La base del testo furono le lezioni di Arte che Kandinsky tenne al Bauhaus che vertevano sull’individuazione della natura e delle proprietà degli elementi fondamentali della forma, percui innanzitutto del punto, della linea e della superficie. Pur presentandosi come un trattato di Matematica “Punto, linea, superficie”, in verità è l’espressione più articolata, matura e sorprendente del pensiero di Kandinsky che, abbandonate le macchie di colore, utilizzò le forme primitive per contenere il colore stesso, espressione insieme di un sentimento universale. Lasciata la realtà sensibile per approfondire quella immortale che risiede nelle idee e nelle emozioni di ogni Uomo, Kandinsky tornò al pensiero di Platone, assegnando alle idee ed alle forme il valore assoluto di fonti di verità, utilizzando lo stesso linguaggio della Matematica. Nel testo spiegò questo suo mondo fluttuante fatto di forme regolari colorate (cerchi, triangoli, quadrati), linee, punti su una superficie che assume le sembianze di un cosmo unico e personale, espressione del suo spirito. Introdusse il lettore alla comprensione del fare di un artista che, liberata la propria interiorità con l’aiuto degli elementi necessari per la conoscenza, entra con la sua opera in contatto con l’anima dello spettatore, lasciando che il quadro agisca su di lui allo stesso modo di come è in
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grado di fare la musica che “viaggia” senza bisogno di supporto se non l’aria. Kandinsky ci insegna ad «ascoltare» la forma e il suo insegnamento ci mette in un nuovo rapporto con l’opera d’arte, aprendo nuove possibilità di esplorazione, che è, come scriveva egli stesso, “..... la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi”. (5) Come per il musicista, il lavoro di un pittore non sarà mai frutto di un'improvvisazione cieca e inconsapevole, ma il risultato di studi che soprattutto hanno la Matematica alle fondamenta e di cui Kandinsky ci vuole rendere consapevoli, partecipi ed eruditi. E riprendendo dalla prefazione del libro scritta da Max Bill (1908/1994), artista scultore architetto, “Punto, linea, superficie” va oltre il fatto pittorico e “abbraccia problemi generali dell’attività creativa” (6) che riguardano anche la Matematica, punto di partenza per tutte le indagini che contemplano la conoscenza e l’Uomo.
4.2.3 MAURITS CORNELIS ESCHER Maurits Cornelis Escher (1898/1972), l’artista che non sapeva di comporre le sue opere nel rispetto delle Leggi proprie della Matematica, le iniziò a studiare per comprenderle e lasciarci opere strabilianti. Nacque in Olanda da una famiglia borghese che lo avrebbe voluto ingegnere come il padre, ma il giovane studente non amava per nulla la matematica, materia regina nelle facoltà di ingegneria. Eccelleva, però, nel disegno riempiendo interi quaderni di ritratti e paesaggi. Si indirizzò, quindi, verso la Scuola di Architettura e Arti Decorative. Dopo un anno, nel 1920, si dedicò esclusivamente alle Arti decorative sotto la guida di un insegnate stimolante e discreto artista Samuel de Mesquita (1868/1944), che coltivava un interesse particolare per il disegno e per la xilografia e che comprese subito il talento del giovane studente. Terminata l’Università, nel 1922, Escher intraprese un lungo viaggio verso l’Italia con amici, visitando la Toscana, Roma e la costiera amalfitana. Stregato dalla luce dei paesaggi italiani immortalati nel suo quaderno di schizzi, vi tornò per trasferirsi nel 1923 a Ravello. Conobbe una giovane ragazza svizzera, anch'essa appassionata di Arte, e l’anno dopo si sposarono e stabilirono a Roma. Vissero agiatamente in un’elegante casa dove al piano ultimo Escher poté disporre di un suo studio dove realizzare le sue opere, disegnandole, incidendole sul legno e stampandole. La situazione serena in cui viveva era inframmezzata dall’altra passione di Escher per i viaggi, che compì in tutta l’Italia meridionale. Nella capitale italiana il “Gruppo romano artisti incisori” gli organizzò la sua prima grande mostra personale allestita a Palazzo Venezia nel 1926, che riscosse un discreto successo di critica e di pubblico ed ammirazione totale per la squisita tecnica. Ma ormai il clima politico italiano si era fatto troppo opprimente ed insopportabile per il giovane artista che con la moglie si trasferì nel 1935 in una sua proprietà sui monti svizzeri. Il clima era pessimo, la luce mancava, il paesaggio era bianco e monotono ed Escher sognava il sole del sud. Ben presto, era il 1936, arrivò il tempo di ripartire per il sole caldo, questa volta, della Spagna del sud. Visitò Granada e si innamorò dell’Alhambra: sia delle sua architettura moresca che, soprattutto, delle decorazioni geometrizzanti che la abbellivano. Giorni e giorni
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davanti alle tassellazioni colorate a copiare le figure geometriche ricorsive che ne ricoprono le intere immense pareti. Il suo quaderno di appunti scoppiava di disegni e forme, attratto com'era da quella moltitudine di figure incastrate tra loro che gli parlavano sia di estetica che di matematica e che stimolarono la sua curiosità per indagare i segreti di tanta simmetria armonica. Infatti, questo viaggio fu illuminante per Escher che al ritorno a casa, in una nuova abitazione in Belgio, abbandonò i soggetti paesaggistici e gli studi realistici. I suoi viaggi da quel momento non sarebbero più stati fisici, ma sarebbero diventati esplorazioni nella mente umana con attenzione alle sue visioni interiori da trasferire sulle tavole, mentre la sua notorietà si consolidava. Memore dello stimolo generato a Granada, questo si concretizzò con l’incontro di Escher col matematico inglese Donald Coxeter (1907/2003) che dal 1954 diventerà oltre che amico, anche suo insegnante di geometria. Grazie al matematico Escher scoprì la bellezza formale e la strabiliante fantasia propria della Matematica e da quel momento tutte le opere saranno da lei ispirate. Nonostante le diverse fasi artistiche che porteranno Escher a diventare uno degli artisti più amati nel ‘900 dal pubblico e dalla comunità matematica, bisogna ricordare che già prima della folgorazione andalusa e dell’incontro con Coxeter, che aiutò Escher a capire il significato e il valore matematico delle sue opere, Escher eseguì lavori applicando principi matematici che a lui potevano essere noti (trasformazioni sul piano cartesiano ed elementi di geometria non euclidea) ed altri invece che l’artista applicò senza che li conoscesse, poiché le loro applicazioni saranno in essere solo molti anni più tardi (autoreferenzialità e intelligenza artificiale). Le nuove idee scientifiche erano annunciate, ma non era accessibile a tutti la possibilità di comprenderle. Escher, non le conosceva, ma magicamente le applicava attraverso il linguaggio dell’Arte, cogliendo l’anima razionale dell’Universo e permettendo di “vedere” le sue Leggi su una tavola incisa. L’Arte e la Matematica parlano delle stesse cose, ma con linguaggi diversi. Escher riportò sulle sue stampe i pensieri e i dubbi in cui l’Umanità si dibatte da millenni nel tentativo di comprendere il mondo che la circonda, tenendo conto che all’inizio del ‘900 le domande erano rinnovate ed adeguate al tempo ed Escher le fece sue: cos'è l’infinito? Come si può comprendere? In quante dimensioni viviamo? In quale mi sento? Esiste un confine tra le diverse dimensioni? Cosa è reale? Escher propose le sue risposte attraverso illusionistici paesaggi, prospettive invertite, costruzioni geometriche minuziosamente disegnate e forme diverse che si confondono fino a perdersi nell’infinito, tutto frutto della sua inesauribile fantasia che stupisce e destabilizza. Ora cerchiamo, attraverso le sue opere, di comprendere quali siano state le connessioni logiche, matematiche e geometriche di cui Escher si servì per rappresentare il mondo come lo percepiva: il mondo del dubbio, dell’ambiguità, del dualismo e dell’incertezza. La prima sua opera è risalente al periodo in cui Escher si trovava in Italia, precisamente in Abruzzo, felice del sole che accarezzava ogni cosa e della sua ormai impeccabile padronanza della tecnica dell’incisione. E’ un classico paesaggio montuoso abruzzese, una sua “fotografia” incisa su legno eseguita con una tecnica perfetta e un uso della prospettiva ineccepibile che danno all’immagine una verità realista che sfocia nell’ illusione.
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Fig. 15 M.C Escher, Castrovalva, xilografia, 1923
Sulla mano del disegnatore c’è una sfera riflettente. In questo specchio egli vede un’immagine molto più completa dell’ambiente circostante, di quella che avrebbe attraverso una visione diretta. Lo spazio totale che lo circonda – le quattro pareti, il pavimento e il soffitto della sua camera – viene infatti rappresentato, anche se distorto e compresso, in questo piccolo disco. La sua testa, o più precisamente, il punto fra i suoi occhi, si trova nel centro. In qualsiasi posizione si giri, egli rimane il punto centrale. L’ego è invariabilmente il centro del suo mondo. (7) Quella sopra è la descrizione che Escher da alla sua tavola “Mano con sfera a specchio” realizzata nel 1935. Per la sua composizione Escher riprende a suo modo ciò che altri artisti espressero in passato in loro opere, quali “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Jan Van Eyck (1390/ 1441) del 1434, “Autoritratto allo specchio convesso” del Parmigianino (1503/1540) del 1523/24 e “Las Meninas” di Diego Velazquez (1599/1660) del 1656. Escher usando uno specchio si ritrasse immerso nel suo mondo che, attraverso lo specchio, poteva essere osservato più di quanto non sarebbe stato dal vivo. Lo specchio nelle mani di Escher è lo strumento che l’artista utilizza per indagare la struttura dello spazio che rimanendo sempre all'interno dell'illusione del disegno è capace di suggerire volumi e profondità anche dove nella realtà mancano. La non possibilità di poter distinguere ciò che è reale da ciò che è riflesso crea un
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disagio per lo spettatore che si trova davanti più mondi nello stesso tempo e nella stessa cornice.
Fig. 16 M.C.Escher, Mano con sfera a specchio, litografia, 1935
Nel 1936 Escher tornò a rappresentare un paesaggio, “Natura morta con strada”, quello che presumibilmente vedeva dalla sua finestra, e compì una magia che lasciava lo spettatore sopraffatto dalla sua stessa presenza che non sapeva dove collocare. I palazzi sono anche i libri, il davanzale è anche la strada, lo spazio cambia dipendendo dall’ occhio di chi guarda. Subito dopo il ritorno dal suo viaggio in Andalusia, le tassellature geometriche degli spazi diventarono la ossessione di Escher, dando inizio così al periodo delle Metamorfosi dal 1937 al 1945. In queste tavole meravigliose e spiazzanti i livelli di realtà continuarono a convivere, ma senza la possibilità di poter vedere contemporaneamente i mondi rappresentati, poiché questi si susseguono e si perdono uno nell’altro. Come avviene in “Giorno e notte” del 1938, dove la visione del soggetto sfuma in un altro della stessa importanza in una metamorfosi di una figura che da bidimensionale diventa apparentemente tridimensionale, dove una fa da sfondo all’altra e dove non c’è una visione più vera dell’altra. E in questa altalena dello sguardo le figure, quelle che risultano all’occhio in primo piano, sembrano diventare vive, pronte per spiccare il volo creando una plasticità illusoria che rimanda al fondo, anch’esso realizzato di sagome immobili speculari che attraverso il nostro sguardo abbandonano il piano simmetrico per anch’esse prendere vita.
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Fig. 17 M.C.Escher, Notte e giorno, xilografia, 1938
Dal 1946 iniziò per Escher il cosiddetto periodo dei quadri di prospettiva, che durerà fino al 1955 circa, cioè di paesaggi impossibili che sfumano l’uno nell’altro offrendo una pluralità di letture. In questi anni Escher sarà attivissimo nella produzione di stampe ed in crescente aumento sarà il suo successo nel mondo artistico e matematico. Come, ad esempio in “Relatività” del 1953, che rimanda inevitabilmente alla scoperta di Einstein, della quale Escher parla nel suo libro, il “Grafiek en tekeningen” : “Qui coagiscono perperdicolarmente tre livelli di forza di gravità. Tre superfici terrestri, su ognuna delle quali vivono degli uomini, s’intersecano ad angolo retto. Due abitanti di due mondi diversi non possono vivere sullo stesso pavimento, poichè non hanno lo stesso concetto di ciò che è orizzontale e di ciò che è verticale. Ciononostante possono usare la stessa scala. Sulla scala superiore procedono due persone, una accanto all’altra, nella stessa direzione. Evidentemente è impossibile che queste persone entrino in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo, l’uno non è a conoscenza dell’esistenza dell’altro.” (8)
Fig. 18 M.C.Escher, Relatività, litografia,1953
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Come dire che la conoscenza e l’accettazione di altri mondi fa la differenza: percorrere la stessa scala senza sapere di farlo o, se se ne ha la consapevolezza, trovarsi in un altro tempo su un’altra scala sapendo che tutto ciò si ribalterà nel momento in cui lo sguardo cambierà il suo punto di vista. C'è’ un quadro realizzato al termine dello stesso periodo che crea, se possibile, ancora maggiore disorientamento allo spettatore: è “Galleria di stampe” del 1956. La scena rappresenta un giovane che osserva un dipinto raffigurante una scena marittima in una galleria d’arte. La scena marittima a sua volta contiene l’ambientazione in cui lui e la galleria stessa esistono. Lo spazio ed il tempo si confondono fino all’infinito. L’idea dietro a questo dipinto è di rappresentare la proiezione infinita di un’immagine, ma è possibile che questo obiettivo sia stato impossibile anche per Escher, che, lasciando nel centro dell’opera uno spazio in bianco dove apporrà la sua firma, lascia l’immagine, seppur sconvolgente, anche non apparentemente ultimata. Come non pensare alla recente rivelazione, all’epoca, enunciata da Godel (1906/1978) nel suo teorema dell'incompletezza della Matematica?
Fig. 19 M.C.Escher, Galleria di stampe, litografia, 1956
Escher, dopo il 1950 manifesterà in modo molto esplicito la sua passione per i poligoni di lontana memoria platonica, grazie ad un suo amico geologo che gli offrì l’opportunità di osservare da vicino dei cristalli. Già Escher conosceva i miracolosi poliedri descritti nel Timeo da Platone e decise di esplorarne le possibilità artistiche, dopo averli contemplati come gemme preziose dell’Universo, massima espressione dell'armonia e della perfezione in virtù della loro eccezionale simmetria: “Molto tempo prima dell'apparizione dell'uomo sulla terra nella crosta terrestre crescevano i cristalli. Un bel giorno un essere umano vide per la prima volta un così risplendente frammento regolare, o forse lo colpì con la sua ascia di pietra, esso si ruppe e cadde ai suoi
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piedi: lo raccolse e lo esaminò tenendolo nella mano aperta e si meravigliò. Nei principi fondamentali dei cristalli c'è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana. Semplicemente essi 'sono', esistono indipendentemente da noi. In un attimo di lucidità, l'uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto. Essi simbolizzano il desiderio di Armonia e di ordine dell’uomo, ma nello stesso tempo la loro perfezione desta in noi il senso della nostra impotenza. I poliedri regolari non sono invenzioni della mente umana, perché esistevano molto tempo prima che l’uomo comparisse sulla scena.Questo piccolo meraviglioso cristallo ha milioni di anni. C'era già molto tempo prima che apparissero forme viventi sulla terra”. (9) Fra tutte le opere, “Planetoide tetraedrico”del 1954 è la rappresentazione di un pianeta dalla forma di un tetraedro regolare costellato di terrazze ospitanti un villaggio con le sue case, le sue piazze, i suoi giardini e le sue chiese. ”Planetoide tetraedrico” è un mondo unico, ma nel percorrerlo offre un punto di vista sempre nuovo su se stesso, come se in un unico sguardo volesse rivelarci tutto quello che nasconde sotto, sopra, di fronte,… in ogni spazio ed in ogni tempo. E impossibile non ricordare anche gli studi che Escher fece sul “Nastro di Möbius” (forma già incontrata precedentemente) che è una particolare costruzione topologica che quando viene torta di mezzo giro, risulta essere munita di una sola faccia con un solo margine, un solo lato, senza sotto e senza sopra. Escher realizzò diverse opere utilizzando questa forma che pare impossibile, ma esiste, una delle quali è “Striscia di Möbius II”, dove una processione di formiche percorre il nastro di Möbius sull’unico lato-superficie esplorabile.
Fig. 20 C.M.Escher, Striscia di Moebius II, xilografia, 1963
Oltre agli insegnamenti di Coxeter, Escher ebbe modo di entrare in contatto con altri matematici durante il Congresso Internazionale dei Matematici nel 1954, in cui gli fu chiesto di intervenire e dove un giovane studente in matematica rimase molto impressionato da quanto esposto dall’artista, l’inglese Roger Penrose (1931). Questi inviò a Escher, poco tempo dopo, la copia di un articolo, scritto insieme al padre per una importante rivista inglese, che trattava di oggetti impossibili e rendeva omaggio all’ artista. L’ormai matematico ed artista d’eccellenza rimase impressionato da due illustrazioni presenti nell’articolo: una rappresentava una rampa di scale che portava verso il basso e verso l'alto in contemporanea e l’altra era un triangolo impossibile. Da notare che il triangolo impossibile era già stato 91
scoperto da un artista svedese Oskar Reutersvärd (1915/2002) nel 1934, senza che questi avesse cognizioni matematiche; questi scoprì che il triangolo impossibile potesse esistere solo come rappresentazione bidimensionale senza poter essere costruito nello spazio tridimensionale. Escher oltre ad esprimere stupore per le due illustrazioni, si mise al lavoro e realizzò diverse opere seguendo lo schema enunciato da Penrose. Una delle più emblematiche è “Salire e scendere” del 1960, dove figure umane semplificate, tutte uguali, salgono e scendono in continuazione una scala, inconsapevoli di percorrere un percorso chiuso trovandosi infatti in una costruzione paradossale, creando una illusione sia ai soggetti ritratti che allo spettatore.
Fig. 21 C.M.Escher, Salita e discesa, litografia, 1960,
"Le idee che stanno alla loro base derivano dalla mia ammirazione e dal mio stupore nei confronti delle leggi che regolano il mondo in cui viviamo. Chi si meraviglia di qualcosa si rende consapevole di tale meraviglia. Nel momento in cui sono aperto e sensibile nei confronti degli enigmi che ci circondano, considerando e analizzando le mie osservazioni, entro in contatto con la matematica. Anche se non ho avuto un'istruzione o conoscenze in scienze esatte, mi sento spesso più vicino ai matematici che ai miei colleghi artisti" (10) (M.C.Escher, Grafica e disegni, Taschen, Köln 1992, p. 6). 92
Possiamo affermare che il legame tra Escher e la Matematica è indissolubile ed incontestabile perché dietro ogni sua opera c’è sempre un grande studio matematico. Il suo percorso di ricerca per giungere alla comprensione delle regole di costruzione dei suoi disegni non è andato perso, in quanto custodito nei suoi fitti appunti e disegni raccolti in una serie di semplici quaderni di scuola i cui quadretti lo aiutarono a tracciare le griglie dei tasselli elementari delle sue figure, fissare i suoi schizzi ed esprimere le sue idee tramutate in opere grafiche. In una delle pagine Escher annotò anche una citazione del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883/1955) : "È impossibile capire bene gli essere umani se non ci si rende conto che la matematica scaturisce dalla stessa fonte della poesia, cioè dal dono dell'immaginazione". (11) Dai quaderni e dalle sue opere si evince che queste hanno un unico comune denominatore matematico e che Escher pose la sua attenzione soprattutto sulle geometriche tassellazioni bi e tridimensionali dello spazio, sulla realtività, sull’ “effetto Droste”, sulle figure topologiche, sull’illusione ottica e sullo sviluppo infinito delle forme, anticipando l’arte frattale. Le tavole di Escher risultano ambigue, impossibili e assurde perché si basano su paradossi percettivi che non sono di natura fisica ma logica. Mostrano che la realtà delle cose non esiste, non è oggettiva, ma viene strutturata in base ai bisogni specifici di chi la osserva. Le sue opere rivelano la molteplicità dell'esistenza che fluttua su più piani del reale, talvolta opposti e inconciliabili, e quindi forieri di molteplici verità. Escher possedeva una genuina meraviglia e curiosità per le Leggi che governano il mondo ed aveva la consapevolezza forte delle infinite possibilità artistiche che queste offrivano, facendo si che diventasse un vero ponte tra l’Arte e la Matematica.
4.3. AVANGUARDIE MATEMATICHE Per alcuni secoli dopo il tardo Rinascimento le strade dell’Arte e della scienza presero strade diverse, ma all’aurea proporzione per la composizione delle loro opere faranno ricorso sempre tantissimi artisti, soprattutto gli impressionisti. Uno tra tutti Seurat (1859/1891), costantemente impegnato nella ricerca scientifica e matematica nel comporre le sue opere. In, “Una domenica pomeriggio sull'isola della grande Jatte” (1883/85), Seurat, oltre alla sua esclusiva innovativa tecnica puntinista, sviluppa la sua opera con cognizioni rigorosamente scientifiche attraverso accurati calcoli per la disposizione delle figure che sembrano essere legate tra loro secondo un ordine preciso dettato dalle regole della proporzione aurea. Inoltre, il movimento pittorico impressionista aveva già compiuto una grande rivoluzione nell’Arte quando l’artista, pur continuando a rappresentare la Natura, le cose del mondo, gli alberi, le case, le persone nelle rinnovate città, non rappresentava più nulla di concreto, di tangibile, ma una sua esclusiva impressione del reale facendolo con la luce. E queste nuove visioni apriranno una breccia profonda che pian
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piano porterà l’Arte ad abbattere il muro della rappresentazione, della concezione del processo artistico e l’idea del supporto inteso esclusivamente come tela.
Fig. 22 Georges Seurat, Un_dimanche_après-midi_à_l'île_de_la_Grande_Jatte, 1883/85, olio su tela 2,08 m x 3,08 m, Art Institute of Chicago (1926–1958), Art Institute of Chicago
E impossibile, inoltre, non ricordare l’ invenzione della fotografia, che nacque con intenti scientifici di documentazione e catalogazione di eventi o esseri naturali e che fu presentata la prima volta all’Accademia delle Scienze e non delle Belle Arti come uno strumento di ausilio alle ricerche scientifiche. Alla prima foto “Vista dalla finestra a Le Gras” del 1826 realizzata da Joseph Nicéphore Niépce (1765/1833), studioso della sensibilità della luce e della chimica, ne seguirono altre a profusione e ben presto gli artisti si resero conto che quella invenzione utilizzabile dalla scienza, avrebbe potuto infierire un colpo quasi mortale alla pittura. Ma proprio all’interno dello studio di un fotografo, Felix Nadar (1820/1910), amico dei pittori parigini, fu realizzata nel 1874 la prima mostra impressionista al mondo. Gli artisti impressionisti seguirono l’influenza del fotografo Nadar e si avvicinarono alla fotografia adottando nelle loro composizioni nuove inquadrature e iniziando ... a dipingere con la luce. Di fondamentale importanza per l’Arte è la figura di Cézanne (1839/1906), il traghettatore dell’Arte verso le Avanguardie artistiche del ‘900, che nella sua ricerca della forma pura ed essenziale e dal suo tentativo di ridurre ogni cosa alle forme classiche del cilindro, del cono e della sfera, giunse alla conclusione che le figure geometriche esprimono la forma astratta ed essenziale degli oggetti concreti e per questa via scoprì l’essenza matematico-geometrica di ogni cosa. Un percorso verso l’astrazione, verso l’abbandono della mimesi, verso un’Arte sempre più matematica. Proprio negli stessi anni in cui gli artisti decostruivano le immagini pittoriche in punti colorati ed in forme geometriche essenziali, i matematici e i fisici decostruivano le curve geometriche 94
in funzioni sinusoidali e gli atomi materiali in particelle elementari. Mentre il mondo matematico subiva importanti trasformazioni nelle sue fondamenta con le scoperte delle geometrie non euclidee, della relatività, dello spazio-tempo (la quarta dimensione), e quella della sua incompletezza, l’Arte assorbiva ogni novità e si proiettava verso nuovi linguaggi intorno alle nuove visioni del mondo senza più necessità di rappresentazione. L’Arte, già decollata verso nuovi orizzonti anche grazie all’invenzione della fotografia e poi del cinema, abbandona anch’essa le sue certezze ed i suoi limiti strutturali e si appresta alla sua stessa trasformazione di idee, strumenti e senso, svelando anch’essa la dinamica essenza del divenire dietro la statica apparenza dell'essere, da manifestare anche nelle opere d’Arte del nuovo secolo. 4.3.1 PABLO PICASSO E viene ad hoc un episodio avvenuto all’inizio del secolo a dimostrazione di quanto sia profondo il legame tra Arte e Matematica, tra una idea di un artista ben radicato nel suo tempo e quella di uno scienziato sempre pronto a mettere in discussione il conosciuto. Nel 1902 uno dei più famosi matematici dell’epoca, il francese Poincaré (1854/1912), pubblicò il suo libro, “La Science et l’hypothèse” dove affrontava il tema della simultaneità e la necessità di un approccio non euclideo alla geometrizzazione del mondo fisico. Il mondo matematico era in fermento e quello dell’Arte non disdegnò le sfide. Nel 1905 quasi in simultanea e non conoscendosi, due giovani di 26 e 25 anni, Albert Einstein (1879/1955), e Pablo Picasso (1881/1973), il primo con un articolo ed il secondo iniziando il suo quadro “Les Demoiselles d'Avignon”, affrontarono il medesimo problema della simultaneità degli eventi nell’universo. Picasso smontò il sistema percettivo spazio temporale finora adottato dalla pittura accademica, sulla base delle regole della rappresentazione prospettica, rompendo l’idea di un unico punto di vista per proporne tanti quante sono le postazioni degli spettatori e dipendendo anche dal tempo della loro visualizzazione. Dal canto suo Einstein nel suo articolo sulla “Elektrodynamik bewegter Körper” (“Elettrodinamica dei corpi in movimento”) spiegò la sua idea per cui il tempo dipendendo dallo stato e dal moto dell’osservatore, non può più essere sincronizzato da un unico punto di vista. L’articolo unifica parzialmente la meccanica e l’elettrodinamica e manda definitivamente in frantumi la concezione classica del tempo e la sua relazione con lo spazio. Tanto quanto, in contemporanea, stava facendo Picasso con l’Arte con le sue “Madamoiselles” mandando in frantumi la concezione dello spazio nell’Arte classica per avviare una rivoluzione nell’Arte figurativa, interpretando e partecipando alle scoperte del nuovo millennio ed allo spirito del suo tempo alle prese con la critica alla concezione newtoniana dello spazio e del tempo. Due approcci completamente diversi, l’intuizione poetica di un’artista e l’elaborazione analitica di uno scienziato, partirono dalla medesima fonte di ispirazione (il pensiero del matematico Poincarè) per giungere allo stesso risultato che non ammetteva sistemi di riferimento privilegiati, poiché la simultaneità non esiste! Einstein e Picasso, tra il 1905 e il 1907, scoprirono il concetto di relatività. Il primo, attraverso il principio di relatività galileiano e gli studi sull’invariabilità della velocità della luce, compì una rivoluzione nel campo della fisica e della matematica ed il secondo, Picasso, compiendo anch’esso una rivoluzione nel campo dell’Arte attraverso un 95
nuovo modello geometrico, conferendo piena dignità artistica alle opere pittoriche del ‘900, non più rappresentative, senza palco prospettico e senza più canoni da rispettare.
Fig. 23 Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907, olio su tela 2,44 ×2,38 m., Museum of Modern Art of NYC
Gli artisti del nuovo secolo, il XX, grazie alle nuove scoperte, che rivoluzionarono i tradizionali paradigmi con i quali si interpretava la realtà, ed attraverso il loro rifiuto più o meno radicale dei valori delle società esistente e dell'Arte del passato, tramite la ricerca e la sperimentazione di nuove forme e tecniche espressive, rigettarono completamente le regole finora imposte dalla tradizione accademica e dal senso comune assegnato all’Arte. Qualsiasi fosse il movimento di appartenenza per la nuova Arte, invocata e percorsa da tutte le Avanguardie, gli artisti si cimentarono con l’uso delle nuove tecnologie (fotografia e cinema), misero in crisi il concetto di rappresentazione e di prospettiva, accolsero la tendenza riduzionista atta ad arrivare all’individuazione degli elementi primi ed essenziali del soggetto,
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elaborarono non più un’Arte d’imitazione ma di pensiero e misero in crisi la manualità nella produzione dell’Arte (ready-made) a favore dell’idea portatrice dell’opera. Abbiamo visto Picasso, all’epoca iniziatore con Braque (1882/1963) del movimento cubista, rappresentare sulla superficie piana della tela lo spazio e gli oggetti, poligoni intersecanti nelle loro molteplici sfaccettature secondo una simultaneità di visioni e prospettive, ed ora analizzeremo alcuni artisti, operanti in quel periodo meraviglioso di intensa trasformazione, che, più di altri, nelle loro opere hanno espresso con originalità il cambiamento stesso, legato alle Leggi Matematiche anch'esse in discussione. Molti artisti approdarono all’astrattismo, all’essenzialità di segni, altri al recupero delle ideali proporzioni, altri ai poliedri. Anche chi, inconsapevolmente, approdò alla geometria frattale, chi alle figure impossibili, chi all’utilizzo della sequenza di Fibonacci o di singole cifre utilizzate come soggetto e chi fu pioniere dell’Arte Optical. C’è l’imbarazzo della scelta,… 4.3.2 KAZIMIR MALEVIC Kazimir Malevič (1879/1935), fondatore del movimento Suprematista, con la sua pittura astratta e geometrica ridurrà al massimo la sua pittura nella ricerca ossessiva di forme assolute, liberate da ogni rappresentazione e necessità di descrizione, per giungere ad opere dove primeggiano solo geometrie primitive o tele monocrome. Esempi emblematici sono “Quadrato nero”del 1915 e “Quadrato bianco su fondo bianco” del 1919. Da ricordare quando Malevič, esponendo la prima volta il “Quadrato nero” a San Pietroburgo nel 1915 nell’“Ultima mostra futurista 0.10”, provocò un vero e proprio scandalo, collocando il dipinto nell’angolo alto della sala. Con questo atto Malevič intese richiamare volutamente le icone sacre della tradizione russa, sistemate in questa posizione nella casa di ogni russo, stabilendo così la supremazia della pittura pura, scevra da ogni implicazione col reale, che trovava così in quel momento storico la sua corretta collocazione. Fu un atto coraggioso, un azzeramento dell’Arte nella continua ricerca di strade e linguaggi nuovi, proprio come in quegli anni accadeva in ambito matematico, dove matematici-logici sognavano una nuova partenza per la somma disciplina assiomatizzando il suo stesso linguaggio per restaurare la sua insostituibile grandezza conoscitiva.
Fig. 24 K. Malevic, Quadrato nero, 1915, esposizione “ ULtima mostra futurista 0.10, Leningrado nel 1915
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4.3.3 GIACOMO BALLA I futuristi, vincolati dalla loro apologia del movimento e della velocità, utilizzarono anch’essi nelle loro opere le forme geometriche ripetute come frame ipotetici, ad indicare il movimento con le variazioni che questo comporta. Fra tutti Giacomo Balla (1871/1958) che, diversamente dagli altri futuristi, non era interessato alle macchine e alla violenza, e prediligeva temi più poetici, come in “Dinamismo di un cane al guinzaglio” (1912), dove le zampe e la coda del cane in movimento si susseguendosi come vibrazioni nello spazio che percorrono. Inoltre, è importante ricordare Balla per un altro suo dipinto che ha a che fare con la recente teoria della relatività. Il 7 novembre del 1914 si verificò un fenomeno astronomico molto raro, cioè il passaggio del pianeta Mercurio davanti al Sole a cui Balla potè assistere grazie alla strumentazione ottica in suo possesso. Il suo dipinto “Mercurio passa davanti al Sole” (1914) rappresenta quella coincidenza verificatasi nel cielo ed osservata sia con l’occhio umano che attraverso una lente potente. Il risultato è un’opera astratta composta da varie figure geometriche inserite in un contesto a spirale col risultato finale di un effetto di dinamismo. Sarà certamente una coincidenza, ma proprio le osservazioni sul moto del pianeta Mercurio e la deviazione dei raggi delle stelle in prossimità Fig. 25 G.Balla, Mercurio passa davanti al sole, 1914
del Sole sono state le prove sperimentali per la scoperta della relatività generale di Einstein. Quando si dice che l’Arte e i calcoli matematici scoprono insieme! 4.3.4 PIET MONDRIAN Impossibile tralasciare l’opera dell’olandese Piet Mondrian (1872/1944), che iniziò la sua pittura con tele di stampo impressionista, poi si avvicinò al neo-espressionismo di Van Gogh, deviando al fauvismo per approdare al cubismo. Ma dopo la fascinazione per la visione tridimensionale sulla superficie piatta, ben presto si allontanò anche da questo movimento artistico per crearne, insieme al pittore anch’egli olandese Theo van Doesburg (1883/1931), uno nuovo, De Stijl (Neo-plasticismo), per un’Arte astratta, costituita di geometrie essenziali senza sovrastrutture decorative. De Stijl poggiava sull'idea anche 98
filosofica di raggiungere, utopisticamente, un equilibrio e un'armonia, non solo nell'Arte, ma anche nella società, affinché questa un giorno potesse arrivare a riflettere sul mistero e l'ordine dell'Universo, che ha le forme geometriche ed i numeri a suo fondamento. Le composizioni di Mondrian si basavano sugli elementi della linea, del piano, dei rettangoli ritmici e dei colori primari. Nascevano coprendo la tela con delle strisce di carta posizionate verticalmente e orizzontalmente a formare quadrati o rettangoli. L’artista spostava poi le strisce fino a quando la composizione non raggiungeva l’equilibrio cercato; la proporzione perfetta si otteneva quando tutti gli elementi del sistema (compreso il colore) si bilanciavano armoniosamente. A quel punto Mondrian si armava dei colori primari scelti e dei pennelli adatti per stendere il colore. Per questo suo metodo di ricerca della proporzione aurea e dell’armonia dell’opera, Mondrian riteneva che i suoi dipinti non si potessero definire geometrici, ma frutto di puro calcolo matematico. Il quadro preso in esame è “Composizione con rosso, giallo e blu” del 1929 dove una linea nera orizzontale si incrocia con una verticale creando rettangoli a loro volta divisi da due segmenti. Tre rettangoli così generati sono riempiti dai colori primari giallo, rosso e blu (gli unici che Mondrian utilizzava insieme al bianco, al nero ed al grigio), che simbolicamente per lui avevano come significante rispettivamente l’energia solare, l’unione tra luce e spazio e la spiritualità.
Fig. 26 P.Mondrian, Composizione giallo blu rosso, 1929
4.3.5 MAGRITTE Nel 1892 il matematico tedesco Gottlob Frege (1848/1925) con la pubblicazione del trattato “Uber sinn und bedeutung” (“Sul senso e significato”), sulla natura e sul senso della 99
matematica e del suo linguaggio, scagliò una bomba nella comunità matematica aprendo di fatto la crisi dei suoi fondamenti, così in seguito definita. Per un matematico un numero è un oggetto reale (seppur solo mentale, pura idea), ma non essendo soggetto alla verifica dei sensi, necessita di essere rappresentato e per la sua trasformazione-manipolazione il matematico opererà interventi sulla sua rappresentazione e non sull’oggetto stesso. Per esempio, se prendiamo l’oggetto astratto matematico “retta”, questo può essere rappresentato seguendo diversi metodi: quello linguistico, verbalizzando “retta”; quello algebrico, con la formula ax + by +c = 0, quello figurale disegnando una retta, … . In filosofia queste vengono identificate come idee sull’oggetto, immagini delle cose che copiano o rappresentano il reale. A ciò si deve aggiungere una distinzione da fare tra l’oggetto stesso e le azioni intellettuali e psichiche da compiere per il suo riconoscimento. Nel vortice di queste profonde considerazioni si inserì l’artista pittore belga René Magritte (1898/1967) con le sue riflessioni sulla natura del linguaggio dell’Arte e sul senso del rapporto tra significato e rappresentazione. Tali sue riflessioni diventarono esse stesse sue opere d’arte che aprirono la strada all’Arte concettuale, che solo decenni dopo fece la sua apparizione nel panorama artistico. La più famosa “riflessione” e opera tangibile fu “La Trahison des images” (Il tradimento delle immagini), la prima realizzata nel 1929, più conosciuta come “Ceci n'est pas une pipe” , (Questa non è una pipa), come scritto nel dipinto stesso. “Chi oserebbe pretendere che l'immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa” (12)
Fig. 27 R.Magritte, Ceci n'est pas une pipe, 1929, olio su tela 63,5× 93,98 cm, County Museum of Art, Los Angeles
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Magritte in questa opera pionieristica propone della pipa la definizione visiva e quella verbale, alle quali se ne possono aggiungerne altre a seconda della capacità di rappresentazione, perché quella rimarrà comunque solo una rappresentazione di un oggetto reale, che a sua volta diventerà oggetto stesso. Una pipa è un oggetto, il dipinto che rappresenta una pipa si fa anch’esso oggetto sotto le mani manipolatrici dell’artista. L’opera porta in sé un’altra riflessione sulla complessità del linguaggio mettendo in risalto la differenza tra la caratteristica di tangibilità e consistenza che ha il mondo della realtà di cui invece è priva quello dei segni. Tipica riflessione e condizione degli ambienti matematici sempre a che fare con simboli, segni, astrazioni, idee, tutti elementi immateriale con cui lavorare. A differenza della totalità dei surrealisti, Magritte non svolse la sua indagine attraverso i sogni e le pulsioni umane, ma propose la lucidità di uno sguardo chiaro ed onesto capace di penetrare la realtà senza illusioni e scorciatoie: il mondo è complesso e necessita di strumenti idonei per la sua indagine e comprensione, senza esclusione delle componenti del mistero che rimandano a problematiche proprie della ricerca sulle Leggi dell’Universo tutto. A questo proposito Magritte omaggiò anche il supremo Euclide, con un dipinto “Les promenades d’Euclide”, 1955 (Le passeggiate di Euclide) dove rappresentò un paesaggio visto da una finestra dove non si intende cosa sia posto in primo piano essendo probabilmente noi stessi anche facenti parte del quadro stesso. Il cavalletto, poi, creato con due parallele, sembra alludere al famoso problema del suo V° postulato.
Fig. 28 R.Magritte, La Promenade d'Euclide, 1955, olio su tela, Minneapolis Institute of Art, Minneapolis
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L’idea di Magritte, come già detto, ebbe largo seguito, tutt’ora persistente, tra gli artisti a partire dagli anni ‘60 col suo capostipite, l’americano Joseph Kosuth (1945), che nel suo saggio “Art after Philosophy” (1969) affermò che l’Arte “è analoga a una proposizione analitica” (13), è la ripetizione di una affermazione vera senza che questa porti informazioni nuove significative. Con questa impostazione teorica, Kosuth supererà anche l’idea della dematerializzazione dell’Arte e si avvicinò al rigore delle filosofie del linguaggio e della logica. In questa prospettiva l’Arte si separò dall’estetica intesa come emozione e sensazione per farsi essa stessa interrogazione sulla sua stessa natura. Una delle opere di Kosuth è l'esatta riproposizione della pipa di Magritte, presentata come installazione nel 1965 dal titolo “One and Three Chairs”.
Fig. 29 Joseph Kosuth, One and Three Chairs (Una e tre sedie), 1965
L’oggetto presentato questa volta è una sedia e la sua rappresentazione si manifesta con tre registri differenti: con la descrizione dell’oggetto tratta da un dizionario, con la sua fotografia e con la sua stessa esibizione. Kosuth pensava che fare Arte significava creare significato ed in questa sua opera si muove su tre livelli di realtà, utilizzando tre linguaggi diversi per riflettere sul significato “sedia”. Un’altra sua opera che invece “si spiega da sola” è “Neon electrical light English glass letters yellow eight” (1965) ( otto lettere inglesi illuminate dalla luce gialla del neon) in quanto il contenuto di quest’opera è descritto nel titolo. Si tratta, cioè, di un riferimento autonimo, il cui “senso” è il riferimento a sé stesso, come accade sempre per la maggior parte dei segni e simboli della Matematica.
Fig.30 Joseph Kosuth, Neon electrical light English glass letters yellow eight, 1965
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4.3.6 SALVADOR DALI’ Chi direbbe che quel visionario di Salvador Dalì (1904/1989) avesse studiato matematica per realizzare le sue opere? A tutto fanno pensare le sue straordinarie fantasie oniriche, tranne a ciò che di più razionale esiste al mondo. Ma tant’è, Dali studiò le regole stabilite nelle Leggi del Mondo e le esibiva sulle sue tele. Era amico di un matematico rumeno Matila Ghyka (1881/1965) che lo indusse a studiare il trattato di Pacioli sulla proporzione divina e l’opera geometrica di Durer; negli anni prese anche lezioni di geometria ed approfondì il tema della quarta dimensione con il matematico americano Thomas Banchoff (1938). I risultati dei suoi studi non si fecero attendere e sulle sue tele apparvero la rappresentazione dei suoi sogni regolati da precisi calcoli e proporzioni. Sono moltissime le opere in cui Dalì manifesta le sue conoscenze matematiche e geometriche, e la prima che mi preme prendere in esame è “La Leda atomica” del 1949: il dipinto fa riferimento alla figura mitologica di Leda, una donna amata da Zeus, che nel dipinto è incastonata con un cigno in un pentagono pitagorico, al cui interno è stata inserita una stella a cinque punte (di cui Dalí ha realizzato diversi schizzi), i cui vertici simboleggiano i semi della perfezione: amore, ordine, luce (verità), forza di volontà e parola (azione). Il dipinto è quindi organizzato nel rispetto della più accurata proporzione aurea, che dona all’opera stessa quell’armonia tanto ricercata da Dalì, che riteneva che qualsiasi opera d'arte, per essere tale, dovesse essere basata sulla composizione e sul calcolo. “Leda atomica” fu eseguita dopo lo sgancio della bomba atomica di Hiroshima, ed allude al fascino che Dalì subiva per un’era atomica, da lui intesa come un tempo in cui le cose risultano sospese a causa della repulsione tra protoni ed elettroni. Si nota quindi l’interesse di Dalì anche per le teorie fisiche-matematiche da pochi anni in essere.
Fig. 31 S.Dalì, Schizzo per il dipinto Leda Atomica, 1949
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Un altro dipinto fondamentale a dimostrazione del vivo interesse di Dalì per la Matematica è “Crocifissione, corpo ipercubico” del 1954, che è la rappresentazione di una crocifissione del Cristo su una croce impossibile da vedere per noi bloccati nella terza dimensione. Si parte da un punto, dimensione “zero”, come Euclide ci insegnò (“Punto è ciò che non ha parti”), per aggiungerne un altro e trovarsi nella dimensione “uno” (la retta); ipotizzando poi una dimensione superiore si giunge alla “seconda” nella quale un segmento genera un quadrato e di seguito alla “terza” dove si genera un cubo per trovarsi nel mondo conosciuto. Chi può impedire di andare oltre? A Dalì interessò continuare la ricerca per conoscere anche la “quarta” dimensione ed ipotizzò questo mondo misterioso dove il cubo tridimensionale per continuità genera un ipercubo di dimensione “quattro” che ha 8 cubi come “facce” e che si può vedere come un ipercubo quadridimensionale (4D) "aperto" in 3D. La fantasia non manca agli artisti e nemmeno ai matematici, quindi Dalì, avendo compiuto i suoi studi sulla “quarta dimensione” col professore americano si lanciò nell’avventura pittorica di esprimerla sulla tela, dimostrando la sua indiscussa abilità pittorica e le sue competenze in campo matematico che il titolo dell’opera rivela. Non più solo, dunque, un Cristo che si manifesta in altri mondi, idea che fece condannare Giordano Bruno, ma un Cristo redentore in un mondo a multiple dimensioni.
Fig. 32 S.Dali, Corpus Hypercubus, 1954, olio su tela 194,4 x 123,9 cm., The Metropolitan Museum of Art, New York,
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Un altro dipinto significativo che offre richiami alla quarta dimensione è “Ultima Cena” realizzato nel 1955, nel quale Dalì ripropone la scena, simile a quella di Leonardo da Vinci, incastonata però dentro un dodecaedro regolare. Oltre alla esecuzione perfetta, all’atmosfera mistica che esprime, il quadro è intriso di matematica e simboli: lo studio prospettico è ineccepibile, 12 sono gli Apostoli come 12 sono le facce pentagonali del dodecaedro emblema platonico della perfezione dell’Universo. Il numero, però che maggiormente risalta dalla tela è Φ, il magico numero 1,6180339887..., (rapporto aureo) che viene profuso in ogni parte del quadro, in ogni rapporto che lega il lato del pentagono al cerchio circoscritto, in ogni piega della tovaglia, anche nelle dimensioni della tela stessa (167×268 cm ). La figura del Cristo immersa nella struttura matematica del dipinto è proiettata da una vita terrena a tre dimensioni a quella più elevata a quattro o più dimensioni, tante quante Dalì ne ha saputo “vedere” e vivere attraverso lo studio delle Leggi matematiche e la conduzione della sua intensa poliedrica vita.
Fig. 33 S.Dali, Ultima Cena, 1955, olio su tela 2,67 x 1,67 m., National Gallery of Art di Washingto
Ma della “Quarta dimensione” si occuparono, ben prima di Dalì, anche i futuristi ed i cubisti tutti, che nella loro compagine avevano un matematico che iniziò i pittori del movimento a raccogliersi intorno alle nuove scoperte di inizio secolo: Maurice Princet (1875/1973). Questi fece conoscere agli artisti del gruppo le teorie di Poincaré che esprimevano il concetto di “quarta dimensione”, che nel 1903 furono rese più accessibili e comprensibili da un piccolo elementare trattato redatto da un altro matematico Esprit Jouffret (1837/1904) dal titolo “Traité élémentaire de géométrie à quatre dimension” (Trattato elementare sulla geometria delle quattro dimensioni). L’autore descrisse e disegnò ipercubi ed altri poliedri complessi in quattro dimensioni “proiettandoli” sulle pagine bidimensionali del suo testo. Guillaume 105
Apollinaire (1880-1918), il teorico del movimento cubista, scrisse, prima in un articolo in una rivista parigina, e poi nel suo libro del 1913 “I pittori cubisti. Meditazioni estetiche”, il manifesto del Cubismo stesso : “Sinora le tre dimensioni della geometria euclidea hanno soddisfatto l’inquietudine che il sentimento dell’infinito suscita nei grandi artisti. I nuovi pittori non si sono certo proposti, più degli antichi, di essere geometri. Ma si può dire che la geometria è per le arti plastiche ciò che la grammatica è per l’arte dello scrittore. Oggi gli scienziati non si attengono più alle tre dimensioni euclidee. I pittori sono stati portati naturalmente, e per così dire intuitivamente, a preoccuparsi delle nuove possibilità di misurare lo spazio che, nel linguaggio figurativo dei moderni, sono indicate con il termine di quarta dimensione”. (14) Ancor prima della pubblicazione del testo di Esprit Jouffret e sicuramente dopo, tutti i pittori della cerchia cubista eseguiranno le loro opere avendo ben in testa e nella punta del pennello la volontà di proporre una vera esperienza di quarta dimensione. Fra tutti “Ritratto di Ambroise Vallart” del 1910 di Picasso che dichiarerà voler espressamente rappresentare la 4° dimensione in questa sua opera e “Nudo che scende le scale n.2” di Marcel Duchamp del 1912.
Fig. 34 M.Duchamp, Nudo che scende le scale, 1912, olio su tela 147×89,2 cm, Philadelphia Museum of Art
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4.3.7 MARCEL DUCHAMP Anche l’artista francese, geniale personaggio dalla infinita creatività, dichiarò voler ingabbiare la 4° dimensione per la sua signora intenta a muoversi tra gli scalini in tempi e spazi indeterminati, spingendo lo sguardo oltre il tempo e lo spazio bloccato dalla superficie della tela. Anche Marcel Duchamp partecipò agli incontri col “matematico dei cubisti” e quando si allontanò dal movimento, (o ne fu allontanato) continuò le sue ricerche sul fronte della nuove scoperte sullo spazio, sul tempo e sulle geometrie non euclidee. La quarta dimensione, ciò che non si vede nonostante sia reale, sarà il pensiero fisso che mosse Duchamp nelle sue opere. Nell’installazione “Porte, 11 di rue de Larrey” del 1927, presentò una porta che alternativamente apriva o chiudeva contemporaneamente due ambienti distinti e separati. E’ una porta che non delimita una zona di confine, ma che lascia aperta ogni comunicazione tra due diverse possibilità di essere, dove abitualmente siamo e dove solo riusciamo vagamente ad intuirci. L’intento di Duchamp era quello di condurre l’attenzione dello spettatore verso una conoscenza più ampia, dove lo spazio quadridimensionale diventa il luogo di nuove possibilità. Ripropose il tema nell’opera sua più significativa, quella che concentra tutta la sua poetica, “La Mariée mise à nu par ses célibataires, même”, detta anche “Grande Vetro", iniziata nel 1915 e per suo dire mai terminata. L’opera intesa come un organismo occupante uno spazio che lo accoglie e che vicendevolmente si condizionano è di vetro trasparente e divisa in due parti, una superiore dedicata alla sposa ed una sottostante dedicata ai nove scapoli, già a formare due mondi! La luce filtra occupando tutti gli spazi, anche quelli all’occhio umano impercettibili, e grazie al vetro i tanti soggetti del quadro, pur rimanendo gli stessi, aprono a prospettive e visioni diverse a seconda della sensibilità dell’osservatore e dallo spazio da lui occupato. Appaiono all’osservatore cose che sembrano giungere da un racconto che si dipana dentro e fuori il vetro, non dimenticando che la realtà vera è sfuggente, indefinibile e in continuo divenire, manifestandosi in un’altra sfera, in una dimensione che ancora facciamo fatica a comprendere. Duchamp, l’artista che più di ogni altro ha dato uno scrollone determinante a tutta la concezione dell’Arte fino ad allora in essere, colui che riteneva le idee essere libere dalla misurazione dei sensi e parte integrante della 4° dimensione, attraverso le sue opere prefigurò e promise l’esistenza d’un nuovo genere di tempo, di spazio, di sensibilità e di ragione, introducendo nella realtà un nuovo sistema di valori, capace di ampliare la visione fino alla dimensione dell’infinito, nell’immensità degli spazi senza tempo.
Fig. 35 Rrose Sélavy, Marcel Ducham, Mariée mise à nu par ses célibataires, même, più nota come Le Grand Verre ( Il grande vetro), 1915/1923, installazione 277×176× 8,6cm , Philadelphia Museum of Art, Philadelphia
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Lasciando un po' da parte gli artisti che si sono dedicati a creare le loro opere sotto la spinta delle ricerche fisico-matematiche di inizio ‘900, ne contempliamo altri che hanno utilizzato per le loro opere i segni della Matematica come espressione d’Arte, senza nessuna implicazione di significato o volontà di comprendere alcunché. Furono molti gli artisti che assunsero le cifre, i numeri, come fonte di ispirazione e tra questi c’è, ancora una volta, Giacomo Balla, che seppur attratto dalla matematica, compì questa escursione pittorica priva di contenuto matematico, ma ricca di valore artistico. Il dipinto è “Numeri innamorati“(1924) in cui, volendo proprio andare a cercare tra le cifre dipinte, possiamo vedere una sorta di sequenza di Fibonacci inebriata dall’amore, dove il “due” (che non c’è) viene raddoppiato e si presenta come un “quattro”: del resto l’amore moltiplica per due!
Fig. 36 G.Balla Numeri innamorati, 1924
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4.3.8 ROMAN OPALKA Roman Opałka (1931/2011), pittore polacco, decise in un giorno lontano del 1965 di dare inizio alla sua grande opera che lo avrebbe impegnato tutta la vita: “Opalka 1965/1 - ∞”. Questa consisteva nel riempire la tela di numeri in ordine crescente partendo da “1”, l’elemento alla base di ogni “ tutto”, iniziando la tela successiva col numero seguente all’ultimo scritto nella precedente. L’obiettivo era raggiungere il numero 7.777.777, ma alla fine della sua vita, trascorsa a dipingere numeri bianchi su sfondi neri, col tempo sempre più ingrigiti, Opałka riempì 222 tele e raggiunto il numero 5.607.249. L’intento dell’artista era dare forma tangibile al tempo ed ipoteticamente quantificare l’infinito, ciò che per definizione non può essere rappresentato né compreso. L’artista realizzò come una performance senza fine, una sorta di monumento all' infinito, misurando lo scorrere del tempo, per ricordarci di viverlo, prima dell’arrivo della nostra fine, rilevando una differenza sostanziale tra gli esseri umani che hanno una fine ed i numeri che mantengono, da e per sempre, il loro status di infiniti e non moriranno mai. “La vita è nel tempo e si sviluppa nell’intervallo tra la nascita e la morte. Per l’uomo, nascita e morte significano inizio e fine del tempo che è concesso”. (15)
Fig. 37 Roman Opalka, Opalka 1965 / 1 – ∞, 1965
4.3.9 TOBIA RAVA’ Bene ricordare anche un artista italiano che delle cifre ha fatto la sua cifra, Tobia Ravà, (1959), pittore veneto di cultura ebraica che nei suoi dipinti utilizzò i segni dell’alfabeto ebraico e la serie dei numeri arabi. La sua ricerca fu basata prevalentemente sulla corrente mistica dell'ebraismo conosciuta come la Kabbalah proponendo un approccio simbolico basato sulle infinite possibilità combinatorie dei numeri. I paesaggi e gli oggetti nei suoi dipinti sono formati da numeri e segni, mai casuali, ma utilizzati dopo un accurato studio 109
della kabbalah, mescolando la visione naturale a quella spirituale dell’artista utilizzando la “ghematria”, (16) (permutazione lettera-numero), per la quale a valori numerici viene assegnata una lettera o una frase che ha una qualche relazione con la cifra stessa. Poter mirare i suoi dipinti è come compiere un viaggio alla scoperta dei significati nascosti della realtà, attraverso una lettura a vari livelli delle parole, dei segni e dei numeri; un’ operazione questa molto complessa per un semplice osservatore, che può limitarsi a godere soli gli aspetti cromatici e delle forme dell’opera, perdendo però l’aspetto profondo della ricerca dell’artista che ha carattere etico, spirituale e numerologico e di recupero e valorizzazione della storia e di tutto ciò che l’uomo ha prodotto come risultato di conoscenze e saperi.
Fig. 38 Tobia Ravà, Bosco dei triangoli azzurri, 2012
4.3.10 JASPER JOHNS Jasper Johns (1930), pittore americano, esponente di spicco del movimento New Dada, fu anticipatore della Pop Art ed estimatore della concezione dell’Arte di Duchamp, di cui è considerato l’erede naturale. Del pensiero dell’artista dei ready-made, Johns distillò l’aspetto cognitivo-intellettuale a sfavore di quello emotivo e lo esibì in ogni sua produzione artistica, mantenendo però una forte componente prettamente pittorica, tra l’altro appresa da autodidatta. Jasper sarà famoso grazie alle sue “Flags americane”, ma realizzò una gran produzione anche per la serie chiamata “Numbers” a partire dal 1950, lavorando entro i confini dei dieci 110
numeri arabi seguendo 4 diverse approcci: opere con singole cifre, con la sequenza numerica 0-9, con la disposizione dei numeri in una griglia e con immagini sovrapposte dei numeri da zero a nove. Fuori dal senso comune che si associa al numero, misurazione, quantità o tempo, Jasper crea un nuovo significato per loro, compiendo un'operazione per la quale i numeri sono figure che rappresentano la relazione astratta tra il simbolo e l’idea, che così realizzata verrà dichiarata opera d'arte.
Fig. 39
Jasper Johns, Numbers in Color, 1958-1959
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4.3.11 MARIO MERZ Numeri, ma con un grande significato evidente, sono quelli utilizzati da Mario Merz (1925/2003), che a partire dagli ‘70 concentrerà il suo lavoro manifestando la sua passione per la sequenza Fibonacci. Esponente di spicco dell’Arte povera, esporrà la prima volta insieme all'intera compagine degli artisti “diretta” da Germano Celant a Genova nel 1967 alla galleria La Bertesca. Alla fine degli anni ‘60 Mertz leggerà il testo di Leonardo Fibonacci “Liber abbaci “ e da quel momento le sue opere acquisiranno quella speciale aurea di magia data dalla sequenza aurea espressa in tantissimi suoi dipinti, installazioni e igloo. La esibizione della aurea sequenza fu per Mertz come una esortazione a prendere atto e poi cura dei processi di crescita del mondo naturale, nella considerazione della sua continua trasformazione ed evoluzione a cui è condizionato. I numeri di Fibonacci sono la manifestazione di questa continua trasformazione “formulata” dalle stesse Leggi superiori che la magica sequenza svela. Una successione infinita che coinvolge l'energia insita in ogni forma vivente, simbolo di progresso armonioso della Natura, dell’Uomo e dell’Arte, simbolo per Merz della stessa idea di Vita tesa all’infinito. Tra le tantissime opere realizzate da Merz sono da segnalare quelle che hanno coinvolto i paesaggi urbani di tante città. Tra tutte Torino, dove la cupola della sua Mole Antonelliana è solcata dal 1988 da una linea perpetua riproducente i primi numeri della sequenza aurea; dal 2000 la torre fu illuminata da una luce al neon rossa che la innalza al cielo fino a condurla all’infinito. L’installazione si intitola “Il Volo dei numeri”, quelli speciali, i sapienti numeri detentori del mistero che vogliono svelare.
Fig. 40 M.Merz, Volo dei numeri, 1988, Torino
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La stazione metropolitana Vanvitelli a Napoli dal 2003 ha il soffitto percorso da una magica spirale a luce neon azzurra, la cui collocazione ha l’intento di instaurare una nuova relazione dinamica con lo spazio, dove l’Arte e la vita stessa sono animate dalla stessa “logica ciclica”. La spirale aurea simboleggia la Legge profonda della Natura, quella energia che sottintende il tutto nel suo dinamismo continuo, regolare e perfetto. “L’uomo ama gli alberi perché comprende che sono parte della serie essenziale della vita. Quando un uomo ha questo tipo di relazione con la natura, comprende che anche lui è parte di una serie biologica. La serie di Fibonacci è naturale. Se metti una serie di alberi in una mostra, avrai delle entità morte. Ma i numeri di Fibonacci, in una mostra, sono vivi, perché gli uomini sono come numeri in una serie. La gente sa che i numeri sono vitali, perché possono andare avanti all’infinito, mentre gli oggetti sono finiti. I numeri sono la vitalità del mondo”. (17)
Fig. 41 Mario Merz, Senza titolo, stazione metropolitana Vanvitelli, Napoli, 2003
4.3.12 JACKSON POLLOCK Anni prima che il matematico polacco Benoît Mandelbrot (1924/2010) introducesse nel 1975 dalle pagine del suo saggio “Gli oggetti frattali” il termine geometria frattale, ci fu chi in modo inconsapevole portò nelle sue tele la geometria che non ammette più la rigidità delle teorie di Euclide: fu Jackson Pollock (1912/1956), massimo esponente dell’espressionismo astratto, le cui opere sono attraversate dall’intreccio di linee tracciate e o sgocciolate sulla tela. I capolavori di Pollock furono analizzati con strumenti matematici con l’aiuto di un elaboratore elettronico, evidenziando una trama frattale e rivelando la caratteristica
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fondamentale del frattale stesso (18): la “autosomiglianza”, per cui ogni più piccola parte è simile, ma non necessariamente identica, alle forme più grandi della stessa struttura. Dopo aver abbandonato il cavalletto e trasferita la tela ai suoi piedi, rendendosi intensamente partecipe all’azione pittorica che stava compiendo, Pollock, imbevuto di energia cosmica, danzava al suo ritmo riproducendo la verità delle forme naturali. “Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro; posso camminarci intorno ed essere letteralmente dentro al quadro. Un metodo simile a quello degli indiani dell’Ovest che lavorano sulla sabbia”. (19) La verità si trova all'interno di un modello (la Natura), da cui si generano in modi sempre differenti, ma analoghi, su scala progressivamente più piccola o più vasta, modelli simili; tutto ciò compiuto al di là di ogni volontà umana, ma in accordo con Verità superiori che conducono la Natura a essere quella che osserviamo. Ogni frattale genera l'altro in una gestazione iterativa e infinita: un frattale è ciò che genera ed anche ciò da cui è generato, così come l'uomo genera l'uomo e da questi è generato. Una prima somiglianza, quindi, sul piano ciclico e creativo della Vita, fra quella che è la regola base di un frattale e la Legge fondamentale dell'esistenza umana. Ma le strutture frattali che Pollock espresse nelle sue tele eseguite tra gli anni 1943 e 1952, quindi ben prima della formulazione della teoria da parte di B. Mandelbrot, rappresentano un caso di frattali non reperibili in natura, ma prodotti dall’uomo. Lo sgocciolamento, dripping, della vernice fluida attraverso i fori praticati nel contenitore o dal pennello imbevuto, è un processo naturale che, pur esprimendo liberamente l’energia naturale dell’artista, obbedisce a sua insaputa, a Leggi precise all’interno di un sistema matematico le cui basi furono poste all’inizio del ‘900 da Poincarè (1854/1912) che avvertiva la necessità di un’ipotesi scientifica atta a spiegare gli aspetti irregolari e incostanti della natura in campo fisico.
Fig. 42 Jackson Pollock, Blue Poles Number 11, acrilico su tela 2,10 × 4,87 m., 1952
“Blue Poles: Number 11” dipinta da Pollock nel 1952 è una delle tele più significative dell’artista in riferimento alla sua applicazione incosciente di geometria frattale. La tela non
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ha né limite né cornice e l’osservatore perde anch’egli i suoi confini attratto dal vortice di linee variamente colorate ed intrecciate, che Pollock impresse senza seguire nessun progetto, ma lasciandosi guidare dalla sua stessa spinta creativa interiore. Ora è sicuro che la capacità di Pollock di lasciarsi andare, di abbandonare il suo Io e la sua volontà, gli permise di accedere a livelli più alti e sottili del reale, di entrare veramente in contatto con la Natura delle cose del Mondo, di diventare un tramite per la rivelazione di una verità matematica all’epoca ancora nemmeno immaginata. Con questa sua opera Pollock intese omaggiare i popoli indiani d’America, coloro che nella Storia dell’Umanità hanno onorato sempre con grande rispetto le meraviglie, i doni ed i misteri della Natura. Questa opera è come un ponte tra le Verità e l’artista che, dipingendo il caos, nel ripetere della sua struttura nell'infinitamente grande quanto nell'infinitamente piccolo, ne svela le sue qualità di ordine, regolarità e bellezza. “Lo scienziato non studia la natura perché è utile farlo; la studia perché ne trae diletto, e ne trae diletto perché la natura è bella. Se non fosse bella, non varrebbe la pena di conoscerla, e se non valesse la pena di conoscere la Natura, la vita non sarebbe degna di essere vissuta”. (20) Nel profilo delle foglie, nello sviluppo dei coralli, nella forma dei fulmini e delle nuvole, nella forma delle montagne e delle coste, nei letti dei fiumi e nella crescita degli alberi, nella forma del cervello, nella ramificazione dei vasi sanguigni ed in tante altre manifestazioni della Natura incontriamo i frattali, che non sono altro che delle rappresentazioni tangibili di equazioni matematiche. La geometria frattale si rivelerà più adatta a spiegare la Natura, dove la complessità sembra comunque rispettare delle regole. Ebbe le sue prime formulazioni teoriche nei primi anni del’900, quando due matematici, l’algerino Gaston Julia Gaston Julia (1893-1978) e lo svedese Helge von Cock (1870/1924), studiando l’andamento di una particolare serie matematica ricorsiva, pervennero al risultato che i confini della rappresentazione grafica erano frastagliati all’infinito e che riproponevano sempre la stessa struttura a varie scale di grandezza. Ma a causa delle difficoltà per effettuare calcoli così complicati e per la natura stessa dei problemi che intendevano affrontare che erano assolutamente di natura astratta, la loro ricerca ebbe una frenata di svariati decenni per raggiungere l'obiettivo solo con l’avvento del computer. Ci pensò, come già scritto, il matematico Benoît Mandelbrot (1924/2010) che fu il primo a coniare il termine “frattale” pescato dai suoi lontani studi di latino (fractus: frammentato e irregolare). Era uno studente ambizioso e curioso e fin da ragazzo riconobbe di possedere una dote straordinaria, quella di poter risolvere problemi di ordine matematico grazie alla sua capacità di visualizzarli traducendoli in immagini. Affrontò svariati problemi apparentemente di natura completamente diversa, come l’andamento della borsa, la misurazione delle coste inglesi, la formazione dell'universo, .., che avevano intrinsecamente lo stesso modello di ripetizione che tanto affascinava Mandelbrot. Abbandonata la carriera accademica per lidi più stimolanti, ebbe la fortuna di lavorare all’ “IBM” e di conoscere il matematico, trasferitosi negli Stati Uniti, John von Neumann (1903/1957), colui che materializzò l’idea di Turing e che avviò il futuro artista alla conoscenza della macchina universale ed al suo utilizzo. Mandelbrot partì da quei costrutti matematici astratti di inizio secolo che gli stessi matematici ritenevano non avere aderenze
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con la realtà naturale e comprese che invece erano gli strumenti-oggetti matematici adatti a comprendere il problema del disordine della Natura che tanto aveva a cuore. Quindi, armato di una macchina universale, seppur ancora poco efficiente, e soprattutto della capacità di vedere l’intima connessione tra concetti astratti matematici e la struttura e le forme irregolari della Natura, Mandelbrot dotò l’Umanità di una nuova geometria in grado di misurare non più coni, cerchi e quadrati, ma coste frastagliate, letti di fiumi, alberi in crescita e poi in fiore. Una rivoluzione, un nuovo modo di leggere il mondo! Galilei potrebbe scoprire ora che il libro della Natura si è arricchito di un nuova “cifra”(lettera del suo alfabeto), di un nuovo strumento matematico per comprenderla e sarebbe fieramente orgoglioso nel poterlo utilizzare per misurare anche i suoi aspetti in continua trasformazione, che offrono spettacoli per l’occhio e per la conoscenza. E le idee di Mandelbrot divennero delle bellissime strabilianti immagini che permisero di VEDERE le inarrestabili connessioni esistenti tra tutte le forme dell’Universo, nel loro continuo rinnovarsi in strutture sempre simili nella apparente casualità ricorrente delle sue forme. Mandelbrot creò anche un frattale che prese il suo nome, conosciuto anche fuori dall’ambito matematico per le incredibile immagini multicolori che l’elaborazione dell’algoritmo rilascia, utilizzando la computer graphic. Per questo importante risultato nel 1993 gli fu conferito un prestigioso premio, il Premio Wolf per la Fisica, con la motivazione: "per aver trasformato la nostra visione della Natura". Anche l’Arte è grata a questo matematico per le immagini della Natura espresse in una formula matematica, che quando elaborate sono in grado di mostrarci il lato caotico del mondo attraverso un ambiente dove regna la regolarità: il paradosso matematico affascina al pari delle immagini ricche di particolari e di riconosciuta bellezza estetica.
Fig. 43 B. Mandelbrot, Vista parziale dell'insieme di Mandelbrot: Mandel zoom 11 satellite double spiral, fotografia creata da Wolfgang Beyer col programma Ultra Fractal 3.
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4.3.13 MAX BILL Artisti del calibro di Vasily Kandinsky, Paul Klee e dell'architetto tedesco Walter Gropius (1883/1969) presso la scuola sperimentale Bauhaus, furono gli insegnanti di un giovane attratto dai rigorosi principi matematici-geometrici con cui approcciava ogni suo contenuto artistico; la nuova geometria definita “analisi dello spazio” o topologia era la sua ossessione. La data ufficiale della nascita di questa nuova branca della Matematica si deve sempre a Poincarè, che nel 1895 la definisce come l' ”analisi della posizione”, cioè un sottoinsieme della geometria che fa conoscere le proprietà qualitative delle figure geometriche non solo nello spazio che conosciamo, ma anche in quello a più di tre dimensioni. Pochi anni prima, nel 1858, un matematico ed astronomo tedesco August Moebius (1790/1868) descrisse una nuova superficie dello spazio tridimensionale a cui in seguito fu assegnato il suo nome: Nastro di Moebius, che abbiamo già incontrato indagando su Escher. Brevemente, questa forma ha la proprietà di poter esser percorsa tutta ritornando nel punto esatto da dove si è partiti, per cui per essa non è possibile fissare un verso di percorrenza e risulta quindi avere una sola faccia. Il giovane studente di cui sopra, Max Bill (1908/1994), un giorno, giocando con una striscia di carta, nelle mani si trovò un “nastro di Moebius”, ma non sapeva che questa scoperta aveva già avuto una nascita, cioè era già stata rivelata quasi 70 anni prima. Era il 1935 e da lì in poi, Max Bill lavorò costantemente con questo nastro a cui diede il nome di “Endless Ribbons”, nastri senza fine. Gli studi che già lo affascinavano sulla topologia divennero una costante insieme a quella di creare opere riproponendo in tutte le dimensioni e materiali il famoso nastro. Max Bill era un pittore, ma soprattutto uno scultore, e riteneva la geometria l’elemento primo di ogni opera plastica perché esprime le relazioni tra le posizioni nel piano e nello spazio. La passione per la topologia, dopo la scoperta da parte sua del nastro di Moebius, accrebbe in Bill per due fondamentali ragioni: la prima perché ricevette complimenti per la reinterpretazione del simbolo egiziano dell’ infinito, di cui lui non era a conoscenza, e la seconda fu data dalla constatazione che nello sviluppare superfici, queste portano sempre a formazioni che dimostrano possedere una realtà estetica, determinata dalle leggi proprie della Matematica. Infatti il Nastro di Moebius è uno di quei casi in cui la matematica si manifesta in un’opera determinandone il suo valore estetico e i suoi misteri; la presenza di questa forma richiama all’ineffabilità dello spazio, all’allontanamento o alla vicinanza dall’infinito, alla sorpresa di uno spazio che contemporaneamente stabilisce nello stesso punto il suo l’inizio e la sua fine, di un infinito che si apre e chiude in se stesso. L’ Arte di Bill poggiava sulla premessa di un’arte nella quale l’immaginazione dell’artista sarebbe stata sostituita dalla concezione matematica: “Si sostiene che l’arte non ha niente a che fare con la matematica, che quest’ultima costitutisce una materia arida, non artistica, un campo puramente intellettuale e di conseguenza estraneo all’arte. Nessuna di queste due argomentazioni è accettabile perché l’arte ha bisogno del sentimento e del pensiero ...... Il pensiero permette di ordinare i valori emozionali perché da essi possa uscire l’opera d’arte.” (21)
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Fig. 44 Max Bill, Kontinuit (Continuità), 1986, Berlino
Ed ancora: “La matematica non è soltanto uno dei mezzi essenziali del pensiero primario, e quindi, uno dei ricorsi necessari per la conoscenza della realtà circostante, ma anche, nei suoi elementi fondamentali, una scienza delle proporzioni, del comportamento da oggetto ad oggetto, da gruppo a gruppo, da movimento a movimento. E poiché questa scienza ha in sé questi elementi fondamentali e li mette in relazione significativa, è naturale che simili fatti possano essere rappresentati, trasformati in immagini.” (22) Le opere ed il pensiero di Bill fecero il giro del mondo per le tante commissioni pubbliche affidategli, grazie alle quali oggi numerose sue sculture sono collocate in tanti spazi pubblici in tutto il pianeta, ed agli inviti ricevuti a tenere conferenze in scuole ed importanti università. Oltre a scolpire qualsiasi tipologia di materiale per proporre i suoi nastri infiniti, fu pittore, litografo, curò la grafica di libri e manifesti, concepì anche mobili, orologi, macchine da scrivere oltre che numerosi utensili per la casa che hanno contribuito alla fama del design svizzero nel mondo. Partecipò a tantissime mostre anche personali, di cui si prendeva cura di tutte le sue fasi: la scelta delle opere, l’allestimento che le avrebbe ospitate, la loro presentazione, il catalogo,... insomma, il curatore di se stesso. Con lui si ebbe un accrescimento della consapevolezza negli artisti e nel pubblico che la Matematica non è una materia arida, ma è ricca di stimoli per la libertà e la creatività perché,
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non solo può scoprire nuove teorie e nuovi campi di ricerca, ma inventa anche nuovi problemi su cui poggiare nuove indagini e l’Arte, che parte dagli stessi presupposti, (libertà, fantasia e creatività), non può che averla come compagna affiancata per una ricerca estetica di cui la Matematica è foriera. 4.3.14 OSCAR REUTERSVARD Abbiamo già accennato all’ artista svedese Oscar Reutersvärd (1915/2002), che a 18 anni scoprì una figura, un triangolo impossibile, in quanto non proponibile in una ipotetica versione tridimensionale. Era il 1934 ed il giovane Oscar era uno studente liceale che, prima scarabocchiando e poi, inorgoglito delle figure pazze che riusciva a creare, si mise seriamente in produzione, creandone durante tutto l’arco della sua vita più di 2500. Reutersvärd, ben prima del matematico Roger Penrose, (già citato per la connessione di suoi disegni e teorie con alcune delle opere di Escher) scoprì il triangolo impossibile, anticipando gli studi del matematico riposti in un testo del 1958. (23)
Fig. 45 O. Reutersvärd, Triangolo-impossibile- Opus, 1934
Solo in quell’anno (1958) Oscar Reutersvärd lesse l'ormai classico articolo di Roger Penrose sugli oggetti impossibili, ma ormai le sue figure impossibili avevano permesso il suo decollo nel mondo della Matematica, seppur inconsapevolmente. Ancora nel 1937, prima dell acclamato matematico, disegnò una scala impossibile, una rappresentazione bidimensionale di una scala che forma un anello continuo, in modo che una persona possa scalarla per sempre avendo l’illusione di salire, ma non andando mai più in alto di dove si trova. Chiaramente un’altra figura impossibile. Creava le sue figure con inchiostro di china su carta di riso giapponese, disegnando a mano libera, senza un righello o alcun dispositivo meccanico. Iniziò di malavoglia anche a colorale, 119
dopo che il suo agente glielo chiese, ma lui preferiva lavorare per e con l’essenzialità della forma, ed il colore già ne comprometteva la purezza desiderata. In genere utilizzò la "prospettiva giapponese”, che consiste essenzialmente in questo: un oggetto, o una serie di oggetti, vengono visti contemporaneamente in più prospettive (almeno 2 o 3 volte) sotto punti di vista diversi, in modo tale che vi sia una “saldatura” tra le figure, che risultano non poter esistere in una visione generale, quindi realisticamente impossibili e incoerenti. Sembra infatti che la mente non riesca a contemplare una visione globale di un oggetto, ma che continuamente ne guardi delle parti per confrontarle con le altre; negli oggetti impossibili c’è il tentativo di ricomporre tutte queste visioni parziali in un disegno unico, dove l’ incoerenza è nel vedere una figura localmente corretta in una globalmente impossibile. Confrontando il lavoro di Reutersvärd con quello di Maurits Cornelis Escher, anch’egli dedito all’impossibile, si può osservare che l’artista olandese costruisce mondi abitati attorno ad oggetti impossibili, mentre Reutersvärd nei suoi progetti preferisce evitare ogni contaminazione, sia con il reale che con l’assurdo, privilegiando la purezza della figura essenziale, tutta geometrica, pulita. Infatti Reutersvärd, ritenne che il bello estetico della sua operazione consisteva nella “figura impossibile” in sé, non nella magia o nel paradosso espresso. La purezza geometrica della sua scoperta inconsapevole e la ricerca dell’ essenzialità dell’oggetto nella sua Arte meritano una famosa citazione di Einstein che sembra fatta apposta per Reutersvärd e la sua Arte. “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa.” (24) 4.3.15 SOL LEWITT In questo spaziare nell’Arte del ‘900, tra numeri e forme geometriche aperte a nuove dimensioni, tra scoperte ed invenzioni di figure impossibili, forme attribuite ad inconsci platonici da rivelare, torniamo sulle orme di chi ha concepito l’Arte scevra da estetismi per dar risalto all’idea portante del suo progetto artistico-intellettuale. L’artista in esame è Solomon "Sol" LeWitt (1928/2007), che nasceva a New York quando Duchamp portava il verbo europeo delle nuova Arte, non-Arte, nella sua città. L’esportazione della nuova idea di Arte aveva come obiettivo quello di superare la rappresentazione oggettiva della realtà per giungere alla concettualizzazione dell’Arte; il nuovo compito dell’artista è supportato dalla matematica, che sembrava poter dare un considerevole contributo a rafforzare nell’Arte l’elaborazione di idee, spostando l’attenzione e l’interesse dell’artista verso valutazioni estetiche e di senso riferite non a capacità manuali, ma intellettuali. LeWitt quando da adulto entrerà seriamente in contatto con la nuova Arte, ne diventerà un protagonista assoluto sia nella figura dell’artista che in quella di teorico. Nel 1967 scrisse a proposito: "Nell'arte concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte." (25)
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Prima ancora di scrivere il suddetto testo, quasi un manifesto dell’Arte concettuale, Sol LeWitt fu esponente anche della corrente minimalista newyorkese i cui componenti volevano reinventare l’arte per tornare alle sue fondamenta e si esprimevano attraverso opere caratterizzate dalla loro essenzialità e semplicità delle forme geometriche. L’intento dei minimalisti e di LeWitt era quello di eliminare dall’Arte ogni psicologia, ogni soggettivismo, ogni espressività e per questo le sue opere sono interpretate come strutture logiche, come pure coordinate cartesiane, come forme primitive dell’Universo capaci di adattarsi a molteplici soluzioni. Ne è un esempio l’”Open Modular Cube” del 1966, dove lastre di legno piegate e verniciate in bianco e nero, piuttosto che cubi bianchi che si ripetono nello spazio, e graticci modulari che si moltiplicano all’infinito, sono forme elementari utilizzate per riproporre costanti significative del rapporto tra l’Arte e la Matematica: la ripetizione, la modularità, l’iterazione. Per la sua indagine l’artista predilige la forma del cubo, scelta per ottenere una serie di combinazioni dallo sviluppo regolare, determinate dalla necessità di non lasciar spazio ad emozione alcuna, e dai suoi studi sulla geometria. Ne è un esempio Serial Project #1 ABCD, installazione del 1966, dove la elementarità insita nell’opera, scevra da possibili distrazioni, fa si che la forma particolare dell’opera è solo una conseguenza delle relazioni logiche e matematiche sulla base delle quali è stata concepita e creata; così facendo LeWitt ha trasformato gli elementi del processo artistico, idea, calcoli, misure, in opere d'arte stesse.
Fig. 46 S. LeWitt, Open Modular Cube, 1966
Dal 1968 inizierà la lunga serie “Wall Drawings”, grandi pareti dipinte o trattate con linee o disegni geometrici, considerate radicali oltre che per il contenuto, anche per l'elemento 121
collaborativo per l’esecuzione. Per questo suo progetto Sol LeWitt si concentrò sul concetto piuttosto che sulla realizzazione dell’opera stessa e quindi le creò esclusivamente attraverso delle istruzioni, queste ricche di un raffinato vocabolario di arte visiva che facevano riferimento a specifiche architettoniche e ad equazioni matematiche. LeWitt mise a disposizione di altri artisti e collaboratori momentanei le sue istruzione che venivano così fedelmente riportate su grandi pareti creando immensi piani colorati. Sol LeWitt credeva che l'idea dell'artista fosse un'opera d'Arte in sé e sulla base dell'idea, altre persone avrebbero potuto interpretarla realizzando e partecipando così ad un’opera stessa che diventava aperta.
Fig. 47 S. LeWitt, Wall drawing 462,1986; prima installazione a Galleria Studio G7, Bologna
4.3.16 LUCIO SAFFARO Nel suo dialogo Timeo, Platone ci disse che i poliedri regolari erano cinque (tetraedro, esaedro, ottaedro, dodecaedro, icosaedro) e non furono invenzioni, perchè tutt’ora rimangono cinque, essendo presenti in Natura. Sono la forma che assumono i virus, le molecole, ma soprattutto i cristalli, visibili anche ad occhio nudo, la cui classificazione è legata proprio alle simmetrie dei poliedri che ne rappresentano la struttura. L’attività di studio dei poliedri fu assai vivace fino ad Archimede, che ne scoprì anche altri, ma irregolari, però, come tutta la matematica del resto, si fermò durante il Medioevo per tornare in auge nel Rinascimento. Piero della Francesca li citò e disegnò tutti nel suo saggio “De quinque corporibus regularibus” e Leonardo li disegnò con gran attenzione sia nella forma piena che in quella scheletrica nel libro di Pacioli “De Divina Proportione”; Keplero (1571/1630) dimostrò essercene 13 possibili, compresi quelli irregolari, nel suo trattato Harmonices Mundi (1619) e tanti furono gli artisti rinascimentali che si lasciarono tentare da questa particolare ricerca inserendo nei loro dipinti poliedri regolari ed irregolari. Nel ‘900 l’artista che più di ogni altro ha eseguito uno studio straordinario sia di ordine matematico che pittorico su queste forme universali fu il pittore poeta e scrittore italiano Lucio Saffaro (1929/1998), che approfondì lo studio dei grandi matematici del passato, riprese gli studi rinascimentali sui poliedri e li ripropose, ampliati, in diversi articoli su riviste
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specializzate e in suoi trattati; mai smise di dipingerli, tanto da ricevere il soprannome di “ultimo artista del Rinascimento”. (26)
Fig. 48 L.Saffaro, La disputa ciclica, 1986, Museo d’Arte moderna Ca’ Pesaro, Venezia
Nonostante durante gli anni della sua vita furono molte le correnti artistiche che si succedettero, Saffaro rimase fedele alla sua personalissima visione della pittura, una originale prosecuzione dell’Arte Rinascimentale, dove oltre al pennello serviva anche una grande conoscenza della Matematica. Durante le sue mostre e alle conferenze a cui fu invitato, si presentava come un pittore, ma al contempo faceva bella mostra delle sue conoscenze, spiegando lucidamente come i suoi poliedri erano concepiti a livello matematico. Nel 1966 Saffaro pubblicò il “Tractatus logicus prospecticus”, corredato da 120 tavole grafiche (o “teoremi”, come preferiva definirli) con cui dimostrò le infinite possibilità di rappresentazione spaziale di una semplice linea. Come un rinascimentale accompagnò il suo lavoro di pittura con quello di trascrizione del frutto delle sue ricerche. Nel 1986, quando la Biennale fu dedicata al rapporto tra Arte e Scienza, Saffaro fu un grande protagonista e ricevette considerevoli apprezzamenti sia da parte degli ambienti artistici che matematici, ma le parole del curatore dimostrarono sinceramente l’interesse vero e profondo che i quadri di Saffaro suscitarono:
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“Le opere di Saffaro si caratterizzano per una combinazione inestricabile tra estetica e scienza e geometria, tra ingegno matematico e sensibilità pittorica, che faceva di questi suoi quadri effettivamente degli esempi unici”. (27) Le sue opere sono molto originali e dipinte impeccabilmente, quasi sempre sui toni dell’azzurro, del blu, del grigio e del giallo e non si possono configurare in ambito astratto-geometrico, perché Saffaro, si potrebbe dire essere un pittore figurativo realistico che usa un linguaggio pittorico per descrivere dei “personaggi” matematici. Meglio dire, che nella sua pittura usa la matematica, dando vita alla continuazione e allo sconfinamento di una disciplina nell’altra.
Fig. 49 L.Saffaro, Opus CCCIV, 1997, olio su tela 55 x 45 cm., Fondazione Saffaro, Bologna
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NOTE del CAPITOLO 4 (1) G. H.Hardy, Apologia di un matematico, ed.Garzanti, Milano, 2002, pag. 67. (2) AM Hind, Early Italian Engravings from the National Gallery of Art, ed. JA Levinson, National Gallery of Art - Catalogo: Prime incisioni italiane, Parte 2, volumi 5-7. Londra, pubblicato per la National Gallery of Art, 1948. (3) V.Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, a cura di E.Pontiggia, Ed. SE, Milano 2005, pag.40. (4) ivi, pag. 89. (5) V.Kandinskij, Punto, linea, superficie, ed.Biblioteca Adelphi, Milano,1968. (6) Max Bill, A mathematical approach to Art, 1949; Ristampa e correzioni da parte di Michele Emmer in The Visual Mind :Art and Mathematics, ed. Mit Press, Boston, 1993. (7) M.C. Escher , Grafica e disegni, ed.Taschen, Colonia, 1992, p. 13. (8) ibidem (9) M.C.Escher, Lo specchio magico, ed.Benedkit Taschen , Colonia, 1959. (10) M.C.Escher, Grafica e disegni, ed.Taschen, Köln 1992, p. 6. (11) J. Ortega y Gasset, Credere e pensare, in J.W.Vermeulen, Mi aggiro là dentro tutto solo, in M.C.Escher, Esplorando l'infinito, Garzanti, Milano 1991, p. 167-168. Vermeulen, amico personale di Escher negli anni della maturità, traccia in questo scritto un ritratto soggettivo del grafico, fornendoci interessanti informazioni sulla sua personalità, la sua infanzia, i suoi rapporti con la famiglia e il suo modo d'intendere l'arte. Apprendiamo così per esempio che Escher amava viaggiare per mare perché il mare era per lui una specie di rifugio; sulla nave, lontano dallo studio e dal lavoro ossessivo, riusciva infatti a liberarsi dal bisogno di concentrazione e dall'autodisciplina proprie del suo carattere e della sua attività. (12) Antonello Negri, René Magritte: il buon senso e il senso delle cose, ed. Mazzotta, Milano, 1984, p. 53. (13) Nel suo saggio Art after Philosophy (1969), Kosuth parte dal presupposto che l’arte “è analoga a una proposizione analitica” e, dunque, una tautologia. Adottando questa impostazione teorica, l’artista supera anche l’idea, attiva in quegli anni, della cosiddetta “dematerializzazione dell’arte” e si avvicina al rigore delle filosofie del linguaggio e della logica. In questa prospettiva l’arte si separa dall’estetica intesa come aisthesis (“sensazione”) per farsi interrogazione sulla “natura dell’arte”, a prescindere dal medium utilizzato. Affrancandosi dall’estetica, Kosuth rompe anche il nesso con la critica: “l’arte concettuale annette a sé la funzione del critico e rende superfluo l’intermediario” diventando, radicalmente, pratica critica e riflessione sull’arte. https://www.madrenapoli.it/collezione/joseph-kosuth/ (14) G. Apolinnaire, I pittori cubisti, cap. 3, ed. SE, 1996 ; (articolo nel novembre 1911 e testo nel 1913 a Parigi). (15) Lorand Hegyi, Roman Opalka’s essentiality 1965/1 - ∞, ed. Nino Aragno Editore, Milano, 2015, p.289. (16) ghematrià : criterio di permutazione delle lettere in numeri in uso fin dall’antichità nell’alfabeto ebraico, secondo cui ad ogni lettera corrisponde un numero, così ogni successione alfabetica può considerarsi una somma aritmetica. (https://www.artecommunications.com/open-it/99-open/open-xi/382-italia-tobia-rava.html).
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(17) R. Koshalek, Interview whit Mario Merz, 1972, presso il Walker Art Center, a Minneapolis in occasione della mostra dell’artista presso il Walker Art Center di Minneapolis. (18)https://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/Articoli/FrattaliPollockPeire tti/FrattaliPollockPeiretti.html (19) https://www.frammentiarte.it/2017/blue-poles-number-11-di-jackson-pollock/ (20) Henri Poincaré, Il valore della scienza, ed. La Nuova Italia, 1984, pag.15; prima pubblicazione nel 1905. (21) Michele Emmer, Matematica e cultura 2006, ed.Springer , Milano, 2006, pag 179 (22) ib (23) L.S. Penrose, R. Penrose, Impossible objects: a special type of visual illusion, in British Journal of Psychology, vol. 49, 1958, pp. 31–33. (24) Albert Einstein, Come io vedo il mondo, ed. Newton Compton Editori, Roma, 2016; titolo originale: Mein Weltbild, prima edizione 1934. (25) S.LeWitt,“Paragrafi sulla Conceptual Art“, rivista Art Forum, vol. 5, no. 10, New York, estate 1967, pp. 7. (26) B. D’Amore, Lucio Saffaro: pittore dotto, Catalogo realizzato in occasione della mostra dedicata a Saffaro: Saffaro, le forme del pensiero, Musei Universitari di Palazzo Poggi, Università di Bologna, Bologna. (27) Maurizio Calvesi, Catalogo Biennale di Venezia, 1986.
TESTI Bruno D’Amore, Arte e Matematica, ed. Dedalo, Bari, 2018 (prima. ed. 2015) Vasilij Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, ed. SE, Milano, 1989 Piergiorgio Odifreddi, C’è spazio per tutti, ed. Arnoldo Mondadori editore spa, Milano, 2010 Piergiorgio Odifreddi, Penna pennello e bacchetta, ed. Laterza & figli Spa, Bari, 2005 J.L. Locher, Il mondo di Escher, ed. Garzanti, Milano, 1978
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FILM Morten Tyldum, The Imitation Game, 2014 Ron Howard, Beautiful mind, 2002
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CAPITOLO 5
ERA DIGITALE
Siamo nel futuro! Siamo immersi in una perpetua transizione a volte confusi e storditi, a volte sorprendentemente strabiliati nel constatare le infinite possibilità che ci sono offerte dal nuovo che avanza ed impera in ogni singola attività in cui siamo coinvolti: il nuovo mondo digitalizzato. Certo non è la prima volta che l’Umanità è implicata in un cambiamento di paradigma, di stili di vita e di visione, ma con la rivoluzione digitale il mondo corre, tutto è amplificato, tutto è immerso in una evoluzione velocissima che ci coinvolge e a cui partecipiamo con o senza consapevolezza. Le ricerche e le conquiste matematiche-scientifiche degli ultimi due secoli hanno dato impulsi straordinari poggiando, secolo dopo secolo, sulle spalle, sempre più numerose e forti, dei giganti che si sono succeduti, fino a giungere all’esplosione del nuovo mondo in cui viviamo, dove la scienza e la tecnologia dominano la nostra vita in tutte le sue espressioni ed il nostro sguardo inevitabilmente subisce le modifiche necessarie per comprenderne il senso e per esserne partecipi, pena soccombere ad esse. Chi è nato e vissuto dalla metà del secolo passato sa bene che anno dopo anno l’Umanità, con una velocità impressionante, è stata soggetta a cambiamenti, alcuni dei quali inimmaginabili fino a qualche anno prima o presenti solo nei sogni dei pionieri. Scambiare lettere con un click, parlare a distanza con un amico potendo vedere anche il suo volto, viaggiare in ogni capo del mondo sia fisicamente che virtualmente, ascoltare ogni tipo di musica, avere la propria azienda installata nella propria casa, diffondere facilmente la propria opinione, soprattutto le proprie immagini. Viviamo, in ogni latitudine del pianeta, nel vortice della rivoluzione digitale che prepotentemente è sempre di più parte integrante della nostra vita in tutti i suoi comparti e che sarà sempre più in grado di influenzare, fino a cambiare radicalmente, la vita delle persone ed il senso che a questa si da. E’ cambiato tutto: il nostro modo di relazionarci, di lavorare, di comunicare, di divertirci ed anche di pensare. E’ cambiato il nostro status per ritrovarci cittadini digitali, numeri, bit, dati. Le rivoluzioni hanno sempre determinato uno spostamento sostanziale della posizione dell’uomo nel mondo conosciuto a cui egli si è dovuto, non senza traumi, adattare. La prima rivoluzione recente nella storia dell’Umanità è stata sicuramente quella copernicana enunciata da Niccolò Copernico. La visione del mondo che egli prospettò ed enunciò fece perdere alla Terra la sua qualità fino a quel momento indiscussa di essere il centro del mondo. La visione tolemaica, quella precedente espressa da Claudio Tolomeo (100/175 circa), anch’egli matematico astronomo operante ad Alessandria d’Egitto, era rimasta inalterata per oltre 2000 anni. Dalle nuove conoscenze, determinate dalla scienza delle stelle, l’astronomia, figlia della Matematica, ed attraverso sempre più aperture verso nuovi orizzonti e possibilità determinate dalle scoperte scientifiche, l’uomo avanzava nel suo cammino nella sua nuova posizione assunta nel mondo.
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Ora sappiamo di essere formichine, al confine di una galassia, la Via Lattea, che possiamo dire con certezza essere una delle tante tra le migliaia esistenti nell’Universo. Siamo in un sistema chiuso detto solare e, come gli altri pianeti che ne fanno parte, giriamo all’infinito intorno alla stella che ci da vita e sostanza con la sua luce ed il suo calore. Quindi, non eravamo più il centro del mondo, ma pensavamo di essere il centro della nostra casa bellissima, la Natura; ma Darwin, (1809/1882), ci frustrò ulteriormente e convinse ampiamente che ci sbagliavamo. Aumentando la condizione angosciosa di chi non sa più chi è e cosa è in grado di padroneggiare, è arrivato Freud, a dirci che non siamo nemmeno padroni della nostra esclusiva mente. E a metà del secolo scorso, l’Umanità fu nuovamente scossa da un altro grande cambiamento, che spostò ulteriormente la posizione dell’uomo nel mondo. Fu la progettazione e realizzazione della macchina logica universale da parte del matematico inglese Alan Turing, supportato dalle spalle di Giganti del passato e del futuro che oggi è già presente, che rende noi oggi informazioni al pari di altre, dandoci certezza di non essere più gli unici esseri in grado di crearle, produrle, gestirle e tramandarle. Basti pensare che oggi il 95% delle informazioni messe in campo durante l'intera Storia umana, sono native degli ultimi 30 anni. (1) Se pensiamo a come dall’inizio della Storia, l’Uomo, di qualsiasi popolo e di ogni latitudine, ha sentito il bisogno di lasciare suoi segni, registrando così i fatti per un loro utilizzo futuro, (e pensiamo anche ai documenti preziosissimi andati persi nei millenni), oggi questa necessità, che non so si possa più ritenersi tale, si è trasformata in un'ossessione di produzione, di manifestazione di sé, non per la conoscenza, ma per sopire la “paura di non essere”. Forse, proprio perché l’Uomo non sa più chi è e non conosce ancora il nuovo ruolo che ricopre in questo mondo trasformato, le informazioni che da, riceve e/o si generano senza il suo intervento, hanno perso l’originario obiettivo di tramandare, per assumere quello di esibire, di mostrare la propria esistenza (per scacciare la paura). Le informazioni sono tante, continue, spesso inutili, se non dannose e false, fino a correre il rischio di rimanerne sepolti asfissiati se non si ha la capacità di scegliere ciò che veramente può condurre verso un maggiore benessere diffuso ed alla conoscenza vera di e per noi. Ora il dubbio umano non è più “to be or not to be” ma “to be on-line or off-line”, e la domanda che oggi l’uomo si pone è in attesa di una risposta-bisogno di verità dipendente dall'essere o meno connesso con altri simili. Ciò per non sentirsi solo, non visto, non percepito, non esistente. Sono vivo se sono connesso, sennò non esisto. Se ricevo più “like” la mia vita vale anche di più. Se esisto per l’altro, esisto di più. Saremo anche dati, oltre che carne e pensiero, ma certo è che questa nuova condizione e triste visione che l’accompagna, che già non è più tale in quanto sorpassata dalla realtà di oggi, deve fare i conti con quello che l’uomo è nella sua totalità, con la sua esperienza, le sue emozioni, la sua sensibilità, soprattutto il suo desiderio. L’uomo è cresciuto tecnologicamente tanto da avere una infinità di sue estensioni, a partire dagli occhiali fino alle protesi di arti, dalle macchine di ogni tipo per semplificare il suo lavoro a sistemi per migliorare le sue condizioni fisiche, (con una medicina evoluta), fino ad avere un cervello altro (il computer) che può fare tutto in sue veci. Ma favorire la vita per esser vissuta più compiutamente è anche, soprattutto, non trascurare ciò che riguarda la sfera mentale e psicologica dell’essere umano. Siamo stati capaci di andare sulla Luna, ma ogni giorno vengono uccise ancora troppe donne perché l’uomo si ritiene ancora il suo padrone. 130
La rivoluzione digitale non tratta queste tematiche pur dominando la nostra vita, e l’uomo sa che se vuole diventare migliore e consapevole non può trascurare il suo aspetto pulsionale e vitale anch’esso in posizione di dominio. Lo scontro ognuno lo vive dentro di sé ed ognuno lo risolve con le armi che conosce, quasi sempre quelle radicate dentro le ancestrali profondità che sembrano non conoscere l’evoluzione e le conoscenze acquisite. L’uomo è lento e non ama il nuovo. Vive la transizione come un trauma capace di scardinarlo nelle sue presunte certezze, e i tanti anelati cambiamenti per uno, sono incubi a cui sottrarsi per altri. Le rivoluzioni non sono passeggiate, tanto più se si fanno insieme. Ma se la nostra vita è un algoritmo creato da non si sa chi, penso dalla nostra stessa evoluzione, siamo stati programmati per respirare, mangiare, dormire durante il lasso di tempo che separa il momento della nascita da quello della morte. Il nostro programmatore ora, come sempre, deve contemplare anche gli aspetti della vita che non riguardano solo la questione biologica, ma anche quelli che vanno ben oltre, dove la logica di un computer (vero-falso) non è sufficiente a dare risposte esaustive per una vita tesa alla pienezza ed al superamento dei propri limiti, dei propri conflitti anche interiori. Come è cambiato l’Uomo nel passaggio da una vita nomade a quella di agricoltore stanziale? E quando un cerchio è stato trasformato in una ruota? E quando si è scoperto lo zero ed adottato il sistema decimale? E com’è cambiata la sua vita quando, prima ha scoperto, grazie a Copernico, e poi ha visto, grazie a Galileo, che la Terra girava intorno al Sole e la Luna intorno alla Terra? Com’è cambiata la vita dell’uomo con l’introduzione della stampa, quando la conoscenza è stata dotata del suo primo strumento di riproduzione e quindi diffusione? E l’Uomo come ha reagito al cambiamento della sua vita dopo l’avvento della rivoluzione industriale che ha portato all’uso di macchine a vapore con le città che pian piano si illuminavano grazie alla scoperta dell’energia elettrica? E l'invenzione del telegrafo, del fonografo, della radio, delle automobili, della televisione,.. fino a quella del cervello elettronico, come hanno inciso nelle nostre vite? Abbiamo sempre vissuto in una perenne transizione provocata dalle continue scoperte dell’uomo, ma questa in cui siamo immersi o da cui ci si sente investiti porta con sé, oltre che maggiori possibilità anche inquietanti risvolti. Da società industriale, dove l’attività centrale fondamentale era la produzione in serie di merci, siamo passati alla società della informazione, dove l’attività principale è la gestione delle informazioni, intese non come conoscenze utili al benessere dell’uomo, ma come dati infiniti da gestire, processare, utilizzare, vendere. Chi ha in mano il potere del sistema, sempre capitalistico seppur anch’esso trasformato nella “sostanza” di cosa lo genera, ha ora nelle sue mani un nuovo capitale per ricavarne ricchezza e controllo sociale. Infatti ora tutti i dati, qualsiasi sia la loro natura, sono riconducibili alle stesse tracce digitali 0 e 1, per cui ogni nostra attività, sociale o personale, genera informazioni, che possono essere conservate, analizzate ed utilizzate allo scopo, si, di incrementare la ricchezza economica, ma anche e soprattutto di dare la possibilità di sorvegliare, controllare e gestire tutti i processi sociali, economici, … anche ludici. Il codice binario è lo stesso, per cui tutti i dati sono in grado di generare, per chi li detiene, possibilità di arricchimento e di manipolazione di chi li fornisce più o meno consapevolmente. Il bisogno e la volontà da parte dell’Uomo di conoscere per essere protagonista del suo mondo, troppo spesso anche il suo padrone, ha generato anche risultati nefasti, che mettono a rischio la sua stessa permanenza nel mondo. Penso ai nemmeno più attuali accertati rischi 131
determinati dall'uso nefasto delle risorse del pianeta da parte dell’uomo ed all’uso della sua intelligenza per procurarsi armi offensive contro il genere umano, animale e vegetale. Nell’era digitale tutto il nostro mondo è in fermento continuo, determinando una velocizzazione dei processi delle conoscenze, delle comunicazioni, degli scambi commerciali ed intellettuali e l’uomo stesso, se da un lato ha la piena accettazione del paradigma tecnico-scientifico come unico strumento in grado di produrre verità certe per il suo progresso e quello della società, dall’altro pone il rifiuto e la demonizzazione della scienza accusata di essere la causa di tutti gli elementi negativi presenti nell’odierna società. E onestamente si può riconoscere che la velocizzazione del processo che si sta vivendo non lascia quasi il tempo all’uomo di riflettere su ciò che gli sta accadendo interiormente e nei mondi reali e virtuali che frequenta. Sempre più avverte che dietro una presunta maggior libertà di espressione diffusa ci sia un disegno che intende l’uomo come una merce del presente e del futuro. Come un balletto in perpetua esecuzione, con passi verso l’accettazione del reale ed altri verso la sua continua correzione, semmai si riuscirà a comprendere come vivere la rivoluzione in atto, è certo che, come tutte quelle che si sono succedute, non sarà una passeggiata e al finale ci scopriremo probabilmente “Altri”. 5.1 LA LOGICA Come siamo arrivati fin qui? Già nel secondo capitolo si è trattato di come, attraverso i secoli, gli studi e le ricerche matematiche hanno permesso di progettare la prima macchina analitica da parte del matematico Babbage coadiuvato dall’incantatrice di numeri Ada Lovelace. E’ bene comunque ritornare a quel momento storico, ripercorrendo i passi del processo storico-scientifico e filosofico a cui hanno partecipato le menti pionieristiche dei “giganti” vissuti dall’ 800 in poi, per meglio comprendere come siamo giunti oggi all’indispensabilità dell’odierno computer, determinante ed indispensabile in ogni nostra attività. Ritorniamo nel sec. XVII per incontrare Gottfried Wilhelm von Leibniz che con sorpresa scoprì, attraverso la corrispondenza con un missionario italiano in Cina, che il sistema binario che lui intendeva adottare per la realizzazione del suo sogno, costruire una logica matematica basata sulla manipolazione algebrica delle strutture razionali, era già utilizzato da oltre 2000 anni dalle popolazioni cinesi. Nel testo basilare del pensiero orientale dove confluiscono le teorie di Confucio e del taoismo ,“I Ching” (Il libro dei Mutamenti)(1b), sono presenti 64 figure che compongono i “I ching”. Queste sono create utilizzando solo due segni: una linea ed una linea spezzata (lo yin e lo yang) e costituiscono una prefigurazione degli elementi primordiali componenti la realtà. Attraverso la manipolazione delle 64 figure, unendo o separando le linee che le compongono, si possono compiere delle trasmutazioni delle linee in altre, come un passaggio da uno stato ad un altro. Con queste nuove conoscenze giunte dal lontano Oriente unite a quelle dei suoi studi sull’aritmetica binaria, Leibniz pensò che entrambe potevano essere usate anche per fini logici. Nel suo manoscritto “De progressione Dyadica” del 1679 Leibniz enunciò i fondamenti matematici e le prime applicazioni del sistema binario e dimostrò l’idea che il sistema decimale poteva essere sostituito da quello binario nell’esecuzione dei calcoli aritmetici.
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Costruì la sua macchina analitica che però era di difficoltoso utilizzo a causa della meccanica degli ingranaggi non adeguata alla sua pionieristica idea. Ma anche i geni ci lasciano ed il buono è che il suo profondo visionario ragionamento non si fermò lì. Chi riuscì a tradurre l’intuizione di Leibniz fu un professore matematico inglese George Boole (1815/1864), considerato poi il padre fondatore della logica matematica. Questi, arrovellandosi il cervello, dimostrò che non solo il sistema binario era valido al pari del sistema a 10 cifre, in quanto con solo due cifre si potevano generare tutti i numeri al pari del sistema decimale, ma giunse anche ad una conclusione che qui ci interessa maggiormente. Considerò la linea spezzata o intera dello yin e dello yang come le dualità che caratterizzano la mente e la vita degli uomini: bene/male, giorno/notte, vuoto/pieno,… vero/falso. Associando allo zero la rappresentazione del falso ed all’uno la rappresentazione del vero, Così pensando Boole inventò l’algebra booleana, che ben espose nel suo trattato “Indagine sulle leggi del pensiero“ nel 1854. Le operazioni che si possono compiere con l’algebra booleana riguardano soltanto i numeri ordinari 0 e 1 o gli insiemi rappresentati sempre e solo da una delle due cifre; la differenza con l’algebra ordinaria si manifesta quando moltiplichiamo due insiemi uguali ottenendo come risultato l’insieme al quadrato, mentre con l’algebra booleana il risultato è sempre 0 o 1. algebra ordinaria : x*x= x al quadrato; algebra booleana : se x è uguale a 1 o a 0, l’equazione sarà vera restituendo il risultato 1 o 0. Quindi l’equazione x*x=x è vera soltanto se consideriamo i numeri ordinari 0 e 1. Le operazioni con l’algebra booleana si possono compiere con gli operatori logici, di cui i più importanti sono: quello della negazione, NOT, quello della congiunzione, AND e quello della congiunzione inclusiva, OR, per poter così attuare manipolazioni delle proposizioni date. L’algebra booleana è quindi la versione matematica della logica, ed ha l’intento di comprendere le Leggi fondamentali che stanno dietro alle operazioni compiute dalla nostra mente quando viene eseguito un ragionamento e di esprimere queste operazioni nella lingua simbolica del calcolo. Si stabilisce così il fondamento della scienza della logica e si afferma e dimostra che anche i pensieri umani possono essere oggetto di computazione. La mente di Boole non si fermò alla paternità della logica matematica in quanto, quando la sua teoria entrò nel vivo delle problematiche della vita pratica, pensò che anche queste si potevano rappresentare con un 1(vero) o uno 0 (falso). Per esempio un 1 poteva rappresentare una lampadina accesa, mentre lo 0 rappresentare la stessa, ma spenta; si poteva raffigurare anche la corrente elettrica che passa o non passa in un filo, sempre con uno 0 o un 1. Usando quindi le stesse leggi matematiche dell’algebra booleana si poté costruire la teoria dei circuiti elettrici e di quelli elettronici. Si capisce quindi che, tassello dopo tassello, i giganti sulle spalle di altri giganti posero le solide basi del mondo in cui viviamo oggi, mentre il sogno di Leibniz di matematizzare la logica fu in parte realizzato da Boole. Negli stessi anni in cui Boole si affaccendava con la logica, un team di due matematici anch’essi inglesi lavorava al progetto della loro macchina analitica, una macchina che poteva anche programmare: Babbage e Ada Lovelace. L’idea era fantascientifica e l’impresa per la realizzazione era ardua, poiché necessitano tanti soldi, tanti studi e pochi riconobbero la genialità del progetto. Tanto che purtroppo i due matematici non vedranno mai il loro sogno realizzarsi per le difficoltà legate alla complessità meccanica delle sue 25.000 parti componenti da assemblare, perchè avrebbe funzionato grazie all'energia data dal vapore e 133
perché i concetti sui quali la macchina avrebbe basato il suo funzionamento anticipavano di almeno cent’anni il livello tecnologico necessario alla loro attuazione pratica. Basti sapere però che nella testa di Babbage e nel suo progetto, la macchina analitica poteva risolvere problemi di velocità di calcolo, di precisione numerica e di programmazione delle formule da eseguire. Egli progettò la sua macchina analitica costituita da due parti: il Mill (mulino-motore) e lo Store (magazzino), la stessa architettura con cui è concepita la struttura di un moderno computer oggi, in cui abbiamo il Processore Centrale (CPU) e la Memoria. Ma nell’800 i matematici non erano mai satolli, e Babbage voleva che la sua macchina fosse un sistema capace di emulare a più livelli il ragionamento necessario al calcolo automatizzato. Usò le schede forate e stabilì che queste non erano tutte uguali, ma ognuna aveva una funzione diversa: alcune conservavano i dati, altre stabilivano quando eseguire una operazione, altre specificavano in quale parte della memoria un particolare dato doveva essere preso per essere processato e in quale altra parte doveva essere immagazzinato assumendo la posizione di risultato. Alla macchina venne aggiunta anche un’altra possibilità, quella di ripetere automaticamente una sequenza di operazioni per un prefissato numero di volte. Per ottenere tutto questo, Babbage aveva bisogno di programmare la macchina e questo arduo compito sarà affidato alla giovane Ada Lovelace che nel 1843 descrisse la macchina analitica come uno strumento programmabile, in grado di agire in conformità a delle istruzioni generali che lei fornirà attraverso la creazione di algoritmi.(2) Possiamo dire che Babbage sia stato il primo essere umano, matematico, a realizzare, almeno sulla carta e nella sua mente, il primo hardware della Storia, ed Ada la prima creatrice di software (3), cioè un linguaggio con cui poter “dialogare” con la macchina. In quel tempo, la filosofia subiva anch’essa le sue mutazioni con l’avvento del pensiero del filosofo tedesco Immanuel Kant (1724/1804), che opererà con l’intento di provocare un ribaltamento della prospettiva filosofica in essere all’epoca, al pari del cambio di prospettiva generato dalla rivoluzione copernicana. Ormai da qualche secolo si sapeva che la Terra non era il centro del mondo, Newton aveva scoperto la forza di gravità universale e le applicazioni della matematica producevano scoperte e conseguenti invenzioni senza sosta, Ma mancava un pensiero filosofico a sostenerle, l’analogo di ciò che aveva fatto Aristotele (-384/-322) per la matematica e geometria greca: una visione del mondo dai connotati rinnovati dall’apporto dei fondamenti della nuova matematica e fisica. Secondo Kant gli “Elementi” di Euclide e l’opera di Newton “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” (1687), si dovevano considerare di pari fondamentale importanza per l’Uomo, in quanto entrambe le opere titaniche erano da considerare pietre miliari e strumenti fondamentali per la conoscenza del Mondo (prima e dopo) per l’Uomo. Ma mentre l’opera del matematico greco era stata supportata dalla filosofia aristotelica nel testo “Organon”, dove Aristotele sviluppò, sulla base dei concetti euclidei, la sua teoria dei fondamenti della matematica e del ragionamento che ad esso si abbina, il capolavoro di Newton, non aveva ancora il meritato ed indispensabile supporto filosofico, cioè i fondamenti filosofici della fisica moderna. Ma nel 1781 Kant con la sua “Critica della ragion pura” compì la sua “rivoluzione copernicana” riuscendo a spostare il punto di vista della filosofia tanto quanto aveva fatto la scoperta eliocentrica per l’astronomia. Per Kant l’uomo non era più il centro dell’Universo anche per la conoscenza umana, nel senso che molte delle cose che fino ad allora si ritenevano assolute, es. lo spazio ed il tempo, erano da considerare 134
concetti “a priori”, cioè non qualità oggettive della Natura, ma una modalità che l’Uomo si era data per affrontare, vedere e classificare l’Universo che lo circonda. Queste affermazioni produssero un cambiamento epocale al pari effettivamente della rivoluzione copernicana, ed investirono anche la Matematica. Infatti Kant riguardo le verità matematiche sostenne che anch’esse erano a priori, ma introdusse una distinzione seconda la quale le verità matematiche erano verità sintetiche a priori, dove per “a priori” si intende essere verità dedotte con ragionamenti logici, ma sintetiche in quanto poggiano su assiomi che non sono logici e che richiedono la conoscenza e la sensibilità del mondo esterno. Un fatto importante da rilevare è che il titolo originario dell’opera di Kant era “I limiti della sensibilità e della ragione”, come a dichiarare implicitamente la incompletezza della ragione. Infatti Kant riuscì a capire che la ragione e la sensibilità hanno dei limiti per cui gli sono preclusi gli argomenti trascendentali, pena cadere nell’inconsistenza, nell’ antinomia. E si sa che la Matematica non ammette contraddizioni, quindi se non vi si vuole cadere si deve riconoscere che la Matematica è incompleta. Questa severa considerazione, questa ammissione di limitatezza, lavorerà nelle menti sopraffine dei giganti del primo ‘900 e porterà a nuove rivelazioni matematiche e alla prima macchina universale. Il confronto tra le menti più illuminate verterà intorno alla logica, al pensiero puro matematico per un'indagine più profonda e completa delle possibilità della logica stessa e della matematica. Una indagine implacabile in cui c’è chi appoggiò la tesi della logica kantiana e c’è chi vi trovò limiti e la ribalterà. Furono queste le menti dei matematici Friedrich Frege (1848/1925), tedesco, unita a quella dell’inglese Bertrand Russell (1872/1970), spronata dal metodo dell’italiano Giuseppe Peano (1858/1932), a sostenere che la matematica è analitica, puramente logica. Ma i loro tentativi, a suon di pagine di trattati, si arenarono di fronte al concetto di infinito, impossibilitati a rinchiuderlo in una astrazione esclusivamente logica. Inoltre, nel 1899 la giovane star matematica del momento, David Hilbert (1862/1943), dimostrò, nel suo “ I fondamenti della geometria”, a proposito dei 5 postulati di Euclide, che questi mancavano degli assiomi necessari per essere dimostrati (ricordiamo il V già citato). E ne scoprì altri 20, coi i quali Euclide fu nuovamente “riabilitato”, in quanto i 5 postulati erano dimostrabili dai nuovi assiomi aggiuntivi. Hilbert iniziò un ulteriore studio e sfida, rivolta a tutti i colleghi, per scoprire se i 20 nuovi assiomi enunciati erano sufficienti a dedurre tutte le possibili verità della geometria, come dire se questa possedeva la proprietà della completezza, e se da questi assiomi si potessero dedurre o no delle contraddizioni, facendo emergere il problema della consistenza degli assiomi. In sintesi si chiedeva come evitare di costruire un sistema con contraddizioni. E nel 1900 nel tripudio di luci della città lumière, a lato dell’evento di un expo internazionale che aveva dello straordinario, si tenne il secondo congresso internazionale dei matematici, in cui, tra l’altro, Hilbert enunciò 23 problemi che i matematici avrebbero dovuto affrontare nel prossimo futuro, dando inizio ai compiti a casa per lui e per gli altri matematici. Nel frattempo un altro matematico francese Henri Poincaré (1854/1912) era da poco uscito da una immersione in un altro ginepraio logico allo scopo di comprendere le influenze reciproche dei corpi del sistema solare per determinarne la sua stessa stabilità. Le sue analisi ed i suoi studi lo portarono a riempire migliaia di pagine, fino a sostenere non poter esserci soluzioni certe, in quanto quelle trovate erano instabili e caotiche poiché è sufficiente una piccola perturbazione per poter fare crollare il sistema stesso. E questa verità era da estendere 135
a tutti i sistemi. Ebbe così con lui avvio la teoria del caos. Inoltre in altri tre suoi consistenti saggi sferrò un attacco alla logica di Russell ed alla concezione che della stessa e della matematica aveva espresso Hilbert. Per Poincaré la matematica doveva fondarsi sia sulla logica che sulla intuizione, nel senso che la prima doveva fornire la dimostrazione delle scoperte invece realizzate con l’intuizione. Pertanto la filosofia di Kant (le verità matematiche sono a priori e sintetiche), riacquistò forza e ne nacque un dibattito fra i matematici schierati tra le due “correnti”. Intanto i matematici che si erano messi al lavoro per dare risposte ai 23 problemi enunciati da Hilbert cominciano a dare le prime risposte. Sarà un giovane genio matematico-logico Kurt Gödel (1906/1978) cecoslovacco-austriaco naturalizzato statunitense, si dice essere con Aristotele il logico più importante giunto sulla Terra, che esordì nelle proclamazioni. Nella sua tesi di laurea a 23 anni, si pose l’obiettivo di risolvere il problema di dimostrare la completezza della logica usando come sistema di riferimento gli assiomi posti da Russell e Alfred Whitehead (1861/1947) nel loro “Principia Mathematica” pubblicato tra il 1910 ed il 1913. Come Hilbert aveva dimostrato la completezza della geometria euclidea attraverso l’adozione di 20 nuovi assiomi a sua dimostrazione, Godel nel 1929 riuscì a dimostrare la completezza della logica attraverso gli assiomi espressi nei trattati dei “Principia Mathematica” e prima ancora da Frege, dando vita al suo teorema di completezza della logica. Ma Godel certo non intendeva fermarsi a questo importante risultato e si pose l’obiettivo di dimostrare che anche gli assiomi per l’aritmetica e per la matematica in generale erano completi. Se ciò gli fosse riuscito, cioè formalizzare tutte le teorie matematiche esistenti attraverso un insieme finito di assiomi, con la dimostrazione che gli stessi non conducevano a contraddizioni, si sarebbe esaurito il compito assegnato da Hilbert e le teorie di Russell e Frege sarebbero state definitivamente riabilitate. Nel 1931, nella sua tesi di dottorato, Godel dimostrò invece che gli assiomi della matematica non erano completi, che ci sono verità non dimostrabili. Stabilì che per ogni sistema assiomatico formale coerente e sufficientemente forte c’è una proposizione che è vera ma non è deducibile dagli assiomi del sistema. Non si trattava di cercare e trovare nuovi assiomi a sostegno di qualsiasi teoria, perché non si sarebbero trovati, in quanto non esistono, non ci sono. Il problema riguardava la natura stessa della matematica che rivelava così la sua incompletezza ben espressa nel teorema di Godel. Mentre per la logica e la geometria era stato possibile trovare dei sistemi di assiomi completi che permettessero di derivare tutte le verità, per tutta l'aritmetica e quindi per la matematica nella sua interezza non era possibile. Col teorema dell’incompletezza Godel risolse il secondo dei 23 problemi posti da Hilbert (quella della inconsistenza) dimostrando che non sia possibile dimostrare la consistenza della matematica all’interno del sistema stesso, cioè usando gli strumenti della stessa matematica. La scoperta di Godel insieme al dibattito nato già a fine ‘800 negli ambienti matematici, agitò la comunità matematica, ancora oggi in disaccordo sul tema, ed anche le acque, mai ferme, dell’Arte. Non si possono trascurare altre fondamentali scoperte realizzate nei primi anni del ‘900, atte a portare in fibrillazione tutti gli animi rivolti alla conoscenza del Mondo. La pubblicazione nel 1899 di “L'interpretazione dei sogni” da parte di Sigmund Freud (1856/1939) portava l’inconscio a far parte anch’esso a pieno titolo del sistema uomo, sconvolgendo le già precarie certezze acquisite. Nemmeno si può omettere il mirabile lavoro, studio ed intuizione di Albert Einstein (1879/1955), alla cui base c’erano le 4 equazioni 136
formulate dall’inglese James Maxwell (1831-1879) nel 1861, che stabilivano l'unificazione dei campi elettrici e magnetici in una sola teoria. Nel 1905 Einstein concretizzò tutto il suo pensiero nella pubblicazione di sei articoli ponendo le basi delle sue scoperte future sull’effetto fotoelettrico, sulla radiazione elettromagnetica e quelle che lo porteranno alla sua Teoria della relatività generale. In tutto questo ribollire di idee, parole, scambi, prove, verifiche, nuove teorie e nuovi dolori, certamente il teorema di incompletezza di Godel creò un grande shock nell’ambiente matematico, poiché forniva una dimostrazione inconfutabile che determinate cose, in matematica, sono realmente impossibili, persino in linea di principio, andando a minare gli stessi fondamenti logici della disciplina. Ma la necessità di comprendere il mondo per i matematici non termina mai, ed il sogno millenario di creare una sorta di meccanizzazione della matematica attraverso una macchina per fare calcoli in modo automatico nemmeno. Infatti questo ultimo era uno dei problemi-compiti enunciati da Hilbert nel 1899, ribadito nel 1928, ancora senza risposta. Era il Entscheidungsproblem, il “problema della decisione”, cioè trovare un algoritmo che permettesse, data una formula della logica, di stabilire se una formula era vera o no, valida o no. Nel 1936 un giovane studente inglese, Alan Turing (1912-1954), a soli 23, trovò la soluzione al problema della “decidibilità” ancora in sospeso, e la rese pubblica nella sua tesi di laurea. In verità lo stesso anno uno dei suoi futuri professori all’università americana di Princeton arrivò alle stesse conclusioni, Alonzo Church (1903/1995), sebbene con dimostrazioni sostenute con argomentazioni diverse. Il risultato per entrambi fu: non esiste ora e mai potrà esistere un algoritmo in grado di decidere quali siano le verità logiche. Non era infatti di facile soluzione la dimostrazione negativa di un algoritmo che non c’è e non ci sarà mai, perché è necessario poter escludere tutti gli algoritmi passati, presenti e futuri dalla possibilità della loro fruibilità. Per la dimostrazione c’era bisogno di effettuare infiniti calcoli e manualmente non sarebbero bastate le vite di tutti i matematici passati, presenti e futuri per eseguirle. Quindi Turing per poter esibire la sua dimostrazione dovette inventare una macchina capace di simulare la computazione di qualunque altra macchina e capace di fare tutti i calcoli mai eseguiti fino ad allora, la Macchina Universale.
Fig.1 Primo computer per decifrare messaggi nazisti a Bletchley Park, (GB), 1943
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Stabilì anche la nuova nozione di algoritmo, cioè una sequenza di istruzioni, con cui dimostrò l’esistenza di una procedura logica capace di elaborare numericamente qualsiasi altro algoritmo, soggetto quindi alla possibilità di essere programmato su un computer. Turing dotò l’Umanità della Macchina Universale, ovvero una macchina logica universale programmabile per mezzo di un algoritmo e questo straordinario strumento cambierà il mondo e oggi ci vede qua a cercar di capire le strade percorse dall'Uomo per giungere a ideare e, poi, costruire una macchina capace di emulare l’azione umana e i suoi processi cognitivi. Turing anch’egli mai satollo di conoscenza, spostò ulteriormente la frontiera del sogno, e oltre alla progettazione della Macchina Universale immaginò che questa potesse fare le veci dell’uomo e fu il primo ad avere l'intuizione che la stessa potesse compiere ragionamenti propri come il cervello umano e creò un programma, sempre sulla carta, affinché una macchina potesse giocare a scacchi con lui. All’epoca Turing perse la partita, ma oggi sappiamo che nel gioco degli scacchi l’odierno computer è più bravo del miglior giocatore in carne ed ossa del pianeta. Turing è da ricordare anche, seppur esuli dall’argomento trattato, per il suo preziosissimo contributo nella seconda guerra mondiale nella criptazione dei documenti della Germania nazista. Infatti egli applicò uno dei primi computer per la decifrazione del codice segreto tedesco chiamato Enigma, che i matematici tedeschi ritenevano inespugnabile. Quello che i nazisti non previdero fu la genialità di Turing, che costruirà un cervello elettro-meccanico chiamato Bomb, che in poche ore riuscì a scovare la chiave segreta per decriptare i messaggi dei nazisti. Poca gloria ricevette a causa della segretezza militare a cui era sottoposto il progetto anti-enigma, ma quanto dolore e umiliazione dovette subire questo Uomo straordinario a causa della sua omosessualità, ancora meno accettata di quanto lo sia oggi. Fu costretto a subire la castrazione chimica, che lo porterà al suicidio mangiando una mela avvelenata. E non è certo bello terminare una panoramica sulla logica imperante nella Matematica del XX secolo e, soprattutto nella nostra vita odierna, con un gesto così doloroso e tragico. L’uomo che ha regalato all’Umanità un dono preziosissimo viene punito per non essere “idoneo” nella società perbenista e ipocrita, come a ripercorrere il giardino dell’Eden e ritrovarsi di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, per scoprire che quest’ultimo continua a vincere contro la manifestazione del bene più grande: la ricerca della verità.
Fig. 2 Turing, giovane studente pieno di sogni ; Fig. 3 Godel con Einstein, passeggiando nel parco dell’Università di Princeton (USA)
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5.2 LA MACCHINA I segni sulle pareti, le tacche sulle ossa, l’uso di corde annodate e delle proprie dita hanno anticipato le prime macchine calcolatrici, costruite in ogni parte del pianeta oltre tremila anni fa. Ogni comunità umana, gli Indiani ed i Cinesi, anche gli Egizi, i Maya, gli Aztechi, i Greci, i Romani, gli Arabi e gli aborigeni in Africa e quelli in Australia, ha inventato un proprio sistema di contare i numeri e poi un sistema per il loro controllo, necessario alla gestione delle risorse alimentari, dei territori, delle proprietà, in battaglia come in pace. La necessità ha portato gli Uomini a costruire ciò di cui avevano bisogno, ogni volta apportando cambiamenti alle condizioni di vita delle popolazioni che se ne servivano. Furono gli indiani e i cinesi i primi a pensare e costruire le prime macchine conosciute come abachi, tramandate fino a noi praticamente identiche. Mi piace ricordare il rinvenimento nei fondali dell’isola di Anticitera, Grecia, nel 1900 del relitto di un'imbarcazione naufragata, risalente al primo secolo antecedente l’anno zero. La nave pare fosse adibita al trasporto di oggetti di prestigio, tra cui statue di bronzo e marmo, e conteneva, al momento del rinvenimento, un oggetto strano, una “macchina” che decenni dopo si scoprì essere il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al -150. Dopo anni e anni di studi sull’oggetto misterioso, si capì essere un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana ed anche le date dei giochi olimpici. All’inizio l’oggetto passò quasi inosservato a causa delle cattive condizioni in cui versava, incrostazioni ed usura determinate dall’acqua marina e dal tempo avevano compiuto il danno, ma studi successivi dimostrarono essere un congegno degno di menti sopraffine che elaborarono un sistema di calcolo degno dei nostri computer odierni. Insomma, le spalle dei Giganti su cui è stata poggiata l’idea di un così elaborato congegno, erano ampie, forti e di grande propulsione per la nascita degli strumenti necessari al miglioramento della vita dell’Uomo ed erano molto molto antiche.
Fig. 4 Macchina di Anticitera
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La Macchina di Anticitera fu il frutto infatti di tante conoscenze matematiche provenienti sia dalle menti dell’area di Mediterraneo che da quelle dell’Oriente e fu realizzata in Grecia, all’epoca il centro delle idee e delle tecniche più evolute. (La scoperta della Macchina di Ancitera, la sua composizione, i suoi ingranaggi e le iscrizioni apportate, fanno pensare al fatto che i Greci già sapessero che la visione tolemaica non era la giusta rappresentazione del mondo e che già considerassero il sole il centro del nostro sistema solare). Già per i Greci fu importante la circolazione e condivisione di conoscenze, di studi e di informazioni: in una sinergia di pensieri provenienti da ogni parte del mondo, si costruirono oggetti e sistemi che ci lasciano tuttora stupiti ed increduli di fronte a tanta sagacia riposta in un piccolo oggetto. La macchina di Anticitera ha infatti le dimensioni di un libro (30 per 15 per 5 cm) ed in ogni sua ruota dentata, incastro, ingranaggio, iscrizione (sono incisi 2000 caratteri su rame di cui la macchina è costruita), risuona l’eco lontano dei nostri saggi e curiosi avi. Tornando a tempi più recenti, nel 1936, come abbiamo già detto, Alan Turing descrisse il primo modello formale di calcolatore, la Macchina di Turing Universale, una macchina in grado di simulare la computazione di qualunque altra macchina, gettando le basi teoriche del calcolatore programmabile. Nello stesso anno dell’enunciazione del progetto, 1936, un ingegnere tedesco Konrad Zuse (1910/1995), anche pittore per passione, iniziò a costruire il primo calcolatore moderno, chiamato macchina logica ”V1”, poi ribattezzato “Z1” per evitare riferimenti con armi naziste dal nome simile. Lo realizzò artigianalmente, a casa sua, utilizzando la tecnologia elettromeccanica disponibile negli anni trenta e fu la prima macchina al mondo basata su codice binario, completamente programmabile, in grado di processare numeri in formato binario e le cui caratteristiche più importanti furono la netta distinzione fra memoria e processore, rispettando l’architettura del calcolatore ipotizzata da Babbage oltre 100 anni prima. Era azionata da un motore elettrico, che la rendeva simile, nell’aspetto e nel suono prodotto, ad una specie di grosso centralino telefonico poggiato su un tavolo. Durante la seconda guerra mondiale fu distrutta dai bombardamenti tedeschi assieme ai progetti relativi, ma Konrad Zuse ne costruì un’altra versione aggiornando alcuni componenti tra cui 2200 relè, facendo diventare la sua nuova “ Z3”, il primo computer digitale programmabile funzionante al mondo, potenzialmente operativo tra il 1939/1940, ma senza esiti. (Da rilevare, che nessuna delle invenzioni di Zuse fu nota fuori della Germania prima degli anni '60 ed il governo tedesco non manifestò particolare interesse per gli studi e gli esperimenti del matematico scienziato: ci è andata bene!). (4) Il Novecento è il secolo in cui le idee di una macchina da calcolo universale si sono intrecciate con il progresso scientifico e con le necessità proprie di chi fa o deve difendersi da guerre. Per affrontare le incombenze belliche che necessitano di tutte le novità tecnologiche per operare calcoli veloci ed effettuare lo smistamento di innumerevoli informazioni vitali per le popolazioni e per il risultato ultimo dei conflitti, si passò dal calcolo fondato su semplici operazioni aritmetiche fatte a mano a quello dove erano le “mani” delle macchine voluminose a compierli. La Macchina di Turing sembrava essere stata progettata allo scopo, perché poteva essere programmata per risolvere ogni problema matematico espresso in forma logica, proprio ciò che i Paesi andavano cercando per rispondere alla complessità dei calcoli della guerra.
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Il governo inglese a partire dal 1939 concentrò in gran segreto a Bletchley Park, a nord di Londra, a metà strada tra le università di Oxford e di Cambridge, un team di menti superiori allo scopo di bloccare la macchina infernale Enigma in uso dai nazisti per le comunicazione ed il controspionaggio. Tali menti, che spaziavano per la diversità di competenze (matematiche, degli scacchi, di enigmistica, di crittografia, …), si dedicarono alla decodificazione dei messaggi di guerra dei nemici. A capo di tutte c’era quella di Alan Turing, che da subito ideò, creò ed utilizzò una macchina chiamata Bomb, il primo calcolatore logico programmabile per decifrare i messaggi criptati segreti dei tedeschi. Nel 1944 Bomb fu sostituito da un’altra più potente e colossale macchina universale, da qui il suo nome, Colossus, sempre basata sul progetto della Macchina Universale di Turing, che permise di intercettare in tempo reale tutti i messaggi tedeschi, prevedendo e anticipando le mosse del nemico, cambiando letteralmente il corso della storia. E mentre in Inghilterra alcuni geni decriptavano messaggi di guerra, dall’altra sponda dell’oceano Atlantico, altri matematici per lo più europei, ungheresi ebrei, scappati negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni, lavoravano al Progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica. Tra questi anche un matematico di pura razza John von Neumann (1903/1957) che, mentre si occupava di come porre termine alla guerra con la costruzione della bomba atomica, aveva la testa coinvolta ed appassionata anche in un progetto per la realizzazione di una macchina universale di Turing. Proprio grazie ai suoi studi e alla fascinazione che subì verso l' ENIAC (Electronic Numerical Integrator And Computer), un enorme calcolatore a valvole, che ancora era in fase di realizzazione sempre per scopi bellici, von Neumann fu l’artefice della costruzione di un’altra grande macchina sempre americana. Era il 1946 e presso l’Institute of Advanced Study di Princeton venne iniziata la costruzione dell' Electronic Discrete Variable Automatic Computer, EDVAC. Questa nuova macchina fu basata sul sistema di numerazione binario e partendo dal progetto della Macchina Universale di Turing adotterà quella che verrà definita l'architettura di von Neumann, (5) a sua volta figlia di quella di Babbage. Fu dotata, per la prima volta di un programma memorizzato (software), di una memoria RAM (Random Access Memory) e di una memoria di 40mila byte (per i nostri computer praticamente quasi nulla!), pesava 8 tonnellate, aveva un volume di circa 45 mq, costava moltissimo ed assorbiva tantissima energia a causa delle 3474 valvole di cui era dotata. Nel 1951 EDVAC ebbe i natali insieme anche al suo software, suscitando molta impressione e clamore per cui si coniò la definizione di "cervello elettronico". A questo fu richiesto di gestire il flusso delle informazioni tra la memoria, costruita con elementi di ferrite, l’unità logico-aritmetica, basata su porte logiche (realizzate con valvole termoioniche) e l’unità di controllo, simile a un centralino telefonico in grado di smistare il flusso delle informazioni all’interno del sistema. Il cervello elettronico riceveva in ingresso (input) informazioni espresse in codice binario e restituiva in uscita (output), sempre in codice binario, i risultati dell'elaborazione; questa era ottenuta attraverso la gestione del flusso di elettroni tra un’unità di controllo, una memoria e un’unità logico-aritmetica. Per chiarezza, la porta logica detta Nand (6) è quella che permise, e permette tutt’ora, il ragionamento alla macchina, ed è la componente minima intorno alla quale si assemblò tutto il complicato sistema del cervello elettronico. La macchina Universale di Turing costruita da von Neumann, che è alla base dei nostri moderni computer, ha due componenti fondamentali, ai quali, non appena l’industria 141
dei computer s’impadronì dell’idea, furono dati i nomi di hardware e software: la prima elabora fisicamente l’informazione, la seconda la contiene e la modifica in base alle istruzioni di cui è formata: come un corpo rigido (hardware) fornito di una “testa” contenente il “pensiero logico” (software) e di una coda collegata ad una presa elettrica per azionare la “logicità” della macchina e farla quindi funzionare. Mentre l’elemento caratterizzante la prima generazione di elaboratori elettronici fu la valvola termoionica, inventata dallo scienziato inventore americano Lee De Forest (1873/1961) nel 1907, per quelli della seconda sarà l’invenzione del transistor. Le valvole permisero di eliminare tutte le parti meccaniche ed elettromeccaniche dalle “macchine”, avevano però il limite di essere molto ingombranti, di consumare tanta energia e di produrre eccessivo calore, spesso danneggiando la macchina stessa. Il transistor, inventato da tre scienziati della Bell Corporation nel 1947, inaugura la seconda generazione di elaboratori; rispetto alle valvole, i transistor, impiegati principalmente come amplificatori di segnali elettrici o come interruttori elettronici comandati, era un dispositivo più efficiente, più affidabile, più piccolo, più duraturo, molto più veloce e più economico. Entrambi i computer di prima e seconda generazione, erano riservati solo ai laboratori militari e scientifici sia per la difficoltà di utilizzo (linguaggi di programmazione complessi) che per i costi notevoli. Terminata la guerra, alcune aziende che prima producevano componenti elettromeccaniche si convertirono alla novità tecnologica e nel giro di pochi anni iniziarono a lanciare sul mercato i nuovi computer. La novità che porterà alla terza generazione è l’invenzione dell'hard-disk, che darà alla macchina una maggiore autonomia, in quanto i dati si potevano conservare anche a macchina spenta. Per avere un "hard disk” del tipo di quelli che conosciamo ora, certamente all’epoca con meno capacità, si dovrà attendere fino il 1973, e sarà un prodotto dell’IBM. Ma ciò che caratterizzò la terza generazione di computer sarà l’applicazione di una nuova tecnologia, il circuito integrato, frutto di sperimentazioni avanzate effettuate nei campi della fisica e della chimica. Siamo nel 1960 ed i primi circuiti integrati potevano raggiungere un massimo di 10 componenti (transistor e altri elementi) su ogni chip, grande come un francobollo, ed il transistor sarà alla base di tutti i circuiti elettronici da lì in avanti, grazie al fatto che i chip, in un prossimo futuro, arriveranno a contenere al loro interno migliaia di transistor miniaturizzati. Le dimensioni, il peso, gli ingombri delle nuove macchine ed i costi di produzione si ridussero sensibilmente mentre accelerarono i tempi di elaborazione e le prestazioni. Pian piano e con fiducia nelle continue innovazioni, si incominciò ad intravedere la possibilità, anche per le persone comuni, di acquistare una macchina così speciale, assolutamente rivoluzionaria. In quegli anni una delle aziende che più di altre sarà attiva nella progettazione e creazioni di nuovi sempre più efficienti computer, sarà la IBM, che nel 1964 lanciò sul mercato il suo prodotto di terza generazione la IBM360, potente e veloce, che permise alla IBM di diventare il primo produttore mondiale di calcolatori elettronici e una delle aziende al mondo con la più alta redditività. Nel 1967 costruì il primo Floppy disk, come spazio di memoria per il programma di avvio del computer. Solo anni dopo la funzione del Floppy disk sarà allargata anche per l’archiviazione di qualunque programma o dato. 142
Il primo microcomputer sarà progettato dall’ingegnere poi imprenditore Gordon Bell (1934) per la Digital Equipment Corporation col nome di PDP 8 nel 1965 e segnerà una svolta grazie alle sue dimensioni ridotte ed alla sua economicità aprendosi al mercato di utenti quali aziende, uffici e scuole. Un vero anticipatore degli odierni personal computer. Anche in Italia, già nel 1965, la Olivetti lanciò il suo calcolatore programmabile da tavolo, Programma 101, denominato “Perottina” dal nome del suo designer Pier Giorgio Perotto, ma le sue potenzialità non vennero comprese e l’Italia perse l’occasione di dare i natali al primo personal computer della Storia. Nel 1967 Douglas Engelbart ottenne il brevetto per un indicatore di posizione X-Y per display, comunemente chiamato "mouse", che entrerà in commercio solo nel 1981 a corredo di un computer della Xerox, con l’intento di migliorare l’accesso alle funzioni del computer. Tutte le aziende tecnologiche coinvolte nella ricerca e nel mercato avvertivano la necessità di migliorare e velocizzare ulteriormente i processi e giunsero ad ideare e progettare una combinazione di un processore con una unità di calcolo incorporata. Come altre innovazioni tecnologiche, il microprocessore monolitico apparve appena la tecnologia lo consentì, dato che l'idea di integrare i componenti di una CPU in un singolo circuito integrato era una soluzione logica, che già alla fine degli anni 60 era stata articolata con architetture di microprocessore. Dopo controversie circa il brevetto, nonostante già nel 1971 la Intel avesse costruito il primo microprocessore commerciale, Intel 4004 (il chip era a 4 bit e combinava 2250 transistor, con una potenza era di 60.000 operazioni al secondo), solo nel 1973 fu riconosciuto il brevetto per l'architettura di un microprocessore a singolo chip alla società Texas Instruments.
Fig. 5 Primo processore Intel 4004 sul quale chip furono incisi 2250 transistor
Fu l’inizio della quarta generazione di computer essendo quella del microprocessore una invenzione rivoluzionaria che permise in pochi cm. di spazio di contenere tutta la potenza di calcolo del gigantesco EDVACE e dagli anni ‘70 la tavoletta di silicio posta nei computer di
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tutto il mondo, subì modificazioni solo nella sua potenza e velocità (da 4 a 64 bit), contribuendo a rendere meno inavvicinabile l’agognato computer nella propria casa. Si pensi che Intel 8080, nato nel 1974, secondo figlio del primo microprocessore Intel 4004, era a 8 bit ed in grado di eseguire fino a 200.000 operazioni al secondo; viene considerato il precursore dell’ Intel Pentium, attualmente usato nei più nuovi computer. Grazie alle continue innovazioni nel settore, si potevano costruire ora dispositivi veramente potenti, ma molto più piccoli e in grado di ridurre molto il loro prezzo. Nasce nel 1980 il primo computer economico, lo ZX-80, progettato, costruito e commercializzato dall'inglese Clive Sinclair (1940), macchina ideale ed accessibile per i primi aspiranti programmatori smanettoni. E nel 1981 anche l’IBM creò il suo computer dal prezzo più abbordabile, dal nome Personal Computer IBM (PC IBM), che soppiantò il giovane Sinclair nelle vendite, inaugurando il desktop, seppur monocromatico. Fu però nel 1982, col lancio da parte della Commodore International del Commodore 64, che il pc divenne “popolare”, grazie al suo prezzo molto ridotto rispetto alla concorrenza ed alle sue prestazioni migliori, determinate anche da una dotazione di software molto ampia. Nel giro di pochi anni il Commodore 64 entrò in milioni di case, stabilendo un incredibile successo di vendite e diventando il sogno realizzabile di sempre più persone. Nel 1983 fece la sua apparizione nel mercato, Apple Lisa, prodotto dalla giovane società “Apple Computers” nata nel 1976, i cui fondatori, due giovani californiani, Steve Wozniak (1950) e Steve Jobs (1955/2011), fanno già parte della Storia dell’informatica. Apple Lisa fu il primo computer commerciale ad utilizzare l’interfaccia grafica, basata su finestre ed icone, pane quotidiano oggi di ognuno di noi. Nel 1984, sempre da Apple uscì sul mercato Macintosh Plus, una macchina interamente grafica, accessibile per il costo (mai però come il Commodore 64), con un monitor in bianco e nero integrato con la CPU; la tastiera era povera di tasti, ma efficace al tocco, come il mouse, che presenta un solo tasto. L'interfaccia grafica del Macintosh Plus simula una scrivania, con le varie cartelle (in forma di icone), dispositivi di memorie (floppy e disco fisso) e cestino per i documenti da buttare. Era una macchina completamente nuova, diversa da tutte quelle presenti sul mercato e fu un successo, soprattutto tra il pubblico dei grafici e dei compositori editoriali. Nel 1975 due giovani americani, dopo aver abbandonato gli studi e l’attività che svolgevano, appassionati e fiduciosi nel futuro radioso del nuovo magico strumento, costituirono la loro società Microsoft Corporation (questo è l’ultimo nome assegnato). I due amici, compagni di scuola di Seattle, Bill Gates (1955) e Paul Allen (1953/ 2018), realizzarono una versione ridotta del linguaggio di programmazione chiamato Basic, adattato ad un computer della MITS (Micro Instrumentation and Telemetry Systems), società per cui lavorava Gates. I proventi conseguiti dal loro superbo lavoro di programmazione, furono quindi destinati per mettersi in proprio e proporre le loro conoscenze in termini di servizi informatici e creazioni di linguaggi. Nel 1983 i due soci misero a punto il sistema operativo Microsoft Windows, che era lo stesso MS-DOS, ma implementato con un'interfaccia grafica (GUI) e 2 anni dopo lanciarono sul mercato il frutto del loro lavoro dal nome Windows 1.01. E’ l’inverno del 1985, e nulla sarà come prima nel mercato dei computer, ma soprattutto nella vita di chiunque sul pianeta Terra. 144
La particolarità di Windows 1.0 era l'interfaccia grafica e la promessa di fornire all'utente un modo "visuale" più semplice e gradevole per interagire con il computer. Windows 1.0 permetteva alle nuove applicazioni, scritte appositamente per Windows, di mostrarsi all'interno di una finestra sullo schermo, consentendo la presenza di più applicazioni aperte contemporaneamente, e per questo motivo fu assegnato il nome più adatto, windows (finestre). Per i tempi fu un cambio di paradigma notevole, infatti all’epoca era necessario inserire lunghi comandi sul "prompt" testuale di MS-DOS prima di veder attivata la macchina. L’interfaccia grafica di Windows 1.0 aveva molte somiglianze con quella del Macintosh e non mancarono quindi le battaglie legali fra quelli che diventeranno da lì a poco, i due giganti nel mondo dei computer e della….finanza. Windows fu costretta ad abbandonare l'MS-DOS e scrivere da zero una nuova famiglia di sistemi operativi, cioè le varie versioni di Windows che si sono succedute e Macintosh, divenne il Mac che conosciamo, con sorprendenti novità ad ogni lancio di nuovo prodotto.
Fig. 6 Macintosh Plus, 1984 Fig. 7 Windows 1.01, 1985
All’inizio degli anni ‘80 quindi i computer diventarono così come siamo abituati ad usarli, ovvero con uno schermo, un mouse e una tastiera, e negli anni le imprese coinvolte nella creazione di nuove macchine e nella loro immissione nel mercato puntarono ad offrire alla sempre più estesa massa di acquirenti macchine sempre più sofisticate ed anche economiche. Si può parlare al presente, ormai, poichè a partire dagli anni ‘90 l'industria informatica non ha mai smesso di fermarsi in una corsa inarrestabile verso la digitalizzazione della vita di ognuno di noi. La quasi totalità degli abitanti della Terra ha in casa o in tasca, per lo più in mano, un computer. Per far ciò le aziende produttrici hanno perseguito le stesse strade: ridurre il volume dei componenti delle macchine pur aggiungendo strumenti migliorati e nuovi (stampanti, webcam, ..), inserire pacchetti di software per poter dotare il sistema di sempre più possibilità, ricercare per la macchina un'estetica curata come un oggetto a supporto di comprovato status, e potenziare l’azione sul mercato con una forte dose di marketing. Col miraggio di una nuova vita scandita dalle promesse di un cambiamento 145
determinato da un nuovo modello di computer piuttosto che di cellulare, da nuove applicazioni, da nuovi schermi, da tutto ciò che che fa sognare di essere nel futuro, inconsapevoli di viverlo già, procediamo nella Storia che oggi vede l’Umanità avere a disposizione un cervello elettronico strumento capace di elaborare, controllare, archiviare e tramandare migliaia di informazioni in una manciata di secondi e di avere questo magico strumento in mano. Una vera bomba digitale! a seconda dell’uso che se ne fa. Sempre alla fine del secolo XIX, un ricercatore inglese del CERN di Ginevra, Tim Berners Lee (1955), sognava di scrivere un programma eseguibile su un sistema operativo di rete capace di far transitare liberamente le informazioni utilizzando i protocolli di trasmissione di internet, all’epoca utilizzato solo dalla comunità scientifica: il visionario ricercatore stava dando i natali al World Wide Web.
Fig. 8 Tim Berners Lee, il generoso "papà" del World Wide Web
Coadiuvato dai suoi amici colleghi nel 1991 coniò il nome, scrisse il programma per il primo server, scrisse la prima versione del linguaggio di formattazione di documenti con capacità di collegamenti ipertestuali, l'HTML, definì il protocollo HTTP, ne scrisse le applicazioni necessarie, creò il primo sito Web e lo mise online su Internet. Nel 1993, Tim Berners Lee fece il suo grande regalo al mondo, rendendo pubblica la tecnologia alla base del Web e fu un successo, determinato dalle infinite possibilità che questo strumento offriva a chiunque. Si poteva e sempre di più si potrà, migliorando i servizi in atto, spedire e ricevere email, vedere ed ascoltare film e musica in streaming, parlarsi attraverso uno schermo guardandoci negli occhi, scaricare o inviare file, navigare l’intero Web, condividere qualsiasi tipo di file e software. Ma anche acquistare tutto (anche armi), avere un sito dove vendere i propri prodotti e/o diffondere il proprio pensiero, fare trading, ricevere ed offrire servizi, visitare musei, organizzare mostre, .. e fare anche Arte! La Apple, la Microsoft e tante altre aziende informatiche continuano a migliorare le macchine che producono e i servizi collegati, tanto che, anche grazie all’ accoppiata col W.W.W., il
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computer è lo strumento più diffuso nel Pianeta. Forse più del pane e dell’amore oggi sentiamo il bisogno di giga. 5.3 IL PENSIERO CODIFICATO Abbiamo uno splendido computer, meglio dire un Hardware, che però senza il pensiero di qualcuno non funziona. Anche se la corrente elettrica fa accendere la sua lucina rossa, la macchina non funziona, non fa niente, non può fare niente. Serve una benzina speciale, creata appositamente per lei, affinché si possa animare attraverso lo schermo. Serve un apposito programma. Il programma è un algoritmo, cioè una successione di operazioni che permette, a partire da dati iniziali, di ottenere la soluzione di un determinato problema, e viene scritto in un linguaggio di programmazione, uno dei possibili adatti o speciali, che regala alla macchina la possibilità di funzionare e quindi esibire tutte le sue caratteristiche. (7) I linguaggi di programmazione sono linguaggi artificiali progettati per trasmettere istruzioni, rappresentate da codici numerici espressi in sistema binario (formalizzazione di un algoritmo) ad un computer capace di interpretarle ed eseguirle, ed anche di poter essere lette, comprese e modificate da esseri umani. Ci sono i linguaggi di basso livello che sostanzialmente sono la sequenza di istruzioni inserite nella memoria del computer espresse in codice binario, anche definiti linguaggio macchina, e sono orientati alla macchina stessa, cioè questa li esegue attraverso il processore. La nota negativa è che ogni computer può comprendere solo il proprio linguaggio macchina, poiché esso è diverso da processore a processore. Quelli di alto livello, invece, sono linguaggi più vicini alla logica umana dove le istruzioni non sono in forma numerica, ma possono essere anche parole, il cui significato corrisponde all'operazione che l’istruzione vuole che sia effettuata. Sono progettati per essere facilmente comprensibili dagli esseri umani e per essere eseguiti da un computer, però, necessitano di traduzione o interpretazione effettuate da un altro programma detto “compilatore” o ”interprete”. Questi traducono, affinché il computer comprenda le istruzioni, il linguaggio alto in linguaggio matematico binario, lo stesso del linguaggio macchina. Quindi, si ha un problema, lo si analizza, si comprende la soluzione attraverso un algoritmo che si scrive e si formalizza; poi, in base al linguaggio scelto o necessario (a seconda della macchina e/o del problema), si scrive l’algoritmo nel linguaggio stabilito, cioè si programma. Si crea poi il programma per la traduzione in linguaggio-macchina, cioè comprensibile al calcolatore, e così facendo si ha la benzina a base pensiero umano per far funzionare la macchina ed ottenere la soluzione del problema. Il primo essere umano a seguire questo scrupoloso metodo, praticamente ad inventarlo, fu la matematica Ada Lovelace, l’assistente dell’ideatore del primo computer, chiamato macchina analitica, il matematico Babbage. Praticamente quasi 100 anni prima di Turing, nel 1843, una donna realizzò il primo programma, creando stringhe di simboli matematici che, se fossero state immesse nella CPU della macchina di Babbage, si sarebbero tradotte in risultati ripetibili. Seguì Turing e poi Konrad Zuse, che intorno agli anni 1943/45 sviluppò il programma Plankalkül per permettere il funzionamento del suo elaboratore Z3. Ma il linguaggio non fu diffuso e il lavoro dell’ingegnere tedesco si perse li.
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Durante la seconda guerra mondiale si crearono diverse soluzioni di programma per risolvere i problemi inerenti a questioni balistiche, ma fu dopo il 1950 che iniziò una esplosione di creatività rivolta alla creazione di programmi specifici per ogni problema. Nel 1957, dopo anni di studi, un gruppo di esperti dell’IBM mette a punto un linguaggio simbolico, noto come Fortran o traduttore di formule. Fu progettato per facilitare la traduzione in codice di formule matematiche. Il Cobol, sviluppato nel 1959 da un gruppo di professionisti riuniti alla Conference on Data Systems Languages (CODASYL), fu un altro importante linguaggio tutt’ora in uso ed in continua evoluzione. Nel 1964 avviene la nascita del Basic, il primo linguaggio di programmazione semplificato progettato dai professori John George Kemeny e Thomas Eugene Kurtz del Dartmouth College nello stato del New Hampshire negli Stati Uniti. Al linguaggio Basic, acronimo per “Beginner's All purpose Symbolic Instruction Code”, in italiano, “codice simbolico di istruzioni adatto a ogni esigenza”, e il cui significato è “semplice”,“basico”, viene assegnato come nome la principale sua caratteristica. Inizialmente aveva uno scopo semplicemente didattico per insegnare le basi della programmazione agli studenti, ma ne derivò un vero e proprio linguaggio di programmazione molto amato non solo dai principianti. Infatti, ne verranno elaborate numerose versioni, di cui una ridotta appositamente per essere installata nei primi computer domestici a metà degli anni '70 i cui autori, come già detto, furono Bill Gates e il suo amico, futuro socio, Paul Allen. Nel 1970 nasce il linguaggio Pascal, sviluppato dal professore svizzero Niklaus Wirth del Politecnico di Zurigo. Il Pascal facilitò lo sviluppo del software perché consentì ai programmatori di dividere un programma in vari blocchi chiamati "funzioni" e "procedure" per rendere i programmi più facili da capire e da modificare in seguito. Il Pascal è tutt’ora uno dei più diffusi linguaggi di programmazione nelle università ed è adoperato sia in ambito scientifico che in ambito didattico. Nel 1972 esordì il linguaggio C, sviluppato al Bell Laboratories da Dennis Ritchie e fu concepito inizialmente come una sorta di assembler strutturato. (8) “C”, coi suoi eredi, è’ diventato il linguaggio più affermato nella programmazione di sistema, alla base di molti sistemi operativi, browser e videogiochi ed è diffusissimo, insieme ad una ricca raccolta di librerie di funzioni. Il linguaggio più utilizzato al mondo è Java, ideato all’inizio degli anni ‘90 da James Gosling della Sun Microsystem come linguaggio predisposto per applicazioni di intrattenimento come console per videogame e videoregistrazioni. Nel 1995, con la diffusione del World Wide Web, assunse il nome attuale e fu lanciato nel mondo informatico senza, da allora, avere mai soste di utilizzo. L’aspetto di un programma redatto in Java presenta parecchie differenze rispetto ad altri linguaggi tradizionali, perché è associato ad un programma compilatore che produce un codice che può essere adattato a qualsiasi macchina, previa ulteriore interpretazione e codificazione in linguaggio macchina da parte del computer che lo ha in uso.
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Nel 1996 nasce JavaScript, all’inizio presentato col nome LiveScript, sviluppato da Brendan Eic della Netscape Communications che ha una sintassi relativamente simile a quella dei linguaggi C e Java.
Fig. 9 Una pagina di codice scritto in JavaScript
JavaScript è il principale linguaggio di programmazione per lo sviluppo di applicazioni per l’arricchimento visuale ed interattivo di pagine web. A differenza di altri linguaggi, JavaScript viene utilizzato soprattutto come linguaggio di scripting per essere integrato all'interno di un altro codice, che necessita di implementazioni per l'esecuzione di operazioni specifiche istruite da JavaScript, che non sono previste dai costrutti del linguaggio stesso. Mi piace ricordare il linguaggio Ada, nato per rappresentare il punto di maturazione perfetta di tutti i principi di progettazione di software e dei relativi meccanismi linguistici elaborati negli anni precedenti, il cui nome fu assegnato in omaggio alla prima programmatrice Ada Lovelace. Nasce nel 1980 su iniziativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e fu progettato dal francese Jean David Ichbiah (1940/2007). Essendo la sua origine di carattere militare, Ada presenta caratteristiche fortemente orientate alla sicurezza del codice e per ciò viene ancora oggi usato in molti contesti come l’astronautica, l'aeronautica, il controllo del traffico aereo, la finanza ed i dispositivi medici. Al giorno d’oggi si rileva che il programma più utilizzato per far funzionare i nostri computer con tutte le applicazioni necessarie per il nostro lavoro ed i nostri svaghi, è C++, uno dei nipoti dell’ormai non più giovane C, ed è un linguaggio di programmazione ad alto livello 149
capace di integrare caratteristiche dei linguaggi di basso livello. I programmatori per soddisfare le loro esigenze che si traducono nei nostri desideri, spesso lo associano ad altri programmi. Ad esempio, i sistemi operativi (OS) più diffusi Microsoft Windows e Mac OS X sono scritti utilizzando C++ con l’aggiunta di altri programmi; per la creazione dell’ OS di Windows partecipano tre differenti linguaggi C, C++ e Assembly, mentre per l’ OSX del Mac ne vengono utilizzati quattro: C, C++, Swift e Objective C. Adobe Photoshop uno dei programmi più utilizzati è scritto in C++ e Pascal. ….E, se non è chiaro, tutto, ma proprio tutto, ci basti sapere che ciò che vediamo dai nostri schermi è frutto dell’elaborazione di programmi in differenti linguaggi alla cui base c’è la logica booleana dell’1/ 0, del vero e del falso. In questo mondo dove tutto si compra perchè qualcuno possiede ciò che necessitiamo, esiste chi non vuole speculare sulle sue conoscenze e competenze, seppur acquisite attraverso anni di duro impegno e lavoro, ed attua una sorta di scambio-regalo. Sono i programmatori che lasciano il codice sorgente della loro applicazione disponibile a tutti gratuitamente, con la possibilità di utilizzarlo e, se se ne hanno le capacità, anche di modificarlo e distribuire le versioni trasformate del software stesso. Non ci sono licenze o restrizioni di intervento sul codice stesso: sono i programmi open source. Tale auspicabile comportamento alla base del quale c’è un forte senso etico di condivisione gratuita del sapere, consente agli utenti una maggior libertà e flessibilità, e soprattutto da la possibilità di apportare migliorie nell’ affrontare problemi specifici anche a chi non è propriamente del mestiere o a chi in quel momento ha la mente particolarmente creativa e può quindi dare il suo prezioso contributo. Il programma open source nonché sistema operativo Ubuntu, nato nel 2004, facente parte della famiglia di OS open source Linux, racchiude nel suo nome il senso profondo della scelta di operare nel mondo senza licenze e restrizioni, condividendo e sostenendo la comunità intera, sia dei programmatori che quella dei semplici fruitori. Ubuntu è un’ espressione in lingua Bantu (Africa sub-sahariana) che ha un significato profondo di benevolenza verso il prossimo, in quanto tutti siamo il prossimo dell’Altro. E’ una regola di vita basata sulla compassione ed il rispetto del prossimo: ”io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”. Con il termine ubuntu si esorta al sostegno ed all’aiuto reciproco per continuare a creare un legame universale di scambio che unisca l’intera umanità. Oggi più che mai, nell’era digitale, condividere un software gratuitamente è un grande atto rivoluzionario che permette a chiunque di dare il suo piccolo contributo per il bene comune, in questo caso una conoscenza diffusa dei codici utili a far funzionare il mondo attuale, senza sentirsi alienati e solo meri esecutori-consumatori; il lavoro del singolo è importante quando questo viene compreso dall’intera comunità che a sua volta ha così gli strumenti per utilizzare il suo contributo. Nelson Mandela, nei suoi discorsi usò spesso l’espressione Ubuntu per esortare il suo popolo a mantenersi unito e solidale nell’ affrontare le lotte per la libertà, la giustizia ed il rispetto per tutti gli Uomini della Terra. (9)
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Fig. 10 UBUNTU!!! Siamo tutti della stessa Umanità
5.3.1 LINGUAGGIO AD ARTE Ovviamente, più che ovviamente, l’algebra booleana da quando ha fatto il suo ingresso nella vita delle persone, prima in quella dei militari e poi in quella di tutti noi, ha apportato, sconvolgendola, cambiamenti dettati dalla matematica. Zero e uno governano ora le nostre vite, più o meno consapevolmente, in ogni suo aspetto..forse anche quello della sfera intima, chissà!? Pitagora più che mai prima d’ora potrebbe ben dire, tutto è numero! ..e siamo solo agli inizi della comprensione, e sono solo due i numeri portatori del cambiamento. Con la spinta propulsiva a cui è sottoposto oggi il mondo, non è escluso che, a breve, la matematica ci sottoporrà ad altre sue fantasmatiche evidenze, dimostrando ancor di più di essere la trama dell’esistenza del tutto. Nuove scoperte ci costringeranno a nuovi cambiamenti penetrando nel profondo del nostro essere, anch’esso in cambiamento. Saremo ancora umani? Intanto, si può dire che siamo già numeri, o così veniamo considerati da chi detiene il potere sociale ed economico. Un numero per i documenti identificativi, un numero per essere rintracciati, un numero per le statistiche, un numero per trasferire i nostri dati e averi. Codici e numeri!!! Sarà che comincio ad avere una certa età, per cui prendo le cose con molta più leggerezza rispetto ad un tempo, per cui non mi affanno ed osservo ciò che avviene intorno e dentro me,
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senza avere paura, senza resistenze, anche se non “farete di me quello che volete!” fintanto che avrò una testa ed un cuore che mi guida in questo tumulto di cambiamenti. Lavoreranno per noi le macchine a cui abbiamo dato facoltà di fare e decidere al nostro posto facendo si che l’intelligenza artificiale (AI) sarà sempre più presente nelle nostre vite, considerando che ciò sarebbe cosa buona se fosse al servizio dell’uomo. Per ora, sembra arricchire chi detiene il potere decisionale ed economico, mentre l’uomo comune non sta migliorando la sua condizione di vita. Anzi, secondo me, la velocità che accompagna ogni nostro passo, ci ha resi più vulnerabili, più sfruttati nel lavoro, più stanchi e stressati, meno propensi all’ascolto e alla meraviglia dell’Altro e del Mondo intorno. Come bozzoli separati navighiamo, meglio dire galleggiamo, in questo magma di informazioni, di dati, di esibizione, di spasmodica ricerca di approvazione, di ansia di piacere. Non siamo messi bene. Forse non siamo pronti. L’ho già scritto, ma ribadisco: andiamo su Marte, ma emozionalmente siamo rimasti a come eravamo millenni fa. Questa contraddizione si manifesta quotidianamente con conseguenze tragiche e dolorose, e non ci abbandonerà finché non saremo in grado di considerarci un numero come gli altri, un uomo come gli altri, coi suoi limiti ed i suoi talenti e la sua “proprietà” di guardare all’infinito. Il viaggio continua, io ci sono, come tutti, osservando, criticando e cercando il giusto posto dove collocare i valori che considero irrinunciabili per ogni essere sulla Terra: giustizia, libertà, rispetto reciproco, che sono i mattoni fondamentali per un essere umano degno di questo nome. Ubuntu insegna! Osservando e partecipando, ricordando la scoperta di Pitagora dell’esistenza degli irrazionali, i numeri e tutte le cose e persone, per conoscere le quali la ragione non è sufficiente. Nemmeno un algoritmo, che si esprime per formule matematiche, potrà conoscere (anche Turing docet!) questa parte fondamentale di noi e del mondo, mentre la tecnologia avanza imperante e la logica spinge la capacità umana ad esprimere una soluzione matematica ad ogni problema reale. Possiamo solo sperare che vengano contemplati anche i problemi propri del fragile creativo umano! Certo è che l’uomo si è dotato di uno strumento che permette l’estensione della sua mente, mentre finora tutte le scoperte avevano prodotto estensioni del corpo (la ruota, il pennello, le lenti, il treno, l’automobile,...). Ora, armati di nuove protesi, di nuovi strumenti per comunicare, per condividere, per essere protagonisti del mondo, computer, cellulari, tablet, abbiamo un nuovo “cervello”e siamo potenzialmente aperti a sempre nuove possibilità. A partire dagli anni ‘50 attraverso il computer ed il linguaggio formale dei codici digitali, la mente umana è stata stimolata a pensare nuove idee, visualizzare nuovi processi e inventare esperienze e nuovi livelli di partecipazione. Ma anche l’incontrario è stato ed è possibile, dipendendo dall’uso che si fa dello strumento che si usa o che ci usa. Il dubbio è bruciante, li stiamo usando ed useremo per il bene dell’Umanità? Questo è il problema. Per ora, credo, che la maggioranza delle persone siano usate, non tanto dalla macchina, ma dalle incontrollabili risvolti che questa presenta ad ogni suo accrescimento di possibilità. Tant’è che la macchina che conosciamo tutti soddisfa oltre al bisogno della conoscenza anche quello che molti umani, più o meno nevroticamente interessati, hanno del controllo; ed i detentori del potere ben conoscono tutti i sistemi atti a soddisfare l’impulso di dominare la vita degli altri. E tutto avviene in maniera subdola, escogitando sistemi che spacciano il 152
controllo per la libertà. Sono logiche perverse agite e subite, dipendenti da troppi fattori che insieme incrementano il livello già altissimo di complessità della nostra società. L’algoritmo fa il suo ingresso nel mondo dell’Arte come in quello della vita quotidiana e mi balena un pensiero: gli algoritmi viaggiano senza le coordinate proprie della nostra vita: lo spazio ed il tempo. Non occupano spazio, o qualche millesimo di superficie di una tavoletta di silicio, e non hanno tempo, esistono da sempre ed esisteranno come soluzione a problemi che l’uomo si pone e porrà. “Nell’era della meccanica, avevamo operato un’estensione del nostro corpo in senso spaziale. Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio”. (10) La vita dell’uomo si è basata, a ben pensarci, sulla risoluzione di problemi risolti con l’applicazione di un ragionamento logico, un algoritmo, seppur analogico: avere un problema, cercare una soluzione tentando una strada e, se non va bene, passare ad un’altra per trovarla. Sono dei passi logici il cui obiettivo è giungere alla risoluzione del problema! (11) Esempio pratico: ho il problema di aprire un lucchetto e devo trovare in un mazzo di chiavi quella giusta per aprirlo: 1. Scelgo una chiave del mazzo e la marco con un pennarello; 2. Provo ad aprire il lucchetto con la chiave appena marcata; se funziona, vado al passo 4; 3. Se non funziona, vado avanti a controllare la chiave successiva e: 3.1 Se non è marcata, la marco e torno al passo 2; 3.2 Se verifico che nessuna chiave del mazzo è idonea, notifico la sua non esistenza; 4. Fine della ricerca. Passo dopo passo arrivo alla soluzione del problema, al pari di un algoritmo matematico che svolge la stessa procedura con istruzioni in grado di essere comprese dalla macchina e nel rispetto delle seguenti regole: i passi devono essere elementari, cioè non possono essere ulteriormente divisibili; i passi dell’algoritmo non possono essere interpretati in altri modi; i passi sono specifici e richiedono in ingresso soltanto una determinata quantità di dati; l’esecuzione dell’algoritmo deve terminare entro un certo periodo di tempo; l’esecuzione dell’algoritmo deve portare ad un risultato univoco; ogni passo dell’algoritmo deve essere ben stabilito. Algoritmo: una sequenza finita e ordinata di operazioni elementari e non ambigue che permettono di risolvere, in maniera deterministica, un problema in tempo finito, ovvero l’algoritmo ha un termine. (12) E’ una procedura, quindi, senza spazio e senza tempo, utilizzata dalla notte dei tempi ed ora in uno ambiente microscopico può raggiungere lo spazio più ampio conosciuto, alla ricerca di un suo preciso risultato che ne determina il suo compimento. 153
Stiamo spostandoci in un’altra dimensione, forse ci siamo già, ma la coscienza è ancora piccola per misurarci con essa e giungere ad una sua comprensione ed accettazione. Ai posteri, alla Storia, di questa Storia che non ha inizio e non avrà fine, l’ardua sentenza. L’ Arte non poteva essere esclusa da questa rivoluzione, anzi. Mentre le prime macchine, lente e voluminose, facevano le prime apparizioni nei laboratori scientifici, già c’era chi vedeva oltre, percependo altre possibilità per esse. La pittura già non era più l’unica connessione tra scienza e arte; l’introduzione di nuovi materiali determinati dal progresso industriale, come acciaio, neon, polimeri, ha agito come propellente affinché gli artisti li iniziassero ad usare nei loro lavori. L’arte pressata dalla civiltà delle macchine non poteva certo esimersi dal contemplare e far sua anche la scoperta che rivoluziona tuttora il nostro panorama, così che i bit ed il codice binario entrarono nel mondo dell’Arte a testimonianza di un ennesimo cambiamento da cui trarre ispirazioni per nuovi tesori artistici. 5.3.2 PIONIERI Mi piace ricordare i pionieri dell’Arte realizzata con le prime macchine e linguaggi. Adoro I pionieri, chi osa, chi vede possibilità in potenza prima che queste siano sensibili ai nostri sensi. Infatti, colui che seppe vedere oltre lo strumento che utilizzava per il suo lavoro di ingegnere, un oscilloscopio, utilizzato per visualizzare l’andamento temporale dei segnali elettrici su un piano cartesiano lineare, è considerato il padre della computer art. Grazie all’apparecchio che utilizzava per la misurazione ed il calcolo, poteva vedere l’invisibile, e impressionato dall’originale bellezza delle forme che gli apparivano, si mise a rincorrere le onde che le generavano. Modificando i parametri dell’oscilloscopio trasse maggior ispirazione ed iniziò a fotografare le onde altrimenti invisibili a chi non fosse stato presente con lui all’apparizione. Selezionò 57 dei 6000 scatti fotografici realizzati alle onde e decise di esporre le fotografie scelte. Era Ben Francis Laposky (1914 – 2000) statunitense, nato matematico passò ad essere anche artista, lavorando con ciò che non si può vedere. Decise di organizzare una esposizione che fu inaugurata nel 1952 presso il Sanford Museum di Cherokee a cui diede il titolo di Oscillons: Electronic Abstractions, che si apriva con quattro foto di onde altamente matematiche : l’onda sinusoidale, l’onda a dente di sega, l’onda quadra e le figure di Lissajous.
Fig. 11 B. F. Laposky, Oscillons: Electronic Abstractions n.1, 1952
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Fig. 12 B. F. Laposky, Oscillons Electronic Abstractions n.10 e n.34 , 1952
Sembra impossibile che le immagini di Laposky siano la rappresentazione di un fenomeno fisico ed ancor di più che siano state realizzate 70 anni fa; sembrano piuttosto il risultato di un'elaborazione digitale che all’epoca non era nelle possibilità di nessuno. Sono arrivato alla “oscillographic art” attraverso un interesse duraturo nell’arte e nel disegno derivante dalla matematica e dalla fisica. Ho lavorato con il disegno geometrico, le curve algebriche e analitiche e così via. L’oscilloscopio mi sembrò il mezzo con cui ottenere nuove forme artistiche non ottenibili con i mezzi precedenti”. (13) Importante all’epoca il lavoro di un altro matematico-artista anch’egli proveniente dal mondo della ricerca scientifica che si cimenterà anche nella scrittura di romanzi di fantascienza. Sa bene, lui, di esserci già dentro, di viverla ogni giorno immerso nel futuro e lo mostrerà attraverso le sue opere. E’ l’austriaco Herbert W. Franke (1927) che nel 1951 ha la sorte di esser convocato, con piena libertà, a studiare nuove forme di comunicazione visiva per la Siemens. Siamo nel regno dei componenti elettronici di cui Franke avrà libero, totale....e creativo accesso. Armato, quindi, di ogni componente elettronico in grado di titillare la sua conoscenza e creatività, nel 1953, Franke nel 1953 produce la serie Lightforms.
Fig. 13 H.W Franke, Lightforms 1, 1953-55
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“La perfezione raggiunta dalla tecnica di produzione di immagini con il computer, in un periodo di soli cinquant’anni sembra incredibile. Dando uno sguardo a più di mille mie foto dal 1956 al presente, si ha l’impressione non solo di un progresso scientifico ma anche e soprattutto artistico. Ora nessuno dovrebbe dimenticare che lo sviluppo di sistemi informatici non è finito, e questo significa che l’arte del computer è un processo permanente di esplorazione in un universo in espansione come quello dell’arte. Pertanto, le attività di computer grafica rimangono una sfida per la creatività, come nei primi decenni, quando sono state realizzate le prime opere d’arte con il computer”. (14) Tutta la sua vita sarà dedicata alla ricerca sfrenata di mezzi e strumenti atti a spostare sempre un po' più avanti le possibilità offerte dai cervelli elettronici verso nuove possibilità artistiche. All’inizio utilizza gli oscilloscopi per creare immagini, poi realizza che nella programmazione la configurazione diversificata delle variabili (potenzialmente infinite) può portare a risultanze incredibili ed, appunto, infinite, tante quante sono anche le storie fantascientifiche che escono dalla sua testa. Con un collega scrive il programma Oszillogramm, che elabora la sovrapposizione di più oscillazioni elettroniche. Nel 1971 pubblica Computergraphik - Computerkunst (Computer Graphics - Computer Art), dove approfondisce il medium- computer come strumento rispetto alle sue capacità di produrre opere d’arte. Ciò in ambito artistico non passa inosservato e subito nuovi artisti curiosi sposteranno la loro attenzione dallo stupore per il nuovo strumento-medium al suo utilizzo per, adottando il codice, essere in grado di generare forme nuove ed imprevedibili. Soltanto qualche anno fa sarebbe sembrato ridicolo discutere dell’influenza della computer graphics su arte e società. Comunque, anche se le immagini generate al computer sono utilizzate in importanti aree della ricerca scientifica e tecnologica, la loro influenza sulle arti e la società in generale non si è ancora fatta sentire. I pochi che usano il computer come strumento artistico sono considerati degli outsider: sperimentatori liberi che hanno deviato dal rigido sistema scientifico e che non hanno trovato approvazione nei circoli artistici. Una delle cause della mancata approvazione è che gli sperimentatori con il computer sono restii ai frequenti cambi di gusto che prevalgono nell’arte contemporanea. Anzi, sono in una fase primordiale di ricerca di motivi, guidati da aspetti geometrici e matematici. Il fatto che hanno avuto successo nell’aprire ad un immaginario sconosciuto di forme graficamente attrattive è passato inosservato dai critici. (15) E’ un momento di incredibile creatività nata, cresciuta e maturata in rapporto alle funzioni combinatorie della Matematica, che da nuovi impulsi ad un’Arte che non ha precedenti e che allarga i suoi confini per accogliere il computer come nuovo generatore di immagini ad alto potere innovativo e di sfida creativa in relazione ai progressi tecnologici. Dalle immagini statiche Franke passerà a quelle in movimento, come un palcoscenico rinnovato quale è da intendersi uno schermo dove vengono proiettate le creazioni digitali che fanno da sfondo alle prime performance artistiche. Nel 1978 scrive Kaskade, un programma che trasforma la musica in grafica, e nel 1979 è co-fondatore dell’Ars Electronica di Linz (Austria), il più importante festival europeo
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dedicato alle forme d’arte non convenzionali, quali appunto l’arte elettronica, la computer art, la performance e le installazioni multimediali. “La scoperta della bellezza in campi fuori dall’arte implica un coinvolgimento attivo con concetti e valori estetici, anche se non direttamente nell’atto creativo perché l’obiettivo dell’immagine scientifica è di ottenere informazioni in un particolare campo di indagine. I confini (tra arte e scienza) iniziano a sfumare quando i ricercatori approcciano uno strumento scientifico per il puro piacere nella sperimentazione grafica, e quando, mettendo da parte i fini professionali, manipolano strutture in conformità con le nozioni estetiche”. (16) Da vero matematico, Franke non è mai satollo, e, seppur anziano, continua a sperimentare le invenzioni in campo digitale (l’uso di nuovi software) affacciandosi alla grafica tridimensionale, e quelle relative alle più avanzate macchine ad uso e consumo nell’industria, quali, ad esempio i robot. L’input è forte e stridente e non è rimasto inascoltato dagli artisti, ed oggi ne vediamo i risultati nell’elaborazione continua di Arte digitale affiancata dagli strumenti stessi capace di generarla.
Fig. 14 Herbert W. Franke, Oszillogramm, 1961-1962
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Come detto, nel 1979 Franke è cofondatore dell’Ars Electronica di Linz (Austria), il Festival per l'Arte, la tecnologia e la società, il più importante meeting culturale europeo dedicato alle forme d’arte che utilizzano i media digitali come strumenti artistici e mezzi di espressione quali appunto l’arte elettronica, la computer art, la performance e le installazioni multimediali. Resiste da quattro decenni, profondamente radicato nella città che lo ospita, Linz, e si consacra il fulcro dell’Arte del 3 millennio. Ebbe inizio come manifestazione dedicata alla musica, per poi definirsi negli anni come festival dedicato all’Arte e alle rivoluzioni introdotte dalla scienza e dalla tecnologia: uno sguardo acuto sul mondo in trasformazione attraverso la digitalizzazione e la tecnologia avanzata. Il Festival, dagli esordi fino ad oggi, volge il suo penetrante sguardo sia al futuro che è già nell’Arte, ma anche sugli effetti sociali prodotti dalle continue immissioni sul mercato di novità tecnologiche. E’ uno sguardo importante, rivolto all’Uomo e non alla macchina; alla sua vita che cambia senza una adeguata consapevolezza circa ciò che veramente lo sta investendo. “C'è così tanto che non vediamo ancora, così tanto che è ancora nascosto; nessuno sa davvero dove ci porterà la rivoluzione digitale”. (17) La prima Ars Electronica iniziò il 18 settembre 1979 a Linz in Austria con 20 artisti e scienziati provenienti da tutto il mondo che si riunirono per discutere della rivoluzione digitale e delle sue possibili conseguenze. Fu un’iniziativa che raccolse pochi “numeri”, ma fu rivoluzionaria, in quanto a chiare lettere gli ideatori manifestarono la necessità di parlare dell’ Uomo e rivolgersi all’Uomo, alla società. Un Nuovo Umanesimo digitale si prefigura negli intenti degli organizzatori.
Fig. 15 Logo del Festival per l'Arte, la tecnologia e la società
“Le nostre attività sono sempre guidate dalla domanda su cosa significano le nuove tecnologie per le nostre vite. Insieme ad artisti, scienziati, sviluppatori, designer, imprenditori e attivisti, facciamo luce sugli sviluppi attuali nella nostra società digitale e speculano sulle loro manifestazioni in futuro. Non ci chiediamo mai cosa può o potrà fare la tecnologia, ma sempre cosa dovrebbe fare per noi. E non cerchiamo di adattarci alla tecnologia, ma vogliamo che lo sviluppo della tecnologia sia orientato verso di noi. Pertanto, la nostra ricerca artistica si concentra sempre su noi stessi, i nostri bisogni, i nostri desideri, i nostri sentimenti. (18) "Non siamo entusiasti della tecnologia, siamo entusiasti di ciò che possiamo fare con essa".(19) Il loro obiettivo fu e rimane, di fronte ai continui cambiamenti tecnologici, dover, come un obbligo morale verso il prossimo, impostare la rotta affinché la società digitale rimanga impegnata nei valori fondamentali come la dignità umana, la libertà, la democrazia, 158
l'uguaglianza, lo Stato di diritto e i diritti umani. Ars Electronica, insieme ad artisti, scienziati, sviluppatori, designer, imprenditori e attivisti di tutto il mondo, mantiene l’originario sogno di contribuire a questo umanesimo digitale. Il mondo matematico ed artistico insieme per contribuire ad una rivoluzione partecipata, non dimentica dei suoi stessi protagonisti, gli Uomini e le Donne. Ogni anno migliaia di artisti, scienziati ed attivisti giungono a Linz per affrontare le questioni fondamentali per e del nostro futuro. Per cinque giorni la città di Linz è invasa da idee rivoluzionarie e grandi visioni, prototipi insoliti, arte ispiratrice e ricerche innovative, performances straordinarie, suoni scioccanti e concerti travolgenti. Una riflessione investe tutti i partecipanti, collegati anche a tante città nel mondo, sulle promesse di una prosperità globale e di una vita autonoma grazie alla digitalizzazione ed alle tecnologie, per giungere alla constatazione che dalla tecnologia delle macchine siamo giunti ad una tecnologia culturale. Dove prima si parlava di gattini e giochi, ora si tratta di battaglie politiche, dove prima c’era la fame, continua questa a resistere se non ad aumentare. Come possiamo affrontare l’impatto, da molto subito, dei veloci cambiamenti recentemente passati e quelli che ci consegnerà il futuro? Come vediamo il quadro sociale che cambia, pur mantenendo inalterate alcuni suoi tragici risvolti? L’obiettivo è definire la realtà e provare a cambiarne la rotta determinata oggi dalla detenzione del potere da parte di forze politiche ed economiche che stravolgono il senso più profondo di questa rivoluzione. E’ necessario trovare aggiustamenti alla “deriva digitale” e ritagliarsi un ruolo decisivo ed incisivo per una riappropriazione collettiva e partecipata, fuori dalle logiche del potere e del mercato. La parola magica è responsabilità ed è valida per tutti, anche per coloro che non sanno nulla di scienza ed Arte e ne subiscono solo gli impatti che ricevono costantemente. A 40 anni, la sfida di Ars Electronica, ancora con più vigore e determinazione, continua e lo fa aprendo le sue porte e discussioni in molteplici ambiti (sociali, culturali, lavorativi, ludici, di impresa,…) in più di 100 località nel mondo, con sempre più partner che hanno inteso estendere le peculiarità del festival anche in altre sedi. E nella rete globale, aprendo e condividendo i suoi spazi come luoghi di idee, ispirazioni, stimoli e modelli di comportamento dettati dai fondamenti che hanno determinato il desiderio, anche bisogno, della nascita del Festival e della sua persistenza, Ars Electronica ribadisce il suo pensiero circa le tecnologie, intese non come uno sviluppo tecnologico, ma come uno sviluppo sociale con la partecipazione per un mondo sostenibile. Ars Electronica rivendica il suo, e di tutti, diritto di chiedere come società di negoziare e applicare costantemente nuove condizioni e regole per il nostro mondo che cambia. Anche quest’anno si terrà il festival, negli stessi giorni della prima edizione, e sarà un lancio di aquilone nel futuro, con le mani ben salde a dirigerlo e a determinare la direzione del volo.
Fig. 16 Logo del Festival per l'Arte, la tecnologia e la società
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Un altro pioniere della computer art fu l’americano John Whitney, (1917/1995), che durante la seconda guerra mondiale lavorò presso una fabbrica di aerei, testando strumenti tecnologicamente innovativi. Qui ebbe l’intuizione di comprendere che tali strumenti, oltre a calcolare, potenzialmente, potevano essere utilizzati per tracciare grafici. Alla fine della guerra fu in grado di acquistare alcuni di questi meccanismi di computer analogici, tra i quali il più adatto alla sua futura invenzione si rivelò essere un mirino antiaereo. Iniziò a costruire la sua macchina che chiamerà "macchina dell’armonia”, un computer primordiale in grado di creare effetti visivi in movimento coordinandoli con la musica. Per farlo Whitney stampò su fogli trasparenti forme geometriche simili a quelle che si disegnano con lo spirografo, li mise su basi girevoli posizionate a diverse altezze e filmò il tutto dall’alto. Il colore venne aggiunto in seguito impressionando nuovamente la pellicola con la stampa ottica. Il risultato fu fantastico e gli aprì le porte della pubblicità e del grande cinema. Questo avvenne quando nel 1958 fu chiamato da Alfred Hitchcock per animare la sequenza dei titoli del film “Vertigo”'. Nel 1960 fondò la Motion Graphics Incorporated, che utilizzava il computer analogico meccanico di sua invenzione per creare sequenze di titoli cinematografici e televisivi e spot pubblicitari. L'anno successivo, raccolse gli effetti visivi che aveva perfezionato usando il suo dispositivo, intitolando il disco-catalogo semplicemente Catalog.
Fig. 17 John Whitney, Catalog, screenshot, 1961
Negli anni '70 Whitney abbandonò il suo computer analogico in favore di macchine dai processi digitali più veloci e creò nel 1975 la sua opera più importante digitale “Arabesque”,
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caratterizzata da forme e calligrafia arabe, dove l'artista riesce a bilanciare perfettamente scienza ed estetica e consacra definitivamente il computer come uno strumento legittimo per produrre Arte. Per produrre le sue opere col computer, Whitney sarà sempre affiancato da un programmatore nelle sue lavorazioni, ma sperimentando, riuscì a dar vita ad un suo programma di composizione audiovisiva chiamato Whitney-Reed RDTD (Radius-Differential Theta Differential), che è un software interattivo che lascia vedere all’utente il modo in cui le immagini sono create e che gli permetterà di realizzare il suo sogno: suonare il computer in tempo reale, come un musicista suona uno strumento.
Fig. 18 John-Whitney, frame da Arabesque, 1975
"Io sto usando il computer come se fosse un nuovo genere di pianoforte. Sto usando il computer con la mente per generare azione visiva periodica e rivelare armonici, contro inarmonici, fenomeni. Per creare tensioni e risoluzioni e formare strutture ritmiche di modelli ripetitivi ed in serie. Per creare armonie in movimento che l’occhio percepisca e con cui giochi”.(20) Con l'obiettivo di raggiungere un’armonia digitale tra la composizione musicale e l’animazione grafica astratta, l'artista, amante della musica, del movimento e delle invenzioni, con la sua macchina prima e il computer più veloce dopo realizzò film sperimentali, film di animazioni rivoluzionari, e, teorizzando un collegamento diretto su basi matematiche fra la serie armonica e le forme in movimento, scrisse un suo saggio in merito, Digital Harmony, pubblicato nel 1980.
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Fig. 19
James Whitney, frame da Lapis, 1962/6
Fig. 20 John-Whitney, frame da Arabesque, 1975
Il pionierismo non ha confini, va oltre i limiti che si è posto l’uomo, anche contro quelli naturali, ed importante è il senso che si associa alla spinta in avanti che ogni singolo uomo 162
riceve, le cui conseguenze avranno ripercussioni nella vita degli Altri. Se il pioniere è un artista la sua motivazione esplorerà il limite più profondo della vita stessa e porterà a riflessioni la cui profondità determinerà un cambiamento a livello oltre che di pensiero anche di sostanza dell’uomo stesso. Un pioniere senza confini che mi piace prendere in esame è Nam June Paik, artista coreano, ma anche americano, nato a Seul nel 1932 e morto a Miami nel 2006. Lui non si è interessato al cuore del codice per dar vita alla sua Arte, alla sua epoca ancora appannaggio di pochissimi addetti ai lavori, ma agli strumenti tecnologici che da metà degli anni ‘50 dell’altro secolo iniziarono ad essere presenti nelle case di sempre più cittadini del mondo, determinando cambiamenti nella società. Nam June Paik assunse pienamente il suo ruolo di artista e con le sue opere volle contribuire con la sua visione critica-creativa a ciò succedeva all’epoca; con la sua Arte portò un messaggio di unione tra le culture occidentale ed orientale, di unione dell’uomo con la Natura, di unione tra vita e Arte, di valorizzazione dell’aspetto spirituale presente in ogni dove e, sua cifra specifica, di confronto coi cambiamenti “imposti” dalle nuove scoperte scientifiche. Queste erano le tematiche proprie del movimento artistico Fluxus (21), al quale, riconoscendosi, aderì diventando uno dei suoi esponenti più significativi. Nam June Paik fu uno spericolato sperimentatore e le sue opere di video art, di cui è ritenuto un pioniere, furono inglobate in altre opere dove l'oggetto televisione occupa la posizione di star dell’opera stessa: oggetto e soggetto. La televisione, la tecnologia che con virulenza stava entrando in ogni casa, incarnava il nascente villaggio globale dove la trasmissione e la diffusione di cultura insieme alla condivisione di informazioni, poteva portare all’auspicata nascita di una coscienza collettiva atta alla riappropriazione del reale. Ma la coscienza, ancor più se globale, prima urge della necessaria e consapevole destrutturazione per poterla quindi ricreare nel rispetto della sua unicità. Perchè, si sa, che oltre all’uso che di ogni cosa si fa, è bene considerare anche la faccia altra dell’oggetto stesso e le facce di chi lo manipola. La televisione poteva liberare ed acculturare le persone, ma anche, attraverso i messaggi e le immagini che propagava, uniformare e spegnere la vitalità creativa di ognuno davanti al suo schermo ipnotizzante. Quindi Nam June Paik interviene direttamente sull’oggetto, la televisione, modificando l’uso comune per assegnargli nuove possibilità espressive. Infatti alla sua prima mostra personale nel 1963, Nam June Paik espone 13 apparecchi televisivi, 13 distorted TV sets, sottoposti ad interventi di magneti, che ne compromettono la funzionalità e restituiscono immagini distorte, come un monito sugli inganni della società tecnologica in divenire, la società dei mass-media, che ci vuole massa informe e uniformata nella conoscenza piatta che promuove e diffonde. Per tutta la vita continuerà a lavorare con il disturbo, creando installazioni costituite da assemblaggi di televisori, da musica elettronica e classica “disturbata”, e dai suoi video. I miti della cultura e della società dell’immagine devono essere svelati, poi cadere, poi decostruiti ed al finale essere ricreati come nuovi o farne a meno a seconda della coscienza che pian piano si acquisisce ed acuisce. Utilizza una tecnologia sofisticata per le sue installazioni, anche di sua invenzione, in cui viene applicato abbondante uso del codice per far generare alle macchine configurazioni visive nuove e giochi cromatici in combinazioni infinite di forme e colori.
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In oltre 40 anni di attività artistica non ha mai smesso di realizzare opere geniali, accattivanti, e stimolanti, mettendo in discussione i confini fra arte tecnologia, fra arte e natura, fra arte e musica, tra arte e vita. Nel 1974 crea l’installazione dove la tecnologia e la Natura si uniscono, basandosi sulla certezza orientale che ogni cosa al mondo sia collegata a ciò che la circonda ed il messaggio proposto è di doppia dubbiosa lettura: il paesaggio naturale ha fiori nuovi, luminosi, tecnologici, ci piace? sarà possibile? ; il paesaggio naturale cambia e propone una convivenza da ricercare fra due mondi così diversi, ma uniti dall’ essenza umana che è natura ed al contempo bisogno di ricerca.
Foto 21 Nam June Paik, TV Garden, 1974
Fig. 22 Nam June Paik, Electronic Superhighway, 1995
Nel 1975 omaggia la rete autostradale americana nata negli anni ‘60, che lui ebbe modo di percorrere e rimanerne stupito appena giunto negli Stati Uniti. Capace di collegare popoli e
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oceani distanti e diversi, Nam June Paik ne fa la sua interpretazione riproducendola con neon tipici del paesaggio americano, con schermi che mostrano immagini significative dei luoghi e della cultura americana assegnando colori diversi per ogni Stato per richiamare l’identità culturale di ogni popolazione abitante. La comunicazione totale è qui riprodotta, nel rispetto di ogni diversità, in una rete di strade ieri e di informazioni oggi. Pioniere e visonario! Prima dell’avvento della rete come la conosciamo ora, w.w.w., nata il 6 agosto 1991, giorno in cui l'informatico inglese Tim Berners-Lee pubblicò il primo sito web, esisteva per uso militare una rete sperimentale chiamata Advanced Research Projects Agency Network( Arpanet), che collegava e faceva dialogare tra loro computer militari di tipo differente per evitare la concentrazione di informazioni in un unico computer che, se distrutto dai nemici, poteva causare la perdita di tutti i dati oltre che di vite umane. Poi anche le università e gli istituti di ricerca iniziarono ad usare una rete simile per lo scambio di dati scientifici, per quindi comunicare al meglio e quasi in tempo reale i risultati dei loro esperimenti e processi per poter anche essere elaborati da altri. La diffusione dell’idea della condivisione, della interazione e della partecipazione in una rete di utenti, aveva già aperto una breccia nel mondo dell’Arte: progetti artistici attraverso mails atte a creare un racconto insieme tra tutti i partecipanti connessi, danze effettuate in contemporanea dove i partecipanti, seppur a migliaia di km. di distanza, all’unisono “andavano a tempo”, scioccando il concetto di tempo e spazio,... . Con l’avvento del w.w.w. tali pionieristiche sperimentazioni saranno lo stimolo perfetto per dar vita ad un movimento artistico caratterizzato da un approccio radicale e critico nei confronti delle nuove tecnologie e dei loro effetti sulle persone e sulla società. Come Nam June Paik i primi artisti della Net.Art ritengono che il mondo è un organismo e che tutto ciò che vi si trova è collegato e si condiziona vicendevolmente. Il nuovo mondo interconnesso come mai prima, fatto di schermi attraverso i quali passano le idee e la vita delle persone, ora offre nuove sfide di liberazione o di assoggettamento, a seconda, dell’uso che se ne fa. E i net.artisti a partire dai primi anni ‘90, vivranno, lavoreranno, produrranno, esisteranno solo nella rete, almeno nei primi anni di vita, e il loro tema sarà la connessione, l’arte della connessione: “per la prima volta nella storia dell’arte, il mezzo di distribuzione e quello di produzione vengono a coincidere”. (22) Sono giovani e giovanissimi, conoscitori dei segreti delle macchine che manipolano insieme al codice che le fa funzionare: sono programmatori, informatici, artisti rivoluzionari nella miglior tradizione degli Hackers. Il computer nelle loro mani sarà esplorato nei suoi dettagli hardware e software per estenderlo a nuovi utilizzi: subirà decostruzioni, smontaggi e rimontaggi, verrà utilizzato in modi imprevisti ed imprevedibili allo scopo di tenere in vita una cultura digitale alternativa, contro quella dettata ed imposta dalle grandi multinazionali, sempre più aggressive e omologanti, (23) sorda ai messaggi di eticità invece propri della Net.Art. Il computer inteso come lo strumento atto all’interconnessione, il più democratico e partecipativo che mai sia esistito, al solito rischiava di cadere (è caduto?) nelle mani del “potere” per trasformarsi in strumento di controllo e appiattimento dei contenuti, ma i net.artisti riuscirono, almeno per un periodo, a non essere fagocitati, ma a proporre un’Arte collaborativa, immateriale e libera da intermediari istituzionali e commerciali, proprio secondo lo spirito di uno strumento siffatto. 165
Fig. 23 Etoy, Digital Hijack, 1996
Infatti molti net.artisti lavoreranno in collettivi e saranno gli artefici di azioni oltre che artistiche anche politiche di contro-cultura per una cultura digitale condivisa e partecipata. I pionieri saranno Vuk Ćosić, Alexei Shulgin, Heath Bunting, Jodi.org, Olia Lialina, gli italiani Eva & Franco Mattes col loro sito 0100101110101101.org, il gruppo Etoy, …, i quali attraverso loro siti, browsers, strutture di ipertesto collegate tra loro come magici alberi dagli imprevedibili frutti, alterazioni di software, destrutturazione di messaggi di altri “poderosi” abitanti della rete, come il governo americano o la Santa Sede, azioni di hacktivism (24), la condivisione della loro vita in rete, ed altre pratiche anarco-rivoluzionarie digitali, sperimenteranno un uso alternativo della rete e dei suoi codici che stravolgerà i canoni tradizionali della comunicazione, dell’Arte e della politica.
Fig. 24
010010111010110, Eva e Franco Mattes, Life Sharing, screenshot di un sito clonato di Jodi del 1998, 2000/2003
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Una sperimentazione di pratiche artistiche altamente ibride che viaggiava libera tra i codici binari dell’intero sistema globale e che nel 1999 ebbe come un suo manifesto, Introduzione alla net.art (94-99) (25), diffuso dal sito di Alexei Shulgin, che con un’altra artista, Natalie Bookchin, lo scrisse. E’ un promemoria di cosa si deve intendere per Net.Art, i cui punti sostanziali sono: 1. Formazione di comunità di artisti tra nazioni e discipline. 2. Investimento senza interesse materiale. 3. Collaborazione senza considerare l'appropriazione di idee. 4. Privilegiare la comunicazione rispetto alla rappresentazione. 5. Immediatezza. 6. Immaterialità. 7. Temporalità. 8. Azione basata sui processi. 9. Gioco e prestazioni senza preoccupazione o paura delle conseguenze storiche. 10. Il parassitismo come strategia : 10/a. Movimento dal terreno di coltura iniziale della rete; 10/b. Espansione nelle infrastrutture a rete della vita reale. 11. Confini che svaniscono tra privato e pubblico. Sono parole e concetti che riportano ai valori, secondo me, più alti espressi nei secoli dall’Uomo di ogni tempo, che tanti artisti non hanno mai dimenticato e che con la net.art son stati riportati in auge da artisti che adottano un medium rivoluzionario per le loro opere rivoluzionarie, dove ciò che più conta è la collaborazione, la condivisione, il processo verso un’Arte che è vita!
Fig. 25 Tiziana Pavone, screenshot di una pagina del sito https://poianissima.wordpress.com/ ottenuta con il plug-in Abstract Browsing offerto dall’artista Rafaël Rozendaal attraverso il browser chrome come sua estensione. Abstract Browsing è soprattutto un’opera dell’artista citato che lavora coi codici per ottenere le sue opere coloratissime ed originali con la destrutturazione del codice di ogni sito.
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5.4 ARTE GENERATIVA - PROGRAMMARE ad ARTE “L'arte generativa si riferisce a qualsiasi pratica artistica in cui l'artista crea un processo, come un insieme di regole del linguaggio naturale, un programma per computer, una macchina o un'altra invenzione procedurale, che viene poi messo in moto con un certo grado di autonomia che contribuisce o risulta in un'opera d'arte compiuta”. (26) “L'arte generativa descrive una strategia per la pratica artistica, non uno stile o un genere di lavoro. L'artista descrive un sistema basato su regole esterno a se stesso che produce opere d'arte o è esso stesso un'opera d'arte. Sono d'accordo con Philip Galanter sul fatto che il lavoro con qualità generative può essere trovato nella storia dell'arte, ma di solito uso il termine per descrivere il lavoro basato su computer creato dagli anni '60 a oggi. Considero gran parte del lavoro di pittura e scultura astratta svolto negli anni '60 come essenziale per la comprensione dell'arte generativa. Perché il termine arte generativa abbia un significato quando applicato a una data opera, l'aspetto della generatività deve essere dominante nell'opera. Molti progetti artistici basati su computer hanno elementi generativi, ma non riguardano i sistemi generativi come risultato finale.In questi giorni l'arte generativa è tipicamente connessa con le astrazioni basate su software. Penso che la popolarità del termine sia dovuta a un gruppo emergente di artisti e designer più giovani che si interessano al codice come materiale estetico. Questo porta naturalmente a esplorare i modi in cui il codice influenza sia il processo artistico che il risultato finale, inclusa una materialità di algoritmi.“ (27)
Fig. 26 Marius Watz, ElectroPlastique #1, 2005, realizzazione con Processing
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Il nuovo mezzo, la macchina che può fare tutto, ha incorporato tutti i software possibili per poter far svolgere all’artista le attività sue tipiche: permette di dipingere con tinte piatte o pennellate pastose, può far eseguire un quadro in stile impressionista o in quello astratto, può far realizzare un progetto architettonico a tre dimensioni. Permette di scolpire da una tastiera e poi trasformare in una forma concreta le azioni compiute su di essa, può collegarci a sensori e far muovere ciò che si è creato solo al passaggio di una mano o di un suono. L’artista può disegnare paesaggi fatati o da orrore, può fare e disfare e rifare, può creare e suscitare emozioni e riflessioni attraverso il suo computer. E’ un artista digitale che utilizza software “confezionati” sempre più performanti per la realizzazione delle sue opere. Ora urge la considerazione che quasi, e sempre più, tutte le attività che svolgiamo nella vita sottostanno ad algoritmi, a programmi creati per compiere le azioni desiderate. Il codice binario domina le nostre vite considerato che tutti gli strumenti digitali che usiamo sono stati pensati e realizzati da programmatori, maestri del codice. L’arte si è da sempre impossessata dei materiali che venivano pian piano scoperti, inventati, creati per compiere il miracolo della trasformazione di una idea in un oggetto emblematico dell’era in cui veniva realizzato. I colori delle tempere, i colori ad olio, gli inchiostri, le pietre più diverse, la plastica, i metalli, il vetro, il cemento, la luce… ed ora il codice, il materiale immateriale predominante nelle nostre vite.
Fig. 27 Tyler Hobbs, Isohedral III, 2017, unique pigment print
Sono tantissimi in ogni parte del globo gli artisti che operano col computer, ma non così tanti quelli che intervengono direttamente sul cuore della macchina, sul suo sangue: il codice binario. Il sangue, come quello umano, è uguale per tutti, deve far funzionare la nostra macchina fisica, il corpo, ma ha caratteristiche diverse da persona a persona. Pensiamo alle diverse combinazioni di tipologia dei gruppi sanguigni e riportiamo tali diversità nelle sequenze di istruzioni in codice binario che dialogano col nostro computer. Sono linguaggi diversi che arrivano puntuali ad assolvere il compito di dar vita alla macchina e farle fare ciò 169
che desideriamo. E, come una lingua può essere parlata in molti modi diversi, con una varietà di accenti o inflessioni, anche i linguaggi di programmazione possono assumere diverse caratteristiche. Flussi di sangue come flussi di istruzioni dalla struttura diversa, ma dalla stessa capacità di tradursi in codice binario per instaurare un dialogo con la macchina per farla vivere e..generare opere! L’Arte generativa, il cui significato più profondo è da intendersi come la capacità di generare cose ed eventi da stringhe di codice, coinvolge campi quali l'architettura, il design, la musica, la poesia, l’arte visiva e la web-art, e dove si da più importanza al processo di creazione rispetto al risultato finale. Ed il processo consiste della visione di ciò che l’artista, armato di conoscenze di programmazione e di matematica, vuole rappresentare, sintetizzata in un algoritmo per giungere al risultato consegnato dalla macchina. Quindi, le componenti coinvolte nel processo generativo sono: l'artista, che partendo da una sua idea, crea l'algoritmo e ne giudica l'estetica del risultato; l'algoritmo, che codifica le regole per la generazione dell'opera, ed il computer che esegue l'algoritmo trasformandolo in l'opera. Non sempre l’aspettativa corrisponde al risultato poiché esiste un margine di casualità, spesso ricercata dall’artista, quando questi lascia parte del controllo al sistema autonomo che “esegue” l’opera. "L'imprevedibilità è qualcosa di indesiderato nelle pratiche di programmazione tradizionali, motivo per cui i programmatori più esperti che leggono queste parole potrebbero trovare alcune di queste idee sgradevoli. Ma fidati di me: è per il tuo bene. Gli approcci non lineari al familiare possono essere salutari per il cervello”. (28)
Fig. 28 Matt Pearson,Copertina suo libro divulgativo “Generative Art”, artista con Processing e suo promotore
Con l’arte generativa avviene un incontro tra l’ordine della matematica e la complessità del sistema stesso (oscillante da un punto di estremo ordine ad uno di estremo disordine), evidente nel risultato della sua realizzazione, dove questa al finale ne sarà il frutto dalle caratteristiche complesse ed ordinate che portano in sé la matrice tipica della nostra vita: un caos ordinato. Proprio da ciò se ne deduce che l'artista generativo cerca una integrazione tra queste due forze contrapposte proprie della vita contemporanea di ognuno di noi: il palco
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naturale da cui si prende ispirazione ed il mondo della logica e della matematica, che usa come strumenti per realizzare l'opera. "La gioia sta a metà tra la noia e la confusione. Se la monotonia rende difficile la partecipazione, un eccesso di novità sovraccaricherà il sistema e ci farà desistere; non siamo tentati di analizzare il pavimento pazzo; Ordine e complessità sono poli gemelli dello stesso fenomeno. Nessuno può esistere senza l'altro, e il valore estetico è una misura di entrambi. Proprio come l'ordine ha bisogno della complessità per manifestarsi, la complessità ha bisogno dell'ordine per diventare intelligibile". (29) L’arte generativa non è solo quella computazionale, intesa come la creazione di un algoritmo, la scrittura di un programma per computer, ma può operare anche attraverso altri sistemi, soprattutto nella musica.L'artista francese Marcel Duchamp compose due brani tra il 1913 ed il 1915 basati su operazioni casuali; un altro grande sperimentatore in campo musicale fu John Cage (1912–1992), compositore di grande fama, che utilizzava tecniche generative nei suoi lavori di “musica aleatoria”; Brian Eno (1948), che fu il primo ad utilizzare il termine di musica generativa per definire le sue composizioni realizzate tramite delay introdotti in sistemi di registrazione audio. L’Arte Generativa per l’arte visiva nasce a metà degli anni ‘60 e si inserisce nel vasto panorama della computer art, che ha come fertile terreno i principi e gli obiettivi che gli artisti hanno perseguito a partire dall’inizio del ‘900: l’attenzione sulle forme geometriche (cubismo analitico, pop art), l’enfasi sulla tecnologia (futurismo, costruttivismo), l’introduzione dell’autonomia e del caso (dada, surrealismo, espressionismo) e l’estetica razionale di Piet Mondrian. Nel 1968 si tenne a LOndra Cybernetic Serendipity, la prima esposizione artistica dove si introdusse l'algoritmo e alcuni dispositivi analogici per generare musica e poesia; la mostra suscitò grande interesse da essere esportata attraversando l’oceano negli anni successivi. A questa mostra partecipò anche l’inglese Desmond Paul Henry (1921–2004) che realizzò, modificando il mirino di una macchina analogica utilizzata nei bombardieri, tre macchine da disegno, “computer analogici” per la creazione delle sue opere.
Fig. 29 Macchina analogica costruita da Desmond Paul Henry Fig. 30 Desmond Paul Henry, #692, Green, blue, red biro on thin card, Hand embellishments, 1962
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Da lì in poi furono curate molte mostre di arte generativa con associato, generalmente, un convegno tra artisti e programmatori, allo scopo di comprendere e confrontare le diverse visioni dallo stesso comune denominatore, l’algoritmo. L'intento era anche quello di farsi portavoce di questa nuova, seppur non dichiarata, corrente artistica, di cui Ars Electronica fin dal suo esordio ne fu un forte propellente. In ogni parte del mondo, dal sud-America all'Europa, dagli Stati Uniti all'Australia, l’arte del codice si fa strada ovunque, soprattutto dove gli artisti, utilizzando la libertà di calcolo e la velocità computazionale del computer, ne iniziano a conoscere le potenzialità insieme alle “virtù creative” della matematica. In Italia il termine "Arte Generativa" è stato utilizzato la prima volta nell’ambito del convegno dal nome "Arte Generativa", (30), tenuto a Milano nel 1998 e che tutt’ora si svolge ogni anno per tre giorni in città sempre diverse, con esposizione di opere, dibattiti con la presenza di ricercatori, programmatori ed artisti internazionali, con l’intento di abbinare il lavoro scientifico a quello creativo. Il progetto partì dall’architetto e professore al Politecnico di Milano Celestino Soddu (1945), (31) che non solo fu il promotore dell’importante incontro annuale, ma anche un artista programmatore, realizzando nel 1986 il suo primo software per la creazione di modelli 3D di infinite varianti di tipiche città medievali italiane, con effettiva materializzazione delle creazioni artistiche. Nel 2012 fonda e dirige la rivista culturale Internazionale GASATHJ, Generative Art and Technology hard Journal, (32) con l’intento di discutere di arte generativa nella civiltà digitale.
Fig. 31 Celestino Soddu, FUTURING PAST Venice more Venice than before, 2015, esibizione alla Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia, Generative Art Conference
Come tutte le opere, anche quelle generative, sono figlie del desiderio di espressione, del desiderio creativo, della necessità di raccontare ciò che siamo e che ci circonda. L’artista, necessariamente, deve avere le conoscenze opportune per una completa padronanza nell’uso del mezzo col quale esegue l’opera, spinto dalla sua idea, con l'intenzione di far “volare alto” e di far vedere e pensare cose del proprio tempo e di quello futuro, altrimenti persistenti nell’oblio al fruitore attratto. Considerando che mai l’algoritmo in pasto al computer permetterà che si abbia lo stesso identico risultato, ed in quest’era di riproducibilità ossessiva è un considerevole traguardo di unicità. L’ artista generativo, quindi, usa le forme ed i colori alla stessa maniera di
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una artista tradizionale, ma deve trasformare la sua estetica in codice, ciò che gli piace in istruzioni, ciò che lo stimola in numero. Ogni istruzione, ogni numero, determinerà un colore e/o una forma diversa, un supposto o vero movimento, una concessione di libertà o meno al caos determinando il grado di bellezza e di estetica digitale. La combinazione arte, con la quale si intende di possedere un alto grado di intuizione e fantasia, e programmazione che è all’opposto, in quando tutto è strutturato ed ordinato secondo logiche ben precise, sembra creare un attrito indissolubile. Invece, gli artisti generativi, con tutti i distinguo del caso, sono riusciti a trovare una sintesi dai risultati insoliti, imprevedibili, caotici, ma nel suo profondo, nel suo sangue, ordinati per un’estetica coinvolgente e generatrice di altre. La motivazione che ha spinto tanti artisti recentemente a rivolgersi a questo contemporaneo medium è semplice ed ovvia, in quanto è la nostra vita digitalizzata che “ha imposto” agli artisti la nuova tela ed i nuovi pennelli: 0 e 1 a comporre i tanti linguaggi sono i nuovi strumenti per esprimere l’intento dell’artista generativo, gli stessi che dettano e scandiscono la nostra vita immersa nel codice binario. C’è un'altra spiegazione ancora più “naturale”: gli artisti si occupano di codice perché è divertente! Perché sollecita alla creazione, al mettersi in gioco con un immateriale elemento trasformatore.
Fig. 32 Jared Tarbell, Bubble Chamber, 2003, Processing sketch Fig. 33 Jared Tarbell, Happy Place, 2004, Processing Sketch
Ci sono anche coloro che usano questa strategia per la pratica artistica con l’intenzione di esplorare questioni matematiche e scientifiche in un contesto artistico, altri che cercano di trovare altre soluzioni per l’animazione, per il mondo tridimensionale, per i giochi, per le installazioni, per creare strumenti visivi che abbiano lo stesso potenziale espressivo delle loro controparti musicali. Altri che, non possedendo abilità manuali, creano arte generativa pensando al computer come ad un salvatore che gli permette di poter esprimere comunque le proprie idee estetiche. Un’altra fondamentale motivazione riguarda il futuro, quando le nostre vite saranno sempre di più costruite sulla codifica, per cui creare arte generativa è davvero lavorare con 173
l'essenza di ciò che modella i nostri nuovi mondi digitali, dove l’esplorazione artistica è fondamentale se desideriamo costruire un'esperienza sana e umana nei paesaggi non fisici a venire. Ma non tutti gli artisti sono programmatori e non tutti i programmi sono adattabili per scopi artistici. Ma, molti programmatori hanno virato verso l’arte e son stati capaci di creare programmi, e o adattare software nati per altri scopi, in grado di facilitare l’approccio degli artisti all’arte del e col codice. Nasce la figura del Creative Coder, artista- programmatore, colui che ha permesso di ridurre le distanze tra chi crea gli strumenti e chi li utilizza, tra informatica e Arte. Sono nati così linguaggi di programmazione specifici per le arti visive. Tra tutti ricordo: ActionScript, Processing, Context Free, Structure Synth, NodeBox, Toolbox, vvvv, p5.js. (33), che si differenziano per essere a pagamento o open source, per il linguaggio di base che adottano (java, java.script, python, c++,..) e per le difficoltà proprie specifiche di ogni software originario. Mi occuperò di Processing e P5.js, che sono i linguaggi che ho conosciuto e che da subito mi hanno sorprendentemente meravigliata! Uau!! L’Arte e la logica matematica strette in una abbraccio amoroso creativo! Cosa potevo chiedere di più!
Fig 34 e 35 Jonathan-McCabe, sue opere traendo ispirazione dalla morfogenesi delle strutture biologiche e dall'algoritmo di Turin
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5.4.1 PROCESSING e P5.JS Ebbene si, mi reputo fortunata. Alla fine del secondo anno del corso di pittura durante la lezione di computer-graphic la professoressa presenta nuove pratiche artistiche nell’era digitale, e mostra delle immagini create dal computer grazie ad algoritmi. Fantastiche! Poi ci fa entrare nel sito di Processing (34) ,..e da lì la mia vita è cambiata.
Fig. 36 Logo di Processing
Ai pennelli ho preferito da subito la tastiera e i numeri, e la mia voglia sopita di matematica ha avuto un piacevole, seppur brusco, risveglio. Quante meraviglie potevo creare, non più dipingendo, ma scrivendo, per poi vederle nel mio schermo! E da lì è iniziato il mio “percorso generativo” costellato di passione al punto di dimenticarmi di cenare, di non uscire perché il loop non funzionava come avevo scritto, perché la macchina riscontrava un errore ed io non riuscivo a trovarlo. Ore ed ore ed ore a cercare una parentesi che avevo lasciato nella testa o una virgola ritrovatasi single senza il suo punto. Così è stato ed è tuttora, con la differenza che la sintassi del linguaggio è ora nella mia testa e dita...e gli eventuali errori sono in grado di intercettarli piuttosto velocemente. All’inizio copiavo e studiavo gli algoritimi inventati dai già esperti e li percepivo come un calderone di simboli, segni e numeri, dalla cui alchemica ebollizione “in macchina” uscivano armoniose creature di pixels. Seguendo il saggio consiglio di Austin Kleon “copiavo come un’ artista”(35) e cercavo di capire come ogni singola riga di codice che veniva snocciolata avrebbe influito sul risultato finale. Timidamente introducevo qualche piccola variazione, per capire se avessi realmente compreso l’algoritmo e ...per vedere l’effetto che fa! Pian piano ho preso coraggio e nel calderone-editor ho iniziato ad inserire mie proprie ricette, provando sempre un senso soddisfazione e di stupore da questo tipo di trasformazione pilotata che permette al codice di diventare immagine o animazione. “Un linguaggio di programmazione è, dopo tutto, solo un altro linguaggio. Ma se una lingua non è capace di poesia, ha chiaramente perso la sua rilevanza sul lato umano dell'equazione”. (36)
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Subito nelle mani ho avuto The Nature of Code (37) di Daniel Shiffman,(38) esponente di spicco della Processing Foundation e grande divulgatore del programma, ed ho vissuto per molto tempo più a casa sua che nella mia. Dal suo canale you tube,The Coding Train (39), mi venivano serviti a cena il ripetitivo “loop” o l’ imprevedibile “random”, il “perlin noise” a lenta assimilazione, piuttosto che le indigeste classi con condizioni. Di fatto, la cena saltava!
Fig. 37 Daniel Shiffman, copertina suo libro e sua “esibizione” in un tutorial per l'apprendimento di Processing
Ma cosa è Processing? Potrei dire che è Daniel, ed avrei ragione solo in parte. Dal sito : “Processing è uno sketch-book flessibile e un linguaggio per imparare a programmare nel contesto delle arti visive. Dal 2001, Processing ha promosso l'alfabetizzazione software all'interno delle arti visive e l'alfabetizzazione visiva all'interno della tecnologia. Ci sono decine di migliaia di studenti, artisti, designer, ricercatori e appassionati che utilizzano Processing per l'apprendimento e la prototipazione”.(34) le sue caratteristiche sono: • Scaricabile gratuitamente e open source • Software interattivo con output 2D, 3D, PDF o SVG • Con integrazione OpenGL per 2D e 3D accelerati • Disponibile per GNU/Linux, Mac OS X, Windows, Android e ARM • Arricchito di ltre 100 librerie estendono il software di base • Ben documentato, con molti libri disponibili ed esempi nel sito. Un giovane laureato in design all’Università di Cincinnati nell’Ohio, Casey Reas (1972) (40), alla fine degli anni ‘90 va a Boston presso l’istituto di ricerca più prestigioso degli Stati Uniti, MIT (Massachusetts Institute of Technology), con l’intento di conseguire un Master in Media Arts and Sciences. L’ambiente, come si può immaginare, è vulcanico e titillante e tra i tanti studenti Casey conosce Benjamin Fry (1975), Ben per gli amici. (41) Nel constatare di avere gli stessi intenti, nasce una collaborazione che ha come obiettivi : portare idee e tecnologie fuori dal MIT, aprire, cioè, le porte del tempio della ricerca per diffondere le scoperte al mondo intero; realizzare la sintesi del design grafico con l'informatica, combinando i principi visivi del design coi modi di pensare della programmazione (“disegno con il codice”); condividere il modo di lavorare col codice, sia il
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sapere acquisito che il metodo per come insegnare la programmazione, e diffonderlo il più possibile. Con alle spalle il MIT, i due giovani, possono accedere a ciò che altri studenti hanno approfondito prima di loro circa la programmazione “visiva”, soprattutto dall'Aesthetics and Computation Group (ACG) (uno strano abbinamento : estetica e computazione!), un gruppo di ricerca avviato presso il Media Lab del MIT nel 1996, a cui ai due giovani viene chiesto di aderire. ACG, col professore John Maeda (1966), aveva già creato il semplificato programma “design by number”, a cui Ben e Casey è consentito mettere le loro mani. Quindi, non partendo da zero, ma già con solide basi di ricerca e sperimentazione, i due giovani studenti si sono messi al lavoro elaborando un sistema che all’inizio prometteva ai primi sperimentatori di “dipingere” su una tela di 100*100 pixel ed usare solo tonalità di grigio. La miccia ormai è accesa ed i due giovani ambiziosi vogliono consentire alle persone di lavorare coi colori, in grandi dimensioni, anche in ambiente 3D e altro ancora, utilizzando le basi del linguaggio di programmazione Java e le sue librerie che erano già disponibili. E’ il 2001, Casey e Ben prendono la laurea di dottorato e regalano al mondo il loro nuovo sistema per creare Arte col codice dal nome Processing! ...E che il processo abbia inizio!, libero da vincoli, aperto a tutti i contributi uniti nella scelta del programma open-source. Il progetto Processing è definito dall’interazione di tre parti: lingua, ambiente, comunità, dove per lingua si intende il programma di elaborazione che viene chiamato con la semplice parola “sketch”, (bozzetto, schizzo) ad indicare un approccio nuovo alla codifica. Normalmente è necessario avere tutto l’algoritmo pronto per avviare il programma, con Processing invece, considerato l'obiettivo prevalentemente artistico del software stesso e dell’utente, viene lasciato spazio per l'esplorazione e l'invenzione. Viene permesso di scrivere righe di codice senza avere ancora il progetto codificato ultimato, lasciando la possibilità di scoprire e seguire passo-passo percorsi inaspettati durante il processo. Processing quindi è un ibrido tra il linguaggio di programmazione Java ed elementi immessi da Ben e Casey per semplificare l’approccio e la stesura dell’algoritmo anche a chi non è un abile programmatore. Inoltre, essendo dedicato alla creazione artistica di immagini, il linguaggio Java, di per se estendibile, viene rinnovato includendo elementi specifici per lavorare con le forme, i colori , le geometrie, le immagini, ecc. Più si è abili nella programmazione e con conoscenze di matematica, più si potrà utilizzare il linguaggio per rendere lo sketch più elaborato, presumibilmente dal risultato più interessante artisticamente. L'ambiente, chiamato PDE (Processing Development Environment) (Ambiente di sviluppo dell'elaborazione, dove PDE è anche l’estensione del file creato), è l'applicazione software all'interno della quale vengono scritti, lanciati, esportati e salvati gli schizzi. Ciò allo scopo di rendere più facile la scrittura degli sketches stessi e di utilizzare l’applicazione come un block notes delle idee, da richiamare facilmente quando queste servono per un lavoro più articolato. Il terzo aspetto fondamentale, per non sentirsi soli ed impacciati davanti ad un errore o frementi dietro la propria curiosità, è la Comunità di Processing, fatta di persone, più o meno abili nella programmazione, che scrivono e condividono i loro codici ed idee tramite l'applicazione Processing. Tali sketches portano con sé la necessità della condivisione ed anche del rispetto per chi ha lavorato in parte per noi, elaborando righe di codice di cui ci si 177
impossessa. Quindi, la condivisione, la massima apertura “verso e da”, è data come impostazione predefinita, come l’essenza del progetto, tenendo in considerazione, ed avendo tutti ben presente, che si impara a programmare soprattutto osservando e studiando il codice di altri.
Fig.38 Ambiente di Processing : creo il mio sketch!
Gli appartenenti alla comunità di Processing sperimentavano e sperimentano tutt’ora tutti insieme e coloro che ne sanno più di altri non lesinano consigli ed offrono spiegazioni. Grazie a loro si sono create opportunità di apprendimento e condivisione, quali libri e video-tutorial, soprattutto quelli di Daniel, che han permesso di diffondere le magie di Processing. Inoltre, la comunità di Processing, con i suoi creatori in prima linea, nel corso degli anni ha lavorato per estendere le funzionalità di base del linguaggio riuscendo a mettere in relazione le estetiche dell'arte moderna e contemporanea con le teorie del calcolo introdotte con l’utilizzo del computer, dando vita a sperimentazioni artistiche che si animano nel momento in cui si lancia il software dal proprio computer, che si trasforma in una macchina multimediale; infatti, attraverso il software Processing , possiamo controllare e far agire tanti processi visivi, sonori ed interattivi. Dopo aver installato Java e scaricata l’applicazione Processing dal sito nel nostro computer, questa viene lanciata aprendo una pagina bianca che è il block-notes dei nostri schizzi, meglio dire sketches, che saranno righe di istruzioni per la realizzazione di un algoritmo da scrivere in linguaggio Processing che traduce le istruzioni in programmi in codice binario comprensibili e quindi eseguibili dal computer. Ma è necessario conoscere la giusta sintassi di ogni singola riga di istruzione per giungere anche solo ad un inizio del lavoro, e per far ciò, viene in soccorso il sito stesso di Processing, ricco di esempi, tutorial e libri consigliati per conoscere il software in modo più approfondito. Ma, rimanendo sul sito, si hanno a disposizione le “references” (preferenze), per scegliere e comprendere l’esatta formulazione dell’istruzione che ci interessa e le librerie specifiche. Inoltre, chi conosce Arduino (42), essendo questo creato proprio con lo stesso ambiente di sviluppo integrato (IDE) utilizzato da Ben E Casey per Processing, troverà molte similitudini 178
nel software e non sarà difficile costruire dispositivi elettronici che utilizzano sensori, i quali con le opportune modifiche attuano la comunicazione tra i diversi dispositivi connessi. La “tela” di Processing, come di consuetudine artistica, è bianca, e si presenta dallo schermo con le dimensioni di 100*100 pixels, che con una semplicissima istruzione si può modificare a piacimento e necessità, e, con l’ansia solita che accompagna l’inizio di ogni lavoro artistico, questo può avere avvio insieme alla scoperta dell’Arte col codice. Un altro utile aiuto è presente in fondo alla tela, grazie ad una console dove vengono segnalati gli errori che si compiono eventualmente durante la digitazione del codice. Questo è uno strumento che rende più semplice ed aiuta la stesura dell’algoritmo, proprio secondo l'obiettivo realizzato di Casey e Ben di facilitare l'arte del programmare. Si dovranno dichiarare le variabili, cioè tutti gli elementi che serviranno per compiere il lavoro, forse opera, e saranno NUMERI. Qui tutto è numero,..di pitagorica memoria: le cose più ovvie come l’altezza e la larghezza, ma anche tutto ciò che può sembrare impossibile, ha una sua traduzione in cifre. E’ la magia della matematica che riesce a sintetizzare e codificare anche il pensiero umano. Sono due le funzioni obbligatorie: “void setup” che nel computer “girerà” all’inizio per una volta sola, stabilendo i punti fermi e le “regole” immutabili dello sketch e “void draw”, che, chiamata costantemente ad ogni frame (almeno 24 volte al secondo, ma con una istruzione possiamo cambiarne la ”velocità”) “disegnerà”, quindi girerà nel computer, tutte le volte che viene stabilito dallo sketch stesso. Ora…. è tempo di sperimentare anche per Voi l’effetto emozionante che procura questa pratica dove la realtà nello schermo, frutto del nostro pensiero e desiderio, si confonde con la realtà dentro la macchina! "Il processo di preparazione di programmi per un computer digitale è particolarmente attraente, non solo perché può essere economicamente e scientificamente gratificante, ma anche perché può essere un'esperienza estetica molto simile alla composizione di poesie o musica". (43) Grazie anche alla creazione di siti appositi dove condividere i propri sketches, come OpenProcessing, (44) e collegamenti fruttuosi con siti-social artistici, come ad esempio Del.ici.ous (45) e Flickr (46), è possibile esibire i propri lavori e poter assistere anche alle meraviglie realizzate da altri artisti più o meno conoscitori ed esperti di Processing. Dal 2013 il codice sorgente di Processing è disponibile online su GitHub (47) e da allora si verifica una sempre maggiore quantità e qualità di contributi al codice da parte degli utenti più o meno esperti. I team di sviluppo, programmatori dalle grandi competenze matematiche e codificatrici, offre volontariamente tempo e lavoro, ed ha riscontrato vantaggio da questa scelta, in quanto GitHub permette facilmente di comunicare tra i tanti partecipanti tenendo traccia delle modifiche effettuate al software man mano che vi lavorano insieme a distanza. E tutto ciò che qui avviene, scambi, riflessioni, lavori collettivi, appunti, dettagli, ipotesi, prove, pezzi di codice, cambi di codice,.., è accessibile e disponibile a tutti, programmatori esperti o artisti senza basi di matematica binaria e di codifica. Inoltre, anche Processing sottostà alle innovazioni repentine del mondo digitale, come il passaggio da sistemi operativi a 32 bit a 64 bit, l’adozione di schermi ad alta risoluzione, sistemi operativi rinnovati,.. , per cui è sempre
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viva la necessità di aggiustamenti, pena il non funzionamento di Processing, per cui vi è la necessità costante di mantenere aggiornato il software. I contributi che maggiormente sono apprezzati sono quelli che si traducono in librerie di elaborazione, software indipendenti che si integrano al linguaggio di elaborazione, capaci di estendere il software in diverse direzioni oltre lo schema base di Processing. Le Librerie sono sviluppate da membri indipendenti della comunità ed anche in questo caso il codice sorgente creato e gli esempi in merito sono resi disponibili su GitHub per l'uso e l'apprendimento da parte di tutti. Al giorno d’oggi sempre più artisti utilizzano Processing e sempre più la comunità aumenta, tanto da essersi frammentata in più comunità nel mondo. Queste mantengono la stessa politica e…”poetica” originaria! La mia esperienza mi ha portata a conoscere e “frequentare” “Codice Inutile”(48), comunità italiana di Processing, ma la realtà non è ancora vivace, ma di grande stimolo ed aiuto grazie alla formazione che propone.
Fig, 39 Incontro on-line della Processing-community in Italia, grazie a “Codice Inutile”, 2020
Certo è che in tutto il mondo il software Processing ha iniziato ad essere utilizzato nelle scuole superiori e nelle Università soprattutto per le lezioni di matematica e scienze, di informatica e di Arte. Dalla mia esperienza, però, ho riscontrato essere pochi gli artisti in Italia che scelgono questa via per la loro pratica artistica. La matematica, anche in questo ambito, risulta ostica, e scrivere codice complicato. Ho potuto constatare che anche nella nostra Scuola, sono pochissimi gli studenti che si appassionano a questa innovativa Arte, esclusiva del nostro tempo digitalizzato, ma ritengo sarebbe il caso, non solo per la nostra Arte, ma anche nella vita, di imparare a programmare per non essere programmati! Nel 2005 Processing, nelle persone dei suoi due creatori, Benjamin Fry, Casey Reas, e della sua comunità si aggiudica il Prix Ars Electronica, il Golden Nica, per la categoria Net Vision-Net Excellence. Il Prix Ars Electronica è un premio annuale nell’ambito di Ars Elettronica, dedicato all'arte digitale, divisa i sei categorie: "Computer Animation/Visual Effects," "Digital Musics," "Interactive Art," "Net Vision," "Digital Communities" e il premio "u19" per il "freestyle computing" e consiste, oltre al prestigio, in una riproduzione in oro della Nike di Samotracia. Nel 2012 Ben e Casey hanno avviato la Processing Foundation (49), senza scopo di lucro , insieme a Daniel Shiffman per espandere la loro ricerca e supportare lo sviluppo del software. Anni dopo si è aggiunta Lauren McCarthy, che è ora il quarto membro. La missione originale di Processing, non cambia!
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L’obiettivo principale è sempre la promozione e la diffusione dell'alfabetizzazione software nelle arti visive e l'alfabetizzazione visiva nei campi legati alla tecnologia, per rendere ogni campo della conoscenza accessibile a tutti, e, aldilà degli interessi particolari e delle competenze, estendere l'acquisizione del saper programmare per considerare il codice in modo creativo al pari di un altro medium. Processing ha adottato la filosofia e la politica di FLOSS (Free, Libre, Open Source Software), perché il software è oggi il mezzo contemporaneo che può collegare il pensiero a il fare, e affinché si realizzi democraticamente questo presupposto, deve essere gratuito e gli strumenti per impararlo devono essere accessibile a tutti, in quanto l'alfabetizzazione software e la comprensione dei media contemporanei sono oggi conoscenze essenziali. Curiosando nel sito della Fondazione si può ben capire quanto siano perseguiti veramente gli obiettivi di condivisione ed apertura di Processing. Le fotografie dei membri della comunità riportano volti di giovani artisti programmatori, di designer e visual-artisti, di insegnanti di matematica ed educatori, di musicisti, di informatici, di scrittori,.. tutti giovani, tutti provenienti da ogni parte del Pianeta, senza distinzione di sesso, religione, colore della pelle, abilità o disabilità, orinetamento sessuale. Sembra di essere nel mondo sognato della libertà di essere se stessi e di esprimersi secondo il proprio talento, tenendo le porte aperte verso chiunque desideri portare nuove suggestioni e pratiche, respirando l’aria di vita creativa condivisa tipica del miglior umanesimo che esprime Processing. Un gran bell'esempio di mondo in fermento ricco delle proprie idee e sogni che insieme tutti contribuiscono a realizzare. Grazie al successo del software Processing originale, la Fondazione ha supportato altri progetti, tra i quali i più degni di nota sono la creazione del software p5.js, che è una rivisitazione in JavaScript di Processing, che può lavorare nel contesto dei browser web contemporanei, Processing.py, rivisitazione in linguaggio Python, e Processing per Android. E tanti altri son stati e sono in sviluppo, oltre alla creazione di partnership e collaborazioni con organizzazioni e università e singoli programmatori e/o artisti per costruire un comunità più diversificata intorno al software e alle arti. Quest’anno Processing compie gli anni, sono 20!!! e in tutto il mondo sono organizzati eventi per la ricorrenza lodevole che ha aperto strade e visioni per gli artisti del nuovo secolo. AUGURI e GRAZIE!!!
Fig. 40 Avviso dal sito Processing-foundation : si festeggia il ventesimo compleanno di Processing!!!
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Nel 2013 la fondazione e la comunità di Processing si pose la domanda: come sarebbe Processing se potesse rinascere nel nuovo tempo? Nel frattempo, come ovvio e come constatiamo quotidianamente, tante cose erano cambiate nel mondo tecnologico ed in quello del software con nuove risorse e nuove creazioni di strumenti open-source. Il linguaggio Java era molto popolare ed utilizzato per fornire contenuti grafici interessanti nel web, ma non esisteva un linguaggio che permettesse di disegnare direttamente un elemento di una pagina web. L’esigenza viene colmata dalla nascita nel 1995 da un nuovo linguaggio chiamato javaScript, concepito per fornire migliorie per le pagine web, ma senza apporti significativi del software Java da cui in parte ha origine. Il lavoro fruttuoso di programmatori di famosi browser e la diffusione del piacere e dell’utilità del navigare, hanno reso javaScript il linguaggio dominante del web, perchè efficiente e l’unico ad essere disponibile in tutti i browser. Fuori dalla comunità Processing, nel 2007 l’informatico americano John Resig (1984 ), poi creatore di molte librerie javaScript, ha realizzato un programma, Processing.js, che praticamente traduceva il codice basato su Java in JavaScript. L’utente non aveva nessuna percezione di cambiamento dell’ambiente progettuale in cui lavorava, perché la traduzione da linguaggio ad altro veniva realizzata come per magia all’interno del computer. Ma Casey e Ben insieme ora a Daniel avevano in mente altro e grazie all’istituzione da parte della fondazione di borse di studio offerte agli studenti in grado di proporre loro progetti per nuove librerie, per l’educazione artistico-digitale, per nuovi software,…, riescono ad ottenere la risposta che cercavano su cosa sarebbe ora Processing. Sarà Lauren McCarthy, una delle prime borsiste a soddisfare la domanda, consegnando una risposta veramente originale. Considerando che Processing nei suoi anni di vita si era dimostrato un grande strumento per artisti e designer e non solo, un software che piaceva ed il cui utilizzo era relativamente facile, Lauren non si limita a dire facciamo contenti chi desidera la versione .js di Processing, per ottenere maggior dinamicità e contemporaneità del software. La giovane borsista vede il progetto da un altro punto di vista. Sostiene che è ora di non parlare solo di codici, di funzioni, di classi, “cose” che permettevano l’uso “tecnico” del software, ma di parlare dei principi per cui era nato Processing, riprendendo e rivalutando quelli che erano i suoi ideali, i suoi obiettivi e la sua filosofia originaria. Va bene rendere la codifica reinterpreta per il web di oggi accessibile ad artisti, designer, educatori e principianti, ma necessita farlo con ancora più ampia apertura verso gli interessati, mantenendo la semplicità e la condivisibilità tipica di Processing. Questi dovevano essere gli elementi essenziali per la costruzione di una nuova piattaforma di software per il web, sostenendo anche la necessità fondamentale per gli artisti di creare i propri strumenti open-source, piuttosto che fare affidamento sui costosi strumenti software proprietari realizzati dalle aziende, che di condivisibile ed aperto non hanno nulla. La sensibilità della giovane studentessa, forse perché di origini cinese sentiva forte il peso della sua diversità in terra americana, è di grande levatura nel sostenere la necessità di dar spazio veramente a tutti, con uno spirito di inclusività totale senza discriminazioni di sorta. Anche se erano passati pochi anni il panorama culturale era cambiato e lei intendeva rompere con alcune tradizioni che ostacolavano la reale condivisione nello sviluppo dell'open source, che di fatto escludeva molte persone con diverso background e livello di abilità nel codificare. Lei non accetta il “vecchio” sistema, ma sostiene che la diversità si deve 182
manifestare all’inizio del progetto e non alla fine della sua stesura; anche l’open-source deve essere pensato e realizzato nel rispetto dei principi di diversità ed inclusività, permettendo la collegialità affinché le decisioni inerenti la progettazione vengano prese, dall'idea fino alla sua realizzazione, in un contesto aperto senza gerarchie. Nel 2015 nasce p5.js e il libro che ne illumina le caratteristiche tipiche del software e gli ideali di cui si fa portavoce: Getting Started with p5.js (50), scritto da Lauren McCarthy con Casey Reas e Ben Fry.
Fig. 41 Copertina di Getting Started with p5.js, di Lauren McCarhty, Casey Reas e Ben Fry.
Anche il nome scelto per il nuovo software ha un suo significato profondo: il 5 è ripreso dal primo nome di Processing, che all’inizio si presentava come proce55ing, dal dominio http://proce55ing.net, ma soprattutto è da considerare la “p” minuscola, perché gli elementi di javaScript erano scritti tutti in in maiuscolo. Per Lauren, quindi, adottare la “p” significa rompere con la tradizione tipica di questo software per valorizzare il principio della parità tra i vari programmatori-sviluppatori e coloro che danno il loro contributo per l'ampliamento del software stesso. La "p" minuscola suggerisce una nuova tradizione di inclusione di tutte le figure partecipanti, poiché ancora tanti artisti ed programmatori rimanevano esclusi perché principianti, o con disabilità, o parlanti lingue diverse, o dal background alternativo, o facenti parte di gruppi poco rappresentati. Massimo rispetto ed apertura: quante cose fantastiche, rivoluzionarie e positive in questo tempo triste possiamo trovare dietro il presunto freddo codice! Entrambi i software della Processing foundation sono open source e forniscono nutrite librerie per un accesso facilitato alla programmazione e le differenze tra i due linguaggi qui trattati coinvolgono il linguaggio base da cui partono, l’editor e la “presenza” nel web. Come abbiamo già detto Processing deriva da Java, e per ciò è un'applicazione desktop, mentre p5.js nasce da javaScript, tipico linguaggio del web, nato per soddisfare le esigenze degli artisti che hanno scelto questo luogo immateriale per esprimersi; le librerie (per 183
disegnare, usare i colori, i dati, altri hardware, immagini, suoni,….) di p5.js sono al pari di quelle in dotazione del “papà”, ma in più hanno quelle che si riferiscono all’ambiente web, cioè l’html, il css, e una Dom (Document Object Model) (51), specifica per lavorare direttamente nel web. Java è un linguaggio molto diverso da javaScript: il primo è un codice compilato, cioè segue un processo di traduzione della scrittura del codice che si trasforma in binario 0/1 per la comprensione del computer; il secondo, invece, è un linguaggio interpretato dal browser che legge il codice e lo esegue in tempo reale, consentendo maggiore flessibilità, rendendolo un’applicazione per il web. L’editor per sviluppare un progetto con Processing è la stessa tela bianca dove scriviamo le righe di codice e dove vengono eseguite mostrando direttamente su di essa, il desktop, il risultato del lavoro. P5.js (ora maiuscolo perché...lo impone la nostra lingua!), invece, solo da pochissimo tempo, determina un'altra differenza, in quanto si è dotato di un editor suo specifico che, attraverso il computer di chiunque, mostra già l’algoritmo eseguito in tempo reale in un localhost, un server web messo a disposizione da alcuni browsers. Vi sono alcune altre differenze circa le prestazioni (la velocità dell’esecuzione), ma non sono rilevanti. Importante è considerare, invece, che la scelta di uno dei due software dipende dal progetto che si intende sviluppare: es. per il web senza dubbio è meglio lavorare con p5.js, mentre per una installazione è meglio utilizzare Processing, che meglio si adatta al collegamento con altri hardware.
Fig. 42 Ambiente di lavoro p5.adottando il suo specifico editor
Come nelle migliori tradizioni ci si sposta, ci si muove nei mondi conosciuti per addentrarsi in quelli ignoti, e così fa Ben Casey, che studia design e si trasforma in programmatore di alto livello, concependo la sua vita come un ballo tra le due arti, quella del programmare con quella del creare opere visive. Sempre Arte è! 184
Subito si allontana dall'idea del computer come mero strumento di calcolo e, volendo conoscerne i segreti che risiedono nella logica, ha preso il volo coi suoi software generativi utilizzando il nuovo linguaggio artistico di cui è creatore. Da subito inizia a produrre infinità di algoritmi dal risultato sorprendente che gli aprono le porte dei musei e delle gallerie pubbliche e private dell’intero pianeta; solo per citarne alcune: Whitney Museum of American Art a Nyc, GAFFTA a San Francisco, Transmediale a Berlino, Ars Electronica in Austria, Festival internazionale di arte digitale di Uijeongbu in Corea, Sonar Festival di Barcellona. IAMAS e ICC in Giappone, Centre Georges Pompidou a Parigi. I suoi originali lavori si manifestano sia come installazioni interattive totalmente digitali che come artefatti visivi, stampando o incidendo su diversi materiali cioè che gli appare sullo schermo.
Fig, 43 Casey Reas, A Mathematical Theory of Communication, 2014, libro di stampe, 2018 Published by RRose Editions
“Ogni progetto artistico ha una dimensione fisica. Per quanto riguarda le opere pensate per la Rete, penso che la forma fisica sia semplicemente ignorata e impoverita, quasi rinchiusa in scatole grigie con sistemi di input privi di interesse. Il compromesso si gioca fra la nozione di ubiquità e la possibilità di controllo, ed entrambe occupano il loro spazio, la loro dimensione. Internet è affascinante da un punto di vista concettuale, ma debole a livello sensoriale. Sono davvero pochi gli artisti che usano la Rete come unico medium espressivo. Generalmente viene utilizzato come mezzo per la pubblicazione e la distribuzione. Dare
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fisicità a un progetto implica sempre anche una privazione in termini di purezza formale e, insieme, una variazione estetica perché lo spazio può rendere l’opera più o meno bella a seconda della prospettiva”. (52) Per Casey “fare codice” è un’attività umanistica, non un’abilità tecnica. Tutte le attività umane seguono precise istruzioni, per raggiungere l’obiettivo: per imparare una nuova lingua, per scrivere un libro, per comporre musica, per dipingere, per cucinare,… e lavorare con il codice non è diverso, ma necessita di maggior attenzione e precisione, pena l’errore che blocca l’attività. Il software Processing informa subito che la strada che si sta percorrendo è da cambiare per dar spazio ad un’altra scelta tra le tante a disposizione, per giungere ad una sensazione di pienezza, di soddisfazione che rende leggera l’anima nonostante le regole seguite. La logica matematica, che accompagna l’uomo dai tempi più remoti, è lì, materializzato in un cervello elettronico, pronta ad aiutare con spirito libero e creativo chiunque voglia assaporare il gusto della scelta e quello di creare attraverso il ragionamento ed il sentimento. “Sento una relazione molto forte con il Tinguely ( (1925/1991) artista svizzero esonente di spicco del movimento artistico Nouveau Réalisme) che afferma ‘per me la macchina è innanzi tutto uno strumento che mi permette di essere poetico. Se si rispetta la macchina, se le si permette di coinvolgerci in un gioco, allora forse si può creare una macchina davvero gioiosa, e per gioiosa intendo libera. Costruire macchine interattive, macchine che comunicano, è per me l’unico modo per esprimere e commentare il mondo in cui mi muovo. Ci sono due realtà: il mondo così come è e il mondo così come viene percepito. Costruire macchine mi permette di dire la mia sulla distanza che li separa.” (53)
Fig. 44 Casey Reas, Tissue 1 e 3, 2002
Casey ora vive e lavora come professore all’Università della California a Los Angeles, e continua a produrre opere generative e soprattutto a dare grande impulso alla Fondazione Processing con particolare attenzione alla Community, in cui regnano gli ideali più alti aspirati dall’Uomo, e la cui frequentazione, con scambi e esperienze accrescitive, regala
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stimoli ed ispirazione per lo sviluppo di ogni futuro lavoro artistico, suo e di tutti i partecipanti.. E’ stato estimatore delle sculture interattive cinetiche, che è stato l’argomento trattato nella sua tesi, lo stesso anno della nascita di Processing, 2001. Oggi, come ieri, sviluppa progetti software per l’arte, per sistemi di interfacce personalizzate, per sistemi interattivi e dinamici, a cui attribuisce, nel programmarli, la capacità di reagire e rispondere ad input esterni, generando e alterando la composizione originaria. “Lavorare con tali sistemi dinamici significa che il risultato non è completamente prevedibile. Mi piace lavorare in modi diversi. A volte stabilisco regole rigide, lo costruisco e poi osservo il risultato. Più frequentemente, comincio con un comportamento fondamentale, lo costruisco, osservo il risultato e poi lascio che l'idea fluisca istintivamente da lì. A volte un'idea inizia con un disegno, a volte un'idea nasce da un saggio e, a volte, dal “shakerare” il codice. Lavoro con sistemi dinamici con l'intento di arrivare a risultati imprevedibili. I computer sono costruiti per essere prevedibili e questo è un modo per generare risultati incongrui che trovo più soddisfacenti della casualità.” (54)
Fig. 45 Casey Reas, Network D (Software 1), 2013
Ha un grande interesse per la matematica, la biologia, la psicologia e la metafisica e durante gli anni trascorsi al MIT ha approfondito lo studio sulla vita artificiale, sull'intelligenza artificiale, sul principio di emergenza (generazione di strutture che non sono intenzionalmente programmate) e sulla robotica, ed è ciò che l’ha motivato ad imparare a scrivere software e costruire elettronica. Le sue opere sono pura astrazione, ma la sua ispirazione, oltre che dalla attiva Community, nasce dalla Natura, meglio dire da software derivati da sistemi naturali; questi nell’esecuzione del programma mostrano a volte modelli visivi naturali nella forma e nel movimento, per cui spesso sembrano rappresentazioni del mondo naturale, completamente inaspettate e senza la partecipazione della volontà di Casey.
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Si definisce un artista concettuale, ritenendo il concetto fuori da qualsiasi supporto fisico, per cui è interessato ad esporre, e a vedere lui stesso, il suo lavoro utilizzando media diversi per avere un’idea ed una visione più completa del lavoro stesso, dove il fulcro è il concetto, non l'implementazione di strumenti tecnologici. "Scrivo software per disegnare milioni di linee in pochi secondi, per fare migliaia di calcoli e decisioni in una frazione di secondo, per andare oltre ciò che la mia mente può immaginare senza la sua estensione digitale". (55) Ora, basta con le parole, vorrei solo partire per immergermi in qualche museo per assistere allo spettacolo dell’arte interattiva creata col software di Casey. Sicuramente potrei conoscerlo molto meglio e respirare per qualche ora l’aria sana ed evoluta del suo pensiero che traspare dalle sue opere.
Fig. 46 Casey Reas, RGB-056-006-080-823-715, 2015
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Prima di partire alla ricerca di esposizioni dal vivo, rigeneratrici il corpo, la mente e l’anima, voglio ancora dire alcune cose sul lato artistico di Lauren McCarthy, che semmai è possibile, è più ricco di quello codificatore. Mossa dagli stessi sentimenti e valori che caratterizzano la sua creatura p5.js, dove la condivisione, l’inclusività e l’accessibilità alla conoscenza del codice sono alla base di tutto il suo progetto, nelle sue pratiche artistiche Lauren esamina le relazioni sociali nel mondo tecnologizzato, tra sorveglianza, automazione e vita algoritmica. Conscia del fatto che la tecnologia con cui interagiamo ogni momento della nostra vita, modella il nostro mondo e non è mai neutrale, perché ogni strumento materiale ed immateriale che utilizziamo porta con sé le convinzioni e i pregiudizi dei suoi creatori, la sua missione è muoversi per un cambiamento, dove il mondo sia più giusto ed equo e per stimolare gli altri a realizzarlo. La tutt’ora giovane ragazza proviene scolasticamente anche lei dal MIT dove consegue una laurea in informatica ed un’altra in Arte e Design, e qualche anno dopo anche un’altra in MFA (la nostra accademia di Belle Arti) presso l’UCLA, l'Università della California a Los Angeles, dove inizia subito a portare il suo contributo all’auspicato cambiamento. Debito al fatto, immagino, di essere stata tutta la vita davanti ad un computer e alla sua condizione di “donna straniera”, Lauren è timida ed ha difficoltà nelle relazioni, virtuali e non, e usa il suo lavoro artistico per affrontarle creando situazioni in cui poter avere interazioni intime con estranei, che le sarebbero altrimenti negate. Inizia a sviluppare progetti per coinvolgere le persone nel contesto della loro vita quotidiana, creando uno spazio per affrontare le tensioni e per ascoltare il loro profondo desiderio di come vorrebbero vivere il futuro. La isolata topolina di computer si butta nella giungla sociale per scioccare e stimolare le persone coinvolte (anche se stessa), che hanno la possibilità così di avere uno spazio ed il tempo per crearsi un’opinione propria circa la relazione ambivalente che vivono nel e col sistema tecnologizzato che, se da una parte produce controllo e sorveglianza generando la paura e la sottomissione, dall’altra permette di relazionarsi più facilmente. Lauren quindi pone l’attenzione su questa dicotomia e nelle sue performance esporta le sue domande e dubbi ad un pubblico più ampio. Chissà quanto è sano il desidero di essere visti e sentirsi connessi che porta molte persone ad acquistare, da siti appositi, followers, e che dopo tale “conquista” si sentono appagati (forse)? Ma quanta e fino a quando può durare la soddisfazione nel vedere il conteggio dei follower in salita? Ciò può rendere la vita soddisfacente? O forse un follower in carne ed ossa, una relazione con un amico vero, potrebbe fornire qualcosa di più significativo o soddisfacente? Tenendo conto, anche, che con la presenza nei social network, se usati male, ma non solo, si crea una rete di controllo delle proprie azioni che mal si combina con le reali nostre necessità, anzi..le manipola e, se non le piacciono, le ostacola o censura. Domande, dubbi, difficoltà sue proprie, che si possono estendere a milioni di persone, muovono Lauren verso la sua avventura artistica. Esordisce nel 2010 creando una serie di dispositivi indossabili che utilizzano sensori per condizionare il comportamento di chi li indossa, cioè creando le condizioni per meglio adattarsi ai comportamenti sociali presumibilmente richiesti, Tools for Improved Social Interacting (Strumenti per una migliore interazione sociale).
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Happiness Hat, il cappello della felicità, un berretto di lana in cui è stato inserito uno strumento, un sensore, che obbliga di fatto a simulare un sorriso, la cui ampiezza viene registrata come dato su un file per un utilizzo futuro; Anti-Daydreaming Scarf, una sciarpa per smettere di sognare ad occhi aperti contenente un sensore che vibra sollecitando l'attenzione di chi la indossa nel momento in cui questa è impegnati in una conversazione (dove sei?); Body Contact Training Suit, una tuta da ginnastica che inizia ad emettere un suono quando chi la indossa rimane senza contatto con altre persone per troppo tempo. In questo suo lavoro Lauren esplora il potenziale della tecnologia nel modellare il modo in cui pensiamo, sentiamo e agiamo, e mette in discussione le nostre aspettative sociali, valorizzando il vero senso di una relazione.
Fig. 47 Lauren McCarthy indossa il Cappello della felicità, 2010
Lauren segue creando progetti di Intelligenza Artificiale (AI) umanizzando i ruoli che assumono dispositivi intelligenti. Dichiarando di essere gelosa di come Amazon Alexa, un'intelligenza artificiale domestica presente già ora in molte case, abbia saputo conquistare un posto intimo nella vita delle persone, ne prende il posto ed immagina e realizza una versione umana di Amazon Alexa. Nel 2019 quindi da vita a Someone e per due mesi nelle case di quattro famiglie americane vengono installati dispositivi intelligenti progettati su misura, tra cui fotocamere, microfoni, interruttori, serrature, rubinetterie, lucie e altri dispositivi elettronici, allo scopo di aiutare i componenti nella loro vita domestica. Tutto quello che avviene nelle quattro abitazioni è diffuso nella 205 Hudson Gallery di New York su quattro schermi, e i visitatori (someone-qualcuno) oltre ad assistere a ciò che avviene nelle case, possono intervenire dando consigli ai quattro nuclei sperimentatori per soddisfare le loro momentanee esigenze. La riflessione che ne scaturisce porta ad analizzare il contrasto che si crea nella persona che trae confort dalle innovazioni, ma ne subisce il controllo a discapito della privacy. 190
Sempre nel 2019 cerca lei stessa di diventare una versione umana di Amazon Alexa e realizza Lauren. Per 7 giorni, 24 ore su 24, Lauren sorveglia e controlla ogni aspetto della casa e della vita della persona che assiste, con l’intento di dimostrare che l’uomo è migliore della macchina nella relazione di cura, perché sa capire ed anticipare i bisogni del suo simile. La riflessione che stimola è sul rapporto uomo-macchina, sulla presunta casa intelligente, sulle tensioni tra la privacy e la comodità e sulla verifica dell’importanza del lavoro umano nel futuro dell'automazione. Si susseguono performance in chat coadiuvate da dispositivi A.I., incontri prima virtuali e poi reali e viceversa, con ospiti in casa veri contattati attraverso chat, aiuti simultanei in rete su come comportarsi per gestire un incontro procurato da un sito di incontri, conforto pratico ad anziani in contatto dal web,… In tutte le sue performances si sente vibrare la necessità umana di un contatto vero ed autentico con l’Altro, non guidato da costrutti ed imposizioni sociali, nemmeno da AI, ma da un reale bisogno di genuinità ed empatia.
Fig. 48 Lauren Lee McCarthy, David Leonard, I.A. Suzie, 2019
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La domanda che sorge è quale sarà il ruolo degli esseri umani in un futuro mondo guidato dall'intelligenza artificiale? Ora che gli algoritmi iniziano ad ottimizzare quasi ogni interazione e aspetto della nostra vita, all’uomo (per) ora rimane “salvaguardato” il suo aspetto emotivo, ma potrebbe accadere, ben presto, che un’interfaccia umana corredata di AI, si sovrapponga alla sua espressione più intima. Panorami che Lauren teme e che cerca di far emergere dando massima priorità all’Umanità ed alle sue diversità che ci differenziano dalle macchine. Sempre nel 2019 realizza la performance Waking Agents (agenti del risveglio) ponendo lo sguardo allo spazio personale del sonno anch’esso invaso dalla tecnologia. Installa materassi e cuscini su cui sono invitati i partecipanti a sdraiarsi e dormire. Il cuscino ha una proprietà, parla, perché ha al suo interno un dispositivo di AI che funge da guida parlante e custode del riposo dell'utente mentre si sposta dalla consapevolezza della veglia all’incoscienza del sonno. Anche questo tempo personalissimo ed unico accresce le possibilità del controllo? Possiamo sognare un futuro in cui il controllo delle nostre vite è nelle nostre mani o la dipendenza dai nuovi mezzi ci negherà anche la parte inconscia ma proficua del nostro essere? Può franare definitivamente il potere di scelta conferito naturalmente all'essere umano?
Fig. 49 Lauren Mc Carthy, Waking Agents, 2019
Le performance di Lauren si susseguono senza sosta, anche con collaboratori, anche direttamente dal suo computer, nel quale da accesso ad ospiti allo scopo di collaborare con lei alla stesura della sceneggiatura della sua vita del giorno successivo: Script del 2010; The Changing Room (2017), un’installazione in rete gestita da un'intelligenza artificiale che mette a disposizione degli utenti 200 emozioni da selezionare, e quando ciò avviene, 192
l’algoritmo induce tale sensazione a tutti gli utenti presenti in rete in quel momento, travalicando spazio, tempo e umanità. Lavora indefessamente, (anche durante il periodo di lockdown causa pandemia ha fornito la sua visione costellata di dubbi sul ritorno alla normalità), sia in rete che con installazioni ipertecnologiche e con AI, riceve commissioni da istituzioni culturali importanti e da università di varie parti del mondo, insegna dal 2016 all’Università della California, tiene corsi in rete per l’apprendimento di p5.js, è attiva nella comunità di Processing e nella Fondazione che presiede insieme ai suoi “maestri” e riceve il premio Prix Ars Electronica nel 2020 col Nike nella categoria “Interactive Art +”. Lauren artisticamente realizza un misto straordinario di netArt del XXI secolo con le pratiche più evolute, che lei anche inventa, dell’Arte performativa e del codice. Il suo corpo, le sue idee, i suoi ideali la inducono verso la trasformazione per il mondo che ha sognato di realizzare, per il quale si adopera con tutte le sue forza, con tutti i suoi strumenti e competenze, soprattutto col suo grande cuore.
Fig. 50 Lauren Lee McCarthy and Kyle McDonald, Social Soul, 2014
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NOTE del CAPITOLO 5 (1) Luciano Floridi, On Life, La vita al tempo del digitale, conferenza ttps://www.youtube.com/watch?v=vVp0SHqDEwY (1bis) https://www.kuoshu.net/i-ching-libro-dei-mutamenti/ (2) Algoritmo : https://www.informaticapertutti.com/che-cose-un-algoritmo-in-generale-e-in-informatica/ (3) Software : https://www.informaticapertutti.com/che-cose-il-software-quante-tipologie-ne-esistono/ , https://www.treccani.it/enciclopedia/software_%28Enciclopedia-Italiana%29/ (4) ) Konrad Zuse : https://areeweb.polito.it/didattica/polymath/ICT/Htmls/Interventi/Articoli/Italia/ZuseComput er/ZuseComputer.htm (5) L’architettura di von Neumann è il progetto di un cervello elettronico, programmabile da un software, che riceve in ingresso (input) informazioni espresse in codice binario e restituisce in uscita (output) i risultati dell’elaborazione digitale, ottenuta attraverso la gestione del flusso di elettroni tra un’unità di controllo, una memoria e un’unità logico-aritmetica. (6) Porta nand : http://www.lmweb.it/elettronica/portanand.htm (7) Linguaggi di programmazione: https://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio-di-programmazione/ (8) Assembler: https://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio-assembler_%28Enciclopedia-della-Scienza-e -della-Tecnica%29/). (9) Ubuntu-Nelson Mandela : https://www.youtube.com/watch?v=wuLxh-jBUQY (10) Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 9 (ed. orig.1964). (11) Algoritimo: https://www.youtube.com/watch?v=6hfOvs8pY1k&t=19s). (12) Algoritmo: https://www.treccani.it/enciclopedia/algoritmo/ Definizione (13) Ben F. Laposky, Electronic Abstractions, Catalogo Mostra,Cherokee, Iowa, Sanford Museum., 1953. (14) Herbert W. Franke, Computer Graphics - Remarks on my Work, dal sito dell’Università di Monaco, www.biologie.uni-muenchen.de/~franke/WsFr5Korr.htm (15) Herbert W. Franke, The New Visual Age, «Leonardo», Vol. 18, No. 2, MIT Press, Cambridge, 1985, pp. 105-107. (16) Herbert W. Franke, Computer Graphics - Computer Art, ed. Spring, Berlino, 1985, p. 95. (17) Hannes Leopoldseder (1940 – 2021), cofondatore di Ars Electronica – nel sito ufficiale del festival : https://ars.electronica.art/about/en/ (18) Ibidem (19) Ibidem (20) John Whitney, intervista per Cynthia Goodman (1987) per la presentazione del suo testo “Digital Visions Computers and Art”a New York., in concomitanza con l “exhibition Computers and Art!, organizzata da the Everson Museum of Art, Syracuse, NY (Sept. 17 Nov. 8, 1987)]. (21) Movimento Fluxus: https://flash---art.it/article/fluxus-e/ 194
(22) Giuseppe Marano, Marco Deseriis, Net Art, l’arte della connessione, Shake edizioni underground, Milano 2003, p. 17. (23) https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2020/01/artisti-internet/ intervento di Valentina Tanni su Net.Art. (24) Definizione Hacktivism: https://it.wikipedia.org/wiki/Hacktivism (25) Introduzione alla Net.Art : http://www.easylife.org/netart/ (26) Definizione Arte Generativa: Philip Galanter Che cos'è l'arte generativa? Teoria della complessità come contesto per la teoria dell'arte 2003 International Conference on Generative Art. (27) Definizione di Arte Generativa di Marius Watz: ttp://www.artificial.dk/articles/watz.htm (28) Matt Pearson, Generative Art A practical guide using Processing, ed. Manning Publications, 2011, Shelter Island, New York. (29) dal web affermazione di Richard Padovan: https://hex6c.medium.com/new-artworks-on-the-block-52979980b91d (30) Sito del convegno: https://www.generativeart.com/home2021.htm (31) Sito di di Celestino Soddu : https://www.soddu.it/) (32) Sito rivista : www.gasathj.com (33) Links dove trovare i software con cui approciarsi all’arte generativa e creare le proprie opere: https://helpx.adobe.com/air/archived-docs-download.html, https://processing.org/ , https://www.contextfreeart.org/, http://structuresynth.sourceforge.net/, https://www.nodebox.net/, https://www.softwaretoolbox.com/, https://vvvv.org/, https://p5js.org/ (34) Sito Processing : https://www.processing.org/ (35) Austin Kleon, Ruba come un artista. Impara a copiare idee per essere più creativo nel lavoro e nella vita, ed. Antonio Vallardi, 2013, Milano (36) Matt Pearson, artista, scrittore e divulgatore di arte generativa; dal web: https://hex6c.medium.com/new-artworks-on-the-block-52979980b91d (37) Daniel Shiffman, The Nature of Code, licenza Creative Commons, Attribution NonCommercial 3.0, Unported. Mountain View, USA, 2012. (38) Daniel Shiffman, il più grande divulgatore di codice creativo https://shiffman.net/ Dall’introduzione de Nature of code : “Nel 2003, come studente laureato presso l'Interactive Telecommunications Program (ITP) in Tisch School of the Arts della New York University, mi sono iscritto a un corso chiamato “Dynamic Bodiess”. Il corso è stato tenuto dal designer dell'interazione e professore a contratto ITP James Tu. In quel tempo, il mio lavoro era incentrato su una serie di esperimenti software che generavano in tempo reale Immagini "non fotorealistiche". Le applicazioni prevedevano l'acquisizione di immagini da un live fonte e per "dipingere" c’erano i colori con elementi che si muovevano sullo schermo secondo varie regole. Il corso Dynamic Bodies, comprendeva vettori, forze, oscillazioni, sistemi di particelle, ricorsione, sterzo e molle, argomenti perfettamente allineati con il mio lavoro. Avevo utilizzato questi concetti in modo informale nei miei progetti, ma non avevo mai dedicato tempo per esaminare da vicino la scienza dietro gli algoritmi e per imparare la tecnica di programmare orientata agli oggetti tecniche per formalizzarne l'attuazione. In quello stesso semestre mi sono iscritto anche io “Fondaments of Generative Art Systems”, un corso tenuto da Philip Galanter, incentrato sulla teoria e la pratica dell'arte generativa, che copre argomenti come il caos, gli automi cellulari, algoritmi genetici, reti neurali e frattali. Sia il corso di Tu che il corso di Galanter mi ha aperto gli occhi su un mondo di algoritmi e di tecniche di simulazione che mi hanno aiutato negli anni successivi nel lavoro di insegnante e che servì da fondamento ed ispirazione per questo libro. Ma in questa storia manca un altro pezzo del puzzle. Il corso di Galanter era per lo più basato sulla teoria, mentre quello di Tu veniva insegnato utilizzando “Macromedia Director” e il linguaggio di programmazione “Lingo”. In quel semestre, ho imparato molti dei algoritmi traducendoli in C ++ (il linguaggio che stavo usando piuttosto goffamente al tempo, molto prima che questo fosse implementato da ambienti di codifica creativa C ++ come openFrameworks e Cinder). Verso la fine del semestre, ho scoperto qualcosa chiamato
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Processing (http://www.processing.org). L'elaborazione era in alpha allora (versione 0055) e, avendo avuto qualche esperienza con Java, mi ha intrigato abbastanza da pormi la domanda: potrebbe questo linguaggio di programmazione open source, ambiente a misura di artista, il posto giusto in cui sviluppare una suite di tutorial ed esempi sulla programmazione e la simulazione? Con il supporto di le comunità di ITP e Processing, ho intrapreso quello che è stato un viaggio che ormai dura 8 anni di insegnamento di una varietà di concetti di programmazione e le loro applicazioni utilizzando In lavorazione….. ..Sono anche in debito con la comunità energica e solidale dei programmatori ed artisti di Processing; Non avrei potuto scrivere questo libro se non fosse per Casey Reas e Ben Fry, che hanno creato Processing. Ho imparato metà di quello che so semplicemente leggendo il codice sorgente di Processing, dall'elegante semplicità del linguaggio di elaborazione, e dal del sito Web e dell' IDE, che han reso la programmazione accessibile e divertente per tutti i miei studenti. …”.
(39) Canale per l’apprendimento di Processing https://www.youtube.com/user/shiffman (40) Sito di Kasey Reas: https://reas.com/ (41) Sito di Ben Fry: https://benfry.com/ (42) Sito Arduino: https://www.arduino.cc/ ; https://it.wikipedia.org/wiki/Arduino_(hardware) (43) Donald E. Knuth, The Art of Computer Programming, (in italiano "L'arte della programmazione"), dal web: wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/The_Art_of_Computer_Programming#:~:text=The%20Art%20o f%20Computer%20Programming%20(TAOCP)%20%C3%A8%20una%20serie%20di,Knuth %20dell'Universit%C3%A0%20di%20Stanford. (44) Sito di openProcessing : https://openprocessing.org/ (45) Sito archiviato; da wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Delicious (46) Sito di Flickr: https://www.flickr.com/ (47) Sito di github : https://github.com/ ; da wikipedia : https://it.wikipedia.org/wiki/GitHub (48) Sito di Codice Inutile: https://www.codiceinutile.org/ (49) Sito Processig foundation: https://processingfoundation.org/ (50) Lauren McCarthy, Casey Reas, and Ben Fry. Getting Started with p5.js, ed. Maker Media, 2015. (51) DOM: https://www.ionos.it/digitalguide/siti-web/programmazione-del-sito-web/document-object-m odel-dom/ (52) dal web: https://www.exibart.com/exiwebart/sculture-immateriali-intervista-a-casey-reas/ (53) Ibidem (54) dal web: intervista a Casey Reas: https://sajidsaiyed.medium.com/interview-with-casey-reas-7155d4155560 intervista (55) dal web:https://www.artsy.net/artwork/casey-reas-untitled-film-still-1-dot-22 Note per le conclusioni e presentazione del progetto: (56) Eugene P.Wigner, L’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali, Princeton University, (1960), Communications on Pure and AppliedMathematics, vol. XIII. (57) Joseph Beuys, Cos’è l’Arte?, a cura di Volker Harlan, ed. Lit-Castelvecchi, 2015, Roma, pag. 43. (58) Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, ed. Mondadori-Oscar Moderni, 2015 (59) Jacques Lacan, Il desiderio e la sua interpretazione Seminario VI 1958/59, ed. Einaudi, 2016.
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(60) Osho, Perché dovrei affliggermi ora? Il segreto dello zen, ed. Stampa Alternativa, Viterbo, 2015. (61) sito di a-frame: https://aframe.io/ (62) V.Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, a cura di E.Pontiggia, Ed. SE, Milano 2005, pag. 86.
TESTI Antonio Rollo, Il codice dei cibernetici- Introduzione alla Computer Art con Processing, ed Oistros, Lecce, 2015. Daniel Shiffman, The Nature of Code-Simulating Natural Systems with Processing, licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0, Mountain View, USA, 2012.
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Fig. 51 Catodo, Bosch’s Garden, dettaglio, generative artwork a base di triangoli, 2014
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CONCLUSIONI e PRESENTAZIONE PROGETTO Ho fatto un viaggio bellissimo in questi mesi, attraversando secoli e scalando spazi infiniti. Mi son persa in mille rivoli, faticando nel tenere la barra, per comprendere la relazione amorosa e per questo indissolubile che intercorre tra la Matematica e l’Arte, alla base di ogni singola nostra azione e pensiero. Ho incontrato il pensiero di illuminati dediti alla conoscenza grazie alla Matematica e le opere di artisti, che fin dall’inizio dei tempi han considerato prioritario fare calcoli prima di affrontare una tela o una parete bianca, o un pezzo di marmo intatto, o uno spiazzo vuoto da riempire per trasformarlo in una piazza ricca di palazzi. Calcoli, regole, canoni, numeri che riconducono alla magia dell’universo, teoremi che ne calcolano le sue proprietà, Natura come libro e come specchio del tutto, infinito e caos,.., tutto è stato contemplato dall’Arte supportata dalla Matematica. L’Arte espressione del conosciuto e dell’impalpabile, l’Arte per conoscere il destino del prima e del dopo, l’Arte per proporre nuovi sguardi sul mondo, l’Arte come necessità interiore, l’Arte di vivere in Arte. Ho conosciuto durante il viaggio personaggi incredibilmente acuti e di grande visione, sia nel passato che nei giorni presenti, e ciò mi ha resa più ricca e contenta, più curiosa e consapevole che il viaggio non finirà qua. Il desiderio di tornare a spaziare nel tempo, anche quello futuro, è forte per non essere ascoltato e perseguito. Ho capito di non sapere nulla, o poco più, e la fame non mi piace, solo mi spinge a cercare per nutrirmi di pensieri buoni, di idee ispiratrici, di scoperte trasformatrici. Quella che per me all’inizio era solo un’intuizione, forse solo una ipotesi a sostegno del mio amore per la Matematica, si è rivelata corretta: da sempre le opere d’Arte sono il frutto dell’ingegno matematico e veggente dell’umano. Tra regole e fantasia, studio ed intuizioni, astrazioni ed esperimenti, l’Arte e la Matematica hanno percorso i tempi insieme a braccetto, stimolandosi vicendevolmente, fino a giungere all’epoca attuale, il regno dei numeri. Questo oggi si manifesta in tutta la sua potenza, le cui basi, poste da geni del pensiero logico-matematico, hanno permesso al mondo di dotarsi di efficaci strumenti per cambiare veramente lo stato delle cose: diffondere le conoscenze facilmente e velocemente per partecipare tutti alla creazione del futuro. Al solito il problema è l’uso che si fa delle conquiste, in questa caso la più delicata, la conoscenza. Con la diffusione dei computer, con la rete internet a disposizione di sempre più persone, la Storia, dipanandosi, può essere scritta da tutti, ma solo se consci che il tempo delle transizioni è eterno e siamo solo all’inizio della comprensione di ciò a cui siamo giunti, soprattutto della valenza rivoluzionaria di ogni singolo aspetto che la compone. Il mondo è connesso! Tutti si può conoscere ciò che altri hanno scoperto, visto, vissuto prima di noi in tempo reale; tutti possiamo partecipare alla creazione della Storia, ma necessario è considerare la qualità del desiderio che muove alla partecipazione. Ecco, dovrei, dovremmo fermarci e guardare in faccia le conquiste dell’Umanità senza sorprenderci nel vedere ancora i suoi nemici negare l’evidenza del perpetuo divenire delle cose. I nemici sono le reti imbriglianti delle volgarità e delle mistificazioni, del potere manipolatore di chi detiene il dominio economico e sociale dei nuovi sistemi, del bombardamento di dati ed informazioni che non lascia spazio alla riflessione, ma soprattutto
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sono le nostre paure a lasciare il conosciuto, seppur stretto e doloroso, a favore di ciò che è ancora avvolto nel mistero. La nostra umanità ci rende fragili, ma anche capaci di utilizzare al meglio gli strumenti a disposizione, per farne un uso che contempli il bene e la conoscenza collettiva. Questa è la sfida di questa era, ma a pensarci bene è la sfida di sempre. Dipende da noi, dalla nostra sete di conoscere, dall’intensità del nostro desiderio di verità e bellezza, implicitamente di pace e giustizia. Dipende da noi stabilire quanto potere assegnare alla macchina o farci da lei fagocitare. Dipende dalle nostre scelte per la nostra vita: 0 o 1 sono solo due numeri, ma noi possiamo contemplarne anche altri, avendoli a disposizione! Questi ce li costruiamo con lo studio e l’approfondimento, col lavoro interiore per la conoscenza del proprio sé, nella comprensione che tutti si vive gli stessi drammi e pertanto non siamo nemici, ma compagni di viaggio per il tempo che abbiamo a disposizione in questo mondo unico e straordinario. La Matematica ha scoperto anch’essa di non essere completa, di non soddisfare teoricamente i suoi postulati, ma nella pratica funziona sempre e supporta ogni tipo di ricerca con le sue formule ed i suoi numeri. Anch’essa si è piegata a se stessa, alle sue scoperte ed ai suoi risultati, come ai suoi cambiamenti. Anch’essa fa parte del mondo dove l’assoluto non ha spazio e la complessità domina il divenire cangiante. Fa un po' paura, ma abbiamo il conforto della sua esattezza e logicità ogni qualvolta ci rivolgiamo ad essa. Per dirla con le parole di un grande matematico, Eugene Wigner, possiamo sempre confidare nell’irragionevole efficacia della matematica. (56) La Matematica ci ha consegnati al regno dei numeri dalle infinite risorse e noi non possiamo fare altro che esprimere gratitudine a tutti coloro che nei millenni hanno dato la loro vita per condurci fin qua e continuare, coi nostri seppur infinitesimali talenti a confronto, sulla loro strada. L’Arte, espressione dell’Uomo per raccontarsi nel tempo, è lo strumento per eccellenza per rinnovare il tempo stesso, per modellarlo ad immagine del nostro ideale. La trasformazione avviene al di là della volontà umana, che però in parte l’uomo può dirigere spinto dalla forza del desiderio di esprimere la propria interiorità, di essere quello per cui è nato, ben sapendo di non essere onnipotente, ma nemmeno in balia degli eventi. L’Arte nel mondo attuale si è fatta anch’essa numero, si sviluppa attraverso i numeri, si fa e si mostra attraverso numeri che prendono forma e colore. Oggi sempre più persone hanno accesso a strumenti per tradurre in colori e forme il proprio pensiero, il proprio sogno, le ansie e le aspirazioni, e sento l’eco di un pensiero di Joseph Beuys, che sostiene che ogni uomo è un artista. (57) Ognuno ha la facoltà, meglio dire il dovere, di modellare la propria esistenza e il mondo in cui vive a suo piacere, e lo può fare perché la creatività è una caratteristica di tutti gli esseri umani e non una prerogativa di chi si definisce o viene definito artista. L’arte è l’unica forza veramente rivoluzionaria, che permette attraverso la creatività e la libertà di fare della vita una scultura vivente, della propria vita un'opera d’Arte. Non è sufficiente avere un computer zeppo di applicazioni o la conoscenza di innumerevoli tecniche per definirsi tale. La condizione per essere un artista è essere un Uomo libero, non essere intrappolato dal canto delle sirene del potere; avere una visione alta, propria di chi sa guardare l’insieme dall’alto e riconoscere la propria piccolezza di numero tra i numeri, ma anche la sua grandezza trasformatrice, capace di plasmare la propria vita e di fatto cambiare il 204
mondo; essere un artista è colui che sente questo suo potere e lo indirizza per la condivisione di ciò che vede e sente, profetizzando altri mondi dove gli uomini non sono divisi, ma uniti nella ricerca della felicità diffusa, nel rispetto di ogni forma vivente o creata dall’uomo, nel presente, nel passato e nel futuro. Ogni artista si prende la libertà, soprattutto la responsabilità, di essere quello per cui è nato con la sua missione incorporata, disposto ad accettarla perché foriera di nuove sue possibilità. Ogni uomo che ha cambiato creativamente la fisionomia della sua terra, che ha costruito la sua casa, il suo lavoro, il suo giardino, il suo corpo, le sue relazioni, sempre rispettando la Vita perché guidato da una forte etica supportata dalla responsabilità, ha regalato forme d’Arte al mondo, lo ha arricchito, lo ha modificato, ha permesso a tutti di spostarsi un poco più oltre il vissuto conosciuto. Da ogni tempo l’uomo crea coi suoi gesti ed i suoi pensieri la propria vita, crea la sua opera d’Arte non da mostrare ai contemporanei ed alle future generazioni, ma da vivere, da porre in essere, come ipotesi percorribile di vivere il mondo, esprimendo il desiderio di un qualcosa che non c’è e che porta alla luce la parte più vera di ogni uomo. L’uomo-artista quindi crea modelli reali possibili e percorribili che propongono un nuovo ordinamento sociale in cui le facoltà umane vengano realizzate nella loro completezza, al pieno della potenzialità creativa di ognuno. L’uomo-artista è guidato dal bisogno di esprimere la propria unicità interiore con l’intento di ampliare la comprensione di sé e della realtà per, nella condivisione dei suoi risultati, giungere ad una capacità di rinnovamento e ad una maggiore cura degli altri e quindi della società. Ogni sua azione, se svolta sotto la forza della creatività e della necessità interiore, diventa un atto artistico portatore di un messaggio di uguaglianza e di libertà. L’intento che lo guida, quindi, è quello di spostare, anche attraverso piccole azioni, il mondo verso la luce che illumina la verità con tutto ciò che in essa si rivela: la bellezza, il giusto e la necessità vitale di essere partecipanti attivi di ogni cambiamento. Non ci sono altri giorni che questi nostri giorni. Che mi sia dato di non sprecarli, di non sprecare nulla di ciò che sono e di ciò che potrei essere. (58) Son trascorsi i mesi davanti al computer per redigere questo testo e il tempo si dilatava quando staccavo dallo scrivere e il leggere per distrarmi. Sempre con i numeri. La postazione era sempre la stessa, davanti allo schermo, e giocavo a comporre algoritmi che mi restituissero lo schermo colorato ed in movimento. Esprimendo un mio bisogno interiore, creavo giocando o giocavo creando? Che importanza può avere se alla fine le mie “soste ludiche” si son trasformate in quadri interattivi in movimento. Si vive e si crea nello stesso tempo quando si ascoltano le voci del proprio mondo invisibile. Cose belle e buone, almeno per se stessi, per tutti si auspica. Libera per scelta, ho riempito il mio tempo di contenuti che danno piacere. E’ un bel vivere e lo consiglio a tutti, perchè ognuno può scegliere come dipingere le pareti della propria casa, del proprio io, e quindi della propria intera vita; e si possono anche abbattere le pareti ed i muri per colorare il mondo. Intanto io, ascoltando i miei bisogni più profondi, gioco e trasformo righe di codici in mirabolanti immagini animate.
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Ora mi ritrovo a constatare una volta di più, debito all’età che avanza, che con essa sopraggiungono anche difficoltà nel fare più cose contemporaneamente (finito è il tempo in cui venivo definita la “ragazza bionica”), e di non riuscire ad avere la mente libera per realizzare altro oltre a quello a cui sono impegnata. Un pensiero compiuto che mi portasse all’elaborazione di un progetto artistico articolato faceva fatica ad uscire dai miei meandri mentali zeppi di Storia, di formule, di persone straordinarie, di Arte e Matematica. Ho circoscritto il problema ed ho realizzato che l’uso del mio tempo trascorso a giocare era il miglior progetto che potessi produrre: era già e si era compiuto senza ansie ed aspettative perché frutto dell’ascolto interiore. Non lo sapevo, ma avevo necessità di giocare come piace a me, percui il mio tempo dedicato al “gioco artistico” è diventato lui stesso il progetto, dimostrando anche che non c’è separazione tra vita ed Arte. Mi piace pensare che tantissimi matematici o artisti programmatori sostengono di lavorare col codice per produrre le loro opere, principalmente perché si divertono, e valutando la mia situazione degli ultimi 5 anni, sento di appartenere a questa categoria. Divertirsi, stare bene con se stessi nello svolgimento di un’attività, essere sereni, raggiungere a volte picchi di soddisfazione e di stupore autentico, ritengo sia una grande conquista per ogni uomo e donna che poggi su questo Pianeta. C’è un lavoro dietro che non si vede, ma che negli anni porta quel bicchiere mezzo vuoto a riempirsi fino al traboccamento suo ed anche di se stessi, fino a ritrovarsi Altri, più attenti, più positivi e, ho potuto verificare di persona, più amati. Ecco! Portiamo il sorriso e la voglia di fare bene ciò a cui stiamo dedicando il nostro tempo, il dono più prezioso che abbiamo ricevuto. Sappiamo che è limitato, ma non sappiamo quanto, ...nel frattempo, perché affliggersi ora? (59), viviamo e godiamo della vita, apportando i nostri gioiosi contenuti creativi sempre. Il mio lavoro non ha l’ambizione di spostare il mondo, di portare messaggi per un cambiamento rivoluzionario o di condurre la mente ed il cuore ad alte riflessioni spirituali, filosofiche o sociali. Il mio intento è portare un piccolo raggio di luce che possa sollecitare una meditazione sullo stile di vita che si adotta, ponendosi alcune domande semplici: sono felice? Cosa posso fare per assaporare la quiete e la serenità del e nel mio essere? Sono autorizzato ed ho i mezzi per farlo? Raccogliere le proprie conoscenze, esperienze e sapienze per darsi delle nuove possibilità senza temere di essere escluso dal gioco della vita pienamente vissuta. Dalla mia esperienza dico si, è possibile, e non necessitano permessi da parte di fantomatici superiori per incamminarsi sulla strada che conduce a noi stessi attraverso la creatività, che assume la forme dei nostri bisogni e desideri più autentici, per esprimere il nostro potere per troppo tempo sottovalutato o ignorato. Si può e si deve, perchè ognuno ha il suo segreto compito da portare a compiuto svolgimento in forma impeccabile. “E alla fine del tempo, ognuno si ritroverà davanti al giudizio e dovrà rispondere ad una sola domanda: "Hai agito nel rispetto della Legge del Desiderio che ti abita?" (60) Essere in pace con se stessi e regalare ciò che si conquista, seppur di poca rilevanza, è già un atto rivoluzionario per la vita e per l’Arte, per tutti, soprattutto per coloro che vagano nel buio 206
del loro essere annichilito o nelle certezze presunte che non regalano gioia. Riprendiamoci la vita facendo ciò che amiamo rispettando la vita intera! Il mio lavoro ha quindi l'intento di mostrare una possibile praticabile via dell’essere in sintonia col mondo, col numero magico 1,6180339887…. a regolare la temperatura creativa del nostro cervello, con un algoritmo da portare a compimento, col piacere di creare che per me ha significato “giocare”. Giocare e vivere con lentezza avendo cura ed attenzione di sé e dell’Altro, creando benessere a se stessi e proponendo gentilmente vie praticabili. Ognuno ha il suo modo di essere e provare piacere: le strade sono aperte lasciando che il flusso della vita scorra in un letto scevro da vincolanti strette impalcature sociali, che inibiscono la reale nostra natura creativa a favore della menzogna che vuole la separazione tra l’Arte e la Vita. Questa, se si intende come la creazione condivisa di un futuro mondo ideale che abbraccia la società intera, è Arte allo stato puro, praticata, ricercata e anelata da tutti da sempre. Ho scelto i miei quadri in movimento tra i risultati dei tantissimi sketches a cui ho messo mano in questi mesi, cioè di intere ore trascorse nell’applicarmi al piacere di creare, ed ora il frutto è da esibire, da condividere. Considerato il mio amore per la Matematica, per l’Arte generativa e per il mezzo che permette di connetterci, ho scelto di utilizzare il palco web per l’esibizione della mia gioia codificata, dinamica ed artistica, che non porta altro che sé stessa, come esempio a sostenere il diritto ed il dovere di essere felici, almeno sereni, nel plasmare la nostra vita unica e irripetibile. Quindi, armata di un altro sorriso, ho ripreso un argomento trattato dal prof. Pestelli durante le travagliate lezioni a distanza di web design dello scorso anno, la realtà virtuale per il web con il framework A-frame (61) .
Fig. 51 Immagine all’apertura del sito A-frame
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A-Frame è un framework open source nato nel 2015 basato sul Web per la creazione di esperienze immersive che includono la realtà aumentata, la realtà virtuale ed altre applicazioni; utilizza il linguaggio html, tipico delle pagine di qualunque sito, e di una libreria di javaScript denominata Three,js, che consente la creazione di animazioni 3D, possibili dall’avvento di WebGL (Web-based Graphics Library), un’altra libreria che fornisce un'interfaccia di programmazione per la grafica 3D, la stessa a cui anche gli artisti che usano Processing per i loro progetti in 3d ricorrono. Creare una pagina web con a-frame presuppone la conoscenza di html (HyperText Markup Language), lo standard usato per strutturare i documenti del World Wide Web, che non è propriamente un linguaggio di programmazione, ma una tecnica di formattazione con marcatori, in cui il <tag> è l’elemento che indica la struttura ed il metodo per ordinare gerarchicamente i contenuti della pagina web che si vuole creare. A-frame adotta questo linguaggio, ma lo conforma a regole precise sue proprie, come l’adozione di diversa sintassi e procedura. Non avremo più il foglio di stile, il css, non avremo attributi che qui si convertono in componenti, per configurare e modificare l’aspetto, il comportamento e le funzionalità dei <tag> che qui diventano <entità>, cioè gli oggetti 3D presenti nella scena . La pagina web creata con a-frame non si sviluppa come avviene di solito dall’alto verso il basso, ma avendo a disposizione le tre dimensioni l’alto, il basso e la profondità come nel mondo reale, si apre dando l’illusione al visitatore di trovarsi in un nuovo ambiente che si può osservare nella sua interezza spostandosi al suo interno. E’ un’immersione totale in un altro mondo, dove si può viaggiare, giocare o semplicemente immergersi. La visione si può attuare da qualsiasi computer connesso, ma risulta più coinvolgente se ci si dota di un visore apposito che permette una più realistica esperienza immersiva. I paesaggi che vorrei condividere sono caratterizzato dalla presenza di quadri dinamici creati col codice (utilizzando Processing o p5.js) che, come la sua creatrice, danno i numeri, nel senso, qui, che sono fatti di numeri, di 0 e 1 e di logica booleana. L’ambiente creato è una trasposizione di un’attività svolta nella vita reale che si fa virtuale e torna vera nel momento della condivisione. Quindi l’esposizione dei miei lavori in codice adotterà la modalità tipica dei nostri tempi, dove si utilizza il web per ogni manifestazione di se, nel mio caso, mostrando il mio giocare, sviluppando algoritmi dal risultato improbabile di un quadro ..che si muove! In effetti una persona dinamica come me, bloccata davanti ad un computer da 5 anni, sogna sempre di muoversi, di camminare, di andare. Da seduta posso solo sublimare il movimento componendo dipinti scrivendo righe di codice che assumono dinamismo. Se è vero che do i numeri, ecco ora una nuova versione di come sia abile creativamente nel produrne tanti e diversi: svolgendo un’attività logica dall’aspetto artistico dal risultato ludico. E a pensarci bene, l’Arte si è fondata per secoli e secoli sulla mimesi, sull’imitazione della vita, specchio dei costumi e immagine della realtà che si viveva, ora col mio lavoro finale ripropongo lo stesso criterio, rappresentando ciò di cui è fatta la nostra realtà: numeri, formule matematiche e ricerca del piacere. Il mio lavoro è una testimonianza delle potenzialità creative che ognuno di noi possiede, espresse come si può e come piace, e che sono alla base della vita, e tanto più lo sono se 208
queste sono nate, create, sviluppate e manifestate attraverso i numeri che compongono il mondo, a conferma di ciò che qualcuno disse secoli e secoli fa: TUTTO è’ NUMERO ! E ribadito, oltre 2000 anni dopo, dal grandissimo Kandinskij che sosteneva che l’Arte del futuro è quella che riuscirà a esprimere in forma matematica le relazioni che intercorrono tra le cose del mondo. "Come ultima espressione astratta rimane in ogni arte il numero".(62)
Fig. 52 Screenshot della visione dal web di un possibile mio mondo
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