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acqua bollente e cenere, la li§ia; per certe pulizie si adoperava con grande attenzione anche l’oio fumante (vetriolo?). Guerra e pace Di notte c’era Pippo a terrorizzare i grandi e noi con loro, di giorno i bombardieri ad affascinarmi, una volta un sibilo vicino (una scheggia?) a inorgoglirmi; nei campi raccoglievamo bossoli di mitragliatrice. Mio padre girava col camion e spesso non c’era (era allora che dormivo al pianterreno?); i tedeschi nella vicina Bassano avevano impiccato non so quanti partigiani; al paese si diceva che ricercavano un uomo alto, magro; mio padre era alto, magro. Mia madre era quasi sempre spaventata e ora aveva un figlio di pochi mesi: su tutti i pannolini* e fasce aveva ricamato una “S”: dopo maschio femmina maschio doveva essere Silvana e così fu Sergio. E anche i tre cugini doppi erano diventati quattro. Ora i tedeschi fuggivano, cercavano biciclette e la gente le nascondeva. Un ragazzino di loro – pistola in mano – ne pretendeva una da noi: non si poteva dargli quel capitale, nemmeno per la vita, ma poi se ne andò e restammo con bici e vita. Si ascoltava ancora guardinghi Radio Londra, ci parve di capire che gli alleati erano a Piacenza: sul tardi udimmo un gran colpo; mio padre ci fece stendere tutti a terra, mia madre terrorizzata voleva uscire ma fu stesa con la forza. Poco dopo un altro boato e un altro: ne contammo nove, poi silenzio; attesa, silenzio; ci trasferimmo velocemente nel