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doio e camera nostra, di noi maschietti più giovani. Un lato del cortile quadrato coincideva con i primi tre vani. Dall'altra parte al corridoio corrispondeva il vano scale. Entrati dalla strada, subito a destra la porta della Cal**** (poi del signor Mi****) e a sinistra la porta della signora Bo*** e la prima rampa delle scale a destra di essa, sotto la seconda rampa un corridoio andava dalla porta sulla strada diritto alla porta sul cortile: con entrambe le porte aperte potevamo soffiare con la cerbottana i nostri proiettili di carta (piro·e) contro la vaca mora ed eclissarci immediatamente. Le finestre delle camere erano di normale grandezza, con gli scuri che scorrevano su rotaia dentro il muro. Quelle di cucina e corridoio erano molto grandi, ognuna munita di avvolgibile di stecche di legno che si srotolava allungando la corda di sostegno; barre di ferro sagomato reggevano all’esterno fili per stendere e tavole di legno con sopra innumerevoli vasi di fiori: tanti gerani, tanti colori , tante qualità, primo e ultimo pensiero della giornata materna. Al centro del cortile una piccola aiuola rotonda con una bassa palma; piccoli orticelli di guerra occupavano qualche metro dal muro su tre lati. Sul lato Sud-Ovest, all’ombra del fabbricato confinante, c’era solo una piccola pianta dalla bianche tenere bacche. Da quella parte un po’ del nostro orto per qualche tempo divenne recinto per poche galline. Il terreno non coltivato del cortile era coperto di ghiaia e lì giocavamo. Da lì chiamavamo ripetutamente a gran voce “mama” fino a quando lei non si affacciava fra i gerani al secondo piano. Poteva essere per un fazzoletto, un