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necessitava abilità ed esperienza togliendo o mettendo piastre, posando i tegami al centro o ai margini per regolare la temperatura ed evitare che il cibo ciapa§e el brustolin, sapesse di bruciato. La stua era un bidone con sotto uno sportello e sopra cerchi di ferro come quelli della cucina economica: si toglievano i cerchi e si estraeva un bidone leggermente più piccolo. Sopra era aperto e sotto aveva un buco in centro: si metteva nel buco al centro un palo (la mescoℓa, il lungo mattarello usato per tirare la sfoglia) e si riempiva di segatura, pressandola con i piedi tutta attorno al palo che doveva rimanere in centro. Una volta ben pressata la segatura, si rimetteva il bidone dentro dov’era prima e si toglieva il palo lasciando un foro al centro. Il bidone interno poggiava su mattoni e il portello su quello esterno permetteva di mettere un fuoco sotto, la fiamma saliva lungo il foro e la segatura attorno bruciava. Faceva un bel caldo e durava piuttosto a lungo. Man mano che bruciava il buco diventava sempre più grande e il calore più forte, ma non si poteva regolare se non un poco agendo sulla manetta che regolava l’apertura del canon de‘a stua, il canale da fumo che collegava la stufa al camino. Era allora che si apriva la porta della stanza contigua, così il caldo diveniva tollerabile in cucina e il freddo accettabile nell’altra stanza. L’operazione di caricamento della stufa era piuttosto lungo e solitamente si faceva una volta al giorno, non di primo mattino, e a volte prima che bruciasse tutta la segatura vi si aggiungeva un pezzo di caxata. Le caxate erano vinacce pressate, quello che restava dopo la spremitura dell’uva nel torchio e dopo averne