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se si rendevano conto che c’era un foresto, il che succedeva quasi subito. Ma allora i foresti erano una rarità. Ora non so come si parli nel Veneto, so che nella mia famiglia in casa si parla veneto mentre fuori naturalmente italiano, dato che viviamo in Piemonte o Liguria. Uso il dialetto con parenti e conoscenti veneti le rare volte che capita, sempre con moglie e figli (i figli dei figli non conoscono dialetto). Già ai miei tempi molti genitori con i figli parlavano italiano pensando di favorirli: io non l’ho mai fatto, avendo accertato che a scuola i pochi che parlavano italiano non avevano migliori voti dei tanti che usavano il dialetto. L’unico mio parente parlante italiano era un cugino che, tornato a guerra finita dalla prigionia in Germania, forse aveva fatto voto di non parlare più dialetto. D’altro canto l’italiano scritto peggiore ho avuto occasione di leggerlo negli scritti di popolani della zona di Pisa, forse convinti che il loro parlare fosse corretto italiano. Noi invece abbiamo sempre saputo che quello che parlavamo non era quello che dovevamo scrivere, anche se gli insegnanti esageravano nel considerare errori vocaboli ed espressioni che ritenevano dialettali. Per molti anni sono vissuto in Piemonte, ma non ho avuto occasione di imparare il piemontese e ancora mi suonano strane frasi tipo “ne ho solo più uno” o “chissà se hai del pane” o “facciamo che fare, facciamo che far fare“. Lì ho anche scoperto che uno si chiamava Drigo perché, durante la Grande Guerra, suo padre era stato qualche tempo in quel paese dei miei antenati che credeva si chiamasse San Drigo.